Un weekend per quattro

Page 1


UN WEEKEND PER QUATTRO di Antonella Maggio Rujada Atzori

Prima edizione gennaio 2016 Copyright ©2016 Rujada Atzori & Antonella Maggio Copyright ©2016 Rujada Atzori & Antonella Maggio Grafica: Le muse-Grafica A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

BIOGRAFIA Rujada e Antonella si conoscono su Facebook pubblicando per la stessa casa editrice, la Butterfly Edizioni. Decidono di unire le forze e far conoscere i loro personaggi unendoli in un'unica storia, nasce così il loro primo libro scritto a quattro mani: Un weekend per quattro. Potete trovare le altre loro storie su Amazon: Profumo d’amore a New York, Manchi solo tu, Un’estate a Rimini per innamorarsi, Questo nostro dolce Natale. The secret: una scommessa d’amore, Un cameriere solo mio nella mia vita (im)perfetta, Sunshine: salvata dall’amore, L’amore nei tuoi occhi.


SINOSSI: Un biglietto della lotteria per una coppia d'innamorati, il primo premio un weekend romantico... Ma cosa succede se per un errore del sistema i vincitori non sono due bensì quattro? Due coppie costrette a dividere l'unico premio mai vinto in tutta la loro vita. Alex ed Elisa, Vito e Camilla, non hanno nessuna intenzione di partire insieme e pretendono di trovare una soluzione. Costretti a scendere a compromessi pur di godersi il loro premio, le due coppie architettano macchinazioni per sabotare i loro rivali. Chi saranno i due vincitori? E se per una volta nella vita non esistessero né vincitori né vinti? Riusciranno le due coppie a trovare un accordo? Tra schermagli divertenti e piani machiavellici nasce un romanzo frizzante che vede per la prima volta due coppie protagoniste di libri differenti fondersi in un’unica storia... tutto questo solo per colpa di un biglietto della lotteria.

Sommario AVVERTENZE SPECIALI: PROLOGO PROLOGO CAPITOLO 1


CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 6 CAPITOLO 7 CAPITOLO 8 CAPITOLO 9 CAPITOLO 10 CAPITOLO 11 CAPITOLO 12 CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 CAPITOLO 15 CAPITOLO 16 CAPITOLO 17 CAPITOLO 18 CAPITOLO 19 CAPITOLO 20 CAPITOLO 21 CAPITOLO 22 CAPITOLO 23 CAPITOLO 24 CAPITOLO 25 CAPITOLO 26


CAPITOLO 27 CAPITOLO 28 CAPITOLO 29 CAPITOLO 30 CAPITOLO 31 CAPITOLO 32 CAPITOLO 33 CAPITOLO 34 CAPITOLO 35 CAPITOLO 36 CAPITOLO 37 CAPITOLO 38 CAPITOLO 39 CAPITOLO 40 CAPITOLO 41 CAPITOLO 42 CAPITOLO 43 CAPITOLO 44 CAPITOLO 45 RINGRAZIAMENTI


AVVERTENZE SPECIALI: Si consiglia la lettura a un pubblico adulto, amante delle risate e per nulla bigotto, disposto a lasciarsi trasportare in una storia folle e per alcuni aspetti inverosimile. INDICAZIONI TERAPEUTICHE: Si consiglia la lettura di questo romanzo a tutti quei lettori desiderosi di abbandonare per un po’ la realtà e vivere una storia spensierata e divertente. La lettura è indicata in qualsiasi momento della giornata, ma badate bene a non eccedere per non terminare troppo in fretta il libro. EFFETTI INDESIDERATI: Ridarella, risata esagerata, rumorosa e molesta, crampi alla pancia e blocco della mandibola, improvviso desiderio di comportarsi come i protagonisti del romanzo. Si consiglia dunque di non imitare Elisa e Camilla se non sotto la sorveglianza di un adulto lucido di mente. Tenere il libro fuori dalla portata dei bambini.

A chi ha senso dell’umorismo ;) Rujada

A tutti i lettori che mi hanno seguita sino ad ora. Antonella


PROLOGO Camilla L’ultima volta che mi sono risvegliata sentendomi come Saturno, con gli anelli che mi giravano attorno alla testa, avevo bevuto come una spugna e al mattino non ricordavo neppure la mia identità. Vito era venuto in mio soccorso, in tutti i sensi e mi aveva tranquillizzato e ridato la memoria, mettendomi al corrente di tutte le bravate fatte quella notte, attorniata dalla movida riminese. Vito. Sorrido, ma resto ad occhi chiusi. Percepisco la luce che si infiltra dalla persiana e bussa sulle mie palpebre. Toc toc. «Bussa quanto vuoi, tanto non ti apro!» biascico con la voce impastata di sonno mentre al contempo realizzo che sto parlando con la luce. “Ma che cacchio ho combinato stanotte?”, penso ma non lo dico. Deglutisco e il sapore amaro che avverto sulla lingua non mi rende affatto tranquilla, ma anestetizzata ancora dal torpore che il sonno mi induce, mi limito a muovermi appena e lo so sento, lo percepisco sotto di me. «Oh cielo!». Adesso non sono più una ragazzina sprovveduta, qualcosina la conosco anche io e questa che avverto in corrispondenza del mio sedere è un’erezione. Rido, ma faccio piano, lo faccio in silenzio e mantenendo sempre gli occhi chiusi. Vito è già pronto e ne deduco che non dovrò attendere molto per riscuotere un po’ di sano sesso mattutino. Il solo pensiero mi eccita al punto che ritrovo un po’ di energie e allungo una mano dietro di me per cercarlo. Non c’è. Non c’è Vito, non c’è niente, la mia mano penzola oltre il materasso e mi assale il dubbio, gli anelli di Saturno girano, girano e girano e a me comincia a girare anche un po’ la testa nonostante sia stesa. “Mantieni la calma!”, dico a me stessa e fingendo di non avere niente di grosso e duro che spinge sulle chiappe, allungo una mano davanti e finalmente lo sento, lo trovo. «Vito» mormoro con voce suadente sapendo che in questo modo non potrà resistermi un minuto di più. «Vito» insisto ma non ricevo risposta e la mia mano si fa strada sulla sua pelle, si muove lenta, elargisce carezze e i polpastrelli sfiorano


appena la cute perché so per certo che, in questo modo, gli procuro i brividi e la voglia di saltarmi addosso. No, aspettate. Qui. C’è. Qualcosa. Che. Non. Va! Vito ha un corpo tonico, duro come il marmo, il mio Bronzo di Riace, il mioDiscobolo che tra le mani regge un piatto o un mestolo e questo qui al mio fianco, sembra un po’ troppo morbido e liscio, ma proseguo con il mio tocco per annientare questa mia fantasia, brilla anche lei, proprio come me. «Merda!» mi vien fuori dalle labbra prima ancora di rendermene conto. Io le parolacce non le dico mai, quasi mai e in questo momento non so nemmeno se dire “merda” sia una parolaccia o meno, ma le mie mani incontrano qualcosa e sono certa che, fino a ieri, Vito non aveva le tette, non pronunciate in questo modo. Allontano la mano all’istante, i miei polpastrelli quasi ustionati dal contatto. Nello stesso momento apro gli occhi combattendo con la luce del giorno e cerco di capire cosa cerca di farsi strada tra le mie natiche. «Ahhhhh!» urlo non appena mi rendo conto di aver afferrato un pene senza un corpo. È finto, è di gomma o di plastica o non so di che altro diavolo di materiale sia fatto, ed è fucsia. «Ma cosa urli?» domanda chi mi sta accanto e non è Vito.

PROLOGO Elisa L’ultima volta che mi sono sentita così, come se qualcuno mi avesse preso a testate, è stato quando sono andata in vacanza da sola per dimenticare Alex. Allungo una mano e cerco di avvicinarmi a lui per poterlo abbracciare e accoccolarmi sul suo petto, ma non lo trovo e sono troppo stanca per aprire gli occhi. Mi metto a pancia in su, cercando di restare calma mentre lo stomaco si contorce e borbotta.


Sento una mano solleticarmi una tetta, cerco di spostarla ma non la becco. Alex ha sempre voglia la mattina ed io, certe volte, non riesco a sostenere i suoi ritmi folli, la mia patata ha bisogno di pause e anch’io! Qualcuno al mio fianco urla, scatto sull’attenti come una molla. Ritta sul materasso cerco di capire cosa sia successo e perché qualcuno ha urlato, non vedo nulla, forse è ancora buio, la persona al mio fianco urla ancora. «Ma cosa urli?» domando e a tentoni mi giro verso la voce. «E perché non vedo niente?» proseguo. «Quelle sono le mie mutande?» domanda una ragazza sfilandomi qualcosa dal viso, e ora, finalmente, vedo. La luce che filtra dalla finestra mi acceca. Socchiudo gli occhi e metto una mano davanti per proteggermi da questi raggi che mi stanno accecando. «Perché avevi le mie mutande in faccia?» domanda incredula. «No, la domanda corretta è perché le tue mutande erano sulla mia faccia?» mi blocco e osservo l’aggeggio che ha in mano. «E perché hai un vibratore tra le mani?» mi alzo lenta e scendo dal letto. «E perché siamo nude? E tu hai un vibratore tra le mani e le tue mutande erano sulla mia faccia?» Panico. Panico. Panico. La ragazza, che ancora non riesco a vedere bene perché è avvolta da un alone di luce che la fa sembrare tanto una santa, lancia il vibratore quasi fosse un insetto schifoso, non mi stupirei se ora lo schiacciasse con una ciabatta, si volta verso di me e sconvolta esclama: «Oddio!» si porta una mano sulla bocca. «Oddio!» ora porta anche l’altra. Sbuffo e alzo gli occhi al cielo. «Oddio!». «La vuoi finire?» «ODDIO!» questa volta lo urla. Poi mi indica e dopo indica se stessa. «Noi abbiamo fatto…» «Cosa hai detto? Non ti ho sentita».


«Abbiamo fatto…». «Giuro, non riesco a capire l’ultima parola!». «Abbiamo fatto s…». Mi avvicino perché non riesco a capire cosa sta dicendo, abbiamo fatto cosa? E finalmente la vedo! «Camilla!» esclamo stupita. Lei mi afferra per le spalle e sussurra impaurita: «Abbiamo fatto sesso!». OH MIO DIO.

CAPITOLO 1 Una settimana prima Elisa

Oggi non è giornata, non è proprio giornata. «Elisa, cara, chiudi quel finestrino o mi si scompigliano tutti i capelli e addio piega» la voce irritante di mia madre è come un megafono a due centimetri dall’orecchio, si volta verso di me dal sedile anteriore, quello accanto ad Alex, quello dove dovrei esserci io. «Mi è costata cara, sai!». La guardo male e alzo un po’ il finestrino. Morirò. Non so se per opera di mia madre o per il caldo soffocante che c’è dentro questa macchina, maledetto catorcio! Si è bloccato il riscaldamento e non funziona più la manopolina di merda, ah maledizione, mi faccio il segno della croce perché, nonostante tutto, sono sempre figlia di Dio, anche dopo aver peccato, ma ora sono sposata quindi il peccato non conta più perché Dio mi ha perdonato. Almeno credo.


Comunque, dicevo, si è bloccata la manopolina del riscaldamento e ora non si spegne più e c’è un caldo terribile, quasi non si respira e mia madre ci obbliga a tenere i finestrini quasi chiusi perché altrimenti la sua piega di merda… dannazione, ancora! Mi rifaccio il segno della croce. Perché altrimenti la sua piega… la sua piega si rovina. Gesù, faccio fatica a parlare senza dire parolacce quando c’è lei nei dintorni! Questa gita fuori porta dovevamo farla io e Alex, perché dal ritorno a Roma sono successi parecchi imprevisti che ci hanno un po’ allontanati e così abbiamo deciso di andare soli soletti da qualche parte… e poi sono arrivati i miei. Li guardo male entrambi, a mio padre, seduto accanto a me, e a mia madre che mi ha rubato il posto da regina accanto ad Alex. «Non potevate andare per gli affari vostri, voi due?» domando con una punta di acidità. «Amore» mi ammonisce Alex e mi guarda dallo specchietto retrovisore. «Oh, Signore! Da quando ti sei sposata, sei diventa così… così… scontrosa! E dire che il sesso dovrebbe rendere felici!» borbotta l’ultima frase. «Mamma! Che vorresti dire?». «Oh, nulla…» mi liquida con un gesto della mano e poi urla «Oh, guarda Alex caro, siamo arrivati!». Guardo anch’io, curiosa e speranzosa ma quando leggo SAGRA DEL CETRIOLO E DELLE FRAGOLE, muoio dentro. «Sagra del Cetriolo? SAGRA DEL CETRIOLO E DELLE FRAGOLE?» borbotto furiosa mentre scendo dalla macchina e Alex si avvicina a me per abbracciarmi. «Sai cosa facciamo io e te, ora?» domando alzando il viso e tuffandomi negli occhi di Alex. «Cosa?». «Li lasciamo qui e ce ne andiamo via. Il più lontano possibile».

CAPITOLO 2


Una settimana prima

Camilla

Ultimamente Vito ed io non abbiamo molto tempo libero da trascorrere insieme, lavoriamo tanto, lavoriamo troppo e lavoriamo insieme e vi posso assicurare, che non è facile o romantico come può sembrare. Va a finire che i problemi del lavoro ce li portiamo a casa e litighiamo anche lì. Ho deciso dunque di prendere in mano la situazione. Ho contattato Tommy, quella specie di computer ambulante, lui ne sa una più del diavolo e non ho ancora capito bene come faccia a conoscere a memoria il calendario delle Sagre di tutto il centro-sud, ma conoscendo Vito che non riesce a rilassarsi nemmeno in un centro benessere, ho optato per qualcosa di più rustico e spartano. «La Sagra del Cetriolo?» domanda con un sopracciglio alzato quando scorge lo striscione che penzola sulle nostre teste. Spero che l’abbiano legato bene perché in genere, siamo sempre Vito ed io quelli che attirano disgrazie e non mi stupirei affatto di risvegliarmi al pronto soccorso, o finire in prima pagina sul giornale locale di Perugia. Innamorati travolti dallo slogan. «Non solo, amore. Questa è la Sagra del Cetriolo e delle fragole» gli dico piena di entusiasmo mentre indico la parte dello striscione coperto da un ramo. «Ma che razza di accostamento è? Cetriolo e fragole? Ma sono pazzi? Chi ha autorizzato questa presa in giro?». Ecco cosa succede quando Vito ha a che fare con il cibo, la sua è una fissazione, una deformazione professionale, una specie di malattia senza cura. Vi starete chiedendo dunque come mai io l’abbia portato in questo posto? È vero, ero consapevole che avrebbe trovato difetti, ma lontano dal cibo è perso ugualmente e poi io adoro le fragole. Per un attimo sollevo gli occhi al cielo, poi gli afferro una mano e gli faccio gli occhi dolci. Sbatto le ciglia e spero di sembrare un piccolo cerbiatto indifeso, bisognoso di


cure e di attenzioni, ma non funziona. Vito non ha ancora terminato il suo turpiloquio nei confronti dei cetrioli, delle fragole e dell’amministrazione comunale che ha permesso questo scempio. «Ma a Perugia non facevano la Sagra del Cioccolato? Ora cosa c’entrano…». Mi avvento sulle sue labbra perché questo è l’unico modo a mia disposizione per fargli chiudere il becco. In genere, basta levare qualche capo di abbigliamento per ammutolirlo ma non mi sembra il caso di rischiare una denuncia per atti osceni in luogo pubblico. «Okay, okay! Mi hai convinto» biascica sulla mia bocca quando ormai il suo animo, in perenne agitazione, trova pace. Geme piano e quel suono roco che vien fuori dalle sue labbra mi riscalda, mi fa venire certe voglie assurde, ma questo non è il momento di pensare alle mie fantasie sessuali, quindi gli sorrido ancora e felice come una bambina a cui hanno promesso lo zucchero filato, mi stringo a lui e ci incamminiamo verso il centro della città, lì dove sono state disposte tutte le bancarelle. Vendono di tutto, c’è anche il Salame di Norcia che non c’entra proprio niente con il tema della Sagra e qualcuno spaccia anche il cioccolato della precedente sagra di metà ottobre. «È tutto così bello, tutto così perfetto quando siamo solo noi due, vero?» gli domando. L’euforia di questa gita fuori porta contagia anche lui e finalmente sento i suoi nervi rilassarsi e vorrei che ogni giorno fosse così, che ogni giorno fosse festa, che fossimo in vacanza, lontano da tutto e tutti. «Ehi! Dolci piccioncini, scusate l’interruzione». Qualcuno si pone nel mezzo tra me e Vito, proprio mentre sto per prendermi il bacio che mi spetta per diritto e dovere. Sussulto, mi stacco dal mio uomo e faccio qualche passo indietro per tenermi a distanza da questo… questo… «Un cetriolo umano?» esclamo mentre fisso con smarrimento un ragazzo vestito da cetriolo. Il tipo, dinanzi alla faccia turbata mia e di Vito, scoppia a ridere di gusto, fa anche un giro su se stesso per mostrarci meglio il suo costume tutto verde e di gomma. Se dovesse cadere, finirebbe per rimbalzare sulle vecchie strade di Perugia. Comincia a


parlare a raffica. “Aspetta! Aspetta, ti prego! Non ti seguo!”, ma non lo dico perché sono ancora sconvolta e il suo aspetto è davvero ripugnante. «Quindi volete partecipare?» domanda e i suoi occhi sembrano proprio come i miei di poco fa, quando, fingendomi Bambi, tentavo di convincere Vito. «Partecipare a cosa?» domandiamo insieme. «Alla Lotteria del Cetriolo e della Fragola. Per chi si aggiudica il primo premio c’è in palio un viaggio, altrimenti al secondo e al terzo posto offriamo una buona scorta di cetrioli e fragole» taglia corto il ragazzo, già pronto a staccare il biglietto dal blocchetto che stringe tra le mani. Un viaggio. Ho ascoltato solo fino a quel punto e ho immaginato già di prolungare questa sensazione di benessere e felicità. Mi volto e cerco gli occhi di Vito, adesso di nuovo scocciato e irritato dal siparietto del cetriolo umano. Alla fine sospira, ed io so per certo che sta per accontentarmi. «Posso dirti di no?» esclama e subito tira fuori una banconota da dieci euro per acquistare il biglietto della lotteria.

CAPITOLO 3 Elisa La fuga è saltata. Ora sono inchiodata in questa sagra bruttissima, con mia madre che trottola da uno stand all’altro mangiando a sbaffo e di tutto. Sbuffo. Non so quante volte sbuffo, ho perso il conto. Alex, accanto a me, mi cinge la vita e mi accarezza piano, ma io continuo a sbuffare perché non era così che avevo previsto il nostro weekend. Un cetriolo gigante si avvicina a noi con un sorriso a trentadue denti. Sbuffo più forte.


«Senti, non è giornata. Smamma» lo fulmino con lo sguardo ma lui prosegue e se ne frega di me, del mio sguardo e del mio umore. «Volete partecipare alla Lotteria del Cetriolo e della Fragola?» domanda ballando da un piede all’altro. «Non m’interessa la tua lotteria del cavolo né questa sagra tristissima!» esclamo mentre Alex mi trattiene per un braccio. «Oh, sono sicuro che cambierai idea perché per chi si aggiudica il primo premio c’è in palio un viaggio, altrimenti al secondo e al terzo posto offriamo una buona scorta di cetrioli e fragole» e prende il suo blocchetto dei biglietti per la lotteria. «Ti ho detto che non m’int…» mi blocco, aspetta, aspetta, aspetta… cos’hanno sentito le mie bellissime orecchie? «Hai detto un viaggio?» mi avvicino di più a lui che continua a sorridere. Assottiglio lo sguardo. «Esatto» risponde indietreggiando. «Quanti giorni?». «Un weekend» indietreggia. «Dove?» mi avvicino ancora di più, mi sento tanto una bulla in questo momento. «Questo non me l’hanno detto…» indietreggia ancora. «E cosa devo fare per vincere questo viaggio? Parla cetriolo gigante!» lo intimo. «Devi comprare il biglietto della lotteria...». «E quanto costa?». «Dieci euro…» vedo il suo pomo d’Adamo sollevarsi e abbassarsi mentre il sudore gli impregna la fronte. «Troppo! Te ne do cinque!». «Ma…». «Cinque. Altrimenti vado dai tuoi superiori a dire che molesti le ragazze indifese e credimi, sono molto credibile».


Strappa un biglietto della lotteria e allunga una mano, tremante. Afferro il biglietto e gli lascio cinque euro. Continuo a guardarlo con quello sguardo da dura e da bulla che ho imparato a fare da quando sto con Alex e il cetriolo umano si allontana a grandi passi senza voltarsi più. «Sei tremenda!». «No! Sono furba!».

CAPITOLO 4 Camilla

«Io mi auguro che tutta questa roba che stai comprando la regalerai a qualcuno… dimmi che tutti questi vasetti di marmellata li spedisci in Puglia». Vito è insofferente, sembra uno di quei bambini di cinque anni che, avvinghiato a mo’ di Koala attorno al braccio della mamma o del papà, non fa altro che chiedere e ripetere quando si torna a casa. «Secondo te spedisco la marmellata in Puglia? Tu vuoi per caso che la nonna venga fino a Rimini per tirarmi le orecchie e rinfacciarmi di aver comprato una marmellata finta e piena di conservanti, quando invece c’è lei che prepara confetture da quando aveva tre anni di vita?». «Ecco, appunto! Perché non ti sei fatta spedire la marmellata dalla nonna invece di acquistarla durante questa sottospecie di Sagra?» mi domanda Vito che cerca in tutti i modi di muovere la mia coscienza, ma io non lo ascolto più.


No. Come posso ascoltarlo ora che i miei occhi hanno intercettato un vasetto di Marmellata di Cetrioli? Non sapevo neppure dell’esistenza di questa marmellata e l’aspetto e il colore, un misto tra giallo ocra e giallo lime, mi suggerisce che il sapore non sarà affatto malvagio. La voglio. Sarà mia. Devo provarla e la indico con un dito mentre gli occhi la guardano come fosse una reliquia. «No, Camilla, ti prego! Quella schifezza no! Non ce la voglio in casa» afferma mentre mi si para davanti, come se ciò possa bastare a mettere le distanze tra me e quel barattolo che sarà mio ad ogni costo. «Quando diavolo mangerai tutte queste marmellate? Finirai per gettarle nella spazzatura prima ancora della scadenza». «Vorrà dire che, d’ora in poi, prenderemo l’abitudine di fare una vera colazione al mattino, con succo d’arancia, cappuccino, fette biscottate e marmellate». «No, a me basta il caffè!». Sollevo gli occhi al cielo, poi allungo una mano e riesco a indicare al venditore della bancarella il vasetto. «Potremmo sempre giocare con tutta questa marmellata» gli dico sussurrandoglielo in un orecchio mentre con una mano gli disegno forme geometriche inesistenti sul petto. «Stai giocando sporco» aggiunge in fretta ma il suo pomo d’Adamo ha un sussulto ed io mi compiaccio di me stessa e dell’effetto che ho su di lui. Intanto il venditore mi passa una busta con dentro tutti i miei acquisti. Ho fatto una razzia di cibo e il tipo della bancarella potrebbe benissimo chiudere baracca e burattini e andarsene alle isole Cayman con tutti i miei soldi. Forse ha ragione Vito, ho esagerato un pochino ma quando mi ricapita di trascorrere una giornata fuori come oggi? La nostra vita è un susseguirsi tra casa e lavoro, i momenti per noi sono sempre pochi, sfuggenti, legati sempre al nostro ambiente, alla cucina e al cibo ma oggi mi sento libera di fare quello che voglio, di acquistare ciò che voglio e mangiare solo quello che mi aggrada e non quello che passa il convento, nonché gli avanzi del ristorante dove entrambi lavoriamo. «Bene! Adesso che hai finito di finanziare questa Sagra, possiamo tornarcene a casa?». «Certo che no!».


«Camilla, ti prego! Sono stanco, sono distrutto e vorrei ricordarti che ci vogliono due ore e mezzo per tornare a Rimini». «Non possiamo andarcene, dobbiamo aspettare l’estrazione della lotteria» gli dico mentre mi addentro tra la folla e lui sbuffando mi segue. «Suvvia! Non penserai davvero di vincere? Le lotterie sono solo una gran bella presa in giro, proprio come i Gratta e Vinci. Io non ho mai vinto nulla in tutta la mia vita sino ad ora!». «Forse perché non hai mai acquistato un biglietto?» gli domando con fare sarcastico, conoscendo perfettamente come la pensa a riguardo. Vito è uno di quelli che borbotta sempre, che si lamenta e che spesso se ne sta a pancia all’aria ad aspettare che i soldi piovano dal cielo anziché tentare la fortuna, preferisce spaccarsi la schiena dietro i fornelli e compiacere il Signor Armando in tutto e per tutto, per lui i soldi arrivano solo se lavori ed io apprezzo la sua serietà, ci mancherebbe! Ma oggi voglio essere incosciente, oggi mi sento fortunata e voglio sfidarla questa stronza di Dea Bendata che si spaccia per cieca, ma che, con ogni probabilità, non lo è. Le manderei volentieri un bel controllo fiscale per constatare se effettivamente è cieca per davvero o finge solo per evitare di affacciarsi nella nostra vita. «E comunque, si dà il caso che io ti abbia fatto un regalo in piena regola… staremo qui a Perugia fino alla fine del weekend, non sei contento?». Lo sento irrigidirsi. No, non è affatto contento e non ha nemmeno il coraggio di dirmelo. Sorride, un sorriso teso e tirato e gli vibra un occhio. Perfetto! Ora è nervoso all’ennesima potenza e mi tocca non degnarlo più di attenzioni. «Mi scusi?» chiedo intanto a un gruppo di signori, sembrano a loro agio e conoscono l’organizzazione di questa Sagra meglio di noi. Se sono fortunata sono anche del posto. «Sapreste dirmi a che ora faranno l’estrazione della lotteria?» domando in fretta, prima che Vito mi tiri via per un braccio o dica qualcosa che possa infastidire questa gente. «Siete forestieri, eh? Comunque siete fortunati! Tra meno di dieci minuti estrarranno il primo premio». «Hai visto?» domando a Vito e lui sbuffa. «Non vinceremo mai» rimbrotta infastidito.


«Io sono fiduciosa! Ci pensi tu ed io in viaggio da qualche parte?» gli domando con occhi sognanti mentre immagino i granelli di sabbia bianca e fina intrappolata tra le dita dei piedi e le palme che fanno ombra mentre siamo stesi a bearci della bella vita. «Camilla… il cetriolo umano ha parlato di un semplice weekend» dice infrangendo come sempre i miei sogni ad occhi aperti. «E non voglio neppure immaginare in quale posto sperduto dell’Italia potrebbero inviarci, se mai dovessimo vincere questa assurda lotteria» continua e le sue dita spingono, spingono e spingono dentro questa piaga dolorosa. «Ascoltavo per sbaglio i vostri discorsi» interviene un vecchietto al nostro fianco. Vito ed io ci voltiamo entrambi e lo guardiamo, restando ammutoliti perché in realtà non sappiamo neppure bene cosa rispondergli. E ora che vuole? Non vorrà mica proporci uno scambio di biglietti? O proporci di acquistarne un altro? In questo momento sono molto suscettibile e forse, anche un tantino disperata, potrei anche cedere alla tentazione. «Ragazzino» esclama il vecchietto puntando poi il suo dito ossuto verso Vito. Lo sguardo s’infittisce, gli occhi ridotti a poco più di una fessura mentre squadra il mio uomo e sembra provare odio nei suoi confronti. «Bada bene a come parli! Qui le cose le facciamo bene, sai? L’anno scorso il primo premio prevedeva un fine settimana a Gubbio» aggiunge l’uomo mentre parla con orgoglio. «A Gubbio?» domando ad alta voce mentre ordino al mio cervello di mostrarmi la cartina geografica dell’Italia. «Esatto! Sul set della serie televisiva di Don Matteo» risponde in fretta l’uomo e qualcosa mi fa credere che sia stato proprio lui ad aggiudicarsi il primo premio. «Oh no!» esclama nello stesso istante Vito, ma né io né il vecchio lo ascoltiamo. Qui c’è di mezzo un viaggio, un weekend, chiamatelo come volete! «Ha vinto lei, non è vero?» domando curiosa di conoscere nei dettagli come funziona, ma lui scuote il capo. «No, dannazione! Finite per vincere sempre voi forestieri!» esclama risentito il buon uomo ed io non riesco a rispondere a tono perché Vito mi afferra per un polso e comincia a tirarmi via. «Adesso ce ne andiamo a casa! Subito!» risponde quando io gli chiedo dove sta andando e gli intimo di fermarsi.


«No, amore, ti prego! Ho già prenotato e pagato l’alberghetto dove stare». Faccio la vocina dolce, sbatto le ciglia, lo chiamo in tutti i modi carini e possibili, anche con tutti i soprannomi che utilizzo durante l’intimità, gli faccio promesse che, in condizioni di normalità, non farei mai, ma lui è irremovibile, intenzionato questa volta a non darmela vinta. «Io a Gubbio, a vedere Don Matteo, non ci vado! Te lo scordi, Camilla!». Intanto, in lontananza il cetriolo umano improvvisa un piccolo show su di un palco prima di annunciare il vincitore al microfono. Quest’anno si aggiudica il primo premio della Lotteria del Cetriolo e della Fragola il numero 82! L’agenzia viaggi di Mariolino non vede l’ora di conoscere i vincitori di questo splendido weekend! Ci fermiamo di botto, si ferma anche lui e mi guarda. Non è possibile! «Abbiamo vinto!».

CAPITOLO 5 Elisa

Dio mio, è una noia mortale questa sagra. Passeggiamo tra le varie bancarelle, mano nella mano, i miei dietro come se fossero cagnolini e non posso nemmeno lasciarmi andare a effusioni affettuose con Alex che mia madre sbuca fuori all’improvviso con domande inutili, tipo: “Avete visto che carino questo?” con in mano un cetriolo in miniatura, oppure: “Oddio! Guardate lì” e poi non c’è niente. Fa di tutto, pur di tenerci lontani. Ci fermiamo davanti a uno stand che vende cetrioli giganti. Ne afferro uno e un pensiero malefico mi balena nella mente. Potrei lanciarlo in testa a mia madre,


qualcosa tipo: “Ehi mamma, guarda qui” e sbang, il cetriolo in piena fronte per poi scappare da questo posto assurdo. «Ma non può diluviare? Magari all’improvviso?» sbuffo per l’ennesima volta, se per ogni “sbuffata” mi avessero dato un palloncino a quest’ora ne avrei gonfiati più di mille. «Dài, non fare così!». Alex mi scocca un bacio sulla fronte e mi stringe a sé. Vengo quasi ribaltata e per poco non finisco addosso a un vecchietto che lesto mi palpa una natica giustificandosi con: “ti stavo solo aiutando”, certo. Vecchietto depravato! «Ragazzi! Spostatevi!». Mia madre passa come un Caterpillar, spingendomi; sto per ribattere quando vedo che parla a bassa voce con il cetriolo umano. Io e Alex ci guardiamo perplessi, mi volto in cerca di mio padre e non appena i nostri sguardi s’incrociano, alza le spalle come a dire: “non ci posso fare niente, conosci tua madre!”. Sì, la conosco e so che quando fa così ha in mente qualcosa. Ci avviciniamo silenziosi per ascoltare mia madre borbottare: «Ti do dieci euro se fai uscire il nostro numero!». Il cetriolo umano si gratta la fronte, guardandola perplessa. «Dieci euro?». «Te ne do trenta, okay? Basta che fai uscire il nostro numero!». Vedo il cetriolo umano imbarazzato, allora afferro mia madre per un braccio e la trascino via. «Sembri una mafiosa, mamma!». «Perché? Sto solo cercando di vincere!». «Ma non c’è gusto così!». «Oh, cielo! Quanto la fai tragica! Voglio vincere questo viaggio, me lo merito!». Apro la bocca per ribattere quando mi blocco. Un attimo. Cos’ha detto?


«Te lo meriti?». «Sì, me lo merito! Anzi, ce lo meritiamo, io e tuo padre! Un weekend tutto per noi…» e si volta a fare gli occhi dolci a mio padre. «Ehi, ehi! Frena! Questo biglietto è mio e di Alex!». «Uhm, uhm… è mio» gongola beata. «No, no. È mio! Dammelo!». Sto per stracciare il biglietto della lotteria dalle mani di mia madre ma lei è veloce e si sposta. «Mamma!» esclamo a denti stretti. Non basta la sagra di merda, pure lei ci si deve mettere! Intanto sentiamo in lontananza qualcuno parlare al microfono e la sua voce si espande per tutta la sagra:

Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto?

Scarica la versione completa di questo libri


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.