Un cameriere solo mio nella mia vita (im)perfetta

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Rujada Atzori

Un cameriere solo mio Nella mia vita (im)perfetta!


Prima edizione gennaio 2015 Copyright ©2014 Rujada Atzori Copyright ©2015 Rujada Atzori Illustrazione: 123rtf.it Grafica: Elisabetta Baldan A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

PAGINA DEDICA

Ad Antonio che crede in ogni mio progetto.

PROLOGO «Non potete tenermi segregata per sempre!» sbotto, sbattendo i piedi a terra com’ero solita fare da bambina. I miei si guardano, non hanno intenzione di mollare la presa, sono testardi ma io lo sono di più! Sono stufa di questa vita, stufa di questa casa, stufa di tutto e stufa dei miei! «Spiegaci almeno il perché, bambina mia…» «Vi ho spiegato il perché, mille volte, ma voi non volete sentire ragioni.» Continuano a scrutarsi sconvolti e poi spostano la loro attenzione su di me. «Non puoi andare a vivere da sola», esordisce mio padre con tono amorevole. «Non sei abituata», prosegue mia madre. Poso lo sguardo prima su mio padre poi su mia madre, fanno sempre così, uno inizia la frase e l’altro la finisce. «Beh!» esclamo soffiando una ciocca di capelli che mi è ricaduta davanti agli occhi «mi ci abituerò!» «Cos’è che ti manca? Cos’è che QUI…» e gira intorno, «non hai? Ti abbiamo dato tutto, da quando sei nata. Tutto!» poi unisce le mani come a volermi pregare di ripensarci.


«Cosa ti spinge ad andare via da casa? Devi pagare un affitto, devi…» mio padre allenta il nodo della cravatta, «sopravvivere.» Li guardo sconcertata. Come fanno a non capire? «Ho diciotto anni! Voi mi vedete ancora come una bambina indifesa. Mi avete privato di tutto!» urlo disperata e sull’orlo di un pianto isterico. «Voglio andare all’università come una persona normale. Mi sono stancata di fare tutto casaconvento, non avere amici, non vedere gente. Mi farete diventare matta!» «Non è vero! Sei circondata dal lusso, hai oggetti che la maggior parte delle persone non può permettersi…» spiega mia madre poi si volta verso mio padre, lui mi guarda serio prima di proferire: «L’università…», fa scoccare la lingua, disgustato, come se avessi appena pronunciato una parolaccia, «non sei in grado di prendere decisioni, sei troppo piccola! Abbiamo già scelto noi i migliori insegnati che potranno darti lezioni private a casa o puoi sempre seguire le lezioni dal tuo computer. Non puoi mischiarti a quella gentaglia, tu sei molto più in alto di loro, non ti troveresti bene…» mia madre annuisce con la testa e prende la parola: «Qui non ti manca niente, hai tutto quello che desideri, l’ultimo cellulare, l’ultimo pc, lo schermo piatto da sessanta pollici in camera tua, scarpe, vestiti, ti ho pure preso quei…» da due colpetti di tosse, poi si avvicina di un passo, «sì, quei…» fa l’occhiolino, la guardo «quei cosi per capire come si fa…» Sono imbarazzata, mia madre che mi regala dei dvd, di non so cosa e dei vibratori di cui, ovviamente, non so con precisione cosa farmene; mi tappo le orecchie e chiudo gli occhi. «Non voglio più starti a sentire, mamma!» urlo. «Di cosa stai parlando, cara?» s’intromette mio padre. «Quali cosi hai regalato a nostra figlia per capire come si fa?» prosegue con sguardo accigliato. «Oh…» mia madre fa finta di nulla, «beh, qualcuno doveva pur spiegarle come nascono i bambini.» Oddio, questa conversazione sta diventando imbarazzante! «Basta!» urlo, e alla fine ho l’attenzione dei miei. Smettono di parlare e mi fissano, a mia madre inizia a tremare il labbro. Fa sempre così quando vuole ottenere qualcosa, riesce a far sentire in colpa le persone, e ci riesce bene perché un po’ mi ci sento, ma voglio vivere la mia vita. Voglio sapere com’è il mondo là fuori e non


attraverso le loro parole. Voglio vivere, scoprire, provare a camminare da sola, con le mie gambe, cadere e rialzarmi. «Ho preso la mia decisione. Vado a vivere da sola!» Silenzio. Troppo silenzio. Il labbro inferiore di mia madre inizia a tremare a dismisura. «Se esci da quella porta allora…» dice con voce incrinata dal pianto, «scordati pure di noi! Te la dovrai cavare da sola» prosegue affondando il viso sulla spalla di mio padre. «Bene!» esclamo irosa e mi affretto a salire le scale che portano alla mia camera. Preparo la valigia, non so cosa infilarci, non so neanche come si fa una valigia! Butto la roba a casaccio e poi mi ci butto sopra in stile lottatore di wrestling, e dopo svariati tentativi, riesco a chiuderla. Credo stia per scoppiare. L’afferro e la trascino a fatica verso le scale. Una ruota parte per la tangente e rotola giù, a malincuore provo ad alzare la valigia ma è troppo pesante. Perdo l’equilibro e sto per ruzzolare di sotto. Mollo la presa dal manico e mi aggrappo al corrimano mentre la mia valigia decide di prendere l’ascensore e precipita con uno schianto dabbasso aprendosi. Il contenuto esplode sparpagliandosi ovunque. Un aggeggio di gomma per capire come si fa, non ho ancora inteso cosa, si muove come in preda alle convulsioni. Faccio le scale di corsa e afferro tutto velocemente prima di alzare lo sguardo e vedere il viso di mio padre bianco come un lenzuolo. «Tu…» dice puntando il dito contro mia madre, «hai comprato dei…dei… dei…» diventa paonazzo, gli si gonfia il viso, «vibratori…» dice a voce bassa come se fosse una bestemmia, «a mia figlia! Cosa ti è passato per quella testa bacata?» urla infine. «È anche mia figlia ed è giusto che sappia. Vuoi che resti ignorante in materia? Poi alla sua età…» Mio padre la guarda in cagnesco: «Materia? Cos’è ora s’insegna?»


Approfitto della loro litigata e butto tutto in valigia, la chiudo e mi alzo per fuggire via. «Dove credi di andare?» La freddezza di mia madre mi fa bloccare. La sua voce è come mille unghie che graffiano su un vetro, se mi muovo di un passo si metterà a urlare perforandomi i timpani. «La carta!» esclama mentre mi volto. Ha la mano allungata verso di me, io mi stringo la borsetta contro il fianco e indietreggio. «Dacci la carta di credito» prosegue mio padre. «Ma… ma… quella è la mia carta, ci sono i miei soldi lì.» «I nostri soldi!» gracchia mia madre. Mio padre tossisce un po’. «I miei soldi…» le fa notare, lei, gli dà una gomitata sul pancione e lo corregge, fulminandolo con lo sguardo. «I nostri soldi!» «Ma… come farò con le spese che dovrò affrontare?» domando con il cuore a mille, non vorranno fare sul serio? «Te la caverai da sola, no? Hai detto che vuoi vivere per conto tuo!» Indietreggio e quando la mia schiena finisce contro la porta, con una mano abbasso la maniglia, apro di scatto e scappo via. O almeno cerco di scappare via. La valigia rallenta la mia fuga e mi sento sciocca e impacciata mentre i miei genitori mi osservano scuri in volto. Non so perché non mi fermano, perché non bloccano la mia fuga. Apro il bagagliaio della macchina e scaravento dentro la valigia, poi salgo in auto e parto sgommando. Ah, ah! Fregati! Imposto il navigatore su piazzale Re di Roma, ho trovato un appartamentino carino proprio là e, mentre guido felice, il trillo del cellulare mi avvisa che è arrivato un sms. Con una mano tengo lo sterzo e con l’altra sblocco il cellulare, sbircio e non posso crederci. L’ho sempre detto che i miei genitori hanno una mente diabolica. Il messaggio da parte della banca è molto chiaro: “la sua carta di credito è stata bloccata come da lei richiesto.”


Dannazione!

Capitolo 1 - Il mio cameriere Parcheggio, le mani mi tremano, nella mente un fiume di come farò. Dovevano bloccarmi anche la carta di credito? I genitori dovrebbero rendersi conto quando è il momento di lasciare andare i propri figli, fargli prendere il volo. Niente, loro pensano che io non sappia cavarmela da sola e, se devo essere sincera, il dubbio sta sorgendo anche a me. Prendo un bel respiro, per calmare i battiti del cuore, e con decisione esco dalla macchina. Trascino la valigia fuori dal bagagliaio con immensa fatica, dovrò ricontrollare il mio guardaroba. Cielo, sembra ci sia un cadavere qua dentro! Per fortuna l’appartamento è al piano terra. Raggiungo il portone trascinando a due mani la zavorra. Sfiancata, mi lascio andare contro la porta e prendo fiato, altri duecento metri con questa valigia e posso fare il lancio del peso. Guardo il citofono e cerco il campanello, la signora con cui ho preso accordi si è raccomandata di suonare, che la mia coinquilina nel pomeriggio è sempre in casa e che in seguito sarebbe passata, personalmente, a lasciarmi la copia delle chiavi. Speriamo bene! E se fosse una truffa? Magari suono e nessuno mi risponde, alla fine perdo anche quei pochi soldi di acconto che ho lasciato e dovrò tornare, con la coda tra le gambe, a casa palesando la mia sconfitta. NO! Non posso pensarci, non può essere. Mollo la valigia e mi attacco al campanello come una disperata. Già il fatto di dover condividere l’appartamento con un’estranea non mi garba, sono abituata alla mia privacy, ai miei spazi se pur esigui, pensare di avere in giro per casa un altro essere umano che non fa parte della famiglia Iacomini mi destabilizza. «Chi è?» urla una voce deliziosa. Aggrotto la fronte, mamma mia, sta a vedere che in questo palazzo abita un uomo dal fascino magnetico.


«Mi scusi, devo aver sbagliato campanello, potrebbe aprirmi? Sono una nuova inquilina.» Non ricevo risposta se non il rumore stridulo della serratura che scatta. Wow, mister simpatia! «Grazie, eh!» borbotto trascinando la mia valigia nell’atrio. Arrivo davanti alla porta dell’appartamento e suono. Aspetto con calma ma nessuno arriva. Il timore che la mia paura si materializzi, m’inquieta. Prendo il mio Iphone6 e controllo l’ora, risuono e faccio partire il cronometro. Odio attaccarmi ai campanelli ma se entro due minuti non risponde nessuno scateno la Cavalcata delle valchirie. Sbuffo. Suono ancora, più e più volte, e aspetto. Sono passati altri dieci minuti e ancora nessuno mi ha aperto! Per fortuna che la mia coinquilina doveva essere a casa. Mi attacco al campanello come una pazza. Suono a intermittenza, sto quasi per mettermi a ballare a suon di campanello quando la porta si spalanca. Oh, mi sa che ho sbagliato porta, eppure… mi volto per osservare l’atrio e sono certa che l’interno è esatto. Ora, due sono le cose: o io ho un problema grave alla vista oppure la mia coinquilina deve aver cambiato i suoi connotati perché due pettorali così, io, dal vivo non li ho mai visti. Un ragazzo, sì ragazzo, non ragazza, alto, assonnato, capelli lunghi che ricadono sulle spalle, spettinato come Tarzan mentre svolazza da una liana all’altra. Certo, di Tarzan ha anche la classe, in mutande e intento a grattarsi una chiappa con nonchalance. Oh, per Dio! Questo deve essere un trucco di mia madre, non ci sono altre spiegazioni. Vorrà manipolarmi ancora una volta, sì, deve essere per forza così. Magari ha cacciato la ragazza con cui dovevo condividere l’appartamento e ha insediato quest’uomo delle caverne per farmi cedere. Pensa davvero di scoraggiarmi? Mia madre mi sta sottovalutando! Dove l’ha trovato uno così? Ha davvero superato ogni aspettativa. «Che cazzo stai attaccata al campanello? Stavo dormendo, non è un modo educato di svegliare le persone!» borbotta lui, continuando a grattarsi.


Che modi sono di parlare a una signorina? Ma che razza di uomo è uno che sembra avere i pidocchi alle chiappe? Sono le cinque del pomeriggio e questo individuo ancora dorme? «È uno scherzo?» domando, guardandomi in giro in cerca di mia madre. Magari sbuca fuori da qualche parte e mi prega di tornare a casa. Tarzan mi guarda perplesso. «Non lo so, dimmelo tu, io è da quando avevo sedici anni che ho smesso di suonare ai campanelli e scappare.» «No, tu… sei tu lo scherzo.» «IO?» «Oh, Signore! Piuttosto aiutami con questa valigia.» «Per chi mi hai preso?» «Per l’uomo delle caverne. Lo so, ne sono certa, è opera di mia madre, mi vuole a casa, mi vuole sotto la sua supervisione. Ma sono stanca e, capiamoci, non sarà un uomo gratta chiappe a farmi scappare. Ora, precisamente quanto ti ha promesso mia madre?» «Cos’hai bevuto?» «Smettila subito, quanto ti ha promesso mia madre?» chiedo mettendo le mani sui fianchi con sguardo di sfida. Tarzan mi squadra dalla testa ai piedi, non riesco a capire cos’ha da guardare. «Cinquecento?» «Ah, lo sapevo! Bene, te ne darò mille se dimentichi tutto quello che ti ha detto, ti vesti e fai il tuo lavoro come si deve.» Si passa una mano tra i capelli, un sorriso poco rassicurante sulle labbra: «Sarebbe?» «Il mio cameriere personale, è ovvio!» «Ahhhhh… il cameriere. Ma certo, per un attimo ho pensato…» scoppia a ridere. «Posso sapere cosa ci trovi di divertente in tutta questa storia?»


«Nulla, assolutamente nulla. Ormai sono abituato alle faide famigliari.» «Bene allora: sei assunto.» «Perfetto! Pagamento anticipato?» Mi mordo il labbro perplessa, la carta di credito è andata, il bancomat sarà fuori uso, come lo pago? «Un assegno?» domando sperando che mi venga incontro. «Se puoi incassarlo il mese prossimo, mi faresti un favore…» «Mi vuoi truffare?» «Iooo, nooo… mia madre mi ha tagliato i fondi, sistemo alcune cosine e avrai le tue mille euro al mese.» Mi allunga la mano, la sua manona con cui fino a poco tempo fa si è grattato la chiappa, non penserà davvero che io la stringa? Fulmineo si appropria della mia mano e la stringe, disgustata, sbarro gli occhi. «Affare fatto.» «Bene, prendi la valigia.» «Io inizio a lavorare dopo aver avuto il primo acconto.» «Scusa?» non ci posso credere! Lo sta facendo veramente? Sta davvero facendo quello che sto pensando? Va a chiudersi nella sua stanza. Drizzo la schiena inviperita, magari potessi mordere e uccidere le mie vittime. Lo seguo e mi piazzo davanti alla porta della sua camera, inizio a bussare e in due secondi parte una musica assordante che mi fa sobbalzare dallo spavento. Ma cos’è? È orribile! E trema pure il pavimento. Lo ha scelto bene mia madre, uno stronzo arrivista… un anticipo? Ritorno alla porta d’ingresso dove sosta la mia valigia, mi guardo intorno. «Santo cielo…» sussurro. Questo cameriere è un disastro, guarda qua: pavimento sporco, boxer buttati sul divano, un cartone aperto di pizza con un pezzo andato a male… e queste, cosa sono? Mi avvicino piano e prendo un paio di mutande striminzite che penzolavano sullo schienale della sedia. Dio, che schifo!


Trascino la valigia nella mia camera, mia madre, sicuramente, avrà preso accordi per spaventarmi il più possibile ma non demordo, non la darò vinta ai mie genitori, non questa volta. Oddio… cos’è questo buco? La valigia mi scivola e cade sul pavimento con un tonfo sordo, mentre io resto a bocca aperta. Un lettino singolo accanto al muro, un piccolo comodino di un colore orribile e indistinguibile, una scrivania sgangherata, una finestra senza tende, un armadio a due ante. Due ante! Guardo la valigia gonfia di vestiti e capisco che là dentro non ci starà nulla. Le foto sul giornale non erano così, giuro questa non è la stanza che ho preso in affitto. La valigia accanto al letto, i vestiti sparsi qua e là per la stanza e io sono ancora in alto mare. Non ci sono parole, ho un cameriere indisciplinato alle mie dipendenze, una stanza che sembra la bettola di un film horror e ci manca solo che giunga Jack lo Squartatore a farmi fuori. Che stress, ho bisogno di rilassarmi, di lasciarmi andare.Mi alzo di scatto e prendo uno dei vibratori che mi ha regalato mia madre. Sono diversi, questo è grande e viola, a forma di delfino, l’altro è più piccolo e giallo a forma di coniglio e si muove; nel senso che se lo prendi in mano e lo scuoti un po’ si muove a destra e a sinistra, avanti e indietro. Ah, l’uomo e le sue invenzioni. Chissà a cosa servono! Questi colori però sono davvero belli, chissà se profumano… li avvicino entrambi, annusando prima uno poi l’altro. No, nessun profumo. Peccato!Sospiro, picchietto l’indice sul vibratore viola… sembra di vetro, è molto duro.Lo sbatto sulla mano aperta e s’illumina. Wow! Magari posso utilizzarlo come lampada, potrei metterlo sul mobiletto vicino all’ingresso e l’altro in cucina, di notte faranno un effetto bellissimo! Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto?

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