FEDERAZIONE ORDINI ARCHITETTI ABRUZZO E MOLISE
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Art Director Laura Lebro Comitato Scientifico Franco Trovarelli (Presidente Ordine della Provincia di Chieti) Gianlorenzo Conti (Presidente Ordine della Provincia di L’Aquila) Gaspare Masciarelli (Presidente Ordine della Provincia di Pescara) Giustino Vallese (Presidente Ordine della Provincia di Teramo) Nicola Moffa (Presidente Ordine della Provincia di Campobasso) Francesco Dituri (Presidente Ordine della Provincia di Isernia) Redazione Lorenzo Berardi, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Antonello De Marchi, Silvia Di Persio, Enrico Guerra, Angela Mascara, Marcello Rossi, Alessandro Rubi, Carlo Salvini, Federica Setti, Paolo Simonetto, Mercedes Vescio, Gianfranco Virardi Hanno collaborato Manuela Garbarino, Emilia Milazzo Stampa LITOSEI - Officine Grafiche Rastignano (Bo) www.litosei.com
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sommario 15
Intervista Leopoldo Freyrie Come ridare centralità ai progetti di architettura?
19
Opinione Multiforme modernità dell’architettura in Abruzzo
23
Tracce Libri, novità, prodotti, notizie dal mondo
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Progettare Viaggiare con l’arte p.34 Stazione Università della Metro, Napoli Progetto di Karim Rashid, Camila Tariki, Dennis Askins Se il museo espone se stesso Guangdong Museum, Guanzhou Progetto di Rocco Design Achitects Ltd
p.44
In simbiosi con il paesaggio EDF Archives Centre, Bure - Saudron Progetto di LAN Architecture
p.52
Un’architettura monumentale Centro Direzionale, Milano Progetto di 5+1AA, Alfonso Femia Gianluca Peluffo e Jean-Baptiste Pietri
p.62
AMarchitetti 9
75
Creative Design Giuseppe Rivadossi, Biciclette di Design
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Prodotti Ceramica creativa
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Appuntamenti Architetture e design da vedere
90
AM architetti - Focus Pensioni eque e sostenibili
p.90
Musei luoghi di confronto
p.92
Admirant Entrance Building Progetto di Massimiliano e Doriana Fuksas
p.94
Museo del Novecento Progetto di Italo Rota e Fabio Fornasari
p.95
Opera House Progetto di Zaha Hadid
p.96
Orange Cube Progetto di Jacob + MacFarlane Architect
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San Pio da Pietrelcina Progetto di Studio SAA&A
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L’ampliamento del Museum of Fine Arts Progetto di Foster & Partners
p.99
Centro Civico Noivoiloro Progetto di Tagliabue Volontè e Ida Origgi
p.100
Newport Station Renovation Progetto di Studio Grimshaw & Partners
p.101
10 AMarchitetti
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AM editoriale due anni e più di distanza dal tragico terremoto che ha colpito la città dell’Aquila ciò che si auspicava, purtroppo, non è accaduto. Alla possibilità che dal tragico “cratere” si potesse risorgere trasformando la ricostruzione in un’occasione per la definizione di un modello virtuoso di governance e di proficua interazione di tutta la filiera degli attori della pianificazione e dell’edilizia, si è preferito lo scontro del tutti contro tutti, indifferenti alle ragioni degli altri e, soprattutto, degli interessi generali. Le questioni relative agli affidamenti dei Piani di Ricostruzione sono lì a testimoniare tutto quanto si sarebbe potuto fare e non si è fatto. Dal canto suo la Federazione degli Ordini degli Architetti di Abruzzo e Molise si è sempre adoperata affinché si raggiungesse l’obiettivo primario dei soggetti coinvolti nel processo di ricostruzione, quello di favorire il più rapido rientro della popolazione colpita nelle proprie abitazioni in condizioni di sicurezza rispetto al passato; quello di creare le condizioni affinché si attivasse una sinergia positiva tra Pubbliche Amministrazioni, Enti Locali, Mondo delle Professioni e Università per il perseguimento degli interessi generali. Tutto ciò non è accaduto e, ad oggi, si è ancora impantanati nelle sabbie mobili dei ricorsi, anche perché alcuni soggetti hanno ritenuto che i Piani di Ricostruzione si configurassero “come strumenti innovativi, con profili di complessità poco noti agli addetti ai lavori e in particolare alla professione corrente” (dalla lettera aperta “UNA RISPOSTA DELLE UNIVERSITÀ ALL’ORDINE DEGLI INGEGNERI” inviata a tutti gli Ordini professionali abruzzesi dal delegato del Gruppo di Università coinvolte). Tali affermazioni, fatte dal Preside della Facoltà di Architettura di Pescara, che di fatto certifica l’incapacità di coloro che praticano la professione corrente di affrontare un tema come quello dei Piani di Ricostruzione, dovrebbero preoccupare non poco e dovrebbero preoccuparsi ancora di più i politici regionali. Se a fronte dell’offerta formativa delle Facoltà di Architettura italiane in un contesto ove operano centinaia di migliaia di professionisti e dove vengono continuamente immessi nel mercato del lavoro giovani abilitati, non è possibile trovare un gruppo sufficiente a dare risposte progettuali ai bisogni regionali, la domanda che sorge spontanea è: a che cosa sono servite le Facoltà di Architettura in Italia? Se in più di quarant’anni non è riuscita a formare una classe professionale capace di rispondere adeguatamente alle necessità di un territorio, soprattutto nei momenti del bisogno, a cosa è servita la Facoltà di Architettura in Abruzzo? Eppure, quando i politici dell’epoca avviarono il processo d’insediamento delle Università in Abruzzo lo fecero con l’auspicio di contribuire a dotare il territorio di quelle risorse professionali capaci di assicurare il salto di qualità a una regione in corsa verso lo sviluppo. Con la lettera aperta “Risposta delle Università all’Ordine degli Ingegneri” il preside della Facoltà di Architettura di Pescara, di fatto, certifica questo fallimento. Nei panni del Presidente Chiodi e dei Sindaci Abruzzesi mi preoccuperei molto di questa situazione, della mancata capacità di trasferimento dei risultati della ricerca universitaria ai professionisti che operano sul territorio, in una lo-
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gica di formazione continua; della mancata ricerca di un rapporto continuo con i professionisti con i quali intessere una proficua collaborazione per il progresso della disciplina e della professione corrente; della ricerca di una via ottimale per la transizione dei giovani laureati dal mondo della formazione universitaria a quello della professione. Evidentemente quelle citate sembrano essere priorità per altre Facoltà abruzzesi (come ad esempio Scienze Manageriali) ma non sembrano essere priorità per la Facoltà di Architettura. L’idea di una professione corrente incapace di sviluppare ricerca nell’ambito del proprio misurarsi con i temi della progettazione e della pianificazione è un’idea che mortifica la tradizione dell’Architettura e dell’Urbanistica Italiana ed aumenta la confusione dei ruoli che i vari soggetti ricoprono nella società italiana. Relegare i professionisti abruzzesi alla redazione ed esecuzione dei meri atti tecnici oltre a schiacciare verso il basso tutto il variegato mondo dei professionisti tecnici, produrrebbe la desertificazione della comunità professionale abruzzese privata delle poche occasioni professionali capaci di farla crescere e già provata dalla grave crisi economica-finanziaria tuttora in atto. Per quanto riguarda il volontariato offerto ai comuni pilota del cratere individuati dalla Regione, ritengo che il “volontariato” sia tale se non ci si aspetta nulla in cambio. Le convenzioni sottoscritte in molti di questi comuni, e oggetto dei ricorsi dei colleghi ingegneri, credo si configurino come un “rimborso” a tale “volontariato”. Convenzioni che prevedono compensi che, per omaggio alla trasparenza, sarebbe utile far conoscere alla comunità abruzzese. Il termine volontariato, pertanto, ritengo si addica di più all’attività di servizio svolta dai colleghi architetti (ingegneri, geologi e geometri) che a fronte del solo rimborso spese hanno offerto nella fase dell’emergenza, e continuano a offrire, le loro prestazioni professionali per l’accelerazione della fase della ricostruzione. Per chiudere queste pagine tristi in maniera ottimistica la Federazione degli Ordini degli Architetti di Abruzzo e Molise ritiene utile lanciare una proposta di fiducia e di speranza. In una fase in cui è tornato all’attenzione del dibattito nazionale lo strumento del Concorso, vorremmo che nel mondo si parlasse dell’Aquila per la capacità di selezionare i migliori progetti per la rinascita della città attraverso i Concorsi di Progettazione. In tale direzione la Federazione è impegnata a costruire, in collaborazione con il Consiglio Nazionale, l’Ordine degli Architetti della Provincia dell’Aquila, il Comune dell’Aquila e altri soggetti istituzionali e associativi, un percorso che permetta l’indizione di un Concorso Internazionale di Progettazione per la selezione del progetto da realizzare in un’area a scelta del Comune. Siamo impegnati affinché tale proposta si concretizzi perché crediamo che, dopo tante polemiche, sia giunta l’ora di supportare la rinascita della città dell’Aquila nel periodo più delicato della sua storia recente.
Mauro Latini
Presidente della Federazione degli Ordini degli Architetti PPC di Abruzzo e Molise
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COME RIDARE CENTRALITÀ
AM intervista
Il nuovo presidente del CNAPPC, Leopoldo Freyrie, ritiene urgenti alcune iniziative a sostegno dei giovani architetti. Valorizzando competenza, merito, formazione e Pari Opportunità. Ma senza dimenticare il contributo etico degli architetti alla vivibilità delle nostre città di Iole Costanzo eopoldo Freyrie il 16 marzo è stato eletto presidente del CNAPPC. Per i prossimi 5 anni come pensa di affrontare temi quali: il rapporto tra il Consiglio Nazionale e gli iscritti, l’attesa riforma delle professioni, le nuove generazioni di architetti e le pari opportunità? «Voglio essere chiaro, diretto ed esplicito: impegno primario di questo Consiglio Nazionale è quello di operare affinché si crei nel Paese un contesto politico, sociale, culturale ed economico che consenta a tutti gli architetti italiani di esprimere le loro straordinarie capacità professionali. Voglio che tutti i nostri colleghi abbiano le stesse opportunità di affermarsi senza che ciò possa avvenire solo se si dispone di ingenti risorse economiche proprie, o si abiti in un’area del Paese piuttosto che in un’altra, o vi sia una discriminazione di genere. Stiamo varando una serie di iniziative destinate ad aprire il mercato dell’architettura e vorrei che prevalesse sempre e comunque la competenza e il merito. Fondamentale sarà l’azione volta a garantire la maggior mole possibile di informazioni ai professionisti affinché possano costantemente conoscere l’andamento e i bisogni del mercato. Abbiamo previsto la realizzazione di un database nazionale degli architetti attraverso il quale i committenti abbiano la possibilità di valutare i professionisti attraverso i loro progetti e non la loro capacità di realizzare una efficace autopromozione pubblicitaria. Abbiamo anche in animo di svolgere un’intensa azione di promozione a favore degli architetti italiani all’estero. Mentre un altro grande e importante capitolo dell’attività del Consiglio Nazionale riguarderà i concorsi che vorremmo fossero banditi anche per i grandi progetti realizzati dai committenti privati. Circa la Riforma delle professioni prendiamo atto - quasi sconsolatamente, come tutti - che essa non verrà proprio approvata in tempi brevi. Troppi Governi e troppi Parlamenti l’hanno prima promessa, poi sbandierata, poi dimenticata, poi, infine, insabbiata. Noi seguiremo un’altra strada: pur non mancando
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di esercitare forti pressioni affinché il processo di riforma non si arresti del tutto, useremo con maggiore incisività le norme già esistenti, o quelle discendenti da norme derivanti da altri provvedimenti legislativi, per alcuni specifici problemi: mi riferisco, in particolare, alle società di architettura, alla formazione permanente, all’equo compenso. Mi preme sottolineare l’importante iniziativa che abbiamo avviato: consentire che anche l’Italia abbia una sua legge per l’architettura. Abbiamo iniziato a promuovere l’idea di questa legge con l’obiettivo di ridare - nel nostro Paese - centralità alla progettazione rendendo trasparente il mercato e aprendo, innanzitutto, il mercato ai giovani professionisti. La formazione permanente obbligatoria rappresenta un traguardo che sono certo raggiungeremo in tempi brevi. Il Consiglio lavorerà molto su questo argomento perché credo che solo con la qualità delle nostre conoscenze sapremo affermare e qualificare al meglio la nostra professione. È necessario, però, verificare come assicurare una qualità alta e omogenea dei corsi di formazione e come abbatterne i costi per non aggravare sul portafoglio già in crisi degli architetti, in particolare i giovani. Vorrei sottolineare, infine, due ultime questioni in grado di indicare con chiarezza la cifra dell’operare che caratterizzerà questo Consiglio Nazionale: la prima è la proposta formulata al Ministero dei Beni Culturali per la creazione dei “Quaderni della giovane architettura” che costituiscano curriculum per l’accesso a Concorsi e Gare; la seconda riguarda la questione “femminile”. Essa emerge in tutta la sua evidenza se si esamina con attenzione il Rapporto 2010 di Almalaurea: per iniziare ad affrontare con cognizione di causa questa importante questione abbiamo istituito un Osservatorio sulle Pari opportunità che sono certo in tempi
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Milanese, 52 anni, nel 1993 fonda con Marco Pestalozza la “Freyrie & Pestalozza Architetti Associati’”, realizzando in Italia e nel mondo edifici complessi e sedi di società e di attività commerciali. Consigliere del CNAPPC dal 1997, nel 2001 è rappresentante del Governo italiano al Comitato Consultivo per la Formazione di Architetto presso l’Ue. Nel 2004 è Presidente del Consiglio degli Architetti d’Europa ed è insignito della American Institute of Architects Presidential Medal. Attualmente è presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, eletto il 16 marzo 2011. Leopoldo Freyrie
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brevi sarà in grado di formulare alcune concrete proposte di intervento». L’Ue sovvenzionerà per alcune città italiane incentivi per la mobilità sostenibile. Lei ha ribadito quanto alle nostre città manchi una visione unitaria strategica. Che consigli può dare alle città in lizza? «Quanti lavoreranno per ottenere questi finanziamenti sanno benissimo cosa devono fare. Quindi, piuttosto che dare consigli, mi preme sottolineare che gli architetti italiani sono pronti a dare la loro completa disponibilità a partecipare ad un progetto di ampio respiro, volto a migliorare la vivibilità delle nostre città. È un diritto - quello di una vivibilità migliore - che considero assolutamente sacrosanto. Noi tutti siamo consapevoli che occorra ideare e realizzare un nuovo habitat urbano: per farlo serve avviare un’operazione di ampio respiro e di lungo periodo sul tema dell’abitare. Serve il contributo fattivo e propositivo di più soggetti con i quali dialogare e lavorare in sinergia: tra questi, le istituzioni, le università, gli urbanisti, le associazioni ambientaliste, i costruttori, il mondo dell’economia e della finanza. Finalità dell’operazione deve essere la consapevolezza dei nuovi bisogni dei cittadini in termini di risparmio energetico, salvaguardia e rispetto del territorio, tutela del paesaggio. Da questo punto di vista l’Europa ci indica la strada che dobbiamo percorrere e ci dice anche che i programmi di intervento per la vivibilità delle città debbono avere carattere prioritario». La procedura, per i bandi, aperta al prezzo più basso, ha creato problemi sia nella progettazione che nella realizzazione. Perché non si solleva la giusta indignazione per tale procedimento? «Il nuovo Consiglio Nazionale, sin dalle prime battute, ha subito assunto una posizione contraria a tutte quelle forme di affidamento di incarichi professionali basati sul ribasso dell'onorario, che mortificano la qualità delle prestazioni professionali e la dignità dei professionisti. In realtà, emendando e promuovendo il nuovo regolamento sui Lavori Pubblici (di cui al D.P.R. 207/2010) che è entrato in vigore l’8 giugno, abbiamo già conseguito l'obiettivo di scartare le procedure del prezzo più basso per l'affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria. Infatti,il comma 4 dell'art. 266, per l'affidamento di tali servizi punta esclusivamente sull’offerta economicamente più vantaggiosa, garantendo peraltro un peso ponderale ridottissimo per il prezzo e per il tempo e privilegiando dunque l’adeguatezza e le caratteristiche metodologiche. Tra un mese, dunque, non dovremmo più registrare affidamenti con ribassi del 60 o del 70%. A questo si
aggiunga che, in occasione delle consultazioni promosse dalla Commissione Europea per la revisione della Direttiva appalti, il Consiglio Nazionale ha presentato, un proprio documento con il quale ha proposto il rilancio del concorso di progettazione, quale procedura prioritaria per l'affidamento di servizi di architettura, con una formula più snella, al fine di superare quelle lungaggini burocratiche che, di fatto, ad oggi ne hanno impedito l’adeguata diffusione. In particolare, la nostra proposta prevede che al concorso si partecipi solo telematicamente e con un numero ridotto di elaborati, al fine di ridurre tempi di svolgimento e costi di partecipazione». Il benessere del cittadino, dell’uomo, può essere, secondo lei, influenzato dalla buona architettura? «Voglio partire da una considerazione generale: la cultura del costruire deve proporre soluzioni che migliorino le condizioni di vita dei cittadini. Per farlo deve saper comprendere l’ambiente, saper ascoltare e poi realizzare i bisogni che arrivano dalle varie componenti della società. È da tempo che il Consiglio Nazionale ha lanciato l’allarme sullo stato del patrimonio edilizio delle nostre città e in particolare delle periferie. È davanti agli occhi di tutti che esse si trovino in condizioni tecniche, energetiche e ambientali assolutamente disastrose, con conseguenze negative sulla vivibilità, alla quale i cittadini non possono, non vogliono e non debbono più rinunciare. Conseguentemente e coerentemente abbiamo sottolineato come il recupero ambientale dell’edificato non solo permetterebbe di ridisegnare le città, ma consentirebbe di “ristrutturare” il nostro Paese, riportandolo negli standard di sicurezza e di efficienza dai quali è attualmente fuori. Una operazione - quella del rinnovamento e della riqualificazione delle città - che, dal punto di vista finanziario, può essere realizzata attraverso vari strumenti: tra questi, l’utilizzo di incentivi fiscali, della perequazione urbanistica, di fondi europei; dal punto di vista economico riequilibrando, così, risorse e investimenti pubblici da progetti relativi a grandi opere infrastrutturali, fino agli interventi sulle nostre città. Mi preme ancora una volta sottolineare che in questa operazione di recupero dell’habitat, l’architettura può e deve - tornare ad assumere il suo naturale valore etico al servizio della società. Gli architetti italiani devono poter contribuire allo sviluppo civile del Paese interpretando e ritrasmettendole nei loro progetti le esigenze dei cittadini, sempre più consapevoli dell’importanza dell’architettura e dell’ambiente per la vita quotidiana. Siamo pronti a promuovere un grande progetto per il Paese nella consapevolezza di avere il dovere di lasciare a chi verrà dopo di noi un Paese migliore di quello che abbiamo ereditato».
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AM opinione
Articolato e complesso, il panorama dell’architettura abruzzese presenta realizzazioni di eccellenza riconosciute dalla critica. Intanto le nuove generazioni di architetti emergono alla luce di una fertile creativà. E la casa, per loro, resta ancora il più diffuso banco di prova di Simonetta Ciranna ino e oltre gli anni Ottanta del Novecento l’identità architettonica regionale abruzzese è stata associata, quasi esclusivamente, ai monumenti del suo lungo Medioevo: un’eredità ricca e importante, conosciuta grazie a un’ampia letteratura specialistica e all’opera di storici ed eruditi locali. Successivamente, specifiche, anche se non sempre coordinate indagini condotte sul territorio e ripetuti appuntamenti culturali hanno portato avanti la conoscenza e lo studio delle architetture che a partire dall’unificazione nazionale e nel corso della prima metà del Novecento hanno modificato il panorama urbano e il paesaggio della Regione. Architetture spesso legate a modelli e linguaggi specifici, e connesse a precisi contesti geografici, etichettate - valgano ad esempio - come “eclettismo e liberty del teramano” o “architetture del ventennio della Marsica”. Studi su singoli e significativi complessi architettonici e su più ampi settori urbani e tessuti edilizi hanno così documentato e divulgato l’eredità architettonica abruzzese fino al secondo conflitto mondiale, fornendo, peraltro, un deciso contributo a una più ampia conoscenza del complesso mosaico dell’architettura moderna del primo Novecento in Italia. Larga parte di tali importanti contributi non oltrepassano nelle loro indagini la soglia degli anni Quaranta del XX secolo, lasciando quindi misconosciute - se non per frammenti all’interno di generali storie dell’architettura – le architetture più recenti, quel “moderno e post-moderno anonimo” realizzato dal secondo dopo guerra fino al primo decennio del XXI secolo, fecondo, tra l’altro, delle realizzazioni di giovani professionisti locali. È in particolare su tale ambito cronologico che in anni recenti, tra le ricerche svolte nell’ambito del corso di Storia dell’architettura 2 della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila di cui la scrivente è titolare, è stato avviato un ‘censimento’ e una catalogazione sistematica dell’architettura contemporanea abruzzese. Uno screening sul territorio, affiancato
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anche da attività seminariali svolte da professionisti e docenti attivi nella Regione, che ha avuto tra i suoi esiti la pubblicazione di due volumi (ABRUZZO. Architetture a confronto XIX e XX secolo, Simonetta Ciranna, Gangemi Editore, Roma 2005; Dall’Adriatico al Gran Sasso. Architetture e progetti del nuovo millennio, a cura di Simonetta Ciranna, Gangemi Editore, Roma 2009). Due opere dalla struttura molto diversa ma i cui contributi forniscono nel loro insieme un quadro articolato dell’architettura abruzzese del XIX e XX secolo (il primo), e del XXI secolo (il secondo). Nei due testi si analizzano, quasi esclusivamente, architetture effettivamente realizzate, così delineando la reale consistenza di un patrimonio regionale, multiforme e dai significati e confini non sempre facili da circoscrivere; un insieme da leggere anche in relazione ai numerosi progetti disattesi e, talvolta, di improbabile realizzazione e fattibilità. Ne emerge un quadro in cui accanto a poche realizzazioni di eccellenza che hanno attirato l’attenzione della critica architettonica e il riconoscimento come manifesti dell’architettura italiana – valga ad esempio la casa dello studente a Chieti di Giorgio Grassi -, si schiera una sequenza di architetture di evidente qualità progettuale la cui conoscenza è spesso rimasta circoscritta alle pagine delle più o meno note riviste di architettura. Alla conoscenza e divulgazione di questo ‘capitale’ architettonico, che pur disperso in un territorio non facile evidenzia la vitalità delle ultime generazioni di professionisti, mira in maniera più specifica il secondo lavoro, titolato Dall’Adriatico al Gran Sasso. Architetture e progetti del nuovo millennio: un aggiornamento della ricerca architettonica nella regione Abruzzo e un’apertura verso realtà diverse. Il principale obiettivo del testo consiste nel verificare, attraverso un’indagine sulla produzione architettonica dell’ultimo decennio, l’esistenza o meno agli inizi del XXI secolo di una ‘provincia dell’architettura’ ed, eventualmente, di definirne i contorni e le specificità. A tal fine il volume accoglie
Dall’Adriatico al Gran Sasso. Architetture e progetti del nuovo millennio. A cura di Simonetta Ciranna. Gangemi Editore. Il libro nella prima parte accoglie le opere di progettisti selezionati per il loro legame, di nascita, formazione, lavorativo e personale con l’Abruzzo, di seguito presenta progetti e realizzazioni di professionisti più radicati nella regione Abruzzo. La ricerca scopre, in una regione divenuta laboratorio per la drammatica realtà del post-sisma, soluzioni figurative e tipologiche 'comuni' ma appartenenti al contemporaneo.
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1. Giampiero Duronio, sede direzionale mercurio service, L’Aquila 2010; 2. Giovanni Vaccarini, Casa Capece-Venanzi, Giulianova (TE) 2005; 3. Carlo Pozzi, ampliamento di cantina vinicola, Spoltore (PE) 2008
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nella sua prima parte le opere, accompagnate da brevi testi introduttivi e da schede tecniche, di progettisti selezionati anche per il loro legame - di nascita, di formazione, di lavoro universitario e progettuale – con la regione Abruzzo (Paolo Belardi, Carlo Terpolilli/Ipostudio Architetti Associati, Carlo Pozzi, Massimo Raschiatore, Mosè Ricci/RicciSpaini, Giovanni Vaccarini). La presentazione parallela, in questa parte, di opere realizzate o ideate dagli stessi progettisti anche per aree e realtà territoriali diverse dall’Abruzzo, fa emergere da un lato l’inconsistenza dell’idea di una ‘provincia dell’architettura’, dall’altro, la complessità del rapporto architettura e luogo/territorio/paesaggio in cui essa si insedia. Una complessità che evidenzia la faticosa e non univoca appartenenza al contemporaneo dei progettisti, peraltro tutti impegnati - se pur diversamente - nella didattica universitaria: Paolo Belardi, rivendica l’importanza dei luoghi della sua vita; Carlo Terpolilli definisce il progettare come un atto di fiducia e di speranza verso il futuro, se pur accompagnato dal senso di tragedia; Carlo Pozzi chiede al progetto di generare forma in contesti talvolta scialbi e marginali; Massimo Raschiatore affida al rigore geometrico la ricerca di un’architettura di pace e di quiete; Mosè Ricci aspira a una concezione sempre più contestualizzata, visionaria e informale del fare architettura; Giovanni Vaccarini esige il primato del pensiero sulla forma nella concezione del progetto. A questa prima sezione del libro, segue una più ampia e allo stesso tempo più asciutta presentazione di progetti e realizzazioni frutto del lavoro di una nuova generazione di professionisti, la cui produzione architettonica è - spesso solo in ragione della loro ‘adolescenza professionale’ - più
radicata alla regione Abruzzo (Simonetta Ciranna) e al Molise (Annalisa Sforza). Architetture forse meno spettacolari e di una scala dimensionale spesso inferiore, caratteristiche che sembrano confermare la scarsità delle occasioni concesse ai giovani progettisti, la crescita faticosa di una professionalità locale e la difficoltà di un ricambio generazionale in un mercato asfittico e spesso condizionato da effimere scelte politiche. La casa – residenza monofamiliare o palazzina – resta ancora il più diffuso banco di prova per tali generazioni. Lo sprawltown spesso costituito da piccole residenze, contraltare, tra l’altro, del fallimento delle megastrutture residenziali e della paralisi dell’edilizia residenziale pubblica, accoglie alcune abitazioni di qualità progettate da giovani emergenti. Il testo chiude, poi, con un’estesa antologia di quanto realizzato in Abruzzo nell’ultimo decennio (Vincenzo Di Florio), una quadro questo che va a integrare e aggiornare indagini analoghe pubblicate precedentemente. Assieme alla residenza di piccole e medie dimensioni, le opere dei giovani abruzzesi e molisani e quelle incluse nella più generale schedatura abbracciano anche la progettazione di spazi commerciali e del terziario, di riqualificazione urbana ed edilizia, di recupero di preesistenze, di design. Interventi puntuali e spesso occasionali che denunciano il mancato riconoscimento in un linguaggio nazionale o internazionale e che oscillano da raffinate soluzioni high tech a un uso astratto dei materiali come pura espressione formale, fino alla bioarchitettura. Lo spaccato che ricostruiscono le tre sezioni del volume è quello di una territorio in cui si disperdono architetture di un Moderno e Postmoderno anonimo, al cui interno emerge la ricerca di un contraddittorio con il luogo/paesaggio; un confronto difficile e talvolta non risolto proprio nei contesti non urbani, forse a ragione della matrice cittadina del progettista italiano. È tuttavia su tale confronto che molti progettisti (in Abruzzo e in Molise come nel resto d’Italia) hanno esercitato in questo decennio la loro faticosa e non univoca appartenenza al contemporaneo, costruendosi un’individuale identità che - dopo la crisi economica (e il terremoto a L’Aquila del 6 aprile 2009) - ha anche rielaborato le importazioni acritiche, se non edonisticoconsumistiche, di forme architettoniche e modelli insediativi. Una filigrana, quindi, tessuta tra Abruzzo e Molise che, attraverso le architetture di progettisti come - tra i tanti altri citati - Fuksas, Micara e Pozzi a Pescara e provincia, Canali e Vaccarini nel teramano, di Medir e n!studio nella provincia di Isernia, di Duronio a L’Aquila, di Barbieri/Bo/Manzo/Mennella a Chieti, di Florio&Sforza e Tranti nella Frentania, di Bellotti & Scardera nella provincia di Campobasso, restituisce la silenziosa polifonia di un disperso contemporaneo italiano.
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a cura di Cristiana Zappoli
TR ACCE
libri, novità, prodotti, notizie dal mondo I MUSEI Architetture per non vedenti
A Varese, al piano terra della Villa Baragiola di Masnago, ha inaugurato ad aprile il nuovo Museo Tattile per volontà dell'associazione "Controluce onlus" e della sezione varesina dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti. Il museo abbatte le barriere permettendo ai non vedenti di avvicinarsi all'arte, all'ambiente, all'archeologia, alla storia. Ospita, infatti, una raccolta di modelli tattili finalizzati alla comprensione del mondo in tutti i suoi aspetti: geografico, architettonico, artistico, paesaggistico, dando vita a una vera e propria enciclopedia tridimensionale che racconta una realtà da guardare con gli occhi e con le dita. Qui cadono tutte le differenze e le barriere tra “vedere con gli occhi” e “vedere con le mani” e le opere esposte devono essere toccate, per rendere possibili nuove esperienze multisensoriali. Il progetto nasce dalla volontà di creare un ambito che spazi su nuovi orizzonti conoscitivi: l’osservazione tattile non è solo il principale canale di conoscenza per i non vedenti, ma anche un allargamento delle modalità di fruizione della realtà, e quindi anche dell’arte, per tutti. Il museo offre a chiunque la possibilità di scoprire nuove modalità di conoscenza attraverso le proprie mani. Lo spazio espositivo lombardo è un ideale prolungamento del Museo Omero di Ancona e del Museo Tattile di Madrid, entrambi, però, dedicati alla scultura. È diviso in sei sezioni: storia dell’architettura, particolari architettonici, modelli
geografici, modelli archeologici, guide turistiche tridimensionali, le vie d’acqua e i mulini. Vi si trova, inoltre, un’installazione permanente destinata ai visitatori vedenti che, ospitata all’interno di una serie di container, rappresenterà una sorta di “dedalo multisensoriale” nel quale i visitatori potranno scegliere di raggiungere l’uscita basandosi sulla sola vista e incontrando delle difficoltà dettate dall’utilizzo di una serie di luci ingannevoli, o potranno invece farsi guidare dagli input sonori e tattili che li accompagneranno con facilità lungo tutto il percorso. Obiettivo di questo dedalo sarà quello di dar vita ad una emozione esperienziale, sottolineando l’importanza di una fruizione multisensoriale della realtà e la necessità di considerare i sensi cosiddetti “vicari” (udito, tatto, olfatto e gusto) come un supporto fondamentale al senso primario della vista. Oltre a ciò, negli spazi del museo trovano posto la “libreria del Museo”, il corner “Quarta di copertina”, la sala dei laboratori, che avranno caratteristica esperienziale perché l'apprendimento è legato all'esperienza e all'esposizione a uno stimolo.
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I RESTAURO Il trabocco Turchino
Il recupero e la valorizzazione del trabocco Turchino, (progettazione e direzione lavori a cura dell’architetto Marcello Borrone) sito nel Comune di San Vito Chietino nella località denominata Punta del Turchino, è stato eseguito in un arco di tempo corrispondente a 13 mesi circa (tra il giugno del 2004 e luglio del 2005), perché in seguito alle violente mareggiate dei primi giorni dell’anno 2003 si erano verificati numerosi e ingenti danni strutturali. Questa esperienza è divenuta il banco di prova delle ipotesi per interventi compatibili e soprattutto il momento per la conservazione delle pratiche costruttive attualmente in rapida alienazione. L’azione progettuale si è ispirata alla Carta di Amsterdam (1975), nella quale si stabilisce il principio della “conservazione integrata”, che associa i due concetti della conservazione/restauro e dell’attribuzione di un uso appropriato. Infatti il senso dell’intervento è stato indirizzato all’impedimento di azioni che avrebbero potuto alterare l’autenticità del recente passato della “macchina pescatoria”, coinvolgendo tutti gli attori che sono stati consapevoli del complesso, quanto fragile, patrimonio su cui si stava intervenendo. Tale consapevolezza ha rappresentato una sorta di vincolo davanti a ogni atto espresso nel progetto di restauro e ridestinazione dell’oggetto. Il restauro ha tenuto conto dell’esigenza di dotare il trabocco Turchino d’una funzione che fosse compatibile con la sua natura, anche attraverso la riproposizione funzionale di materiali al limite della loro durabilità, provenienti dalle aree limitrofe, una funzione che non comportasse modificazioni violente. Ecco quindi il pensare di destinare questo oggetto ritrovato ad attività didattiche, scientifiche e culturali, anche perché la storia ci dimostra come la sopravvivenza dei trabocchi sia strettamente legata alla loro utilizzazione. Una consa-
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Sopra: la disposizione dei cavi costituenti il sistema stabilizzante di raccordo tra le antenne, le piccole antenne, i pali delle antenne e i pali dell’argano. Sotto: le tipologie delle strutture di elevazione verticale e orizzontale sono rimaste quelle tradizionali
pevolezza unita all’aspettativa che la capacità evocativa di suggestioni, propria di questi luoghi, possa rappresentare anche una fonte di interesse turistico oltre che culturale e scientifico, inducendoci a riflettere come la loro conservazione sia, oltre che un dovere culturale, anche il presupposto economico per una ridestinazione compatibile con la stessa loro sopravvivenza. Le fasi dei lavori di restauro sono state organizzate operando una scomposizione sistemica del trabocco e, più precisamente, individuando tutte le classi di elementi tecnici (componenti le unità tecnologiche e le classi di unità tecnologiche). Non trattandosi di una costruzione ex-novo ma di un intervento sull’esistente e, soprattutto, date le caratteristiche, che attengono all’ubicazione del Turchinio e dei trabocchi di scoglio più in generale, si è manifestata l’impossibilità di agire intervenendo su un’unità tecnologica per volta ovvero secondo un programma prestabilito rispetto a operazioni rivolte a tutti gli elementi di una stessa unità. Tale condizione ha indotto a procedere riparando una porzione del sistema per volta e quindi solo alcuni elementi appartenenti a diverse unità tecnologiche. Così è stato possibile ridurre le difficoltà legate alla necessità di dover lavorare in acqua. Infatti, nei lavori svolti partendo da riva, una porzione del sistema “rimessa a nuovo” ha assunto il ruolo di impalcato per intervenire sulla porzione adiacente, fino a raggiungere gli elementi posizionati sempre più verso il mare aperto. Queste modalità di esecuzione delle lavorazioni si avvalgono delle scelte adottate nella pratica operativa più antica legata alle attività di manutenzione tradizionali così come l’impiego di determinati materiali ed elementi. I primi elementi tecnici oggetto di intervento sono stati quelli componenti le strutture di fondazione e di elevazione verticale; nei lavori di risanamento e sostituzione di detti elementi sono stati impiegati materiali analoghi a quelli originari, fatta eccezione per gli elementi di giunzione che in un primo momento sono stati realizzati con barre filettate e bulloni in acciaio per evitare la formazione della ruggine. I monitoraggi effettuati sul comportamento e sullo stato della struttura appena ultima-
ta hanno svelato un dato molto importante: a causa dei movimenti dovuti alle azioni del mare e del vento, i bulloni in acciaio lentamente si svitavano, rendendo la costruzione labile. Pertanto nelle strutture a trabocco anche la ruggine ha un ruolo fondamentale che consiste nel creare il giusto attrito e la necessaria coesione nei nodi tra gli elementi lignei. Alla luce di questa osservazione i bulloni in acciaio sono stati sostituiti con nuovi bulloni in ferro simili a quelli originari, monitorando ancora la struttura e riavvitando più volte i bulloni fino a che le azioni del mare non hanno restituito il giusto grado di ossidazione dei nodi e, quindi, la loro piena funzionalità. L’aspetto peculiare appena descritto interessa ancora di più i collegamenti tra gli elementi della struttura di elevazione verticale e quelli della struttura di elevazione orizzontale e i collegamenti tra gli elementi, longitudinali e trasversali, della struttura di elevazione orizzontale. Soprattutto nel caso del trabocco Turchino, infatti, per il quale le tipologie delle strutture di elevazione verticale e orizzontale sono rimaste quelle tradizionali più antiche (la struttura verticale definita da un palo
unico - fino alla quota di calpestio della passerella - e da due spezzoni di pali leggermente inclinati a V - con funzione di sostegno per i cavi costituenti il parapetto - e la struttura orizzontale definita da elementi trasversali di raccordo tra il palo verticale e le travi longitudinali) che si differenziano da alcune alternative tecnologiche messe a punto nel corso degli anni. L’obiettivo di non stravolgere le caratteristiche connotanti le strutture a trabocco ha restituito un intervento nel quale sono stati riproposti, per quanto possibile, i materiali e le modalità costruttive tradizionali (nelle strutture di elevazione, nelle chiusure, nelle partizioni e nelle dotazioni funzionali). Con riferimento a questo aspetto è significativo mettere in evidenza la disposizione peculiare e “stra-
A destra: il trabocco Turchino, fotografato dopo le violente mareggiate dei primi giorni dell’anno 2003. In quell’occasione si sono verificati numerosi e ingenti danni strutturali che ne hanno compromesso il funzionamento. Sotto: un particolare degli elementi di giunzione
tegica” dei cavi costituenti il sistema stabilizzante di raccordo tra le antenne, le piccole antenne, i pali delle antenne e i pali dell’argano. Il sistema di cavi di supporto alle antenne e sospeso ai pali delle antenne viene fissato anche ai pali dell’argano in modo incrociato rispetto al piano di pesca, ossia i tiranti dell’antenna e del palo dell’antenna a destra si collegano al palo dell’argano di sinistra e viceversa per l’antenna di sinistra. Mentre i tiranti che sostengono le piccole antenne sono comunque collegati ai pali delle antenne e dell’argano ma seguono un percorso diverso: i cavi della piccola antenna di sinistra si collegano prima al palo dell’antenna di sinistra poi a quello di destra e infine al palo dell’argano, sempre di destra (non incrociandosi mai sul piano di pesca); lo stesso avviene per i tiranti della piccola antenna di destra. Questa disposizione dei tiranti definisce un sistema di cavi che, seguendo diverse direzioni, irrigidiscono l’intero sistema fornendo vincoli agli spostamenti verticali e orizzontali delle parti strutturali. Tale irrigidimento è implementato dagli elementi di collegamento tra le antenne e le piccole antenne. L’intervento effettuato sul trabocco del Turchino rappresenta un’esperienza importante e utile per organizzare un’attività appropriata, ordinaria e continuativa di manutenzione e risanamento dei trabocchi, che si propone come finalità la promozione di un turismo di qualità, riferita ad uno sviluppo sostenibile del territorio; in particolare, nello specifico caso della costa teatina, si propone di iniziare dal mantenimento e dal recupero dei trabocchi, manufatti esemplificativi della lezione costruttiva del “genius loci”. L’obiettivo specifico mira a rilevare il ruolo che tali manufatti possono avere a livello di riferimento sostenibile per il suggerimento dell’attrezzabilità balneare. In questi territori di estrema vulnerabilità, il turismo si può configurare anche come rischio per il degrado ambientale, causa della pressione antropica e dell'utilizzazione “selvaggia” e impropria del territorio che può cancellare la memoria storicoculturale del luogo, per dare spazio a un paesaggio omologato. In conclusione si potrà aprire ad uno scenario per la continuazione della tradizione, fornendo la base di un nuovo modello di fruizione turistica e l’individuazione di indicatori di sostenibilità per la proposizione di attrezzature compatibili sulla costa in oggetto.
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I LUOGHI D’ARTE Gli Eremi Celestiniani
In Abruzzo, regione verde d’Europa, sorge maestosa la Majella che vanta numerosi Eremi Celestiniani: Santo Spirito a Maiella - Roccamorice - Monastero rupestre 1130 m s.l.m.; S. Bartolomeo in Legio - Roccamorice - Eremo rupestre 650 m s.l.m.; S. Giovanni all’Orfento - Caramanico Terme - Eremo rupestre 1220 m s.l.m.; S. Onofrio all’Orfento - Caramanico Terme Eremo rupestre 900 m s.l.m.; S. Onofrio al Morrone Sulmona - Monastero rupestre 630 m s.l.m.
A sinistra: due foto dell’Eremo di San Bartolomeo in Legio (foto A. Montebelli). A destra: Eremo di Santo Spirito a Maiella (foto A. Montebelli). Pagina a fianco: Parco Nazionale della Majella
nico. Alcuni di questi, Santo Spirito a Majella e San Bartolomeo in Legio, sono incastonati nella roccia. La loro architettura entra in perfetta simbiosi con l’ambiente circostante e ogni singolo elemento architettonico si sposa perfettamente con la parete rocciosa, quasi a ricreare una cosa unica con la natura che li circonda. L’Eremo di San Giovanni all’Orfento è considerato il più inaccessibile. È situato in un punto impervio, lo si può raggiungere solo attraverso un sentiero che nell’ultimo tratto sparisce, costringendo il visitatore a strisciare carponi per accedere all’ingresso. Tutti gli ambienti di quest’eremo, sono intagliati nella roccia. L’Ere-
La storia degli eremi risale alla seconda metà del Duecento e sono legati alla vita dell’eremita Pietro da Morrone (noto come Papa Celestino V). Situati lungo le pendici della Majella e del Morrone, immersi nell’incantevole vegetazione degli Appennini, fanno della loro posizione luoghi difficili da raggiungere, mettendo però in risalto tutta la loro bellezza e il loro fascino architettomo di San Onofrio al Morrone è probabilmente il più semplice da raggiungere e dal quale facilmente si può godere del suggestivo e unico panorama della Valle Peligna. A tal proposito va ricordata la visita del Papa Benedetto XVI a luglio 2010, in occasione dell’anno Giubilare Celestiniano. A seguito della pubblicazione del libro Celestino V - Il grande segreto del Cielo, uno degli autori, Jean-Paul Di Gaetano, è stato ricevuto in Udienza dal Santo Padre a novembre 2010 per consegnare il messaggio che tuteli questi luoghi unici al mondo. Nello splendido borgo medioevale di Roccacaramanico (PE), durante la seconda settimana di agosto sarà riproposta la mostra fotografica dedicata agli eremi di Celestino V. L’evento, organizzato da Jean Paul Di Gaetano e Vincenzo Del Giudice, porrà in evidenza il qua-
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lificato materiale fotografico della Prof.ssa Ardea Montebelli sulle bellezze del nostro territorio. La riscoperta di questo stupendo borgo medievale stimola una miriade di sensazioni e l’impegno e la passione che gli autori hanno profuso per la realizzazione di questa mostra è stato il punto di rilancio dell’incantevole borgo arroccato alle pendici del Morrone, la montagna che Celestino V scelse per vivere la propria fede. Il luogo, unico e misterioso, lontano dai percorsi tradizionali, si trova al centro di una triangolazione eremitica che ha dato l’impulso per il rilancio di un progetto ampio, in collaborazione con la comunità montana Majella-Morrone e riguarda “La strada degli eremi”. Difatti, il progetto fornisce delle opportunità particolarmente interessanti per un turismo qualificato e teso al riproponimento di alcuni elementi che la nostra vita quotidiana ha concretamente eliminato. Si pensi all’opportunità di un ritorno alle nostre origini e nel percorrere lungo l’arco Appennino abruzzese “La Strada degli Eremi”, i pellegrini avranno delle opportunità che inevitabilmente li arricchiranno. I luoghi trattati nella mostra fotografica sono stati sapientemente posti nel pregevole testo pubblicato e distribuito dalla casa Editrice Marte con il volume Celestino V - Il gran segreto del Cielo. Vi invitiamo a scoprire questi luoghi unici e misteriosi con la fotografia in bianco e nero realizzata con pellicola infrarosso.
I RESTAURO Negozio Olivetti a Venezia
È un negozio progettato, nel 1958, per trasmettere l’immagine dell’Azienda. L’Olivetti. L’architetto? Carlo Scarpa! E dal 22 aprile 2011, a più di 50 anni dalla sua costruzione, il famoso negozio Olivetti di Venezia è stato completamente restaurato, da Gretchen Alexander Gussalli Beretta, in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, e donato in comodato, da Assicurazioni Ge-
nerali, al FAI affinché lo gestisca e ne garantisca l’apertura al pubblico. L’uomo che visitò, alla fine degli anni ’20, gli stabilimenti Ford di Highland Park, avendo così modo di entrare in contatto con la filosofia fordista del “My life and work”, e che ritornato ad Ivrea cominciò immediatamente a sperimentare il Taylorismo adattandolo al contesto italiano, è appunto Adriano Olivetti, il giovane industriale illuminato, che commissionò il progetto per il Negozio Olivetti di Piazza San Marco a Venezia all’altrettanto
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Nelle foto: gli interni del negozio Olivetti a Venezia. Carlo Scarpa è riuscito a creare un'opera di grande respiro. Grazie al controllo del disegno scarpiano, modernità architettonica e tradizione veneziana convivono con grande armonia
giovane e rinomato architetto veneziano Carlo Scarpa. L’azienda Olivetti entro i primi anni ‘30 fu investita da una radicale trasformazione dovuta principalmente all’adozione di una serie di provvedimenti in favore dei dipendenti e alla scelta da parte dell’azienda di una vasta gamma di progetti innovativi. Progetti che nel 1955 portarono Adriano Olivetti a ricevere il Compasso d’Oro per meriti conseguiti nel campo dell’estetica industriale. L’industria cambia volto. E quando Carlo Scarpa è stato chiamato dall’Olivetti per il progetto del negozio la sfida era: progettare un punto vendita che diventasse anche immagine dell’azienda. Una “vetrina” prestigiosa ed elegante che mostrasse, nel cuore di una piazza unica al mondo, i prodotti dell’Olivetti: un’impresa all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e caratterizzata da una forte partecipazione in ambito culturale. Adriano Olivetti desiderava un “biglietto da visita” che riuscisse a rappresentare i suoi prodotti e a testimoniare la sua visione del mondo. Questa doppia richiesta è stata rappresentata e sintetizzata da Carlo Scarpa in una meravigliosa e raffinata soluzione architettonica che lega, attraverso il proprio linguaggio, il passato e il presente della città. La genialità di Scarpa trasforma un piccolo e angusto spazio, con luci, forme, dettagli e soprattutto con i suoi classici materiali, in un negozio, dilatato con infinite soluzioni, dallo spazio inafferrabile in grado di rappresentare la tradizione immaginifica della città. Profondo 21 metri, largo 5 e alto 4, l’ambiente si presentava stretto e lungo, poco illuminato e diviso in due vani da una parete e con due strette scalette che portavano a un ammezzato molto basso. Scarpa elimina il muro di mezzo, amplia così il volume del vano e ne sfrutta al massimo la lunghezza inserendovi lateralmente due lunghi ballatoi. Colloca al centro della nuova sala la famosa scala, il perno visivo di tutto l’ambiente, un vero capolavoro architettonico realizzato in pietra
d’Aurisina, che lui stesso, solitamente indulgente, definisce molto bella. E aggiunge anche: «È una scala costosissima. Però Olivetti può permettersela – per il re si può fare un palazzo reale». Accanto alla scala, sopra una base di marmo nero del Belgio, vi ha posto una scultura di Alberto Viani, “Nudo al sole”, ricoperta da un leggero scorrere d’acqua. Il pavimento diventa un altro elemento identitario di tutto il negozio. Realizzato con un mosaico in tessere di vetro di varie dimensioni e colori, il pavimento cambia colore a seconda della zona del negozio: rosso all’ingresso, la parte centrale del negozio è bianco-grigia, la zona di accesso laterale blu mentre il retro è giallo. Diventa un gioco di luce e trasparenze, di colori e barlumi che riprendono e interpretano il tipico linguaggio veneziano fatto di riflessi d’acqua e sciabordii colorati. Anche le pareti ripropongono e rileggono un caposaldo dell’architettura classica veneziana: lo stucco veneziano, ma proposto su pannelli inframmezzati da luci fluorescenti verticali protette da lastre di vetro satinato. Una scansione luminosa tra pannelli tirati con grassello di calce e polvere di marmo dall’effetto liscio e lucido. Ma la luminosità dell’ambiente è affidata anche ad un insieme pregiato di lampade in ebano che illuminano l’ambiente scorrendo a piacimento su cavi d’acciaio sopra le vetrine realizzate in cristallo molato e montate a filo di facciata con viti piombate a vista e intelaiature metalliche. Al piano superiore le finestre sono state schermate all’interno con grate, in teak e palissandro, dalle forme ovali e con andamento scorrevole, mentre i ripiani per le macchine da scrivere sono stati tutti realizzati o in palissandro o in metallo e vetro. Superando l’aspetto dimensionale dello spazio, Scarpa crea un’opera che ben presto viene riconosciuta come una delle più significative realizzazioni di architettura civile del XX secolo. Opera che, nel 1997, la società di Ivrea smette come showroom e lascia che lo spazio venga adibito a rivendita di oggetti per turisti. Più tardi, una volta liberato lo spazio, Assicurazioni Generali intraprende e finanzia un accurato lavoro di restauro che fa sì che nel 2011 il negozio riprenda la sua dignità e la sua storia e venga, sotto la guida del FAI, riconosciuto come altra bellezza da scoprire nel nostro Paese.
permeabilizzazione del suolo, occultamento della luce ad opera del denso tessuto costruito, inquinamento atmosferico. È stato concepito secondo i principi della biomimetica, ossia ispirandosi alle forme naturali e ai processi biologici, come modelli di perfezionamento delle tecnologie umane. La forma si ispira a quella della Dracaena Cinnabari (nota come Drangonblood Tree) che minimizza la resistenza al vento e ottimizza la captazione di luce solare con una chioma che è concentrata nella parte alta in forma d’ombrellone. Il sistema di ramificazioni e la posizione dei bulbi si ispira a delle strutture bronchiali e alveolari dei polmoni, i dispositivi di scambio gassoso per eccellenza. L’intenzione è quella di realizzare i rami dei TREEPODS con del materiale riciclato e riciclabile. Si sta esplorando la possibilità di impiegare il polietilentereftalato (PET), il costituente delle comuni bottiglie in plastica. Questo presenta molteplici vantaggi: è disponibile in grandi quantità come ma-
I NUOVE TECNOLOGIE Alberi artificiali
Il progetto «Boston TREEPODS Iniative» punta a riprodurre, e migliorare artificialmente, la caratteristica biologica più importante degli alberi: la loro capacità di purificare l’aria, assorbendo CO2 e rilasciando ossigeno. È condotto dall’atelier parigino Influx Studio e dall’organizzazione ecologica SHIFTBoston, con l’obiettivo di rispondere alle ambizioni in materia di sviluppo sostenibile della città di Boston, in particolare, la riduzione delle emissioni di gas-serra. TREEPODS non si impone come la soluzione per risolvere i problemi di riscaldamento globale che non hanno altra soluzione che un paradigmatico cambiamento del nostro stile di vita e dell’economia mondiale. Si propone, in maniera più realistica, come mezzo per alleviare i danni della nostra cattiva condotta, in attesa di una seria presa di coscienza che faccia passare da questa economia «fossile» all’economia del rinnovabile. I TREEPODS sono macchine a elevato contenuto tecnologico che lo staff di Influx Studio definisce come una “micro-infrastruttura per la purificazione dell’aria”. In alcun modo bisogna considerare i TREEPODS come concorrenti dei veri alberi, che hanno caratteristiche estetiche e biologiche ineguagliabili e insostituibili. Sono piuttosto un aiuto che si vuole fornire alla natura, là dove l’uomo ha compromesso le condizioni per un suo sano sviluppo: cementificazione, im-
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Sopra e sotto: foto dei Treepods, gli alberi artificiali il cui sistema di ramificazione e la posizione dei bulbi si ispirano alle strutture bronchiali e alveolari dei polmoni
teria prima riciclata, può assumere diverse colorazioni e diversi gradi di opacità o trasparenza, può essere facilmente formato per ottenere pezzi dalle forme complesse e, infine, ha delle eccellenti proprietà meccaniche. È tuttavia necessaria la messa a punto di soluzioni per ridurre gli effetti degli UV che ne porterebbero ad un degrado accelerato. Influx Studio ha in mente la creazione di una rete di TREEPODS diffusa su tutta la città di Boston, con installazioni mirate in quei punti in cui gli alberi naturali avrebbero difficoltà a vivere. Per esempio, la grande arteria autostradale che attraversava la città è stata recentemente interrata per lasciare spazio ad un lungo parco, una “spina verde”: in questo caso lo scarso spessore di terra riportata è insufficiente alla crescita d’alberi ad alto fusto e i TREEPODS potrebbero integrarsi con la vegetazione bassa e l’arredo del parco. Grazie alla loro modularità, basata sulla pianta esagonale, i TREEPODS possono essere assemblati per formare spazi coperti più o meno estesi.
I LIBRI Le esperienze di Cittadellarte
Nella quarta di copertina si può leggere: “Il Terzo Pa-
radiso è un passaggio evolutivo nel quale l’intel-
ligenza umana trova i
Michelangelo Pistoletto Marsilio 96 pagine costo: 15,00 euro Il Terzo Paradiso
modi per convivere con
l’intelligenza della natu-
ra”. Il Terzo Paradiso, come lo stesso Pistoletto
scrive, “si innesta nelle istanze e le esperienze maturate a Cittadellarte…
I LIBRI Musica e architettura
Roberto Favaro Marsilio 304 pagine, costo: 28,00 euro Spazio sonoro
e ne diviene la visione programmatica”. Cittadellarte è
una realtà creata da Pistoletto a Biella negli anni ’90 con esperti impegnati nella ricerca sociale. Perché Cittadellarte crede nell’educazione come mezzo primario di
trasformazione sociale. E infatti nel capitolo che reca
questo stesso titolo Pistoletto scrive: “tutto ciò mi fa pensare che con impegno e attenzione adeguati, volti alla
potenzialità, il cambiamento della società possa avvenire in tempi molto rapidi...”.
I LIBRI Il design secondo Branzi
Così come il Vasari rinuncia a una teoria generale del movimento per raccontare le biografie dei suoi protagonisti in Le Vite, così Andrea Branzi racconta le vite dei protagonisti del design incrociando a volte la sua di storia professionale. E racconta anche cos’è il design nelle sue diverse accezioni: produzione, ricerca, progettazione, identità, tutela, innovazione e lega tutto ciò con la crescita economica del Paese. Andrea Branzi descrive in che cosa consiste la professione di designer, anche nelle sue attuali diversificazioni, in base alla sua esperienza personale, creando un intreccio tra biografie e autobiografia, cronache e vicende personali. Un libro ibrido per descrivere una professione, come lo stesso Brandi la definisce, ibrida, fatta di conoscenze, competenze, intuizione, intelligenza e grazia. In “convivenze parallele” il primo capitolo non dedicato alle monografie dei maestri italiani racconta della nuova generazione di progettisti che contemporaneamente stava crescendo a Firenze. Le avanguardie giovanili di cui lo stesso Brandi faceva parte. La giusta distanza geografica e generazionale che ha portato un movimento studentesco, influenzato dai circoli filosofici, alla scuola di Michelucci. Un nuovo gruppo che Germano Celant battezzerà “radical design”. Seguono i ca-
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pitoli “ Il Nuovo design italiano” che ovviamente parte dal grande Ettore Sottsass, “La generazione di mezzo” che parte con Antonio Citterio, passa ad Alberto Meda, Stefano Giovannoni e ovviamente altri per arrivare alla nuova generazione e chiude in ultimo con un capitolo dedicato a se stesso: “Autobiografia per punti”. .
Ritratti e autoritratti di design
Andrea Branzi Marsilio 272 pagine, costo: 28,00 euro
La musica “dello” spazio; lo spazio “della” musica; la musica “nello” spazio; lo spazio “nella” musica. La risposta che Roberto Favaro cerca in tutto questo lavoro è la precisa domanda: “il suono è implicitamente spaziale?”. Perchè tra lo spazio e il suono esiste un legame. Un legame rispettato dall’architettura nella progettazione tematica. Ma pur sempre un legame esistente a prescindere dalla progettazione stessa. E la musica si relaziona con lo spazio? Nel libro matura l’idea che le relazioni tra musica e architettura siano state strettamente legate nel corso delle diverse epoche. Come lo stesso Roberto Favaro riporta, Luigi Nono, il famoso musicista architetto morto nel 1990 all’età di 66 anni, scrisse: “ogni epoca, ogni classe ha avuto la sua musica, e gli spazi adeguati alle varie esperienze: la cantoria, il teatro di corte, la sala dei concerti, la piazza… La nostra epoca, sta anch’essa inventando la propria musica e i suoi spazi”.
I LIBRI Riflessioni sul design Giuseppe Chigiotti Franco Angeli 168 pagine, costo: 19,00 euro
Design. Una storia
Nella premessa del libro l’autore comincia così: “l’idea di scrivere questo libro è nata quando, giunto alla maturità della mia esperienza di docente universitario, ho realizzato quale reale difficoltà ci sia stata e ci sia ancora nel capire nella sua interezza la vicenda storica del disegno industriale o del design, come attualmente viene chiamata questa disciplina progettuale...”. Il libro rifiuta la logica cronologica dell’esposizione delle produzioni industriali e cerca un legame, economico, tecnico, sociale e ambientale con gli eventi storici. È suddiviso in diciotto capitoli che tracciano la strada a ulteriori approfondimenti della storia del design. Approfondimenti che nelle ultime pagine del libro suggerisce di fare nei musei. E stila sui musei una sorta di scheda tipologica partendo da quello dedicato proprio al design. Passando per quelli monografici, di cui accenna la storia, giunge a quelli delle Arti Decorative e della Scienza e della Tecnica.
AM progettare
Viaggiare
CON L’ARTE
Karim Rashid, Camila Tariki, Dennis Askins / Napoli
Luminosa, lucida, psichedelica e policroma. È la stazione dell’Università progettata dal designer anglo-indiano Karim Rashid. Riproduce i simboli della cultura classica e contemporanea, inserendo nel processo di visione - illusione lo stesso fruitore di Iole Costanzo
n museo diverso. Un contenitore d’arte contemporanea e non solo. Non si paga il biglietto per accedervi. Basta acquistare un normalissimo ticket per la metropolitana ed è possibile ammirare grandi opere d’arte contemporanea. È il Metrò dell’Arte di Napoli che dal 26 marzo di quest’anno, data dell’inaugurazione, si è corredato di una nuova stazione. La stazione dell’Università di piazza Bovio curata dal designer anglo-indiano Karim Rashid. Il complesso progetto Metrò dell’Arte di Napoli, fatto di 15 stazioni distribuite su un percorso di circa 15 km di rete, con ben 108 elementi di collegamento tra scale mobili, tapis roulant, piattaforme elevatrici e anche 52 ascensori, è ricco di famosi esempi di arte contemporanea. È un museo distribuito lungo le stazioni della Linea 1 della metropolitana della città, che proprio grazie a un progetto sostenuto dal Comune può ora vantarsi di avere una ferrovia sotterranea unica in Italia. Il progetto è nato da un’idea di Alessandro Mendini, il cui studio ha curato la stazione Salvator Rosa, sulla collina del Vomero. Stazione che come coordinatore artistico ha avuto Achille Bonito Oliva, il critico d’arte che ha definito tutto l’intervento il “museo obbligatorio” per il modo diverso di esporre, che risponde alle nuove esigenze espositive dell’arte, a favore delle quali il critico lotta da tempo opponendosi a ciò che lo stesso definisce “mostrifici”, e cioè quegli spazi appositamente pensati per esporre l’arte. Ad oggi, compresa l’ultima stazione progettata da Karim Rashid, le stazioni della metropolitana trasformate in sale espositive sono otto: Rione Alto, inaugurata nel dicembre 2002 e nota per avere
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all’interno numerose installazioni di artisti di fama internazionale e di giovani emergenti napoletani, e all’esterno alcune cupole di metallo e vetro in corrispondenza di ciascun accesso; Vanvitelli, progettata dall’architetto Michele Capobianco, aperta al pubblico già nel 1993 e nel 2005 sottoposta a un’operazione di restyling, sempre sotto la consulenza artistica di Achille Bonito Oliva, che ha rinnovato gli ambienti usando colori che vanno dal blu al giallo, dal lilla al grigio, e ha accolto le opere di otto maestri dell’arte contemporanea; Quattro giornate, progettata dall’architetto Domenico Orlacchio e inaugurata nell'aprile 2001, la cui impostazione progettuale ha completamente rinnovato la piazza Quattro Giornate, offrendo all’area antistante lo stadio Collana nuovi luoghi di aggregazione nel verde; Salvator Rosa, progettata dall’Atelier Mendini e aperta al pubblico nell’aprile del 2001 ha contribuito a riqualificare tutta l’area circostante, grazie all’intervento di artisti come Mimmo Rotella, Ernesto Tatafiore, Mimmo Paladino, Renato Barisani e Gianni Pisani; quella di Materdei, progettata sempre dallo studio Mendini, ha
A sinistra: le alzate delle scale viste in prospettiva proiettano le immagini di Dante e Beatrice, due simboli della letteratura. In alto: lo studio delle sinuose sedute della banchina. In basso: i doppi profili posti all’entrata
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Le sei immagini mostrano i diversi arredi presenti nella stazione Università. I materiali usati sono il Corian e l’acciaio specchiante sulle volte. La stazione è policroma. E le pareti sono rivestite con grandi pannelli realizzati con il sistema lenticolare H3D che danno all’osservatore la percezione del movimento delle immagini riprodotte
modificato, con la sua apertura nel 2003, piazza Scipione Ammirato trasformandola in un’isola pedonale corredata di nuovi arredi urbani e diverse opere d’arte di artisti della portata di Sandro Chia, Denis Santachiara, Luigi Ontani e tanti altri; Museo è invece la stazione costruita e inaugurata nell’aprile 2001 su progetto dell’architetto Gae Aulenti, caratterizzata da una sequenza di volumi intonacati di rosso e rivestiti con pietra vesuviana che raccordano i livelli delle strade, e citano nei materiali e nei colori l’edificio del vicino Museo Archeologico Nazionale; Dante, progettata anche dall’architetto Aulenti, ha dato modo di rivalutare l’impianto settecentesco della piazza, mentre l’interno della stazione è rivestito da grandi pannelli in vetro bianco
con borchie in acciaio e ospita le opere di alcuni protagonisti dell’arte contemporanea internazionale: Carlo Alfano, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Joseph Kosuth e Nicola De Maria. L’ultima stazione realizzata, Università, offre invece un’esperienza sensoriale ed estetica. Il progetto di Karim Rashid è un concept creativo che comunica e incarna la conoscenza nella nuova era digitale. Entrando nella stazione il visitatore si muove in un luogo pensato appositamente per toccare la sfera emozionale dei viaggiatori e offrire loro una pausa di bellezza e di piacere contemporaneo fatto di piastrelle stampate con neologismi creati in questo ultimo secolo. Un insieme di parole come “virtual”, “network”, “operativo”, “portatile”, “database”,
“interfaccia”, “software”, stampate in rosa e in verde su regolari, scontati e ovvi rivestimenti ceramici. Karim Rashid, il designer che ha perfezionato i suoi studi in Italia nello studio di Ettore Sottsass, ha progettato un viaggio tra conoscenza e mente. Un viaggio che inizia con la scalinata rivestita di parole e passa per i tornelli di accesso dove sono state poste due grandi sculture: Synapsi, una sinuosa scultura in acciaio satinato che rimanda alle sinapsi del nostro cervello, e Ikon, un light box nel quale sembrano galleggiare figure dotate di tridimensionalità virtuale. Al di là del box agenti si trova la Conversational profile, una scultura modellata in modo tale che da qualsiasi punto di vista sia riconoscibile un profilo di volto umano:
una rappresentazione metaforica del dialogo e della comunicazione. Ciascun livello ipogeo ha una diversa tipologia di pavimento. Colori vivaci e immagini digitali ricoprono i piani orizzontali della pavimentazione, mentre i soffitti sono caratterizzati da led luminosi e superfici di acciaio specchianti e ondulate. I contrasti cromatici sono anche utilizzati per favorire la circolazione dei viaggiatori: i due colori dominanti, il “pink” (rosa fucsia) e il “lime” (giallo-verde acido) scelti da Karim Rashid perché considerati fonte di energia potenziale e simbolo di vitalità, indicano rispettivamente la direzione verso la banchina per Piscinola e quella per Garibaldi. Per le scale mobili sono state scelte due simboliche guide: i profili di Dante e Beatrice. Un omaggio alla
Karim Rashid, Camila Tariki, Dennis Askins Progettisti
Napoli Luogo
Metronapoli S.p.A. società del Comune di Napoli Cliente
26 marzo 2011 Inaugurazione
PLANIMETRIA
BALLATOIO METALLICO IMPIANTI IMPIANTI SCALA METALLICA SCALA ALLA MARINARA
POMPE ALIMENTAZIONE
GRUPPO ELETTROGENO
SEZ. A-A
IMPIANTI
REATTANZA
COLLEGAMENTO CAVI DAL CONTROSOFFITTO AL PAVIMENTO TECNICO COMPARTO IMPIANTI
SALA QUADRI
SEZ. B-B
SALA MACCHINE ASCENSORE BIGLIETTERIA
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SEZIONE A-A
SEZIONE EST B-B
In alto: planimetria della stazione con la proiezione del particolare controsoffitto. In basso: le due sezioni dei collegamenti attraverso i diversi livelli. Nella pagina a fianco, in alto: fotografia di uno dei binari. Il pavimento chiaro è realizzato con forme regolari che riproducono segni filiformi morbidamente deformati. In basso pianta e sezione della postazione di controllo posta ai mulinelli prima del binario
PIANTA (SOPRA) E SEZIONE (SOTTO) DELLA POSTAZIONE DI CONTROLLO
tradizione umanistica italiana riletta quale legame o interconnessione tra la cultura classica e quella contemporanea. Al livello dei treni l’ambientazione diventa quasi intima. Alcune opere d’arte in digitale, retroilluminate, forniscono una luce morbida e continua allo spazio mentre le icone in led si animano facendo scorrere parole universalmente conosciute e concettualmente legate alla conoscenza e alla multiculturalità. Il linguaggio usato è quello tipico dell’ambiente universitario ma il movimento proposto è quello dei pendolari con i quali inevitabilmente queste opere si confrontano e si relazionano, poiché cambiano anche di colore al loro passaggio. Sono grandi installazioni lenticolari create tramite una modellazione 3D virtuale: complessi progetti grafici prodotti su superfici bidimensionali ma percepiti però come tridimensionali. Non sono altro che le affascinanti e cangianti cartoline, riproposte in grandi dimensioni, con cui da piccoli molti di noi hanno avuto modo di giocare e che con occhiolini ammiccanti hanno dato a molti l’illusione di essere unici. La stazione Università è un’architettura che crea l’illusione dell’interattività. È uno spazio dell’illusione e della comunicazione, ingannevole e innovativo, che illude e ammalia, evoca e simula. È un nuovo tassello d’arte per la città di Napoli. E proprio per tutto questo l’Underground partenopeo è un “non luogo”, che diventa sempre più, attraverso fluidi e organici passaggi emozionali una vera e unica esperienza estetica.
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La postazione di controllo è inserita tra i due cosiddetti profili continui. I due volti, citazione dell’opera di Enrico Bertelli, Profilo Continuo del Duce, sono realizzati in resina nera lucida. L’ambiente è molto luminoso e d’effetto
AM progettare
Se il museo
ESPONE SE STESSO Rocco Design Architects Ltd / Guangzhou (Cina)
Foto di Marcel Lam
Il Guangdong Museum è un grande blocco dall’aspetto materico geometricamente traforato. 67mila mq di spazi espositivi che generano una magniloquente icona contemporanea adagiata su un prato. Uno scrigno che ospita ed espone curate collezioni del tradizionale artigianato cinese di Mercedes Caleffi
Foto di Almond Chu
’effetto del traforo applicato agli oggetti fa spesso pensare all’artigianato cinese. E infatti è proprio alla poetica del vuoto contrapposto al pieno che lo studio Rocco Design Architects Ltd si è ispirato per realizzare, a Zhujiang Xincheng - nuovo quartiere finanziario di Guangzhou - il Guangdong Museum. La suggestione che lo studio ha voluto riproporre è legata a un antico oggetto di pregio realizzato con particolare perizia: la sfera d'avorio, un prodotto della tradizione conosciuto e apprezzato proprio perché creato da un unico pezzo tramite l'incisione a traforo. Il Guangdong Museum è stato concepito come un oggetto d'arte in scala monumentale. E non è stato progettato solo per ospitare una grande varietà di oggetti da esporre ma anche per essere esso stesso un oggetto prezioso, in grado di offrire ai visitatori un tour esperienziale su tutta la ricca storia locale e sulla saggezza tradizionale. La città di Guangzhou, il capoluogo della provincia di Guangdong, conosciuta in Occidente come Canton, è la città costiera più estesa del Sud della Cina, con un particolare status storico, economico e politico dovuto proprio alla sua vantaggiosa posizione geografica e al collegamento con il mare che gli viene offerto dal grande Fiume delle Perle. La regione Guangdong negli ultimi trent’anni, con una veloce e radicale urbanizzazione e industrializzazione, ha trasformato la sua arretrata realtà agricola in una dinamica economia industriale e commerciale. La trasformazione è avvenuta principalmente nella zona del Pearl River Delta, un cluster di nove città che si è distinto per via dell’alta concentrazione di industrie manifatturiere e che per tanto è nota come “la Fabbrica del Mondo”. Ma non solo. Guangdong, disponendo di un’ampia varietà di risorse quali montagne, vallate, laghi, spiagge e isole e trovandosi vicino ad Hong Kong e Macao, si è anche trasformata in una delle mete preferite dal turismo nazionale ed estero. Da qui l’esigenza di corredare la città di Guangzhou anche di altre strutture. E il Guangdong Museum è tra i principali edifici a riferimento culturale costruiti in quest’area. Lo studio Rocco Design Architects Ltd, vincitore del concorso internazionale del 2004, per questo museo di cinque piani avente una superficie totale di circa 67mila metri quadrati e una esposizione di oltre 130mila reperti, ha creato un doppio effetto sorpresa: l’aspetto rigoroso, scultoreo e raffinato di tutta la superficie esterna dell’edificio e un’entrata nascosta, quasi da scoprire, posta in una depressione lastricata in pietra morbidamente accompagnata ai margini da un rigoglioso prato
Foto di Marcel Lam
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Foto di Marcel Lam
In alto: visione notturna del volume renderizzato. È evidente la suggestione della colossale struttura semplicemente appoggiata. In basso e nella pagina a fianco: vista della grande hall dominata da un ampio lucernario
Rocco Design Architects Ltd Architetti
Zhujiang Xincheng (Pearl River New Town), Guangzhou, China Luogo
Guangdong Museum Opera
2004 - 2010
Esecuzione lavori
67,000 mq Area
884 milioni di Yuan cinesi Costi
Ove Arup & Partners Hong Kong Ltd
Struttura -Facciata - Acustica
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Foto di Almond Chu
In questa pagina e a destra: fotografie che riprendono da punti di vista diversi la grande hall e le membrane vetrate che ne caratterizzano l’aspetto. Le due sezioni, invece, evidenziano la struttura portante: la trave reticolare a cui i due piani si agganciano e i due piedritti su cui scarica la trave
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SEZIONE 2-2 Foto di Almond Chu
SEZIONE 1-1
TERZO LIVELLO
Foto di Almond Chu
SECONDO LIVELLO PIANO TERRA
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Foto di Almond Chu
LIVELLO INTERMEDIO
QUARTO LIVELLO
che circonda buona parte dell’edificio. Per realizzare l’effetto galleggiamento di tutta la massa del museo, la struttura muraria inferiore fino al secondo piano è stata costruita in cemento armato, mentre la parte superiore dal terzo piano al tetto è stata progettato con un complesso sistema a sbalzo in acciaio. L’intento è stato quello di suscitare la sorpresa e incentivare la curiosità verso l’interno. Un interno che seguendo il seducente gioco scultoreo si scompone, si fraziona in diversi livelli e nicchie e fa sì che la trasparenza, diventando linguaggio di comunicazione, trasformi l’insieme delle connessioni visive e fisiche in un complesso e ricco rapporto che lega e separa, con sottili e trasparenti artifici, l’atrio, i corridoi e le sale espositive. Il concetto di prezioso scrigno scultoreo fondante l’intero progetto è stato avvalorato dallo stesso sistema strutturale. La copertura a capriate è stata, infatti, appositamente studiata per essere supportata dai massici muri portanti che all’interno del museo definiscono l’ampia corte quadrata in cui cala dall’alto la luce. È proprio a questa grande copertura fatta di 8 travi reticolari di circa 113,5 metri l’una, 8 metri di altezza e uno sbalzo ad ogni estremità di ben 23 metri che si appendono letteralmente i tre piani posti sopra la zona che si distacca da terra. L’intero edificio, infatti, risulta diviso in tre parti: la zona ipogea e il piano terra che si trovano subito sotto lo strato di prato, la zona cuscinetto che crea il distacco dal suolo facendo emergere solo le strutture portanti poste nella parte centrale della struttura, e i tre piani superiori. L’effetto complessivo raggiunto è quello di una grande e preziosa scatola galleggiante su un prato con quattro facciate, che pur essendo trattate matericamente in modo eguali con pannelli di alluminio, vetro sinterizzato e pannelli in GRC, si differenziano tra loro per la diversa geometria dei vuoti “cesellati” nell’intera massa dell'edificio.
Pagina a sinistra: l’accesso al piano terra è ricavato tra le modellazioni del terreno. Il piano d’accesso è di dimensioni ridotte. L’insieme fa sembrare l’intero volume come galleggiante sul terreno. Sopra: la grande scalinata d’accesso accompagna dolcemente in quota i visitatori. Dal piano superiore si diramano altre scale di collegamento e passerelle che attraversano la hall
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AM progettare
In simbiosi
CON IL PAESAGGIO LAN Architecture / Bure-Saudron (Francia)
La forma geometricamente severa del grande archivio dell’EDF si inserisce senza alcun contrasto nel paesaggio circostante. E grazie a 120mila borchie in acciaio inox cromato metabolizza la luce e vi si integrano con continuità di Iole Costanzo
In questa pagina e a destra: gli interni del piano terra che comprende il piano degli uffici e delle sale riunioni. Gli ambienti godono di ampie superfici vetrate prospicienti la campagna intorno
ella sua semplicità piena di luminosi riflessi e dolci opacità terrose, l’architettura dell’EDF Archives Centre, progettato dallo studio LAN Architecture a Bure-Saudron in Francia, non crea alcun contrasto con il paesaggio che vi gravita intorno. Non è un’architettura organica. Non ripropone i dettami dell’architettura wrightiana e non nasconde il proprio volume con soluzioni tipiche dell’architettura ipogea. Il volume è netto ed è alto 19 metri. È un parallelepipedo di ben cinque livelli, con una superficie totale di circa 7mila m². Questo progetto tocca il tema del rapporto tra ciò che è artificiale e ciò che è naturale. Un tema più volte affrontato e sviscerato che prende in esame anche ciò che può essere inteso come paesaggio. E i possibili spunti da affrontare sarebbero molteplici, almeno quanto sono tutte le possibili scelte progettuali. E lo studio francese LAN Architecture non ha fatto una scelta stilistica bensì percettiva, quasi gestaltica. Il manufatto riprende i colori dominanti e tipici del paesaggio della regione dell’Alta Marna. Un paesaggio dai colori caldi e
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luminosi che l’edificio sui suoi quattro prospetti ripropone. Ma la ricerca cromatica non è l’unica scelta attuata dagli architetti. L’edificio con la sua forma severa e con le sue fattezze rigidamente geometriche si inserisce nel paesaggio senza creare con esso un rapporto contrastante. La nuova sede - archivi, laboratori e uffici - dell’EDF gioca con i colori e soprattutto con la luce che vi sta intorno. La suggestione è camaleontica. L’intenzione dei progettisti era proprio quella di proporre una pelle che potesse adattarsi e mimetizzarsi con l’ambiente. Ci sono riusciti senza utilizzare alcuna tecnologia. La pelle non è fatta di materiale siliceo e il volume non è rivestito di giganteschi screen che riproducono le immagini del paesaggio circostante. L’escamotage trovato dal gruppo LAN è semplice, in un certo senso economico e anche efficace. Un paesaggio non è solo colori, è anche luce che cambia e si adatta, si offusca e si specchia. E in una regione brulla come quella dell’Alta Marna la luce che si specchia è la stessa che gioca con le tinte calde soffuse e morbide della terra. E le tinte
LAN Architecture Progettisti
Christophe Leblond Project Manager
EDF Archives Centre Opera
Bure-Saudron in Francia Luogo
10.1M Euro
Costi dell’opera
2008 - 2011
Esecuzione lavori
Batiserf Ingénierie Strutture
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che le 120mila borchie in acciaio inox cromato, inserite nei particolari pannelli brevettati, rispecchiano e riflettono sono quelle che la luce del sole crea con i colori del luogo. Le borchie, 7 centimetri di diametro e 1 millimetro di spessore, sono state inserite secondo una logica random nel primo strato, quello più esterno, dei pannelli in calcestruzzo colorato. I pannelli, tra loro uguali, hanno un’impostazione standard e sono formati da uno strato più esterno di 8 centimetri di spessore e quello retrostante rinforzato con nervature di cemento aventi lo stesso spessore. L’altezza di 15,65 metri è uguale per tutti, la larghezza, 2.26 o 2,33 metri, varia invece a seconda della facciata su cui vanno posizionati. Nessuna bucatura e nessun sistema di apertura verso l’esterno. A caratterizzare il grande archivio dell’EDF sono dunque gli eleganti e casuali disegni presenti in facciata che metabolizzano la luce del paesaggio circostante e vi si integrano con continuità. La struttura, suddivisa in 5 livelli, occupa una superficie totale di 6800 mq. Consta di 20 magazzini da 200 mq l’uno, termo-igrometricamente controllati e aventi una resistenza al fuoco di 2 ore. Gli uffici amministrativi sono tutti dislocati nella grande piastra posta al piano terra e l’intero edificio è stato impostato al contrario di come solitamente sono costruiti edifici aventi queste stesse funzioni. La zona di rappresentanza e le sale riunioni sono state posizionate alla base della costruzione, dando dunque particolare importanza alla parte di stoccaggio, che solitamente, anche per ragioni statiche, è relegata ai livelli ipogei. L’intera struttura è stata concepita seguendo i principi green: la produzione di calore avviene principalmente grazie alle energie rinnovabili e la ventilazione si basa Sopra: i lati esterni del piano terra sono protetti dal sole grazie all’aggetto dei piani superiori e del brise-soleil. Sotto: l’immagine testimonia come dal punto di vista cromatico e della percezione gestaltica il volume si inserisca nel paesaggio
SEZIONE A
SEZIONE B
SEZIONE D
DETTAGLIO FACCIATA
CORDOLI DI METALLO E PACCHETTO D’ISOLAMENTO E IMPERMEABILIZZAZIONE PER LA COPERTURA
GIUNTI DI DILATAZIONE
SISTEMA DI ANCORAGGIO DEI PANNELLI PER LA FACCIATA RINFORZO DELL’ANCORAGGIO
PANNELLI PREFABBRICATI DI CALCESTRUZZO. I PIGMENTI CHE SI ISPIRANO ALLA TERRA SONO STATI INSERITI NELL’IMPASTO DI CALCESTRUZZO. LE BORCHIE DI ACCIAIO INOSSIDABILE SONO STATE INSERITE NELLA COLATA DEL CEMENTO
ISOLAMENTO TERMICO
NERVATURA PORTANTE DEI PANNELLI
LASTRE ALVEOLARI PRECOMPRESSE
GIUNTO PERIFERICO IN ALLUMINIO TRAVERSA DEL PANNELLO
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PIANTAGIONE CON 3 TIPI ESSENZE PERCORSI PER LA MANUTENZIONE DEGLI ALBERI
PRATO
FOSSATO PERIFERICO - INTEGRAZIONE DELLA RECINZIONE
20 POSTI AUTO PER IL PERSONALE 10 POSTI AUTO CON TAPPETO ERBOSO RINFORZATO STRADA IN ASFALTO
CANCELLO SCORREVOLE
CANALE DI DEPURAZIONE SBARRAMENTI DI FILTRAGGIO/OSSIGENAZIONE FILTRANTE PER IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE ACCESSO IN ASFALTO TETTO INVERDITO CON DEL SEDUM PIANTAGIONE DI ALBERI
BACINO DI RACCOLTA
FILTRI DI CANNA
PIATTAFORMA DI MANOVRA PENDENZA
PIANTAGIONE CON PIANTINE PIANTAGIONE SEMINATA
PLANIMETRIA GENERALE
PIANTAGIONE MISTA PRATO
FASI COSTRUTTIVE DEI PANNELLI PREFABBRICATI POSTI IN FACCIATA. Da 1 a 3 posizionamento delle borchie d’acciaio secondo una matrice precostituita. Da 4 a 6 posizionamento dell’armatura all’interno del pannello. Da 7 a 12 stagionatura umida del pannello per evitare fenomeni di ritiro. Da 13 a 15 rimozione della pellicola di protezione delle borchie. Da 16 a 18 trasporto e posizionamento dei pannelli sui quattro prospetti dell’edificio
principalmente su due pompe che utilizzano un doppio sistema di ventilazione di flusso e recupero del calore, sistema che limita il consumo energetico dovuto al riscaldamento e garantisce anche una buona qualità igienica. Tutto l’involucro assicura la massima prestazione e un rendimento molto elevato proprio grazie alla scelta dei materiali impiegati e alla straordinaria tecnologia usata per il fissaggio del rivestimento in calcestruzzo che ha ridotto la possibile formazione di ponti termici.
I pannelli, struttura + rivestimento, con i due strati inframmezzati da ben 30 centimetri di isolamento assicurano all’intero edificio un alto livello di inerzia a favore soprattutto del comfort e della riduzione del fabbisogno di raffreddamento. Infatti, la potenza totale che viene consumata dal palazzo è di 29 kWh/m². L’archivio dell’EDF, con la sua pelle simbiotica, non solo si inserisce nel paesaggio senza creare un impatto violento ma risulta coibente e con un ottimo livello di trasmittanza.
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AM progettare
Un’architettura
MONUMENTALE
Per tutte le foto copyright Ernesta Caviola
5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo e Jean-Baptiste Pietri / Milano
Con i suoi tredici piani e cinquanta metri di altezza, il nuovo Centro Direzionale del Quartiere Espositivo di Milano è stato concepito in più parti completamente autonome. Grazie alla facciata vetrata e a quella ventilata in fibrocemento la percezione visiva varia nell’arco della giornata di Mercedes Caleffi
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l Centro Direzionale del Quartiere Espositivo di Fieramilano, progettato dallo studio 5+1AA e da Jean-Baptiste Pietri, è formato da due corpi di fabbrica uniti tra loro ma autonomi l’uno dall'altro. L’aspetto è di un unico complesso compatto e monolitico, una lama largha 16,65m, di 13 piani, 54 metri di altezza massima e una superficie lorda di circa 21mila mq. Il Centro Direzionale è stato costruito per le dieci società consociate che compongono il Gruppo Fiera Milano. Un unico organismo articolato in due edifici separati, appositamente pensati per raggiungere in maniera soddisfacente tutti gli obiettivi richiesti dal bando, in termini d’efficienza distributiva, gestionale e anche energetica. Gli architetti hanno puntato sullo studio delle facciate, un sistema che è stato realizzato secondo diverse modalità costruttive: la facciata vetrata continua, realizzata anche con moduli orizzontali e quella ventilata in fibrocemento. Una facciata è completamente rivestita da pannelli di colore grigio, protetti esternamente da brise-soleil con struttura metallica e lame in vetro stratificato e temperato rifinite con lastre di rete metallica dorata. Questo sistema prevede anche una passerella di camminamento esterna, interposta tra la facciata e il sistema di frangisole, per la pulizia e la
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manutenzione. L’altra facciata è pur sempre a vetrata continua ma a moduli orizzontali e specchiature in parte di colore oro e in parte in vetro stratificato con rete metallica interposta. È una facciata protetta dall’irraggiamento solare, solo dove è necessario, attraverso l’installazione di un sistema di oscuramento. L’attenzione durante la progettazione è stata posta principalmente all’aspetto sostenibile. Anche lo stesso utilizzo di vetrate con un buon indice di resa del colore concorre a questo tipo di scelta progettuale. Infatti, questo tipo di attenzione garantisce la buona percezione visiva globale all’interno degli ambienti adibiti ad uffici. È la soluzione tecnologica prevista per le facciate dell'edificio a consentire una buona illuminazione naturale degli ambienti durante tutto l'arco del giorno, sia nei mesi invernali che in quelli estivi, con considerevoli vantaggi sul benessere psicofisico dei fruitori. Anche per l’areazione sono stati adottati gli stessi principi. E quando le condizioni dell'aria esterna lo consentono è possibile utilizzare direttamente la ventilazione naturale aprendo i serramenti interni, poiché dei sensori provvedono a disattivare gli impianti interni di climatizzazione. Questo passaggio consente un considerevole risparmio energetico e permette alle persone di
5+1AA, Alfonso Femia Gianluca Peluffo e Jean-Baptiste Pietri Progettisti
IQuadro Ingegneria Strutture
AI Engineering, AI Studio Impianti
Sviluppo Sistema Fiera spa Cliente
aprile 2004 Concorso
21.000 mq
Superficie lorda
195 metri
Altezza fuori terra
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Piani fuori terra
32.000.000,00 euro
Costo di costruzione
A sinistra: particolare della facciata Nord-Ovest, realizzata con piccoli pannelli orizzontali di colore bronzo/oro, completamente opaca e interrotta da piccole e rade finestrature. In basso: planimetria generale dell’intero intervento
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Entrambe le foto in questa pagina riprendono l’interno del taglio orizzontale a doppia altezza ricavato a qualche piano dal basamento. Il volume in vetro cemento è rivestito con mattoni di forma piramidale asimmetrica. A destra: in alto due foto dell’interno del foyer a tutta altezza
"vivere" il clima esterno garantendo anche un’elevata percezione di benessere. Sul fronte della sostenibilità ambientale le soluzioni adottate hanno non solo lo scopo di ridurre i consumi d’acqua ed energia, impiegando al massimo le fonti rinnovabili (difatti l’edificio rientra in classe energetica A) ma anche di migliorare le condizioni di benessere per quanto riguarda l’aspetto termico, acustico e visivo. Dal punto di vista cromatico questa struttura è definita dal colore dell’oro: la facciata ovest è totalmente rivestita di lastre dorate scelte proprio perché la tonalità rispecchierà la luce naturale, mentre i frangisole che si diradano procedendo da sud a nord, alternano trasparenze e opacità, specchiature e semitrasparenze che rivestono la struttura con le variazioni della luce solare, percepibili in particolar modo all’alba e al tramonto con la luce radente. Il complesso, per tutta la lunghezza complessiva di 133 metri, si sviluppa lungo l'asse Est/Ovest e le facciate, proprio perché poste lungo questa direzione, sono diverse tra loro: quella dotata di brise-soleil è esposta a Sud Est, mentre l’altra completamente chiusa e monolitica è quella esposta a Nord Ovest. L'edificio nella realtà è una torre orizzontale stratificata, composta da tre elementi: il basamento, l’elevazione e il coronamento. Il primo
strato, il basamento, è rialzato rispetto al piano della strada, e accoglie e separa i flussi di persone in una successione di spazi tra cui il foyer realizzato a tutta altezza. L’elevazione, il secondo strato, è caratterizzata da un taglio orizzontale a doppia altezza che crea una sospensione fatta di trasparenze e riflessi: 1.700 mattoni di vetro dalla particolare forma piramidale asimmetrica nati dalla collaborazione tra i progettisti e Seves glassblock che caratterizzano e rivestono tutto il piano. Mentre il coronamento ha funzione, in parte, di giardino verticale pensato per dare maggiore comfort climatico all'intero edificio e in parte è organizzato come piattaforma da eliporto. L’edificio si sviluppa su dodici piani complessivi, con un interpiano di circa 3,70 metri, così come gli ambienti al piano terra ed al quinto dove sono collocate le sale per le conferenze. L’ultimo piano è quello destinato a ospitare le sale riunioni private e proprio per questo in copertura è stata realizzata una elisuperficie circolare del diametro di 25 metri adatta all’atterraggio di elicotteri di grandi dimensioni. La struttura portante, di tipo misto, è stata realizzata con solai alveolari prefabbricati ed elementi di acciaio composti e bullonati in opera. I corpi scala sono stati tutti costruiti in cantiere e sono in calcestruzzo armato.
PIANTA BASAMENTO
PIANTA PIANO TIPO
PIANTA PIANO INTERMEDIO A DOPPIA ALTEZZA
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SCOSSALINA IN LAMIERA DI PROTEZIONE CORDOLO IN CA, CON ISOLANTE SPESSORE 12CM PER ELIMINAZIONE PONTE TERMICO E RELATIVA BARRIERA AL VAPORE ZONA DI FISSAGGIO SERRAMENTO SCHIUMATA PER RIDURRE AL MINIMO PONTE TERMICO
VERDE PENSILE TECNOLOGIA TIPO OPTIGRUN INTENSIVO SUBSTRATO PERMANENTE TIPO OPTIGRUN PER GIARDINI PENSILI INTENSIVI IL MATERIALE RISPETTA I PARAMETRI UNI 11235 SPESSORE STRATO ASSESTATO: 15 CM
TESSUTO FILTRANTE TIPO 200 OPTIGRUN PER EVITARE DILAVAMENTO TERRA DI COLTIVO SUPERIORE STRATO DRENANTE TIPO OPTIGRUN PERL 8/16 ALTEZZA 10 CM CON ALL’INTERNO INSERITI PROFILI DRENANTI TRIANGOLARI TIPO OPTIGRUN
STRATO DI SEPARAZIONE E PROTEZIONE IN FELTRO NT SINTETICO IMPUTRESCIBILE (POLIESTERE O POLIPROPILENE AGUGLIATO DA FIOCCO), DEL PESO 500 G/MQ, POSATO A SECCO SULLO STRATO PRECEDENTE, CON SORMONTANTI SEMPLICEMENTE SOVRAPPOSTI PER CIRCA 20 CM
ELEMENTO DI TENUTA ANTIRADICE IN MEMBRANA SINTETICA OMOGENEA OTTENUTA PER COESTRUSIONE DI UNA LEGA DI POLIOLEFINE ELASTOMERIZZATE A BASE POLIPROPILENICA SPESSORE MM 1.5
RIVESTIMENTO IN CARTONGESSO DEL SOLAIO PER COMPARTIMENTAZIONE ORIZZONTALE DEI PIANI, SVILUPPO LINEARE SUPERIORE AGLI 80CM LINEARI
PREDISPOSIZIONE TENDA OSCURANTE A RULLO MOTORIZZATA
SISTEMA DI RISCALDAMENTO E RAFFRESCAMENTO A CONTROSOFFITTO METALLICO RADIANTE IN MODULI DI TRE DIMENSIONI DIFFERENTI E TRE TIPOLOGIE DI FORATURE PER DIMENSIONE E PASSO / SERPENTINA IN RAME / TRA I MODULI TRAVETTA MULTIFUNZIONE PER INSTALLAZIONE NEL CONTROSOFFITTO DI CORPI ILLUMINANTI, PARETI DIVISORIE / PANNELLO METALLICO FORATO SISTEMA DI ILLUMINAZIONE SOSPESA A ELEMENTO SINGOLO O A FILA CONTINUA CON LAMPADE FLUORESCENTI NON SOVRAPPOSTE / STRUTTURA IN ESTRUSO DI ALLUMINIO VERNICIATO / SISTEMA DI FISSAGGIO A SOSPENSIONE LUNGO LE TRAVETTE DI INSTALLAZIONE DEL CONTROSOFFITTO
FRANGISOLE IN LASTRE TEMPERATE STRUTTURA PORTANTE: ACCIAIO DI OPPORTUNA SEZIONE, DIMENSIONE E QUANTITÀ COME DA ELABORATI GRAFICI DEDICATI. LA STRUTTURA DOVRÀ ESSERE IDONEA A SORREGGERE LE LAME VETRATE FRANGISOLE E A CREARE UNA INTERCAPEDINE DI 60CM DAL SERRAMENTO (ALL’INTERNO DELLA QUALE SARÀ INTEGRATA UNA PASSERELLA GRIGLIATA PER PERMETTERE LA MANUTENZIONE E LA PULIZIA DEL SISTEMA FACCIATA)
LASTRE FRANGISOLE: LASTRE VETRATE STRATIFICATE E TEMPRATE DI COLORE ORO. I MONTANTI SARANNO FISSATI A STAFFE DI SOSTEGNO POSTE ESTERNAMENTE AI NASTRI A MODULI INDIPENDENTI, FISSATE IN CORRISPONDENZA DELLE SOLETTE MEDIANTE L’UTILIZZO DI TASSELLI AD ESPANSIONE CON UN PASSO DI 125 CM
FACCIATA CONTINUA REALIZZATA CON STRUTTURA PORTANTE IN LEGA DI ALLUMINIO ESTRUSO 6060 - T5
TELAI: TAMPONATI CON CELLULE A TAGLIO TERMICO SU CUI VENGONO FISSATE LE LASTRE DI VETRO INCOLLATE STRUTTURALMENTE / VETROCAMERA: SPECCHIATURA TRASPARENTE, COLORE GRIGIO, COLLOCAZIONE COME DA PROSPETTI / APERTURE: LE APERTURE DOVE PREVISTE SARANNO AD ANTA A RIBALTA CON APERTURA MASSIMA DI 10CM E BLOCCO DI APERTURA (APERTURA MANUALE)
MOQUETTE A QUADROTTI BOUCLÈ MICROTUFT
PASSERELLA GRIGLIATA PER LA MANUTENZIONE E LA PULIZIA DEL SISTEMA FACCIATA GLIGLIA DI MANDATA INCASSATA NEL PAVIMENTO GALLEGGIANTE IN CORRISPONDENZA DELLE SUPERFICI VETRATE
PREDISPOSIZIONE TENDA MOTORIZZATA AVVOLGIBILE A RULLO PER LA PROTEZIONE SOLARE
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FACCIATE: 3 TIPOLOGIE COSTRUTTIVE
Tipo A: Facciata continua vetrata a camera singola con orditura a moduli verticali e specchiature colore grigio. È protetta esternamente, dove necessario, da brise soleil a struttura metallica con lame in vetro stratificato e temperato di colore oro, o in alternativa, in lastre con interposta rete metallica dorata. Tipo B: Facciata continua vetrata a camera singola con orditura a moduli orizzontali e specchiature di colore oro e in parte in vetro stratificato con rete metallica interposta. È protetta dall’irraggiamento solare, dove necessario, attraverso l’installazione di un sistema di oscuramento esterno ad una seconda intercapedine permeabile all’aria. Tipo C: Facciata ventilata rivestita con pannelli piani di tipo Swisspearl e serramenti in alluminio a singola camera.
PROSPETTO NORD
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PROSPETTO OVEST
PROSPETTO EST
AM creative design
ANDARE AL DI LÀ DEL LIMITE DELLA TECNICA PER SCOPRIRE NUOVE FORME. QUESTA LA POETICA CREATIVA DI GIUSEPPE RIVADOSSI, CHE INSIEME AI FIGLI REALIZZA MANUFATTI IN LEGNO Rigore e poesia. Sapienza, che sa di antico, al passo con la tecnologia, di cui fa però un oculato e studiato uso. Giuseppe Rivadossi è un artista-artigiano che crede fermamente nella propria identità. «Contro l’avanzante, disumano artificio tecnologico - ci spiega - io oppongo il mio fare, che in fondo non è altro che un innocuo fatto poetico. Con questa mia azione, che è solo un canto, so di non arrivare a niente, mi basta però affermare la bellezza della vita e la mia identità». È un poeta alla ricerca della forma comunque legata alla funzione, perché non sopporta gli eccessi e l’ironia fine a se stessa. Cerca e pensa le forme con la stessa assoluta semplicità con cui crede fermamente che il riscatto dalla solitudine umana e dall’autismo, a cui l’uomo si affaccia inconsapevole, sta nella conoscenza e nella riconoscenza dell’altro. Sgarbi di lei ha scritto: “Rivadossi è uomo manuale di officina”. Ma lei come si definirebbe? «La mia non è una ricerca formale. Nel nostro tempo di ricerche formali ce ne sono anche troppe. Più che una questione di forme, il mio è un urgente problema di esprimere una visione della vita nel costruire. Le forme sono semplicemente una conseguenza. In ogni epoca o periodo delle arti l’aspetto formale è sempre stato la conseguenza di una visione, così succede anche per le mie opere. Nel mio costruire oltre una visione della vita c’è una approfondita conoscenza tecnico-progettuale, praticata quotidianamente con rigore. Per me unire la visione poetica della vita ad una conoscenza tecnica è pratica normale». Le sue opere le pensa più come elementi di arredo o come sculture? «Nei vari aspetti del costruire, oltre le fondamentali conoscenze tecniche, entrano anche le problematiche psicologiche del vivere e dell’abitare, per cui le strutture e gli spazi che ne derivano non sono mai delle facili o gratuite invenzioni. Le strutture, con le loro accurate definizioni e dimensionamenti, fanno la qualità umana del manufatto e degli spazi che vengono a determinare. Con le mie opere tendo a dare una risposta essenziale e vera, sia sotto l’aspetto tecnico, funzionale che poetico. La funzionalità e la poesia per me non sono due cose
separate. L’immagine ultima nel mio manufatto, è sempre un evento unitario. Il suo fascino sta proprio in questa realtà. Io considero l’ambiente come un’espressione globale, dove ogni particolare può contribuire a darle un’anima. L’ambiente nel suo insieme è comunque sempre un fatto di comunicazione e di linguaggio. Le stesse persone e le strutture che lo determinano sono l’espressione di una cultura più o meno civile. Chiedermi se mi sento più artigiano, più designer, più architetto o scultore, o chiedermi se gli elementi che vado definendo sono più un fatto di arredo o di scultura, per me non ha senso. Io, i miei figli e i miei collaboratori, ci sentiamo più che altro degli artefici dello spazio dell’uomo». Come e quando è nato l’amore per il legno? «Fin da quando operavo con mio padre la conoscenza del materiale legno è stata fondamentale per trarne delle adeguate strutture. La definizione del dettaglio, anche tecnico-costruttivo, se non è considerata come parte della bellezza dell’insieme, è sicuramente sbagliata o fuori luogo. Le dimensioni, come aspetto fondamentale delle varie parti che definiscono le strutture e l’ambiente, per me nascono dalla stessa struttura fisica, psicologica, culturale e umana della persona che lo abita». La tecnologia che ruolo ha nella realizzazione delle sue opere? «L’evento della grande tecnologia sta scombussolando la vita e le relazioni. Accogliere gli straordinari vantaggi della conoscenza scientifica senza perdere
Sopra: Giuseppe Rivadossi al lavoro nel suo laboratorio. In alto a sinistra: Credenza Teodora. Sotto: Madietta Nova, struttura in noce, realizzata a fibra verticale, finita a taglio di sgorbia e pialla manuale. Serratura realizzata in ferro sabbiato
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Sopra: Credenza Moissac, un’immagine vibrante e leggera di luce, disposta a contenere, ma anche a diventare un preciso segno del paesaggio interno. A destra: Madietta Aurina, composta da un fronte a finestrelle che, aprendosi, si trasforma plasticamente. Sotto: Sedia Fiorita
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la nostra originaria identità è il mio impegno. La tecnologia è uno strumento straordinario. Rifiutarla sarebbe una pazzia, ma anche usarla solo come mezzo di nuove possibilità di potere, dimenticando la vita, è assurdo. La tecnologia deve essere presa in considerazione per quello che è, ovvero, uno strumento. Io, in questo senso ne faccio uso con grande piacere, ma non voglio farmi condizionare». Come nasce e si evolve la collaborazione tra i vari esponenti della famiglia Rivadossi? «La collaborazione è un fatto importante e delicato. Colui che partecipa alla realizzazione delle opere deve condividere il percorso costruttivo, la poetica e la finalità delle opere stesse. Per questo, prima di dare inizio all’esecuzione di un lavoro, normalmente ci sediamo e parliamo dei vari aspetti tecnici, esecutivi e del senso che dovrà avere in quel determinato spazio la struttura che andiamo eseguendo. Oggi, io opero con i miei figli Emanuele e Clemente e con alcuni bravissimi collaboratori con i quali condivido problemi e finalità». Che programmi ha l’Atelier Rivadossi per il futuro? «Questo atelier ha come programma di operare con rigorosa coerenza al fine di definire sempre meglio lo spazio dell’uomo, come fatto pratico e poetico. Poi, io credo che pur nelle difficoltà del momento, fuori da questa nostra identità, per noi sarebbe semplicemente un po’ triste e difficile operare. Dati i grandi mezzi tecnici oggi disponibili, il pericolo più grande che possiamo correre è quello di perdere il piacere di un rapporto vivo con l’altro, come persona e come natura all’infinito per seguire il business». Le creazioni Rivadossi che rapporto hanno con la cultura del disegno e dell’arte? «Il mio rapporto con la cultura del design, dell’architettura e dell’arte, è sempre stato molto vivo. Devo però aggiungere che non condivido tutto ciò che
l’arte del mio tempo propone. Nonostante il grande progresso tecnologico, l’uomo d’oggi si sente sempre più solo e perso, rischia così di entrare in una drammatica nuova forma di autismo. Tentare poi anche attraverso l’arte di reinventare se stessi, non è una via d’uscita a questa grave confusione. Secondo me l’uomo del nostro tempo può superare questa stagnazione aprendosi di nuovo con fiducia alla conoscenza e riconoscenza dell’altro (persona e natura), come parte viva e infinita di se stesso». Quale rapporto esiste nelle opere Rivadossi tra funzione e forma? «La funzione e la forma non sono due aspetti separati nelle strutture. La funzione in senso globale non può essere limitata solo all’accogliere, al proteggere e al servire immediato, anche se questo aspetto è fondamentale, ma deve essere considerata come fatto, che si estende al favorire l’accoglienza e l’umanità nello spazio e nel tempo. Ritrovare un’attenzione per quelle interiori esigenze umane, che vanno oltre la banale praticabilità di una struttura, oggi è molto importante. La funzione delle strutture oggi deve raggiungere la bellezza, che consiste poi in un rapporto armonico fra l’uomo, la natura e la vita in cui siamo. La funzione e la bellezza, come ho già detto, sono un fatto unitario e secondo me vanno considerate sempre e comunque in senso globale. Oggi sono venute di moda le strutture ludiche e altre stramberie, ma per me queste soluzioni in architettura sono nulle. Una sedia sulla quale non ci si può sedere può essere anche una divertente espressione intellettualistica, ma non sarà mai una sedia. Le ironie o i dadaismi in architettura portano solo a confusione».
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AM creative design
NUOVE FORME. NUOVI MATERIALI. TECNOLOGIE RAFFINATE APPLICATE AL DESIGN. LA BICICLETTA DEL NUOVO MILLENIO, TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE, DIVENTA CAMPO DI PROVA PER GIOVANI DESIGNER
Art-Velo: la bicicletta presentata da Plinio Il Giovane al Fuori salone 2011, e disegnata da Lorenzo Boni Voltitude: bicicletta elettrica e pieghevole prodotta dall’omonima azienda svizzera. Pesa circa 20 kg e funziona con una batteria al litio
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La bicicletta è il mezzo sostenibile per eccellenza: comoda, ecologica, economica, fa bene all’ambiente ma anche a chi la usa. In un momento come questo, in cui si assiste ad un risveglio delle coscienze green, in tanti stanno riscoprendo il fascino della bici, in ogni sua accezione, da quella classica a quella più tecnologica. La varietà dei modelli è notevole e non è raro imbattersi in biciclette dal design ricercato e accattivante. Più di un designer, infatti, ha deciso di cimentarsi con le due ruote, subendo il richiamo del design in movimento e di un mezzo di trasporto che, senza dubbio, consente di vedere il mondo da un’angolazione diversa dal solito. È il caso di Lorenzo Boni, designer veneziano, che dopo anni di progetti in Magis (1994-1999) prima e poi per Kartell, Vitra,
Driade, Cassina, Flos, a fianco di Philippe Starck scopre un mondo nuovo: quello del legno fatto a mano, delle falegnamerie che hanno reso famoso il Made in Italy nel mondo e del design etico ed ecologico. Comincia così a collaborare con l’azienda Plinio Il Giovane, marchio di Mario Prandina, che realizza dal 1975 mobili ecologici fatti a mano, uno per uno, con prodotti naturali. Per Plinio Il Giovane, quest’anno, Lorenzo Boni ha disegnato Art-Velo, una nuova bicicletta che si basa sulla filosofia dell’azienda, impegnata nella campagna sociale nel rispetto dell’essere umano per la tutela dell’ambiente, attraverso i suoi prodotti ricchi di contenuti etici che favoriscono il passaggio a uno sviluppo sostenibile. Contaminata dallo stile art - nouveau, Art-Velo è la bicicletta innovativa realizzata in multistrato di faggio, reso impermeabile dall’antico trattamento con olio di lino cotto. I cerchi in legno sono prodotti da una piccola struttura che dai primi del '900 realizza quelli che erano i cerchi dei ciclisti di una volta. Possiede il fascino senza tempo di un design raffinato: un connubio perfetto tra modernità e gusto retrò. Di tutt’altro genere la bicicletta Voltitude, prodotta da un’azienda svizzera che ha lo stesso nome: una bici elettrica dal design ispirato al famoso coltellino svizzero. È un ciclomotore leggero, semplice e decisamente essenziale. Voltitude è considerata una bicicletta perchè non supera i 25 km/h, quindi si può guidare senza patente e senza casco anche se altamente consigliato. È il risultato di quasi 5 anni di sviluppo e 13 brevetti internazionali. Tutto il cuore del Voltitude è racchiuso nella parte centrale rossa con la classica croce bianca della bandiera elvetica, nel quale è accentrata la massa: elettronica, batterie, fanale posteriore, meccanica dei pedali. È inoltre trasportabile: sella, manubrio e ruota anteriore si ripiegano su se stessi e in pochi secondo lo si può infilare ovunque. Misura 108 cm e 60 cm chiusa. Per ora è possibile acquistare questa bicicletta solamente in Svizzera, ma si pensa che entro la fine dell’anno sarà presente anche sul mercato estero.
AM prodotti A sinistra: Sede Selta SpA, Roveleto, Piacenza. La pavimentazione in ceramica (grès porcellanato, Casagrande Padana) propone una superficie geometrica semplice e composta, risolta attraverso un elegante bicromatismo che consente di ottenere un risultato decisamente pregevole e di elevata qualità ambientale. Sotto: la Corte dei Colori, Lecco. Intervento di riqualificazione microurbanistica misurato sull'equilibrio formale e l'uso materico del colore. Molto attenta l'esecuzione della posa in opera e la cura dei dettagli (grès porcellanato, Casagrande Padana)
CERAMICA CREATIVA
La piastrella viene oggi rielaborata con tecnologie complesse. Superfici intelligenti per edifici isolati termicamente, resistenti nel tempo e in grado di generare energia pulita. Con il suo forte appeal, la ceramica Made in Italy è sempre più presente nelle nostre case di Silvia Di Persio
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n restyling tutto tecnologico per trasformare un materiale tradizionalmente bello in un materiale anche intelligente. La scienza e la tecnologia dei materiali guardano lontano e creano la piastrella in ceramica del futuro, per coniugare qualità meccaniche e chimico-fisiche tradizionali e sistemi integrati di ottimizzazione energetica. Tutto ha inizio negli anni '80 con la scoperta dei superconduttori ceramici, materiali che permettono la trasmissione di corrente elettrica senza dissipazione e con resistenza pressoché nulla. Da quel momento, le scienze dei materiali, sulla spinta delle crescenti esigenze di prodotti sostenibili hanno rivolto i propri investimenti tecnologici alla ceramica, aprendo nuovi orizzonti al materiale fino ad allora confinato alla sfera del vasellame, della scultura e del rivestimento artistico. «Grazie a questa apertura - ci spiega Goffredo De Portu, direttore dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISTEC-CNR) - quando si parla di ceramica oggi giorno non si deve più pensare all’immagine tradizionale legata alla stoviglieria o alle costruzioni ma a scenari che includono orizzonti estremamente vasti per quanto attiene il suo impiego». Oggi infatti la classica piastrella viene rielaborata alla luce di tecnologie complesse mirate a esaltarne le tradizionali qualità di inerzia chimica, bassa densità, elevata rigidità, resistenza all'usura e alle alte temperature, eliminando allo stesso tempo le limitazioni intrinseche del materiale. Come precisa Goffredo De Portu, «La ceramica è un materiale estremamente interessante poiché possiede caratteristiche fisico-chimiche e meccaniche uniche che le permettono di operare in ambienti ostili, proibitivi per altri materiali. Tuttavia queste eccellenti proprietà vengono condizionate dalla fragilità che contraddistingue questo materiale. Questa limitazione intrinseca si esplicita in una bassa tenacità che ne limita in qualche modo le applicazioni strutturali. Tuttavia, grazie all’intensa attività di ricerca internazionale a cui l’ISTEC ha dato un suo contributo, è cresciuta la consapevolezza che i materiali ceramici possono svolgere un ruolo anche in settori fino a poco tempo fa neppure immaginati. Di conseguenza alcune barriere tecnologiche connesse alle limitazioni sopra descritte stanno per essere superate». Ma non solo. Perché le nuove frontiere della tecnologia applicata alla ceramica vanno ben oltre la sperimentazione relativa alle qualità intrinseche al materiale, per elaborare nuovi utilizzi e prodotti nel campo dell'edilizia e della progettazione architettonica sostenibile. È il caso della ceramica "funzionalizzata", lastre in grès porcellanato sulle quali vengono spalmate celle fotovoltaiche di silicio
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monocristallino per la produzione di energia. Pannelli multifunzionali in grado di interagire con l'ambiente esterno e con l'edificio, che possono raggiungere i 360x120 cm con soli 3 mm di spessore e garantire così un basso peso per metro quadrato e una flessibilità prima d’ora impensabili per rivestimenti ceramici. Superfici intelligenti di
Sopra: Antiche Fattorie di Isole e Olena Roccia. Pavimento serie Galestro, fornito da Laria. Sotto: Centro Commerciale, San Marino. Pavimentazione e scale realizzate con lastre in grès porcellanato (Cooperativa ceramica d’Imola)
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A destra: Metropolitana di Atene (Grecia). Pavimenti: linea Granitogres serie Granito colore Ontario (grès porcellanato, Casagrande Padana). Sotto: National Graduate Institute for Policy Studies, Tokyo. Rivestimento esterno con lastre Terraone, Palagio
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ultima generazione, per edifici isolati termicamente, resistenti nel tempo e in grado di generare energia pulita. L'Italia in particolare registra una notevole attenzione del settore industriale nei confronti delle nuove tecnologie applicate alla ceramica. In uno dei settori a più elevato consumo energetico in Europa, con un'incidenza dei costi energetici per oltre il 30 % sui totali di produzione quale quello della ceramica, tale attenzione è stata inizialmente indirizzata alla messa a punto di tecnologie e metodologie a elevata efficienza energetica, mirate alla riduzione dei costi di produzione. «Tuttavia – chiarisce Goffredo De Portu - le aziende italiane si rendono conto che competere con i paesi emergenti soltanto in termini di costi di produzione non basta. Quindi accanto a una ricerca sui processi produttivi indirizzata in particolare alla riduzione di tali costi, si è andata sviluppando una sensibilità rivolta alla creazione di
nuovi prodotti sia ad alto contenuto tecnologico sia con particolare appeal estetico e funzionale. Progredire in entrambe le direzioni è l’unico modo per mantenere la posizione di leadership nel mercato internazionale». A dare un supporto di rilievo a questo nuovo trend industriale, il fatto che nella progettazione di rivestimenti in ceramica fotovoltaica il primato tecnologico sia tutto italiano con il progetto di piastrella in ceramica fotovoltaica sviluppato dal Cecerbech, il laboratorio del Centro Ceramico di Bologna. È a partire dal 2004 che, dopo alcuni anni di studi, il laboratorio inizia a lavorare sul proprio concetto di eco-piastrella. Alla base l'idea che la piastrella tradizionale possieda tutte le capacità per trasformarsi in un ecoprodotto dalle caratteristiche funzionali e dalle elevate prestazioni: leggerezza, resistenza alle diverse condizioni ambientali, calpestabilità e soprattutto elevato rendimento elettrico. «L’idea della piastrella fotovoltaica – spiega Arturo Salomoni, coordinatore della Sezione ceramiche tecniche avanzate del Centro – è di dare alla piastrella una funzione in più rispetto a quella che normalmente ha già». Nello specifico il valore aggiunto è dato dal conferimento alla superficie della piastrella ceramica, e al suo eventuale strato di smalto, non solo di un valore estetico ma anche di una finalità supplementare. «Se la piastrella, oltre che abbellire e rivestire, diventa capace di catturare l’energia solare come un normale pannello fotovoltaico, le pareti ventilate degli edifici possono offrire decine di metri quadrati disponibili per mettere a frutto questa sua nuova funzione». La piastrella fotovoltaica non è una normale piastrella alla quale viene semplicemente sovrapposta una cella fotovoltaica. Quest’ultima viene, al contrario, costruita sulla superficie della
piastrella in sostituzione dello smalto abitualmente applicato. Strutturalmente, dunque, la piastrella è costituita da vari strati di superficie, di cui uno metallico a sua volta ricoperto da uno strato di silicio amorfo. Il tutto è poi avvolto da un film protettivo che garantisce la resistenza, l’inalterabilità e la durata del prodotto. Il risultato è una piastrella capace di produrre energia elettrica e idonea a essere utilizzata nel rivestimento degli edifici ma non nelle superfici calpestabili: la sua naturale destinazione sono le cosiddette facciate ventilate dove i rivestimenti esterni non sono applicati direttamente sulla parete ma su una specie di griglia che forma una camera d’aria, un’intercapedine tra la parete e il rivestimento. Questa camera d’aria isola termicamente gli interni, sia dal caldo che dal freddo, e garantisce, oltre al risparmio energetico, una migliore qualità della vita domestica. Quanto alla conciliabilità dell’aspetto estetico con quello prestazionale, «i riporti di un film sottile sulla superficie – chiarisce Salomoni – creano, ad esempio, delle limitazioni nei colori e nei disegni. È per questa ragione che occorre lavorare in sinergia con architetti, designer e stilisti», questi ultimi non a caso responsabili in larga parte del boom del prodotto piastrella. Nella logica secondo la quale più superficie viene ricoperta e più l’impianto è potente e capace di immagazzinare energia, quello del disegno rimane comunque un limite risolvibile nascondendo la circuiteria, mettendo a punto disegni di natura geometrica o studiando zone di chiaroscuro. «In linea di principio limitazioni vere e proprie non ce ne sono: il problema di come unire estetica e funzionalità è vincolato a un lavoro paziente e condiviso di tecnico e architetto». È allora proprio sull'estetica, valore tradizionalmente primario alla base della diffusione e della scelta di questo materiale nei diversi ambiti, che una parte della ricerca tecnologica si sta attualmente orientando, con l'utilizzo dei nano materiali, delle nanotecnologie e della tecnologia laser per la creazione di modelli decorativi. «L’adozione del laser nella lavorazione superficiale, nella decorazione e in generale nell’arricchimento e raffinazione estetica di materiali ceramici - spiega Goffredo De Portu - sta diventando una tecnologia sempre più diffusa. Il laser permette di operare con accurata precisione e con grande flessibilità e velocità di esecuzione cambiamenti di colore e combinazioni cromatiche innovative e asportazione selettiva di parte dello spessore superficiale. Quindi, rispetto alle tecnologie più tradizionali di decorazione della ceramica, un sistema di decorazione e di lavorazione superficiale integrato nella linea produttiva consente di soddisfare le
esigenze dell’industria della ceramica implementando l’affidabilità, la produttività e la continuità del processo. Permette inoltre, di ottenere soluzioni cromatiche ed effetti estetici innovativi che contribuiscono alla realizzazione e commercializzazione di prodotti a elevato valore aggiunto in grado di salvaguardare fette importanti dei mercati internazionali». È proprio grazie al valore aggiunto di tecnologia ed estetica che la ceramica funzionalizzata si appresta a diventare uno dei prodotti di eccellenza del nuovo made in Italy. Un prodotto bello e intelligente.
Sopra: Complesso Direzionale, Modena. Parete ventilata realizzata in grès porcellanato levigato 30x60 cm, Rondine
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AM appuntamenti
GIO PONTI E LA RICHARD GINORI
Promossa da Regione Lombardia in collaborazione con Anonima Talenti, la mostra, curata da Dario Matteoni, è dedicata alla figura di Gio Ponti designer e presenta una raffinata collezione di ceramiche, realizzate in particolare tra il 1923 e il 1930 per la manifattura Richard Ginori. Gio Ponti assume nel 1923 la direzione artistica della Manifattura Richard Ginori e stabilisce il suo ufficio nello stabilimento milanese di S. Cristoforo. La prima occasione pubblica di esporre le prime opere prodotte (ceramiche e maioliche) si presenta già nel 1923 con la prima Mostra Internazionale di Arti Decorative di Monza. La modernità della produzione presentata a Monza nel 1923 trova un primo riscontro nella critica di Carlo Carrà che vede nel “giovine architetto Giovanni Ponti, un neoclassico di Milano, profondamente sincero nelle sue ricerche stilistiche e, quello che più conta, riccamente dotato di qualità inventive.” Repertori e forme traggono la loro ispirazione dall’antichità classica, ma il percorso culturale di Ponti lo porta a incrociare nella sua ricerca di classicismo anche riferimenti oltre l’antico: la prospettiva rinascimentale, la teatralità e il gusto antiquario di derivazione palladiana, l’eleganza neoclassica. In questa mostra, un primo filo conduttore indivi-
duato dal curatore è quello della iconografia declinata da Ponti nei suoi decori. Il confronto con l’antico è un secondo filo di lettura della mostra, a partire dalle forme che traggono fonte d’ispirazione dal mondo greco, etrusco, romano: oggetto emblematico di questo filone è la grande cista dedicata al critico d’arte e giornalista Ugo Ojetti. Qui le figure dell’architetto, del filosofo, dell’edile animano uno spazio immobile, forse una possibile città ideale. E ancora urne e vasi accolgono decorazioni che manifestano con evidenza il ricorso alla citazione archeologica. Non di minore interesse è la presenza di alcuni decori che fanno riferimento all’architettura, tratti da un vasto repertorio di ispirazione palladiana, ma anche connessi alle coeve esperienze che Ponti avviava nella sua prima attività professionale, in primo luogo con la casa di Via Randaccio. È questo un altro dei fili conduttori che la mostra intende indagare, anche attraverso il confronto con alcuni disegni preparatori per la sua produzione, veri e propri studi di architetture: quelle architetture che impaginano i personaggi di questa grande commedia, sospesi in uno spazio dalla rigorosa costruzione classica. Milano, Grattacielo Pirelli/ Gio Ponti. Il fascino della ceramica/ Fino al 31 luglio 2011
MIRÒ E LA REALTÀ SOCIALE
Tate Modern presenta la prima retrospettiva, da 50 anni a questa parte, dedicata a Joan Miró (1893-1983) a Londra. Riunisce più di 150 dipinti, opere su carta e sculture di uno dei più grandi artisti del XX secolo. L’esposizione, organizzata in collabora-
zione con la Fundació Joan Miró di Barcellona, si basa sulle collezioni provenienti da tutto il mondo per rappresentare l'ampiezza sorprendente della produzione di Miró, e guarda al suo lavoro a 360° mettendo in evidenza il suo impegno politico e esaminando l'influenza sulla sua opera della sua identità catalana, la guerra civile spagnola e l'ascesa e la caduta del regime di Franco. Miró è stato tra i più rappresentativi artisti moderni e ha sviluppato una lingua surrealista fatta di simboli che evocano un senso di libertà e di energia attraverso il suo immaginario fantastico e il colore deciso. Spesso considerato come un progenitore dell'espressionismo astratto, la sua opera viene celebrata per la sua serenità e il fascino colorato. Tuttavia, a partire dai suoi primi dipinti, c'è in lui anche un lato più ansioso che riflette i tempi di turbolenza politica in cui visse. La mostra porta lo spettatore a scoprire quanto complesso e intriso d’impegno artistico, politico, sociale, sia l’opera apparentemente così leggera dell’artista catalano. Mission dei curatori della mostra Marko Daniel e Matthew Gale è stata dunque quella di sganciare Mirò dal movimento al quale viene ricondotto riposizionandolo come artista che tiene conto delle realtà sociali. Londra, Tate Modern/ Joan Mirò: The Ladder of Escape/ Fino all’11 settembre 2011
IL MEGLIO DEL DESIGN FRIULANO IN MOSTRA
Si scrive UDESIGN, si legge YOU DESIGN: gioca su questo doppio significato il logotipo della rassegna sul design che celebra l'eccellenza dell'industria friulana e che intende delineare una prima mappa delle aziende che basano sulla cultura del progetto e sulla qualità estetica la propria strategia di differenziazione del prodotto sul mercato internazionale. Una ricerca territorialmente limitata che, proprio in virtù di questo limite, si pro-
spetta come emblematica di come sta evolvendo l’industria italiana. La scelta della Cumini Gallery quale location della rassegna non nasce a caso, ma è frutto della consolidata tradizione e dell'orientamento al design dello store di Gemona, più volte teatro di iniziative culturali. L'esposizione ospita al suo interno più di sessanta aziende del Friuli Venezia Giulia che espongono prodotti che per la loro valenza estetica, tecnologica ed innovativa si possono definire “di design”. Accanto alla presenza di prestigiosi marchi, sono molte anche le sorprese riservate dalle piccole aziende e da una nuova generazione di artigiani. Gemona del Friuli (Ud), Cumini Gallery/ Udesign/ Fino al 31 agosto 2011
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AM appuntamenti QUARANTA ARTISTI DA TUTTO IL MONDO
La mostra invita il pubblico a esplorare gli universi di artisti di differenti origini e propone una riflessione sui ritmi vertiginosi degli sconvolgimenti del mondo moderno, nutriti dal nomadismo, dal cosmopolitismo e dal meticciato. Traendo ispirazione dall’andatura prospettica del collezionista François Pinault, la mostra tende ad allargare il campo delle conoscenze possibili, per offrire una lettura originale della società contemporanea. Provenienti dai quattro angoli del mondo – dalla Cina al Sud Africa, dalla Francia al Giappone, dall’Italia all’Iraq – i 40 artisti presentati in mostra propongono tutti posizioni singolari sui grandi stravolgimenti del mondo, sulle esasperazioni che ne conseguono e sulle speranze che questi portano. La mostra si articola intorno ai grandi temi della storia presente, dalla disintegrazione dei simboli sino alla tentazione per il ripiegamento su se stessi e l’isolamento, passando per l’attrattività della violenza o della spiritualità in un modo tormentato e globalizzato. Ogni artista è presentato in uno spazio dedicato ma tuttavia aperto agli altri, grazie ai passaggi e alle prospettive proprie del luogo. Due opere emblematiche segnalano le due grandi direzioni della mostra: il grande avvoltoio di Sun Yuan & Peng Yu, Waiting, come metafora di minacce, paure e predatori e L’Homme Pressé di Thomas Houseago, come simbolo della fede nel potere stesso dell’uomo. Venezia, Palazzo Grassi/ Il Mondo vi appartiene/ Dal 2 giugno al 31 dicembre 2011
TAMARA DE LEMPICKA IN MOSTRA A ROMA
Una delle mostre più complete mai realizzate su Tamara de Lempicka, l’artista maggiormente nota e amata del periodo Déco, simbolo delle istanze moderniste degli anni Venti e Trenta. La mostra, curata da Gioia Mori, storica dell’arte nota a livello internazionale per le sue ricerche su Tamara de Lempicka, presenta 80 dipinti e circa 40 disegni che ripercorrono il cammino artistico della “regina del moderno”; 50 fotografie d’epoca – alcune delle quali inedite - documentano il “personaggio” Tamara, ritratta quasi sempre come una diva del cinema anni ’30; 2 film degli anni Trenta in cui la Lempicka si colloca davanti alla macchina da presa; 13 dipinti di artisti polacchi che frequentò in Francia e a Varsavia raccontano il rapporto con l’arte contemporanea della sua patria. In questa esposizione Gioia Mori propone una nuova lettura delle opere della Lempicka, scaturita da ricerche inedite che costruiscono ex novo la storia di molti dipinti; documenti di un legame finora sconosciuto con Prampolini, confermato dalla storia di un dipinto in mostra; diverse opere mai esposte in Italia; un eccezionale ritrovamento, un importante dipinto del 1923, Portrait de Madame P., finora considerato perduto, noto solo attraverso un’antica foto in bianco e nero. Tamara de Lempicka fu un’artista di grande cultura figurativa, abituata a mescolare ri-
Ci sono STRIP e... mandi all’arte del passato e linguaggi figurativi di varie correnti e radici: cubo-futurismo russo e francese, “ritorno all’ordine” italiano, “realismo magico” tedesco, “realismo” polacco. Una babele di elementi rielaborati in modo geniale fino a creare una “lingua” nuova dai caratteri accattivanti, decorativa, internazionale e moderna, che nasce dalla commistione di arti diverse: la fotografia di moda, il manifesto pubblicitario, il cinema. Roma, Complesso del Vittoriano/ Tamara de Lempicka. La regina del moderno/ Fino a domenica 10 luglio 2011
IN ESPOSIZIONE LA CREATIVITÀ DI PONTI
La Triennale di Milano presenta una mostra su le “Espressioni di Gio Ponti”, curata da Germano Celant in collaborazione con Gio Ponti Archives e gli Eredi di Gio Ponti, per celebrare nella sua città uno degli indiscussi maestri del Novecento. Ponti oltre a essere uno dei primi architetti globali del Novecento, è anche un designer riconosciuto a livello internazionale quanto un noto teorico e critico dell’architettura. Alla sua curiosità e al suo genio si devono le nascite della rivista “Domus” e della storica pubblicazione “Stile”, come un largo iimpegno nella ricerca dei legami tra l’architettura e le arti. Attraverso oltre 250 tra disegni e di-
pinti, ceramiche e maioliche, mobili e oggetti, studi e modelli di architettura, l’esposizione vuole portare all’attenzione la ricca e complessa creatività pontiana che ha inizio negli anni venti con la direzione artistica della società Richard-Ginori e si dipana per circa settant’anni nel campo dell’architettura, del design industriale, della produzione artigianale e artistica, senza dimenticare la ricerca e la comunicazione svolte nel campo delle arti. In questo composito universo, si è voluto rendere simbolicamente esplicita la presenza di Ponti a Milano, attraverso alcuni modelli di studio e/o disegni relativi al primo edificio per la società Montecatini (1936), al grattacielo Pirelli (1956-1960), alla Chiesa progettata per l’ospedale San Carlo (1966), tra gli altri. L’apporto dell’architetto alla sua città si completa con la rassegna di progetti italiani e internazionali con un focus particolare sull’asse Italia-America, sia attraverso il lavoro di Ponti dedicato agli arredi delle navi transoceaniche, sia attraverso la citazione della Finestra arredata, un nuovo tipo di serramento realizzato tra il 1953 e il 1954, inteso come un omaggio a Philip Johnson e prodotto in forma di prototipo dalla società newyorchese Altamira. I legami con gli Stati Uniti sono anche forieri di commesse architettoniche realizzate o progettate, che in mostra si aggiungono a noti progetti quali l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma, la chiesa di San Carlo Borromeo a Milano e la Cattedrale della Gran Madre di Dio a Taranto. L’esposizione si completa con il display del modo di comunicare di Ponti attuato in scritti, dipinti, disegni raccolti in uno studio simbolico, e una dimensione intima e della persona, attraverso i filmati e le interviste.
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INTERVISTA
PENSIONI EQUE E SOSTENIBILI
Pensieri. Commenti. Interviste. Schede di progetto
AM architetti - focus
Finanziamenti, prestiti d’onore e fondi destinati nei momenti di difficoltà a tutti gli iscritti. Inoltre forti sconti contributivi per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa. Ne parliamo con Paola Muratorio, Presidente di Inarcassa
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Come si è evoluto negli anni il rapporto che Inarcassa ha con i suoi utenti? «Negli ultimi dieci anni abbiamo concentrato i nostri sforzi per mettere l’associato al centro di una serie di servizi di sostegno e assistenza, passando dal vecchio concetto di Cassa come mero erogatore di pensioni, a quello innovativo di Cassa come polo di previdenza e assistenza a 360 gradi per i suoi iscritti. Ne sono esempi le iniziative a sostegno della professione, con finanziamenti, prestiti d’onore e fondi destinati ai momenti di difficoltà e di start up o espansione dello studio. Per essere vicini agli iscritti anche fisicamente, poi, organizziamo incontri periodici nelle province, durante i quali il personale è a disposizione dei partecipanti per informazioni sulle posizioni previdenziali e contributive, mentre io stessa illustro numeri e tendenze del sistema pensionistico di Inarcassa (l’ultimo incontro si è tenuto il 20 aprile scorso a Roma, ndr). E per dialogare con gli iscritti in maniera più rapida ed efficace puntiamo molto sul web, non solo con il sito appena aggiornato e ottimizzato, e con i servizi di Inarcassa on line (dichiarazione dei redditi telematica, finanziamenti on line, proiezioni pensionistiche, certificati ecc.), ma anche con InArCommunity, il social network degli ingegneri e architetti iscritti a Inarcassa, primo in Europa nel suo genere. Abbiamo creato, insomma, un sistema integrato di risposta personalizzata e innovativa alle esigenze dell’iscritto che include anche il call center, e che evidentemente comincia a dare i suoi frutti». Come valuta Inarcassa l’attuale situazione economica dell’Italia? «Il quadro complessivo non è molto soddisfacente: la crescita è bassa, consumi e investimenti ristagnano, il reddito disponibile delle famiglie in termini reali è sceso per il secondo anno consecutivo. Il nostro Paese, che già prima della recente crisi internazionale cresceva meno delle altre principali economie dell’area dell’euro, sta adesso, lentamente, uscendo dalla crisi, ma secondo le previsioni del Documento di economia e finanza del Governo occorrerà aspettare il 2014 prima di tornare ai livelli del 2007. Il problema della crescita, comunque, non riguarda solo l’Italia ma tutti i paesi europei». La caduta del reddito medio degli associati Inarcassa nel 2009 si è attestata intorno al 9 %. Attualmente la situazione è stabile o è ulteriormente peggiorata? «I dati definitivi del Bilancio consuntivo 2010 ci dicono che il reddito medio, nel 2009, è diminuito meno di quel 9% che avevamo inizialmente stimato; la caduta, pari al 7,6%, è alla fine risultata comunque molto pesante e ha riportato indietro di 7 anni il reddito medio della categoria, sui livelli medi del 2002. La flessione è stata più accentuata per gli Architetti, la cui attività professionale ruota, molto di più degli ingegneri, attorno al mercato immobiliare, proprio quello da cui, come ormai sappiamo bene, ha avuto origine la crisi del 2007-2009. Per il 2010 e per questo 2011 ci si dovrebbe aspettare un leggero rimbalzo del reddito medio, né più né meno pari a quello registrato dal Pil del paese lo scorso anno e atteso quest’anno (poco più dell’1%); c’è da dire, però, che gli investimenti del settore delle costruzioni, a differenza del Pil, non sono ripartiti e così anche il mercato immobiliare, se si fa eccezione delle città più grandi. Aggiungerei una cosa, che l’afflusso ininterrotto sul mercato della libera professione di nuovi ingegneri e architetti non contribuisce a migliorare le prospettive future; l’ingresso è libero e nessuno si sogna di mettere delle barriere, ma dobbiamo tutti essere consapevoli, una buona volta, che così facendo, senza cioè adeguare l’offerta universitaria alle richieste del mercato, si creano delle false illusioni in una larga parte dei nostri giovani, senza parlare poi del loro futuro previdenziale». Quali effetti ha riportato, sulla gestione previdenziale, l’aumento del contributo integrativo dal 2% al 4%? «Fermo restando che questa misura ha l’obiettivo, come tutta la riforma, di salvaguardare la sostenibilità nel lungo periodo, gli effetti positivi sulla gestione previdenziale saranno visibili solo a fine 2012, con il saldo 2011 dei versamenti contributivi». È possibile chiarire cos’è il contributo assistenziale introdotto dalla riforma per la sostenibilità e che è stato riscosso per la prima volta nel 2010? «La riforma per la sostenibilità di Inarcassa, varata nel 2010 per assicurare pensioni più eque e sostenibili a tutti gli iscritti, si preoccupa non solo della sostenibilità finanziaria di lungo periodo del sistema, ma anche della sua
sostenibilità sociale. In quest’ottica, abbiamo stabilito la destinazione dello 0,5% dell'aumento contributivo annuo ad attività di assistenza. Si tratta di somme rilevanti, pari a circa 8 milioni di euro nel 2010. Tra gli interventi allo studio: l’indennità a sostegno del reddito in caso di inabilità temporanea del professionista, derivante da malattia o infortunio, nuove prestazioni socio-sanitarie per gli iscritti, e assistenza di lunga durata per gli anziani non autosufficienti come ad esempio la long term care, che rappresenta un sostegno sempre più necessario per coprire i nuovi bisogni legati all’aumento della speranza di vita media. Sostegni che vanno ad aggiungersi a quelli già attivati in campo sanitario, come la polizza a copertura dei “grandi interventi e gravi eventi morbosi”, garantita da Inarcassa a tutti i propri iscritti e pensionati». Cosa si intende per contribuzione assistenziale intera e contribuzione ridotta? «I contributi previdenziali e assistenziali a Inarcassa sono dovuti in forma ridotta dai giovani fino a 35 anni di età, per cinque anni dalla prima iscrizione. L’agevolazione prevede che i nuovi iscritti under 35 abbiano diritto alla riduzione del 50% del contributo soggettivo, e alla riduzione a un terzo dei contributi minimi. La contribuzione intera riguarda tutti gli iscritti, che devono versare il contributo soggettivo, pari al 12,5% del reddito professionale per il 2011, quello integrativo pari al 4% del volume d’affari, e quello di maternità, pari a 74 euro nel 2011». I giovani iscritti sono molto sfiduciati sui contributi previdenziali. È possibile chiarire effettivamente per i contribuenti iscritti dal 2000 che tipo di pensione avranno? «I contributi minimi di Inarcassa sono i più bassi in assoluto rispetto a quelli versati alle altre Casse professionali. Per il 2011 sono pari a 1600 euro il soggettivo e 365 euro l’integrativo, a fronte di contribuzioni minime di gran lunga superiori, anche oltre il doppio, per altri professionisti. Se poi si considerano le forti agevolazioni per i nuovi iscritti, i contributi minimi che una giovane matricola sotto i 35 anni quest’anno verserà alla Cassa sono pari a circa 500 euro di soggettivo e 120 euro di integrativo. La sfiducia espressa dalla platea più giovane dei nostri iscritti, anche attraverso i forum e i blog del nostro social network, gli incontri periodici e i contatti con il call center, è dovuta piuttosto alla mancanza di lavoro e alle difficoltà di avviare e sviluppare lo studio. Difficoltà dovute a una crisi economica e del mondo professionale senza precedenti, e che colpisce in maniera ancora più accentuata le professioni tecniche, tra gare e appalti al massimo ribasso che penalizzano i singoli professionisti a favore delle grandi società e una riforma organica del settore mai andata in porto. In ogni caso i nostri giovani iscritti devono avere fiducia nelle riforme attuate dalla Cassa per salvaguardare l’adeguatezza dell’assegno pensionistico che riceveranno tra trent’anni, ma devono anche essere informati dei grandi mutamenti demografici ed economici in corso in tutte le maggiori economie occidentali, che impongono di accantonare di più per il risparmio previdenziale, se vogliono ottenere una pensione adeguata alle aspettative». Esiste un piano di sostegno per i neo-iscritti coì da andare incontro a questa nuova generazione di architetti da 1000 euro al mese? «Si è già detto dei forti sconti contributivi per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa, ma non è certo tutto. Inarcassa prevede periodici bandi per finanziare prestiti d’onore in conto interessi per i suoi associati under 35, che vogliano mettere su lo studio o magari aggiornarlo e informatizzarlo. L’obiettivo è favorire il ricorso al finanziamento dei giovani professionisti, anche riuniti in studi associati, dal momento che i normali canali bancari sono spesso preclusi a chi inizia la carriera. Il finanziamento, erogato da un istituto convenzionato, Banca popolare di Sondrio, prevede per il 2011 un abbattimento del 100% degli interessi, a carico di Inarcassa, un capitale per professionista da 5 a 15 mila euro, e una durata da uno a cinque anni. Tra il 2009 e il 2010 sono stati accesi prestiti per oltre un milione di euro. E dal luglio 2010 abbiamo messo in campo anche un fondo di garanzia per i giovani che fanno richiesta di prestito d’onore ma non hanno redditi sufficienti per superare l’istruttoria della banca convenzionata. Anche InArCommunity è un nuovo tassello del piano Inarcassa per il sostegno e lo sviluppo della componente più giovane e dinamica della professione». Che vantaggi apporterà l’obbligatoria dichiarazione dei redditi per via telematica? «La dichiarazione on line obbligatoria azzera molti costi gestionali e amministrativi legati ai vecchi documenti di carta, perché gli uffici non dovranno più effettuare una serie di operazioni come spedire i modelli, acquisirli otticamente o gestire il calcolo del conguaglio. A spingere a favore del cambiamento c’è anche la difesa dell’ambiente, con lo stop allo spreco di grandi quantità di carta, e il graduale superamento di un modo di comunicare non più in linea con l’avanzamento tecnologico del nostro tempo. Molti i vantaggi per gli associati: niente più coda alla posta o spesa per la raccomandata, nessun rischio di non ricevere il modulo o che vi siano errori di lettura, possibilità di correggere i dati anche dopo la prima spedizione telematica». Inarcassa che tipo di rapporti ha con le nuove Casse di Previdenza private? «Noi interagiamo positivamente con tutte le altre Casse di previdenza private, sia gli enti “più vecchi”, come è la stessa Inarcassa e come sono ad esempio le Casse degli avvocati e dei dottori commercialisti, sia con quelli cosiddetti più giovani (dlgs 103/96) come ad esempio le Casse dei periti industriali e degli psicologi».
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INTERVISTA
MUSEI LUOGHI DI CONFRONTO «Il museo è un laboratorio di ricerca che si apre alla mutevolezza dei linguaggi, in confronto con le realtà internazionali dedicate alla cultura». Margherita Guccione, Direttore MAXXI Architettura riflette sul futuro dei musei in Italia
Quali obiettivi si prefigge oggi il direttore di un nuovo museo, inteso come luogo che dovrà tenere conto dei nuovi linguaggi e dei nuovi costumi, nonché della nuova idea di arte e di spazio per l’arte? «Il MAXXI è una grande sfida perché è il primo museo in Italia che si occupa di rappresentare e promuovere le molteplici forme della creatività e dell’estetica contemporanea. E questo avviene proprio a partire dalle due principali anime, i due musei che convivono nel grande complesso ideato da Zaha Hadid: il museo di arte, diretto da Anna Mattirolo e il primo museo di architettura italiano, da me diretto, si influenzano e operano in modo complementare, talvolta anche con progetti comuni. Gli obiettivi del MAXXI sono legati al presente, in cui l’intreccio dei diversi linguaggi, la contaminazione dei generi, la multidisciplinarietà e l’innovazione sono le caratteristiche più rilevanti e vitali». Proprio perché nel tempo l’idea di spazio espositivo si è totalmente evoluta, come è cambiata, conseguentemente, la figura del direttore del museo? «I direttori di un museo come il MAXXI hanno tra le proprie priorità quelle di ripensare volta per volta le modalità di rapportarsi al pubblico, anche per facilitare la comprensione del proprio lavoro, rivolgendosi a un pubblico sempre più vasto e attivo all’interno della struttura museale. Il museo è una realtà in profondo cambiamento, non è più soltanto un luogo di raccolta, conservazione ed esposizione, ma deve essere sempre di più un luogo di aggregazione capace di stimolare atteggiamenti attivi e creativi dei suoi visitatori. Il museo deve essere pertanto un laboratorio di ricerca che si apre all’interdisciplinarietà e alla mutevolezza dei linguaggi contemporanei, in continuo confronto con le più rilevanti realtà internazionali dedicate alla cultura del presente». Il programma di acquisizione di un museo ovviamente risente della crisi economica. Ma quanto è difficile gestire uno spazio museale inaugurato nel pieno di un periodo economicamente instabile? «Proprio la rete e la connessione con istituzioni pubbliche e private di cui ho appena accennato è la chiave fondamentale per far fronte alla crisi economica attuale. In Italia il MAXXI Architettura è legato al sistema di gestione di un notevole patrimonio virtuale, frutto della rete dei musei e degli archivi presenti in Italia, che permette di estendere sempre di più al pubblico il patrimonio e le ricerche di riferimento. Il MAXXI riesce così a fronteggiare la crisi con strategie e sforzi congiunti utili a supplire alle attuali carenze attraverso intese e accordi specifici basati sulla cooperazione trasversale tra istituzioni. Un altro modo per affrontare la crisi è legato alla sperimentazione e diffusione di modelli innovativi nelle pratiche museali, nella didattica e nella comunicazione, per aumentare il coinvolgimento del pubblico e la capacità del museo di integrarsi nel territorio culturale di appartenenza». L’idea stessa di museo oggi sembra essere strettamente legata a quella di edificio simbolo. Di un edificio che sappia già da sé attrarre e comunicare. Quanto questa “ricerca” è veramente in grado di cambiare il rapporto tra il museo e il fruitore? «Il MAXXI, progettato dall’anglo-irachena Zaha Hadid, è un complesso architettonico che grazie alla sua forza scultorea, scenografica e spettacolare è stato più volte definito come una nuova icona per la Roma contemporanea. Gli spazi espositivi, complessi e inusuali, sono una costante opportunità per i curatori e lo staff museale di realizzare allestimenti dotati di una forte connotazione dal punto di vista spaziale, proprio per creare il giusto rapporto dialettico tra le opere e il luogo ospitante. Lo spazio esterno, la grande piazza del MAXXI, insieme a gran parte del piano terra di accesso è un grande spazio pubblico, in diretta connessione con la città. La dimensione pubblica e urbana è stata rilevata come una della principali motivazioni dell’integrazione dei due Musei nella città. La stessa attrazione esercitata dall’edificio permette di avvicinare più agevolmente agli spazi espositivi e alle attività culturali, offrendo un importante luogo di appropriazione della cultura contemporanea sia al pubblico specializzato che a quello generico. Il risultato è dimostrato giorno dopo giorno dal numero dei visitatori che popolano il MAXXI, per vedere i musei, le mostre, partecipare ad un evento o semplicemente sostare o passeggiare negli spazi esterni».
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Il museo oramai è una piazza. È un contenitore. Può essere considerato un mezzo di trasformazione sociale? «Io credo che la stessa struttura ospitante sia per prima interprete nonché agente di trasformazione diretta della città e della società in cui viviamo. Il progetto della Hadid, infatti, ha tra i suoi punti di forza proprio la capacità di anticipare, attraverso la forma architettonica, le evoluzioni urbane e la crescente fluidità della vita urbana, dei suoi flussi in continuo movimento. L’istituzione, anche grazie alla programmazione che ha realizzato nel primo anno di vita, ha contribuito a consolidare una nuova identità per il quartiere Flaminio, in particolare, e per Roma, più in generale. Le esposizioni, i convegni, gli eventi performativi hanno la capacità di registrare la realtà attuale ma anche di influenzare le condizioni di sviluppo della cultura del futuro. Inoltre le attività educative, estremamente diversificate per coinvolgere le più varie fasce di pubblico, sono un importante strumento per rendere l’utente del museo protagonista attivo della programmazione più che testimone passivo». Uno spazio espositivo pubblico come sceglie i propri investimenti? E più precisamente, può investire i soldi pubblici in un’opera d’arte effimera? «Il MAXXI è una fondazione costituta dal Ministero per i beni e le attività culturali e come tale, sin dalla sua apertura, si è dimostrato un importante campo di sperimentazione di accordi e sinergie tra l’istituzione pubblica e gli investitori privati. L’intento che si persegue è quello di dare vita a un programma d’eccellenza, rispondendo a obiettivi che sappiano tener conto delle esigenze di soggetti diversi, dai singoli sostenitori alle grandi imprese per creare processi di crescita virtuosi, anche sotto il profilo economico». La sicurezza delle opere esposte. Quanto è importante e quanto pesa tale voce su tutto il budget? «Naturalmente garantire la sicurezza all’interno del museo da tutti i punti di vista è per i Musei di fondamentale importanza. Le opere esposte, provenienti dalle collezioni di architettura e di arte o da prestiti di istituzioni esterne, sono tutelate grazie a un ottimo sistema di sorveglianza e ai più moderni sistemi di salvaguardia conservativa e ambientale, valutati di volta in volta dai nostri tecnici in base alle esigenze specifiche di ciascuna mostra e nel rispetto degli standard museali internazionali». Il museo da lei gestito non è solo spazio espositivo ma anche archivio e centro di ricerca. Cosa farà per gli architetti italiani e per promuovere l’architettura italiana all’estero? «Il MAXXI è prima di tutto un laboratorio, un centro di ricerca e di promozione della cultura attuale in tutte le sue forme. Svolge quindi attività scientifiche, grazie anche agli archivi, alla biblioteca e alla mediateca, cui si affiancano attività divulgative e di promozione. Il Museo di architettura in particolare ha il fulcro delle sue collezioni negli archivi del XX e del XXI secolo che testimoniano la complessità dell’architettura, seguendo i suoi percorsi evolutivi dall’idea iniziale alla realizzazione. Per superare l’idea, presente in molti musei, dell’architettura coincidente con il “bel” disegno, per dare rilievo a tutti i momenti della produzione dell’architettura, come opera intellettuale, al di là della realizzazione fisica. Tutte le attività si susseguono seguendo una duplice direzione, quella che guarda all’architettura del Novecento in una prospettiva storica e quella contemporanea, che viene vista con un’ottica più sperimentale, per interpretare gli interrogativi della società attuale e per promuovere attraverso mostre e attività mirate l’architettura italiana di oggi, sostenendo un dialogo costante con quella internazionale. Fanno parte della collezione permanente del MAXXI architettura, elaborati o interi fondi di documentazione di alcuni tra i più importanti architetti italiani come Carlo Scarpa, Pier Luigi Nervi, Paolo Soleri, Alessandro Anselmi, Giancarlo De Carlo, Carlo Aymonino o Superstudio. Va aggiunta l’importante sezione costituita dalla collezione di fotografia che vanta un consistente fondo di fotografia di architettura e di paesaggio. L’intero patrimonio è in corso di digitalizzazione, operazione necessaria per garantirne la fruizione da parte del pubblico del museo e, via web, di utenti provenienti da ogni parte del mondo. Oggi consta di oltre 50.000 elaborati progettuali, 25.000 fotografie, numerosi modelli, lettere e documenti, sculture, tempere, volumi e periodici». Sono previsti accordi sinergici con altri musei nazionali? «Come ho accennato nelle precedenti risposte, gli accordi sono da tempo attivi con musei italiani e internazionali, basti citare le intese e le collaborazioni con l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, l’Archivio Progetti dello IUAV di Venezia, l’Accademia di San Luca o, ancora, i gemellaggi operati con musei come il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi, il FRAC Centre di Orléans, il CIVA di Bruxelles o il Centraal Museum di Utrecht ad esempio». Di cosa pensa abbia ancora bisogno l’Italia per migliorare in questo campo? «L’Italia deve imparare a considerare la cultura come una delle più importanti risorse di crescita e sviluppo economico e civile del paese. Solo investendo sulla tutela del patrimonio storico e al contempo sulla nascita e l’evoluzione del patrimonio futuro, sarà possibile operare una svolta concreta, in questo momento indispensabile, per offrire al paese la posizione d’eccellenza che merita all’interno del dibattito culturale internazionale».
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SCHEDE Admirant Entrance Building, Eindhoven (Olanda) Progetto: Massimiliano e Doriana Fuksas
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Sopra: spaccato assonometrico longitudinale. Sotto: l’intero volume in rapporto al contesto urbano circostante. I triangoli di vetri usati sono sia trasparenti che opacizzati Foto Rob’t Hart
A Eindhoven da poco è stato completato e inaugurato l’Admirant Entrance Building, l’edificioicona dell’ampia area commerciale ridisegnata dallo studio di Massimiliano e Doriana Fuksas. Complessivamente i progetti sviluppati per quest’area sono quattro: 18 Septemberplein, una piazza di 7mila metri quadrati corredata di un parcheggio interrato di 2300 mq progettato appositamente per ospitare ben 1700 biciclette; il Shopping Mall Piazza, un edificio completamente trasparente in cui a dominare è la luce; il Media Market e infine l’Admirant Entrance Building, considerato ingresso alla nuova area commerciale. È completamente rivestito da un reticolo d’acciaio a maglia triangolare regolare di vetro sia trasparente che opaco. È un edificio sinuoso principalmente composto di due elementi: una struttura di 5 piani realizzata in cemento e un involucro-rivestimento di vetro e acciaio. È un oggetto prezioso che si trova proprio al confine tra la nuova area commerciale e la piazza 18 Settembre. Funge da elemento di inizio, da porta principale per il nuovo asse, e attira a sé l'attenzione pubblica dei pedoni. La sua immagine di modernità ridona alla città di Eindhoven il vessillo di centro tecnologico, di design e di cultura. Un’immagine che l’amministrazione ci tiene molto a curare. Dal punto di vista funzionale l’edificio è diviso in due zone principali, quella commerciale che coinvolge sia il piano terra sia il primo e il secondo, mentre ai livelli superiori sono stati organizzati gli spazi dirigenziali. La geometria delle facciate di forma amorfa crea un’emozionante configurazione che corrisponde alla versatilità che si trova all'interno dell'edificio.
Museo del Novecento, Milano
Foto di Gianni Congiu
loggiata, conduce alla caffetteria, racchiusa in un volume acustico concluso; il mezzanino della metropolitana, simbolo del nuovo intervento e il passaggio coperto che funge da collegamento con Piazzetta Reale. È nella torre monumentale che si trova la maggior parte delle funzioni pubbliche: accessi, ingressi e collegamenti. All'ultimo livello della torre una sala espositiva, la più grande, ospita la collezione permanente Fontana (circa 450 mq), mentre al livello del loggiato su Piazza Duomo si trova uno spazio ristorante che è collegato alla caffetteria posta all'interno della torre. La manica lunga su via Marconi accoglie invece le principali gallerie espositive che, distribuite su quattro livelli fuori terra, ospitano la collezione permanente. Tutti questi spazi sono verticalmente collegati da un blocco di scale mobili e ascensori panoramici che sono stati posizionati nel corpo che affaccia sul cortile interstiziale.
Progettato già nel 1936 dal gruppo di architetti Portaluppi-Griffini-MagistrettiMuzio, il Palazzo dell'Arengario, realizzato sul lato destro di piazza del Duomo a Milano, è divenuto oggi il Museo delle Arti del Novecento. Progettato da Italo Rota e Fabio Fornasari, il museo è stato inaugurato nel dicembre 2010. L’edificio dell’Arengario era da 68 anni in cerca di una sua reale e concreta funzione. Oggi il nuovo intervento museale lo riconnette alla vita cittadina. 140 metri lineari di rampa che collega la linea Metropolitana con l'interno della torre monumentale. Un percorso spiraliforme appositamente studiato per raggiungere la quota della terrazza monumentale che si affaccia su Piazza del Duomo e sulla Piazzetta Reale. La spirale è vetrata ed è il fulcro del percorso espositivo dell’arte del ‘900. Sono tre gli ingressi che danno accesso al museo: lo storico scalone monumentale che dall’esterno, attraverso la terrazza
Sotto: gli interni del Museo delle Arti del Novecento. Sopra: una sezione trasversale. In alto: il sistema reticolare di metallo e vetro che avvolge la rampa elicoidale di collegamento tra i piani e la stazione metropolitana
Foto di Gianni Congiu
Foto di Paolo Rosselli
Foto di Paolo Rosselli
Foto di Gianni Congiu
Progetto: Italo Rota e Fabio Fornasari
AM architetti 95
SCHEDE Opera House, Guangzhou (Cina)
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Foto di Virgile Simon Bertrand Foto di Christian Richters
A Guangzhou, l’Opera House progettata da Zaha Hadid ha aperto le porte al pubblico. Durante i lavori di costruzione i due edifici, dalla forma levigata, sono stati denominati “le pietre gemelle”, proprio perché devono la loro forma a una poetica suggestione che rievoca i sassi di fiume erosi e modellati dall’acqua. Il complesso consta di 70mila metri quadrati e di due volumi differenti che hanno funzioni diverse tra loro: il primo corpo ospita il Gran Teatro, dotato di 1800 posti a sedere, il secondo edificio invece è sede di un auditorium polifunzionale da 400 posti progettato per performance d'arte e concerti. Tutta la struttura è morfologicamente legata al terreno sottostante e tra le linee morbide del sito e le pieghe del piano di calpestio sono stati inseriti la biglietteria e la caffetteria. Le linee avvolgenti e levigate definiscono tutti gli spazi all’esterno e all’interno e creano sinuosi percorsi, scavati e lisci, che fanno scivolare e penetrare la luce naturale attraverso il vetro presente nella maglia strutturale. I due edifici devono la loro forma a un telaio, una sorta di tela di ragno le cui maglie, dalle diverse direzioni, sembrano sfidare le leggi della geometria e della gravità. Realizzati secondo i principi tecnici e statici delle Grid Shell - cioè secondo una trama sottile su base triangolare in acciaio che crea una superficie discreta a curvatura plurima - sono rivestiti esternamente da un’altra maglia triangolare, dalle ridotte dimensioni, realizzata o in vetro o in pannelli di malta, pur sempre triangolari, ma di piccole dimensioni. Le caratteristiche che Zaha Hadid normalmente richiede ai materiali, appositamente scelti per la loro peculiarità di poter essere portati sempre al limite delle prestazioni, è proprio la flessibilità e la dinamicità che questi assicurano ai suoi spazi. Una fluida morfologia fatta di compenetrazione e continuità percettiva tale da creare inaspettate connessioni visuali cangianti anche con il solo il variare della luce.
Foto di Christian Richters
Progetto: Zaha Hadid
Sopra: interni ed esterni dell’Opera House. Con il calare della sera, all’accensione delle luci interne, l’intero complesso cambia aspetto e rivela la struttura a trama sottile su base triangolare che sembra sfidare le leggi della geometria e della gravità. Sotto: sezione longitudinale
Orange Cube, Lione (Francia) Progetto: Jakob + MacFarlane Architects esterna in pannelli di alluminio, con funzione di brise soleil, perforati secondo dei patterns pixelati che da vicino rievocano l’immagine delle gocce d’acqua su un piano, mentre da lontano finiscono per suscitare un effetto di fluidità. Sia l'uso del metallo che del colore sono citazioni del passato industriale del sito: il metallo perché presente in molti docks e il colore arancio perché ripropone la tipica vernice al minio adoperata nelle strutture portuali. A destra: Orange Cube visto dalla parte del fiume. Sotto: un particolare del brise soleil. In basso: primo piano dell’edificio preesistente Les Salins, recentemente trasformato in Concert Hall
Foto di Nicolas Borel
È un cubo di colore arancione, come lo stesso nome evoca senza mezzi termini. Ed è stato costruito, su progetto dello studio parigino Jakob + MacFarlane, a Lione, la terza città più grande della Francia. È il quartier generale di una società immobiliare che cura la totale riconversione dell’area portuale dismessa, di cui lo stesso Orange Cube fa parte, in una nuova area residenziale variamente attrezzata e chiamata La Confluence proprio perché si sviluppa sulla penisola che si genera alla confluenza tra i fiumi Saône e Rodano. L'ambizione di quest’area è quella di legare l’aspetto urbanistico alla ricerca architettonica, tecnologica e sostenibile, recuperando un patrimonio industriale dismesso e portando sulle banchine di Lione una migliore qualità della vita fatta di principi architettonici contemporanei, cultura e complementarietà delle attività lavorative. Orange Cube è stato concepito come un semplice volume ortogonale in cui per sottrazione sono stati ricavati dei vuoti che lo studio Jakob + MacFarlane ha pensato come una serie di “perturbazioni” volumetriche di rotazione. Oltre che essere pura ricerca geometrico-formale ed estetica, le tre sottrazioni, le “perturbazioni”, rispondono alla necessità di garantire un’ottima illuminazione all’interno dell’edificio e un’adeguata areazione pensata soprattutto per confermare un basso consumo di CO2. Le facciate, l’aspetto architettonico che a distanza caratterizza l’edificio, più delle stesse “perturbazioni”, hanno una doppia pelle, quella interna con gli infissi e quella
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SCHEDE San Pio da Pietrelcina, Roma Progetto: Studio SAA&A Presenta un'aula liturgica a sviluppo trasversale e una copertura tripartita la chiesa di San Pio da Pietrelcina, progettata dallo studio SAA&A di Alessandro Anselmi e Associati: progettisti Architetti Alessandro Anselmi, Valentino Anselmi, Valerio Palmieri. È un rettangolo di proporzioni 2x1. Al centro del lato maggiore del regolare impianto planimetrico è posto l’altare, e sulla parete di fronte, spostato ad est, vi è l’ingresso. L’altare, proprio per questa scelta, si trova in una posizione inusuale ma sembra risponda pienamente ai canoni liturgici emersi dal Concilio Vaticano Secondo che stabiliscono come la comunità debba essere accolta in una forma spaziale tale da non favorire posizioni gerarchiche. Tutto l’impianto ha una planimetria semplice e completa e gli edifici circostanti, appartenenti alla canonica, sono corredati di diversi spazi di varie dimensioni adatti alle relazioni. Il modus operandi dello studio Anselmi, pur in una situazione avulsa dal tessuto urbanistico storicizzato, ha raggiunto lo scopo di un nuovo significato. L’impatto estetico dell’impianto della chiesa di San Pio da Pietrelcina è sicuramente nuovo per questo quartiere anche se ricorda tanto, proprio nella logica ritmica della copertura, la chiesa di Niemeyer a Pampulha. L’impostazione planimetrica legge e interpreta le preesistenze e vi si rapporta. Riesce in ciò che può essere considerato il fallimento dell’amministrazione: essere un segno, un landmark, un elemento di riqualificazione del quartiere. Tutto l’insieme diventa “un’armonia locale” e tenta di dare una nuova identità urbanistica a una zona che fino ad oggi ne ha manifestato la totale mancanza. Nelle foto, in alto e sotto: la copertura della chiesa, rivestita di tessere irregolari di ceramica lucida e monocolore. Sopra: gli edifici parrocchiali, che non superano i tre piani d’altezza. Si pongono ortogonalmente rispetto alla chiesa e fanno da quinta-diaframma tra la chiesa e il quartiere
98 AM architetti
L’ampliamento del Museum of Fine Arts, Boston (Massachusetts)
Foto di Chuck Choi
Nelle foto sopra: prospetto principale del nuovo padiglione del Museum of Fine Arts di Boston e Hall centrale della nuova struttura, un ampio spazio vetrato attorniato da vegetazione. A sinistra: planimetria generale
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Foto di Nigel Young
Nello Stato del Massachusetts a novembre è stato inaugurato l’ampliamento, progettato dallo studio Foster and Partners, dello storico Museum of Fine Arts di Boston (MFA). L’intervento s’inserisce nel vecchio impianto museale riprendendone la linearità e ribadendone l’assialità dominante. La struttura, in vetro, acciaio e granito, fuoriesce dal perimetro della preesistenza e con la testata si apre sia verso Back Bay Fens sia verso la Huntington Avenue. Il nuovo padiglione ha aggiunto a tutta la preesistenza un auditorium, un ristorante, un ampio e luminoso cortile vetrato e ben 53 gallerie che ospitano le maggiori collezioni d’Arte Americana. Lo studio Foster + Partners si è occupato anche del restauro di tutto l’intero complesso, fatta eccezione per l’ala ovest, già modificata nel 1981. Ma il progetto di Foster non è un semplice restauro. È stata completamente ridiscussa l’intera esposizione interna e una delle ragioni è quella di dover inserire le recenti acquisizioni. Senza snaturare il progetto, ideato nel 1870 dall'architetto Guy Lowell, la nuova struttura ripristina lo schema originario che negli anni era stato più volte rimaneggiato. La nuova scelta progettuale ha riabilitato sia l'asse centrale dell'edificio, sia i due ingressi principali, quello a sud, sulla Huntington Avenue, e quello a nord che si affaccia sulla State Street Corporation Fenway Entrance.
Foto di Chuck Choi
Progetto: Studio Foster and Partners
SCHEDE Centro Civico Noivoiloro, Erba (Como) Progetto: Tagliabue Volontè, Ida Origgi Noivoiloro, ad Erba, è una onlus per la cura dei disabili ma anche un vero e proprio centro sociale in cui si svolgono diverse attività: dall’assistenza alle attività lavorative, alle festa all’aperto. Comprende residenze temporanee e uffici di riabilitazione al lavoro, uffici grafici, un bar/ristorante, un teatro. I lavori di costruzione del nuovo centro si sono conclusi nel 2010 e il progetto è dello studio milanese If Design, di Franco Tagliabue Volontè e Ida Origgi, ed è candidato per il Premio Mies van De Rohe 2011. Il terreno di scavo è mantenuto nell’area e la sua modificazione diventa fondativa per il progetto, disegnando due grandi spazi aperti per le feste estive e diventando dune verdi come barriere acustiche e visive per nascondere le industrie circostanti. Intorno a queste dune si collocano gli edifici che sono condizionati dalla loro posizione. Gli edifici hanno grande complessità programmatica, in equilibrio tra il concetto di privacy e di comunità. Ogni edificio ha una forma primaria compiuta. Allo stesso tempo esiste un comune denominatore, una sorta di DNA che restituisce l’idea di familiarità tra le parti. La copertura produce una piega che si ripete in tutti gli edifici: in ogni parte assume differenti significati e differenti misure. Nel tetto del teatro ogni linea di colmo e conversa è differente e non ortogonale, né in pianta, né nella terza dimensione, eccetto che per quella di mezzo. Il palcoscenico apre tre volte, una all’interno e due verso lo spazio aperto. Nella parte che si affaccia alla pista da ballo, l’edificio – sotto la facciata ventilata in vetro retro smaltato, come in alcuni edifici del Rinascimento - ospita una lunga panca scavata nel volume di facciata, per la seduta delle” dame “in attesa dell’invito dei “cavalieri” al ballo liscio, come nella tradizione delle feste di questo tipo di ballo. In questo gioco tra nascondersi e apparire, l’interfaccia con la “strip del divertimento” sulla strada principale, è un’ immagine che produce relazioni mutevoli. Appare e scompare con il riflesso della luce sulla parete di UGLAS nelle differenti ore del giorno. Si genera in relazione al movimento delle automobili che corrono sulla strada. La grande scritta si muove nelle viste trasversali. Cambia colore (rosso-su-bianco, bianco-su-rosso) dipendentemente dal senso di marcia. 100 AM architetti
Newport Station Renovation, Newport (Gran Bretagna)
Foto Studio Grimshaw & Partners
La città di Newport del Galles si attrezza di una nuova stazione ferroviaria. Il progetto dello studio londinese Grimshaw & Partners coinvolge e lega le due diverse parti di città che la precedente stazione aveva invece urbanisticamente diviso. La nuova struttura, nascendo da una ricerca distributiva e da uno studio sia dei flussi dei treni che degli utenti in transito, si divide letteralmente in due corpi. Due ampie sale-terminali spiraliformi, dalle forme quasi anatomiche, aventi funzioni diverse e collegate tra loro da un percorso in quota rispetto ai binari sottostanti. Sia il terminale Nord, pensato per rispondere alle esigenze dei cittadini pendolari, che quello Sud, proteso verso la parte commerciale della città e avente funzione di distribuzione sul territorio dei turisti che il nuovo programma amministrativo tenta di incentivare, hanno la stessa impostazione formale e tecnologica. Tutta la struttura, compresi i due terminali, è rivestita di alluminio e di ETFE, l’etilene tetrafluoroetilene, un polimero plastico. L'uso di un involucro di ETFE sopra una struttura d'acciaio non solo genera uno spazio molto luminoso e aerato ma staticamente richiede una struttura portante molto esile vista la leggerezza del materiale. La forma a spirale della stazione rispecchia i flussi presenti e contribuisce a smaltire il traffico guidando i passeggeri dal livello del piano terra fino al ponte che collega i due corpi di fabbrica e quindi le due parti di città. Il disegno della stazione è stato elaborato affinché riflettesse il senso, la direzione, il verso in cui i viaggiatori, i daytrippers e le persone disabili, si muoveranno attraversandolo.
Foto Ken Price
Progetto: Studio Grimshaw & Partners
L’intera struttura rievoca una “birdcage”, una gabbia di uccello e in quanto tale è impostata in modo da avere una continuità formale e materica tra ciò che è copertura e ciò che è struttura portante o di tamponamento
AM architetti 101
IMPIANTI TECNOLOGICI IMPIANTI ELETTRICI E TECNOLOGICI IMPIANTI DI AUTOMAZIONE IMPIANTI FOTOVOLTAICI IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO IMPIANTI ANTINTRUSIONE IMPIANTI IDRICI E TERMICI
assistenza autorizzata
PROFESSIONAL
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