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L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO
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Sul volo per Roma il Papa traccia un primo bilancio del viaggio e parla della Chiesa in America latina
Viva, giovane, in ricerca Ad Asunción gli ultimi incontri con i poveri e le nuove generazioni
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La festa del Vangelo
dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI
Ciò che rimane innanzi tutto impresso dei giorni di questo primo viaggio latinoamericano voluto da Papa Francesco — la visita a Rio de Janeiro per la giornata mondiale della gioventù era stata decisa infatti dal suo predecessore — è la dimensione della festa: evidente nel congedo dal Paraguay scandito da musiche e colori, è stata per tutto il lungo itinerario soprattutto una manifestazione popolare spontanea. Riflesso, magari solo percepito, di quella gioia del Vangelo che esprime l’intento missionario del pontificato. Da molte parti è stata sottolineata nel Papa una singolare capacità comunicativa, e questa è apparsa con nitida chiarezza nella settimana americana. Certamente per il contesto, nel quale Bergoglio ha detto più volte di sentirsi a casa, ma soprattutto per l’immediatezza con la quale il Pontefice risponde ai suoi interlocutori. Con la parola, ma soprattutto con i gesti, espressivi di tenerezza e vicinanza: così è stato in Paraguay durante le visite a un ospedale pediatrico e a Bañado del Norte, quartiere periferico nei dintorni di Asunción. E si può essere sicuri che le migliaia di partecipanti agli incontri con la società civile e con i giovani porteranno a lungo nel cuore i dialoghi con il Papa. In più di un’occasione Bergoglio ha infatti integrato con efficacia i testi preparati, mentre altre volte — come appunto nell’ultimo appuntamento con i giovani mentre il sole tramontava sulla sponda del fiume Paraguay — ha preferito improvvisare del tutto, per rispondere alle testimonianze ascoltate. In una conversazione collettiva che il Pontefice ha allargato alle migliaia di presenti, scandendo punti essenziali delle sue riflessioni e facendoli ripetere alla folla. Capace di catturare l’attenzione di chi lo ascolta, Papa Francesco ha dialogato con ciascuno aprendo alla comprensione del Vangelo, che spiega come realtà in grado di illuminare ogni persona e ogni situazione. Così è stato nell’omelia al santuario mariano di Caacupé e nell’incontro a Bañado del Norte, dove ha reso presente la famiglia di Gesù. Ed è proprio la duplice attenzione alla realtà di oggi e all’annuncio evangelico che permette di sfuggire alle trappole delle ideologie e delle idolatrie. La testimonianza e le parole del Pontefice sono chiarissime, anche se sempre è possibile strumentalizzare ogni sua affermazione, semplicemente estraendola dal contesto. A ricordarlo è stato lo stesso Bergoglio nella distesa conversazione con i giornalisti sul volo di ritorno. Le finalità di queste letture parziali o distorte, e in genere interessate, sono quasi sempre ideologiche, mentre è palese che il Papa non ha mai avuto né ha alcuna intenzione di prendere partito in questioni politiche particolari, ma solo di richiamare il Vangelo e la dottrina cattolica, come nel caso del discorso che ha chiuso a La Paz il secondo incontro mondiale dei movimenti popolari. Tra gli appuntamenti di questo grande viaggio americano è significativo lo spazio che il Pontefice ha voluto riservare ai vescovi dei Paesi visitati. Incontri familiari, senza alcuna formalità protocollare, che permettono un’espressione effettiva e crescente dei legami costitutivi della comunione cattolica. Nell’apertura quotidiana alla gioia del Vangelo che un antico autore cristiano descriveva come una festa che il Cristo risorto viene ad animare in ogni persona umana. g.m.v.
La Chiesa latinoamericana ha una grande ricchezza: è una Chiesa giovane, con una spiccata freschezza e una teologia dinamica, in ricerca. Certo, ha tanti problemi ed è anche un po’ indisciplinata, ma è viva: una Chiesa di vita. Con ancora negli occhi le immagini dell’incontro con le nuove generazioni ad Asunción, il Papa ha tracciato un primo bilancio del viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Sul volo di ritorno verso Roma, domenica sera, 12 luglio, il Pontefice ha risposto come di consueto ai giornalisti. E ha spiegato che ha voluto recarsi nel suo continente d’origine per incoraggiare questa Chiesa giovane, nella convinzione che essa abbia tanto da dare a quella che vive in altre parti del mondo. Soprattutto all’Europa, dove spaventa il calo delle nascite, e per la quale Francesco è tornato ad auspicare politiche di sostegno alle famiglie. Con un lungo viaggio e una giornata fitta d’impegni alle spalle, il Papa non si è sottratto alle domande — una quindicina — parlando per oltre un’ora. Diversi gli argomenti affrontati, alcuni dei quali legati ai vari momenti del viaggio, altri ai prossimi appuntamenti, la visita a Cuba e negli Stati Uniti e il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, tra gli altri. Quanto alla prima, ha ripercorso le tappe che hanno portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nei quali si recherà a settembre. Riguardo al secondo, ha sottolineato la crisi e le difficoltà della famiglia, così come sono state elencate nell’Instrumentum laboris sinodale. Le prime tre domande, alle quali ha risposto in spagnolo, gli sono state rivolte dalla stampa dei Paesi appena visitati. Interrogato sulla mancanza di un cardinale paraguayano ha detto che se guardiamo alla vitalità di questa Chiesa e alla sua storia gloriosa, il Paese meriterebbe due porporati. Quanto all’aspirazione della Bolivia a uno sbocco al mare ha detto che si tratta di un tema molto delicato. Infine, la strumentalizzazione politica dei discorsi pronunciati in Ecuador ha offerto a Francesco lo
spunto per una breve riflessione sull’ermeneutica garbatamente rivolta a tutti i giornalisti. Un testo — ha raccomandato — non si deve interpretare sulla base di una sola frase, ma va valutato tutto il contesto, inclusa la storia che c’è alle spalle. In italiano le altre domande, grazie alle quali il Papa ha parlato fra l’altro dei movimenti popolari, che si organizzano non solo per protestare, ma anche per andare avanti nella lotta per i diritti dei poveri. Sono tanti — ha sottolineato in proposito — e la Chiesa non può restare indifferente, ma dialoga con loro attraverso la dottrina sociale. E non si tratta di un’opzione anarchica, perché sono lavoratori. Non è una mano tesa al nemico, né un fatto politico, ma catechetico, ha puntualizzato. In altri passaggi il Pontefice ha fatto il punto sulle difficoltà della Grecia e sui drammi, più vicini alla realtà latinoamericana, del Venezuela, dove la conferenza episcopale lavora per favorire la riconciliazione nazionale, e della Colombia, con l’invito a pregare perché non si fermi il processo di pace, dopo cinquant’anni di conflitto e tantissimi morti. Il tutto alleggerito con battute lievi, come quelle sull’allergia all’economia, sull’aiuto che riceve dal mate — mentre non ha assaggiato la coca, come ha voluto precisare — e sul fatto di sentirsi un bisnonno quando gli chiedono di posare per i selfie, che comunque considera un fatto culturale delle nuove generazioni. Infine ha fatto chiarezza sui doni ricevuti dal presidente Morales. Le onorificenze resteranno com’è noto in Bolivia e — ha detto — saranno portate al santuario mariano di Nostra Signora di Copacabana. Quanto invece al crocifisso ligneo scolpito su falce e martello, ha detto di non averlo considerato un’offesa e di averlo portato con sé nel ricordo di padre Espinal, un uomo speciale, geniale, che lottava per il suo popolo anche attraverso l’“arte di protesta” contenuta nelle sue poesie e in altre forme di espressione. PAGINE 6-12
Atene dovrà approvare le riforme entro mercoledì e istituire un fondo fiduciario nel quale far confluire beni a garanzia dei prestiti
Intesa europea sulla Grecia BRUXELLES, 13. Accordo raggiunto al Consiglio europeo dopo oltre trenta ore di negoziato: la Grecia avrà il suo terzo piano di aiuti per uscire dalla crisi. La conferma ufficiale è arrivata questa mattina dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: «L’Eurosummit ha raggiunto un’intesa unanime; siamo pronti per partire con il programma
Il premier greco Alexis Tsipras (Ap)
di supporto finanziario del fondo salva-Stati e con riforme serie». Il numero uno della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha cercato di ricomporre la frattura aperta durante le trattative, quando il premier greco, Alexis Tsipras, aveva parlato di un tentativo di umiliare pubblicamente la Grecia con le richieste dei creditori internazionali. «In questo compromesso non ci sono né vincitori né sconfitti. Non penso che i cittadini greci siano stati umiliati, si tratta di un accordo tipicamente europeo» ha affermato Juncker. «Domani e mercoledì il Parlamento greco dovrà legiferare sui vari aspetti concordati oggi; se tutto va bene entro la fine della settimana può essere deciso il mandato per negoziare il sostegno del fondo salvaStati» ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, nella conferenza stampa dopo il vertice. I ministri economici e finanziari europei dovranno ora discutere un prestito ponte per fornire subito liquidità alla Grecia, che il 20 luglio deve rimborsare 3,5 miliardi alla Bce (Banca centrale europea). Dal canto suo, Tsipras ha parlato di una «battaglia dura», nella quale la Grecia «ha lanciato un messaggio di dignità» ed è arrivata a un’intesa che mette Atene «nelle condizioni di stabilità finanziaria» per tornare a «lottare per la crescita». Il leader greco ha poi garantito che il peso delle riforme sarà ripartito «secondo criteri di giustizia sociale». Positivo il giudizio del cancelliere tedesco, Angela Merkel, secondo la
quale ora «la fiducia tra i partner dell’eurozona potrà essere ristabilita se quanto concordato sarà applicato nei tempi e nei modi stabiliti». Per quel che concerne i contenuti tecnici, Merkel ha precisato che il terzo salvataggio greco comporterà 82-86 miliardi. Come detto, di questi una fetta da 25 miliardi permetterà subito di ricapitalizzare le banche. Sul
possibile taglio del debito, Merkel ha detto che un haircut sul valore nominale resta impossibile, ma si ragionerà su «possibili soluzioni di grazia per prolungare le scadenze, a patto che l’attuazione del programma sia positiva». L’intesa — dicono gli analisti — è stata raggiunta anche sul punto più delicato del dossier: la costituzione
del Fondo fiduciario nel quale far conferire beni greci a garanzia degli aiuti. Si tratta di un veicolo finanziario di una cinquantina di miliardi di euro, che sarà basato in Grecia e avrà una governance «con la presenza di esperti che verificheranno quali saranno i beni che meglio si prestano» allo scopo, ha spiegato Dijsselbloem.
Stretta finale ai negoziati di Vienna sul programma nucleare
A un passo l’accordo con l’Iran VIENNA, 13. Lo storico accordo sul programma nucleare iraniano è a un passo. E potrebbe essere annunciato in giornata, quando scade il termine ultimo fissato dall’Iran e il gruppo cinque più uno (i Paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la Germania). A Vienna c’è ottimismo sull’intesa a portata di mano, ma la cautela resta d’obbligo: le parti continuano a lavorare e a definire la bozza di accordo, che dovrà poi essere inviata alle capitali per il via libera definitivo. Un documento che negli ultimi giorni è passato da 80 a 100 pagine. «Abbiamo fatto molta strada. Siamo molto vicini a un accor-
do», ha fatto sapere ieri sera il presidente iraniano, Hassan Rohani, sottolineando che è ancora necessario compiere alcuni «piccoli passi» per raggiungere l’intesa definitiva. «Restano alcuni nodi da sciogliere», ha messo in evidenza l’Amministrazione di Washington. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha tenuto ieri una riunione con la squadra di negoziatori statunitensi per limare la posizione e valutare i progressi. Le prossime ore sono decisive per l’intesa. Al momento non è prevista alcuna ulteriore estensione della scadenza. Il round di trattative prosegue da 16 giorni ed è già stato esteso per tre volte da quando la prima scadenza del 30 giugno non è stata rispettata.
Il rappresentante iraniano Zarif (Reuters)
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Profughi iracheni attendono in fila aiuti alimentari
Altri cadaveri di migranti recuperati al largo della Tunisia
Cimitero Mediterraneo Proseguono senza sosta le operazioni di soccorso ROMA, 13. Una nuova, lunga scia di sangue torna a macchiare il Mediterraneo. Ieri la Guardia costiera tunisina ha recuperato, in distinte operazioni, i cadaveri di 32 migranti. Le vittime, presumibilmente provenienti da Paesi della fascia subsahariana, sarebbero annegate dopo essere partite da località libiche alla volta delle coste italiane. La stessa Guardia costiera ha reso noto — secondo quanto riferiscono fonti di stampa — che le operazioni di recupero, alle quali ha partecipato anche la Protezione civile, si sono svolte al largo delle coste sud della Tunisia. Resta intanto critica la situazione in altre zone del Mediterraneo. Nella sola giornata di ieri sono stati salvati 809 migranti. La nave svedese Poseidon, inserita nel dispositivo europeo Triton, ha soccorso un barcone con a bordo 611 migranti, tra i quali 24 donne e 58 bambini. Altri due gommoni sono invece stati recuperati da una nave della marina militare italiana e da un mercantile dirottato in zona. A bordo c'erano in tutto 198 persone, che dopo esser
Migranti sbarcati nel porto di Palermo (Reuters)
Rafforzate in Tunisia le difese antiterrorismo TUNISI, 13. La barriera di protezione tunisina al confine con la Libia sarà lunga 220 chilometri, 40 in più rispetto a quelli annunciati dal premier tunisino, Habib Essid: lo ha detto ieri il ministro della Difesa, Farhat Horchani, precisando che la barriera sarà composta da un insieme di ostacoli, fossati e trincee con il fine di proteggere le frontiere nazionali dal contrabbando di merci e armi e dall’infiltrazione di terroristi. Il ministro della Difesa ha poi aggiunto che i lavori, ai quali partecipano nove società, saranno completati entro la fine dell’anno. Il sistema di controllo elettronico delle frontiere, ha spiegato, verrà messo in atto con l’aiuto e l’assistenza materiale di numerosi Paesi amici. Le milizie islamiste di Fajr Libya, con un comunicato ufficiale, hanno contestato la decisione del Governo di Tunisi di realizzare una barriera al confine tra i due Paesi, come misura di contrasto al terrorismo e al contrabbando tra Tunisia e Libia. Nel comunicato si sostiene l’inopportunità della barriera senza l’assenso della parte libica, ma, soprattutto, senza un accordo sulle frontiere. Secondo Fajr Libya, la costruzione della barriera, per effetto di una «decisione unilaterale», è un «attentato alla sovranità libica». Il comunicato dell’organizzazione islamista si conclude rivendicando il diritto delle milizie di assumere ogni decisione ritenuta necessaria per contestare la decisione del Governo tunisino «nel momento, nel luogo e con il modo» ritenuti adeguati. Nel frattempo, riferiscono le autorità tunisine, il gruppo terroristico di Okba Ibn Nafaa — duramente colpito sul monte Orbat nel governatorato di Gafsa durante l’operazione delle forze speciali tunisine del 10 luglio scorso — stava pianificando l’apertura di campi di addestramento per jihadisti nella regione. Secondo il portavoce della Guardia nazionale tunisina, Tarik Amrawi, la cellula jihadista sgominata «aveva contatti con un gruppo terroristico presente in Libia dal quale prendeva armi e autobombe». Gli inquirenti dunque hanno prima cercato di identificare i jihadisti componenti del gruppo, poi li hanno seguiti nei loro spostamenti per cercare di individuare il luogo nel quale essi avrebbero voluto organizzare il loro primo campo.
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state recuperate sono state trasferite su due motovedette partite da Lampedusa. Nel frattempo, la polizia italiana ha identificato e arrestato a Palermo undici persone ritenute gli scafisti di diverse imbarcazioni di migranti. I reati contestati agli arrestati sono, a vario titolo, il favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina nonché omicidio volontario. Quest’ultimo reato è stato contestato a due degli arrestati. Sul piano politico, ieri è intervenuto il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, in una intervista ad Al Jazeera. Secondo Renzi il nodo dell’immigrazione «non è solo un problema dell’Italia perché l’Italia è in condizione di risolverlo da sola». Tuttavia — ha aggiunto — «se l’Europa non accetta di risolvere questo problema perderà la sua identità. La ragione per cui l’Europa è nata non è solo quella di un accordo economico, non solo l’euro». Sono infatti «gli ideali europei la ragione vera» per cui dopo settant’anni possiamo considerare l’Europa «un posto di pace».
Ancora 800 milioni le persone in condizioni di povertà estrema
Ad Addis Abeba per finanziare lo sviluppo ADDIS ABEBA, 13. Ha preso il via oggi ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia e sede dell’Unione africana, la terza conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul finanziamento allo sviluppo. Un incontro che, insieme con l’adozione a settembre dell’agenda per lo sviluppo post-2015 da parte dell’assemblea generale dell’Onu e con il vertice sui cambiamenti climatici in programma a Parigi alla fine di dicembre, contribuirà a definire
Ai negoziati di Skhirat
Primo accordo di pace per la Libia Ma Tripoli per ora non firma l’intesa RABAT, 13. Passo in avanti in Libia: il Governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e i leader di alcune fazioni politiche, hanno siglato ieri a Skhirat, in Marocco, una nuova versione dell’accordo di pace grazie alla mediazione dell’inviato speciale dell’O nu, Bernardino León. Sul testo però manca la firma del Governo di Tripoli, che è controllato dalle milizie islamiche, il quale però non chiude completamente la porta a una possibile intesa. L’accordo prevede la fine dei combattimenti e la formazione di un Governo di unità nazionale che sia guidato da un premier e da due vice, con poteri esecutivi concreti, per almeno un anno. Nel testo si prevede anche che l’unico Parlamento riconosciuto sia quello di Tobruk, condizione che invece il Congresso nazionale generale (il Parlamento di Tripoli) giudica inaccettabile. L’accordo è un «primo e importante passo verso la pace», ha dichiarato León, mentre rappresentanti del Governo di Tobruk l’hanno definito «un buon punto di partenza», esortando Tripoli a partecipare ai negoziati. «Delusione» è stata espressa invece da Nuri Abou Sahmein, presidente del Parlamento di Tripoli, che però si è detto «pronto a partecipare a nuovi in-
Renzi. Soddisfatto anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: «La firma — ha detto — costituisce un motivo di speranza». Sulla stessa linea l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini.
contri con l’Onu per presentare modifiche alla bozza». L’accordo di Skhirat è «un tassello importante del tentativo di stabilizzare la regione e restituire pace a questo grande Paese», ha commentato il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo
Evitata una strage in una chiesa della Nigeria
L’inviato dell’Onu León firma l’accordo di pace libico a Skhirat in Marocco (Ap)
Dopo l’attacco al consolato italiano
Allerta al Cairo IL CAIRO, 13. Allerta e posti di blocco nelle principali strade del Cairo. All’indomani dell’attentato davanti al consolato italiano, che ha provocato un morto e dieci feriti, militari e poliziotti presidiano in gran numero le arterie della città. Oggi è atteso al Cairo il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, per incontri con i più alti vertici egiziani. Il titolare della Farnesina porterà poi un segnale di solidarietà e vicinanza al personale dell’ambasciata italiana. «L’Italia non abbandonerà mai i propri amici e alleati,
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a cominciare dall’Egitto, impegnati a combattere estremismo e fanatismo», ha annunciato ieri sera il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, aggiungendo che su «questi temi non mancherà la coesione nazionale e l’impegno di tutta la comunità internazionale». Intanto l’inchiesta va avanti. Gli inquirenti egiziani lavorano per risalire alla matrice dell’attentato. E si studia anche la rivendicazione del cosiddetto Stato islamico (Is), anche se per ora non ci sono con-
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Intanto a Bengasi negli ultimi tre giorni si sono registrati almeno 19 morti e 80 feriti in violenti combattimenti tra soldati libici ed estremisti islamisti. L’Is invece continua a martellare Sirte, dove ha bombardato 12 abitazioni, tra cui quella del sindaco, Abdel Fattah El Sewi.
orientamenti decisivi a livello globale. La conferenza di Addis Abeba, che si terrà fino a mercoledì, segue la pubblicazione del rapporto dell’Onu sulla campagna per il raggiungimento dei cosiddetti Obiettivi del millennio (20002015). Secondo lo studio, dal 1990 le persone che vivono in condizioni di povertà estrema (con meno dell’equivalente di un dollaro e 25 centesimi al giorno) sono diminuite da un miliardo e 900 milioni a 836 milioni. Un numero di indigenti comunque inaccettabile. Le statistiche relative agli Obiettivi sottolineano che per eliminare la fame nel mondo in maniera sostenibile entro il 2030 basterebbe un investimento di 267 miliardi di dollari l’anno, appena lo 0,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Basterebbero, dunque, circa centocinquanta euro l’anno a ogni persona che soffre la fame, meno del costo di uno smartphone, per i prossimi quindici anni per cancellare definitivamente l’espressione «fame nel mondo». Molti degli investimenti — rilevano gli esperti del Pam — dovrebbero essere fatti dagli stessi Paesi in via di sviluppo, mentre per quelli estremamente poveri dovrebbero intervenire le istituzioni internazionali. Mercoledì, a conclusione dei lavori, è prevista la presenza dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini.
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ferme sulla sua attendibilità. Ieri fonti di intelligence italiane avevano interpretato l’attentato come un segno di avvertimento all’Italia, solido alleato del Cairo. E nella ridda di ipotesi circolate sui media egiziani c’è anche quella che sostiene che l’attentato fosse indirizzato contro l’avvocato Ahmed Al Fuddaly, considerato vicino al presidente Al Sisi. Il consolato italiano è vicino all’Alta corte egiziana e l’esplosione è avvenuta poco prima che passasse al Fuddaly, riferiscono le stesse fonti.
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Conferenza a New York sull’ebola NEW YORK, 13. Garantire ai Paesi africani colpiti da ebola le risorse necessarie per azzerare i contagi e consentire la ripresa. È questo l’obiettivo della conferenza internazionale che si tiene oggi nella sede dell’Onu a New York. Al centro delle discussioni, la richiesta dei capi di Stato di Guinea, Liberia e Sierra Leone di stanziamenti per tre miliardi di dollari. In Africa occidentale, l’ebola ha provocato oltre 11.000 decessi.
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ABUJA, 13. Ancora terrore in Nigeria. Una bomba è stata scoperta in una chiesa di Jos, poco prima che esplodesse durante la messa domenicale. Lo ha reso noto la polizia, che ha subito ordinato lo sgombero della chiesa e ha fatto brillare l’ordigno. Non ci sono state vittime ed è stata così evitata una nuova strage dopo quella di domenica 5 luglio, quando un attentatore suicida si era fatto saltare in aria in una chiesa di Potiskum, nel nordest del Paese, uccidendo cinque persone. All’inizio di luglio, Jos era già finita nel mirino del gruppo fondamentalista islamico di Boko Haram, i cui militanti hanno sparato e lanciato granate in una moschea e attaccato un ristorante, uccidendo oltre cinquanta persone. Almeno cinque persone sono invece morte ieri per una sparatoria ad Agbonchia, un piccolo villaggio a pochi chilometri dalle raffinerie di Port Hancourt, nello Stato di Rivers. Lo rendono noto la polizia e le autorità locali. Alcuni motociclisti hanno aperto il fuoco sulla popolazione seminando il terrore per circa un’ora. La polizia ha effettuato undici arresti. Nella regione si registrano spesso rapimenti e sparatorie tra gang locali.
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Poliziotto afghano esamina il luogo di un attentato a Kunduz (Epa)
Raffica di attentati a Baghdad
Nuova intesa nel processo di pace in Colombia
BAGHDAD, 13. Ancora terrore in Iraq. Due autobombe e un attentatore suicida hanno causato ieri almeno 28 morti a Baghdad, nei quartieri sciiti. Lo si apprende da fonti sanitarie e della polizia. Nel distretto di Shaab l’esplosione di un’auto parcheggiata vicino a un mercato ha ucciso dieci persone. Una volta sopraggiunti i soccorsi, un attentatore suicida si è fatto esplodere uccidendo a sua volta altre nove persone tra poliziotti e civili. Nel distretto di Bunouk un’altra autobomba ha ucciso ulteriori nove uomini. Questi atti di violenza — riferiscono le autorità locali — non sono ancora stati ufficialmente rivendicati, ma possono quasi con certezza essere ricondotti all’azione dei miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is). Da almeno un anno gli uomini di Al Baghdadi stanno portando avanti una offensiva in Iraq: a opporsi sono le forze dell’esercito iracheno, supportate dalle milizie sciite e dai raid della coalizione internazionale a guida statunitense. A differenza che in Siria, infatti, in Iraq Washington agisce in stretta collaborazione con il Governo locale. Ma la guerra contro l’Is non riguarda soltanto l’Iraq. Ieri, durante i combattimenti, un’esplosione avvenuta in un tunnel ha parzialmente danneggiato una parte della muraglia della cittadella di Aleppo, in Siria, patrimonio dell’umanità dell’Unesco dal 1986. Il crollo — denuncia l’O sservatorio siriano per i diritti umani — sarebbe avvenuto a seguito dell’esplosione con cui le truppe governative hanno distrutto un tunnel scavato dai miliziani islamisti sotto il monumento. La televisione siriana ha riferito dell’episodio, attribuendone però la responsabilità a non meglio precisate «organizzazioni terroristiche».
BO GOTÁ, 13. Il Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno annunciato ieri un accordo di deescalation del conflitto, che prevede, per la prima volta dall’inizio del dialogo di pace all’Avana, una riduzione delle operazioni dell’esercito in cambio di uno stop delle offensive da parte dei ribelli. In un discorso alla Nazione, ieri, il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha sottolineato che il rispetto dell’intesa da parte delle Farc condizionerà il proseguimento del dialogo di pace all’Avana. «Saremo vigili su quanto è stato concluso oggi — ha detto il presidente colombiano — e nei prossimi quattro mesi, in funzione del rispetto dell’accordo da parte delle Farc, prenderò la decisione di dire se continuare o no il processo di pace». L’accordo annunciato all’Avana prevede una diminuzione delle operazioni militari a partire dal 20 luglio in risposta alla tregua di un mese annunciata dalle Farc la scorsa settimana. È quanto emerge da un comunicato delle due delegazioni al tavolo delle trattative sostenute dai diplomatici norvegese, Dag Nylander, e cubano, Rodolfo Benitez, che hanno favorito l’intesa. Il capo della delegazione del Governo di Bogotá, Humberto de la Calle, ha sottolineato che l’accordo «rafforza la fiducia dei colombiani» nel processo di pace. I negoziatori all’Avana che cercano di accelerare il processo di pace, si sono anche messi d’accordo per chiedere al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e alla presidenza dell’Unione delle Nazioni sudamericane (Unasur) un aiuto per «verificare e sorvegliare» questa riduzione delle attività militari in Colombia.
Almeno 28 morti
Decine di civili uccisi in un attacco nei pressi di una base statunitense a Khost
Offensiva talebana in Afghanistan KABUL, 13. Non si ferma in Afghanistan l’escalation della violenza da parte degli insorti talebani. Nel fine settimana si sono avuti numerosi attacchi. Il più grave ha provocato almeno 30 morti e decine di feriti: un attentatore suicida, a bordo di un veicolo, si è fatto esplodere a un check point militare vicino alla base aerea statunitense di Camp Chapman, nella provincia sud-orientale afghana di Khost, non lontana dal confine con il Pakistan. Lo ha riferito il portale di notizie Khaama Press. Ieri sera il capo della polizia provinciale, Faizullah Ghairat, aveva fornito un bilancio di 25 morti e dieci feriti, ma oggi un altro ufficiale del commissariato di Khost City, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto che le vittime sono almeno trenta. Questa fonte ha precisato che la maggior parte delle vittime sono civili — vi sarebbero molte donne e bambini — aggiungendo però che fra di esse vi sono anche membri delle forze di sicurezza. Oltre alla strage di Khost, nella nuova ondata di violenze dei talebani che ha interessato quattro
Un milione di cinesi in fuga dal tifone
province in Afghanistan si devono registrare altre 40 vittime fra guerriglieri, membri delle forze di sicurezza afghane e civili, come hanno reso noto ieri sera fonti ufficiali del Governo di Kabul. Nella provincia meridionale di Zabul, hanno indicato responsabili della sicurezza, in uno scontro a fuoco durato più di un’ora sono stati uccisi 16 talebani. Inoltre, nello scoppio di un ordigno rudimentale nella provincia centrale di Kapisa, sono morti undici civili che si trovavano a bordo di un minibus diretto nella capitale afghana. Nella provincia settentrionale di Kunduz, intanto, sconosciuti hanno colpito un veicolo della polizia con un bilancio di tre civili morti e dieci feriti di cui cinque civili e cinque agenti. Infine in un altro scontro a fuoco fra talebani e forze di sicurezza, avvenuto nella provincia settentrionale di Takhar per il controllo di un check-point nel distretto di Darqad, sono morti sei talebani e il comandante della polizia locale (Alp). Le forze internazionali di assistenza alla sicurezza in Afghanistan (Isaf, a guida Nato)
hanno concluso a dicembre la missione di combattimento ed è la prima volta quest’anno che le forze afghane si trovano a fronteggiare i talebani senza il pieno appoggio dei militari dell’Alleanza atlantica. Con la decisione degli Stati Uniti — presa dopo il vertice a Washington tra i presidenti Barack Obama e Ashraf Ghani — di rallentare il ritiro dei militari, nel Paese martoriato da decenni di guerre restano comunque 12.500 soldati stranieri, in gran parte statunitensi. Ma il loro compito è solo quello di provvedere all’addestramento delle forze di sicurezza afghane. Intanto, Hafez Sayeed, ritenuto il comandante dei seguaci del cosiddetto Stato islamico (Is) nella regione di Afghanistan e Pakistan (denominata Khurasan), è stato ucciso in un raid aereo nella provincia orientale afghana di Nangharar. Lo ha annunciato l’intelligence di Kabul. Nell’operazione nella zona del distretto di Achin sono stati uccisi 30 combattenti. L’Is ha comunque smentito che il suo leader sia morto.
Il partito di Suu Kyi parteciperà alle elezioni NAYPYIDAW, 13. Dopo la conferma da parte della commissione elettorale del Myanmar che le legislative si terranno l’8 novembre prossimo, il leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, ha fatto sapere ieri che il suo partito politico prenderà parte alla consultazione. «Parteciperemo alle elezioni legislative per continuare sulla strada della transizione alla democrazia, che tuttora non è stata realizzata», ha affermato il premio Nobel per la pace, a capo della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), durante una conferenza stampa nella capitale, Naypyidaw. L’Lnd aveva boicottato
il voto del 2010 per protesta contro la legge elettorale, definita iniqua, e aveva preso parte alle elezioni suppletive del 2012 dopo che erano stati apportati alcuni cambiamenti. La Costituzione riserva un ruolo di primo piano nel Governo ai militari, che hanno guidato il Myanmar dal 1962 con il pugno di ferro: il 25 per cento dei seggi in Parlamento sono infatti riservati per legge ai militari, che dispongono così di un diritto di veto sugli emendamenti costituzionali. Nel 1990, la Lega nazionale per la democrazia vinse le elezioni, che vennero subito annullate.
El Chapo evade dal carcere CITTÀ DEL MESSICO, 13. «Un affronto alla Stato messicano». Con queste parole, il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, ha commentato ieri la fuga dal carcere di massima sicurezza di Altipiano del boss del narcotraffico Joaquín Guzmán, detto El Chapo. Alla guida del cartello di Sinaloa, organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di droga, Guzmán — uno dei criminali più violenti al mondo — era già evaso nel 1993 dal carcere di Guadalajara dopo aver corrotto le guardie carcerarie. Nel 2009 è stato inserito nella lista degli uomini più ricchi del
A causa della cenere chiusi cinque aeroporti
Eruzione vulcanica in Indonesia
Operazioni di salvataggio nella provincia di Zhejiang (Ansa)
PECHINO, 13. Sono più di un milione i cinesi in fuga per il passaggio del tifone Chan-hom, transitato sul Mare Cinese Orientale dopo avere flagellato l’isola giapponese di Okinawa e la parte settentrionale di Taiwan. Il tifone, il nono di quest’anno in Cina, è il più violento mai verificatosi nel mese di luglio dal 1949. Ha toccato le coste orientali del Paese, investendo le province del Fujian e dello Zhejiang, con venti dalla velocità di oltre 160 chilometri all’ora. A Shanghai, dove le autorità hanno chiesto ai cittadini di non uscire di
casa nella giornata di oggi e sono stati cancellati diversi eventi pubblici, è stata decretata l’allerta di secondo grado. Al momento non vengono segnalate vittime, anche se l’agenzia Xinhua parla di interi villaggi allagati e di strade rese inaccessibili. Vicino a Ningbo, nello Zhejiang, sono duecentomila le persone rimaste senza corrente elettrica. In nove contee, le precipitazioni sono state particolarmente intense, con oltre cento millimetri di pioggia. Paralizzati i trasporti. Oltre seicento i voli cancellati dagli aeroporti dello Zhejiang.
JAKARTA, 13. L’aeroporto indonesiano di Bali è stato di nuovo chiuso oggi al traffico, a causa della colonna di cenere provocata dall’eruzione del vulcano Raung, nella parte orientale dell’isola di Java. Lo scalo era stato riaperto ieri, ma i venti hanno spinto di nuovo la cenere sullo spazio aereo, compromettendo la sicurezza. Tutte le operazioni di volo all’aeroporto, insieme ad altri quattro scali minori, sono state così nuovamente sospese. Al momento non sono stati ordinati sgomberi, dato che nell’area non ci sono centri abitati a rischio. L’Indonesia non è nuova a eruzioni vulcaniche. L’arcipelago di 17.000 isole, che si sviluppa su una distanza equivalente a quella tra l’Irlanda e New York, si trova sulla “cintura di fuoco”, un centro di costante tensione sismica. Il Paese conta 130 vulcani attivi.
mondo di Forbes, con un patrimonio di un miliardo di dollari. In una conferenza stampa a Parigi, dove si trova in visita ufficiale, Peña Nieto ha reso noto di aver chiesto «il rafforzamento della sicurezza nei centri di detenzione» del Messico, precisando, inoltre, di aver incaricato la procura generale di «indagare in profondità se agenti del carcere siano coinvolti nella fuga di questo delinquente». Nel commentare l’evasione, l’Amministrazione statunitense si è detta «pronta ad aiutare il Messico» per catturare di nuovo Guzmán.
Ancora violenze della polizia negli Stati Uniti WASHINGTON, 13. Nella cittadina di Tuscaloosa, in Alabama, un nero di 35 anni, disarmato, è morto ieri dopo che sei agenti di polizia lo hanno colpito con spray al peperoncino. Secondo le forze dell’ordine, l’uomo, Anthony Dewayne, stava «resistendo all’arresto». Dewayne era ricercato dalla polizia per una denuncia di violenze domestiche. Chiamati da un uomo, che sosteneva fosse armato di pistola (particolare rivelatosi poi falso), gli agenti sono accorsi sul posto. Dewayne si è dato alla fuga in un bosco. Gli agenti lo hanno raggiunto e per renderlo inoffensivo hanno fatto ricorso allo spray letale. Mentre lo stavano ammanettando l’uomo ha iniziato ad accusare problemi di respirazione ed è morto poco dopo.
L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 13-14 luglio 2015
Sulla nave che lo portava in Sud America avvenne un incontro fondamentale Quello con Jean Saphores Piccolo Fratello di Gesù che Arturo assisterà in punto di morte
È morto all’età di 102 anni il sacerdote e missionario Arturo Paoli
Tra i boscaioli di Fortín Olmos di GABRIELE NICOLÒ
Il viaggio del Papa visto dalla stampa internazionale
Sempre più cattolico stato «il viaggio radicale di un Papa radicale» sintetizza, in una sola frase, JeanMarie Guénois nel suo commento pubblicato sul quotidiano francese «Le Figaro» del 13 luglio. Guénois concentra dunque la sua analisi sulla radicalità del messaggio del Papa, un aspetto «che riassume il senso profondo dei ventidue discorsi pronunciati davanti a milioni di persone» e sull’immagine più forte, lanciata domenica, prima di risalire sull’aereo per Roma: la scelta fondamentale tra i due vessilli, quello del demonio e quello di Cristo. Un’immagine cara alla tradizione ignaziana, tradotta in linguaggio contemporaneo accostandola alle maglie di due squadre diverse, perennemente in lotta tra loro. Con chi vogliamo giocare la partita della vita? Per chi faremo il tifo? Sceglie uno slogan efficace e sintetico anche Juan G. Bedoya nel suo commento — uscito su «El País» del 12 luglio scorso — dedicato a un Pontefice che si rivela nel tempo «sempre più cattolico e meno romano». In sei giorni, continua Bedoya, viaggiando attraverso i tre Paesi più poveri del continente latinoamericano, Francesco ha rovesciato completamente l’immagine di una Chiesa romana seguita da sempre meno fedeli in America latina. Il cattolicesimo — chiosa Bedoya — non perde terreno tanto per l’agguerrita concorrenza di altre confessioni religiose, ma soprattutto perché indebolito dalle sue incoerenze interne, dall’esempio negativo di pastori che hanno dimenticato la povertà evangelica e si concedono un tenore di vita principesco, e — cosa ancora più grave — dalla più o meno esplicita collusione con governi che diffondono e consolidano, invece di combatterle, miseria e ingiustizia sociale. «“Vi benedico senza bisogno di riscuotere” ha detto con candida durezza — continua il giorna-
È
C’è chi parla di viaggio radicale per un Papa radicale E chi nota che è nel barrio che si capiscono a fondo le parole ripetute in questi giorni lista spagnolo — Francesco in Paraguay». Durante il viaggio, scrive ancora Bedoya, Bergoglio non ha mai citato la teologia della liberazione ma ha mostrato di condividerne le istanze di giustizia, perché la difesa dei poveri — come ripete in ogni occasione, da due anni a questa parte — è sempre stata una battaglia cristiana. Un messaggio centrale e attuale anche «nella vigna devastata» della Chiesa europea, piegata dalla crisi economica e da una ancora più profonda crisi di identità. Il Papa inizia ad affrontare temi spinosi, si legge nell’editoriale non firmato, pubblicato dallo stesso giornale il giorno seguente, 13 luglio: il primo Papa latinoamericano della storia ha visi-
tato tre nazioni con la più grande presenza indigena, Ecuador, Bolivia e Paraguay, Paese quest’ultimo in cui convive un quasi totale bilinguismo tra la lingua dei conquistatori, il castigliano, e l’idioma indigeno, il guaraní. A viaggio appena terminato, conclude l’editoriale, si può dire che Francesco ha iniziato una nuova «conquista dell’America», radicalmente diversa rispetto a quella militare del passato. Sempre in prima pagina, l’«International New York Times» — nell’edizione del 13 luglio — sottolinea come nel corso del viaggio il Papa abbia rinnovato la sua vigorosa critica al capitalismo: una critica, del resto, più volte
La scelta tra i due vessilli è un’immagine cara alla tradizione ignaziana E ora Francesco l’ha tradotta in linguaggio calcistico
formulata durante il pontificato. Nell’articolo, a firma di Jim Yardley e Binyamin Appelbaum, si rileva che Francesco, nel muovere dure accuse agli eccessi del capitalismo e alla sfrenata ambizione di accumulare denaro, usa un linguaggio molto forte, parlando di «sterco del diavolo». La volontà smodata di accumulare ricchezze non è altro che una «sottile dittatura» che rende schiavi. E così, tornando nella sua terra natia, il Papa — prosegue il commento sull’«International New York Times» — ha inteso porre ancora una volta l’accento sulle diseguaglianze determinate dal capitalismo, riconoscendo in esso la causa sotterranea dell’ingiustizia globale e la prima causa dei cambiamenti climatici. Anche «The Guardian», nell’edizione di lunedì 13, nota come la voce del Papa si sia alzata ancora una volta in difesa degli indigenti. Significativa, al riguardo, la sua visita, domenica 12, a Bañado Norte, una zona molto povera di Asunción, durante la quale ha ribadito un concetto chiave del suo magistero: i poveri non devono essere mai lasciati ai margini della società. Del resto, come scrive Gian Guido Vecchi sul «Corriere della Sera» sempre del 13 luglio, «è nel barrio che si capiscono a fondo le parole ripetute da Francesco in questi giorni». Sulla pagina internet del settimanale di Cracovia «Tygodnik Powszechny», infine, il padre francescano Kasper Kaproń definisce il viaggio appena concluso uno dei momenti più importanti del pontificato. E aggiunge di sentirsi particolarmente colpito dalle parole di Francesco quando individua nell’ospitalità la parola centrale della spiritualità cristiana.
a vera rivoluzione consiste in un ideale di amore che, spogliato di ogni filantropia illuministica, diventa concreto, assurgendo a difesa dei diritti di chi soffre. Di questo ideale si devono fare paladini anzitutto i giovani. Con forza e convinzione, attraverso la sua personale testimonianza, fratel Arturo Paoli — morto a San Martino in Vignale (Lucca) lunedì 13 luglio all’età di 102 anni — ha sempre perseguito tale obiettivo, nella consapevolezza che solo andando all’essen-
L
In Argentina cominciò a delineare una personale “teología comprometida” preludio all’adesione alla teologia della liberazione E stabilì un forte sodalizio con il vescovo Enrique Angelelli ziale, al di là di ogni orpello e di ogni abbellimento retorico, è possibile vedere e poi farsi specchio del volto della carità. Nel gennaio scorso Arturo era stato ricevuto da Papa Francesco, che conosceva dai tempi in cui aveva lavorato in Argentina. «Al Pontefice — raccontò — ho portato una bottiglia d’olio e un’immagine del Volto Santo, l’antico crocifisso che è simbolo dei fratelli lucchesi». Nativo di Lucca, si era laureato a Milano presso l’università cattolica del Sacro Cuore nel 1936. Aveva intanto maturato la vocazione al sacerdozio: nel 1937 entrò nel seminario di Lucca per essere ordinato presbitero tre anni dopo. Il suo ministero sacerdotale non rimase confinato all’ambito religioso: durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza, collaborando attivamente anche a sostegno degli ebrei in fuga dalla persecuzione nazifascista. Un impegno questo coronato, più tardi, nel 1999, con il titolo di Giusto tra le nazioni: aveva infatti salvato, nel 1944 a Lucca, la vita di Yacov Gerstel e di sua moglie. Dopo la guerra svolse il suo ministero a Lucca fino a quando, nel 1949, venne chiamato come vice assistente della Gioventù di Azione cattolica. Monsignor Giovanni Battista Montini ne aveva intanto intuito le grandi qualità intellettuali, ma il suo servizio nell’Azione cattolica si scontrò con i metodi del presidente nazionale Luigi Gedda. Nel 1954, assieme al gruppo dirigente allora in
servizio, venne dimesso dall’incarico, e nominato cappellano degli emigranti in Argentina. Pieno di conseguenze fu l’incontro, sulla nave che lo portava in Sud America, con Jean Saphores, un Piccolo Fratello di Gesù che Arturo assisterà in punto di morte: quell’incontro lo spingerà a entrare nella congregazione ispirata a Charles de Foucauld e fondata da René Voillaume. Una volta in Argentina, Paoli andò a vivere a Fortín Olmos, tra i boscaioli che lavoravano per una compagnia britannica del legname. Quando la compagnia abbandonò il territorio, lasciando senza lavoro la manovalanza locale, Arturo organizzò una cooperativa per permettere ai boscaioli di continuare a vivere sul posto. Ne deriveranno scontri con le autorità politiche ed economiche del luogo. Nel 1969 venne scelto come superiore regionale della comunità latinoamericana dei Piccoli Fratelli e si trasferì vicino Buenos Aires. Qui, nel clima del post-concilio, a contatto con i novizi della fraternità inseriti in un quartiere popolare, Arturo cominciò a delineare una personale teología comprometida, preludio all’adesione alla teologia della liberazione. E nel 1971 si trasferì a Suriyaco, nella diocesi di La Rioja, una zona poverissima, dove, oltre a proseguire nella formazione dei novizi, iniziò il suo sodalizio con il vescovo Enrique Angelelli — la voce più coraggiosa della Chiesa argentina negli anni della dittatura militare — di cui diventerà consigliere teologico. In Argentina, il clima politico dell’epoca non risparmiò Arturo: accusato di essere un trafficante di armi con il Cile, verrà inserito in una lista di persone da eliminare, su un manifesto affisso lungo tutte le strade di Santiago. Al momento di questo bando, Arturo si trovava in Venezuela: gli amici lo avvertirono allora di non rientrare in Argentina perché ricercato. Vi tornerà solo nel 1985. In Venezuela si stabilì prima a Monte Carmelo, poi alla periferia di Caracas: al la-
voro di formazione religiosa dei novizi cominciò a unire una intensa attività saggistica. La sua azione sarà incisiva anche in Brasile: molto prezioso risulterà negli anni Ottanta il suo contributo anzitutto a favore della promozione sociale delle donne. Nel 1987 si trasferì a Foz do Iguaçu, dove costituì una comunità — poi sostenuta dall’associazione Fraternità e Alleanza — impegnata a tutelare i diritti degli emarginati. Intanto, però, la missione di Paoli investirà anche l’Italia, dove rientra periodicamente a partire dagli anni Ottanta. In giro per il Paese, terrà numerose conferenze su tematiche sia religiose che politiche. Il 3 dicembre 2011 viene inaugurato, in sua presenza, il Fondo documentazione Arturo Paoli, con sede a Lucca: una vasta raccolta di immagini, video e scritti che ben esprime il senso di una missione spesa a servizio del prossimo bisognoso. Un’altra data importante è quella del 25 aprile 2006, quando riceve, dalle mani del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la medaglia d’oro al valore civile (conferita anche ad altri tre sacerdoti lucchesi). La motivazione del riconoscimento sta nell’impegno profuso nel salvare la vita a circa ottocento cittadini ebrei perseguitati dai nazifascisti. I funerali di Arturo Paoli, come comunicato dall’arcivescovo di Lucca, monsignor Italo Castellani, si terranno, nel pomeriggio di mercoledì 15, nella chiesa cattedrale. Sarà sepolto, in conformità alla sua volontà, nel piccolo cimitero di San Martino in Vignale.
Nuova biografia di Giovanna d’Arco
Una e non centomila A forza di celebrarla, o di denigrarla, si corre il rischio di perdere di vista l’obiettiva grandezza di Giovanna d’Arco: occorre dunque sfrondare gli eccessi per «non mandarla al rogo una seconda volta». Nasce da questo intento il libro Joan of Arc: A History di Helen Castor (New York, Harper Collins, 2015, pagine 328, dollari 28). Positiva o negativa che sia la fama — scrive l’autrice — è il peggiore dei parassiti, perché con il tempo logora la sua vittima, fino a ridurla a un guscio vuoto. E nel caso di Giovanna, un tale esito sarebbe quanto mai iniquo, come il verdetto comminatole alla fine del processo. Castor osserva che il collocarla sul piedistallo come eroina e patrona di Francia e quale perfetto modello di virtù, senza macchia e senza paura, ha innescato un’accanita, nonché calunniosa, controffensiva. E così «la Pulzella d’Orléans» ha finito per assumere — parafrasando Pirandello — molteplici e fuorvianti identità. Beatificata nel 1909 da Pio X e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna — che durante la guerra dei cent’anni contribuì a risollevare le sorti del proprio Paese guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi — è stata esposta al pubblico ludibrio da nomi illustri. Vol-
taire, nel poema satirico La pulzella d’Orléans, ne ridicolizzò la figura, affibbiandole i tratti della ragazza di facili costumi. In precedenza
La statua di Giovanna d’Arco a Parigi
era stato Shakespeare a metterla alla berlina nell’ultimo atto dell’Enrico VI, consegnandola ai posteri come «strega e meretrice». A Voltaire avrebbe poi replicato, in una tragedia dai toni graffianti, Friedrich Schiller, che di Giovanna esaltò in particolare l’inesauribile amor di patria. Durante il Romanticismo, repubblicani e monarchici fecero a gara per appropriarsi, per fini propagandistici, delle gesta della fanciulla. E, in tempi più recenti, nel 1939, fu Paul Claudel a tessere l’elogio della Pulzella, specchio in cui si possono ammirare i talenti della fede cristiana. Oltre a rivisitarne le diverse “identità”, l’autrice ricorda di Giovanna meriti finiti nell’oblio: bandì dall’esercito ogni forma di violenza e il saccheggio, vietò che i soldati bestemmiassero e impose loro di confessarsi. Non solo: fece riunire intorno allo stendardo l’esercito in preghiera almeno due volte al giorno. E pochi ricordano che la pulzella, già onusta di storia, morì a soli diciannove anni: prima era andata in battaglia impugnando non soltanto la spada, ma anche una bandiera bianca con raffigurato Dio benedicente il fiordaliso francese e gli arcangeli Gabriele e Michele. (gabriele nicolò)
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Appello dei cristiani canadesi al Governo
Azione rapida per il clima
Nelle parrocchie del Belgio l’impegno per un’ecologia integrale
Un movimento per la «Laudato si’» di LUCAS VAN LO OY* L’enciclica Laudato si’ conferma e incoraggia l’impegno messo in campo dalla Chiesa in Belgio. Da diversi anni, ormai, i vescovi hanno affrontato il tema dell’ecologia sollecitando un’adeguata pastorale anche nell’ambito delle parrocchie. Ne è nato il movimento Chiesa ed ecologia per la sensibilizzazione dei cristiani, giovani in particolare, sull’urgenza di cambiare stile di vita e atteggiamenti di fronte a una questione così cruciale come il surriscaldamento del pianeta e sull’uso dei beni della terra. Coscienti anche di dover evitare ogni forma di scarto. Così siamo particolarmente contenti di leggere quanto dice Papa Francesco: «Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (Laudato si’, 230). Da quando esiste questo movimento, come vescovi abbiamo istituto un premio che annualmente viene assegnato alla parrocchia che mostra di avere compiuto particolari sforzi per spingere i cristiani a raggiungere la meta di una “ecologia integrale”. Si tratta di rivedere il sistema delle fonti energetiche — riguardo l’illuminazione o il carburante — di usare prodotti dei Paesi
in via di sviluppo e di promuovere uno stile di vita più sobrio. L’anno scorso abbiamo premiato una comunità che aveva cambiato il sistema di riscaldamento e di illuminazione nella chiesa parrocchiale. Sotto lo slogan di «Il clima cambia anche me» si cerca di giungere a un mutamento di mentalità, nella logica della condivisione. Certo, non è facile resistere alla tentazione di acquistare sempre nuove cose, pur riconoscendo di non averne effettivamente estrema necessità. Spesso si raggiungono risultati più positivi incoraggiando chi fa delle scelte più in linea con la preoccupazione per il bene comune. Il movimento apre gli occhi delle persone alle necessità di una vita sobria. Ci rendiamo conto che i più sensibili al tema sono proprio i giovani. Grazie anche al contributo di altri movimenti, spesso protagonisti di proteste organizzate in occasione di grandi eventi internazionali, i giovani sono infatti coloro più hanno a cuore la salute del pianeta e si dimostrano coscienti che si debba preparare un futuro positivo per le persone e per la natura. Non è più possibile, infatti, andare avanti pensando che non ci siano limiti allo sfruttamento delle risorse naturali. Cresce così una coscienza del valore delle cose e della creazione stessa. Molti
giovani, pur non praticando nessun credo religioso, scoprono l’esistenza di un unico Creatore attraverso il nostro movimento. Così, lo slogan «Il clima cambia anche me» ha aperto certe porte anche del mondo politico, sicuri che sono proprio i politici coloro che hanno il potere di fare cambiare rotta al pianeta. Come afferma Papa Francesco, è difficile convincerli di dare la priorità al bene comune. Mettere al centro le persone e non le risorse, meno ancora il proprio profitto economico o finanziario è quanto il nostro movimento chiede ai politici (cfr. Laudato si’, 178). Alcune organizzazioni si sentono incoraggiate nel loro impegno. Nelle famiglie i bambini imparano a vivere sobriamente e man mano diminuisce la paura di cambiare stile di vita. Il movimento Chiesa ed ecologia cerca di insegnare ai cristiani in primo luogo di riconoscere la bontà della creazione e la necessità della solidarietà dell’uomo con il prossimo e con la natura. Più il movimento cresce e più si vede aumentare nella gente la speranza di un futuro positivo. Scoprono la bellezza della natura, l’armonia del creato e il mistero della vita. *Vescovo di Gent e presidente di Caritas Europa
TORONTO, 13. Un’azione rapida in risposta agli effetti del riscaldamento globale sulle coste canadesi e nella regione artica è stata chiesta ai leader politici dai movimenti cristiani. Nei giorni scorsi, circa diecimila persone, appartenenti a parrocchie e gruppi religiosi differenti, hanno percorso a piedi il centro di Toronto per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi climatici. Leader delle comunità indigene e operatori sanitari si sono uniti agli ambientalisti per richiamare l’attenzione sulla necessità di una giustizia climatica e su un’economia basata sull’energia pulita in Canada. «Questa è la sfida morale e spirituale dei nostri tempi», ha affermato Mardi Tindal, coordinatrice della United Church of Canada (membro del World Council of Churches, Wcc), aggiungendo che «i cristiani devono testimoniare che siamo tutti sulla stessa barca». Tindal, nota per la sua azione in difesa dell’ambiente, ritiene che la situazione sia tale da rendere indispensabile un’azione urgente. «Per garantire la vita del pianeta — ha spiegato — tutti dobbiamo avere l’ambizione di ridurre le emissioni di gas serra, così pure di impedire alle temperature globali di salire fino al punto di compromettere ulteriormente la vita, compresa la capacità degli oceani di produrre ossigeno». Una delle preoccupazioni principali per il Canada è l’impatto dei cambiamenti climatici sulle popolazioni indigene del Paese. Tindal ha infatti osservato che «molte delle popolazioni autoctone vivono lungo le coste o nel nord del Paese, dove l’impatto del riscaldamento globale si fa già sentire attraverso lo scioglimento del permafrost, la riduzione e scomparsa dei ghiacciai e le condizioni meteorologiche estreme». La coordinatrice della United Church of Canada è grata a Papa Francesco per aver posto l’accetto sulla necessità di un cambiamento dei cuori al fine di garantire l’adozione di misure efficaci per prevenire un ulteriore riscaldamento globale. «Gli scienziati spesso mi dicono che la gente di fede parla ai cuori
ed è solo attraverso il cuore cambiato che possiamo rispondere a questa sfida». Dopo la marcia, un gruppo di 150 rappresentanti religiosi, tra cui buddisti, musulmani, ebrei e cristiani, si sono riuniti in una moschea per condividere il pasto che segna la fine del digiuno quotidiano del ramadan. All’incontro ha preso parte anche il ministro provinciale dell’ambiente canadese, Glen Murray, che ha ospitato a Toronto il vertice sul clima delle Americhe. L’evento ha coinvolto diverse centinaia di rappresentanti delle giurisdizioni subnazionali (Stati, provincie, municipalità) che
hanno discusso su come collaborare insieme per ridurre le emissioni di gas serra e rafforzare la cooperazione in vista della Conferenza di Parigi Cop21. L’appuntamento di Toronto ha avuto come obiettivo il raggiungimento di una posizione comune sulla riduzione delle emissioni di gas serra. In un comunicato, Murray ha detto che i leader governativi, industriali e ambientali che hanno partecipato alla manifestazione dimostreranno in futuro come «la collaborazione e la leadership possono dare vita a un pianeta più sano e a una maggiore prosperità economica».
Il cardinale vescovo di Hong Kong sulla conferenza di Parigi
Più fatti meno parole HONG KONG, 13. «Speriamo che si vada oltre le parole. È il momento di parlare meno e agire di più. Se lavoriamo tutti insieme su questi temi così importanti, miglioreranno anche le relazioni internazionali»: parlando sul settimanale diocesano «Sunday Examiner» — citato da AsiaNews — della prossima conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico organizzata dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi, il vescovo di Hong Kong, cardinale John Tong Hon, invita tutte le persone di buona volontà ad «apprezzare, ammirare e curare in maniera responsabile i doni che Dio ci ha dato». Il porporato — che non ha nascosto le perplessità sulla reale volontà della comunità internazionale di risolvere il problema — si è soffermato sull’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, definita una risposta al consumismo e allo sviluppo irresponsabile, che a loro volta portano degrado ambientale
e cambiamenti climatici. Tutti, ha detto Tong Hon, possono «essere parte della soluzione alle sfide che il mondo contemporaneo deve affrontare. Il Pontefice ha abbracciato in pieno lo spirito di san Francesco, mettendo in luce l’interdipendenza fra l’umanità e la creazione di Dio». Per questo la Chiesa di Hong Kong «dà il benvenuto all’enciclica. È facile per noi vedere quanto sia pertinente e come risponda alle urgenze del nostro tempo. Incoraggio tutti a leggerla, dato che si può trovare sia online sia in formato cartaceo». Ma l’impegno dei cattolici che vivono nell’ex colonia britannica non si fermerà alla semplice lettura del testo: il cardinale chiederà al vescovo ausiliare Joseph Ha Chishing di guidare una commissione creata ad hoc, che avrà la responsabilità di individuare i bisogni più urgenti della comunità e pianificare la risposta della diocesi ai problemi indicati nella Laudato si’.
La conferenza degli Avventisti del settimo giorno respinge la proposta sull’ordinazione delle donne al ministero del vangelo
Concluso a York il sinodo generale della Church of England
Fedeli ai precetti biblici
Leadership e rispetto per l’ambiente
di RICCARD O BURIGANA «Sorgi! Risplendi! Gesù ritorna!» è stato il tema della sessantesima conferenza generale degli Avventisti del settimo giorno che si è svolta a San Antonio, in Texas, dal 2 all’11 luglio. Vi hanno preso parte oltre duemilacinquecento delegati in rappresentanza dei circa diciotto milioni di avventisti nel mondo, ma si calcola che siano state almeno sessantamila le persone giunte a San Antonio per seguire i lavori dell’assemblea, che si riunisce ogni cinque anni. Sono stati eletti gli organismi direttivi a livello mondiale e delle tredici divisioni nelle quali è organizzata la comunità avventista del settimo giorno. Alla presidenza è stato riconfermato il pastore statunitense Ted Wilson, che ricopre questo incarico
† L’arcivescovo di Lucca monsignor Italo Castellani unitamente al suo presbiterio e ai fedeli laici della diocesi annuncia il pasquale transito di
fratel
ARTURO PAOLI sacerdote e piccolo fratello del Vangelo Nella fede della luce del Risorto affidiamo questo straordinario testimone del Vangelo al suo Signore, che ha sempre cercato e nell’incontro con “l’Amico” porti a compimento tutte le emozioni e gli straordinari impegni della sua lunga vita. L’Eucaristia con il rito delle esequie si terrà mercoledì 15 luglio alle ore 18 nella chiesa Cattedrale di Lucca.
dal 2010. Nel messaggio alla conferenza, Wilson ha posto l’accento sulla centralità di Cristo e della sua giustizia nella vita quotidiana: le comunità avventiste, ha spiegato, devono vivere «nella fedeltà alla Parola, al messaggio, alla chiamata che Dio ha rivolto alla Chiesa». Il pastore ha anche ricordato quanto sia importante «il coinvolgimento totale dei membri nella predicazione del Vangelo e del messaggio di salvezza». A San Antonio, dove per la prima volta i delegati hanno fatto ricorso al voto elettronico mandando in pensione le schede cartacee, c’è stata una puntuale revisione del testo delle ventotto dottrine fondamentali della comunità, approvate nel 1980 e da allora non più modificate, se non con l’inserimento di un passo nel 2005. Dopo due giorni di dibattito, nel quale sono state esaminate le proposte emerse in quattro anni di confronto a livello locale, si è giunti all’introduzione di alcuni cambiamenti, non semplicemente testuali, come nella parte su matrimonio e famiglia. La parola «partner» è stata cambiata con «un uomo e una donna» in modo da sottolineare, ancora una volta, il fatto che gli avventisti del settimo giorno (che osservano il sabato come giorno di riposo settimanale e per il culto) desiderano rimanere fedeli al concetto biblico di matrimonio, nonostante i cambiamenti avvenuti nella cultura contemporanea. Con questa revisione si è voluto introdurre un linguaggio più chiaro e formulazioni più facilmente traducibili dall’inglese. Si è cercato di aggiornare la terminologia, di chiarire i passi che non definivano con sufficiente chiarezza la posizione della Chiesa avventista, di affrontare nuove situazioni sulle quali appariva necessario un chiarimento alla luce del-
le nuove posizioni di alcune tradizioni cristiane. Su alcuni temi, come quello relativo alla creazione, si è voluta porre un’enfasi maggiore rispetto alle dichiarazioni precedenti. Inoltre si è cercato di cambiare o di aggiungere nuovi criteri in modo da riaffermare i punti essenziali e irrinunciabili del movimento. In assemblea si è discusso del rilancio dell’evangelizzazione, indicando anche la necessità di un maggiore coinvolgimento dei giovani. In numerosi interventi poi è stata espressa solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati nel mondo a causa della loro fede, confermando l’impegno a favore della libertà religiosa, laddove questa viene negata. Fra i temi in agenda il più atteso era quello dell’ordinazione delle donne al ministero del Vangelo, giunto in assemblea dopo che ciascuna delle tredici divisioni aveva formulato le proprie proposte alla luce di una puntuale analisi della situazione e delle prospettive pastorali. L’8 luglio, al termine di una giornata caratterizzata da un animato confronto, gli avventisti del settimo giorno hanno deliberato a maggioranza (1381 no, 977 sì, cinque astenuti) di non concedere la libertà di scegliere
se procedere o meno alla consacrazione delle donne. Il voto chiude una discussione cominciata nel 2010 e riflette soprattutto la scelta delle delegazioni dell’America centrale e dell’Africa. Wilson si era schierato per il no, invitando i partecipanti a una seria riflessione sull’argomento, mentre Jan Paulsen, presidente del movimento dal 1999 al 2010, si era schierato per il sì, esprimendo timori per il futuro della comunità nel caso non avesse dato il via libera su tale questione. Adesso c’è il rischio di una scissione, come osserva sul quotidiano «la Croix» Jean-Paul Barquon, delegato dell’Unione delle federazioni avventiste di Francia e Belgio, poiché «già ci sono due unioni di Chiese, una delle quali nei Paesi nordici, che praticano ordinazioni di donne e non tengono conto del parere della conferenza generale». Il movimento avventista del settimo giorno è stato fondato negli Stati Uniti nel maggio del 1863. La struttura ecclesiale è unificata nella dottrina, nei regolamenti, nel funzionamento e nella missione, ma decentralizzata nell’attuazione delle competenze, delle decisioni e delle strategie di evangelizzazione.
YORK, 13. «Siamo impegnati a coltivare la vocazione dell’intero popolo di Dio, a prescindere dalla sessualità e indipendentemente dal fatto che si parli di laici o di ordinati». È quanto ha dichiarato l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, durante i lavori del sinodo della Church of England, che si è concluso oggi, lunedì, a York. Si è trattato dell’ultimo incontro prima delle elezioni per il nuovo sinodo generale della Comunione anglicana che si svolgeranno tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Tra i temi all’ordine del giorno — precedute dal discorso di benvenuto dell’arcivescovo di York, John Sentamu, e da un sermone di Justin Welby — quelli legati a questioni ambientali, con particolare attenzione al prossimo vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Parigi (Cop21) e le politiche di disinvestimento nei combustibili fossili da parte degli organismi che fanno capo alla Comunione anglicana. L’arcivescovo di Canterbury si è complimentato per la relazione «Senior Church Leadership: a resource for reflection» presentata dalla commissione Faith and order sull’importanza della leadership all’interno della Comunione anglicana. «Tutti dovremmo essere molto grati alla commissione per il lavoro fin qui svolto. Noi ereditiamo modelli di leadership che sono stati per secoli autoritari, ignorando i poveri e i senza voce». Ma adesso la questione è diversa, ha ricordato Welby, occorre «ridefinire i ruoli di leadership in un modello che piaccia veramente a Cristo». Durante i lavori, i partecipanti hanno avuto anche una serie di
opportunità, attraverso incontri e dibattiti, per assumere un maggiore impegno nel programma di riforma e di rinnovamento della comunità: un argomento che è stato lungamente discusso e che è attualmente oggetto di consultazioni diffuse all’interno della Comunione anglicana. Il sinodo, inoltre, ha approvato la «Safeguarding and Clergy Discipline Measure and the Associated Amending Canon» (“misura per la salvaguardia e la disciplina del clero”) che rafforzerà nei prossimi anni il quadro giuridico della Church of England in materia di salvaguardia e renderà i propri processi disciplinari più efficaci e agili nei confronti del clero. Tra i cambiamenti previsti dalla riforma, vi sarà una maggiore facilità di sospendere i propri membri o di esporre denuncia nei loro confronti laddove di verifichino casi di abusi. Ciò permetterà anche ai vescovi di avviare perizie e indagini interne nei confronti degli accusati. I lavori del sinodo anglicano sono stati anche caratterizzati da un dibattito su una mozione del sinodo diocesano presentata dall’ex diocesi di Wakefield (che adesso fa parte della nuova diocesi di West Yorkshire and the Dales) sulla natura e sulla struttura della Church of England. A questo è seguita un’ampia relazione del comitato per la salvaguardia delle minoranze etniche sui progressi compiuti nel corso degli ultimi quattro anni nel favorire la loro partecipazione e il loro inserimento nei gruppi di lavoro e nel ministero della Comunione anglicana.
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L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 luglio 2015
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Con i rappresentanti della società civile paraguaiana il Papa rievoca l’esperienza storica delle Riduzioni
Una società più umana è possibile E ricorda che la corruzione è la cancrena di un popolo Uno dei momenti centrali della penultima giornata di Papa Francesco in Paraguay è stato l’incontro con i rappresentanti della società civile. Sabato pomeriggio, 11 luglio, nel palazzetto dello sport León Condou, ad Asunción, si sono riuniti esponenti del mondo della scuola e dell’università, dell’arte, della cultura, dell’imprenditoria, del lavoro, ai quali il Pontefice ha rivolto il discorso che pubblichiamo in una traduzione italiana. Buon pomeriggio! Io ho scritto questo testo in base alle domande che mi sono arrivate e che non sono tutte quelle che avete fatto voi, e così quello che manca lo completerò mentre parlo. In modo che, per quanto possibile, riesca a dare il mio pensiero sulle vostre riflessioni. Sono contento di trovarmi con voi, rappresentanti della società civile, per condividere i sogni e gli ideali di un futuro migliore, e i problemi. Ringrazio
Mons. Adalberto Martínez Flores, Segretario della Conferenza Episcopale del Paraguay, per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di tutti. E ringrazio le sei persone che hanno parlato, presentando ciascuna un aspetto della vostra riflessione. Vedervi tutti, ciascuno proveniente da un settore, da un’organizzazione di questa amata società paraguaiana, con le sue gioie, preoccupazioni, lotte e ricerche, mi porta a compiere un rendimento di grazie a Dio. Ossia, sembra che il Paraguay non sia morto, grazie a Dio. Perché un popolo che non mantiene vive le sue preoccupazioni, un popolo che vive nell’inerzia dell’accettazione passiva, è un popolo morto. Al contrario, vedo in voi la linfa di una vita che scorre e che vuole germinare. Questo sempre Dio lo benedice. Dio è sempre a favore di tutto ciò che aiuta a sollevare, a migliorare la vita dei suoi figli. Ci sono cose che vanno male, sì. Ci sono situazioni ingiuste, sì. Ma vedervi e sentirvi mi aiuta a rinnovare la speranza nel Signore, che continua ad agire in mezzo al suo popolo. Voi venite da diverse visioni, diverse situazioni e vari percorsi di ricerca, tutti insieme formate la cultura paraguaiana. Tutti siete necessari nella ricerca del bene comune. «Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate» (Enc. Laudato si’, 158), vedervi qui è un dono. È un dono perché
Cinque domande Cinque domande sono state rivolte a Papa Francesco durante l’incontro con i rappresentanti della società civile. Il primo a parlare è stato un giovane cattolico, Gabriel Rejala, il quale ha sottolineato come la società paraguayana sia segnata da fenomeni come la diseguaglianza sociale, la debolezza delle istituzioni, la povertà, la corruzione. Allo stesso tempo, ha fatto notare, la gente gode di piene libertà pubbliche, con un processo democratico in rafforzamento e con una gioventù che emerge con forza. Il giovane ha chiesto al Papa cosa significhi far regnare la fraternità, la giustizia, la pace e la dignità per tutti. A intervenire, poi, due indigeni — Juan Servin e Magdaleno Aponte — i quali hanno parlato di una cultura che privilegia il dialogo come forma di incontro, la ricerca dei consensi e di accordi senza separarli dalla preoccupazione per una società giusta e senza esclusioni. Hanno chiesto al Papa come sia possibile generare questa cultura e avanzare in un progetto di nazione che non sia per pochi privilegiati, ma che rifletta un sentimento collettivo, frutto di accordi e di un vero patto sociale e culturale. La terza testimonianza è stata quella di una contadina, Maria Ester Leiva, la quale ha affermato che la Chiesa cattolica fa propria il grido di inclusione sociale dei poveri. Ciò significa risolvere le cause strutturali che provocano la po-
vertà e promuovere lo sviluppo integrale. Ha chiesto al Papa quali sfide e quali impegni comporta per i dirigenti l’impegno per conseguire il bene comune quale collante per una pace sociale duratura e feconda. Il quarto intervento è stato quello dell’imprenditrice Carmen Cosp, la quale ha sottolineato come la crescita equa esiga qualcosa di più che la crescita economica. Il Paraguay, ha aggiunto, comparato ad altri Paesi della regione, ha ottenuto importanti indici di crescita economica negli ultimi anni, ma di questa prosperità non ha beneficiato la qualità di vita di tutti gli abitanti. Al Papa ha domandato se questo sia solo un problema di politiche economiche inadeguate o un affare più complesso, e gli ha chiesto quale sia la via da intraprendere per assumere l’impegno di generare una crescita con equità. L’ultima testimonianza è stata quella di José Molinas, ministro della Pianificazione, il quale si è fatto portavoce dei paraguayani nell’esprimere la riconoscenza per la presenza del Papa. Il ministro ha chiesto di indicare quale spazio è chiamato a occupare il Paraguay, e il ruolo che, nonostante i limiti, potrebbe avere nel concerto delle nazioni, domandando in particolare in che modo potrebbe contribuire alle iniziative che dal Vaticano vengono promosse per il bene comune in tutti i popoli del mondo.
nelle persone che hanno parlato ho visto la volontà per il bene della patria. In riferimento alla prima domanda, mi è piaciuto sentire dalla bocca di un giovane la preoccupazione di far sì che la società sia un luogo di fraternità, di giustizia, di pace e dignità per tutti. La giovinezza è tempo di grandi ideali. A me viene spesso da dire che mi rattrista vedere un giovane pensionato. Quanto è importante che voi giovani — ed eccome se ci sono giovani qui in Paraguay! — che voi giovani comprendiate che la vera felicità passa attraverso la lotta per un Paese fraterno. Ed è bene che voi giovani notiate che la felicità e il piacere non sono sinonimi. Una cosa è la felicità e la gioia... e altra cosa è un piacere passeggero. La felicità costruisce, è solida, edifica. La felicità richiede impegno e dedizione. Voi siete molto preziosi per camminare nella vita come “anestetizzati”! Il Paraguay ha un’abbondante popolazione giovane ed è una grande ricchezza. Per questo motivo, penso che la prima cosa da fare è evitare che questa forza, questa luce che c’è nei vostri cuori si spenga, e contrastare la crescente mentalità che considera inutile e assurdo aspirare a cose che valgono la pena: «No... lascia perdere... su questo non c’è niente da fare...». Invece, la mentalità che cerca di andare oltre è considerata come assurda. Giocarsela per qualcosa, giocarsela per qualcuno. Questa è la vocazione della gioventù! E non abbiate paura di dare tutto in campo. Giocate pulito, giocate mettendocela tutta. Non abbiate paura di dare il meglio di voi. Non cercate gli accordi previ per evitare la fatica, la lotta. Non corrompete l’arbitro! Questo sì, questa lotta, non fatela da soli. Cercate di discutere, approfittate per ascoltare la vita, le storie, i racconti delle persone anziane e dei vostri nonni, perché lì c’è sapienza. Perdete molto tempo ad ascoltare tutte le cose buone che hanno da insegnarvi. Essi sono i custodi di quel patrimonio spirituale di fede e di valori che plasmano un popolo e rischiarano la strada. Trovate consolazione anche nella forza della preghiera, in Gesù. Nella sua presenza quotidiana e costante. Lui non delude. Gesù invita attraverso la memoria del vostro popolo, è il segreto perché il vostro cuore si mantenga sempre gioioso nella ricerca della fraternità, della giustizia, della pace e della dignità per tutti. Perché questo può essere un pericolo: «Sì, sì, io voglio fraternità, giustizia, pace, dignità...», però può diventare un nominalismo. Semplici parole. No. La fraternità, la giustizia, la pace, la dignità o sono concrete o non servono. Sono di tutti i giorni. Si fanno tutti i giorni. Dunque, io chiedo a te, giovane: come questi ideali li costruisci giorno per giorno, nel concreto? Anche se sbagli, ti correggi e vai avanti; ma la concretezza. Vi confesso che a volte mi dà un po’ fastidio, o per dirlo in termini non così fini, un po’ il “cimurro”, ascoltare discorsi magniloquenti con tutte queste parole e quando uno conosce la persona che parla dice: Che bugiardo che sei! Per questo le parole da sole non servono. Se dici una parola, impegnati per quella parola! Lavoraci giorno per giorno, giorno per giorno. Sacrificati per quello. Impegnati! Mi è piaciuta la poesia di Carlos Miguel Giménez, che Mons. Adalberto Martínez ha citato. Penso che riassuma bene quello che volevo dirvi: «[Sogno] un paradiso senza guerra tra fratelli, ricco di uomini sani di anima e cuore... e un Dio che benedice la sua nuova ascensione». Sì, è un sogno. E ci sono due garanzie: che il sogno al risveglio sia realtà di tutti i giorni, e che Dio sia riconosciuto come la garanzia della nostra dignità come uomini. Sì, Dio è la garanzia della nostra dignità di uomini. La seconda domanda si riferiva al dialogo come mezzo per costruire un progetto di nazione che includa tutti. Il dialogo non è facile. C’è anche il dialogo-teatro, cioè rappresentiamo il dialogo, giochiamo al dialogo, e poi parliamo tra noi due, e quello rimane cancellato. Il dialogo è a carte scoperte. Se tu nel dialogo non dici realmente ciò che senti, ciò che pensi, e non ti impegni ad ascoltare l’altro e a correggere quello che pensi tu e a confrontarti, il dialogo non serve, è una verniciatura. Certo, è vero, che il dialogo non è facile, bisogna superare molte difficoltà e, a volte, sembra che noi ci impuntiamo a rendere le cose ancora più difficili. Perché ci sia dialogo è necessaria una base fondamentale, un’identità. Certo. Per esempio, io penso al dialogo nostro, il dialogo interreligioso, dove parliamo tra rappre-
sentanti di diverse religioni. Ci riuniamo, a volte, per parlare... con i punti di vista, ma ciascuno parla a partire dalla propria identità. «Io sono buddista, io sono evangelico, io sono ortodosso, io sono cattolico». Ciascuno si esprime, con la propria identità. Non negozia la propria identità. Vale a dire, perché ci sia dialogo è necessaria questa base fondamentale. E qual è l’identità in un Paese? Qui stiamo parlando del dialogo sociale. L’amore per la patria? Prima la patria, poi i miei affari! Prima la patria. Questa è l’identità. Dunque io, a partire da questa identità, mi metto a dialogare. Se io mi metto a dialogare senza questa identità, il dialogo non serve. Inoltre, il dialogo presuppone, esige da noi la ricerca della cultura dell’incontro. Un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona, è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci rende automi, La ricchezza della vita sta nella diversità. Per cui il punto di partenza non può essere: «Mi metto a dialogare, però quello sbaglia». No, no, non possiamo presupporre che l’altro sbaglia. Io vado con il mio e ascolterò che cosa dice l’altro, in che cosa mi arricchisce l’altro, in che cosa l’altro mi fa rendere conto che sto sbagliando, e che cosa posso dare io all’altro. È un dare e ricevere, dare e ricevere, ma con il cuore aperto. Se c’è il presupposto che l’altro si sbaglia, è meglio andare a casa e non iniziare il dialogo. Non è così? Il dialogo è per il bene co-
mune, e il bene comune si cerca a partire dalle nostre differenze, dando sempre la possibilità a nuove alternative. Vale a dire: cerca qualcosa di nuovo. Sempre, quando c’è vero dialogo, si finisce — permettetemi la parola, lo dico nobilmente — in un nuovo accordo, dove tutti ci siamo messi d’accordo su qualcosa. Ci sono differenze? Rimangono in disparte, di riserva. Ma su quel punto, o su quei punti su cui ci siamo messi d’accordo, ci impegniamo e li difendiamo. È un passo avanti. Questa è la cultura dell’incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta”. Vediamo come prendo la mia. No, non dialoghi, non perder tempo. Se vai con questa intenzione non perdere tempo. È cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare a una soluzione migliore per tutti. Molte volte questa cultura dell’incontro si vede coinvolta nel conflitto. Cioè... Abbiamo appena visto un bel balletto. Tutto era coordinato, con un’orchestra che era una vera sinfonia di accordi. Tutto era perfetto. Tutto andava bene. Ma nel dialogo non sempre è così, non tutto è un balletto perfetto o un’orchestra sintonizzata. Nel dialogo si dà il conflitto. È logico e prevedibile. Perché se io penso in un modo e tu in un altro, e ci confrontiamo, si viene a creare un conflitto. Non dobbiamo temerlo! Non dobbiamo ignorare il conflitto. Al contrario, siamo invitati ad accettare il conflitto. Se non accettiamo il
conflitto — «No, mi viene il mal di testa! Che lui vada a casa con la sua idea, e io rimango con la mia» — non possiamo mai dialogare. Questo significa: «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 227). Ci mettiamo a dialogare, c’è un conflitto, lo accetto, lo risolvo ed è un anello di un nuovo processo. È un principio che ci deve aiutare molto. «L’unità è superiore al conflitto» (ibid. 228). Il conflitto esiste. Bisogna accettarlo, bisogna cercare di risolverlo fin dove si può, ma con la prospettiva di raggiungere un’unità che non è uniformità, ma unità nella diversità. Un’unità che non rompe le differenze, ma che le vive in comunione attraverso la solidarietà e la comprensione. Cercando di capire le ragioni dell’altro, cercando di ascoltare la sua esperienza, i suoi desideri, possiamo vedere che in gran parte sono aspirazioni comuni. E questa è la base dell’incontro: siamo tutti fratelli, figli dello stesso Padre, di un Padre celeste, e ciascuno con la propria cultura, la propria lingua, le proprie tradizioni, ha molto da offrire alla comunità. Ora, sono disposto ad accettare questo? Se sono disposto ad accettarlo, e a dialogare così, allora mi siedo a dialogare; se non sono disposto, meglio non perdere tempo. Le autentiche culture non sono mai chiuse in sé stesse — muoiono, se si chiudono in sé stesse muoiono — ma
sono chiamate ad incontrarsi con altre culture e creare nuove realtà. Quando studiamo la storia troviamo culture millenarie che adesso non ci sono più. Sono morte, per molte ragioni. Ma una di queste è l’essersi chiuse in sé stesse. Senza questo presupposto essenziale, senza questa base di fraternità sarà molto difficile giungere al dialogo. Se qualcuno considera che ci sono persone, culture, situazioni di seconda, terza o quarta categoria...
qualcosa di sicuro andrà male, perché manca semplicemente il minimo, che è il riconoscimento della dignità dell’altro. Che non ci sono persone di prima, di seconda, di terza, di quarta categoria: sono allo stesso livello. E questo mi dà lo spunto per rispondere all’inquietudine espressa nella terza domanda: accogliere il grido dei poveri per costruire una società più inclusiva. È curioso: l’egoista si esclude. Noi vogliamo includere. Ricordate la parabola del figlio prodigo: quel figlio che domandò l’eredità al padre, si prese tutti i soldi, li sprecò
nella bella vita, e alla fine di un lungo tempo in cui aveva perso tutto, poiché aveva mal di stomaco per la fame, si ricordò di suo padre. E suo padre lo aspettava. È la figura di Dio, che ci aspetta sempre. E quando lo vede venire, lo abbraccia e fa festa. Invece, l’altro figlio, quello che era rimasto a casa, si arrabbia e si autoesclude: «Io con questa gente non mi metto, io mi sono comportato bene... Io ho una gran cultura, ho studiato
Regole nuove Più di 2600 rappresentanti di istituzioni, associazioni, sindacati, lavoratori del mondo della cultura, intellettuali, accademici, gruppi di indigeni e contadini proveniente da tutto il territorio del Paraguay: li ha presentati a Papa Francesco monsignor Adalberto Martínez Flores, segretario della Conferenza episcopale nazionale, all’inizio dell’incontro. Il presule ha indicato la necessità di tracciare obiettivi comuni per tutta la nazione, fissando mete a livello nazionale, stabilendo consensi su un’agenda del Paese e impegnandosi per conseguire le tra-
sformazioni strutturali e culturali che «sono imprescindibili per rendere possibile la patria sognata, come cantava il poeta Carlos Miguel Giménez». Il Paraguay, ha aggiunto, ha bisogno con urgenza di fortificare il tessuto sociale e morale della nazione, anche per costruire e rafforzare la pace sociale. Il vescovo ha sottolineato l’importanza di stabilire come regola metodologica la cultura dell’incontro e del dialogo per lavorare insieme per un Paese migliore, più solidale e più equo.
nella tale università, appartengo a questa famiglia e a questa stirpe, e con questi non mi mischio...». Non escludere nessuno, ma non autoescludersi, perché tutti abbiamo bisogno di tutti. E un aspetto fondamentale per promuovere i poveri è anche nel modo in cui li vediamo. Non serve uno sguardo ideologico, che finisce per utilizzare i poveri al servizio di altri interessi politici o personali (cfr. ibid., 199). Le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo. Per questo, osservate nel secolo passato, che fine hanno fatto le ideologie? Sono diventate dittature, sempre. Pensano per il popolo, non lasciano pensare il popolo. O come diceva quell’acuto critico dell’ideologia, quando gli dissero: «Sì, però questa gente ha buona volontà e cerca di fare delle cose per il popolo...». «Sì, sì, tutto per il popolo, ma niente con il popolo!». Queste sono le ideologie. Per ricercare effettivamente il bene dei poveri, la prima cosa è avere una vera preoccupazione per la loro persona, apprezzarli per la loro bontà. Ma un reale apprezzamento richiede di essere disposti a imparare dai poveri. I poveri hanno molto da insegnarci in umanità, in bontà, in sacrificio, in solidarietà. E noi cristiani abbiamo inoltre un motivo in più per amare e servire i poveri: perché in loro abbiamo il volto, vediamo il volto e la carne di Cristo, che si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr. 2 Cor 8, 9). I poveri sono la carne di Cristo. A me piace chiedere a qualcuno, quando confesso le persone — adesso non ho molte opportunità di confessare come avevo nella diocesi precedente — ma mi piace domandare: «Lei aiuta la gente?» — «Sì, sì, faccio l’elemosina» — «Ah! E, mi dica, quando fa l’elemosina, Lei tocca la mano a chi fa l’elemosina, o getta la moneta e fa così?». Sono modi di fare. «Quando Lei fa quell’elemosina, guarda negli occhi la persona o guarda da un’altra parte?». Questo è disprezzare il povero. Sono i poveri. Pensiamoci bene. È uno come me. Se sta passando un brutto momento per mille ragioni — economiche, politiche, sociali o personali —, io potrei essere al suo posto e potrei stare desiderando che qualcuno mi aiuti. E oltre a desiderare che qualcuno mi aiuti, se mi trovo in quel posto ho diritto ad essere rispettato. Rispettare il povero. Non usarlo come oggetto per lavare le nostre colpe. Imparare dai poveri, con quello che dicono, con le cose che hanno, con i valori che hanno. E noi cristiani abbiamo quel motivo: che sono la carne di Gesù. Certamente, sono molto necessarie per un Paese la crescita economica e la creazione di ricchezza, e che questa arrivi a tutti i cittadini, senza che nessuno rimanga escluso. E questo è necessario. La creazione di questa ricchezza dev’essere sempre in funzione del bene comune, di tutti, e non di quello di pochi. E in questo bisogna essere molto chiari. «L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr. Es 32, 1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Le persone la cui vocazione è di aiutare lo sviluppo economico hanno il compito di assicurare che questo abbia sempre un volto umano. Lo sviluppo economico deve avere un volto umano. No all’economia senza volto! Nelle loro mani c’è la possibilità di offrire un lavoro a molte persone e dare così speranza a tante famiglie. Portare il pane a casa, offrire ai figli un tetto, offrire salute ed educazione, sono aspetti essenziali della dignità umana, e gli imprenditori, i politici, gli economisti, devo-
no lasciarsi interpellare da essi. Vi chiedo di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto. Nell’economia, nell’azienda, nella politica, la prima cosa è sempre la persona, e l’ambiente in cui vive. Giustamente il Paraguay è noto in tutto il mondo per essere stato la terra dove iniziarono le “Riduzioni”, una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia. In esse, il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’era fame, non c’era disoccupazione, né analfabetismo né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società più umana è possibile anche oggi. Voi l’avete vissuta nelle vostre radici qui. È possibile. Quando c’è amore per l’uomo, e volontà di servirlo, è possibile creare le condizioni affinché tutti abbiano accesso a beni necessari, senza che nessuno sia escluso. Cercare in ogni caso le soluzioni con il dialogo. Sulla quarta domanda, ho risposto parlando dell’economia tutta in funzione della persona e non in funzione del denaro. La signora, l’imprenditrice, parlava della poca validità di certe strade. E ne menzionava una che io avevo menzionato nella Evangelii gaudium, che è il populismo irresponsabile, non è così? E sembra che non producano effetti... E ci sono tante teorie... Come fare? Credo che in ciò che dico sull’economia dal volto umano si possa trovare l’ispirazione per rispondere a questa domanda. Sulla quinta domanda, credo che la risposta si trova intorno a ciò che ho detto quando ho parlato delle culture. Ossia, c’è una cultura illuministica, che è una cultura ed è buona e va rispettata, certo. Oggi, ad esempio, in una parte del balletto è stata suonata una musica di una cultura illuministica e buona. Ma c’è un’altra cultura, che ha il medesimo valore, che è la cultura dei popoli, dei popoli originari, delle diverse etnie. Una cultura che oserei chiamare — ma nel senso buono — una cultura popolare. I popoli hanno la loro cultura e fanno la loro cultura. È importante questo lavoro per la cultura nel senso più ampio della parola. Non è cultura solamente aver studiato o poter godere di un concerto, o leggere un libro interessante, ma cultura è anche mille cose. Parlavate del tessuto di Ñandutí, per esempio: quello è cultura. Ed è cultura nata dal popolo. Per fare un esempio. Ci sono due cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il Presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: «Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!». Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso, alle quali mi riferivo poco fa, era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione, o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte... Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi... non ho sentito bene il nome. E poi c’è un’altra cosa che pure per onestà voglio dire: un metodo che non dà libertà alle persone per assumere responsabilmente il loro compito di costruzione della società, ed è il ricatto. Il ricatto è sempre corruzione. «Se tu fai questo, ti facciamo questo, e così ti distruggiamo».
La corruzione è la tarma, è la cancrena di un popolo. Per esempio, nessun politico può svolgere il suo ruolo, il suo lavoro, se è ricattato da atteggiamenti di corruzione: «Dammi questo, dammi questo potere, dammi questo, se no ti faccio questo e quello...». Questo, che succede in tutti i popoli del mondo — perché questo succede — se un popolo vuole mantenere la propria dignità, deve eliminarlo. Sto parlando di un problema universale. E concludo. Per me è una grande gioia vedere la quantità e la varietà delle associazioni che sono impegnate nella costruzione di un Paraguay sempre migliore e prospero, ma se non dialogate, non serve a nulla. Se praticate il ricatto, non serve a nulla. Questa moltitudine di gruppi e di persone sono come una sinfonia, ognuno con la sua peculiarità e la propria ricchezza, ma cercando l’armonia finale, l’armonia, e questo è ciò che conta. E non abbiate paura del conflitto, ma accettatelo e cercate vie di soluzione. Amate la vostra patria, i vostri concittadini, e soprattutto amate i più poveri. Così sarete davanti al mondo una testimonianza che un altro modello di sviluppo è
possibile. Sono convinto, per la vostra storia, che avete la più grande forza che esiste: la vostra umanità, la vostra fede, il vostro amore. Questo carattere del popolo paraguaiano che lo distingue in modo così ricco tra le nazioni del mondo. Chiedo alla Vergine di Caacupé, nostra Madre, che abbia cura di voi, vi protegga e vi sostenga nei vostri sforzi. Che Dio vi benedica e pregate per me. Grazie! [Dopo il canto] Un consiglio, come congedo, prima della benedizione: il peggio che può capitare ad ognuno di voi quando uscite da qui è pensare: «Che buono quello che ha detto il Papa a tizio, caio, a quell’altro...». Se qualcuno di voi ritiene di pensare così — perché il pensiero viene spesso, anche a me a volte viene, ma bisogna scacciarlo —, dica: «Il Papa a chi ha detto questo?» «A me». Ciascuno, chiunque sia: «A me». E vi invito a pregare il nostro Padre comune, tutti insieme, ciascuno nella propria lingua: Padre nostro...
Francesco e le figlie di Esther dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI Le Riduzioni gesuitiche che fiorirono in Paraguay dimostrano che «una società più umana è possibile anche oggi». Ne è convinto Papa Francesco, che alla vigilia della conclusione del viaggio ha riproposto l’attualità di quella che ha definito «una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia». Il pomeriggio della penultima giornata trascorsa dal Pontefice in terra paraguayana si è aperto con un piccolo fuori programma. Francesco si è recato nell’istituto San Rafael fondato da padre Aldo Trento, missionario italiano della fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo. Accoglie malati terminali, orfani, bambini con gravi deformazioni, anziani, ragazze madri e donne che hanno subito violenza. Tra i tanti gesti compiuti, il Papa ha baciato il piede piagato di un malato di diabete, che nei prossimi giorni subirà un intervento di amputazione. Risalito sulla papamobile il Pontefice ha raggiunto il palazzetto dello sport León Condou, della scuola San José, gestita dai padri betharramiti nella capitale. Accolto dal superiore del-
Ana María e Mabel Careaga Ballestrino prima dell’incontro con il Papa
la comunità e dai responsabili dell’istituto, è stato ricevuto con canti e danze coreografiche, accompagnati dalle musiche dell’orchestra di “strumenti riciclati” di Cateura, un centro poco distante dalla capitale. Il Pontefice ha apprezzato l’esecuzione e ha chiamato a sé quattro piccole musiciste per salutarle e chieder loro qualche spiegazione. Un breve saluto del vescovo incaricato della Conferenza episcopale ha introdotto cinque domande, alle quali il Papa ha risposto con un discorso rivolto ai cosiddetti «costruttori della società»: docenti di scuole e atenei, artisti, industriali, sindacalisti, sportivi, operatori dei media, associazioni delle donne, degli agricoltori e degli indigeni. All’incontro, che aveva per tema «Per una cultura della fiducia», erano presenti, tra gli altri, il capo dello Stato e un’anziana donna di 103 anni, fondatrice di un’associazione. Organizzato dall’Università cattolica del Paraguay, come ha spiegato il rettore padre Narciso Velázquez, l’appuntamento è stato l’occasione per mostrare a Francesco le tradizioni e i valori di un popolo umile, semplice, che però non si stanca di lottare per la pace sociale. Particolarmente significativa la scelta degli arredi del palco papale, abbellito con giganteschi Ñandutíes, i caratteristici merletti a ragnatela
che si trovano anche a Santa Marta. Prima dell’arrivo del Pontefice — che ha voluto unirsi agli appelli per la liberazione di Edilio Morinigo, il poliziotto sequestrato recentemente dalla guerriglia — un’infermiera ha parlato della sua esperienza tra i bambini malati terminali nell’ospedale di Itaugua. Quindi in papamobile il trasferimento alla cattedrale per la celebrazione dei vespri con il clero paraguayano. Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, seminaristi e rappresentanti dei movimenti si sono dati appuntamento nel bellissimo tempio dedicato — come la città del resto — all’Assunta. Opera dell’architetto basco Pascual Urdapilleta, è il risultato di un’ampia ricostruzione del 1850 e dà il nome al “quartiere della cattedrale”, il più importante della capitale, perché vi si trovano la sede del Congresso nazionale, la piazza dell’Indipendenza, dalla caratteristica forma triangolare, il Phanteon nazionale e diversi ministeri. Custodisce la Cruz de la Parra, che secondo la tradizione sarebbe l’unica rimasta delle 29 piantate da Colombo nei suoi viaggi nel Nuovo mondo. Sul sagrato il sindaco Arnaldo Samaniego ha consegnato al Pontefice le chiavi della città, mentre un’orchestra di 200 arpe paraguayane eseguiva musiche tradizionali. Sulle rive di un fiume navigabile, Nuestra Señora de la Asunción è una delle più affascinanti metropoli del continente sudamericano e affonda le radici in epoche remote, tanto che è definita “madre delle città”. È uno dei centri urbani più antichi dell’America latina, e le stesse Buenos Aires e Santa Cruz de la Sierra furono fondate da spedizioni che partirono dalle coste fluviali navigabili della capitale paraguayana. Da lì i criollos e i guaraní di Asunción portarono la fede e lo sviluppo dai fiumi dell’Amazzonia fino alle Ande. Alla celebrazione dei vespri la lettura breve, tratta dalla lettera agli Ebrei, è stata proclamata in spagnolo e in guaranì. Le intenzioni sono state affidate a un’anziana religiosa, al prete di più recente ordinazione (il ventisettenne Rainer Rodrigo Riqelme, della diocesi di Concepción), a una contemplativa, a un seminarista e a una laica consacrata. Con un altro fuori programma Francesco ha quindi visitato la chiesa di Cristo Rey e l’annessa struttura gestita dai padri gesuiti di Asunción. Accolto da una quarantina di confratelli, ha pregato davanti alla reliquia del cuore carbonizzato di san Roque González de Santa Cruz, primo santo paraguayano, canonizzato da Giovanni Paolo II durante la visita del 1988. Poi nel campo del collegio ha trovato quattrocento giovani in festa, ai quali ha rivolto un piccolo ma forte discorso, esortandoli all’impegno e alla responsabilità e concludendo con l’invito ad hacer lío. Infine è rientrato in nunziatura per il pernottamento, a conclusione di una giornata intensissima, ricca di grandi emozioni per il Pontefice, che in questa tappa paraguayana si è trovato nell’ambiente più prossimo a quello della patria lasciata tre anni fa e nella quale non ha finora fatto ritorno. Proprio in nunziatura ha infatti ricevuto diverse visite: a cominciare da quella di Ana María e Mabel Careaga Ballestrino, due delle tre figlie di Esther, la donna a capo del laboratorio chimico in cui lavorava da giovane, poi “desaparecida”, vittima del regime militare. Allo stesso tempo ha abbracciato alcuni parenti argentini — il più prossimo era il nipote Juan Ignacio, figlio della sorella Maria Elena — e ha salutato un gruppo di ebrei, guidati dal rabbino Epelman e una delegazione di Scholas occurrentes.
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Il Papa esorta a imparare dai bambini la tenerezza e la fortezza
Quando Gesù si arrabbiava La giornata di sabato 11 luglio si è aperta con la visita all’ospedale pediatrico Niños de Acosta Ñu, ad Asunción. Di seguito il testo del discorso preparato dal Papa e consegnato ai presenti. Signor Direttore, cari bambini, membri del personale, amici tutti, grazie per la vostra accoglienza tanto calorosa. Grazie per questo tempo che mi concedete per stare con voi. Cari bambini, voglio farvi una domanda, vediamo se mi aiutate. Mi hanno detto che siete molto intelligenti, per questo mi sono deciso. Gesù si è arrabbiato qualche volta? Vi ricordate quando? So che è una domanda difficile, perciò vi aiuterò. È sta-
to quando impedirono che i bambini si avvicinassero a Lui. È l’unica volta in cui il Vangelo di Marco usa questa espressione (cfr. 10, 13-15). Qualcosa di simile alla nostra espressione: si riempì di rabbia. Voi, qualche volta vi siete arrabbiati? Bene, allo stesso modo fece Gesù, quando non gli permisero di stare vicino ai bambini, vicino a voi. Gli venne molta rabbia. I bambini sono tra i prediletti di Gesù. Non è che non voglia bene ai grandi, ma si sentiva felice quando poteva stare con loro. Godeva molto della loro amicizia e compagnia. Ma non solo amava averli vicino, ma anche di più. Li portava come esempio. Disse ai discepoli: «Se non... diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). I bambini stavano in disparte, i grandi non li lasciavano avvicinare, ma Gesù li chiamò, li abbracciò e li pose in mezzo perché tutti imparassimo a essere come loro. Oggi direbbe la stessa cosa a noi. Ci guarda e dice: imparate da loro. Dobbiamo imparare da voi, dalla vostra fiducia, gioia, tenerezza. Dalla vostra capacità di lotta, dalla vostra fortezza. Dalla vostra imbattibile capacità di resistenza. Sono veri lottatori! Vero mamme? Vero papà e nonni? Vedere voi, ci dà forza, ci dà forza per avere fiducia, per andare avanti. Mamme, papà, nonni, so che non è per niente facile stare qui. Ci sono momenti di grande dolore, di incertezza. Ci sono momenti di angoscia forte che opprime il cuore e ci sono momenti di grande gioia. I due sentimenti convivono, sono dentro di noi. Ma non c’è miglior rime-
dio che la vostra tenerezza, la vostra vicinanza. E mi dà gioia sapere che tra voi famiglie vi aiutate, vi stimolate, vi sostenete a vicenda per andare avanti e attraversare questo momento. Potete contare sull’appoggio dei medici, degli infermieri e di tutto il personale di questa casa. Grazie per questa vocazione di servizio, di aiutare non solo a curare ma ad accompagnare il dolore dei vostri fratelli. Non dimentichiamolo: Gesù sta vicino ai suoi figli. Sta bene vicino, nel cuore.
Non esitate a pregarlo, non esitate a parlare con Lui, a condividere le vostre domande, i dolori. Lui c’è sempre, ma sempre, e non vi lascerà cadere. E di una cosa siamo sicuri e ancora una volta lo confermo. Dove c’è un bambino c’è la madre. Dove c’è Gesù c’è Maria, la Vergine di Caacupé. Chiediamo a Lei che vi protegga col suo manto, che interceda per voi e le vostre famiglie. E non dimenticatevi di pregare per me. Sono sicuro che le vostre preghiere arrivano al cielo.
Quella valigetta della speranza dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI «Umili e spontanei come i bambini, che non hanno vergogna». Come il piccolo ammalato che porta un dono al Papa e lo stringe forte tra le braccia, restando così mentre lui parla. Francesco ha iniziato la seconda giornata in Paraguay, sabato 11 luglio, con una visita nelle corsie del dolore di un nosocomio pediatrico.
All’ospedale generale Niños de Acosta Ñu, di Asunción, è stato accolto dal direttore Pio Alfieri, che lo ha accompagnato nei reparti di degenza, rianimazione e oncologia, dove ogni giorno si lotta tra la vita e la morte; dove madri e padri piangono e si disperano davanti alle sofferenze dei loro figli. La struttura, che si trova nel quartiere San Lorenzo, ha un centinaio di posti letto. Un progetto di cooperazione per l’ematologia con il policlinico di Modena ne fa un centro all’avanguardia verso cui confluiscono da tutta la regione. Prende il nome dalla tragica vicenda storica della battaglia di Campo Grande (“Acosta Ñu” appunto). Era il 16 agosto 1869, al tempo della guerra contro la triplice alleanza (Argentina, Brasile e Uruguay) e sul campo rimasero anche i cadaveri di centinaia di bambini. Da allora il Paraguay annualmente nella ricorrenza celebra il “giorno del bambino” per non dimenticare quei drammatici avvenimenti. Nel giro tra i reparti, da solo senza telecamere o fotografi al seguito, Francesco ha salutato due bambine che hanno subìto un trapianto. Gli è stato chiesto di bene-
dirle. Allora il Papa ha baciato le piccole e poi si è rivolto al chirurgo Marcos Malgarejo: «Benedico le sue mani — gli ha detto — per le meraviglie che fa con questi bambini». Successivamente, nel cortile, il momento pubblico della visita. Lasciato da parte il discorso preparato, il Papa ha pronunciato poche parole di incoraggiamento e ha guidato la recita di un’Ave Maria, prima di impartire la benedizione conclusiva. In dono ha ricevuto una “valigetta della speranza” con disegni e letterine in cui i piccoli pazienti gli hanno espresso il loro affetto. Profondamente toccato dall’esperienza vissuta all’ospedale pediatrico, il Pontefice è andato ad affidare il dolore dei piccoli ricoverati e delle loro famiglie alla Vergine di Caacupé. A Buenos Aires l’arcivescovo Bergoglio ha conosciuto bene la devozione dei paraguayani per la Virgen de los Milagros, venerata nel santuario che dista circa cinquanta chilometri da Asunción. E nel programma del viaggio in America latina ha voluto inserire una tappa in quella che è considerata la capitale spirituale del Paese. Accompagnato da monsignor Catalino Claudio Giménez Medina, presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Caacupé, il Papa ha raggiunto la cittadella mariana il cui nome in guaraní significa “dietro il monte”, per via di una singolare formazione montuosa nota come il Cerro Kayan. La tradizione narra che José, un indigeno cristiano degli Atyrá, si fosse spinto fino alle selve della valle Ytú alla ricerca di legname, che qui abbonda, come dimostrano i tanti negozietti di falegnameria presenti lungo il tragitto compiuto dal Papa. Inseguito dagli indios mbayaes, che erano pagani, José implorò la Vergine di salvarlo e la risposta in guaraní fu l’indicazione di un tronco dietro l’erba: Ka’aguy kupépe. Come segno di gratitudine prese un pezzo di tronco, lavorò il legno e scolpì Maria. Successivamente le costruì una piccola cappella, nucleo primitivo dall’attuale enorme basilica, che sorge al centro della città. Percorso l’ultimo tratto dell’itinerario sulla papamobile, Francesco ha nuova-
mente sperimentato la calorosissima accoglienza di questo popolo. In mezzo ai fedeli, molti venditori di chipa, la tradizionale ciambella al formaggio a base di farina di mais o manioca; e devoti di Chiquitunga, la carmelitana scalza suor Maria Felicia di Gesù Sacramentato (Guggiari Echeverría), morta trentaquattrenne nel 1959 nel monastero di Asunción. Impressionante anche il numero di argentini, con tanto di bandiere albicelestes al seguito. Del resto la frontiera dista da qui solo pochi chilometri. Sul sagrato del santuario, tra canti popolari e cori da stadio, il sindaco Roberto Franco, alla presenza del presidente, ha consegnato le chiavi della città al Pontefice. Che poi all’interno del santuario — dov’erano raccolte un migliaio di persone — ha pregato davanti alla statua della Vergine, la Tupasy, come la chiamano da queste parti. Quindi davanti alla fiumana immensa di paraguayani che gremivano il piazzale ha celebrato la messa votiva dell’Immacolata concezione. L’annuale festa di Caacupé ricorre infatti l’8 dicembre, attirando
centinaia di migliaia di pellegrini da tutto il Paese. Per la grande devozione popolare che qui trova espressione, nella circostanza il tempio nato come “casa del popolo” è stato elevato a basilica pontificia minore, con decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. La notizia, che è stata comunicata da uno speaker proprio al termine della messa, è stata accolta dai fedeli con un caloroso applauso. Con un po’ di ritardo — «era emozionato per essere potuto tornare al santuario visitato quando era un semplice religioso», ha spiegato l’ordinario locale — Francesco è salito sull’altare impugnando il pastorale di legno usato anche in Ecuador. Durante il rito, concelebrato tra gli altri dal cardinale Sturla Berhouet, arcivescovo di Montevideo, una canzone, la prima lettura, la preghiera del Padre Nostro e due intenzioni dei fedeli — per il Papa e per le madri di famiglia — sono state in guaraní. Al termine Francesco ha rinnovato l’atto di affidamento del Paraguay alla Immacolata
Concezione di Maria fatto da Giovanni Paolo II il 18 maggio 1988. Lasciato in dono un rosario d’oro, Francesco è salito a bordo dell’utilitaria grigia, che sta utilizzando per gli spostamenti veloci, ed è rientrato nella sede della nunziatura ad Asunción per il pranzo.
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Al santuario di Caacupé il Pontefice parla della fede e della speranza di Maria
La donna dei momenti difficili Nel santuario mariano di Caacupé il Papa ha celebrato sabato mattina, 11 luglio, la messa votiva dell’Immacolata Concezione. Di seguito pubblichiamo una traduzione italiana della sua omelia. Trovarmi qui con voi è sentirmi a casa, ai piedi di nostra Madre la Vergine dei Miracoli di Caacupé. In un santuario noi figli ci incontriamo con nostra Madre e tra noi ricordiamo che siamo fratelli. È un luogo di festa, di incontro, di famiglia. Veniamo a presentare le nostre necessità, veniamo a ringraziare, a chiedere perdono e a cominciare di nuovo. Quanti battesimi, quante vocazioni sacerdotali e religiose, quanti fidanzamenti e matrimoni sono nati ai piedi di nostra Madre! Quante lacrime, quanti addii! Veniamo sempre con la nostra vita, perché qui siamo a casa e la cosa migliore è sapere che c’è qualcuno che ci aspetta.
Come tante altre volte, siamo venuti perché vogliamo rinnovare le nostre energie per vivere la gioia del Vangelo. Come non riconoscere che questo Santuario è una parte vitale del popolo paraguayano, di voi? Così lo sentono, così lo pregano, così lo cantano: «Nel tuo Eden di Caacupé, è il tuo popolo Vergine pura che ti dà il suo amore e la sua fede». E oggi siamo qui come Popolo di Dio, ai piedi di nostra Madre, a darle il nostro amore e la nostra fede.
Capitale spirituale del Paese Messaggero di gioia e di pace. Così monsignor Claudio Gimenez Medina, vescovo di Caacupé, ha salutato Papa Francesco. Il presule ha espresso il suo desiderio che il Paraguay sia come una grande famiglia, dove regnino la riconciliazione fraterna, la giustizia per tutti, il lavoro che nobilita, l’educazione che eleva e la pace che serve da atmosfera permanente perché il Paese cresca e i suoi abitanti siano felici. Il modello è la santa Famiglia di Nazaret, alla quale i vescovi locali invitano a guardare, in particolare nel corso di un triennio pastorale dedicato proprio alla famiglia. Il presule ha parlato del santuario della Virgen de Caacupé come della capitale spirituale del Paraguay, che è «un Paese benedetto da Maria dagli albori della sua storia, dalla fondazione di Asunción». Il vescovo ha espresso l’auspicio che, insieme a san Roque González, anche una donna paraguayana salga agli onori degli altari: si tratta della carmelitana scalza Maria Felicia di Gesù Sacramentato (Guggiari Echeverría), conosciuta come Chiquitunga. Infine, il presule si è detto fiducioso che un giorno il Paraguay possa essere un Paese senza differenze e senza violenza.
Nel Vangelo abbiamo appena ascoltato l’annuncio dell’Angelo a Maria che le dice: «Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te». Rallegrati, Maria, rallegrati. Davanti a questo saluto, lei restò sconcertata e si domandava che cosa volesse dire. Non capiva molto che cosa stava succedendo. Ma comprese che veniva da Dio e disse “sì”. Sì al sogno di Dio, sì al progetto di Dio, sì alla volontà di Dio. Un “sì” che, come sappiamo, non fu per niente facile da vivere. Un “sì” che non la riempì di privilegi o distinzioni, ma che, come le dirà Simeone nella sua profezia: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2, 35). Eccome l’ha trafitta! Per questo la amiamo tanto e troviamo in lei una vera Madre che ci aiuta a tenere vive la fede e la speranza in mezzo a situazioni complicate. Seguendo la profezia di Simeone, ci farà bene ripercorrere bre-
vemente tre momenti difficili della vita di Maria. La nascita di Gesù. «Non c’era posto per loro» (Lc 2, 7). Non avevano una casa, un’abitazione per accogliere il loro figlio. Non c’era spazio per poterlo dare alla luce. E nemmeno la famiglia vicina, erano soli. L’unico posto disponibile era una stalla di animali. E nella sua memoria sicuramente risuonavano le parole dell’Angelo: «Rallegrati, Maria, il Signore è con te». E lei avrebbe potuto chiedersi: Dov’è adesso? La fuga in Egitto. Dovettero partire, andare in esilio. Là non solo non avevano un posto, una famiglia, ma anche la loro vita era in pericolo. Dovettero mettersi in cammino e andare in terra straniera. Furono migranti perseguitati per l’avidità e l’avarizia dell’imperatore. E anche là lei avrebbe potuto chiedersi: Dov’è quello che mi ha detto l’Angelo? La morte sulla croce. Non deve esistere una situazione più difficile per una madre che accompagnare la morte di suo figlio. Sono momenti strazianti. Ed ecco vediamo Maria, ai piedi della croce, come ogni madre, salda, senza venir meno, che accompagna suo Figlio fino all’estremo della morte e della morte di croce. E anche lì lei avrebbe potuto domandarsi: Dov’è quello che mi ha detto l’Angelo? E poi la vediamo che tiene uniti e sostiene i discepoli. Contempliamo la sua vita, e ci sentiamo compresi, capiti. Possiamo sederci a pregare e usare un linguaggio comune davanti a una serie di situazioni che viviamo ogni giorno. Ci possiamo identificare in molte situazioni della sua vita. Raccontarle le nostre realtà perché lei le comprende. Lei è la donna di fede, è la Madre della Chiesa, lei ha creduto. La sua vita è testimonianza che Dio non delude, che Dio non abbandona il suo Popolo, anche se ci sono momenti o situazioni in cui sembra che Lui non ci sia. Lei è stata la prima discepola che ha accompagnato il suo Figlio e ha sostenuto la speranza degli apostoli nei momenti difficili. Stavano chiusi con non so quante chiavi, per paura, nel cena-
colo. È stata la donna che stava attenta e ha saputo dire — quando sembrava che la gioia e la festa stava finendo —: “Vedi, non hanno vino” (cfr. Gv 2, 3). È stata la donna che ha saputo andare e stare con sua cugina «circa tre mesi» (Lc 1, 56), perché non fosse sola nel suo parto. Questa è la nostra Madre, così buona, così generosa, così accompagnatrice della nostra vita. E tutto questo lo sappiamo dal Vangelo, ma sappiamo anche che, in questa terra, è la Madre che è stata al nostro fianco in tante situazioni difficili. Questo Santuario custodisce gelosamente la memoria di un popolo che sa che Maria è Madre e che è stata e rimane accanto ai suoi figli. È stata e rimane nei nostri ospedali, nelle nostre scuole, nelle nostre case. È stata e rimane con noi nel lavoro e nel cammino. È stata e rimane alla mensa di ogni casa. È stata e rimane nella formazione della Patria, facendo di noi una Nazione. Sempre con una presenza discreta e silenziosa. Nello sguardo di un’effigie, di un’immaginetta o di una medaglia. Sotto il segno di un rosario, sappiamo che non siamo soli, che lei ci accompagna. E perché? Perché Maria semplicemente ha voluto rimanere in mezzo al suo Popolo, con i suoi figli, con la sua famiglia. Seguendo sempre Gesù, dalla parte della folla. Come buona madre non ha abbandonato i suoi, ma al contrario sempre si è fatta trovare là dove il figlio poteva avere bisogno di lei. E questo, solo perché è Madre. Una Madre che ha imparato ad ascoltare e a vivere in mezzo a tante difficoltà da quel: «Non temere», «il Signore con te» (Lc 1, 30.28). Una Madre che continua a dirci: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). È il suo invito costante e continuo: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Non ha un programma proprio, non viene a dirci nulla di nuovo, anzi, le piace stare zitta, soltanto la sua fede accompagna la nostra fede. E voi lo sapete, avete fatto esperienza di questo che stiamo condividendo. Tutti voi, tutti i paraguayani hanno la memoria viva di un Popolo che ha fatto carne queste parole del Vangelo. E vorrei riferirmi in modo speciale a voi donne e madri paraguayane, che con gran coraggio e abnegazione, avete saputo rialzare un Paese distrutto, sprofondato, sommerso da una guerra iniqua. Voi avete la memoria, avete il patrimonio genetico di quelle che hanno ricostruito la vita, la fede, la dignità del vostro Popolo, insieme a Maria. Avete vissuto situazioni molto ma molto difficili, che secondo una logica comune sarebbero contrarie ad ogni fede. Voi, invece, spinte e sostenute dalla Vergine, avete continuato a credere, anche «sperando contro ogni speranza» (Rm 4, 18). Quando tutto sembrava crollare, insieme a Maria vi dicevate: Non temiamo, il Signore è con noi, è col nostro Popolo, con le nostre famiglie, facciamo quello che Lui ci dice. E lì avete trovato ieri e trovate oggi la forza per non lasciare che questa terra finisca nel caos. Dio benedica questa tenacia, Dio benedica e conforti la vostra fede, Dio benedica la donna paraguayana, la più gloriosa d’America. Come Popolo, siamo venuti alla nostra casa, alla casa della Patria paraguayana, ad ascoltare ancora una volta queste parole che ci fanno tanto bene: «Rallegrati, ... il Signore è con te». È un appello a non perdere la memoria, a non perdere le radici, le tante testimonianze che avete ricevuto di gente credente e messa a rischio dalle sue lotte. Una fede che si è fatta vita, una vita che si è fatta speranza e una speranza che ci porta a precedere nella carità. Sì, configurati a Gesù, continuate a precedere nell’amore. Siate voi i portatori di questa fede, di questa vita, di questa speranza. Voi paraguayani siate costruttori di questo oggi e di questo domani. Tornando a guardare l’immagine di Maria, vi invito a dire insieme: «Nel tuo Eden di Caacupé, è il tuo popolo Vergine pura che ti dà il suo amore e la sua fede». [Lo ripete insieme alla folla] Prega per noi, Santa Madre di Dio, affinché siamo degni di ottenere le promesse e le grazie del nostro Signore Gesù Cristo. Amen.
Al clero e ai religiosi il Papa ricorda che la divisione provoca sterilità
Siamo le mani di Dio La giornata di sabato 11 luglio si è conclusa con i vespri recitati in cattedrale con sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e appartenenti ai movimenti ecclesiali. Ecco una traduzione italiana dell’omelia del Papa. Che bello pregare tutti insieme i Vespri! Come non sognare una Chiesa che rifletta e ripeta l’armonia delle voci e del canto nella vita quotidiana? E lo facciamo in questa Cattedrale, che tante volte ha dovuto ricominciare di nuovo; questa Cattedrale è segno della Chiesa e di ognuno di noi: a volte le tempeste da fuori e da dentro ci obbligano a buttar giù ciò che abbiamo costruito e cominciare di nuovo, ma sempre con la speranza riposta in Dio; e se guardiamo questo edificio, senza dubbio non ha deluso i paraguayani, perché Dio non delude mai e per questo lo lodiamo con gratitudine. La preghiera liturgica, con la sua struttura e la sua forma ritmata, vuole esprimere la Chiesa tutta, sposa di Cristo, che cerca di conformarsi al suo Signore. Ognuno di noi nella nostra preghiera voglia-
mo diventare più somiglianti a Gesù. La preghiera fa emergere quello che stiamo vivendo o che dovremmo vivere nella vita quotidiana, almeno la preghiera che non vuole essere alienante o solo decorativa. La preghiera ci dà impulso per mettere in atto o verificarci in ciò che recitavamo nei salmi: siamo noi le mani di Dio che «dall’immondizia rialza il povero» (Sal 112[113], 7) e siamo noi a lavorare perché la tristezza della sterilità si trasformi nella gioia del terreno fertile. Noi che cantiamo che «agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli» (Sal 116, 15), siamo quelli che lottiamo, ci diamo da fare, difendiamo il valore di ogni vita umana, dal concepimento fino a che gli anni sono molti e la forza poca. La preghiera è riflesso dell’amore che sentiamo per Dio, per gli altri, per il mondo creato; il comandamento dell’amore è la miglior configurazione con Gesù del discepolo missionario. Stare attaccati a Gesù dà profondità alla vocazione cristiana, che, coinvolta nel “fare” di Gesù — che è molto più
Risanamento morale «Continui ad aiutarci a trasformare con il Vangelo tutto il tessuto sociale del Paese e lottare per il risanamento morale della nazione». Lo ha chiesto monsignor Edmundo Valenzuela Mellid, arcivescovo di Asunción, a Papa Francesco nel dargli il benvenuto durante i vespri con i vescovi, i religiosi e i seminaristi. Gli ha fatto eco il gesuita Alberto Luna, presidente della Conferenza dei religiosi e delle religiose (Conferpar), il quale ha ringraziato il Pontefice per aver indetto l’Anno della vita consacrata. Il gesuita ha sottolineato come gli orientamenti del Papa fortifichino e siano luce per ispirare i consacrati nel progetto di un nuovo orizzonte per la vita religiosa in Paraguay. Quindi ha ricordato la figura di san Roque González, prima sacerdote del clero di Asunción e parroco della cattedrale, poi fondatore delle Riduzioni del Paraguay.
che delle attività —, cerca di assomigliare a Lui in tutto ciò che compie. La bellezza della comunità ecclesiale nasce dall’adesione di ciascuno dei suoi membri alla persona di Gesù, formando un “insieme vocazionale” nella ricchezza della varietà armonica. Le antifone dei cantici evangelici di questo fine settimana ci ricordano l’invio dei Dodici da parte di Gesù. Sempre è bene crescere in questa coscienza di lavoro apostolico in comunione. È bello vedervi collaborare pastoralmente, sempre a partire dalla natura e dalla funzione ecclesiale di ogni vocazione e ogni carisma. Desidero esortare tutti voi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e seminaristi, vescovi, ad impegnarvi in questa collaborazione ecclesiale, specialmente intorno ai piani pastorali delle diocesi e alla missione continentale, cooperando con tutta la vostra disponibilità al bene comune. Se la divisione tra noi provoca sterilità (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 98-101), non c’è dubbio che dalla comunione e dall’armonia nasca la fecondità, perché sono profondamente consonanti con lo Spirito Santo. Tutti abbiamo limiti, nessuno può riprodurre Gesù Cristo nella sua totalità, e sebbene ogni vocazione si configura principalmente con alcuni raggi della vita e dell’opera di Gesù, ce ne sono alcuni comuni e irrinunciabili. Abbiamo appena lodato il Signore perché «non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2, 6), e questa è una caratteristica di ogni vocazione cristiana, «non ritenne un privilegio l’essere come Dio»: chi è chiamato da Dio non si vanta, non va in cerca di riconoscimenti né di applausi effimeri, non sente di esser salito di categoria e non tratta gli altri come se fosse su un piedestallo. Il primato di Cristo è descritto chiaramente nella liturgia della Lettera gli Ebrei; noi abbiamo appena letto quasi il finale di tale Lettera: “Renderci perfetti come il pastore grande delle pecore” (cfr. 13, 20-21) e questo comporta riconoscere che ogni consacrato si configura a Colui che nella sua vita terrena, tra «preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime» (Eb 5, 7) raggiunse la perfezione quando imparò, soffrendo, che cosa significava obbedire; e anche questo fa parte della chiamata. Terminiamo di recitare i nostri Vespri. Il campanile di questa Cattedrale è stato rifatto più volte; il suono delle campane precede e accompagna in molte occasioni la nostra preghiera liturgica: fatti nuovi da Dio ogni volta che preghiamo, saldi come un campanile, gioiosi di predicare le meraviglie di Dio, condividiamo il Magnificat e lasciamo al Signore di fare — che Lui faccia — mediante la nostra vita consacrata, grandi cose nel Paraguay.
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La visita al Bañado Norte di Asunción Tra la popolazione del Bañado Norte, uno dei quartieri più poveri e degradati di Asunción, il Pontefice ha trascorso i primi momenti della giornata di domenica 12 luglio. Questa una traduzione italiana del discorso pronunciato durante la visita.
Senza solidarietà la fede è morta
Care sorelle e cari fratelli, buongiorno! Sono molto contento di farvi visita questa mattina. Non potevo trovarmi in Paraguay senza venire da voi, senza stare in questa vostra terra. Ci incontriamo in questa Parrocchia intitolata alla Santa Famiglia e vi confesso che da quando ho cominciato a pensare a questa visita, da quando ho cominciato il percorso da Roma fino a qui, pensavo alla Santa Famiglia. E quando pensavo a voi, mi ricordavo della Santa Famiglia. Vedere i vostri volti, i vostri figli, i vostri nonni. Ascoltare le vostre storie e tutto quello che avete realizzato per stare qui, tutte le lotte che avete fatto per avere una vita degna, un tetto. Tutto quello che fate per superare l’inclemenza del tempo, le inondazioni di queste ultime settimane, tutto questo mi riporta alla memoria la piccola famiglia di Betlemme. Una lotta che non vi ha rubato il sorriso, la gioia, la speranza. Un darsi da fare che non vi ha tolto la solidarietà, al contrario, l’ha stimolata e l’ha fatta crescere. Mi voglio soffermare su Giuseppe e Maria a Betlemme. Essi dovettero lasciare la propria terra, i propri cari, i propri amici. Dovettero lasciare le proprie cose e andare in un’altra terra. Una terra in cui non conoscevano nessuno, non avevano casa, né
Ti sentiamo fratello «Ti sentiamo fratello delle donne che raccolgono, del pescatore, del muratore, del falegname, dello sfollato, del lavavetri. Ti sentiamo fratello di quello che non riesce a vivere umanamente». Così don Ireneo Valdéz, parroco della Sagrada Familia di Bañado Norte di Asunción, ha salutato il Papa al suo arrivo. Poi Angélica Viveros, della parrocchia San Felipe e Santiago, e María García, coordinatrice delle Organizaciones de los Bañados, hanno raccontato le loro esperienze. La prima ha affermato che gli abitanti del luogo vogliono essere una Chiesa profetica che annuncia la parola di Dio e che denuncia gli attentati ai diritti umani, una Chiesa che accompagna i contadini di Curuguaty nella loro ricerca di giustizia per la morte dei loro fratelli, che accompagna la lotta per la propria terra, per un’attenzione degna alla tutela della salute e all’educazione. Viveros si è detta piena di speranza, auspicando che la Chiesa del Paraguay sia impegnata nell’opzione preferenziale per i poveri: contadini, indigeni e persone che vivono nella miseria. Davanti all’indifferenza e all’individualismo, ha aggiunto, si cerca la partecipazione dei vicini, l’unità e la solidarietà per una vita degna per tutti, cercando di creare una coscienza critica. Da parte sua, María García ha ricordato che ci sono circa ventitremila famiglie, per un totale di centomila abitanti, che risiedono nella zona periferica di Asunción. Alcuni vivono da tanti anni in quel quartiere: chi da ottanta, chi da sessanta, la maggioranza da più di trent’anni. García ha sottolineato come sia stata una dura lotta costruire una dimora in mezzo alle penurie ed edificare i quartieri palmo a palmo, vincendo le asprezze del terreno, la minaccia delle acque del fiume, e l’abbandono delle autorità pubbliche. La donna ha manifestato la richiesta che a tutti sia riconosciuto di far parte di una famiglia umana inseparabile. Ha domandato la possibilità di regolarizzare a costi accessibili il possesso della terra che gli abitanti del quartiere posseggono da molti anni. Si è detta fiduciosa che la solidarietà della gente e gli effetti positivi che lascerà la visita del Pontefice rappresenteranno simbolicamente la forza del vento che può condurre al porto sicuro.
famiglia. In quel momento, quella giovane coppia ebbe Gesù. In quel contesto, in una stalla preparata come poterono, quella giovane coppia ci ha regalato Gesù. Erano soli, in una terra estranea, loro tre. All’improvviso, cominciò ad apparire gente: dei pastori, persone come loro che avevano dovuto lasciare la propria realtà allo scopo di trovare migliori opportunità familiari. Anche la loro vita era legata alle inclemenze del tempo, e ad altri tipi di inclemenze. Quando si resero conto della nascita di Gesù, si accostarono, si fecero prossimi, vicini. Diventarono subito la famiglia di Maria e Giuseppe. La famiglia di Gesù. Questo è ciò che accade quando Gesù appare nella nostra vita. Questo è ciò che la fede suscita. La fede
ci rende prossimi, ci fa prossimi della vita degli altri, ci avvicina alla vita degli altri. La fede suscita il nostro impegno con gli altri, la fede suscita la nostra solidarietà: una virtù umana e cristiana, che voi avete e che molti, molti hanno e che dobbiamo imparare. La nascita di Gesù risveglia la nostra vita. Una fede che non si fa solidarietà, è una fede morta, una fede falsa. “No, io sono molto cattolico, sono molto cattolica, vado a Messa tutte le domeniche”. Ma, mi dica, signore, signora, che cosa succede là a Bañado? “Ah, non so... sì... no... non so, sì..., so che c’è gente lì..., ma non so...”. Per quanto vai a Messa la domenica, se non hai un cuore solidale, se non sai che cosa succede nel tuo popolo, la tua fede è molto debole, o è malata, o è morta. È una fede senza Cristo. La
dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI La visita nella Chacarita, come chiamano da queste parti la periferia degradata che cinge, quasi abbracciandolo, il centro di Asunción; la messa alla presenza di oltre un milione di persone giunte da tutto il Paraguay e dalla vicina Argentina; un incontro stile gmg con le nuove generazioni, per affidare loro il presente e il futuro dell’intero continente. Sono i fotogrammi dell’ultima tappa del viaggio di Papa Francesco in America latina, conclusosi domenica sera, 12 luglio. Il primo appuntamento è stato in una borgata estremamente povera della città, nella Chacarita appunto. Una zona acquitrinosa denominata Bañado Norte. Il nome rimanda, appunto, a uno dei tanti bañados (“bagnati”), i conglomerati urbani sorti nei terreni adiacenti il fiume che regolarmente vengono invasi dalle acque. La gente vive in baracche di legno compensato e metalli come il ferro e lo zinco. E tra fango e rivoli di fogne, si finisce con l’imbattersi in branchi di cani randagi e persino di maiali che sguazzano nella spazzatura alla ricerca di qualcosa da mangiare. Niente a che vedere insomma con i meravigliosi paesaggi della terra paraguayana. Ma una realtà che esiste e che Francesco ha voluto portare sotto i riflettori della stampa internazionale, perché — ci spiega un gesuita argentino che lo conosce bene — è molto simile alle villas miserias di Buenos Aires. Solo che qui la routine quotidiana dei circa centomila abitanti viene regolarmente sconvolta dalle forti piogge che causano esondazioni del fiume Paraguay. Le strade di terra si trasformano in pantani impraticabili. E ci vuole tanta buona volontà ogni volta per ricominciare. Perciò sono attivi diversi progetti di assistenza della Chiesa, che hanno dato vita a movimenti di solidarietà e fratellanza. La locale parrocchia della Sacra Famiglia è formata da circa 13 piccole cappelle distribuite sul territorio e animate dai padri gesuiti. Quella di San Giovanni Battista è una di esse, e si affaccia su un campo sportivo in terra, dov’erano riunite duemila persone. Molti, soprattutto, i piccoli alunni delle scuole di Caacuperní e di Santa Cruz, coinvolti nel progetto Fe y Alegría, che assicura oltre 400 unità educative in aree svantaggiate. Giunto a bordo dell’utilitaria grigia, dai finestrini abbassati Francesco ha salutato i tanti bambini che si erano assiepati dietro le transenne. Accolto dal parroco Ireneo Valdéz e dal provinciale Alejandro Tilve, che gli hanno presentato brevemente la comunità, è entrato nel cortile di alcune abitazioni. In quella di Asunción Ayala, una sorridente nonnina circondata dalla sua numerosa famiglia, ha asperso con l’acqua benedetta l’umile dimora e i presenti con i quali ha pregato. In un’altra gli sono state offerte sopa paraguaja, cocido e mate. Poi nel vicino campo sportivo è avvenuto l’incon-
fede senza solidarietà è una fede senza Cristo, è una fede senza Dio, è una fede senza fratelli. E allora viene quel detto, che spero di ricordare bene, ma che ritrae questo problema di una fede senza solidarietà: “Un Dio senza popolo, un popolo senza fratelli, un popolo senza Gesù”. Questa è la fede senza solidarietà. E Dio si mise in mezzo al popolo che Lui aveva scelto per accompagnarlo, e mandò il suo Figlio a questo popolo per salvarlo, per aiutarlo. Dio si fece solidale con quel popolo, e Gesù non ebbe alcun problema a scendere, umiliarsi, abbassarsi, fino a morire per ognuno di noi, per questa solidarietà da fratello, solidarietà che nasce dall’amore che aveva per suo Padre e dall’amore che aveva per noi. Ricordatevi: quando una fede non è solidale, o è debole, o è malata, o è morta. Non è la fede di Gesù. Come vi dicevo, il primo ad essere solidale fu il Signore, che scelse di vivere tra di noi, scelse di vivere in mezzo a noi. Io vengo qui come quei pastori che c’erano a Betlemme. Voglio farmi prossimo. Voglio benedire la vostra fede, voglio benedire le vostre mani, voglio benedire la vostra comunità. Sono venuto a rendere grazie con voi, perché la fede si è fatta speranza ed è una speranza che stimola l’amore. La fede che Gesù suscita è una fede con la capacità di sognare il futuro e di lottare per esso nel presente. Proprio per questo voglio incoraggiarvi a continuare ad essere missionari di questa fede, a continuare a contagiare questa fede per queste strade, per questi sentieri. Questa fede che ci fa solidali tra di
noi, con il nostro Fratello maggiore Gesù, e la nostra Madre, la Vergine. Facendovi prossimi specialmente dei più giovani e degli anziani. Facendovi sostegno delle giovani famiglie e di coloro che stanno attraversando momenti di difficoltà. Forse il messaggio più forte che voi potete dare agli altri è questa fede solidale. Il diavolo vuole che litighiate tra di voi, e così vi divide e vi rovina e vi ruba la fede. Solidarietà di fratelli
cili, e che ci faccia la grazia di un dono, che domandiamo insieme, tutti: che la Santa Famiglia ci doni “pastori”, che ci doni preti, vescovi, capaci di accompagnare, di sostenere e di stimolare la vita delle vostre famiglie. Capaci di far crescere quella fede solidale che non è mai vinta. Vi invito a pregare insieme e vi chiedo anche di non dimenticarvi di pregare per me.
per difendere la fede! E inoltre che questa fede solidale sia un messaggio per tutta la città!
E recitiamo insieme una preghiera al nostro Padre che ci fa fratelli, ci ha mandato il nostro Fratello maggiore, il suo Figlio Gesù, e ci ha dato una Madre che ci accompagnerà. [Padre Nostro e benedizione].
Voglio pregare per le vostre famiglie, e pregare la Santa Famiglia perché il suo modello, la sua testimonianza continui ad essere luce sul cammino, stimolo nei momenti diffi-
Fotogrammi conclusivi tro con la popolazione. Il Papa ha preso posto su una sedia bianca e gialla, realizzata con plastica riciclata. Sullo sfondo i disegni e i pensieri degli studenti. «Benedici il nostro Paese e la nostra famiglia», «Una vita dignitosa, siamo tutti figli di Dio», «Allegria, amore, felicità bontà, rispetto, pace, amicizia»: alcune delle richieste. Nei disegni la scuola è circondata di acqua su cui galleggiano rifiuti; ma c’è anche il sogno di un fiume pulito in cui fare il bagno all’ombra degli alberi. Alcuni canti e brevi testimonianze degli abitanti, che hanno denunciato la minaccia di speculazioni edilizie, hanno preceduto la preghiera del Padre Nostro in guaraní e la benedizione finale. Al termine della quale il Papa ha messo in guardia contro il diavolo che semina divisione, con il suo efficace linguaggio semplice e diretto, capace di arrivare dritto al cuore delle persone più umili. Le stesse a cui si rivolge la rete di solidarietà attivata da Scholas occurrentes. Presentati dal presidente José María del Corral, due giovani, Fabrizio Sánchez, 15 anni, dell’istituto tecnico Javier, e Karena López, 16 anni, dell’istituto Santa Rosa de Lima, hanno illustrato al Pontefice i progetti realizzati per i bambini e i ragazzi di queste periferie: educazione, prevenzione e aiuti concreti. Poi gli hanno chiesto di benedire tre piantine di ulivo, simbolo delle loro attività in America latina. Infine il responsabile del Cono Sur del Banco interamericano di sviluppo (Bid), José Lupo Flores, e il ministro dell’Educazione del Paraguay, Marta Lafuente, hanno consegnato al Papa l’impegno firmato per sostenere l’inserimento di Scholas nelle realtà scolastiche del Paese. La messa domenicale di Francesco è stata celebrata tra la marea di fedeli raccolti nella base aerea militare Ñu Guazu. Tra i presenti anche i presidenti del Paraguay, Octavio Cartes, e dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner, arrivata la sera precedente, che Francesco ha salutato al termine del rito. Con lei oltre 160 mila connazionali, per la maggior parte provenienti dalla regione di Formosa, vicina al confine.
Il luogo è lo stesso in cui nel 1988 Giovanni Paolo II canonizzò Roque González de Santa Cruz e i suoi compagni. Una croce è stata innalzata in memoria di quell’avvenimento. Purtroppo la pioggia caduta nelle ore precedenti aveva trasformato l’area in un immenso pantano, in cui si affondava nel fango, tanto da costringere ad annullare il previsto giro della papamobile in mezzo alla folla. A bordo della vettura aperta il Pontefice è passato solo sul rettilineo che conduceva al podio, allestito nei pressi dell’hangar del gruppo elicotteristi. Letteralmente andate a ruba le centinaia di migliaia di bottigliette d’acqua con l’effigie di Francesco distribuite dall’azienda di sanità
pubblica. Ma quasi nessuno le ha aperte, preferendo conservarle in ricordo della visita. L’altare dove il Papa ha presieduto la liturgia della quindicesima domenica del tempo ordinario è stato costruito dall’artista locale “Koki” Ruiz usando spighe di mais, cocco, zucche e semi di altri frutti nazionali coltivati dai contadini di Tañarandy, nella provincia di Misiones, a testimonianza della loro laboriosità. Completamente riciclabile, sullo sfondo vi erano raffigurati i santi Francesco e Ignazio, fondatori degli ordini che hanno evangelizzato queste terre e al contempo patroni del Papa. A lui, che ha espresso pubblicamente apprezzamento per l’installazione, messaggi e auguri
E andate avanti! E non lasciate che il diavolo vi divida! Addio!
del popolo paraguayano incisi sulle noci di cocco. Alla preghiera dei fedeli in guaraní sono state elevate intenzioni per i popoli indigeni, per i campesinos, per gli anziani, i migranti e i disabili, alle quali l’assemblea rispondeva: Ñandejára ore rendu. Nella stessa lingua anche la recita del Padre Nostro. Dopo la preghiera mariana dell’Angelus, il trasferimento in nunziatura per l’incontro con i vescovi del Paraguay. Così come aveva fatto in Ecuador e in Bolivia, è stato un appuntamento privato in un’atmosfera di colloquio familiare. Dopo il pranzo il Papa si è congedato dalla residenza in cui è stato ospitato durante il soggiorno. Nel pomeriggio, a bordo della vettura aperta, Francesco si è trasferito sul lungofiume Costanera per incontrare i giovani, che sono la grande maggioranza di questo popolo: il 75 per cento dei paraguayani ha infatti un’età compresa fra i 9 e i 40 anni. Canti, letture, testimonianze e preghiere hanno scandito i vari momenti in un’atmosfera di festa in cui il vivace clamore — cori da stadio, grandi palloni colorati e altri più piccoli con il rosso, il bianco e il blu della bandiera nazionale, flashmob e musiche per tutti i gusti — ha saputo lasciare spazio al silenzio nei momenti di raccoglimento. Dopo l’arrivo in processione della croce pellegrina, una rappresentazione allegorica della realtà giovanile ha introdotto testimonianze di due ragazzi che contenevano alcune domande. Il Papa, messo da parte il testo preparato, ha pronunciato l’ultimo discorso pubblico del viaggio, intessendo un dialogo con i presenti e chiedendo loro a più riprese di rispondere e di pregare con lui. Ad applaudirlo in un settore riservato — mentre le ombre della sera scendevano sul lungofiume di Asunción illuminato solo dalle torce degli smartphone e dei tablet — settantamila servidores, i volontari che hanno permesso la riuscita di questa tappa paraguayana. Al termine Francesco si è diretto verso l’aeroporto e lungo il tragitto è passato dinanzi al luogo dove, nel 2004, ebbe luogo il più grave incidente civile della storia del Paraguay, quando un incendio distrusse il centro commerciale Ycuá Bolaños, provocando quasi 400 morti e 500 feriti, tra cui molti bambini. Il corteo è rallentato per consentire al Papa di salutare con un gesto della mano i superstiti e i famigliari delle vittime. Klara, i cui parenti sono scampati alla morte, ha voluto essere presente. Insegna la lingua guaraní in un liceo, perché è convinta che l’integrazione del suo popolo si realizzi anche con la conoscenza e il rispetto della cultura delle origini. Un humus nel quale il seme del cristianesimo ha potuto germogliare rigoglioso. Non a caso, quasi il 94 per cento dei paraguayani professa la fede cattolica.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 luglio 2015
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Durante la messa a Ñu Guazú il Papa ricorda che l’annuncio del Vangelo non ha bisogno di strategie o tattiche
Nella casa dell’ospitalità L’ultima messa pubblica del viaggio di Papa Francesco è stata celebrata domenica mattina, 12 luglio, nel campo della base aerea militare di Ñu Guazú. Pubblichiamo una nostra traduzione italiana dell’omelia del Papa. «Il Signore ci darà la pioggia e la nostra terra darà il suo frutto», così dice il Salmo (cfr. 84, 13). Questo siamo invitati a celebrare, quella misteriosa comunione tra Dio e il suo Popolo, tra Dio e noi. La pioggia è segno della sua presenza nella terra lavorata dalle nostre mani. Una comunione che dà sempre frutto, dà sempre vita. Questa fiducia scaturisce dalla fede, sapere che possiamo contare sulla sua grazia, che sempre trasformerà e irrigherà la nostra terra. Una fiducia che si impara, che si educa. Una fiducia che si va formando nel seno di una comunità, nella vita di una famiglia. Una fiducia che diventa testimonianza nei volti di tanti che ci stimolano a seguire Gesù, ad essere discepoli di Colui che
Cammino missionario I contadini provenienti da ogni angolo del Paese, gli indigeni di 17 etnie differenti, le famiglie con i malati, i portatori di handicap, gli anziani, gli adulti, i giovani, i bambini, sono stati presentati al Papa da monsignor Edmundo Valenzuela Mellid, arcivescovo di Asunción, al termine della messa a Ñu Guazú. «Ci sentiamo una Chiesa — ha detto tra l’altro — bisognosa di tornare al Dio di Gesù Cristo; la ricchezza della nostra religiosità popolare ci invita a non lamentarci, nel devozionismo sterile o in una liturgia separata dalla vita». Ci sono varie sfide da affrontare, ha aggiunto il presule, per cercare nuovi spazi pastorali perché Gesù sia conosciuto, amato e seguito come i suoi discepoli missionari. L’arcivescovo ha poi ricordato che sono stati dedicati vari anni di approfondimento alla comunione ecclesiale, secondo il documento di Aparecida, e ha sottolineato che le diocesi del Paese si sono messe su un cammino missionario.
non delude mai. Il discepolo si sente invitato a fidarsi, si sente invitato da Gesù ad essergli amico, a condividere il suo destino, a condividere la sua vita. «Non vi chiamo più servi, vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). I discepoli sono coloro che imparano a vivere nella fiducia dell’amicizia di Gesù. E il Vangelo ci parla di questo discepolato. Ci presenta la carta d’identità del cristiano. La sua lettera di presentazione, le sue credenziali. Gesù chiama i suoi discepoli e li invia dando loro regole chiare, precise. Li sfida con una serie di atteggiamenti, comportamenti che devono avere. Non sono poche le volte che ci possono sembrare esagerati o assurdi; atteggiamenti che sarebbe più facile leggere simbolicamente o “spiritualmente”. Ma Gesù è molto chiaro. Non dice loro: «Fate in qualche modo» o «fate quello che potete». Ricordiamo insieme queste raccomandazioni: “Non prendete per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro... rimanete nella casa dove vi daranno alloggio” (cfr. Mc 6, 8-11). Sembrerebbe qualcosa di impossibile. Potremmo concentrarci sulle parole «pane», «denaro», «borsa», «bastone», «sandali», «tunica». E sarebbe legittimo. Ma mi sembra che ci sia una parola-chiave, che potrebbe passare inosservata di fronte all’impatto di quelle che ho appena enumerato. Una parola centrale nella spiritualità cristiana, nell’esperienza di discepolato: ospitalità. Gesù, come buon maestro, pedagogo, li invia a vivere l’ospitalità. Dice loro: “Rimanete dove vi accoglieranno”. Li manda ad imparare una delle caratteristiche fondamentali della comunità credente. Potremmo dire che il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, che ha imparato ad accogliere. Gesù non li invia come potenti, come proprietari, capi, o carichi di leggi e di norme; al contrario, indica loro che il cammino del cristiano è semplicemente trasformare il cuore, il proprio, e aiutare a trasformare quello degli altri. Imparare a vivere in un altro modo, con un’altra legge, sotto un’altra normativa. È passare dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore. Dalla
logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere e del prendersi cura. Sono due le logiche che sono in gioco, due modi di affrontare la vita e di affrontare la missione. Quante volte pensiamo la missione sulla base di progetti o programmi. Quante volte immaginiamo l’evangelizzazione intorno a migliaia di strategie, tattiche, manovre, trucchi, cercando di convertire le persone con le nostre argomentazioni. Oggi il Signore ce lo dice molto chiaramente: nella logica del Vangelo non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma semplicemente imparando ad accogliere, a ospitare. La Chiesa è madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa, come la voleva Gesù, è la casa dell’ospitalità. E quanto bene possiamo fare se ci incoraggiamo ad imparare questo linguaggio dell’ospitalità, questo linguaggio del ricevere, dell’accogliere! Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto! Per questo bisogna tenere le porte aperte, soprattutto le porte del cuore. Ospitalità con l’affamato, con l’assetato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero (cfr.
Mt 25, 34-37), con il lebbroso, con il paralitico. Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta, e magari per colpa nostra. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse, di cui questa terra paraguaiana è così ricca. Ospitalità con il peccatore, perché ognuno di noi pure lo è. Tante volte ci dimentichiamo che c’è un male che precede i nostri peccati, che viene prima. C’è una radice che causa tanti ma tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite. C’è un male che, poco a poco, si fa un nido nel nostro cuore e “mangia” la nostra vitalità: la solitudine. Solitudine che può avere molte cause, molti motivi. Quanto distrugge la vita e quanto ci fa male! Ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi. Perciò quello che è proprio della Chiesa, di questa madre, non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri. È la fraternità accogliente la migliore testimonianza che Dio è Padre, perché «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). In questo modo Gesù ci apre ad una nuova logica. Un orizzonte pieno di vita, di bellezza, di verità, di pienezza.
Dio non chiude mai gli orizzonti, Dio non è mai passivo di fronte alla vita, non è mai passivo di fronte alla sofferenza dei suoi figli. Dio non si lascia mai vincere in generosità. Per questo ci manda il suo Figlio, lo dona, lo consegna, lo condivide; affinché impariamo il cammino della fraternità, il cammino del dono. È definitivamente un nuovo orizzonte, è una nuova parola per tante situazioni di esclusione, di disgregazione, di chiusura, di isolamento. È una Parola che rompe il silenzio della solitudine. E quando siamo stanchi o ci diventa pesante il compito di evangelizzare, è bene ricordare che la vita che Gesù ci offre risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per l’amicizia con Gesù e per l’amore fraterno (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 265). Una cosa è certa: non possiamo obbligare nessuno a riceverci, ad ospitarci; è certo ed è parte della nostra povertà e della nostra libertà. Ma è altrettanto certo che nessuno può obbligarci a non essere acco-
Il saluto all’Angelus
Vi porto nel cuore Al termine della messa il Pontefice ha recitato l’Angelus, introdotto dalle parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana. Ringrazio l’Arcivescovo di Asunción, Mons. Edmundo Ponziano Valenzuela Mellid, e l’Arcivescovo [ortodosso] del Sudamerica, Tarasios, per le cortesi parole. Al termine di questa celebrazione rivolgiamo il nostro sguardo fiducioso alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Ella è il dono di Gesù al suo popolo. Ce l’ha data come madre nell’ora della croce e della sofferenza. È frutto dell’oblazione di Cristo per noi. E, da allora, è sempre stata e sempre sarà con i suoi figli, specialmente i più piccoli e bisognosi. Lei è entrata nella
trama della storia dei nostri popoli e delle loro genti. Come in molti altri Paesi dell’America Latina, la fede dei paraguaiani è impregnata di amore alla Vergine. Andate con fiducia dalla vostra madre, apritele il vostro cuore, e confidatele le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre speranze e le vostre sofferenze. La Vergine vi consola e con la tenerezza del suo amore accende in voi la speranza. Non cessate di invocare Maria e di confidare in lei, madre di misericordia per tutti i suoi figli senza distinzione. Alla Vergine, che perseverò con gli Apostoli in attesa dello Spirito Santo (cfr. At 1, 13-14), chiedo anche che vegli sulla Chiesa e rafforzi i vincoli fraterni tra tutti i suoi mem-
Telegrammi a capi di Stato Al Excmo. Dr. Horacio Manuel Cartes Jara Presidente de la República del Paraguay Asunción Al dejar Paraguay y continuar mi viaje de regreso a Roma, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra excelencia, renovando de nuevo mi agradecimiento y afecto a ese querido pueblo. Lo llevo en mi corazón y pido al Señor copiosas gracias para todos, que les ayuden a progresar en fraternidad y armonía. FRANCISCO Al Excmo. Sr. Evo Morales Ayma Presidente del Estado Plurinacional de Bolivia La Paz Al sobrevolar el territorio boliviano de regreso a Roma, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra excelencia, reiterando de nuevo mi afecto y gratitud a ese querido pueblo. Los llevo en mi corazón y ruego al Señor abundantes gracias para todos, que les permitan progresar cada día más en una armoniosa convivencia y una paz estable. FRANCISCO
Nella serata di domenica 12 luglio, al termine del viaggio, il Papa si è diretto verso l’aeroporto internazionale Silvio Pettirossi di Asunción, per la partenza alla volta di Roma. Ad attendere il Pontefice c’era il il presidente della Repubblica, Horacio Manuel Cartes Jara, con il quale Francesco si è brevemente intrattenuto prima dell’esecuzione musicale degli inni e del saluto delle delegazioni. L’aereo dell’Alitalia, decollato poco dopo le 19.30, ha Excelentíssima Senhora Dilma Rousseff Presidente da República Federativa do Brasil Brasília Regressando da visita que me levou a encontrar tantos irmãos no Equador, Bolívia e Paraguai, saúdo a vossa excelência desejando ao Brasil um futuro sereno e feliz para seus filhos que recordo com saudades e a quem envio uma propiciadora bênção apostólica. FRANCISCO Excelentíssimo Senhor Jorge Carlos Fonseca Presidente da República de Cabo Verde Praia No regresso da minha visita ao Equador, Bolívia e Paraguai que
sorvolato Bolivia, Brasile, l’Oceano Atlantico, Capo Verde, Marocco e Spagna — per un totale di oltre diecimila chilometri — ed è atterrato a Ciampino verso le 13.40 di lunedì 13. Prima di rientrare in Vaticano il Papa si è recato nella basilica di Santa Maria Maggiore per ringraziare la Vergine del buon esito del viaggio. In aereo il Pontefice ha inviato i seguenti telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati.
vi animados de ardente fé cristã e firme vontade de progresso na justiça aproveito travessia aérea de Cabo Verde para saudar vossa excelência formulando cordiais votos para sua pessoa e inteira nação sobre a qual invoco benevolência divina para que seja consolidada nela esperança e alegria de viver na harmonia e bem-estar de todos seus filhos. FRANCISCO
Sa Majeste Mohammed Roi du Maroc Rabat
VI
Survolant le territoire du royaume du Maroc au retour de mon voyage apostolique en Équateur, Bolivie et Paraguay, je desire saluer votre Majesté et tous les habitants du royaume. Que Dieu
glienti, ospitali verso la vita del nostro popolo. Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto la vita di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere. Com’è bello immaginare le nostre parrocchie, comunità, cappelle, dove ci sono i cristiani, non con le porte chiuse, ma come veri centri di incontro tra noi e Dio. Come luoghi di ospitalità e di accoglienza. La Chiesa è madre, come Maria. In lei abbiamo un modello. Accogliere, come Maria, che non ha dominato né si è impadronita della Parola di Dio, ma, al contrario, l’ha ospitata, l’ha portata in grembo e l’ha donata. Accogliere come la terra che non domina il seme, ma lo riceve, lo nutre e lo fa germogliare. Così vogliamo essere noi cristiani, così vogliamo vivere la fede in questo suolo paraguaiano, come Maria, accogliendo la vita di Dio nei nostri fratelli con fiducia, con la certezza che “il Signore ci darà la pioggia e la nostra terra darà il suo frutto”. Così sia.
accorde au peuple marocain prospérité sociale et spirituelle et le comble de ses benedictions.
FRANCISCUS A su Majestad Felipe VI Rey de España Palacio de la Zarzuela Madrid Al volar sobre el territorio español de regreso a Roma, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra Majestad y a la Reina, así como a todos los hijos e hijas de esas queridas tierras, a los que reitero de nuevo mi afecto, rogando al Señor abundantes dones celestiales que los ayuden a vivir en armoniosa convivencia. FRANCISCO
bri. Con l’aiuto di Maria, la Chiesa sia casa di tutti, una casa che sappia ospitare, una madre per tutti i popoli. Cari fratelli, vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. So molto bene quanto si ama il Papa in Paraguay. Anch’io vi porto nel mio cuore e prego per voi e per il vostro Paese. Ed ora vi invito a recitare l’Angelus alla Vergine. Il Signore vi benedica e vi protegga; faccia risplendere il suo volto su di voi e vi conceda la sua misericordia; volga il suo sguardo su di voi e vi conceda pace. E la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre.
Saluti e testimonianze a Costanera
A sua Eccellenza On. Sergio Mattarella Presidente della Repubblica Italiana Palazzo del Quirinale 00187 Roma Al rientro dal viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay, dove ho potuto incontrare numerosi fedeli e rappresentanti di quelle care popolazioni ammirandone la fede e il desiderio di crescita spirituale e sociale, esprimo a lei, Signor Presidente, il mio cordiale saluto ed assicuro una speciale preghiera per il bene, la serenità e la prosperità dell’intera diletta nazione italiana, alla quale invio la mia affettuosa benedizione. FRANCISCUS
PP.
In un messaggio di risposta, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha fatto pervenire al Pontefice «il più caloroso bentornato» e si è detto certo che «il forte messaggio di speranza» portato dal Papa «abbia toccato il cuore dei numerosi fedeli» dei popoli di Ecuador, Bolivia e Paraguay i quali, ha aggiunto, «sapranno trovare nelle sue parole motivo di fiducia nel futuro».
La risposta di Dio ai giovani «I giovani hanno l’immenso desiderio di combattere gli antivalori che generano la società consumista, massificatrice ed alienante, la cultura dell’edonismo, del conformismo, dell’emarginazione e dell’egoismo». Sono le parole pronunciate da monsignor Ricardo Jorge Valenzuela Ríos, vescovo di Villaricca dello Spirito Santo, incaricato della pastorale giovanile, nel saluto a Papa Francesco durante l’incontro a Costanera. I giovani, ha aggiunto, sognano un Paese nuovo, una nazione fraterna e solidale. Desiderano che il Paraguay non sia segnalato nel concerto delle nazioni per la disonestà e anelano che si costruisca la società non sulla «sabbia» della corruzione, degli antivalori e delle ideologie, ma sulla «solida roccia» del Vangelo, della cultura cristiana e della civiltà dell’amore. Hanno poi preso la parola due giovani: Manuel de los Santos Aguiler, un contadino di Ciudad de San Pedro, e Liz Fretes, della pastorale della gioventù di San Bernardino. Manuel ha raccontato la sua esperienza personale e familiare. Nato in una famiglia povera, ha dovuto cercare lavoro nella capitale, dove è stato sfruttato e maltrattato. Rientrato a casa, ha continuato a lavorare per sopravvivere. La sua situazione era quasi disperata, fino a quando non ha incontrato i ragazzi della pastorale giovanile. Anche la testimonianza di Liz è stata a tratti dai toni drammatici. Sua madre ha sofferto di una grave malattia e lei ha dovuto accudirla, occupandosi anche della nonna. Da questa esperienza Liz ha maturato una particolare sensibilità e apertura agli altri. «La malattia della mia mamma — ha confidato — mi ha fatto maturare ed essere più forte. E oggi continuo a cercare il cammino che Dio vuole per me».
L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 13-14 luglio 2015
Prima di lasciare il Paraguay il Pontefice ha incontrato migliaia di giovani riuniti sul lungofiume Costanera, ad Asunción. Mettendo da parte il testo già preparato, Francesco ha pronunciato il discorso che pubblichiamo in una traduzione italiana. Cari giovani, buon pomeriggio! Dopo aver letto il Vangelo, Orlando si è avvicinato per salutarmi e mi ha detto: “Ti chiedo di pregare per la libertà di ognuno di noi, di tutti”. È la benedizione che ha chiesto Orlando per ognuno di noi. È la benedizione che chiediamo adesso tutti insieme: la libertà. Perché la libertà è un dono che ci dà Dio, ma bisogna saperlo accogliere, bisogna saper avere il cuore libero. Perché tutti sappiamo che nel mondo ci sono tanti lacci che ci legano il cuore e non lasciano che il cuore sia libero. Lo sfruttamento, la mancanza di mezzi per sopravvivere, la dipendenza dalla droga, la tristezza... tutte queste cose ci tolgono la libertà. E allora tutti insieme... ringraziando Orlando che ha chiesto questa benedizione, avere il cuore libero, un cuore che possa dire quello che pensa e quello che sente: questo è un cuore libero!... E questo è ciò che adesso chiediamo tutti insieme, questa benedizione che Orlando ha chiesto per tutti. Ripetete con me [il Santo Padre pronuncia la preghiera frase per frase e i giovani ripetono]: Signore Gesù, dammi un cuore libero. Che non sia schiavo di tutte le trappole del mondo. Che non sia schiavo della comodità, dell’inganno. Che non sia schiavo della “bella vita”. Che non sia schiavo dei vizi. Che non sia schiavo di una falsa libertà, che è fare quello che mi piace in ogni momento. Grazie, Orlando, per averci fatto rendere conto che dobbiamo domandare un cuore libero. Chiedetelo tutti i giorni! Abbiamo ascoltato due testimonianze: quella di Liz e quella di Manuel. Liz ci insegna una cosa. Come Orlando ci ha insegnato a pregare per avere un cuore libero, Liz con la sua vita ci insegna che non bisogna essere come Ponzio Pilato, lavarsene le mani! Liz avrebbe potuto tranquillamente mettere sua mamma in un ricovero, sua nonna in un altro ricovero e vivere la sua vita da giovane, divertendosi, studiando quello che voleva. E ha detto: “No. La nonna, la mamma...”. E Liz è diventata serva, servitrice e, se volete ancora più forte, servente della mamma e della nonna. E lo ha fatto con affetto! A tal punto — diceva lei — che addirittura si sono scambiati i ruoli e lei ha finito per essere la
Ai giovani paraguayani il Pontefice raccomanda di non essere schiavi della comodità e dell’inganno
Cuore libero Fate chiasso e organizzatelo bene perché non faccia disastri mamma di sua mamma, nel modo in cui la curava. Sua mamma, con quella malattia così crudele che confonde le cose. E lei ha bruciato la sua vita, fino ad ora, fino a 25 anni, servendo sua mamma e sua nonna. Sola? No, Liz non era sola. Lei ha detto due cose che ci devono aiutare. Ha parlato di un angelo, di una zia che è stata come un angelo; e ha parlato dell’incontro con gli amici nei fine settimana, con la comunità giovanile di evangelizzazione, con il gruppo giovanile che alimentava la sua fede. E quei due angeli — la zia che l’assisteva e il gruppo giovanile
Questa è una traduzione italiana del discorso consegnato ai giovani. Cari giovani, mi dà grande gioia potermi incontrare con voi in questo clima di festa. Poter ascoltare le vostre testimonianze e condividere il vostro entusiasmo e amore per Gesù. Grazie a Mons. Ricardo Valenzuela, responsabile della pastorale giovanile, per le sue parole. Grazie, Manuel e Liz, per il coraggio nel condividere le vostre esperienze e le vostre testimonianze in questo incontro. Non è facile parlare di cose personali, meno ancora davanti a tanta gente. Voi avete condiviso il più grande tesoro che avete, le vostre storie, la vostra vita e come Gesù è entrato in essa. Per rispondere alle vostre domande mi piacerebbe sottolineare alcune delle cose che avete condiviso. Manuel, tu ci hai detto qualcosa come: “Oggi sento un gran desiderio di servire gli altri, ho voglia di superarmi”. Hai passato momenti molto difficili, situazioni molto dolorose, però oggi hai molta voglia di servire, di uscire, di condividere la vita con gli altri. Liz, non è per nulla facile fare da madre ai propri genitori e ancor meno quando uno è giovane, però, quanta saggezza e quanta maturità ci sono nelle tue parole quando ci hai detto: “Oggi gioco con lei, gli cambio i pannolini, sono tutte cose che oggi offro a Dio, e sto appena restituendo tutto quello che mia madre ha fatto per me”. Voi giovani paraguayani siete davvero coraggiosi! Avete anche condiviso con gli altri come avete fatto per poter andare avanti, dove avete trovato le forze. Ambedue avete detto: “Nella parrocchia”. Negli amici della parrocchia e nei ritiri spirituali che lì venivano organizzati. Due chiavi molto importanti: gli amici e i ritiri spirituali. Gli amici. L’amicizia è uno dei doni più grandi che una persona, che un giovane può avere e può offrire. È vero. Com’è difficile
— le davano più forza per andare avanti. E questo si chiama solidarietà. Come si chiama? [i giovani rispondono: “Solidarietà!”] Quando ci facciamo carico del problema dell’altro. E lei ha trovato lì un’oasi di pace per il suo cuore stanco. Ma c’è una cosa che ci sfugge. Lei non ha detto: “Faccio questo e basta”. Ha studiato. Ed è infermiera. E nel fare tutto questo, l’aiuto, la solidarietà che ha ricevuto da voi, dal vostro gruppo, che ha ricevuto da quella zia che era come un angelo, l’ha aiutata ad andare avanti. E oggi, a 25 anni, ha la grazia che Orlando ci faceva chiedere: ha un cuore libero. Liz mette in pratica il quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Liz esprime la sua vita — la brucia! — nel servizio a sua madre. È un grado altissimo di solidarietà, è un grado altissimo di amore. Una testimonianza. “Padre, allora è possibile amare?”. Qui avete qualcuno che ci insegna ad amare. Primo: libertà, cuore libero. Allora, tutti insieme [con i giovani]: “Primo: cuore libero”. Secondo: solidarietà per accompagnare. Solidarietà. Questo è ciò che ci insegna questa testimonianza. E Manuel non ha avuto una vita facile. Manuel non è un “cocco di mamma”, non è stato un “pupo”; non è stato un bambino e oggi un ragazzo dalla vita facile. Ha detto parole dure: “Sono stato sfruttato, sono stato maltrattato, a rischio di cadere nelle dipendenze... Ero solo”. Sfruttamento, maltrattamenti e solitudine. E invece di fare cose negative, invece di andare a rubare, si è messo a lavorare! Invece di vendicar-
si della vita, ha guardato avanti! E Manuel ha usato una frase bella: “Ho potuto andare avanti, perché nella situazione in cui mi trovavo era difficile parlare di futuro”. Quanti giovani, voi, oggi hanno la possibilità di studiare, di sedersi a tavola con la famiglia tutti i giorni, hanno la possibilità che non manchi loro l’essenziale? Quanti di voi hanno queste cose? Tutti insieme, quelli che hanno questo, dicano: “Grazie Signore!” [giovani: “Grazie Signore!”]. Perché qui abbiamo avuto una testimonianza di un ragazzo che fin da bambino ha saputo che cos’era il dolore, la tristezza, che è stato sfruttato, maltrattato, che non aveva da mangiare e che era solo. Signore, salva i bambini e le bambine che si trovano in questa situazione! E per noi, Signore, grazie. “Grazie Signore!” [giovani: “Grazie Signore!”]. Libertà del cuore — vi ricordate? —, libertà del cuore, quello che ci diceva Orlando. Servizio, solidarietà, quello che ci diceva Liz. Speranza, lavoro, lottare per la vita, andare avanti: quello che ci diceva Manuel. Come vedete, la vita non è facile per molti giovani. E questo voglio che lo comprendiate. Voglio che ve lo mettiate in testa. “Se per me la vita è relativamente facile, ci sono altri ragazzi per i quali non è relativamente facile”. Addirittura, ce ne sono alcuni che la disperazione spinge alla delinquenza, spinge al delitto, spinge a collaborare con la corruzione. A questi ragazzi, a queste ragazze, dobbiamo dire che noi siamo loro vicino, che vogliamo dare loro una mano, che vogliamo aiutarli,
con solidarietà, con amore, con speranza. Ci sono due frasi che hanno detto i due che hanno parlato, Liz e Manuel. Due frasi, sono belle. Ascoltatele. Liz ha detto che ha incominciato a conoscere Gesù, conoscere Gesù, e questo è aprire la porta alla speranza. E Manuel ha detto: “Ho conosciuto Dio, mia fortezza”. Cioè, conoscere Dio, avvicinarsi a Gesù, è speranza e fortezza. E questo è ciò che abbiamo bisogno di trovare nei giovani oggi: giovani con speranza e giovani con fortezza. Non vogliamo giovani “smidollati”, giovani del “fin qui e non di più”, né sì né no. Non vogliamo giovani che si stancano subito e vivono stanchi, con la faccia annoiata. Vogliamo giovani forti. Vogliamo giovani con speranza e con fortezza. Perché? Perché conoscono Gesù, perché conoscono Dio. Perché hanno un cuore libero. Cuore libero! Ripetete! [i giovani ripetono ogni volta] Solidarietà! Lavoro! Speranza! Impegno! Conoscere Gesù! Conoscere Dio mia fortezza! Un giovane che vive così ha la faccia annoiata? [“No!”] Ha il cuore triste? [“No!”] Questa è la strada! Però per questo ci vuole sacrificio, bisogna andare controcorrente. Le Beatitudini che abbiamo letto poco fa sono il progetto di Gesù per noi. Ed è un progetto controcorrente. Gesù vi dice: «Beati i poveri in spirito». Non dice: “Beati i ricchi, quelli che accumulano soldi”. No. I poveri in spirito, quelli che sono capaci di avvicinarsi e comprendere chi è un povero. Gesù non dice: “Beati quelli che se la passano bene”, ma dice: “Beati quelli che hanno la ca-
Alla larga dal venditore di fumo vivere senza amici! E notate che sarà una delle cose più belle che Gesù dice: «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). Uno dei segreti più grandi del cristiano si radica nell’essere amici, amici di Gesù. Quando uno vuole bene a qualcuno, gli sta accanto, se ne prende cura, lo aiuta, gli dice quello che pensa, sì, ma non lo abbandona. Così si comporta Gesù con noi, non ci abbandona mai. Gli amici si sopportano, si accompagnano, si proteggono. Così è il Signore con noi. Ci sopporta. I ritiri spirituali. Sant’Ignazio fa una famosa meditazione chiamata delle due bandiere. Descrive da un lato la bandiera del demonio e dall’altro la bandiera di Cristo. Un po’ come due squadre con maglie diverse, e ci domanda in quale ci piacerebbe giocare. Con questa meditazione, ci fa immaginare come sarebbe appartenere a una o all’altra squadra. Sarebbe come domandarci: Con chi vuoi giocare nella vita? E dice Sant’Ignazio che il demonio per reclutare giocatori promette a quelli che giocheranno con lui ricchezza, onori, gloria, potere. Saranno famosi. Tutti li adoreranno. D all’altra parte, ci presenta lo stile di gioco di Gesù. Non come qualcosa di fantastico. Gesù non ci presenta una vita da stelle, da celebrità, ma al contrario ci dice che giocare con Lui è un invito all’umiltà, all’amore, al servizio verso il prossimo. Gesù non ci mente. Ci prende sul serio. Nella Bibbia, il demonio viene chiamato il padre della menzogna. Quello che ti prometteva, o meglio ti faceva credere che facendo determinate cose saresti stato felice. E poi ti rendevi conto che non eri per niente felice, che eri andato dietro a qualcosa che lungi dal procurarti la felicità, ti ha fatto sentire più vuoto, più triste. Amici: il diavo-
lo è un “venditore di fumo”. Ti promette, ti promette, ma non ti dà nulla, non mantiene mai nulla di ciò che promette. È un cattivo pagatore. Ti fa desiderare cose che non dipendono da lui, che tu le ottenga o no. Ti fa riporre la speranza in qualcosa che non ti renderà mai felice. Questo è il suo gioco, la sua strategia. Parlare molto, promettere molto e non fare nulla. È un gran “venditore di fumo” perché tutto quello che ci propone è frutto della divisione, del competere con gli altri, dello schiacciare la testa agli altri per ottenere le nostre cose. È un “venditore di fumo” perché, per raggiungere tutto questo, l’unica strada è mettere da parte i tuoi amici, non sopportare nessuno. Perché tutto si basa sull’apparenza. Ti fa credere che il tuo valore dipende da quanto possiedi. Al contrario, abbiamo Gesù, che ci offre il suo gioco. Non ci vende fumo, non ci promette apparentemente grandi cose. Non ci dice che la felicità si trova nella ricchezza, nel potere, nell’orgoglio. Al contrario. Ci mostra che la strada è un’altra. Questo Direttore Tecnico dice ai suoi giocatori: Beati, felici i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, quelli che lavorano per la pace, i perseguitati per la giustizia. E termina dicendo loro, rallegratevi per tutto questo (cfr. Mt 5, 1-12). Perché? Perché Gesù non ci mente. Ci indica una via che è vita e verità. Egli è la grande prova di questo. È il suo stile, il suo modo di vivere la vita, l’amicizia, la relazione con il Padre. Ed è ciò a cui ci invita. A sentirci figli. Figli amati. Lui non ti vende fumo. Perché sa che la
felicità, quella vera, quella che riempie il cuore, non si trova nei vestiti costosi che indossiamo, nelle scarpe che ci mettiamo, nell’etichetta di una determinata marca. Egli sa che la felicità vera sta nell’essere sensibili, nell’imparare a piangere con quelli che piangono, nello stare vicini a quelli che sono tri-
sti, nel dare una mano, un abbraccio. Chi non sa piangere, non sa ridere e pertanto non sa vivere. Gesù sa che in questo mondo di così tanta competizione, invidia e aggressività, la vera felicità deriva dall’imparare ad essere pazienti, a rispettare gli altri, a non condannare né giudicare nessuno. Chi si arrabbia perde, dice il proverbio. Non consegnate il cuore alla rabbia, al rancore. Felici coloro che hanno misericordia. Felici coloro che sanno mettersi nei panni dell’altro, che hanno la capacità di abbracciare, di perdonare. Tutti abbiamo qualche volta sperimentato questo. Tutti in qualche occasione ci siamo sentiti perdonati. Com’è bello! È come tornare in vita, è come avere una nuova opportunità. Non c’è niente di più bello che
pacità di affliggersi per il dolore degli altri”. E così di seguito... Io vi raccomando di leggere dopo, a casa, le Beatitudini, che si trovano nel capitolo quinto di San Matteo. In che capitolo sono? [giovani: “Quinto”] Di quale Vangelo? [“San Matteo”]. Leggetele e meditatele, che vi farà bene. Voglio ringraziare te, Liz; ti ringrazio, Manuel; e ti ringrazio, Orlando. Cuore libero, così dev’essere. E devo andarmene... [giovani: “No!”]. L’altro giorno, un prete per scherzo mi ha detto: “Sì, Lei continui pure a dire ai giovani di fare chiasso, continui pure... Ma poi, il chiasso che fanno i giovani dobbiamo gestirlo noi!”. Fate chiasso, ma aiutate anche a gestire e organizzare il chiasso che fate. Fate chiasso e organizzatelo bene! Un chiasso che ci dia un cuore libero, un chiasso che ci dia solidarietà, un chiasso che ci dia speranza, un chiasso che nasca dall’aver conosciuto Gesù e dal sapere che Dio, che ho conosciuto, è la mia fortezza. Questo è il chiasso che vi invito a fare. Dato che conoscevo le domande, perché me le avevano date prima, avevo scritto un discorso per voi, per darvelo, ma i discorsi sono noiosi..., e così lo consegno al Vescovo incaricato della Gioventù, perché lo pubblichi. E ora, prima di andarmene, [“No!”] vi chiedo: primo, di continuare a pregare per me; secondo, di continuare a fare chiasso; terzo, di aiutare a organizzare il chiasso che fate perché non faccia disastri. E tutti insieme adesso, in silenzio, eleviamo il cuore a Dio. Ognuno nel suo cuore, a bassa voce, ripeta le parole: Signore Gesù, ti ringrazio perché sono qui. Ti ringrazio di avermi dato fratelli come Liz, Manuel e Orlando. Ti ringrazio di avermi dato tanti fratelli che sono come loro, che ti hanno incontrato, Gesù, che ti conoscono, Gesù, che sanno che Tu, loro Dio, sei la loro fortezza. Gesù, ti prego per i ragazzi e le ragazze che non sanno che Tu sei la loro fortezza, e che hanno paura di vivere, paura di essere felici, hanno paura di sognare. Gesù, insegnaci a sognare, a sognare cose grandi, cose belle, cose che anche se sembrano quotidiane sono cose che allargano il cuore. Signore Gesù, dacci fortezza, dacci un cuore libero, dacci speranza, dacci amore, e insegnaci a servire. Amen. Ora vi do la benedizione e vi chiedo, per favore, di pregare per me, e di pregare per tanti ragazzi e ragazze che non hanno la grazia che avete voi di aver conosciuto Gesù, che vi dà la speranza, vi dà un cuore libero e vi rende forti.
avere nuove opportunità. È come se la vita cominciasse di nuovo. Per questo, felici quelli che sono portatori di nuova vita, di nuove opportunità. Felici quelli che lavorano per questo, che lottano per questo. Sbagli ne facciamo tutti, errori, a migliaia. Per questo, felici quelli che sono capaci di aiutare gli altri nei loro errori, nei loro sbagli. Che sono veri amici e non abbandonano nessuno. Essi sono i puri di cuore, quelli che riescono a vedere oltre le contrarietà immediate e superano le difficoltà. Felici quelli che vedono soprattutto il buono che c’è negli altri. Liz, tu hai nominato Chikitunga, questa Serva di Dio paraguayana. Hai detto che era come tua sorella, tua amica, il tuo modello. Ella, come tanti altri, ci mostra che il cammino delle Beatitudini è un cammino di pienezza, un cammino possibile, reale. Che riempie il cuore. Essi sono i nostri amici e modelli che hanno ormai terminato di giocare in questo “campo”, ma diventano quei giocatori indispensabili che uno osserva per dare il meglio di sé. Essi sono la prova che Gesù non è un “venditore di fumo”, che la sua proposta è di pienezza. Ma, soprattutto, è una proposta di amicizia, di vera amicizia, quell’amicizia di cui tutti abbiamo bisogno. Amici nello stile di Gesù. Però non per rimanere in noi stessi, ma per andare “in campo”, per andare a fare altri amici. Per “contagiare” l’amicizia di Gesù nel mondo, dovunque vi trovate, al lavoro, nello studio, nel divertimento, in whatsapp, facebook o twitter. Quando andate a ballare, o bevendo una buona bibita. In piazza o giocando una partita nel campo del quartiere. Là è dove stanno gli amici di Gesù. Non vendendo fumo, ma con perseveranza. La perseveranza di sapere che siamo felici, perché abbiamo un Padre nei cieli.