“La vita è imprevedibile, imparare a danzare con lei è un’arte”. Ringrazio tutti coloro che hanno creduto in me aiutandomi a realizzare questo sogno. Particolarmente preziosi per questo progetto sono stati i commenti e le correzioni di Alexandra, Aurora, Eusebia, Jenny, Jessica, Lilli, Martina e Sabina.
Un ringraziamento particolare va a mio marito e ai miei figli il cui sostegno e la cui pazienza sono stati fondamentali.
CHIARA PELOSSI-ANGELUCCI
DI PANCIA, DI CUORE … DA RIDERE Servizio BOOK ON DEMAND di: Impaginazione e copertina: Grafica Elettronica srl Redazione: Rosangela Torella per Grafica Elettronica Prima edizione novembre 2011 Seconda edizione dicembre 2011 Terza edizione marzo 2012 Quarta edizione gennaio 2013 Ogni riferimento a fatti, persone o luoghi è da ritenersi puramente casuale. © Chiara Pelossi-Angelucci 2011 chiara.pelossi@yahoo.com www.chiarapelossi.com Tutti i diritti riservati. È vietata per legge la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’autore.
commento … “Ho imparato un sacco di cose interessanti”, dice la protagonista nella prima pagina del romanzo.
Eppure tutto deve ancora cominciare … il lettore capisce subito che tipo è Lina, e subito indovina che finirà nei guai. Intorno a lei si muove un vortice di personaggi spassosi, inquietanti, bizzarri e però sempre in qualche modo veri. Lina pensa di aver imparato un sacco di cose, ma la vita le dimostrerà che non è così, che le sorprese sono appena cominciate. “Di pancia, di cuore … da ridere” è una storia che ci appartiene, sembra che a raccontarcela sia un vecchio amico, dopo un aperitivo o alla fine di una cena ben innaffiata, sembra che i personaggi siano gente che conosciamo, vicini di casa o parenti. Proprio per questo il romanzo avvince con un tocco di famigliarità, senza dimenticare di stupirci con un tocco di follia … così è la vita, in fondo, con i suoi alti e bassi, ma sempre sorprendente. E, nel tuo romanzo sempre divertente … Andrea Fazioli, scrittore
Giovedì 1 Che notte! Mi sono girata e rigirata nel letto fino ad impanarmi con il piumino. È finalmente ora di alzarmi e ne sono ben felice, per una volta! Mi trascino in bagno, alzo gli occhi per guardarmi allo specchio e quello che vedo non mi piace affatto. Due occhi rossi come quelli del Bianconiglio, gonfi come quelli di Bart Simpson, mi fissano imperterriti alla ricerca di un riconoscimento. Sono io quella? Ho solo ventitré anni, ma ne dimostro almeno dieci in più, ho i capelli spalmati sul cranio e, dulcis in fundo, un brufoletto giallo polenta che fa bella mostra di sé in mezzo alla fronte. Forse una doccia calda mi ridarà un po’ di colorito. Levo il pigiama e, con orrore, mi ritrovo a fissare le mie gambe che, nella notte, a mia insaputa, si sono ricoperte nuovamente di peluria. Non ho proprio voglia di depilarmi, stavolta li lascerò crescere selvaggi ancora un po’. In fondo potrei usare questa tecnica come una prova del nove: se un uomo, vedendomi in questo stato, mi dicesse che il mondo senza di me non sarebbe più lo stesso, penserei che è vero amore.
Mi vesto senza troppa cura. Il mio lavoro è bello anche per questo: non devo arrovellarmi tutte le mattine alla ricerca di qualcosa di giusto da mettermi, basta una tuta da ginnastica. Lavorare in una palestra non è mai stato un mio sogno, ma la paga non è male e la gente che la frequenta si è rivelata, per un certo periodo, una scuola di vita: ho imparato un sacco di cose interessanti. Guardo l’orologio a cucù appeso in cucina, unico ricordo dei miei nonni. Cavoli, sono già le otto! A lasciar vagare i pensieri si è fatto tardi, devo sbrigarmi, mi resta giusto il tempo per bere un caffè. Sotto casa mia c’è un minuscolo bar che si chiama Barattolo, il nome calza a pennello. La fauna che popola questo micromondo è un esempio di integrazione fra esseri più o meno normali, a partire dal suo titolare Franky. Franky si occupa di tutto: serve, pulisce, elargisce consigli di ogni tipo a chi ne ha bisogno e anche a chi non chiede nulla. In verità si chiamerebbe Rodolfo, ma tutti lo chiamano così a causa di una vaga somiglianza con il mostro di Frankenstein: sulla sua fronte si potrebbe disputare un campionato di tris. Ha l’avance facile, il batacchio veloce e ci prova con ogni donna incondizionatamente. Sarà anche per quello che il bar è così frequentato: tutte le single attempate della zona si danno appuntamento qui. Tengo a precisare che io, qua dentro, non ho mai mollato niente, a parte qualche puzzetta. Mi piazzo al bancone al solito posto. Franky mi nota e mi chiede se voglio il “solito”, che consiste in un cappuccino con brioche alla crema di vaniglia. Il caffè è sicuramente il più schifoso servito in paese e le brioches hanno visto tempi migliori, ma sono fermamente convinta che il mio sistema immunitario debba restare in allenamento, così ci vengo tutti i giorni. Inoltre i prezzi sono buoni. Frankino mi serve la colazione e attacca: “Ciao Lina, come va stamattina?” Mi fa la stessa domanda ogni giorno. “Non ho dormito molto bene, per il resto ok, e tu?” “E chi ha dormito stanotte?”, esclama lui. “Perché, anche tu hai dormito male?” “Ma va’, dai, ho reso un’altra donna felice, un’altra baby nella rete, ormai!”
“Beata lei”, mormoro io sarcastica. “Se vuoi ti faccio fare un giro sulla giostra, baby”. “No grazie, ora devo andare”. “Per te sempre a disposizione, e gratis, ovviamente!”, conclude lui ridendo. Perché, si fa anche pagare? Non glielo chiedo, lascio i soldi sul tavolo e mi avvio al lavoro. La palestra dista 20 minuti, ma in bicicletta ci metto meno della metà. Vado fiera del mio mezzo, me l’hanno regalato i miei. Il capo qua dentro non lo si vede quasi mai, se ne sta nel suo ufficio all’ultimo piano e controlla tutto sui monitor. Ha fatto piazzare telecamere un po’ ovunque e sia i dipendenti che i clienti vengono filmati 24 ore al giorno. Ovviamente la palestra di notte è chiusa e mi chiedo perché non spengano il circuito. Non essendo affari miei, ed essendo lui parecchio strano, mi guardo bene dal fare osservazioni inutili. Lo stabile occupato dalla palestra è molto bello, noi siamo al pianterreno, al primo piano c’è un grande salone da parrucchiera e sopra ancora un istituto di bellezza. Tutto appartiene allo stesso padrone. Lo stile richiama alla mente Las Vegas, con le insegne al neon e due enormi statue a forma di sfinge davanti al parcheggio. Mi sento sempre molto importante quando varco la soglia per entrare nell’impero del tricipite. Mi avvio all’armadietto che è situato nel retro della reception. All’entrata, ad accogliere i clienti e i potenziali clienti, c’è Sally: bella, alta, con un push-up che sfida la forza di gravità e tutta incredibilmente soda. Io, invece, non rientro nella categoria da vetrina: sono alta 1,55 e l’unica cosa che posso vantare di altrettanto sodo sono le uova nel frigo. L’ufficio dove lavoro ha due postazioni ed è situato davanti alla salamacchine, con vista sul sudore altrui grazie ad un vetro-specchio come quelli utilizzati nei film polizieschi per gli interrogatori: noi vediamo loro che si allenano, mentre loro si guardano allo specchio. Spesso mi diverto a guardare la gente che cerca di ottenere un bel fisico, ma ci sono giorni in cui soffro in silenzio per loro.
La mia collega si chiama Laura. Assieme ci occupiamo della parte amministrativa di tutto lo stabile: palestra, salone da parrucchiera e istituto di bellezza. Entro e mi siedo alla mia postazione, Laura è già al lavoro. “Buongiorno, che brutta cera hai stamattina, non stai bene?”, mi chiede preoccupata. “No, tutto ok”. mento, non ho voglia di parlare. “Non avrai pensato a Sandro tutta la notte, spero!” Sandro è il mio ex ragazzo, oddio… la mia ultima avventura. Di lavoro fa il maestro di scuola guida e, fra un cambio di marcia e l’altro, c’è scappata anche una frizionatina al mio didietro e una palpatina al resto. Ci siamo divertiti per due lunghissime settimane, ma non appena ho preso la patente non l’ho più sentito. La mia unica consolazione è quella di non avergli pagato le ultime lezioni. Beh, almeno non in modo convenzionale! “Assolutamente no! Hai preso la posta? C’è qualche novità?” “No, niente. Hai voglia di andare a vedere al baby-sitting se Darlene ha bisogno?” “D’accordo, a dopo”. Talvolta, quando c’è poco lavoro, aiuto la nurse al baby-sitting. I bambini… con quella loro andatura da ubriachi e le loro uscite così dirette e innocenti, mi sembrano strani esseri ai quali manca la ragione. In effetti, ogni tanto farli ragionare è la cosa più difficile, specialmente quando vogliono seguire la mamma a lezione di spinning o altro e ti tocca placcarli come meglio riesci, magari in stile wrestling-mania, ovviamente continuando a sorridere. Quando poi ti prendono a calci e pugni e ti insultano, mentre tu li devi pure rassicurare, è agghiacciante! Ma io ho una tecnica infallibile, copio Mary Poppins: gli faccio fare qualcosa di utile per tenerli occupati. Ad esempio li porto a riordinare le scarpe dei clienti negli spogliatoi, a cambiare le salviettine nei bagni e a volte, se sono proprio bravi, li porto nel mio ufficio a spiare la gente che si allena e a giocare al computer. Questa solitamente è l’attività che piace di più.
Ogni tanto qualche mamma si lamenta, ma in fondo non faccio niente di male. Anzi, a mio avviso, responsabilizzarli facendo svolgere loro qualche semplice lavoretto è forse il regalo più grande che gli si possa fare, e poi… mica gli faccio pulire i gabinetti! Eccomi arrivata al baby-sitting, una stanza piacevole con le pareti tutte azzurre e scaffalature piene di giocattoli. “Ciao, hai bisogno stamattina? Sono libera”, chiedo entrando. “Tu sei sempre libera, eh?” Questa simpaticona è Darlene, una bella tedescona che lavora qui dai tempi dell’apertura. Si occupa del baby sitting di giorno e insegna body-pump la sera. Si mormora che se la intenda con il capo, ma nessuno li ha mai beccati. Sally della reception sostiene che Darlene, per quello che fa, prende una paga da capogiro. Beata lei! Forse è per questo che dei salari si occupa direttamente il boss. “Stamattina ho solo un bambino, ci sarebbe però da ordinare la merce dei distributori automatici. Hai voglia di farlo tu?” “Figurati, adoro quelle graziose macchinette”, rispondo, e mi avvio verso il mio compito. Con un po’ di fortuna qualche merendina si sarà incastrata e io potrò avere la seconda colazione gratis. I distributori sono istallati nell’atrio che collega le varie sale di macchinari in modo che i palestronauti possano nutrirsi durante le loro pazze rincorse al fisico perfetto. Ce ne sono tre: uno di bibite e preparati energetici, uno di barrette e alimenti powerizzanti e uno di generi vari, che è il mio preferito. Inizio dall’ultimo. Prendo il formulario e mi accorgo che in effetti c’è qualcosa di incastrato: un pacco mignon di preservativi alla fragola. Ma chi compra preservativi in palestra? Vabbè, già che ci sono darò uno spintone, sperando abbiano una lunga scadenza. Sto strattonando la macchinetta, e sono piuttosto affannata, quando sento qualcuno che parla da dietro: “Bisogno di una mano?” Mi giro e ci metto un attimo a realizzare che questo pezzo di carne lessata, tutto rosso e sudato, sta parlando con me.
“No, grazie, nessun problema. Sto cercando di liberare qualcosa di incastrato”. “Aspetti, le do volentieri una mano”. Detto fatto: il tipo sferra un calcione alla macchinetta che sputa direttamente a terra il pacco di preservativi ed anche un piccolo set con dentifricio e spazzolino da denti. Carne lessa guarda la merce e guarda me. Deve essersi fatto delle strane idee perché quando riprende a parlare ha una voce del tipo: lo so io cosa ci fai con staroba! “Lavori qui?”, mi chiede passando dal lei al tu. “Sì, grazie per l’aiuto”, taglio corto. “Figurati, se hai bisogno di usare quella roba fammi un fischio, sono in sala pesi”, mi strizza l’occhio e se ne va. Come d’abitudine sono diventata tutta rossa. Arrossire e andare in panico sono ormai diventati miei amici quotidiani, da un po’ di tempo a questa parte. Qui lo sanno tutti che ogni tanto ho bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Se mi vedono correre verso l’uscita mentre mi tengo la gola nessuno osa fermarmi. Vorrei vedermi mentre lo faccio, per rendermi conto di come mi sfiguro. Una volta ho provato a guardarmi nello specchietto del fard mentre correvo, ma non ha funzionato. Continuo il mio lavoro intascandomi anche due barrette super-energetiche e una Coca-Cola. Sono contenta del mio gruzzoletto di merce; in fondo questo non è rubare; qualcuno questi prodotti li aveva pagati e poi non si è lamentato. Riempio i formulari e salgo in ufficio per faxarli alla ditta fornitrice. “Già finito con i piccoli mostri?”, mi chiede Laura da dietro il suo computer. “Sì, ce n’era solo uno. Così mi sono occupata dei distributori. C’è qualcos’altro da fare?” “No, giornata fiacca, leggiti pure il giornale o fatti un giro per la palestra. Io ho da fare”. Dopo più di un’ora di giornale e parole incrociate sono decisamente stufa, mi alzo e mi avvicino a Laura.
“Che stai facendo?” “Sto guardando gli abiti da sposa in internet, vieni a vedere! Ce ne sono di quelli veramente stupendi”. Laura sta per sposarsi, o meglio, desidererebbe sposarsi con il suo eterno fidanzato Matteo. Lui fa il contabile ed è un fustacchione alto 1,90 con capelli ribelli e mani grandi. Per ora lui sembra essere afflitto da strani casi di sordità temporanea, che si presentano puntualmente durante le discussioni in merito al matrimonio. Laura però non demorde e trovo sia da ammirare: ogni settimana guarda e riguarda decine di siti che parlano di matrimoni. Da quando lavoro qui Laura è diventata anche un’amica, ogni tanto le elargisco qualche consiglio su come farsi sposare, ma per ora niente. Mi avvicino al computer, do una sbirciatina al monitor e commento: “Caspita che bei modelli, mi piace quello”, indicandole un abito molto sobrio con piccole applicazioni di fiori di pesco. “Quello? No dai, a me piacciono quelli voluminosi, con strascico e volant”. “Ma così finirai per sembrare una meringona gigante”. “Perché, ti sembro ingrassata?” “Ma no, figurati!”, alzo gli occhi al cielo senza che lei mi veda e tento di cambiare discorso. “Ho fame, che ore sono?” “Ora di pranzo, dove vai a mangiare?” “Mi sono portata un panino, vorrei fare due passi e finire di leggere l’Harmony che mi ha prestato mia mamma”. “Io vado con Matteo, ci vediamo dopo, ciao”.
2 Timbro il cartellino ed esco; mi ci vuole proprio una boccata d’aria fresca.
Dietro alla palestra c’è un praticello soleggiato con alcune panchine, sembra un locus amoenus. Peccato che poco distante ci sia una piccola discarica abusiva e che i cani lo usino volentieri come gabinetto. Il viale per raggiungere le panchine sembra una costellazione di cacche canine; la settimana scorsa mi è parso addirittura di vedere l’orsa maggiore. Mi accomodo sulla panchina più soleggiata e tiro fuori il mio panino. Apro il libro e inizio a leggere: “… lui le prese il seno fra le mani e le sussurrò parole d’amore, la penetrò elei, vergi ne, soffrì in silenzio, ed ebbe il suo primo orgasmo…”. Lo richiudo di scatto, che scemenza! Mi sono stufata di leggere queste fesserie. Ma come farà la mamma a continuare a comprarne imperterrita? Questo mi fa pensare alla mia famiglia, che è una strana accozzaglia di persone. Se non fossero imparentate fra loro, probabilmente nemmeno si guarderebbero. I miei sono risparmiatori, ecologisti e comunisti convinti. Il mio vero nome sarebbe Stalina, ma solo in pochi ne sono venuti a conoscenza. Me ne vergogno un po’, anche se tutto sommato credo sia comunque meglio di quello di mia cugina: Benita. È facile intuire perché non abbiamo mai trascorso il Natale a casa degli zii. Mamma e papà non comprano nulla se non è strettamente necessario e molto spesso, prima di fare acquisti, fanno un giro nei depositi comunali. Mio padre ripete in continuazione: “Non sai quante cose nuove buttano via questi capitalisti spreconi, sarebbero tutti da multare”. Mia madre, dal canto suo, invece di andare per negozi come tutti gli altri, si diverte a rubare nei vari orticelli nei dintorni di casa loro. Di notte esce con la scusa di portare a spasso il cane incontinente e torna con la spesa. Tutti nel quartiere si meravigliano dei furti e la principale occupazione da qualche mese a questa parte è quella di cercare di indovinare di quale animale si tratti. A nessuno è venuto in mente che possa essere un umano. I miei, ovviamente, fanno buon viso a cattivo gioco e sostengono di aver visto un cerbiatto aggirarsi in zona. Io alterno fasi di consumismo sfrenato a fasi di risparmio esagerato; dipende dall’umore. Tutto sommato mi sento una via di mezzo fra i miei e il resto del mondo.
Mio fratello Lucio, invece, è il re del consumismo: compra di tutto e di più. Lui sostiene che essere cresciuto con tutta quella roba usata gli ha fatto venire un complesso di inferiorità e che ora ha bisogno di recuperare il tempo perso e ritrovare il suo ruolo nella società capitalista. In verità ha trovato una moglie piena di soldi. La tipica cocca di papà, nullafacente, con doppio mento e pancetta incorporati. Insieme si sono riprodotti ed hanno una coppia di gemelli di otto anni che sono uno spettacolo. La fortuna è che per guardarli non devi nemmeno pagare il biglietto. Ecco, mi sono di nuovo persa a riflettere! È tardi e devo rientrare. Se il capo, che noi chiamiamo Boss, mi becca, mi tocca sorbirmi la solita ramanzina davanti a Sally la ricezionista, che mi guarda compiaciuta. Lei è di una puntualità disarmante, poi però se ne sta tutto il giorno a rifarsi il trucco e le unghie. Forse lo farei anche io se avessi un solo neurone sperduto nel cranio e una bella sesta con cui pavoneggiarmi. In verità la invidio alla grande: ogni volta che la guardo per bene mi verrebbe voglia di rifarmi le tette. Purtroppo non ho né i soldi né il coraggio. Tutto quel silicone! E se poi va a finire che fa la muffa come ai bordi delle vasche da bagno? Arrivo trafelata, ma ancora entro il tempo limite. Il pomeriggio scorre velocemente. Ho finalmente trovato del lavoro da fare: devo riordinare l’archivio, gettare le vecchie schede d’iscrizione e sistemare le restanti in ordine alfabetico. Alle cinque ho già finito e posso tornarmene a casa. Passo davanti al “Barattolo”, e intravvedo Gianna, la mia migliore amica, seduta al bancone. Gianna abita nella mia stessa palazzina. Siamo andate a scuola insieme ed è la migliore migliore amica del mondo: è più brutta di me, più grassa di me, più sfigata di me… insomma, un sogno! Sono una carogna, lo so, ma almeno quando giriamo insieme e qualcuno ci guarda, sono praticamente sicura che sia per me. Entro, le vado incontro e le chiedo: “Ciao tesoro, cosa ci fai qui? Hai già finito di lavorare?” Gianna lavora in un centro estetico ed è un’estetista specializzata in cerette. Il suo motto è più sei vellutata più sarai ammirata. Per arrotondare lavora anche a casa, nel fine settimana.
Non avrei mai pensato che il settore pellicce umane potesse far guadagnare tanto: la gente spende un sacco di soldi per liberarsi dei peli superflui. Ogni tanto mi racconta qualche aneddoto e ce la spassiamo un sacco. “Ho finito presto stasera. L’ultima cliente ha disdetto e così eccomi qui a bere un Crodino con Frankino. Come ti è andata la giornata?” “Bene! Dai, finisci che andiamo su da me”.
3 Gianna sale con me e decidiamo di farci un piatto di spaghetti. Il mio appartamento è un monolocale, ha una cucina tanto piccola che ricorda quella dei camper e un bagno molto carino, tutto giallo. Il colore ha la sua utilità: non vedi le macchie di pipì se qualcuno non mira la tazza. Il pezzo forte dei miei 35 metri quadri è una bellissima finestra che illumina il locale in maniera divina. Con la macchina da cucire mi sono fatta una varietà di tende che cambio a seconda del mio stato d’animo o della stagione. Inoltre, con la stoffa rimanente, ho cucito delle gonne molto trendy. Sul fronte mobilia, toglietevi dalla testa l’arredamento Ikea: pulito, lineare, con spazio e soluzioni per tutte le necessità. Il mio “abitacolo” è piuttosto un’ammucchiata di mobili ormai giunti al capolinea che ho gentilmente salvato dalla discarica. L’insieme è un po’ etnico o un po’ baraccopoli… dipende dai punti di vista. Mentre ceniamo ci aggiorniamo sulle rispettive giornate. “Sono stanca morta, oggi ho strappato almeno 2 kg di peli, non ne potevo più!” “Ma non avevi frequentato il corso di specializzazione per il viso?” “Sì, in effetti sto cercando delle cavie sulle quali provare le varie tecniche”. “Non ci pensare nemmeno! Io i brufoli e i punti neri me li schiaccio da sola”. “Guarda che non si tratta solo di quello, ora sono anche designer di sopracciglia”, mi spiega Gianna convinta. “Designer? Sembra una cosa seria”.
“Sì, ne sono molto contenta. E tu, novità? Ti ha chiamato mister Frizione?” “No, per fortuna, sono stufa di queste storielle”. “Ma lui era divertente, o almeno questo era quello che mi raccontavi”. “Sì, lo era, ma ora voglio trovare un vero uomo e provare ad avere un rapporto decente”. A cena finita decidiamo di non uscire, stasera ho proprio voglia di un amore alla Jane Austen. Un amore che prima va bene, poi va male ed alla fine è un trionfo. Adoro i racconti di quella donna: tutti patimenti e sospiri! Inoltre nei film ci mettono sempre dei bei ragazzotti in abiti d’epoca: sono divini. L’unico neo di queste serate è che poi non riesco a dormire, mi immedesimo così tanto che il mio cuore palpita all’infinito. Sogno Darcy, rivedo le scene nella mia mente, mi immagino il sequel e mi chiedo perché una donna così all’avanguardia non ci abbia mai pensato. Per almeno 48 ore mi sento tremendamente romantica, fragile e in preda ad uno stordimento totale. Ovviamente la nostra scelta per stasera è proprio Orgoglio e pregiudizio. Alle dieci Gianna si congeda e va a casa. Io mi infilo nel mio bel lettino e penso che al posto delle luci potrei usare le candele: mi conferirebbero un non so che di molto ottocentesco e risparmierei notevolmente.
Venerdì 4 Mi sveglio, mi preparo e scendo per la solita colazione. “Ciao bellezza, il solito?”, mi grida Franky. “No, oggi vorrei una brioche integrale ed un caffè d’orzo”. Chissà se anche Elizabeth faceva colazione così. “Sei sicura di stare bene dolcezza? Hai due occhi!” “Sto benone grazie, ieri sera ho visto troppa tele”.
“Una bimba come te non dovrebbe starsene a casa a guardare la tele da sola, io potrei darti una mano a far passare il tempo”. Aggiunge la solita strizzatina d’occhio che, a mio avviso, è decisamente un gesto repellente, ma che sembra essere ormai un must nel suo repertorio da rimorchio. “Ma non ero sola tesorino, c’era Darcy con me!”, gli rispondo. “E chi è sto Darcy?” Mi serve la colazione e, prima che possa rispondere, viene chiamato da un altro cliente. Io posso consumare, lasciare le monete sul bancone ed uscire indisturbata in direzione lavoro. Stamattina ho voglia di passeggiare perciò non prendo la bicicletta. Cammino in modo molto romantico e tengo la schiena dritta, la mia ex-maestra di balletto sarebbe fiera di me. Mi sento molto austera. Giunta a destinazione non mi accorgo che un cane, uno di quelli della costellazione, ha lasciato fuori asse una bella bomba. Purtroppo non la noto e mi riempio le scarpe alla grande. In una frazione di secondo, la giovin donzella lascia spazio allo scaricatore di porto che è in me e, tra un’imprecazione e l’altra, cerco di ripulire la mia povera scarpa lamentandomi ad alta voce. “Ma porca…, chi lascia sganciare il suo cane qua deve essere un bel pezzo di…”. Sento qualcuno che ride e alzo la testa. Davanti a me c’è un esemplare di uomo trottola. Io li chiamo così quelli con gambe sottili, vitino da vespa e spalle da carro armato. Questo genere di maschio frequenta la palestra una volta al giorno se non di più, per tutto l’anno. Inizialmente hanno uno sguardo normale ma, quando la trasformazione è definitiva, ho l’impressione che assumano tutti uno sguardo vacuo e la “S” sibilante. Saranno gli anabolizzanti. Chissà se quello che dicono sulle loro prestazioni sessuali è vero. La roccia umana mi guarda con tenerezza e mi dice: “Non prendertela, oggi avrai una giornata fortunata; almeno così si dice”. Ridacchia di gusto ed entra in palestra. Salgo in ufficio e trovo Laura trafelata con tutti i mobili sottosopra. “Che succede stamattina, pulizie di primavera?”
Laura mi guarda un po’ incazzata e risponde: “Stamattina presto è passato Boss dicendo che quando controlla questo ufficio con la sua telecamera non vede niente! Ha preparato una mappa per la distribuzione dei mobili ed ora ci tocca riordinare tutto come vuole Sua Signoria”, e qui si blocca perché, come qua dentro tutti sanno, a volte Boss mette anche i microfoni per sentire se i suoi collaboratori tramano contro di lui. Se dovessi fare una diagnosi del suo comportamento, direi che si situa al confine tra la mania di controllo e la paranoia. Sorrido bonaria, non sono l’unica ad avere delle fisse! “Dai che ti prendo un caffè alla macchinetta, vedrai che poi in un attimo sistemiamo sto trasloco”. Lavoriamo molto diligentemente sia la mattina che il pomeriggio e Boss si dice soddisfatto: ora vede tutto. A fine giornata non ho più nulla di urgente da fare e decido di stare un po’ in ufficio a navigare in Internet. La mamma, che è fissata con gli avanzi, mi ha chiesto di cercarle un testo che parli delle varie muffe del cibo. Vorrebbe sapere se alcuni alimenti si possono ricuocere e mangiare senza lasciarci le penne. Non riesco a trovare un accidente sull’argomento e perdo un sacco di tempo fra un sito e l’altro. Verso le otto sono stufa marcia, proprio come il cibo di mamma, e voglio tornare subito a casa. Prima di uscire faccio il giro dei locali. In sala pesi non c’è più nessuno. Stasera gioca la nazionale e nemmeno i più accaniti si sono fatti vivi dopo le sette. È proprio bella la palestra quando è vuota. Naturalmente, oltre a Jane Austen, mi piacciono i film di danza. I miei preferiti sono Scarpette Rosse, Flashdance e Dirty Dancing. Dell’ultimo conosco ogni scena a memoria ed ogni volta che lo guardo l’emozione è la stessa. In fondo, quello che capita a Baby è il sogno di ogni donna: lei è bruttina, ha un naso che la befana si sogna, capelli di stoppa, gambe ben tornite ed è una secchiona, ma riesce ugualmente a far innamorare il bellone del villaggio vacanze. Una volta sono stata anche io in un villaggio vacanze con i miei, in Marocco, e l’unico animatore passabile col quale sono riuscita a parlare è stato quello che ha soccorso mamma durante un mezzo annegamento in piscina.
La sala dell’aerobica è una figata, tutta specchi e sbarre. Mi azzardo a fare due passi di danza e la cosa mi prende: mi metto a ballare come una matta. Ora sono Baby e mi scateno! Dopo circa un quarto d’ora sono sudata fradicia e i polmoni faticano a stare al ritmo. Mi accorgo di avere una gran fame perciò mi appresto a finire il giro in fretta, ancora la nursery e poi a casa. Quando mi avvicino sento però degli strani rumori, la porta è semiaperta e allora mi allungo a sbirciare. Orrore! In un secondo ho definitivamente perso sia l’innocenza ottocentesca che l’aria da saputella di Baby e sono ripiombata nella realtà. In mezzo alla sala, sul tappeto di Winnie Pooh, tra Pimpi e Tigro, vedo Boss e Darlene tutti presi dalla cavallina. “Oh Boss! Con tuo Blutwurst mi fai impazzire! Di più, di più!” In una scena agghiacciante vedo Boss che cerca, con tutto il suo metro e sessanta, di accontentare la tedescona assetata. Che schifo! Nonostante la curiosità, non posso restare a guardare un attimo in più e me la do a gambe.
5 Mentre cammino verso casa rifletto sull’episodio che ho appena visto e mi rendo conto di quanto sia vuota la mia vita: lavoro e casa, bar e casa, Gianna e casa, che palle! Non voglio fossilizzarmi alla mia età, sarà meglio che mi dia una mossa, se non voglio finire i miei giorni in questo modo. Quando mi sento così, e ultimamente succede abbastanza spesso, non faccio un bel niente. Mi deprimo e trascorro un paio di giorni sul divano in una finta-malattia per non andare al lavoro, ma siccome sono una persona molto onesta, alla fine mi ammalo davvero. C’é perfino stato un periodo nel quale, non appena leggevo su una rivista di questo e quel sintomo, immancabilmente mi venivano tutti i mali del mondo. Allora ho smesso di comprare riviste impegnate come Starbene & Co.; ora compro solo la guida TV oppure la rubo a Franky nell’inserto del venerdì.
Stasera però mi va di esagerare: mi avvio verso casa dei miei! Forse potrei fare due passi con la mamma e farmi consolare un pochino. La porta è chiusa. Suono il campanello e mamma mi apre vestita in modo alquanto strano. “Ciao mamma, ma cosa ti sei messa addosso?” “Oh tesoro, questa? È una tuta speciale che mantiene il calore corporeo, così risparmiamo sul riscaldamento: sudo come in una sera d’estate, è una bellezza”. A me ricorda quelle tute dimagranti che vendono per corrispondenza, ma mi astengo dal fare commenti. “Sono passata perché sono un po’ giù di corda e pensavo di fare due passi con te. Ma prima mi offri qualcosa da mangiare che sia commestibile?” Mamma mi precede in cucina. Nel corridoio incontro papà che indossa la stessa tuta; mi sembrano due astronauti senza casco. “Houston, we have a problem?”, dico a papà, che mi guarda ridendo e risponde: “No, we just risparm sul petroleum”. Gran senso dell’umorismo quest’uomo, sono fiera di essere sua figlia. “Mi sorge spontanea una domanda, dad, se il materiale con il quale siete vestiti è sintetico… allora è petroleum”. “Ti prego, non dirlo alla mamma che sennò se ne inventa una nuova. Ora vado a vedere il secondo tempo della partita. Sudo come un maestro di sumo, qua dentro c’è un bel microclima”. Raggiungo la mamma in cucina; sta riscaldando qualcosa di marrone sul fuoco. Mentre aspetto che la brodaglia sia calda, guardo fuori dalla finestra e noto che un nuovo macchinario fa bella mostra di sé vicino all’orto. È nei colori fluo che si usavano negli anni ’80. “Avete comprato un nuovo tosaerba? Che bello, di quel colore non ne avevo mai visti”. “Sì, papà l’ha portato a casa oggi”. “Non sarà mica nuovo!?”, chiedo scandalizzata.
“Ah, ah, siediti che ti servo la zuppa”. Mamma è un’artista della non-risposta. “Mmh che buona, cosa c’è dentro?” Dopo che ho formulato la domanda me ne pento amaramente, mai chiedere gli ingredienti a casa dei miei. “È una pasta e fagioli. Sai che carino l’orologiaio all’angolo?” È frustrante parlare con lei. “Cosa c’entra l’orologiaio all’angolo ora?”, chiedo spazientita. “I fagioli me li ha dati lui”, risponde mamma tutta fiera. “Coltiva fagioli? Non mi sembra un tipo da pollice verde”. “Ma no, sciocchina, sono quelli che ha usato per fare la vetrina lo scorso Natale. Li toglieva e io glieli ho chiesti”. Non riesco a crederci, quella vetrina esponeva i fagioli incollati a mo’ di grappolo già in autunno. Oddio, mi sta avvelenando! Mi strozzo con il boccone. “Ma sei matta mamma, la colla è velenosa!” “Orsù tesoro, cosa vuoi che sia una piccola diarrea ogni tanto! In fondo anche tenere pulito l’intestino è una cosa importante; finisci di mangiare che portiamo fuori Piciotto, mi sembra nervoso. E poi papà e io l’abbiamo già mangiata e stiamo benone”. “Non ho più fame. Usciamo, dai!” Mamma prende il cane ed il guinzaglio, ma non accenna a cambiarsi. “Esci così?” “Certo il set è completo di scarpe termiche e giaccone”. La guardo costernata, mi sembra un Power Ranger in modalità bianco e nero. Mi vergogno da morire, ma ormai sono qua ed ho proprio bisogno di conforto. Le racconto di come mi sento vuota, senza una meta, con un lavoro che mi sembrava entusiasmante ed invece si sta rivelando una noia mortale. Credevo di crescere professionalmente e personalmente, ed invece sono al punto di partenza.
Mamma mi guarda solennemente e se ne esce con un: “Ce l’ho io un lavoro per te, perché non ci ho pensato prima? Iscriviti a Greenpeace e diventa attivista! Salvare le balene, salvaguardare il pianeta, è questo quello che ti ci vuole. E poi hanno quelle belle magliette che ti danno gratis”. Mamma è fissata con le magliette di Greenpeace. Anni fa mia cugina Benita trascorse un’estate in un campo organizzato da loro, causando un grande dolore ai suoi, e quando tornò regalò magliette a tutti. Queste resistettero così a lungo che mamma ne fu commossa. Ora le ha cucite tutte insieme e ci ha confezionato una protezione per gli infissi delle finestre. “Sì, l’idea è carina, l’unico neo è che soffro il mal di mare e prima di soccorrere la balena dovrebbero soccorrere me. Pensavo a qualcosa di meno glorioso, di più semplice da realizzare in questo momento”. “Certo che sei complicata, io alla tua età… bla, bla, bla…” Non la sto più ad ascoltare. Sono proprio una cretina, al posto di passare per via dei matti numero tre potevo andare a casa, farmi un bagno e leggere un bel libro. Mi faccio passare le paturnie e la riaccompagno. Mi congedo, torno più veloce che posso alla mia tana e vado a letto. Non so se sia l’effetto della colla dei fagioli oppure della stanchezza, ma mi addormento di schianto, felice che domani sia sabato!
Sabato 6 Il primo pensiero di stamattina è che ho bisogno di un bel taglio di capelli. In fondo questa è una terapia magnifica per chi sente di non avere niente sotto controllo: i capelli posso ancora domarli a mio piacimento, almeno credo. È sabato e Gianna conosce una parrucchiera che lavora in casa a prezzi stracciati. Chissà, forse se avessi un lavoro che mi soddisfacesse pienamente, il sabato e la domenica diventerebbero due giorni di agonia da occupare in attesa del lunedì. Mi vesto con calma e sono felice di non dovermi pettinare.
Scendo da Franky, ho appuntamento con Gianna verso le dieci per il solito caffè. “Ciao Lina, cos’hai messo in testa? Un toupet?” “Sì, era di mio nonno. Quando ti serve te lo presto!” “No, grazie, non è del mio colore, io sono biondo miele”, sghignazza Frankino. “Un simpaticone, ecco cosa sei!” “Ti porto il solito o sei ancora in periodo integrale?” “Il solito, anzi doppio”. “Sento aria di depressione, forse avresti bisogno di un vero uomo al tuo fianco, per esempio me stesso. Che ne dici, pupa?” “Dico che stamattina reggo solo un caffè, grazie”. Franky si allontana e mi prepara la consumazione, Gianna non è ancora arrivata e così mi siedo ad un tavolino. Non ho voglia che Franky origli tutto il tempo le nostre discussioni. Il sabato pomeriggio si riuniscono qui da lui le vecchiette per bersi la solita “bella tazza di tè” e lui si dà al gossip spifferando tutte le novità dei suoi avventori. Ecco Gianna che arriva tutta bella. Oddio, forse non proprio bella, ma stamattina sono così giù che qualsiasi cosa mi sembra più bella di me. Appena mi vede si avvicina. “Dov’eri ieri sera? Sono uscita con Raffy e ci siamo divertite come non mai. Ho provato a chiamarti decine di volte, ma il cellulare era spento. Ho pensato che si fosse fatto vivo mister pistone”. “Ma quale mister pistone! Ero un po’ giù ed ho deciso di fare un salto dai miei, ma è stato ancora peggio. Alla fine mi sono cacciata a letto”. “Vabbé dai, stasera c’è il compleanno di Laura, ci vieni vero?” “Oddio, me ne ero completamente dimenticata; non ne ho proprio voglia! Vederla tutta la settimana in ufficio e anche il sabato sera, mi sa che è troppo”. “Non fare la noiosa dai, magari incontreremo qualcuno di simpatico; e poi ho già un’idea per il regalo, indovina?” “Un libro di strategie coniugali: Come farsi scopare dopo dieci anni dimatrimonio?”
“No, scema! Anche se sarebbe una buona idea. Pensavo all’abbonamento semestrale a Sposa di Maggio”. “Certo che sei originale!” Lei fa l’ordinazione e poi le chiedo di mettersi in contatto con la sua amica parrucchiera che, fortunatamente, dice di avere un buchetto proprio adesso, così ci avviamo a casa sua e ne usciamo un’ora dopo. Mi sono sempre chiesta il perché! Perché quando vai dal parrucchiere, e ingenuamente credi di uscirne migliorata, in realtà ne esci sempre più concia di prima. E poi quale strana lingua parlano questi esseri dalle mani di forbice? Sono entrata con il mio polipo ed ora ne esco con un tonno in scatola. Mi ha tagliato i capelli corti! Io le avevo chiesto la solita spuntatina e lei me li ha accorciati così tanto che quando mi guardo vedo il Dottor Spock di Star Trek. È vero, lui aveva fascino da vendere, ma io, conciata così, mi sento come quando avevo 12 anni. Decidiamo di andare in centro a fare compere, l’idea regalo per Laura è stata bocciata e io ho urgente bisogno di un cappello! Mi piace il centro, ci sono tanti bei negozi nei quali puoi toccare tutto e far impazzire le commesse. Ogni tanto cerco di scambiare i cartellini dei prezzi, ma non sempre ci riesco. Quando se ne accorgono ci faccio proprio una magra figura, ma d’altronde in qualche modo bisogna pur iniziare a risparmiare nella vita. La prima cosa che facciamo è entrare nel negozio di ombrelli e cappelli. “Buongiorno signorine posso aiutarvi?” Mi giro per guardare la commessa e noto qualcosa di vagamente famigliare nel viso un po’ allungato, nelle narici in vista e nei grandi occhi spalancati. Ma certo, assomiglia a Furia cavallo del West! Dopo qualche istante però si rivela essere tanto gentile da farmi vergognare di aver pensato una cosa così cattiva. In fin dei conti non è che io sia Miss Italia. Scelgo un bel cappello nero in velluto, con sopra dei pesci colorati, che mi sta proprio bene. Sto lentamente familiarizzando con il mio nuovo taglio di capelli e cerco di non sussultare ogni volta che vedo quella sconosciuta in uno specchio.
Continuiamo il giro ed entriamo in un grande magazzino di standard superiore in cerca del regalo per Laura. Ci dirigiamo al reparto casalinghi. “Allora cosa le prendiamo? Un colino?” Che idea, da dove mi sarà venuta? “No, dai smettila di scherzare, prendiamole una bella candela”. L’idea viene approvata e ne scegliamo una a forma di calla; in fondo è pur sempre in tema matrimoniale. Usciamo dal regno indiscusso della casalinga e sono appena le due. “Ci prendiamo qualcosa da mangiare? Sono già stanca”, mi dice Gianna in tono lamentoso. Entriamo in un piccolo bar, ordiniamo due panini e due bibite da asporto e ci avviamo verso casa. “A che ora è la festa?”, chiedo a Gianna che sta sbranando il suo panino. “Verso le sette; non cenare mi raccomando, ci saranno anche pizzette e altre cose”, mi risponde fra un assalto e l’altro. “Wow, ha fatto le cose in grande!” “Beh, i trent’anni non si festeggiano tutti i giorni, ha fatto bene. Cosa ti metti?” “Quello che capita e tu?” Io faccio sempre finta che i vestiti non ricoprano un gran ruolo nella mia vita, ma non è affatto vero. Sarò un pochetto contorta, ma mi sento molto cool a non rivelare le mie angosce da armadio aperto. “Rigorosamente nero lo sai, devo nascondere i difetti come meglio posso, magari stasera troviamo il principe azzurro”. Nel frattempo siamo arrivate davanti a casa mia. “O magari trovi Shrek. Vieni a bere un caffè Fiona?” “No grazie, devo ancora riordinare l’appartamento. Ci vediamo alle sei e mezza qua sotto, ci sarà anche Raffy. A dopo!” “Ciao”.
Salgo, mi sdraio sul divano e mi addormento.
7 Mi sveglio di soprassalto e ci metto un attimo a capire che ore sono, dove sono e chi sono. Guardo l’orologio e sobbalzo: le sei! Vado in bagno a fare pipì e mi guardo nello specchio. Dopo una breve riflessione decido che con un po’ di gel potrei anche assomigliare a Demi Moore in Ghost. Scolpisco i miei capelli con impegno e alla fine sono soddisfatta. Ora la vestizione, che cosa mi metto? Non fa freddo, non piove, non fa caldo e non si suda. Queste considerazioni sul tempo mi costano ben 5 minuti e sono già le sei e venti. Sarà meglio che mi metta subito qualcosa, Gianna si arrabbia molto quando non sono puntuale, il che succede praticamente sempre, e poi mi tocca sentire le sue lamentele per mezz’ora. Mi infilo una mini di jeans, una maglia nera e gli stivali da cavallerizza. Sono pronta in perfetto orario e scendo. Eccole che arrivano, sono vestite da Grande Soirée: Gianna indossa un vestito nero con spacco e decolté, Raffy un bellissimo completo pantalone con ballerine coordinate. Io, che fino ad un attimo fa ero soddisfatta delle mia scelta, ora mi sento la cowgirl della situazione, ma ormai non c’è più tempo per andare a cambiarsi. Almeno potevano dirmelo! Arriviamo alla festa puntuali. La porta d’entrata della casa è bellissima, addobbata come una torta glassata. Suoniamo e Matteo ci apre. “Ciao ragazze, come siete belle! Accomodatevi, Laura è in salotto”. “Grazie”, risponde Gianna, che è decisamente la più educata delle tre. Laura è assolutamente incantevole. Indossa ovviamente un vestito rigorosamente bianco. Ci saranno già almeno 20 persone e al nostro ingresso tutti si voltano. Gli altri invitati sono vestiti in modo elegante, ma io fingo di non notarlo e, con disinvoltura, mi avvio a salutare Laura che ci fa cenni con la mano. “Auguri, sei bellissima. Il bianco ti dona!”
“Grazie e benvenute. In cucina è pronto il tavolo con il buffet, servitevi pure. Fate come se foste a casa vostra”. Rispondiamo un “grazie” in coro e ci disperdiamo fra la folla. Vorrei chiedere a Laura di prestarmi un paio di ballerine, almeno mi sentirei un pochino meno fuori luogo, ma è attorniata di gente e non voglio fare la rompiscatole appena arrivata. Così oso e decido di salire al piano di sopra, dove spero ci sia una scarpiera. Lascio Raffy e Gianna alle prese con il buffet e vado in missione. Quando faccio queste cose pericolose mi sento tutta eccitata: il mio cuore inizia a galoppare (decisamente in tema con gli stivali), le mie mani diventano meravigliosamente idratate dal sudore in eccesso e, al posto di camminare veloce e silenziosa, mi muovo maldestra come se fossi telecomandata da un vecchio ubriaco. Sono stata in questa casa solo altre due volte, ma dovrei farcela; scale a ore dodici, inizio la salita. Pianerottolo libero, ora quale sarà la camera di Laura e Matteo? Apro la prima porta e Bingo! Davanti ai miei occhi c’è un letto a baldacchino, inutile dirlo, bianco, con tanto di zanzariera decorata con fiorellini di tutti i colori. Wow, hanno anche la stanza del guardaroba e un bagno tutto loro, fantastico! Curioso qua e là e noto che il letto sembra fatto di panna montata, devo assolutamente provarlo! Mi ci siedo di slancio e affondo. Sul comodino sono posati in bella vista diversi libri; non resisto alla tentazione e ne prendo uno. Inizio a leggere e mi dimentico sia dove sono che il perché ci sono arrivata, finché sento uno scroscio di risa provenire da sotto e mi riprendo dal trip. Ma che sto facendo? Molto 007! Anche lui finiva sempre a letto… con qualcuna, però. Rimetto a posto i libri, ma mentre lo faccio mi cade la sveglia e le batterie rotolano sotto il letto. Che sfiga! Mi abbasso e tento di recuperarle, ma non le vedo, perciò mi spingo un po’ più sotto. Sono praticamente finita sotto il letto, quando da fuori sento il ringhio di un cane. Ma certo, mi ero dimenticata del cagnetto di Laura: un bastardino di taglia mignon piuttosto irascibile. Il dolce quadrupede mi annusa incuriosito e si sofferma sui miei stivali. Spero non mi faccia pipì addosso, li ho pagati cari, sono di vera pelle.
Il tesorino decide invece che è ora della monta e così si allaccia ai miei stivali e inizia la cavalcata, che schifo! Di istinto scalcio e tento di rialzarmi, ma picchio una bella testata e, come se non bastasse, mi si incastrano i capelli nella rete. Mi lacrimano gli occhi dal dolore e sto chiamando a raccolta tutti i santi del paradiso. Sento spalancarsi la porta e mi si blocca il fiato in gola. Chi sarà mai? Che figuraccia! “Chi c’è sotto il letto? Cosa succede qui? Bouquet, lascia stare la gamba, via sciò!” “Matteo, sono Lina. Aiutami, per favore”. “Lina? Che ci fai sotto il letto?” Matteo è in compagnia di qualcuno ed entrambi scoppiano a ridere. Una vampata di adrenalina mi fa diventare tutta rossa e mi metterei a piangere dalla vergogna, ma voglio conservare un briciolo di compostezza. “Aiutami, ti prego, sono salita per andare al gabinetto, quello di sotto era occupato, ho perso un orecchino entrando e mi è finito sotto il letto, ora mi si sono incastrati i capelli e non riesco a liberarli”. Finalmente posso respirare. Matteo fra una risata e l’altra mi risponde di stare tranquilla. “Prova a muovere piano la testa, funziona?” “No, sono bloccata”. La persona che accompagna Matteo riesce a malapena a parlare fra una risata e l’altra. Mi accorgo che è una voce maschile molto bella e rassicurante, che propone di spostare il materasso e di liberarmi i capelli da sopra. “È un’ottima idea”, ribatte Matteo, e si mettono a disfare il favoloso letto principesco. In un attimo mi liberano. Finalmente posso uscire dalla mia prigione e guardare in faccia i miei eroi. Il proprietario della bella voce risulta essere un ragazzo sulla trentina con dei lineamenti piacevoli e capelli neri. Matteo ci presenta, si chiama Andrea. “Come stai, tutto bene, niente di rotto?”, mi chiede con fare gentile, mentre cerca di smettere di ridere. “Tutto ok grazie, ora vado in bagno a darmi una rinfrescatina e poi scendo”.
“Sicura di stare bene?”, mi chiede Matteo mentre guarda l’orologio. “Io devo scendere, è ora di tagliare la torta e se non rispetto la tabella di marcia sono finito. Andrea, ci pensi tu a Lina per favore?”, dice dirigendosi verso la porta. Dal bagno sento Andrea che risponde: “Ci penso io, vai pure. Sistemo il letto e l’aspetto”. Matteo scende, io mi guardo nello specchio e mi rendo conto di non avere nemmeno messo gli orecchini stasera. Speriamo non se ne accorgano. Per fortuna Andrea sembra un ragazzo gentile, esco dal bagno e lo trovo carponi sul letto che cerca di sistemare la trapunta. Oltre ad essere premuroso noto che ha anche un bel didietro. “Ehi, bisogno una mano?”, gli chiedo imbarazzata “Sì, grazie, non sono molto bravo con i letti doppi”, risponde Andrea. Ma bene! Vuol dire che è single. “Grazie a te! Se non fosse stato per voi due a quest’ora probabilmente sarei ancora là sotto”. “Hai trovato l’orecchino almeno?” “No, e così ho deciso di togliere anche l’altro”. Bugiarda! “Sarà meglio che ci sbrighiamo sennò non resterà nemmeno una fetta di torta per noi, sono un golosastro”. Sistemiamo tutto e scendiamo. Riuniti in salotto, attorno al tavolo sul quale troneggia una torta Saint Honorè con almeno 200 beignet e un kg di panna, troviamo tutti gli invitati. Le mie amiche mi fulminano con lo sguardo appena entro e mi sembra di leggere nei loro pensieri “che fine hai fatto e quello chi è?” Mi avvicino a loro e Andrea mi segue. C’è il solito rito della canzoncina e poi ci tuffiamo in quella fantastica orgia glicemica. Prendo la mia fetta e mi siedo sulle scale in giardino, Andrea mi raggiunge e ci mettiamo a chiacchierare tranquillamente.
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