Daniela Binacci
TENTAZIONE in rosa shocking
Romanzo
Tentazione in rosa shocking Copyright © 2015 Daniela Binacci Immagine stock by deviantart Progetto grafico a cura di: Giovanna Profilio
© A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
Questo libro è un’opera di pura fantasia. Nomi, personaggi, dialoghi, luoghi e avvenimenti sono frutto unicamente dell’immaginazione e della libera espressione artistica dell’autrice. Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, luoghi, nomi o persone reali, viventi o defunte, è puramente casuale e non intenzionale.
A F. la tentazione più bella della mia vita. L’unica a cui io non abbia saputo, potuto, voluto resistere. L’unica divenuta amore vero.
“L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi: resistete e la vostra anima si ammalerà di nostalgia, per le cose che si è vietata; di desiderio, per ciò che le sue mostruose leggi hanno reso mostruoso e fuori legge.”
(Oscar Wilde, da Il ritratto di Dorian Gray)
«Io respiro quando sono con te. Quando mi hai trovato ero spento, finito. E solo. Mi hai ridato la vita. La passione. I colori. Sei il mio sole. Sei tu il mio futuro.» «Io… sono quella che sono. Non ho mai preteso di essere qualcun altro. Non ho mai tolto gli artigli per nessuno. Amare una persona significa mettersi nelle sue mani e questo mi terrorizza. Ho creduto di vedere la mia anima riflessa nella tua, ma la verità è che non sono fatta per il paradiso.» «Sei fatta per me. E io sono fatto per te.» «Qualunque cosa significhi?» «Significa che mi sono innamorato. Di te. Semplice.» «Nessuno s’innamora di me. Io sono solo… una tentazione.» «La più bella della mia vita. L’unica a cui io non abbia saputo, potuto, voluto resistere. L’unica divenuta amore vero.» «Allora sarebbe questo l’amore» accenna un sorriso, agli angoli della bocca. Poi abbassa lo sguardo, scuote la testa. «No. Il Principe Azzurro non s’innamora mai della Regina Cattiva.» «Mhm. Sono stato sposato con la Regina Cattiva. L’originale» sorrido. «Purtroppo mi ero perso, cercando la mia Principessa. Poi, però, ti ho trovata finalmente» sospiro. «L’ho fatto anch’io. Negare l’amore, intendo. A volte serve, ma non farlo durare troppo. Io ho fame di te.»
1 «Avete visto che movimento? Fluido, morbido, elegante. L’espressione della gratitudine e della felicità.» «Dio, ha un Lato B che ulula proprio.» «Un vero schianto. E, poi, ti guarda in un modo… come se ti desiderasse ed è una cosa che mi fa impazzire.» «A me ha fatto l’occhiolino e le ho offerto la colazione.» «Io il pranzo e le ho lasciato il mio numero.»
«Io ho solo visto sparire spillatrice e post-it.» «Già. Dietro una nuvola tossica di Gucci-Tarocco-Qualcosa.» «Tra l’altro, qualcuno dovrebbe spiegarle che ricrescita non vuol dire shatush.» «Voi donne. Più acide di uno yogurt scaduto e perennemente in competizione. Ma non vi stancate mai?» «Sempre meglio che sbavare e scodinzolare indistintamente come voi altri. Uomini. Così prevedibili.» «Dovete cambiare prospettiva, care colleghe. Bisogna andare oltre le apparenze, se si vuole conoscere sul serio la verità.» «Che sarebbe…?» «Il nostro non è un mero sbavare o scodinzolare fine a se stesso. In realtà, siamo in religiosa contemplazione di fronte a una divinità.» «Una vera Dea.» «Incantatrice.» «Tentatrice.» «E voi sareste il suo manipolo di seguaci… eccitati?» «Adoranti, semmai.» «Giorgio… pure tu? Guardati, sei tutto rosso. Chiazzato. E sposato. Da un anno.» «Sì, ma niente di serio.» Non resisto più e scoppio a ridere come un matto. Questo siparietto è iniziato più o meno due settimane fa quando in agenzia è arrivata la nuova stagista, Susanna Mieli. Noi siamo tutti colleghi storici e la nuova arrivata ha inevitabilmente calamitato l’attenzione generale. Persino quella di Giorgio “Zerbino Innamorato” Bonelli. Sconvolgente. «Mi ha guardato.» «No, sta guardando me.» «Sbagliato. Quegli occhioni da cerbiatta hanno appena incrociato i miei.»
Secondo me sta cercando di capire cosa sia rimasto al distributore automatico che stiamo piantonando da tipo mezz’ora. Infatti, eccola che arriva. La folla si apre in due, come le acque del Mar Rosso. Lei avanza, regalando sorrisi. In cinque si lanciano addosso al distributore per offrirle qualcosa. Qualunque cosa. «Buongiorno ragazzi. Siete sempre così gentili» arriccia il naso mentre accetta un caffè ciok e dei Loacker, rifiutando un cinema, un concerto e Mattia Schicchi che le ha appena propinato IL MUSICAL DI RAPUNZEL??? Ma dai, siamo seri. Doveva portarci sua figlia, di 6 anni! Un tentativo veramente disperato. La vedo impressionata. Mh, però dissimula bene. Poi, con un colpo di chioma, si volta dall’altro lato. «Buongiorno anche a voi colleghe» sorride. E che sorriso. Wow. Sembra persino spontaneo. E luminoso. «Buongiorno» sputano quasi le altre, all’unisono. Tripudio di sguardi inceneritori. Sembrano delle belve che si studiano, in una puntata di Quark. Io suggerirei la fuga. «Buongiorno… Dottor Della Torre.» Troppo tardi. La Dea alza un sopracciglio. E mi guarda. Sembra in attesa di qualcosa. Che poi, tanto per chiarire: a) Non sono un dottore e b) Mi chiamo Dario. Un nome corto, semplice che ha pure un suo perché. «’Giorno» sorrido. O almeno credo. Ha il vizio di guardarti fisso negli occhi quando ti parla. È una cosa che destabilizza. Magari sta cercando di pietrificarmi. Mh, però che begli occhi nocciola che ha… Medusa. «Ehm» mormora, inumidendosi le labbra. Sembra sul punto di dirmi qualcosa. Poi, però, il suo sguardo cambia. Fa una mezza smorfia di disappunto, sospira e si allontana. Devo essermi perso qualcosa molto probabilmente. Mamma mia che caldo improvviso. Sto bruciando proprio! Mi guardo la camicia. Eh no, cazzo! Rita 110 (chili) mi ha appena rovesciato addosso una roba incandescente. Ma porca…
«Oddio scuuuuuuuuusa!» si dispera, tamponando la chiazza in espansione con un malloppo di carta indefinito. «Tranquillo, è una tisana. Sono solo erbe» tenta di rassicurarmi, agitando pericolosamente il termos omicida sotto il braccio. «Depurative, aromatiche, rilassanti, diuretiche, balsamiche, rinfrescanti…» Ma è una tisana o un vivaio? Senti che odore… «È tutto a posto, sul serio» la convinco a staccarsi dalla mia povera camicia, lasciandola al suo triste destino. Mi defilo in bagno per stabilire l’entità del danno. Sono davanti allo specchio. Tonalità preponderante: verde cicoria. A occhio e croce, sembro uno a cui è esploso addosso un frullato misto di verdure. Fantastico. Oggi ho pure il collaudo con Miami Vice… Cristo santo che giornatina e sono appena le dieci e un quarto. Però, va be’, in fondo lui è un tipo tranquillo, considerato che è uno dei clienti megagalattici dell’élite stellare dell’agenzia. E che gira armato di una carta di credito Gold. E di una Platinum, di riserva. Ma basta che lo vedi, vestito da “Sonny Crockett 30 anni dopo” e ti mette subito allegria. Sorrido come uno scemo davanti allo specchio. Sì, però questa camicia deve sparire. Mi vibra lo smartphone. Whatsapp. Serena.
Ehi Mister D. …missing? Eri alle macchinette, ma poi sei sparito… Pranziamo insieme oggi? C’è anche il dolce: ho fatto i cookies! So che ti piacciono tanto... A dopo. Muah.
Ecco fatto. Ci mancavano i mattoni di cioccolato. Criticare i dolci cucinati o, per meglio dire, assemblati, da Serena è quasi come sparare sulla croce rossa. L’ultima torta che il dottor Frankenstein ha propinato all’ufficio ho impiegato una settimana a digerirla. Io che mando giù pure i sassi. Un paio di colleghi si sono messi in malattia. Era così densa da avere una consistenza quasi umana. La glassa sembrava fatta col cemento. Se fosse caduta in terra avrebbe scheggiato il pavimento… sicuro. Vibra di nuovo. Altro messaggio. Skype. Rita 110.
Scuuuuuuuuuuuuusa! Oddio, mi dispiace un sacco! Ma vedrai che con un bel lavaggio a 90° torna come nuova! Senti, per farmi perdonare, ti posso invitare a pranzo? Ho fatto una rustica che è la fine del mondo… Fammi sapere. Buon lavoro.
Beh, Rita 110 cucina che è una bomba. Spacca proprio. La sua rustica, poi, è leggendaria. Mmm ho già l’acquolina. No, cazzo! Se mangio in ufficio mi toccano i mattoni di Serena, sennò quella poi chi la regge. Che palle, però. Notevole questa straordinaria concentrazione di sfiga cosmica già di lunedì mattina. Grazie mille universo. Sei un amico.
2 «Buongiorno Miss Ricrescita.» Mh, fantastico. Barbie Luce di Stelle. «Buongiorno anche a te, Serena. Ti presento lo shatush» sorrido. «Il mio coiffeur lo odia. Secondo lui, fino a qualche anno fa se incontravi una tipa con 10 cm di ricrescita, a meno che non fosse stata una ventenne, l’avresti guardata inorridita pensando a quanto fosse sciatta e trascurata. Oggi, invece, tutti gridano “allo shatush”» enfatizza con quell’insopportabile voce stridula. «Un alibi perfetto per le persone sciatte e trascurate» mi squadra dalla testa ai piedi. «Fossi in te proverei con un bel nero. Corvino. Almeno sfina» mi fa l’occhietto. Stronza. Fino alle punte di quei capelli spelacchiati. «Hai portato quelli?» indico la massa informe ammucchiata nel gigantesco contenitore al quale gira avvinghiata. «Hai rispolverato il “Dolce Forno”? Mmm chissà che buoni…» sgrano gli occhi, reprimendo un conato. «Buonissimi» assicura lei, piccata. Le labbra increspate in una smorfia. «E già tutti prenotati» aggiunge soddisfatta. Avrei una mezza idea su chi possa essere la vittima designata. E non lo invidio proprio. Essere l’oggetto del desiderio di una come Serena è qualcosa che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. È come avere una pianta carnivora che ti si sta lentamente richiudendo intorno, con le unghiacce finte da strega, la pelle cotta
dai raggi uva e il trucco da diva hollywoodiana. Uniche sue attività documentate fino ad ora? 1. Farsi diecimila selfies al giorno, labbra arricciate ed extensions stirate allo stremo; 2. Coprire l’intera ruota di “Gira la moda”. All’infinito; 3. Spostare l’aria. E, comunque, tanto per la cronaca, sono convinta che prima o poi si decideranno a far analizzare il contenuto dei suoi micidiali dolci ai R.I.S. Mi ci gioco un rene. E se lo dico io che sono qui da due settimane… «Un giorno potrei chiederti di cucinarmene qualcuno» le propongo, seria. «Per il mio caro vicino» trattengo un sorrisetto. Così, magari, gli passerà la voglia di utilizzare lo zerbino di casa mia come pattumiera personale per i bisognucci del suo alano. Un concentrato di pupù che nemmeno le botticelle a via Condotti o a Piazza di Spagna. E parliamo di cavalli. Eccheccazzo! Miss Simpatia si allontana pericolosamente obliqua, sbattendo fastidiosamente il tacco 12 sul pavimento. Roba che persino Dumbo sarebbe più aggraziato. Mi vibra il cellulare. Skype. Simone Vanni. Che palle. Ci mancava lui adesso. Il maschio alpha della situazione.
Ciao bellissima. Speravo mi avessi aggiunto su Whatsapp… vuoi proprio farmi soffrire, eh? E se ti portassi a pranzo in un bel posto? Non tenermi troppo sulle spine… dai, dai, dai!
Sospiro, alzando gli occhi al cielo. Sì, qui ci vorrebbe proprio Gesù. Ma credo sia troppo occupato. La prima e, a questo punto direi, ultima pausa pranzo che abbiamo passato insieme non ha fatto altro che parlare dei suoi strasupermegafichissimi capelli. Mossi. Biondo naturale. E dei suoi centomila interessi. Tutti ugualmente riconducibili alla sala fitness. Tronfio come un pavone. Divertente come farsi la ceretta all’inguine. Dio mio. Un’interminabile agonia. Eh, ma questa volta lui e i suoi
strasupermegafichissimi capelli si beccano un due di picche che la metà basta. Per uno che è già irascibile perché non riesce a camminare sull’acqua…
Ops! Devo aver perso il tuo numero… mannaggia che sbadata! Guarda, oggi a pranzo ho un impegno che non posso proprio rimandare, ma grazie del pensiero. Premuroso come sempre. Buon lavoro.
Quale impegno ancora non lo so. L’importante è dileguarsi senza lasciare tracce. Vibra di nuovo. Altro messaggio. Ancora lui.
Non sai che ti perdi… bellezza tentatrice…
Non mi trattengo e scoppio a ridere da sola, in mezzo al corridoio. Ma dai, come si fa a prendere sul serio uno così?
Mi hai completamente ammaliato. Sei come il canto delle sirene. Non privarmi della tua presenza troppo a lungo. Ti aspetto più tardi per una pausa alle macchinette…
Ecco, appunto. Ulisse mi mancava. Questo tizio riesce a farmi sanguinare le orecchie pure via Skype. Un record, proprio... Reprimendo un improvviso istinto omicida, torno alla mia scrivania, mi siedo davanti all’ iMac e l’icona di Skype è lì che saltella furiosamente. Sgrano gli occhi. 20 messaggi in soli tre minuti??? Okay, calma. Inspira. Espira. Inspira. Espira. No. Ci deve essere qualcosa che non va… sembro una donna incinta. Provo più lentamente. Sì, però così mi gira la testa. Merda! Dov’ero io quando al corso di yoga spiegavano la respirazione??? Probabilmente k.o. sul tappetino alle prese con il passo dello gnu ballerino. O qualcosa del genere. Va be’, una tipica posizione tantrica, comunque. Mi decido e clicco sull’icona. Quattro conversazioni. Oddio… una è del capo. Cioè, il Grande Capo. Istintivamente mi tocco i capelli, sistemando una ciocca dietro l’orecchio e passo una mano sul colletto della camicetta. Tiro su la schiena. Poi faccio un gran respiro e leggo. Mh. Dice che mi ha inviato una mail. Okay. Posta. In arrivo. Eccola…
Buongiorno Susanna.
Purtroppo non ho potuto presenziare personalmente al tuo arrivo in azienda a causa di un’importante trasferta di lavoro all’estero. Tuttavia, so che nel frattempo sei riuscita ad ambientarti, a integrarti facilmente e che stai ingranando. Il che non può che farmi piacere poiché credo sia nell’interesse di entrambi che questa collaborazione dia esito positivo, sperando in un impegno lavorativo futuro più concreto e duraturo. Sembreresti avere le carte giuste per riuscire. Per qualunque cosa di cui tu possa aver bisogno, sentiti pure libera di consultarmi privatamente. Buon lavoro. Max
Okay… Max. Sorrido. Che poi sarebbe Massimiliano Scotti Rossetti. Terzo. O quarto. Va be’, l’erede di Rosso Rossetti-blabla-Qualcosa, comunque. Fissato con Il Grande Gatsby. E pure con un altro paio di cosette mi sa. Mh. Arriccio il naso. Forse dovrei smetterla di essere sempre così prevenuta. Insomma, è pur sempre il capo! Di una blasonata agenzia pubblicitaria, tra l’altro. Si tratta di una semplice mail di benvenuto. Parole di circostanza. Niente di allarmante. Archivio la mail e riapro il Brief, preparato dall’account executive per essere inviato ai creativi entro oggi. Devo ammettere che questo lavoro inizia a piacermi sul serio. Ho sempre pensato che l’ambito pubblicitario fosse più che altro stressante. Frenetico. Con i ritmi serrati. Una fucina inesauribile di idee. E in effetti lo è. Ma è anche molto interessante e stimolante. La Posta in arrivo lampeggia ancora. Oddio. Il Grande Capo. Di nuovo?
Rieccomi, Susanna.
So che sei molto impegnata, il mio team quando vuole sa essere una vera macchina da guerra. Tuttavia, vorrei invitarti per il caffè di benvenuto anche se un po’ in ritardo. Ho nascosto una moka nel mio studio privato, ma non dirlo a nessuno… Ti aspetto nel mio ufficio. Quando vuoi. Sei autorizzata dal capo.
Max
Sono tutti così invitevoli in questa agenzia. Colazioni, pranzi, pause caffè… un continuo. Mancava giusto il capo. Il GRANDE CAPO. Sarà perché qui si conoscono tutti da un pezzo. Ormai non vedevano facce nuove praticamente da una vita. Il che, bisogna ammetterlo, fa molto turista straniera in vacanza, in un paesino sperduto. Ridacchio. Mhm. Quindi, che faccio? Vado? Qualcosa mi suggerisce di non avere molte alternative. Tipo l’assenza di punti interrogativi in giro, ad esempio. Però, chissà, la faccenda potrebbe anche rivelarsi divertente. Massì. Mi scappa un sorrisetto. Ehm…
Ok capo.
Non sarebbe necessario, ma trattandosi del caffè della moka… non posso esimermi. Arrivo tra cinque minuti. PS:
Grazie.
3 Max. Ecco la soluzione. Più che altro il suo studio privato. Di cui ho casualmente le chiavi. Sorrido compiaciuto. In realtà, ce le ho da una vita anche se non le ho mai utilizzate. Mi ha sempre detto di usarle senza problemi “in casi di emergenza, tipo tette e culo mozzafiato”. Lui e quella sua invidiabile aura da maschio adulto a caccia, perennemente circondato da un’atmosfera languida. È così da quando lo conosco.
Lui, Superman e io, Clark Kent. Non dimenticherò mai quella sesta di reggiseno appesa lì in soggiorno, come trofeo, nell’affollato appartamentino in zona Prati che dividevamo ai tempi dell’università. Max ha proprio il gene: lo Strappamutande leggendario. Sorrido. Ha fatto più vittime lui di… Freddy Kruger! A volte è quasi imbarazzante essere il suo migliore amico, dico sul serio. Soprattutto quando in giro le donne gli si lanciano letteralmente addosso. Da standing ovation proprio. Sì, però le chiavi sono ancora lì, esattamente dove sono sempre state: primo cassetto della scrivania, nel mio ufficio. Cioè, dall’altro lato del nostro infinito open space. Mh. Lontanuccio, direi. Mi affaccio un attimo, loschissimo, da dietro la porta del bagno. Capirai, il mio ufficio nemmeno si vede da qui. Però, in compenso, intravedo quello di Max. Porta chiusa, ovviamente. Merda! Crisantemo a ore dieci. Richiudo al volo la porta, lanciandomi seduta stante in un’accalorata serie di scongiuri. Damiano “Crisantemo” Perilli, un inquietante incrocio tra Zio Fester degli Addams, venerdì 17 e un gatto nero. Senso dell’umorismo da La morte in vacanza e una sfiga cosmica congenita. Non bisogna mai guardarlo negli occhi. Un brivido mi percorre la schiena. Scrollo le spalle, scuotendo la testa. Mi riaffaccio, guardingo. Incrocio la traiettoria della Dea in rosa. Si ferma davanti all’ufficio di Max. Sta per bussare. Esita. Rimane qualche istante con la mano chiusa a mezz’aria. Si guarda intorno, mordendosi un labbro. Strano. Sembra… diversa. Mhm. Quasi umana. Tipo Semi Dea. Sorrido. Madonna che caldo! Tutto d’un botto poi. Se non sapessi che è impossibile giurerei di avere appena avuto una vampata. Ma porca… sto gocciolando! Richiudo la porta. Mi volto indietro. Do una rapida occhiata in giro: due metri per tre di bagno. Tra i riscaldamenti al massimo e la camicia in decomposizione nel lavandino, molto probabilmente ho appena dato vita a una nuova specie aliena. Devo assolutamente uscire da qui. Prima di squagliarmi sul pavimento. E giocarmi così anche la maglietta a maniche corte che portavo sotto la camicia deceduta. Mi sciacquo la faccia e studio al volo la situazione. Mi farò una mezza sauna, ma devo rimettermi la giacca. Per forza. E menomale che non abbiamo anche l’obbligo della cravatta… fiuuu! Tiro un sospiro di sollievo mentre appallottolo il residuato bellico sotto il braccio. Riapro la porta del bagno. O adesso o mai più. Nooo... Altolàsudore! Che punta dritto qui, tra l’altro. Mancava giusto l’eau de “ascella pezzata”. Eddai cazzo! Però anche tu, Marco, se ad ogni Natale continuiamo a regalarti esclusivamente deodoranti di ogni tipo, provenienza e composizione, fattela una domanda! Eccolo che arriva. Mi saluta. Io sono in apnea che conto… quattro, cinque, sei… Gli faccio un cenno con la testa e un mezzo sorriso. Sto diventando cianotico, lo sento. E lui che fa? Attacca a parlare della Dea??? Ma Cristo santo, siamo in bagno. Anzi, no, sulla porta del bagno. Pietà! Mi
divincolo, gesticolando, indico il polso su cui NON ho un orologio, ma il senso è comunque lo stesso: sono in ritardo. Mi sorride. Schizzo via, peggio di Beep Beep. Madonna, nemmeno un centometrista. Costeggio l’open space dal lato della bacheca, ostentando nonchalance. Anche se la sensazione è più da percorso di guerra, quando strisci sui gomiti, con un coltellaccio tra i denti. Finalmente raggiungo il mio ufficio. Entro. Recupero le chiavi. Butto in un angolo l’arma batteriologica. Subito dopo sono di nuovo fuori che striscio in direzione dello studio privato, la cui entrata esterna da sugli ascensori. In un attimo sono lì. Inserisco la chiave. Evvai, gira. Tac, aperto. Mh. È un tantino buio qui dentro. Mi allungo in cerca dell’interruttore. «E luce fu!» esclamo dopo averlo identificato. Mi guardando un po’ intorno. Ma questo studio è un appartamento! Wow. Sembra arredato da Renato Vallanzasca. Ridacchio. Che figata! Divano in pelle, tv, minibar, la moka, bagno, armadio a muro – un attimo – la moka??? E a me lascia mandare giù lo schifo delle macchinette… che stronzo! Non ho parole. Va be’, concentriamoci sulla camicia va’ che tra un’ora e mezza devo essere daMiami Vice per questo benedetto collaudo. Apro l’armadio. La Narnja dei completi e delle camicie da uomo. Un’infinita produzione seriale. Fantastico. Ne prendo una a caso, tanto è tutto identico. Dei passi. Merda. Mi scapicollo a spegnere l’interruttore e mezzo secondo dopo ho già perso l’orientamento. Okay, resta solo la mimetizzazione. Ce la posso fare. «Il mio studio è molto accogliente, vedrai.» Max. In modalità “Castigatore”. Anche a quest’ora? Con l’agenzia strapiena? Devo assolutamente sbrigarmi a uscire da questa trappola. «Beh, la moka lo è di sicuro.» Giusto. Sorrido. Mhm. È una voce femminile familiare. Sento squillare un telefono. Rimerda. D’istinto mi tocco la tasca dei jeans. Che idiota, ho il silenzioso. È quello dell’ufficio di Max. «Dammi un secondo.» «Fai pure. Sei tu il capo.» «Alessia, avevo chiesto espressamente di non passarmi telefonate per i prossimi… Chi? E ti pareva. Puntuale come un orologio svizzero… Sì, sì e inevitabile come la morte… Passamelo pure, ma digli che è in via del tutto eccezionale perché sono in riunione e posso dedicargli giusto un paio di minuti.»
«Capo, allora io andrei…» «Sì, sì, prego. La porta è a scomparsa e l’interruttore è sulla sinistra. Mi libero immediatamente e sono subito da te, Susanna.» Ma Susanna… chi? La Dea??? Ma porca…
4 Mi sorride, indicandomi la direzione del famoso studio. Non mi rimane che annuire, ricambiando quel sorriso plastico e sbiancato, in attesa di vedere cosa succederà. Arrivo davanti alla porta a scomparsa. Apro. È buio pesto. Bene. Allora, dove ha detto che era l’interruttore? A destra? Mhm no. Qui non c’è niente. Quindi a sinistra. Tasto la parete. Oddio… è morbida. Ma che diavolo… «Aaaaah!» urlo, mentre premo sull’interruttore. Si accende la luce. «Ehi, tutto okay, Susy?» mi grida il capo. Siamo già al “Susy”. Grandioso. «Ehm… tutto okay, Max. Sono inciampata su… qualcosa» dico a voce alta. «O qualcuno» aggiungo in un sussurro, guardando dritto negli occhi Cervellone Sexy 2.0, in piedi davanti a me. A torso completamente nudo. «Quindi tu… mi vedi?» mi chiede lui sottovoce. Sembra sinceramente sorpreso. Non riesco a trattenere una risata. «Eh sì, genio. Direi anche piuttosto bene» gli sorrido. Che sguardo intenso che ha dietro quegli occhiali da precisino. Ha veramente il mare negli occhi. E anche un po’ di cielo. «Maledizione. La mimetizzazione non è riuscita» esclama, sopracciglia aggrottate e delle invitantissime labbra increspate. Poi mi sorride. Capisco benissimo perché Serena “Pianta Carnivora” Marino abbia puntellato il perimetro intorno a lui di letali mine antidonna. Mi stupisce che non gli abbia costruito intorno il fossato con il coccodrillo e piazzato degli arcieri sulla torre.
«Mhm. Sei in missione segreta?» azzardo divertita. Ho voglia di stuzzicarlo un po’. «Segretissima» confessa lui, serio. «Non si vede?» chiede, sgranando gli occhi mentre gli angoli della bocca gli si piegano improvvisamente. Un sorriso meraviglioso gli esplode su tutto il viso. Oddio, eccolo che si avvicina. Pericolosamente. «Missione Camicia Pulita» mi sussurra all’orecchio. Mi vengono i brividi come se mi avesse appena detto: “Sei uno schianto.” Mi schiarisco la voce. Riesco a spiccicare un discreto «Interessante» mentre mi scosto di mezzo passo. Siamo di nuovo occhi negli occhi. «… come la moka?» me la indica divertito. Ha pure alzato un sopracciglio. «Decisamente» rispondo d’istinto, quasi senza accorgermene. Dio, il modo in cui mi punta quegli enormi fari azzurri addosso mi sta facendo impazzire. Le note di Bad Things di Jace Everett mi sono appena esplose nella testa. «Hai un viso bellissimo» mi sfiora. «Mh-hm. Sì. Una simmetria praticamente perfetta» mi scruta, serio, mentre annuisce. Oddio. Sembra quasi che mi stia guardando come un archeologo che ha appena rinvenuto un reperto egizio, appartenente alla dinastia di Blabla-Qualcosa-Secondo. Mi viene troppo da ridere. «Ehm… lo prenderò come un complimento» azzardo. «Certo. Devi. La tua è una rarità» spalanca gli occhioni blu. Poi, improvvisamente, sento il suo palmo aprirsi per accogliere delicatamente la mia simmetrica guancia. Chiudo gli occhi un istante, rannicchiandomi nella sua mano grande e calda mentre una scarica elettrica mi attraversa il corpo. Li riapro. Sento il suo respiro dentro il mio. Credo ci separi un millimetro o forse meno. Con il mio viso tra le mani mi sorride mentre le sue labbra morbide e invitanti si posano dolcemente sulle mie, pronte ad accoglierle per coccolarsi e stuzzicarsi. E intanto mi guarda. E mi sorride. E mi accarezza. Ho smesso di pensare a “rarità”. Non so più dove sono. Non so più chi sono. Ma che è successo??? So solo che nessuno mi aveva mai guardata così prima d’ora. «Tutto sistemato!» la voce di Max risuona ovunque nello studio. «Ora possiamo finalmente dedicarci al tuo caffè di benvenuto, Susy.»
Sgraniamo gli occhi e tratteniamo entrambi il respiro per un attimo. Le labbra ancora incollate. «Cazzo» esclama lui, mezzo gridato e mezzo sussurrato. «Merda» esclamo io, lanciando un’occhiataccia verso la porta. Con uno slancio, mi tira a sé. Le sue braccia mi avvolgono e mi stringono, tutta. Sentire il suo corpo, caldo e vigoroso, premuto così contro il mio mi fa… mmm... Oddio ma che sto pensando??? E, soprattutto, cosa sto facendo??? Mi sto scambiando sorrisi, sguardi languidi e un bacio appassionato CON UN MIO COLLEGA. Semi sconosciuto. Nello studio privato del capo. Con lui – il capo – a due passi. E in pieno orario di lavoro. Mmm. ECCHISSENEFREGA! Quando sciogliamo i nostri corpi dall’ abbraccio voglioso, il cuore è a mille e le bocche, umide, ancora assetate… di un sacco di cose. Sospiriamo. Mi fa l’occhiolino, prima di schizzare via con la camicia ancora aperta e la giacca infilata per metà. Una fantasia in pieno stile Harmony. Che però era decisamente reale. Sorrisetto. Sono tutta sottosopra. «Eccomi.» «Eccoti…» sussulto, vedendo Max affacciarsi sulla soglia. Sono decisamente accaldata e su di giri. Mi auguro che non fraintenda. «Scusa l’attesa» mi sorride, plastico. «Ma so già come farmi perdonare» si affretta ad aggiungere, passandosi una mano tra i capelli ondulati e lievemente brizzolati. «Lei» indica la moka «mi darà una mano.» «La moka…» gli faccio eco. Sì, insieme a un paio di Piña Colada. E un litro di vino rosso. Dio, ho ancora il suo odore… addosso. Il suo sapore sulle labbra. E quello sguardo… mmm. Per un attimo chiudo gli occhi e m’inumidisco le labbra. Merda! Davanti al capo! Oddiooooo! Li riapro, sgranandoli, in un nano secondo. Per fortuna è di spalle che armeggia con la moka. Devo restare lucida e smettere di pensare a lui, Dario Della Torre, il Cervellone Sexy. E al fugace incontro di poco fa… mmm… così dolce e appassionato. No-o! Basta. Contegno. «Mettiti pure comoda, sul divano. È lì apposta.» Eh sì, posso immaginare. Meglio di no. Scuoto la testa, rabbrividendo. «In realtà, prendo il caffè al volo e poi scappo» nel vero senso della parola.
«In piedi? Tipo al bar?» fa una smorfia. «Tipo» sorrido, scrollando le spalle. «Ti hanno già chiesto dove fossi finita, eh? Dai, tirerò personalmente le orecchie a chiunque abbia osato importunarti. Puoi restare qui, con me, quanto vuoi… hai la mia autorizzazione. E io sono il capo» mi strizza l’occhio. Panico. «Ehm no, no. Ho diverse scadenze urgenti e non vorrei ritardare il lavoro dei colleghi. Non sarebbe professionale» spiego. «Vorrà dire che recupereremo le prossime volte» sorride. “Le prossime volte”. Questo plurale improvviso ha un non so che di minaccioso. Intanto la moka inizia a sbuffare. Il caffè è venuto su. Lo sorprendo a preparare, con molta cura tra l’altro, la cremina con lo zucchero e le primissime gocce di caffè. Ha pure le tazzine. Sono impressionata. «Caffè buonissimo. Grazie capo» biascico, dopo averlo scolato alla velocità della luce, rischiando un’ustione di primo grado. Tutto questo per evitare proprio la serie di sguardi ambigui, pieni di duplici, triplici e quadruplici sensi che invece non ha smesso di lanciarmi. È proprio giunto il momento di girare i tacchi e fuggire. «Prego» mi posa una mano sulla spalla. Lo vedo sporgersi in avanti e avvicinarsi. Troppo. «Quando vuoi, Susy» mi sussurra all’orecchio. Abbozzo un sorriso mentre retrocedo fino a liberarmi dalla morsa. Mi giro. Pronti, partenza, via! In mezzo minuto sono fuori dal… pied-à-terre. «Dea tentatrice… eccoti finalmente!» Oh no! L’Ulisse de’ Noantri no. Pietà! Questo ufficio sembra sempre più la giungla di Jumanji. E, sinceramente, il ruolo di gazzella che corre impazzita per seminare le belve affamate mi ha già stufata. «Simone» cerco di sorridere, senza sembrare Joker. «Anche tu qui.» «Una fortunata coincidenza.»
Qui ci vuole Lourdes. In più, sto morendo di sete e la mia povera lingua bruciacchiata sta lacrimando. Devo assolutamente bere. Acqua. A secchi. E questo genio si è piazzato proprio davanti al distributore delle bevande. «Ehm… prendi niente?» indico il distributore alle sue spalle. «Cosa posso avere?» Eh? «La cortesia di spostarti… Ulisse» sorrido, ammiccando. Lui ricambia il sorriso, aggiungendo un’alzata di sopracciglio e un’espressione per nulla rassicurante. Va be’, mi sbrigo a selezionare due bottigliette d’acqua. Faccio per introdurre le monete quando lui annulla la selezione e inserisce la sua chiavetta. «Prendi pure tutto quello vuoi, dolcezza. Per te questo ed altro» spara, convinto di intrigarmi. «Grazie. Sei sempre così gentile.» Lo prendo in parola. Già che ci sono faccio un po’ di spesa. Tutti generi alimentari di prima necessità, chiaramente. Tronky. Duplo. Patatine. Tre bottigliette d’acqua. E poi… Bleah. Cos’è questa puzza devastante? Scopro con orrore che proviene proprio da lui. Mi si è terribilmente avvicinato mentre ero intenta a fare scorte. «Dopobarba nuovo?» domando, reprimendo un conato. «Figo, eh? È un mia creazione» esclama trionfante. Oddio. «L’ho inventato mischiando acqua di colonia con…» Cosa? Ammoniaca? «… acqua di rose.» Eh? «L’ho capito subito che ti aveva conquistata.» Non riesco nemmeno a rispondergli. Sono troppo intenta a cercare di trattenere il respiro mentre sputacchio. Per farlo zittire gli mollo in tronco tutti i viveri che ho appena recuperato, facendomi scortare fino alla mia scrivania. A distanza di sicurezza
puzza naturalmente. Mi segue come un bravo cagnolino fino a destinazione. Dopo aver riposto tutto nella cassettiera sotto la scrivania, lo congedo con un microbacio sulla guancia. Bravo Fuffi. Ridacchio, rimettendomi al lavoro. Apro nuovamente il Brief. Se penso che è esclusivamente sulla base di questo documento che il team creativo sviluppa il suo lavoro, mi sale appena un po’ d’ansia. Però, quello del creativo pubblicitario è veramente un lavoro figo. Questi qui, poi, sono dei veri geni. Sono loro alcuni degli slogan pubblicitari più in voga del momento. “L’estate tropicale è alle porte?” Parte un cartone animato in cui si vede una palla infuocata (il sole) bussare a una porta. Apre un tizio che finisce immediatamente arrostito, sul pavimento. “Non farti arrostire anche tu: affrontala con i condizionatori Brivido Caldo”. Riparte il cartone con il sole intento a bussare a un’altra porta. Stavolta gli apre un tizio con gli occhiali da sole stile Men in Black che imbraccia il condizionatore come un’arma letale. Questione di secondi e l’ignara palla di fuoco (che ricorda molto il sole inPollon, quello che suo padre, il dio Apollo, portava in giro su un carretto) si trasforma in una fantastica scultura di ghiaccio, raffigurante L’urlo di Munch. F-a-n-t-a-s-t-i-c-o. Infatti, poi, non ho resistito e ne ho comprati un paio anch’io di condizionatori Brivido Caldo. Improvvisamente lo smartphone s’illumina. Whatsapp. Mia sorella Daniela. Vive a Londra da tre anni.
Ciao sorella, tutto ok? E con la scommessa come va? Mhm manca la foto di oggi. Sto aspettando…
Mh. Sadica, come al solito. Mi scappa una simpatica smorfia. Il mese scorso ero a Londra da lei. Aveva sorpreso Davide, il ragazzo con cui viveva da circa un anno, gambe all’aria con la loro coinquilina, la classica zoccola della camera accanto. In due giorni aveva: - svuotato il frigo; - trovato un’altra sistemazione; - imbrattato di spray color cacca le scarpe e i vestiti griffati di lui; - tagliuzzato finemente (dietro mio suggerimento) la ricercata lingerie di lei. Due giorni intensi. Io sono arrivata all’alba del terzo giorno, giusto in tempo per la fase dello sputtanamento mediatico. Seguita subito dopo da quella della rimozione
definitiva. Dato che era venerdì, alla fine sono rimasta per tutto il weekend, accampata tra lei, il coinquilino cantante indie-pop e la coinquilina arabo-vegana, suoi ex colleghi e grandi amici. Sabato sera, in un affollato pub a Soho, adocchiamo contemporaneamente un tipo molto figo. Nonostante non lo desse a vedere, mia sorella era davvero giù per la storia con quel porco idiota. Allora, per istigarla a un po’ di sano rimorchio riparatore, le dico che se fosse riuscita a farsi offrire da bere da quel figo, mi sarei vestita di rosa per un mese intero. E io ODIO il rosa, in maniera quasi viscerale oserei dire. Non sto scherzando. Da bambina quando mia madre mi metteva indosso qualcosa di anche solo vagamente rosa, ero capace di togliermelo a morsi quasi. E la mia dolce sorellina Daniela che io ricordavo piuttosto timidina nei primi approcci che fa? Si alza di scatto e si scaglia famelica sulla sua preda. Mamma mia, faceva quasi paura! Un bel paio di moine ben assestate. Qualche risata. Parole sussurrate all’orecchio. E nel giro di, quanto?, dieci minuti, ricompare con un cocktail in una mano e il figo nell’altra. Decido di alzare la posta. Le dico che se fosse riuscita a far offrire da bere anche a noi, di rosa mi ci sarei vestita per tre mesi, con-se-cu-tivi. Beh, tutto ciò che ricordo, oltre alla faccia da Sconvolt Quiz con cui mi sono svegliata la domenica, è che il tizio figo e i suoi amici fighi hanno continuato a bere e a offrirci da bere a oltranza. E, così, eccomi qui, in balia della terribile maledizione delle cinquanta sfumature di rosa. Piagnucolo. Ah, e come se non bastasse, la despota vuole pure che la sottoscritta le invii una foto che documenti, giorno per giorno, l’evoluzione di questo terrificante nuovo look… così insopportabilmente rosa. Io ODIO il rosa. È una specie di tunnel senza via d’uscita. Rosa Confetto. Rosa Cipria. Ciliegia Pallido. Fiori di Melo. Sabbia Rosata. Rosa Conchiglia. Rosa Fenicottero. Rosa Suino. E il mio preferito: Rosa Shocking. Mh.
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