The (im)perfect man

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Flora A. Gallert


The (im)perfect man UUID: 81e83a26-da2d-11e5-8f53-0f7870795abd Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com) un prodotto di Simplicissimus Book Farm

Indice dei contenuti                         

Diritti d'autore PROLOGO CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 6 CAPITOLO 7 CAPITOLO 8 CAPITOLO 9 CAPITOLO 10 CAPITOLO 11 CAPITOLO 12 CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 CAPITOLO 15 CAPITOLO 16 CAPITOLO 17 CAPITOLO 18 CAPITOLO 19 Epilogo Altre opere "Innamorarsi a Londra" Flora A. Gallert Altre opere "Outside: Un amore di periferia" Flora A. Gallert Altre opere "Chiedimi di restare" Flora A. Gallert

Diritti d'autore


Titolo originale: The (im)perfect man Copyright © 2015 Flora A. Gallert All rights reserved

Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell'autrice. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale. Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall'autrice, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941).

* Illustrazione di copertina: © Lady O. Grafica Cover "Papillon" 2016 * Contatti: a.migliozzi@hotmail.it

PROLOGO

Tutti noi abbiamo dei desideri, dei sogni nel cassetto. C’è chi vuole diventare uno scrittore affermato, chi un cantante famoso, chi un attore amato... E poi ci sono io, che voglio semplicemente andare a New York. Ma non voglio andarci un giorno, io vorrei andarci presto. Anche domani.


Tuttavia, è difficile che questo sogno si avveri, non nell’immediato futuro almeno. Innanzitutto, non posso lasciare il lavoro e poi non ho abbastanza soldi. Purtroppo questo sogno è anche troppo grande per poterlo far entrare in un cassetto. Insomma, sto parlando di New York, con tutti i suoi mega palazzi, le strade larghe, le donne in carriera, gli uomini d’affari... Le culture che si incontrano, i film che sono stati ambientati lì, i libri che la descrivono... E poi, vogliamo parlare di Central Park? Quello di sicuro non ci entra, in un cassetto. Ok, sto divagando. Ma questo sogno sta diventando quasi un’ossessione. Passo il mio tempo libero su Google a cercare immagini, sfogliare pagine di social network dedicate a New York. Ricerco le curiosità, le novità, i luoghi nascosti. Sto leggendo anche libri su libri che parlano della legge di attrazione: non importa come, l’universo farà in modo che il tuo sogno si avveri. Devi solo comportarti come se ciò fosse già accaduto. Bene, ho prenotato la vacanza e partirò domani mattina presto. Che cosa farei? Farei le valigie – fatto. Scriverei un itinerario – fatto. Piangerei di gioia. In realtà piango dalla disperazione perché nonostante m’impegni con tutte le forze, dentro di me so che domani dovrò andare al lavoro. Forse sto sbagliando prospettiva? Forse devo fingere di essere già a New York? Saltando a piè pari la parte del pianto di gioia... che cos’altro farei? Chiamerei un taxi ma non posso permetterlo. Mi vestirei da donna americana in carriera. Sì, questo è fattibile.

CAPITOLO 1

Il tragitto da casa mia all’agenzia di viaggi dove lavoro è troppo lungo per elencare gli aspetti positivi di questa mia occupazione, per quello basterebbero appena due passi, ma è perfetto per ricordare tutti quelli negativi. Ebbene:     

Innanzitutto, si tratta solo di un contratto di tirocinio di alcuni mesi; è un lavoro mal retribuito; la mia scrivania consiste in un tavolo di plastica traballante; non ho nemmeno un cassetto dove tenere i miei effetti personali; vengo definita il Jolly. Jolly può sembrare qualcosa di positivo, in realtà è un modo carino per dire che a me spettano tutti i tipi di mansione che gli altri non hanno voglia di fare, dove i requisiti sono conoscere l’alfabeto e saper contare.


In realtà, non sto facendo alcun tipo di esperienza. Insomma, nel mio contratto c’è scritto che si tratta di un tirocinio formativo e ci si aspetta che io esca da lì con maggiori competenze rispetto a quando ci ho messo piede. Ma non è affatto così.

Nonostante tutto devo essere positiva, devo addirittura ringraziare il fatto che posso mantenermi, almeno in parte. E poi devo sentirmi una donna newyorkese in carriera, con tanto di tacchi, tailleur nero e camicia bianca. Faccio oscillare la mia ventiquattrore con disinvoltura. Perfetto. Mi sto per congratulare con me stessa quando una grossa goccia d’acqua si spiaccica sulla mia testa. Sta iniziando a piovere e non è una di quelle pioggerelline leggere che preannunciano un temporale, questo è già il temporale. In meno di un minuto un lampo ha illuminato il cielo tetro, seguito da un tuono che ha fatto tremare il terreno. Sono sotto un acquazzone e mi mancano ancora duecento metri prima di raggiungere l’agenzia. Chi me l’ha fatto fare di mettere i tacchi? Oltretutto posso dire addio ai capelli lisci che avevo piastrato con tanto amore. No, in questo momento non mi sento affatto una donna americana in carriera.

*

Entro in agenzia e mi asciugo i tacchi, strofinandoli sul tappetino posto all’entrata. Mi ritrovo davanti a facce belle e felici, ovvero i tre addetti all’accoglienza clienti, che sono Cristiano, Manuel e Celine. Detto tra noi, io non li invidio per niente, nonostante il mio tavolo di plastica traballante. Loro devono avere sempre il sorriso stampato sulla faccia, anche quando sono nervosi o infelici. Devono essere sempre gentili, cordiali, anche se poi sono io l’unica a conoscere la loro vera natura, visto che sfogano le loro frustrazioni contro di me. Soprattutto Celine, quando le sta per arrivare il ciclo. Intorno al 27. Dio, com’è puntuale. Li saluto con un cenno perché sono una signora e non mi aspetto che ricambino. Infatti non lo fanno. Se possono, evitano sempre di salutare chi non sono obbligati. Ad esempio non salutano me, che sono solo una tirocinante, ultima arrivata, non salutano il postino, un allegro signore che non fa mai caso al loro broncio, e i bambini. Come si fa a non salutare i bambini? Entro nella stanza a destra dell’entrata, dove c’è anche la mia postazione. Nell’ufficio con me lavorano i tre voce sensuale, perché sono quelli che rispondono al telefono, soprannominati anche i realizzati, visto che si occupano pure della parte più bella di questo lavoro: organizzano gli itinerari, talvolta accompagnando i turisti nei viaggi di gruppo organizzati. I fortunati sono Giacomo, un ragazzo dal viso paffuto, Donatella, una ragazza simpatica con cui prendo spesso il caffè e Loris. Loris è un ragazzo odioso, tutti muscoli e niente cervello. Il suo passatempo consiste nel prendermi continuamente in giro, mettendomi in ridicolo davanti a tutti. Da qualche tempo, infatti, ha scoperto che ho alcune lacune in geografia. Di conseguenza, di tanto in tanto (tutti i giorni), si diverte a interrogarmi sui luoghi più improbabili e sconosciuti, scatenando l’ilarità di tutti i dipendenti. Solo Donatella mi resta fedele, riuscendo a trattenere il sorriso che le increspa le labbra.


Loris riesce a divertire perfino i silenziosi, gli ultimi tre miei colleghi. Da quando lavoro qua, non ho mai sentito la loro voce, se ne stanno sempre in silenzio a digitare i tasti al computer. Ma loro sono anche gli intoccabili: con i loro contatti esteri portano in cassa la maggior parte delle entrate.

*

Cerco di passare inosservata, lanciando solo un’occhiata nervosa a Loris, che fortunatamente è impegnato a parlare al telefono. Nel frangente di attimo in cui i nostri occhi s’incrociano, riesce comunque a farmi un occhiolino e le sue labbra si schiudono in un sorriso divertito. Ma come ho potuto a trovarlo carino quando mi ha fatto il colloquio? Sì, avete capito bene. È stato lui ad assumermi. Comunque sia, so solo che lo devo evitare: faccio un saluto veloce a Donatella e occupo la mia postazione, nascondendomi dietro la pila di cataloghi e post-it che i miei colleghi hanno buttato alla rinfusa sul tavolo, neanche fosse una discarica. Cerco di fare un po’ di ordine prima di mettermi a lavoro. Innanzitutto sistemo i post-it, mettendoli uno sopra l’altro. Una cosa alla volta.    

Spolverare scaffale catalogo (Cristiano); Gettare cataloghi scaduti (Giacomo); Sistemare la documentazione in ordine alfabetico (Celine); Sistemare la documentazione in ordine cronologico (Loris). L’ha fatto apposta, lo so!

Il Sudan si trova sopra o sotto l’equatore? (Loris).

Non è possibile. Non ci credo. Questo è mobbing. Io lo denuncio. Furiosa e rossa in viso, evitando di guardare dalla sua parte, butto l’ultimo post-it nel cestino sotto la mia scrivania/tavolo di plastica e scopro che questo è colmo di cartacce. Neanche la donna delle pulizie mi tiene in considerazione. Ho bisogno di un caffè, anche se sono solo le nove di mattina e ne ho già preso uno a colazione e so che peggiorerà la situazione. Mi reco alla macchinetta, nel ripostiglio, e infilo la cialda. Schiaccio il pulsante, l’aroma del caffè mi fa già stare meglio. Mentre metto lo zucchero, mi raggiunge Donatella. “Il Sudan è sopra o sotto l’equatore?” Giuro che lo so, ma quello lì mi mette i dubbi. “Penso sia sopra,” mi risponde Donatella, confusa. Ma poi, incrociando il mio sguardo afflitto, capisce al volo. “Loris...” dice, scuotendo la testa. Il caffè ha lo strano effetto di calmarmi, mentre lo sorseggio. In fondo, non era una domanda difficile, con il 50% di possibilità di azzeccarla. Sì, no... Sopra, sotto... Brava, mi dico. Bisogna sempre vedere il lato positivo della situazione.


“E quella volta che ti ha chiesto la capitale del Turkmenistan?” “Donatella, non infierire,” replico a denti stretti.

CAPITOLO 2

Un’altra cosa negativa del mio lavoro è che questo non mi permette di mantenermi completamente. Devo quindi dividere l’appartamento e le relative spese con il mio caro fratellone maggiore Antonio, e non vi spaventate se vi dico che molto spesso preferisco andare in agenzia piuttosto che rimanere a stretto contatto con lui. Premetto che provengo da una famiglia con una mentalità un po’ ristretta: è la donna che deve fare tutto in casa e mio fratello, quando mi ha invitata a stare da lui, non era per niente intenzionato a cambiare le tradizioni. Ebbene, ho cercato in tutti i modi di far valere i miei diritti, gli ho parlato della parità tra uomo e donna, gli ho detto che ormai siamo in un millennio nuovo ma, alla fine, ha avuto la meglio lui: “Io pago la maggior parte delle bollette,” ha tagliato corto, chiudendo così il discorso. Ho cercato di circoscrivere le aree: può scordarsi che io metta piede nella sua tana...

*

Sono nel ripostiglio, in mezzo agli scatoloni polverosi dei cataloghi nuovi, per cercare di completare entro oggi il lavoro che ho iniziato stamattina, quando sento un brusio eccitato provenire dall’ufficio. Cerco di prendere tra le braccia più cataloghi possibile ma la curiosità ha il sopravvento: che cosa è successo da scatenare tutta questa allegria? Lascio stare tutto e mi affaccio. Noto che tutti i dipendenti, anche i silenziosi, si sono alzati dalle loro postazioni e stanno fissando lo schermo del computer di Loris. “Giulia, vieni a vedere,” mi chiama Donatella, senza riuscire a trattenere l’entusiasmo. Cercando di non mostrare molto la mia curiosità, mi avvicino e getto uno sguardo allo schermo. Un’occhiata veloce e disinteressata e scopro che si tratta solo di un’e-mail. Sto per distogliere lo sguardo quando il mio cervello realizza che nell’oggetto c’è la parola New York. Do una gomitata nel fianco di Celine visto che non accenna a spostarsi e leggo l’e-mail da cima a fondo. “Gentilissimi dipendenti dell’agenzia di viaggi... Visto l’impegno dimostrato, la vostra fedeltà e visto il fatturato dell’ultimo semestre... Bla, bla, bla... Ho l’onore di organizzare un viaggio di sette notti a New York con


partenza il 15/12... In collaborazione con... A un prezzo di soli 500 € (volo e hotel)... Incluso biglietto d’ingresso nella corona della Statua della libertà... Unico vincolo è la partecipazione di almeno il 20% dei dipendenti...” Ho le palpitazioni, il 15 dicembre è tra un mese. “...Inviare la caparra di 200 € entro il 30 novembre...” Cavolo, li ho! Li ho duecento euro da parte. In realtà ne ho di più e il 12 dicembre mi accrediteranno lo stipendio. Mi sembra un sogno. È un sogno. Mi guardo intorno e vedo volti felici che mi sorridono. La legge di attrazione funziona. FUNZIONA. Non importa come, l’universo troverà il modo di farmi andare a New York, lo dicevano quei libri. “Peccato che per quella settimana avevo già detto a mia madre che sarei andata a trovarla,” dice Donatella. Il sorriso scivola dal mio volto. Mi guardo intorno: con chi dovrò condividere il mio sogno? Con i facce felici? Che non ricambiano nemmeno il mio saluto? Con i silenziosi? Che noia! Gli unici sono i voce sensuale, ma se Donatella dice di non venire, rimane solo Giacomo che non è male e... No! Loris, no! Lui è fuori discussione. Fortunatamente non sembra interessato, al contrario ha un’aria pensierosa. Magari si scopre che lui è un tipo romantico e che avrebbe voluto passare una settimana a Parigi, piuttosto. Be’, mi dispiace per lui. Io vado! “Ma la tirocinante conta come dipendente?” chiede d’un tratto Celine a nessuno in particolare. Senza nemmeno incrociare il mio sguardo, come se non fossi sotto il suo naso. “Sì che conto,” dichiaro stupidamente, senza pensare, perché quella non è proprio una domanda idiota. L’ansia mi assale, la legge di attrazione non può aver sbagliato bersaglio, non può aver fatto com’è solito fare Cupido. “Hai ricevuto l’e-mail?” mi chiede Loris.

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