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Opus 5 Architectes Ichot Eva Hinds con Javier Rosa La cappella Cardedeu Ector Hoogstad Architecten Il Gebr.de Nobel Jean-Philippe Pargade Architectes L'Espace Bienvenüe
ISSN 2284- 2896 / Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale 70% – CN BO
ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI VICENZA
ARCHITETTI VICENZA
n.6
Alzante scorrevole Imago il design che apre e illumina i tuoi spazi Trasmittanza termica Uw fino a 0,69 W/m2K
Imago è l’alzante scorrevole tutto legno che allarga lo spazio fondendo interno ed esterno grazie al suo design minimalista. L’estrema essenzialità del suo profilo dialoga con la magia della luce creando un’atmosfera vibrante e unica. La riduzione del telaio - la parte visibile è inferiore ai 2 cm -, la “perdita” di montanti e traversi, che quasi si fondono con le pareti circostanti, portano l’attenzione sul valore dello spazio, della luce, rendono il panorama protagonista dell’ambiente. Dettagli invisibili per il nuovo alzante scorrevole 2F Le sezioni dell’anta mobile sono state ridotte a soli 74 mm grazie all’adozione di una serratura a entrata ridotta. La guida di scorrimento è incassata nel telaio per rendere invisibile ogni elemento funzionale e semplificare il montaggio dell’anta. Con Imago il centro dell’esperienza abitativa è il vetro con le sue qualità e la sua elegante trasparenza. Comfort e sicurezza d’alto profilo Lo spessore del telaio da 78 mm, che consente l’uso di vetro a doppia camera, e l’ampia superficie vetrata garantiscono un elevato isolamento termico e acustico. La soglia ribassata offre un minimo impatto visivo – ideale per un’edilizia senza barriere architettoniche – e assicura prestazioni di prim’ordine grazie all’innovativo materiale composito rinforzato con fibra di vetro. Particolare attenzione è stata riservata anche alla sicurezza antieffrazione con l’adozione di una chiusura che utilizza due ganci contrapposti e un catenaccio centrale assicurando massima affidabilità. A completare il progetto Imago una gamma di accessori innovativi: nuovi tappi compensatori e il nodo centrale Uni-V che elimina ogni punto di contatto tra anta e telaio, garantendo le prestazioni dichiarate anche a fronte delle naturali deformazioni del legno. Il movimento di apertura, inoltre, risulta fluido e silenzioso.
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AVI architetti Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8223 del 18 gennaio 2012
Direttore Editoriale Giuseppe Pilla Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Consiglio dell’Ordine Stefano Battiston, Piero Boaria, Andrea Bozza, Matteo Campana, Giuseppe Clemente, Mario Comin, Marisa Fantin, Simone Matteazzi, Elisabetta Mioni, Stefano Orsanelli, Manuela Pelloso, Marco Peruzzi, Raffaella Reitano, Andrea Testolin, Nicola Ziggiotto Stampa Graphicscalve - Vilminore di Scalve (BG) www.graphicscalve.it finito di stampare in maggio 2015
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sommario 19
Editoriale Annabianca Compostella, Giuseppe Pilla Miraggio Expo?
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EXPO 2015 Il mondo attraverso il cibo
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p.22
Panorama Nantes investe sulla bici Padiglioni a Monte-Carlo Ecosostenibile e galleggiante Produzione alimentare in serra Gli alveari di SnĹ’hetta La spirulina nel bosco Strutture sotterranee Architettura sociale
48
p.19
p.29 p.31 p.34 p.37 p.38 p.40 p.42 p.45
Progettare Nuova musica a Leiden Leiden, Paesi Bassi Progetto di Ector Hoogstad Architecten
p.48
Onda verde di cemento Marne-la-VallĂŠe, Francia Progetto di Jean-Philippe Pargade Architectes
p.56
AVI architetti 15
Un ponte tra vecchio e nuovo Poznan, Polonia Progetto di Opus 5 Architectes
p.66
Essenziale spiritualità Lago de Coatepeque, Santa Ana, El Salvador Progetto di Eva Hinds in collaborazione con Javier Rosa
p.78
91
Appuntamenti Architettura, Arte & Design
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AVI - Focus Una città per tutti/Carlo Gelosi Riprogettiamo le città/Walter Vitali
p.96 p.98
Our House Progetto di Cebra Architecture
p.100
Jean-Claude Carrière Theatre Progetto di A+Architecture
p.101
Theatre de Stoep Progetto di UNStudio
p.102
Hotel and Conference Centre Ecco’s Progetto di Dissing+Weitling architecture
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editoriale
Miraggio Expo? Molte valutazioni verranno scritte ed argomentate sull’edizione 2015 di Expo. Oltre il tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita che unisce e provoca un ripensamento urgente sulle ragioni della coesistenza globale, crediamo che Expo sia un’ottima occasione per ragionare anche sulla qualità architettonica. Di fatto è una grande vetrina e rappresenta una sintesi delle tendenze emergenti a livello planetario. Al di sotto della coltre simbolica, comunque in grado di distinguere culturalmente le diverse zone di provenienza, si notano in maniera ricorrente le caratteristiche che distinguono le nuove architetture. La tecnologia sfoggia il suo ruolo strategico e, in rapporto al nuovo progetto di architettura, sembra rappresentare un vastissimo campo d'indagine capace di incidere in maniera decisiva sui linguaggi contemporanei. La sua capacità di integrare le nuove esigenze in relazione alle variabili richieste (in primis il binomio energia/ambiente) dimostra lo stretto legame con le contemporanee dinamiche dei flussi, parte economici o ideologici, parte come volontà di trasgredire o conformandosi ai riferimenti del passato. La tensione dinamica dei progettisti alla ricerca di elementi sempre nuovi produce la necessità che ricerca e innovazione diventino un investimento continuo per chi pratica l'architettura, un investimento culturale, umano ed economico rilevantissimo e che, ricollegandosi alla situazione attuale, non tutta la comunità degli architetti
riesce a sviluppare in un momento di perdurante smarrimento. Infatti il progetto contemporaneo è chiamato a ridefinire ogni volta il proprio manuale e a reinventare il rapporto con il proprio engineering e la scommessa è quella di raggiungere traguardi sempre più complessi: un vortice continuo che rischia di relegare il movimento in una sorta di autoreferenza che genera un’architettura che non risponde alle reali esigenze delle comunità e diventa fine a se stessa. A conferma di questo vanno citati gli episodi di architettura “subìta” che spesso giustificano l'allontanamento o il rigetto nei riguardi degli architetti e delle loro avanguardie. Molti di questi, pur facendo parte di avanguardie, sono diventati tanto involuti nei loro stessi dogmi esasperati da dimenticare i principi fondamentali del loro mestiere, un mestiere che si coinvolge nell’ordinamento della vita stessa della comunità alla quale è o dovrebbe essere dedicato. Per rinascere l'architettura deve recuperare il rapporto fondamentale con l’essere umano cui è consapevolmente o inconsapevolmente destinata. Solo ritrovando questo rapporto, l’architettura può recuperare il suo grado zero, ritornare a un punto di partenza rivoluzionario che possa proseguire degnamente la grande tradizione architettonica che ci ha preceduti. È un po’ il percorso intrapreso dal progetto Expo 2015. La memoria è il valore di partenza del percorso. Il Padiglione Zero è una sorta
di memoria dell’Umanità, attraverso simboli, mitologie ed evoluzioni, fino ad arrivare alle grandi contraddizioni che contrassegnano, oggi, l’alimentazione contemporanea. Simbolo dell’unione di tutti i Paesi attorno al tema universale del cibo, il progetto ripropone un ritorno alle origini e all’unità, senza confini di stato, pregiudizi, differenze tra popoli. Quello che serve in architettura: rimettere al centro del ragionamento architettonico proprio la persona nella riscoperta dei “reali” bisogni dell’essere umano e, come diretta conseguenza, del valore dell’ambiente che esso abita. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie vanno declinate per venire incontro alle esigenze dell'uomo, e quindi non allontanandosi mai radicalmente dal modo con cui l'uomo è abituato a relazionarsi con il suo intorno. Ciò al fine di non eliminare quei preziosi elementi di riconoscibilità che l'essere umano deve poter mantenere nel suo ambiente, per sentirsi armoniosamente parte di esso. Come spiegare che è necessario ridefinire il concetto di “ben-essere”, che riguarda la salute, la sicurezza e più in generale la “qualità” del nostro lavorare, studiare, divertirci, spostarci e abitare se non rivolgiamo a questi concetti curiosità, umiltà, e, ovviamente, una generalizzata competenza?
Direzione di A.V.A. Annabianca Compostella Giuseppe Pilla
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EXPO 2015
Il mondo attraverso il cibo
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Quest’anno tocca all’Italia ospitare l’Expo, che sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. Oltre un milione di metri quadri ospiteranno i padiglioni dei 140 paesi partecipanti, affidati all’ingegno di grandi architetti e creativi “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, è questo il tema di Expo 2015, l’Esposizione Universale che si svolgerà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre. Sono 140 i paesi partecipanti, di cui 54 con un proprio padiglione per un investimento complessivo di circa un miliardo di euro. Sono attesi 20 milioni di visitatori. Il turismo italiano beneficerà per un volume di affari di circa 5 miliardi di euro mentre si stimano le ricadute occupazionali dirette e indirette in circa 60mila risorse. Il sito scelto per Expo Milano 2015 si colloca nell’area metropolitana di Milano, nella zona Nord-Ovest della città. L’area, a 25 minuti di metro da piazza del Duomo, è al centro di tutti i sistemi di trasporto: è alla confluenza delle direttrici autostradali del Nord, è servita da una fermata della linea metropolitana e da una stazione ferroviaria ed è a venti minuti dall’aeroporto di Malpensa. L’area espositiva è di oltre un milione di metri quadri e si sviluppa su due assi ortogonali, chiamati Cardo e Decumano. Il sito è circondato da un canale e grandi tende sistemate sui percorsi che aiuteranno i visitatori a ripararsi dalla pioggia e a proteggersi dal sole. Nei quattro punti cardinali verranno collocati i principali elementi iconici di Expo Milano 2015: la col-
lina mediterranea, l’Open Air Theatre, la Lake Arena e l’Expo Centre, punti di riferimento che orienteranno i visitatori e ospiteranno i grandi eventi dell’esposizione. Lungo il Cardo si distribuirà la partecipazione italiana: si articolerà in spazi espositivi dedicati alle eccellenze agroalimentari regionali che trovano massima espressione in Palazzo Italia, luogo di rappresentanza per incontri istituzionali, e in aree di intrattenimento e spettacolo. Sul Cardo troveranno spazio anche due altri importanti padiglioni: quello della produzione vitivinicola italiana, promosso dal Ministero dell’Agricoltura, e quello dell’Unione Europea, per la prima volta presente a un’Esposizione Universale con un’area autonoma. Il Decumano sarà invece l’affaccio degli spazi espositivi dei paesi. Ogni padiglione non sarà più un luogo-contenitore di oggetti e prodotti ma un luogo di esposizioni ed eventi connessi al tema dell’Expo. I cluster sono la novità introdotta da Expo Milano 2015. Sono aree espositive comuni dedicate ai paesi che non hanno realizzato un proprio padiglione. Questi “villaggi”, che costelleranno il sito, permetteranno a questi paesi di rappresentare la propria storia, cultura e tradizione agroalimentare che più li caratterizzano.
ITALIA Nemesi & Partners Srl, Michele Molè e Susanna Tradati Il progetto del padiglione Italia si sviluppa lungo il Cardo e prevede la realizzazione di Palazzo Italia e degli edifici temporanei del Cardo. Palazzo Italia è ispirato a una “foresta urbana”. La “pelle” ramificata evoca una figuratività primitiva e tecnologica. La tessitura di linee genera alternanze di luci e ombre, vuoti e pieni, dando vita a un’architettura-scultura. I volumi, metafora
di grandi alberi, presentano degli appoggi massivi a terra che simulano delle grandi radici. Aprendosi e allungandosi verso l’alto si liberano come chiome attraverso la grande copertura vetrata. È sostenibile ed è concepito come edificio a energia quasi zero grazie al contributo del vetro fotovoltaico e alle proprietà fotocatalitiche del nuovo cemento per l’involucro esterno.
GERMANIA Schmidhuber / Milla & Partners / Nüsli Il padiglione tedesco segue il leitmotiv dell’Expo, “Feeding the Planet, Energy for Life“, dando una percezione di quanto sia importante, per l’alimentazione del futuro, sviluppare un rapporto con la natura che ne riconosca il valore. Con il motto “Fields of Ideas”, la Germania si propone come “paesaggio” vivace e ricco di idee. L’architettura ricorda il tipico paesaggio
rurale tedesco, fatto di prati e campi, sotto forma di un pianoro in lieve salita. Gli elementi rappresentativi centrali del padiglione sono le piante stilizzate che, come “germogli di idee”, sbucano dal piano dell’esposizione e raggiungono la superficie esterna, dove si aprono in un ampio baldacchino, collegando così lo spazio interno con quello esterno.
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AZERBAIJAN Simmetrico L’armonia e le varietà paesaggistiche dell’Azerbaijan sono protagoniste del padiglione ideato da Simmetrico, network italiano di creativi. Il padiglione celebra la biodiversità e la cultura del paese. L’idea del padiglione, concepito per essere smontato al termine dell’Expo e rimontato a Baku, è la biosfera, ovvero un sistema aperto ai flussi esterni ma capace di fa-
vorire lo sviluppo della vita al suo interno. È composto da tre biosfere che si incastonano come gioielli sull’impianto dell’edificio. Le pareti lignee ondulate abbracciano l’edificio ed evocano il vento tipico del territorio. Il padiglione è realizzato attingendo ai materiali tradizionali dell’Azerbaijan, come il legno, abbinati a materiali come il vetro e il metallo.
RUSSIA Sergei Tchoban, Aleksey Ilyin, Marina Kuznetskaya La composizione spaziale del padiglione della Russia è destinato a incarnare la storia dei padiglioni russi e dell’Unione Sovietica precedenti. In numerose occasioni, infatti, i padiglioni russi hanno vinto premi all’EXPO. Ad esempio il Grand Prix alla mostra di Parigi nel 1937 e nel 1958 a Bruxelles. Una caratteristica notevole del padiglione 2015 è la sua imponente sporgenza posta sopra
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l’ingresso principale. Lo sbalzo è lungo quasi 30 metri e offrirà una protezione dal sole. Il tetto piano del padiglione, in cui i visitatori della mostra possono camminare, inclina gradualmente a livello dell’ingresso principale. Dopo aver visto la mostra principale al piano terra, i visitatori possono salire sul tetto dove hanno la possibilità di partecipare a vari eventi organizzati dal padiglione.
FRANCIA XTU / Anouk Legendre + Nicola Desmaziere Il padiglione propone un’evoluzione: produrre e consumare in modo diverso. «Un terreno fertile per una nuova rivoluzione alimentare»: a questo slogan il progetto risponde con il tema del grande mercato. Un tetto e la sua ombra, pilastri che sostengono l’edificio, luce e frescura. Un mercato produttivo che si reinterpreta: da luogo di scambio diventerà un luogo in
cui consumare ciò che si produce. La mostra è al piano terra, il consumo sul terrazzo e la produzione sulle facciate e sui tetti. Sui prospetti crescerà il luppolo, sul terrazzo le erbe aromatiche, nel ristorante vi saranno verdure da consumare sul posto. Sarà un mercato fertile, un sistema di produzioneconsumo che culminerà con la raccolta del luppolo.
CINA Tsinghua University & Studio Link-Arc Il padiglione è concepito come una nuvola intrecciata in bilico su un campo di grano, una “terra di speranza”. Questa è la suggestione da cui è partito il progetto. E al di sotto di questo tetto è possibile trovare una serie di programmi pensati per creare un’immagine iconica della Cina. Il tema è la speranza, rappresentata dal tetto ondulato, una linea che nasce dalla fusione del profilo della città
con il profilo del paesaggio, e diventerà concreta quando l’una e l’altro esisteranno in armonia. La struttura in legno costruita secondo la tradizione cinese rispetta anche regole della tecnologia moderna che gli permettono di avere lunghe campate. Il profilo del tetto ottenuto garantisce un’ombreggiatura agli spazi sottostanti e, grazie alla trasparenza del materiale, una suggestiva luce.
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ENEL Piuarch Il progetto esprime il concetto di “condivisione dell’energia” in un tema architettonico. Non attraverso un “edificio-contenitore”, ma piuttosto con la creazione di un volume virtuale: un luogo generato da una griglia sulla quale s’innestano 650 vettori in policarbonato. La distribuzione di questi elementi verticali illuminati definisce il volume che ingloba al proprio interno una serie di altri volumi
e corti verdi. La matrice iniziale del progetto è la rete intelligente che Enel ha realizzato per alimentare il sito di Expo. L’elemento di base sia concettuale che strutturale dello spazio è costituito dalla griglia visibile a terra. È proprio la griglia che - attraverso una rete realizzata con elementi metallici contenenti la distribuzione dell’elettricità - trasmette l’idea di condivisione dell’energia.
ISRAELE Knafo Klimor Architects
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e nel miglioramento della qualità dei semi. Il prospetto principale del padiglione è un campo verticale composto da moduli utilizzati per colture agricole. E ciascuno di essi contiene un siste-
ma di irrigazione a goccia computerizzato. Grano, riso e mais saranno coltivati nel campo verticale creando un mosaico di texture, odori e colori. Il padiglione costruito con dei dispositivi altamente tecnologici permette il risparmio energetico, idrico e il trattamento dell’aria. Il risultato è simbolo di un’architettura che promuove la sostenibilità e la tutela delle risorse naturali.
Foto 3Dvision
Israele è un laboratorio unico per gli studi sull’agricoltura. Il padiglione è una dimostrazione delle capacità di questo paese nella coltivazione su terra rocciosa, nei nuovi metodi di irrigazione
EMIRATI ARABI Foster and Partners Il padiglione occupa un grande sito al centro dell’Expo e vi si accede tramite il principale asse di circolazione, il Decumano. I visitatori sono attratti all’interno di uno spazio pensato come un canyon e definito da due pareti ondulate di 12 metri di altezza. Il padiglione evoca le strette vie pedonali e i cortili dell’antica città del deserto ed è anche la reinterpretazione del masterplan di Masdar City ad
Abu Dhabi. Le pareti, onde parallele per 140 metri, evocano le creste e le texture delle dune del deserto. Una rampa conduce all’ingresso dell’auditorium all’interno di un tamburo nel cuore del sito. Dopo la proiezione i visitatori seguono un percorso che li conduce a una mostra che celebra Dubai. Al termine si trova un’oasi verde che evoca la flora presente negli Emirati Arabi Uniti.
BANCA INTESA Michele De Lucchi Condividere esperienze, emozioni, storie, in una parola sola: sharing. È questo il principio ispiratore del progetto del padiglione di Intesa Sanpaolo. L’opera, che sorge su una superficie di 1.000 mq è realizzata con materiali ecologici e riciclabili, che evocano gli elementi naturali e richiamano i temi dello sviluppo sostenibile e del rispetto per l’ambiente. Attrae il
visitatore in un’esperienza coinvolgente grazie alle tecnologie interattive e alla presenza di opere d’arte di proprietà della banca. All’interno l’esposizione di un’opera di Umberto Boccioni, “Officine a Porta Romana”. L’allestimento la valorizza, creando un evento visivo di forte impatto grazie a un sistema interattivo di proiezioni in grado di celebrare il dipinto.
AUSTRIA Terrain L’austria si presenta con il progetto breathe.austria, un padiglione originale firmato dal team Terrain - composto dall’architetto paesaggista Klaus K. Loenhart, dal Politecnico di Graz e dall’Università di Scienze Agrarie di Vienna - e consiste in un’area espositiva in cui sono stati piantati degli alberi. Questo “bosco” rende concretamente esperibile l’elementoalimento essenziale: l’aria. Per
compensare l’intensa attività dell’EXPO, il padiglione diventa un’oasi verde che offre spunti interessanti da scoprire, veicolando domande sulle connessioni fra clima e ambiente. In breathe.austria confluiscono competenze scientifiche, visioni urbanistiche, ricerca ambientale, ecosofia e produzione artistica e scientifica, che vengono tradotte in un’esperienza sensoriale site-specific.
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PANORAMA
a cura di Cristiana Zappoli
Connessioni, riflessioni, segnalazioni. Su materiali, architetture e design
■ MOBILITÀ Nantes investe sulla bici
L’ECF, l’European Cyclists’ Federation, è un’associazione senza scopo di lucro nata in Belgio per promuovere la bicicletta a livello europeo e internazionale nelle politiche dei trasporti, dell’ambiente e del turismo. Tra i progetti di cui si fa promotrice ogni anno rientra la conferenza Velo-city, il più prestigioso evento convegnistico dedicato al mondo della mobilità ciclistica. Dopo Vienna nel 2013 e Adelaide nel 2014, e prima di Tapei nel 2016, quest’anno sarà la città francese di Nantes a ospitare, dal 2 al 5 giungo, l’importante appuntamento. La conferenza richiamerà in Francia più di 1000 delegati da tutto il mondo tra politici e amministratori pubblici, pianificatori del traffico e del territorio, ingegneri, educatori, comunicatori, utenti della bicicletta e altre tipologie di addetti ai lavori. Nantes si è classificata al sesto posto fra le città più bike friendly del mondo, secondo l’elenco stilato dal Copenhagenize Index, un indicatore che
premia l’impegno delle amministrazioni a diffondere l’utilizzo della bicicletta in città. Nel 2013 è stata eletta European Green Capital e nello stesso anno ha anche ospitato la 10ª edizione del ECOCITY World Summit for Sustainable Cities, per la prima volta in Europa; sono stati inoltre investiti 40 milioni di euro in quattro anni, dal 2010 al 2014, per la realizzazione di piste ciclabili. La città transalpina ha quindi tutte le carte in regola per ospitare Velocity 2015: «Nantes si sta impegnando molto per la buona riuscita dell’evento – ha detto Manfred Neun, presidente di ECF – e per assicurarsi che produca dei risultati positivi per gli abitanti di questo territorio». Ospitare l’evento a Nantes è considerata dalle istituzioni un’opportunità unica per migliorare le infrastrutture ciclabili e i servizi ai ciclisti. L’ultima volta che la Francia ha ospitato un Velo-city è stato a Parigi nel 2003 e le associazioni di promozione della mobilità in bicicletta sono fiduciose che questa nuova scadenza possa agire come catalizzatore del cambiamento in un paese che vede solo il 3% degli spostamenti effettuati in bicicletta.
Nantes è stata la prima città francese che ha permesso ai ciclisti la svolta a destra con il semaforo rosso per le auto. Nel periodo 20082012 il tasso di persone che hanno usato la bici è incrementato dal 2 al 4,5 per cento
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■ RIQUALIFICARE Padiglioni a Monte-Carlo Lo shopping a Monte-Carlo ha una nuova location, temporanea ma decisamente affascinante: Les Pavillons, progettati dall’architetto Richard Martinet, a capo dello studio Affine Design. La costruzione di queste strutture si è resa necessaria in seguito all’inizio dei lavori del grande progetto di sviluppo urbano intrapreso dalla Monte-Carlo Société des Bains de Mer che coinvolge la famosa Place du Casino. L’Hotel de Paris è in fase di restauro e il complesso dello Sporting d’Hiver, lo storico edificio costruito nel 1932 in stile Art Decò che negli anni passati ha ospitato eventi di prestigio, sarà sostituito, entro il 2018, da tre edifici che ospiteranno negozi, residenze di lusso, uffici, spazi ricreativi e culturali. Questo progetto, nel cuore di Monte-Carlo, ha come scopo principale proprio quello di migliorare e modernizzare il sito che attualmente occupa lo Sporting d’Hiver, in modo che questo luogo eccezionale possa recuperare il suo ruolo storico dal punto di vista dello sviluppo economico, sociale e culturale della città. Il nuovo complesso, progettato dagli architetti Rogers Stirk Harbour e Partners, che hanno già firmato il centre Georges-Pompidou a Parigi e il Dôme di Londra, raccoglierà 4850 mq di boutique tra piano terra e piani inSEZIONE
In queste foto: alcuni esterni dei nuovi padiglioni di Monte-Carlo. In rottura con la razionalità classica, la geometria si presenta curvilinea e morbida
feriori, 36 abitazioni di lusso di 18mila m², 4500 m² di uffici, 3mila mq di sale conferenze con una sala di proiezione dotata di tecnologie multimediali, uno spazio espositivo di 800 mq e 500 posti auto. A causa del cantiere la Monte-Carlo Société des Bains de Mer ha dovuto quindi spostare le boutique che hanno sede nell'avenue des Beaux-Arts e nello Sporting d’Hiver, marchi di moda prestigiosi come Miu Miu, Akris, Sonia Rykiel, Yves Saint Laurent, Lanvin, Balenciaga collocandole nei Jardins des Boulingrins all’interno dei cinque padiglioni di Martinet, situati tra Avenue de la Costa e Place du Casino. Inaugurati nell’ottobre del 2014 dal Principe Alberto II di Monaco, Les Pavillons sono strutture effimere dalle forme arrotondate e futuriste e ospiteranno circa una ventina di boutique per i quattro anni di durata dei lavori. Hanno diverse dimensioni, tra i 220 e i 600 metri quadrati ognuno (per una superficie totale di 2700 metri quadrati), e raggiungono un massimo di 10 metri di altezza. Hanno una forma tondeg-
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giante che ricorda i sassi che si trovano sulle spiagge del Principato e sono rivestiti da pannelli in alluminio color ghiaccio dalle forme romboidali, come se fossero fatti di cellule smontabili e rimontabili. Aperture irregolari sulla copertura permettono alla luce di passare e illuminare gli ambienti interni delle boutique e si aggiungono a quelle frontali che partendo da terra arrivano a circa metà del prospetto, seguendo l’andamento morbido dei padiglioni. Richard Martinet, che ha lavorato in collaborazione con l’architetto monegasco Chérif Jahlan, ha ben tenuto conto dell’ambiente in cui sarebbero stati posti i padiglioni: un giardino rigoglioso che non doveva in nessun modo venire danneggiato, un universo botanico che è anche uno spazio utilizzato per l’arte contemporanea a cielo aperto, dove tutto l’anno vengono allestite mostre di varie isti-
PROSPETTO
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L’aspetto tecnico del progetto paesaggistico è stato curato da Jean Mus. La maggior parte degli alberi del giardino non è stata toccata, solo una piccola parte è stata momentaneamente spostata in serre
tuzioni, tra cui la Fondazione Guggenheim. Una doppia sfida per Richard Martinet: rinnovare un ambiente rimasto uguale per tantissimo tempo e riuscire ad armonizzare delle strutture moderne con il territorio circostante. Secondo molti la sfida è stata senza dubbio vinta e Les Pavillons sono diventati un esempio da seguire di sperimentazione e sviluppo urbani. Le cinque strutture, quindi, disposte nello spazio seguendo un percorso sinuoso, sono perfettamente integrate nell’ambiente e del tutto sostenibili, la conservazione dei giardini e della flora era infatti una priorità della Monte-Carlo Société des Bains de Mer. Al momento della costruzione di questi moduli è stato necessario spostare diversi alberi dei Jardins des Boulingrins: verranno curati all’interno di alcuni vivai e saranno rimessi al loro posto non appena smantellati i padiglioni.
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■ ABITARE Ecosostenibile e galleggiante Un avvolgente involucro abitativo dalla pianta circolare di 100 metri quadrati, diametro e altezza rispettivamente di 12 e 4 metri, realizzato completamente in legno lamellare riciclato e scafo in alluminio riciclato. È l’unità abitativa ecologica galleggiante WaterNest 100, progettata dall’architetto Giancarlo Zema, famoso per le sue creazioni sull’acqua, per l’inglese EcoFloLife. Sui lati della struttura si sviluppano comodi balconi che permettono, grazie alle ampie vetrate, di godere di affascinanti viste sull’acqua. Sulla copertura in legno trovano collocazione i lucernai per bagno e cucina e 60 mq. di pannelli fotovoltaici amorfi in grado di generare 4 kWp utilizzabili per il fabbisogno interno dell’unità abitativa. WaterNest 100 può accogliere al suo interno, soggiorno, zona pranzo, camera da letto, cucina e bagno o assumere diverse configurazioni in base alle varie esigen-
Materiali naturali, colori rilassanti, forme avvolgenti, permettono di vivere in un ambiente esclusivo a diretto contatto con la natura. Molti degli arredi sono realizzati in cartone riciclato ignifugo
ze abitative o lavorative. Può essere collocato lungo il corso dei fiumi, nei laghi, nelle baie o negli atolli e in zone di mare con acque calme. L’impiego di materiali e sistemi produttivi eco-compatibili rendono questa unità abitativa riciclabile per ben il 98% e grazie a un sofisticato sistema di microventilazione interna naturale e climatizzazione si configura come un involucro abitativo a basso consumo. Gli arredi interni sono in materiale riciclato e riciclabile, frutto di una rigorosa selezione tra le più note e affermate aziende del design ecologico contemporaneo per rispondere a richieste stilistiche di massima tendenza. In versione casa/resort, WaterNest è ideale per accogliere una giovane coppia o una famiglia di quattro persone che vuole vivere in modo ecologico e anticonformista, senza rinunciare a comfort ed eleganza. In versione ufficio o laboratorio accoglie postazioni separate o comunicanti, bagno, archivio e storage.
Il legno è un materiale naturale, eco-compatibile, rinnovabile e rigenerabile. Ha un elevato potere coibente consentendo un buon risparmio energetico.
La Falegnameria Manfro produce e installa • Serramenti in legno e legno-alluminio • Porte interne • Portoncini d’ingresso in legno e blindati • Scale e corrimano • Battiscopa Si occupa dell’installazione di avvolgibili, zanzariere, veneziane e della posa di parquet con materassino. Effettua ristrutturazioni attraverso la riverniciatura dei serramenti e sostituzioni di vetri con vetrocamera. Inoltre è specializzata in interventi di ogni genere di falegnameria per riparazioni e sostituzioni.
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■ RICERCA Produzione alimentare in serra EXPO 2015 è alle porte e l’Italia arriverà all’appuntamento con diversi progetti interessanti. Tra questi, nel padiglione della Regione Toscana, verrà presentata Jellyfish Barge, un’eccellenza tecnologica in campo agroalimentare. È un progetto multidisciplinare coordinato dal professor Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale e fondatore di Pnat, spin-off dell’Università di Firenze che si occupa della progettazione, sviluppo e realizzazione del prodotto. In un pianeta dove le risorse sono sempre più scarse, come verrà prodotto il cibo di cui le comunità hanno bisogno, dove reperiremo l'acqua necessaria e dove troveremo nuove aree destinate alle coltivazioni? La risposta è proprio la Jellyfish Barge: una serra modulare costruita su piattaforma galleggiante in grado di garantire sicurezza idrica e alimentare, fornendo acqua e cibo senza pesare sulle risorse esistenti. La struttura, pensata per comunità colpite dalla scarsità di acqua e di cibo, è costruita con materiali a basso costo, assemblati con tecnologie facilmente realizzabili. Consiste in un basamento in legno di circa 70 mq che galleggia su dei fusti in plastica riciclati e da una serra in vetro sorretta da una struttura in legno. L’acqua dolce viene fornita da dei dissalatori solari disposti lungo il perimetro della piattaforma. Questi sono in grado di produrre fino a 150 litri al gior-
L’AGRICOLTURA CHE NON PESA SULLE RISORSE ESISTENTI USO DEL SUOLO Si tratta di una struttura galleggiante che ha lo scopo di prevedere nuove terre coltivabili senza fare affidamento sulla deforestazione o sui cambiamenti d’uso del suolo.
Acqua di mare
Acqua salmastra
Sopra: Jellyfish Barge, progetto coordinato dal professor Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, in collaborazione con gli architetti Antonio Girardi e Cristiana Favretto
no di acqua dolce e pulita da acqua salata. La serra incorpora un sistema di coltivazione idroponica, ovvero una tecnica di coltivazione fuori terra che garantisce un risparmio di acqua fino al 70% rispetto alle culture tradizionali, grazie al riuso continuo dell’acqua. Jellyfish Barge in più utilizza circa il 15% di acqua di mare che viene mescolata con l'acqua distillata, garantendo un'efficienza idrica ancora maggiore. Il complesso funzionamento del sistema colturale è garantito da un impianto di automazione con monitoraggio e controllo remoto.
FABBISOGNO ENERGETICO Servono poche energie per far funzionare la JFB, la maggior parte destinate alle pompe e ai ventilatori. Il fabbisogno energetico è fornito da fotovoltaico, mini turbine eoliche e un sistema integrato che sfrutta il moto ondoso del corso d’acqua. Energia eolica
Energia solare
Energia del moto ondoso PRODUZIONE VEGETALE Un sistema idroponico (tecnica di coltivazione fuori terra) completamente automatizzato garantisce un’efficiente coltura di quasi qualsiasi tipo di verdura.
Acqua piovana
ACQUA PULITA JFB usa la distillazione solare per ottenere acqua dolce da quasi tutte le fonti. Per aumentare l’efficienza idrica, il sistema impiega circa il 15% di acqua di mare che viene mescolata con l’acqua distillata.
PER IL MERCATO LOCALE JFB può essere utilizzata nelle città costiere per la produzione locale di cibo. Può migliorare la sicurezza alimentare delle comunità oltre a ridurre le emissioni effetto serra dovute al trasporto di cibo e alla sua refrigerazione.
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■ ECOSISTEMA Gli alveari di Snøhetta
Foto Morten Brakestad
Foto Morten Brakestad
Le api sono fra i più importanti “produttori” di cibo al mondo. Infatti un terzo del cibo di cui ci nutriamo dipende dall’impollinazione, attività di cui le api sono protagoniste. Il loro ruolo negli ecosistemi è quindi fondamentale. Parte proprio da questo presupposto il progetto Vulkan Bigård, realizzato grazie a una collaborazione tra Aspelin Ramm, Scandic, Sparebankstiftelsen DNB, ByBj Birøkterlag, Heier Du Rietz, e lo studio di architettura Snøhetta. Quest’ultimo ha progettato due grandi al-
Sotto: due foto degli alveari progettati dallo studio Snøhetta. Sono stati posizionati nel quartiere Mathallen a Oslo, sul tetto della Dansens Hus
veari industriali, terminati nel 2014, che hanno lo scopo primario di portare più api verso la città ma anche di dare ai visitatori e ai cittadini informazioni riguardo alle api e a quanto influenzano l’ambiente che ci circonda. I due alveari si trovano a Oslo, nella zona del mercato alimentare di Mathallen, dove viene venduto cibo biologico e a km zero, sul tetto della Dansens Hus, il centro nazionale per la danza contemporanea: la location non è stata scelta solo per la ovvia relazione tra il cibo e il miele, ma anche perché è una zona molto verde. Si tratta dell’area Vulkan, un tempo zona industriale, a ovest di Akerselva, tra i quartieri di St. Hanshaugen e Grünerløkka, che si è trasformata negli ultimi anni diventando un quartiere innovativo fortemente caratterizzato da un’architettura pensata per limitare l’impatto ambientale. L’area comprende abitazioni, scuole, hotel, ristoranti e diversi centri culturali: senza dubbio rappresenta uno dei più interessanti progetti di sviluppo della città di Oslo. Le geometrie dei nidi d’ape hanno ispirato il design dei due alveari artificiali. Ognuno è formato da due volumi esagonali che si intersecano, regolati in altezza e larghezza per adattarsi alle necessità degli apicoltori. Utilizzando un legno di colore chiaro con un rivestimento nelle tonalità del miele gli architetti hanno voluto mettere in relazione la struttura con l’attività delle api.
■ PAESAGGI La spirulina nel bosco In mezzo alle betulle, nel Parc des Evaux, a Confignon nel cantone di Ginevra, sorge la Spirulina Fountain, progettata dallo studio di architettura Bureau A. La fontana è un ibrido: è una fontana/laboratorio che unisce i bacini di produzione delle alghe di spirulina e i giardini italiani del sedicesimo secolo. Il design e le dimensioni della fontana si ispirano alle cascate d’acqua di Villa Aldobrandini costruita nel 1550 a Frascati. Nel progettare la fontana gli architetti di Bureau A si sono concentrati meno sull’architettura di paesaggio (sebbene la struttura dialoghi armoniosamente con il contesto naturalistico e sto-
Il colore verde dell’acqua della Spirulina Fountain (a sinistra e in alto), dovuto all’alga che cresce al suo interno, contribuisce a fare della fontana una delle attrazioni della zona
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rico in cui è inserita) e di più sui problemi attualissimi dei territori dove l’agricoltura è in crisi e quindi le popolazioni devono affrontare la fame. La spirulina, infatti, è un superalimento: è una microalga azzurra unicellulare – ma dal colore verde scuro per la presenza di clorofilla – che raggiunge a malapena il mezzo millimetro di lunghezza. Anticamente veniva chiamata “l’alga blu”, il nome spirulina deriva dalla sua forma a spirale. Il suo profilo nutrizionale è più potente di qualsiasi altro alimento, pianta, grano o erba. È un vero e proprio cibo alternativo agli isolati integratori vitaminici. Contiene proteine, vitamine, minerali, carboidrati, clorofilla e lipidi, inoltre l’alta concentrazione di acidi grassi come Omega 3 e Omega 6 unita alla presenza di vitamine A, C ed E, conferisce alla spirulina ottime proprietà antiossidanti in grado di contrastare i radicali liberi e i danni che questi provocano all’organismo. Per tutti questi motivi viene coltivata industrialmente in molti paesi dove l’attività agricola è in difficoltà e i terreni fertili scarseggiano.
■ RIGENERAZIONE Strutture sotterranee La House of Vans di Londra è un progetto realizzato dal designer Pete Hellicar e dall’architetto Tim Greatrex, in collaborazione con Black Sparrow Presents. È un luogo di incontro per chi ama Vans, il famoso brand americano conosciuto soprattutto per le scarpe, e per chi ama lo skateboard: fin dal 1966, infatti, Vans ha legato la sua storia proprio al mondo dello skateboard. La struttura comprende una galleria d’arte, un laboratorio creativo, una sala da proiezione, una sala per la musica dal vivo, un premium caffè, numerosi bar e uno skate park indoor che comprende percorsi per tre livelli di difficoltà. Si trova tra gli antichi archi in mattoni, vecchi di 150 anni, delle linee ferroviarie sotto la stazione Waterloo, vicino alla famosa strada dei graffiti di Londra, Leake Street. Il sito era già stato utilizzato in passato come sede dell’Old Vic Theatre. Occupa un’area di circa 2.500 metri quadrati e comprende cinque lunghi tunnel separati. A causa dell’importanza storica degli archi non è stato possibile costruire nessun tipo di fissaggio strutturale o intaccare la muratura esistente. La richiesta di Vans è stata quella di creare un centro culturale per lo skateboard, arte, cinema e musica. Utilizzando il layout delle gallerie, il sito è stato pensato per le quattro funzioni principali in modo che a ognuna fosse dedicato un tunnel specifico: un tunnel per l’ar-
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Sopra: il tunnel dedicato alla musica dal vivo. Può contenere fino a 850 persone. Sotto: la galleria per le esposizioni d’arte
te, una galleria con i laboratori per gli artisti e spazi espositivi; un tunnel per il cinema, con una sala proiezioni; un tunnel per la musica, una location capace di contenere 850 persone; e infine un tunnel per lo skateboard, uno skatepark per tutti i livelli di abilità. L’obiettivo principale era quello di avere uno spazio incubatore di creatività. Nel progettare la House of Vans Pete Hellicar e Tim Greatrex hanno unito il mondo dello skateboard e quello dell’architettura, mostrando in che modo particolare uno skateboarder modifica l’ambiente in cui si esibisce. La cultura dello skateboard si respira ovunque in questa struttura: il grande bancone all’ingresso principale, la rampa di transizione nello spazio, le zone dello skatepark, i posti a sedere del cinema e le pareti del caffè: tutti sono realizzati con forme
ispirate al mondo dello skateboard. Il progetto per lo skatepark era quello di ospitare tre differenti strutture per consentire percorsi adatti a ogni livello di abilità. Lo spazio principale è occupato da una bowl in cemento per un uso professionale, la seconda area è una street scene per un livello intermedio e la terza è una mini ramp per i principianti. Le cinque gallerie sono unite da un grande e impressionante pavimento in gomma caratterizzato da motivi esagonali che si ispirano alle famose suole delle scarpe Vans. La gomma, oltre ad essere stata una scelta ovvia per la sua importanza nella storia dell’azienda, è stata utilizzata perché è un materiale durevole, resistente all’acqua e riciclabile. Inoltre fornisce una superficie pulita e confortevole e crea un interessante contrasto con le pareti in mattoni grezzi e il soffitto a volta. Vista la location sotterranea di questa struttura, l’illuminazione è apparsa da subito un elemento molto importante per illuminare i tunnel ed esaltarne le caratteristiche. Lungo le gallerie sono state disposte strisce lineari di luce calda, posizionate all’intersezione tra muro e l’inizio degli archi, per creare uno spazio che ricorda da vicino l’interno di una cattedrale. Lo spazio è illuminato anche da luci al neon creando punti suggestivi all’entrata, nei bar, sul palco e dietro le quinte. Anche l’illuminazione dello skatepark è stata una sfida importante, considerando che gli skatepark sono, solitamente, all’aperto. L’illuminazione doveva essere uniforme
Sopra: un prospetto della facciata della House of Vans in superficie. Sotto: da sinistra, il premium caffè, l’assonometria della struttura, uno scorcio dello skate park. A destra: la sala delle proiezioni cinematografiche
su tutta la superficie per non creare problemi agli skateboarder. Sono stati utilizzati alogenuri metallici da esterno a luce diffusa diretti verso il soffitto che a sua volta riflette la luce in basso in maniera uniforme, enfatizzando anche per i visitatori il soffitto in mattoni. Oltre alla progettazione fisica dello spazio, l'attivazione di quello stesso spazio è un requisito chiave per generare una location eccitante, vibrante, educativa e creativa. Fin dall’inizio l’intenzione è stata quella di consentire allo spazio di evolversi da sé, lasciando che i visitatori se ne appropriassero da soli. Il broadcasting è diventato uno dei principali modi per rendere viva la House of Vans, per esempio attraverso la condivisione sui social media di immagini e video di quello che succede al suo interno.
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■ ABITARE Architettura sociale
Tutte le foto Ricardo Oliveira Alves
Si trova nell’area metropolitana di Lisbona, è il Social Complex of Alcabideche, un complesso di housing sociale promosso dalla Fundação Social do Quadro Bancário (Fondazione Sociale per il Settore Bancario), il cui scopo è quello di colmare il vuoto esistente nel sistema sanitario nazionale nei confronti dell’assistenza alla terza età. Il complesso, progettato dallo studio Guedes Cruz Arquitectos, è dal punto di vista architettonico e paesaggistico di altissima qualità, con uno spazio pubblico organizzato al meglio. Occupa un’area di circa 10mila mq e mira a ricostituire uno stile di vita mediterraneo nel quale gli spazi esterni delle strade, delle piazze e dei giardini siano un prolungamento delle case stesse. Il Portogallo non appartiene all’area mediterranea ma le dominazioni romane e arabe hanno lasciato tracce profonde nello stile di vita degli abitanti. Concluso nel 2012, il complesso comprende 52 case (tutte unità abitative destinate a coppie di anziani), un
Sotto: l’edificio centrale, il più grande del complesso. Contiene tutti i servizi necessari per garantire agli abitanti un’alta qualità della vita. Di fianco e sopra: le abitazioni bianche a forma di parallelepipedo
edificio principale di supporto che ospita le aree sociali, una zona ospedaliera con camere singole e un’area per pazienti costretti a letto. Le strade, come in una Medina, hanno diverse larghezze e sono riservate ai pedoni che godono della protezione dell’ombra fornita dalle case durante il giorno e di notte sono guidati dall’illuminazione che proviene dalle case: al tramonto infatti le coperture traslucide illuminano il complesso a gruppi di dieci case alternativamente, e strade, piazze e giardini godono di questa luminosità. In caso di emergenza gli abitanti possono attivare un allarme che avvisa la stazione di controllo che si trova nel corpo centrale del complesso e la luce del tetto delle abitazioni, che hanno la forma di un parallelepipedo, da bianca diventa rossa. I tetti riflettono la luce del sole stabilizzando la temperatura all’interno delle case; l’efficienza termica è assicurata dal cuscino d’aria tra il tetto e la soletta in calcestruzzo a vista.
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progettare
Nuova musica a Leiden
Ricavato all’interno di una vecchia fabbrica originariamente utilizzata per produrre cemento, il Gebr. de Nobel è la nuova sede dello storico locale Leids Vrijetijds Centrum. Lo studio Ector Hoogstad Architecten ha ridisegnato l'immagine del centro creativo facendo coesistere il vecchio e il nuovo di Federica Calò
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RENDER DI PROGETTO
SEZIONE LONGITUDINALE
SEZIONE TRASVERSALE
lla fine del 2014 ha riaperto a Leiden lo storico locale noto con il nome di Leids Vrijetijds Centrum, oggi ribattezzato come Gebr. de Nobel grazie a un progetto dello studio di architettura Ector Hoogstad Architecten di Rotterdam che ne ha ripensato la nuova immagine in un nuovo contesto di un’altra zona della città. Il vecchio edificio che ospitava il Leids Vrijetijds Centrum, situato su Breestraat, una delle vie principali di Leiden in pieno centro storico, è stato aperto nel 1969 e divenne presto uno dei centri creativi più affermati del panorama artistico musicale, grazie all’amministrazione della città che ha sempre sostenuto investimenti orientati alla valorizzazione di aspetti culturali tanto da renderla luogo riconosciuto come vibrante e dinamico attrattore di numerosi giovani. Per rafforzare maggiormente l’aspetto culturale di questo luogo creativo e della località stessa e renderla ancora più attraente l’amministrazione di Leiden ha voluto offrire alla cittadinanza un nuovo e moderno luogo del pop. Già da anni il consiglio comunale di questa città stava lavorando in questa direzione attraverso una strategia di acquisi-
A
zione di vecchi edifici, in parte dismessi e in disuso, che una volta ristrutturati vengono adibiti a musei come per esempio il Stedelijk Museum de Lakenhal, con la sua collezione di tele, di argenteria e di mobili e come il Complesso culturale Scheltema, uno spazio ideale per eventi. Il Gebr. de Nobel è stato inserito in questa strategia e sicuramente risulta essere, oggi, l’edificio più eclettico e più espressivo ricavato all’interno della vecchia fabbrica Marktsteeg, originariamente utilizzata per produrre il cemento. Il concept architettonico che si voleva esprimere e trasferire nel progetto era il tema della coesistenza, in un unico contenitore, della memoria del vecchio e della presenza del nuovo, sia in termini di funzionalità sia per quel che riguarda la convivenza delle varie correnti e periodi musicali. Infatti, sia per le parti strutturali sia per gli spazi interni, è stato mantenuto il fabbricato originario della vecchia industria principalmente realizzato in mattoni in cotto e si è intervenuti mediante un’operazione di restauro conservativo di tutti gli elementi architettonici con l’aggiunta di quelli necessari a ospitare le nuove funzioni dello spetta-
L’edificio si sviluppa intorno al perimetro dell’isolato che lo contiene ed è caratterizzato da due stili architettonici differenti che corrispondono a due funzioni diverse. La parte d’involucro che contiene il foyer è stata trattata con un’operazione di restauro conservativo attraverso il mantenimento di un rivestimento in mattoni, mentre in corrispondenza dei volumi che contengono le sale per le audizioni è stato applicato un rivestimento in corten di colore arancio
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PLANIMETRIA PRIMO PIANO
Le tonalitĂ calde del rivestimento in corten dialogano con i rivestimenti tradizionali in mattoni in cotto, creando una contrapposizione di materiali tra
l’antico e il moderno. Le aperture che sono state ricavate permettono alla luce diurna di filtrare e a quella artificiale dall’interno di creare squarci luminosi
PLANIMETRIA PIANO TERRA
La parte d’ingresso del foyer è racchiusa all’interno del volume che, per scelta progettuale, è stato lasciato con la stessa tipologia costruttiva e di rivestimento
tipica della vecchia fabbrica di cemento. Una delicata operazione di restauro conservativo dell’involucro ha riportato alla luce i mattoni originari in cotto
colo quali platee, ballatoi, camerini e altri locali tecnici. Esternamente, invece, l’antico edificio è stato avvolto da una nuova veste. I volumi superiori che fuoriescono in altezza creando un prospetto articolato sono stati rivestiti di acciaio inox leggermente traslucido, un materiale che ricrea giochi di luce riflessa e, in assenza di essa, è in grado di confondersi con i colori del cielo. L’involucro, invece, che riveste il basamento in corrispondenza delle sale per le audizioni, è caratterizzato da un rivestimento in corten di colore arancio che si contrappone alla muratura in mattoni del vecchio edificio ancora visibile per la parte che riveste il foyer. Questo tipo di rivestimento è caratterizzato da lastre rettangolari di diversi formati posizionate in verticale. Con un passo apparentemente irregolare sono state create delle aperture, anch’esse di dimensioni diverse, che permettono l’accesso della luce naturale. Nonostante questo involucro mostri forte espressività e interrompa tipologicamente il tessuto consolidato del quartiere che lo ospita, dialoga comunque in armonia con il contesto grazie a un rispetto delle altezze e dei prospetti e a una coerenza dei materiali e delle tonalità cromatiche riprese dalle abitazione esistenti. Gli stessi materiali usati in facciata, dall’acciaio ai mattoni, alla pietra e al legno sono stati ripresi anche negli spazi all’interno: l’ingresso e la hall del vecchio corpo di fabbrica sono dominati dalla muratura in mattoni per le pareti strutturali e da travi di legno per il sostegno delle coperture e delle solette. Anche per alcuni nuovi elementi architettonici è stato ripreso, in chiave moderna, l’uso del cotto e del legno come per esempio per le pareti delle sale che sono state rivestite con un gioco di combinazioni di acciaio e legno. La sensazione fredda dell’acciaio di colore antracite è finemente ammorbidita dall’effetto caldo del legno delle balaustre. I vecchi spazi della fabbrica di cemento hanno lasciato oggi il posto a due nuovi auditorium, uno della capienza di settecento spettatori e un altro da duecento posti a sedere. Al piano terra è stata ricreata la zona d’ingresso e del foyer, area che fiancheggia la struttura storica esistente. La sala più piccola è utilizzata principalmente per gli spettacoli di danza e di presentazione delle nuove band musicali. Il fulcro centrale dell’intero edificio rimane sicuramente la sala centrale dei concerti: nel suo interno due balconi a forma di U conferiscono all’ambiente un’altezza rilevante e un effetto particolarmente teatrale. La distanza tra il palco e la platea è molto ridotta e questo permette la creazione di una relazione molto intima con il pubblico ospite che assiste agli spettacoli.
A sinistra: planimetria generale del progetto. Nella pagina a fianco in alto: una delle sale dedicate alle audizioni e ai concerti caratterizzata da un rivestimento di acciaio che contribuisce a dare quelle elevate prestazioni acustiche riconosciute a questo spazio. In basso: la scala d’ingresso che collega la parte delle sale con il foyer e fa anche da filtro acustico tra la zona dedicata alla musica e l’affaccio su strada
La funzione del backstage è stata, invece, posizionata sul lato della strada Lange Scheistraat a cavallo tra il nuovo edificio e il vecchio, parte che si affaccia su Lammermarkt, una famosa piazza nel centro della città che è utilizzata principalmente come parcheggio, ma che è spesso sfruttata per ospitare eventi in strada. Una grande scala centrale che collega i due livelli, realizzata con gradini di legno e balaustre in alluminio, oltre che a incanalare i percorsi, funge anche da filtro fonoassorbente acustico tra le sale e il foyer, in modo che l’ingresso possa servire anche come spazio per eventi organizzati a parte. Particolari misure acustiche sono state applicate in tutto il complesso per assicurare il contenimento del rumore all’interno delle sale usate per la musica. Il rispetto di quest’aspetto era particolarmente importante in quanto l’edificio è completamente inserito nel tessuto urbano e confinante con le vicine abitazioni. L’edificio rispetta totalmente i più restrittivi requisiti acustici, tanto da essere considerato dagli esperti e intenditori uno degli spazi migliori nei Paesi Bassi tra i luoghi dedicati alla musica proprio per le sue prestazioni acustiche.
Committente Comune di Leiden Progettisti Ector Hoogstad Architecten Fine lavori Novembre 2014 Superficie 3mila mq Progetto strutturale EngineersI Md RaadgevendeIngenieurs
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Foto Luc Boegly
Foto Sergio Grazia
progettare
Onda verde di cemento
A Marne-la-Vallée, una cittadina a 20 km da Parigi, è stato inaugurato l’Espace Bienvenüe, un nuovo Polo Scientifico e Tecnologico. Realizzato in memoria di Fulgence Marie Auguste Bienvenüe, l’ingegnere ideatore della prima metropolitana della Ville Lumière di Federica Calò
Foto Sergio Grazia
La grande soletta ondulata lunga 200 metri è interamente ricoperta da un ampio giardino. Sotto a essa sono distribuite tutte le funzioni dei laboratori, uffici, aule, impianti sportivi e del ristorante del Campus Cité Descartes. Ambienti, questi, che contrastano con l’elemento in cemento armato, essendo rivestiti da ampie vetrate laterali
uesto progetto ha incontrato e dato risposta alle esigenze del Ministero dell’Ecologia, Sviluppo Sostenibile ed Energia, il cui scopo era di raggruppare l’attività di formazione del Ministero e di ricerca su quest’area della cittadina di Marne-la-Vallée e creare un centro di eccellenza incentrato sulla qualità e la città sostenibile. Il nuovo polo scientifico e tecnico che riunisce oggi le varie discipline come l’istruzione, la formazione, la ricerca e l’ingegneria, è un grande progetto innovativo destinato a incoraggiare la crescita di un nuovo modo di progettare, costruire, sviluppare e gestire le città. Il progetto dell’Espace Bienvenue è stato sviluppato dallo studio parigino di Jean-Philippe Pargade Architects ed è caratterizzato da un elemento architettonico molto espressivo che connota e occupa l’intero spazio che era a disposizione del progetto. Sono ben 35.300 mq di superficie interamente coperta da questo nuovo Polo Scientifico e Tecnologico dove l’elemento caratterizzante è un’imponente soletta realizzata in cemento armato di forma ondulata, che fa da supporto ad ampie distese verdeggianti poste sulla copertura. Il particolare concept architettonico aveva, infatti, l’obiettivo di creare un evento urbano riconoscibile e permanente, partendo dalla necessità di dare massima importanza a una vasta area pubblica al centro di un isolato unico, in grado di svolgere due ruoli in contemporanea: quello di essere architettura e contenitore e quello di essere spazio pubblico, in grado di valorizzare il tessuto urbano e riconnettere le strutture esistenti e quelle adiacenti. La componente verde si espande e avvolge completamente la struttura in cemento armato del campus universitario, plasmandola nella sua rigida matericità con un visibile involucro vegetale. L’ampia soletta ondulata lunga 200 m e coperta da un ampio giardino, oltre a movimentare il paesaggio e diversificarlo, contrasta con la regolarità e la geometria delle architetture vicine. Al centro di un tessuto consolidato è stato quindi creato un varco verde che regala respiro e permette un’ampia vista panoramica sul resto del quartiere. L’imponente struttura in cemento armato quindi quasi scompare, perché nascosta e filtrata sia dal manto verde in copertura, sia alleggerita dalle ampie vetrate che si sviluppano dal piano terra fino a tocca-
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Foto Sergio Grazia
re le forme curve della soletta. L’architettura si plasma a tal punto da amalgamarsi nella natura. Nonostante l’imponenza e la dimensione dello spazio occupato, il terreno che prende forma e diventa parco pubblico in superficie ha consentito una forte integrazione fra la nuova presenza e il contesto esistente. L’architettura si armonizza con lo spazio circostante, offrendo quasi sette ettari di verde in netto contrasto con la densità del tessuto edilizio circostante. Questa particolare forma è stata ripresa ed è stata possibile perseguendo l’estetica e le tecniche costruttive dei ponti moderni in cemento arma-
to che consentono, appunto, la realizzazione di forme particolarmente espressive e avveniristiche. Tutta la parte sottostante la zona dedicata al verde è organizzata in modo tale da ospitare laboratori, uffici, aule, impianti sportivi e il ristorante del Campus Cité Descartes della Facoltà di Ingegneria Civile. L’edificio è flessibile, multifunzionale, anche a diverse scale, da quella urbana a quella d’interni. Le varie funzioni sono state, infatti, organizzate con l’intenzione di favorire gli scambi tra le discipline e l’organizzazione del lavoro di squadra. Questo risultato è stato ottenuto ricreando una grande area poli-
L’immensa copertura verde ondulata si estende su diversi livelli, andando a occupare un ampio isolato che funge da spazio aperto, ma che cela, sotto a esso, un edificio
funzionale al piano terra, sotto l’arco, che riunisce tutte le funzioni comuni: biblioteca, auditorium, ristorante, aule sportive e un’area tecnica composta di aule per i test, laboratori e sale riunioni. Ognuna di queste funzioni contenitrici di attività differenti è stata posizionata in modo da favorire le migliori condizioni logistiche, ottimizzando l’uso degli spazi dedicati. Le funzioni comuni sono dislocate lungo le zone vetrate che sono quindi completamente raggiunte e illuminate dalla luce naturale, dettaglio progettuale che ha regalato agli spazi grande trasparenza e un’ampia vista direttamente sul grande parco.
Mentre gli uffici che sono stati posti verso il centro dell’edificio sono illuminati da patii che permettono l’ingresso della luce naturale anche nel cuore dell’architettura. La hall centrale riprende la sensazione di grande apertura della composizione formale esterna grazie a uno spazio molto ampio sovrastato dalla maestosità di quest’ampia soletta in cemento armato lasciato di un grigio spatolato grezzo, sostenuta da pilastri anch’essi in cemento armato. Elementi vegetali, arredi e boiserie curve composte di listelli di legno smorzano la regolarità cromatica di questo spazio di prima accoglienza. Altri tocchi di colore sono
Questa configurazione contrasta nettamente con gli edifici preesistenti posti nelle vicinanze, realizzati secondo tipologie architettoniche tipiche dei complessi per uffici
Foto Luc Boegly
Foto Sergio Grazia
La hall centrale si presenta come uno spazio molto ampio, sovrastato dalla soletta in cemento armato lasciata di un grigio spatolato grezzo e sostenuta da pilastri. Elementi vegetali, arredi e boiserie curve composte di listelli di legno smorzano la regolaritĂ cromatica
Foto Sergio Grazia
apportati dagli arredi e dagli spazi ospitanti le funzioni ricreative, che sono ulteriormente articolati da un gioco di pannelli fonoassorbenti di forme irregolari, sospesi alla volta della soletta e che interrompono l’ampia altezza tra il piano terra e il soffitto. Il progetto, oltre a dotare la cittadina di una vasta area verde, è stato pensato con una particolare sensibilità agli aspetti bio-climatici per ottenere prestazioni elevate di risparmio energetico. La struttura è, infatti, orientata in maniera tale da avere la massima esposizione solare e precisi accorgimenti progettuali sono stati attivati per permettere la creazione di metodi di ventilazione naturale. Sono stati utilizzati materiali isolanti sulle superfici a contatto con l’esterno e tecniche di raccolta dell’acqua piovana. L’impianto geotermico è la tecnologia che è stata scelta per il sistema di riscaldamento e di raffrescamento grazie a un impianto idrico installato nel sottosuolo, in linea con il concept naturale dell’edificio. La facciata a sud è stata concepita come una superficie aperta, predisposta ad assorbire il recupero di energia solare, mentre la facciata a nord è più raccolta anche grazie a una parete isolante dalla forte inerzia termica. Grazie a tutte queste particolari accortezze l’edificio ha ottenuto la certificazione BBC Bâtiment Basse Consommation istituita dal decreto ministeriale nel maggio 2007.
Foto Sergio Grazia
In alto: un’aula tipo con pareti scure interrotte da vetrate. Le poltrone di colore grigio scuro si alternano in modo casuale con poltrone arancioni. Altri tocchi di colore sono apportati dagli arredi e dagli spazi ospitanti le funzioni ricreative. Caratteristico è il gioco di pannelli fonoassorbenti sospesi alla volta della soletta
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PLANIMETRIA GENERALE
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L’edificio è composto dai due corpi completamente differenti fra loro ma che in pianta sono comunque comunicanti. Nell’edificio che presenta la forma più tradizionale sono state poste le funzioni amministrative e gli uffici, mentre sotto la soletta “verde” sono state insediate funzioni collettive come una grande biblioteca, l’auditorium, il ristorante, le aule dedicate alle attività sportive e un’area tecnica composta di aule per i test, laboratori e sale riunioni
SEZIONE TRASVERSALE A
SEZIONE TRASVERSALE B
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SCHEMA FUNZIONALE DEL PROGETTO
L’edificio è stato progettato con una particolare sensibilità agli aspetti bio-climatici per ottenere prestazioni elevate di risparmio energetico. Precisi accorgimenti progettuali sono stati attivati per permettere la creazione di metodi di ventilazione naturale, oltre che orientati al contenimento delle spese di riscaldamento
INQUADRAMENTO TERRITORIALE
PLANIVOLUMETRICO
Tipologia Campus universitario Architetti Jean-Philippe Pargade Architectes Committente Ministero dell’Ecologia, Sviluppo Sostenibile ed Energia Superficie 35.300 mq Fine lavori 2014
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progettare
Un ponte tra vecchio e nuovo
Un parallelepipedo di calcestruzzo. Semplice. Rigido. Scomposto e segnato da un decentrato asse progettuale. Ichot è il nuovo museo di storia polacca. Una scatola dal linguaggio contemporaneo che si contrappone alle storiche preesistenze che lo legano al tessuto cittadino di Iole Costanzo
Foto Maciej Lulko
chot, l’Interaktywne Centrum Historii Ostrowa Tumskiego, è il nuovo museo di storia polacca, costruito su progetto dello studio Ad Artis Architects nel quartiere Ostrów Tumsk a Poznan, una delle città più grandi della Polonia e da sempre considerata la terra natia della religiosità polacca. La città si è sviluppata dimenticando o comunque trascurando parte di questa zona. Lì dove il Cybina, l’affluente del fiume Warta, vi scorre quasi parallelamente, quest’area urbana è cresciuta in modo così diverso e concettualmente distante da portare la città stessa a considerarsi divisa in vecchia e nuova. Ed è proprio all’interno della città vecchia che si trova un’area che secondo i progettisti necessitava assolutamente di un input per rivitalizzarsi. E Ichot, questo contemporaneo
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volume essenziale e materico, che ben si contrappone alle classiche preesistenze, potrebbe essere la giusta occasione. Il progetto ha così affrontato la dicotomia vecchio-nuovo. Un classico più volte incontrato in architettura: una ricerca sugli opposti, sul diverso, sulla coesistenza di linguaggi tra loro antitetici. Un argomento che ha da sempre arricchito il dibattito architettonico e che in questo caso è stato affrontato con risolutezza geometrica. Ichot ha una forma semplice e priva di qualsiasi inutile ornamento. Realizzato in cemento grezzo e acciaio ha un taglio netto, obliquo all’interno del volume, una reale spaccatura, quasi un asse da cui è possibile vedere nella sua interezza l’antistante cattedrale degli Apostoli Pietro e Paolo (la basilica più antica della Polonia), situata a poca distan-
Foto Mariusz Lis
L’edificio nella sua geometrica volumetria aggetta dalla parte del fiume e poggia su un podio che degrada lievemente. L’attraversamento del fiume avviene invece al piano superiore con un’apposita passerella
A destra: la facciata da cui si accede al museo. L’ingresso è posto all’interno dell’asse visivo che collega virtualmente il museo alla vicina cattedrale degli Apostoli Pietro e Paolo e che seziona l’edificio. Le scale di collegamento tra i piani sono poste lungo la stessa direzione dell’asse ma non al suo interno
za dal museo. E se quest’asse conferma un legame concettuale e teorico con la storia religiosa della città di Poznan, sul piano della realtà il museo Ichot, attraverso una geometrica e regolare appendice che oltrepassa il Cybina, è collegato alla Śluza Katedralna: ciò che è giunto fino ai nostri giorni di una diga-ponte costruita intorno alla metà del 1800 con funzione di gestione delle acque di questa parte di città, una particolare fortificazione progettata per difendersi da qualsiasi possibile inondazione. Un possente e affascinante manufatto in laterizio, con importanti archi ribassati, che da oggi farà da porta, da passaggio, da collegamento tra il centro storico e questa nuova materica struttura in cui verrà esposta la storia del paese. Nella sua essenzialità e coerenza geometrica Ichot assurge non solo a ruolo di costruzione ma anche di
SEZIONE SULL’ASSE VISIVO
SEZIONE LUNGO L’ASSE CHE ATTRAVERSA IL FIUME
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elemento simbolico. Diventa un’emblematica architettura che sottolineando il proprio tempo storico, il proprio linguaggio architettonico, ben si lega alla storia della vicina Cattedrale. Nel primo livello ponti di vetro, presenti anche al piano successivo, collegano le due parti dell’edificio divise in tutta la loro altezza dal profondo taglio che ha funzione di asse visivo. Così facendo la Cattedrale, vista dall’interno, diventa non solo parte integrante della mostra quanto la parte più importante, lo sfondo dell’excursus storico-analitico, la protagonista assoluta di qualunque evento espositivo. Condizione che rende questa struttura un luogo dove passato e presente stanno in continua tensione e in cui il passato non è visto più come un evento concluso da congelare o superare, bensì è vissuto come un elemento che entra nel presente e ne fa parte in
Foto Maciej Lulko
PLANIMETRIA GENERALE
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Foto Wojciech Krynski
Il taglio visivo realizzato all’interno dell’edificio enfatizza la vista sulla cattedrale. In più punti il taglio è attraversato da elementi trasversali di collegamento tra le due parti che danno modo di godere di vari scorci
Foto Wojciech Krynski
Studio d’architettura Opus 5 Architectes Allestimento Tempora SA Struttura ICON Grupa Projektowa, Marcin Matoga Finanziatore Città di Poznan Superficie sito 29.551,75 m2 Superficie costruita 1.115,37 m2 Volume 27.843 m3
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Foto Maciej Lulko
Foto Mariusz Lis
PIANTA DEL PODIO A LIVELLO DEL FIUME
modo attivo. Il concetto è ribadito, anche se in modo diverso, con la Śluza Katedralna, il ponte-diga che è entrato a far parte di questo nuovo centro culturale divenendone la porta verso la città. Riproponendo il pensiero di Zevi questo caso può essere confrontato alla lotta tra il vecchio, l’architettura classica, e il nuovo, l’architettura moderna, che Zevi stesso ha paragonato al rapporto tra il latino e l’italiano: una lingua morta e una viva. Ed è per tanto il caso di evidenziare quanto, e chi studia la lingua italiana lo sa bene, questa lingua non potrebbe esistere se non fosse esistito il latino e anche che, se nell’uso comune si è perso il legame con la lingua d’origine, la connessione tra le due lingue non potrà mai essere annullata. La seducente dicotomia presente già in nuce in questo progetto ha portato gli architetti alla scelta del cemento grezzo e del profondo taglio per una duplice motivazione: il riverente rispetto della preesistenza storica e la consapevolezza del proprio tempo. Affascinante contrasto che viene qui tradotto nella purezza del volume e nell'assenza di elementi decorativi, scelta quest’ultima che più di ogni altra enfatizza il linguaggio contemporaneo. E proprio per questo il nuovo manufatto risponde a pieno ai canoni dell’architettura contemporanea, sia per la scomposizione della scatola sia per la modifica dell’unità volumetrica a beneficio del concetto fondante: l’asse, “visivo”. Una particolare condizione che ha generato ambienti fluidi, dinamici, continui e ben diversi da quelli statici ma comunque affascinanti della Śluza Katedralna: la nuova porta "storica” dell’Ichot.
Foto Wojciech Krynski
A sinistra, in alto: la passerella che attraversa il fiume Warta e che collega Ichot alla Śluza Katedralna, la preesistenza storica che fungerà da porta per il nuovo museo. Sotto, a sinistra: la hall d’ingresso. Sopra: la pianta del podio a livello del fiume. È il piano dei locali tecnici e del garage. Sotto: le scale secondarie
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PIANTA PIANO TERRA
PIANTA SECONDO LIVELLO
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PIANTA PRIMO LIVELLO
PIANTA COPERTURA
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progettare
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Essenziale spiritualitĂ Proiettata verso il lago, nella sua semplicitĂ ne rispetta la meraviglia. E lo stupore che ne nasce ci avvicina a Dio. Ăˆ la cappella Cardedeu, realizzata su progetto di Eva Hinds insieme a Javier Rosa tra le montagne di Santa Ana in El Salvador di Iole Costanzo
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na nuova cappella è stata costruita a Cardedeu sul lago Coatepeque in El Salvador. È un’architettura posta a completamento di un complesso privato pensato per l’accoglienza e formato da albergo, ristorante e altri spazi di supporto. Un posto privilegiato. Un paesaggio dalla bellezza mozzafiato. E così da Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer è quasi d’obbligo estrapolare: «… supponiamo che quegli oggetti, le cui forme significative c’invitano alla loro contemplazione, siano in relazione d’ostilità con la volontà umana … ; se, nonostante tutto ciò lo spettatore non pone attenzione a questa relazione ostile con la sua volontà; … se lo spettatore si trattiene quindi con piacere in tale contemplazione e se, infine, in conseguenza di tale atteggiamento, si eleva al di sopra di se stesso, della sua persona, della sua volontà, al di sopra di ogni volontà, allora davvero il sentimento che lo riempie sarà il sentimento del sublime». Queste parole qui riproposte sono il tentativo di evidenziare che esistono paesaggi che nella loro più precipua essenza rientrano pienamente nel concetto di sublime, o comunque di emozionante perché così pregni di significati e contemporaneamente elevati da far provare a chi sta a guardarli una sensazione di trascendenza e meraviglia. Antitetiche emozioni che por-
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tano a uno, se pur momentaneo, stato di grazia. Ma quando l’uomo si trova a relazionarsi, e non solo come spettatore, con questo tipo di paesaggio, sovente ne segue un intervento che poche volte viene apprezzato: nuove condizioni che sono avvertite come intrusione, elemento di fastidio, intromissione o comunque come corpo estraneo rispetto al contesto. Il progetto di Cardedeu è stato sviluppato nel pieno rispetto del paesaggio, di quella magica combinazione di pianure e pendii messi in costante relazione con lo specchio d’acqua sottostante. Il lago Coatepeque si trova all’interno di un cratere vulcanico di piccole dimensione, circa 26 kmq, tra le montagne di Santa Ana. Una vista incantevole ma soprattutto una natura inviolata dal cemento e dal turismo. Un piccolo gioiello naturalistico attorniato da pochi villaggi la cui difficile economia si basa in buona parte sulla pesca. Cardedeu è una cappella essenziale e minimale, austera. Una scatola mancante di due pareti, posta in aggetto proprio per dar modo di godere dall’interno di questo aulico paesaggio. Il materiale d’elezione è il calcestruzzo armato, che proprio per le sue prestazioni era il più adatto a questo tipo di costruzioni, mentre gli altri materiali sono più poveri e soprattutto legati al luogo. Il legno con cui sono stati realizzati gli arredi proviene da una fattoria non distante, così pure a km zero
A sinistra: la cappella di Cardedeu, una scatola di calcestruzzo armato. Dalle verdeggianti pendici del cratere si proietta verso le acque del lago sottostante
SCHIZZO PREPARATORIO DEL PROGETTO
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PLANIMETRIA GENERALE
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Nella pagina a fianco: la planimetria generale di tutto il complesso costruito su un’area vasta e nel pieno rispetto del paesaggio circostante. Sopra: la cappella vista da un punto del percorso posto a una quota maggiore. A sinistra: l’interno della cappella sono le pezzature di cave con cui è stato realizzato il pavimento. Cardedeu non è una semplice cappella. È un luogo di contemplazione. Una postazione privilegiata. Un’architettura semplice da cui poter apprezzare la grandiosità della natura e lasciarsene permeare. Fa parte di un complesso progettato con questo intento: dare sempre modo all’occhio di apprezzare nei diversi spostamenti i vari scorci che questo sito può offrire. Tutto è posto in continuità con il paesaggio circostante. Le prospettive che questo luogo offre sono diverse e pertanto diverse saranno le reazioni dell’animo umano. La logica è: non frenare l’emozione estetica che si prova osservando un paesaggio. Non bloccare quella profonda fascinazione che è sicuramente una reazione soggettiva, perché filtrata dal proprio bagaglio culturale. Si sa: l’elaborazione mentale di ciò che si osserva è diversa per ciascuno di noi pur essendo gli elementi reali. Perché il paesaggio, per chi lo osserva, altro non è che il prodotto della tensione tra il soggetto e l’oggetto, tra il filtro culturale dell’osservatore e la natura. Un paesaggio anche se antropizzato non è soggettivo quanto piuttosto intersoggettivo. Un’opportunità per il cervello di creare afferenze insolite e diverse. Perché la contemplazione è benessere.
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SEZIONE TRASVERSALE
SEZIONE LONGITUDINALE
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PLANIMETRIA DELLA CAPPELLA
A sinistra: il punto in cui comincia il percorso che conduce alla cappella. Sopra: un altro elemento architettonico del complesso da cui è possibile godere di altre parti del paesaggio circostante
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Luogo Lago de Coatepeque, Santa Ana, El Salvador Progettisti Eva Hinds in collaborazione con Javier Rosa Strutture Vladimir Escobar Illuminotecnica Luis Lozoya Architettura del paesaggio Arborea S.A. de C.V. (B谩rbara L贸pez)
materials
Estetica e valore della pietra
Sopra: interno showroom, pavimento vasca da bagno a massello, rivestimenti e complementi d’arredo in Pietra Palladio bianca. Sotto: particolare gradini a massello in Pietra di Vicenza Palladio bianca per scala a chiocciola autoportante
PEOTTA ARMANDO Via Solferino 7 36077 Altavilla Vicentina (Vi) Tel. 0444334011 Fax. 0444374778 www.peottaarmando.com info@peottaarmando.com
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Valorizzare con passione e competenza ogni tipo di ambiente: è questo, dal 1903, l’obiettivo della famiglia Peotta. Da tre generazioni, l’azienda Peotta Armando è specializzata nella lavorazione della Pietra di Vicenza, estratta dai Colli Berici. La sua produzione artistica e architettonica tiene viva la storia di una materia consacrata per la prima volta nel ‘500 dalle opere dell’architetto Andrea Palladio. «Il rivoluzionario ed esclusivo trattamento idro oleo repellente Palladio - spiega Massimo Peotta, responsabile della gestione acquisti, sicurezza e manutenzione - protegge in modo naturale ed estende l’applicazione di questo materiale di pregio a qualsiasi ambiente domestico, nelle tre differenziazioni cromatiche: pietra bianca, pietra gialla e pietra grigia». L’azienda offre al cliente un servizio “chiavi in mano”, fornisce un supporto completo, dalla progettazione alla posa in opera, per un’assistenza totale fino post vendita. «Ci occupiamo anche della lavorazione di vari tipi di marmo, - prosegue Stefania Peotta, che si occupa della comunicazione e del marketing aziendale - consigliando il cliente nella scelta e garantendo la qualità del risultato grazie ai nostri artigiani specializzati». La famiglia Peotta pone da sempre un accento particolare sulla ricerca che ultimamente è stata dedicata alla questione del risparmio energetico. Il risultato di questa ricerca sono stati Isopietra e Isomarmo: due prodotti gemelli, sviluppati per risolvere il problema delle dispersioni termiche dovute alla presenza di contorni in pietra o marmo attorno ai fori finestra, quando si realizza un rivestimento a cappotto su murature in laterizio. «Questi prodotti – spiega Massimo
Peotta – risolvono il ponte termico che si genera posando i davanzali e i contorni in materiali lapidei nella facciata con cappotto termico. Integrano in un solo componente il paramento in materiale pregiato (a libera scelta del cliente), il sistema di fissaggio e supporto del paramento, evitando l'impiego di sistemi meccanici quali zanche metalliche e tasselli, il materiale isolante per dare continuità al rivestimento a cappotto ed eliminare i ponti termici lineari e puntuali». L’azienda ha inaugurato nel 2008 uno showroom in provincia di Vicenza. Come spiega Stefania Peotta, «è un microcosmo di autentica bellezza che sa comunicare, anche nei più piccoli particolari, l'esperienza e l'artigianalità della produzione Peotta di opere artistiche, sculture, caminetti moderni e antichi, soluzioni per l’arredo bagno: autentici capolavori in Pietra di Vicenza visibili presso lo showroom di Alte di Montecchio».
appuntamenti
ARCHITETTURA, ARTE & DESIGN LE TRE CULTURE DI CHAGALL
Dalla collezione dellʼIsrael Museum di Gerusalemme giungono per la prima volta in Italia 140 lavori di uno degli artisti più amati del Novecento, Marc Chagall, il cui linguaggio è così universale da essere amato da tutti e da tutti conosciuto e riconosciuto e che, tra tutti gli artisti del secolo scorso, è rimasto fedele a se stesso pur attraversando guerre, catastrofi, rivoluzioni politiche e tecnologiche. Attraverso disegni, olii, gouache, litografie, acqueforti e acquerelli, la mostra racconta la sua poetica influenzata dal grande amore per la moglie Bella e dal dolore per la sua morte prematura avvenuta nel 1944, ripercorrendo la sua vita e la sua arte che fu commistione delle maggiori tradizioni occidentali europee - dallʼoriginaria cultura ebraica a quella russa, allʼincontro con la pittura francese delle avanguardie. Le otto sezioni tematiche della mostra disegnano una mappa artistica e spirituale complessa e caleidoscopica che sta a fondamento del profilo apolide dellʼartista; lʼoriginalissima lingua poetica di Chagall nasce infatti dallʼassimilazione delle tre culture cui appartiene: la cultura ebraica (dalla cui tradizione visiva dei manoscritti ornati egli trae gli elementi espressivi, non prospettici a volte mistici della sua ope-
ra); la cultura russa (cui attinge sia attraverso le immagini popolari dei luboki che attraverso quelle religiose delle icone); la cultura occidentale (in cui assimila grandi pittori della tradizione, da Rembrandt agli artisti delle avanguardie che frequenta con assiduità). Ma lʼopera di Chagall è anche altro, perché la sua meraviglia di fronte alla natura, il suo stupore di fronte alle creature viventi conferisce quellʼarcaicità quasi medievale alla sua poetica novecentesca. Roma, Chiostro del Bramante/Chagall. Love and Life/ Fino al 26/07/2015
Raphael Mengs, Joshua Reynolds, Ingres e Thorvaldsen, Jean-Louis Gérome, e di maestri italiani assunti a modello, come Botticelli, Correggio, Michelangelo, Tiziano, Pompeo Batoni e Canova. Il percorso si conclude con la ricca sezione che dal XIX secolo giunge alla contemporaneità, con opere di artisti del calibro di Auguste Rodin, André Derain, Fernand Léger, Pablo Picasso, Salvador Dalì, Henry Moore, Andy Warhol, Yves Klein, Christo, Anselm Kiefer, William Kentridge, Candida Hofer e altri, che hanno ripreso il dialogo con l’Italia, i suoi paesaggi, la sua arte.
ITALIA MAESTRA D’ARTI
Monza,Villa Reale/ Italia Fascino e mito dal Cinquecento al contemporaneo Dal 23 aprile al 6 settembre 2015
La mostra rievoca la fascinazione esercitata sui grandi artisti stranieri dai monumenti, dai paesaggi e dalle tradizioni del nostro Paese, attraverso una serie di opere esemplari, tra le quali capolavori di pittura, scultura e fotografia, eseguiti tra il Cinquecento e il Novecento e concessi in prestito dalle maggiori istituzioni museali italiane e internazionali. Viene inoltre evidenziato il ruolo dell'Italia quale “maestra delle arti”, grazie a dipinti e sculture di protagonisti stranieri come Lucas Cranach e Anton Van Dyck, Claude Lorrain, Valentin de Boulogne, Rubens, Gaspar Van Wittel, Angelika Kauffmann, Johann Zoffany e Anton
MATISSE E L’ORIENTE In esposizione oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti ‐ per la prima volta in Italia ‐ dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington solo per citarne alcuni. Curata da Ester Coen, la mostra vuole restituire unʹidea delle suggestioni che lʹOriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori, suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla necessità della prospettiva e della ʺsomiglianzaʺ per aprire a uno spazio fatto di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di superficie pura.
Roma, Scuderie del Quirinale/ Matisse Arabesque/Fino al 21 giugno 2015
FOTOGRAFIE INDUSTRIALI MAST presenta con Industria, oggi, l’immagine dell’industria contemporanea negli scatti di ventiquattro artisti e fotografi moderni, proponendo una riflessione sulla rappresentazione del paesaggio industriale. La mostra, proposta dal curatore della collezione di fotografia industriale di MAST Urs Stahel, espone le immagini di artisti che, perdutasi l’incisività della fotografia industriale in senso classico degli anni Sessanta e Settanta del 900, si interessano oggi ai processi produttivi e al loro legame con la società, indagando sui rapporti di forza e sull'influenza dell'industria sull’uomo e la natura. Olivo Barbieri, per esempio, nella sua fotografia lunga sette metri raffigurante l'interno di uno stabilimento Ferrari, mostra come i capannoni siano ormai ambienti chiari, luminosi, arredati con grandi, verdi “piante da appartamento”, ma totalmente deserti; Henrik Spohler e Vincent Fournier ci guidano attraverso un mondo di dati e prodotti, un mondo sempre più invisibile in cui ormai solo i cartelli aiutano a orientarsi. Carlo Valsecchi foto-
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appuntamenti grafa impianti produttivi contemporanei come fossero sculture a tuttotondo di una “industrial fiction”. Trevor Paglen sembrerebbe prediligere la pura fotografia del cielo, se le molte strisce bianche non indicassero la
gica del Max-Planck-Institut, mentre Vera Lutter, nelle sue scure immagini stenoscopiche, continua a incentrare il proprio lavoro sull’oppressione, l’imponenza degli impianti industriali, mentre Miyako Ishiuchi documenta la centenaria produzione della seta in Giappone.
Bologna, MAST/Industria, oggi/ Fino al 6 settembre 2015
IL MAESTRO DI SANSEPOLCRO presenza di orbite satellitari e sistemi di sorveglianza militare a elevata tecnologia. Nell’opera dal titolo “Tokamak Asdex Upgrade Interior 2”, Thomas Struth si occupa della ricerca tecnolo-
Attorno a Piero della Francesca aleggia da sempre un velo di mistero e di enigmaticità dovuto sia ai pochi documenti che lo riguardano, sia alla singolarità del suo linguaggio espressivo che coniuga, magicamente in equili-
brio perfetto, la plasticità e la monumentalità di Giotto e Masaccio con una straordinaria capacità di astrazione e sospensione. Un’essenzialità e purezza di forme che trovano fondamento nei suoi interessi matematici e geometrici mirabilmente espressi nei trattati che ci ha lasciato: l’Abaco, il Libellus de quinque corporibus regularibus, il De Prospecitva pingendi e il da poco scoperto Archimede. Ed è proprio su questi preziosi testimoni dell’opera scritto-grafica di Piero, in specie sul De prospectiva pingendi, che la mostra di Palazzo Magnani prende corpo. Presenta la figura del grande Maestro di Sansepolcro nella sua doppia veste di disegnatore e grande matematico. Per l’occasione sarà riunito a Palazzo Magnani – fatto straordinario, per la prima volta da mezzo millennio – l’intero
corpus grafico e teorico di Piero della Francesca: i sette esemplari, tra latini e volgari, del De Prospectiva Pingendi (conservati a Bordeaux, Londra, Milano, Parigi, Parma, Reggio Emilia) i due codici dell’Abaco (Firenze), il Libellus de quinque corporibus regularibus (Città del Vaticano) e Archimede (Firenze).
Reggio Emilia, Palazzo Magnani/ Piero della Francesca. Il disegno fra arte e scienza/ Fino al 14 giugno 2015
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AVI focus
Pensieri. Commenti. Interviste. Schede di progetto CARLO GELOSI WALTER VITALI
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OUR HOUSE • JEAN-CLAUDE CARRIÈRE THEATRE • THEATRE DE STOEP • HOTEL AND CONFERENCE CENTRE ECCO’S
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APPROFONDIMENTO
UNA CITTÀ PER TUTTI Consideriamo la città anche dal punto di vista sociologico, come luogo che vive processi di partecipazione da parte dei cittadini, sul tema della qualità della vita e della sostenibilità ambientale. Così diamo vita a spazi urbani sicuri e sostenibili Carlo Gelosi In un periodo di grandi trasformazioni sociali, nel 1968, Henri Lefebvre scriveva che il diritto alla città non poteva essere considerato come un semplice diritto di ritorno alla dimensione della città tradizionale, bensì come un diritto a una vita urbana trasformata, rinnovata. L’idea di trattare il tema di una città per tutti raccoglie, in qualche misura, la sfida di una riflessione più generale sulle necessarie trasformazioni della città al tempo d’oggi, relativamente anche alle diverse modalità di partecipazione e di accessibilità dei cittadini al contesto urbano, questa ultima intesa non solo come spaziale ma anche, diremmo soprattutto cognitiva, emotiva e culturale rispetto alle aree costruite, ai luoghi di incontro, alle diverse funzioni di servizio che solo una città rinnovata può e deve offrire. Per molto tempo, la dimensione urbana è stata oggetto di studi e di approfondimenti indirizzati agli aspetti di carattere urbanistico che progettavano e definivano gli spazi costruiti e quelli pubblici, così come sono state oggetto di analisi economiche anche le problematiche più evidenti che il vivere in contesti sempre più densi di popolazione poneva in risalto. Anche sotto il profilo giuridico, sono state trattate le questioni relative ai diritti delle persone all’accesso e all’utilizzazione dei luoghi e dei servizi, in particolare quelli di natura pubblica. Riflettere in questi termini porta a considerare la città anche dal punto di vista sociologico, come luogo destinato a vivere processi di partecipazione da parte dei cittadini, quando posti nelle condizioni di esprimere quelle istanze, quei bisogni fortemente connessi con il tema della qualità della vita e della sostenibilità ambientale. In questo senso, appare evidente che solo aprendo un processo di cambiamento relazionale tra i diversi attori, istituzionali, sociali ed economici, è possibile sviluppare città sicure, sostenibili e vivibili. L’idea di un contesto aperto e accessibile a tutti riporta, pertanto, all’espressione di un diritto, ormai diffusamente riconosciuto, al miglioramento concreto delle condizioni del vivere urbano. Questo può avvenire attraverso interventi specifici, laddove si rilevino necessari, in particolare sugli spazi (di qualunque natura essi siano), che consentano di vivere con dignità nel contesto urbano, così come di accedere e fruire, in condizione di eguaglianza, dei servizi pubblici, ad esempio, quelli relativi alla mobilità, alla formazione, alle politiche residenziali e via dicendo. Allo stesso tempo, il diritto alla città, tema costantemente oggetto di ampie riflessioni, racchiude in sé il problema della capacità di gestire la pianificazione e l’amministrazione, di garantire lo sviluppo equo e sostenibile del tessuto urbano, così come l’efficienza dei servizi pubblici (dai trasporti alla fornitura dell’acqua e dell’elettricità), l’accesso alle informazioni, la condivisione e la fruizione del patrimonio culturale. In qualche misura, affermare tale diritto costituisce una sfi-
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da molto complessa, perché comporta la necessità di dare delle risposte concrete a una grande varietà di istanze sia sociali che economiche compatibili con la trasformazione del contesto urbano. A ragione di ciò, il lavoro raccoglie questa sfida, nel tentativo di individuare possibili ambiti di intervento e proporre, attraverso l’analisi di alcune problematiche comuni alle città contemporanee e di significative esperienze già realizzate, indirizzi o percorsi da intraprendere per rendere più vivibili ed efficienti le nostre città. L’accessibilità è la parola chiave della riflessione, in quanto rappresenta l’elemento alla base del funzionamento di ogni realtà complessa, principio ineludibile dell’interazione con lo spazio e delle relazioni tra individui. Maggiore risulta il livello di accesso e, dunque, di fruizione del contesto urbano, migliori possono essere le condizioni di coesione sociale, di qualità della vita. Le diverse tipologie dell’accessibilità propongono allo studioso, così come al professionista, molteplici chiavi di lettura e altrettanti punti di osservazione che possono riguardare anche la riorganizzazione sia degli spazi costruiti sia di quelli pubblici, dalle piazze alle aree verdi, sia, infine, dei servizi al cittadino. Allo stesso tempo, le dimensioni cognitive che orientano gli spostamenti, così come quelle emotive che consentono una partecipazione anche sensoriale al contesto urbano divengono utili strumenti per vivere appieno la città. Non da ultimo va anche considerato come ogni articolazione delle relazioni tra gli individui risenta dell’organizzazione degli spazi e delle modalità di utilizzazione degli stessi; per questa ragione la distanza spaziale o temporale tra luogo di residenza e luogo di lavoro, la vicinanza o meno di aree verdi oltre che di luoghi dedicati alla cultura, determinano condizioni di vita qualitativamente diverse. È evidente, pertanto, che l’organizzazione del contesto urbano risulti fondamentale per garantire un miglioramento del livello della qualità della vita. Il concetto di accessibilità, come sostiene Sylvie Occelli, è, inoltre, fortemente connesso con quello di dinamicità. Non è un’entità a sé bensì un patrimonio da cui ciascun individuo può trarre vantaggio, considerate determinate opportunità offertegli rispetto alle condizioni in cui si sviluppa ed eventualmente si trasforma il tessuto urbano. La città rappresenta un insieme di luoghi e servizi, spazialmente distribuiti sul territorio, da cui i cittadini, le organizzazioni sociali, le imprese possono trarre benefici se resi accessibili e fruibili. È, pertanto, necessario comprendere che, come prima accennato, per raggiungere un livello plausibile della qualità della vita urbana, occorra investire molto in termini di progettazione e realizzazione di iniziative ma anche di risorse economiche. L’accessibilità è frutto del buon funzionamento di un sistema urbano, ma ne costituisce, allo stesso tempo, un elemento fondamen-
tale per l’interazione tra cittadini e spazio. Le forme di accesso agli spazi e ai servizi dipendono in grande misura dalle modalità in cui sono organizzate le funzioni della città e le possibilità di interazione con essa. In questo senso, nulla resta immobile, tutto si trasforma nel momento in cui l’organizzazione urbana stessa è resa più efficiente e rispondente ai bisogni di coloro che la vivono. Il fattore tempo, poi, riveste una particolare importanza in questo ambito, perché costituisce la variabile che permette una fruizione maggiore o minore dello spazio cittadino e dei servizi distribuiti su di esso, attraverso la rapidità dei movimenti o dei collegamenti, anche a livello tecnologico (un’interazione virtuale può, infatti, evitare uno spostamento fisico). Dal punto di vista del rapporto con lo spazio, appare evidente, inoltre, quanto sia importante l’abbattimento o la riduzione degli ostacoli. Questi impedimenti possono essere di natura diversa, da quelli connessi alle difficoltà di carattere economico, che non consentono talvolta di accedere ai servizi, ma anche a quelle di carattere fisico, connesse a diverse forme di disabilità che, in molti contesti urbani, non sufficientemente strutturati, pongono la persona di fronte al problema di non riuscire a superare vere e proprie barriere architettoniche. Anche nell’ambito culturale, relativamente all’accesso a forme avanzate di formazione, si possono riscontrare difficoltà nell’utilizzazione di moderne tecnologie che potrebbero favorire, ad esempio, modalità alternative di fruizione dei servizi. Molteplici sono le forme di accessibilità alla città. In questo lavoro ne vengono esaminate diverse tipologie, al fine di rilevare, come anticipato, possibili percorsi di intervento per migliorare le città. Il punto di partenza della riflessione è stato il tentativo di riportare il concetto di pianificazione urbana ad una dimensione maggiormente sensibile agli sviluppi sociali, con una particolare attenzione a quelle funzioni, a quei comportamenti urbani che possono esprimersi solo attraverso il vissuto degli spazi cittadini. In questo senso, gli strumenti più idonei alla comprensione delle attese di coloro che vivono la realtà urbana sono identificati nei processi di partecipazione che favoriscono una migliore governance nella definizione, ad esempio, dei piani del territorio, dei piani regolatori, dei programmi di riqualificazione urbana. La capacità di governo del territorio, sia esso urbano o rurale, d’altronde si riflette enormemente sulla qualità della vita, ovvero su quell’insieme di elementi che determinano il grado di vivibilità in un determinato contesto, da cui dipendono sia le reali condizioni che le percezioni di soddisfazione da parte dei cittadini, ad esempio, in termini di capacità e modalità di fruizione delle componenti infrastrutturali o strutturali della città. Il carattere multidimensionale dell’accessibilità permette, poi, di compiere osservazioni più specifiche sul profilo dello spazio urbano, così come delle aree dedicate al verde, alla coltivazione urbana, alla mobilità. Un’attenzione specifica viene, inoltre, dedicata a quella sfera, sempre più importante, delle percezioni cognitive ed emozionali che consentono sia di riconoscersi sia di posizionarsi negli spazi urbani. Non può, infine, non essere sottolineata la rilevanza dell’impatto diretto delle tecnologie dell’informazione, che costituiscono uno strumento, oramai essenziale, per mettere ciascun individuo nelle condizioni di superare gran parte degli ostacoli fisici e temporali. Consapevolezza e conoscenza sono alla base di un approccio, anche comunicativo e relazionale, che consente di condividere percezioni e relazioni sociali, nonché di manifestare istanze di partecipazione all’attività di miglioramento e
cambiamento della città. La riflessione proposta in questo lavoro vuole sottolineare, come accennato, l’importanza che, da parte di tutti coloro che lavorano sul tema delle trasformazioni urbane, si guardi anche, e soprattutto, alla dimensione sociale allorché, pur legittimamente, si intraprenda processo di pianificazione e, soprattutto, una rigenerazione degli spazi della città, laddove, in particolare si tratta di “costruire nel costruito”. Ogni realtà ha, infatti, un suo profilo demografico, estetico, urbanistico, ma principalmente sociale che la contraddistingue dalle altre, proprio perché inserita ciascuna in un contesto del tutto particolare. Tuttavia, come si vedrà nei casi esaminati, al di là della loro posizione geografica, e ben oltre il mero fattore dimensionale, molte sono le problematiche comuni che definiscono, e talvolta addirittura affliggono, i sistemi urbani contemporanei. Per questa ragione, un’analisi trasversale del tema dell’accessibilità e della fruizione degli spazi e dei servizi pubblici, sotto diverse prospettive, permette di evidenziare problemi e soluzioni, mali e possibili rimedi, senza comunque dover ritenere un intervento in assoluto migliore di un altro ma solo funzionale al contesto esaminato e, probabilmente, ad analoghe altre situazioni che possono verificarsi altrove. I casi studio presentati sono stati individuati guardando con curiosità e interesse a esperienze di successo. Copenhagen, ci consegna le pratiche di una mobilità moderna e sostenibile e di una possibile soluzione ai problemi abitativi di parte della popolazione (grazie al cohousing), che sono divenute un vero patrimonio condiviso, frutto di una cultura, sviluppatasi nel tempo, attenta al sociale e all’ambiente (attraverso la pedonalizzazione di aree della città, la creazione di orti urbani, ecc.). Singapore rappresenta, invece, la condizione di una città-stato, di dimensioni limitate, con una popolazione in crescita, che ha saputo organizzare, talvolta con modalità progettuali del tutto peculiari, i suoi spazi rispetto a una forte domanda di abitazioni e la sua complessa mobilità secondo i vincoli della sua estensione. Una città capace, attraverso l’innovazione, di aumentare col passare di pochi decenni, il livello di sviluppo economico in un contesto geopolitico molto fragile. Montreal, infine, attraverso la sua capacità creativa, propone alcune direzioni percorribili per gestire gli spazi urbani, il verde pubblico, la formazione dei giovani, la forte presenza interculturale e multi-linguistica. Non da ultimo, a dimostrazione che non solo dall’estero si possono trarre esempi virtuosi, vengono proposti tre spunti di riflessione attraverso altrettante e interessanti esperienze in corso in Italia, a Venezia, Milano e Roma, dove sul tema dell’accessibilità ai servizi pubblici, al verde urbano, a un’amministrazione più efficiente, nonché alla fruizione del patrimonio culturale, anche queste realtà del nostro paese hanno portato contributi significativi. Non si è trattato, vale la pena sottolinearlo, di fare confronti critici, bensì di verificare, laddove possibile, quali risposte e soluzioni siano in grado di offrire alcune realtà urbane, collocate in diversi contesti sociali, economici e culturali, ad alcuni di quei tanti problemi riscontrabili nelle città contemporanee.
(Carlo Gelosi è professore associato di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria, dove è direttore del Dipartimento di Scienze della Società e della Formazione d’Area Mediterranea. Tra le sue pubblicazioni: Una città per tutti, FrancoAngeli, Milano, 2014; Territori, Patrimonio culturale e fruizione. Nuove reti per nuove relazioni, FrancoAngeli, Milano, 2013).
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APPROFONDIMENTO
RIPROGETTIAMO LE CITTÀ La crescita delle città non è più né ambientalmente né socialmente sostenibile. Crescita economica, infrastrutture, servizi sociali, riduzione delle diseguaglianze e contrasto alla povertà sono i temi sensibili. Il futuro? È una città a zero emissioni Walter Vitali Al centro della crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007 ci sono le città. E le città sono al centro delle possibili strategie per uscirne. Wall Street a New York, la City di Londra, Francoforte, Tokyo, Shanghai sono le principali piazze finanziarie dove la crisi è divampata. Ma sono anche le città globali studiate dalla sociologia, quelle che con la finanza e con gli altri servizi specializzati alle imprese sono diventate centri fondamentali per l’economia globale, ridisegnando le gerarchie interne e tra di loro. Zuccotti park, i gradini della cattedrale di Saint Paul, piazza Syngtagma, Puerta del Sol, piazza Tahir, Gizi park sono invece i luoghi della protesta e della rivolta. Anche questi sono nel cuore delle città che sono diventate l’epicentro di movimenti urbani e di una nuova presa di coscienza dell’opinione pubblica. Ancora oggi, nonostante gli anni più duri della crisi sembrino ormai alle nostre spalle, la crescita mondiale non è sufficientemente solida. Riprendere tutto come prima, come se nulla fosse successo e senza cambiamenti profondi, si rivela una pericolosa illusione. L’Europa è il continente più urbanizzato del mondo, con circa il 70% dei 507 milioni di abitanti dell’Unione che vive in un’agglomerazione urbana con più di 5mila abitanti. Dunque la crisi ha colpito anche le città, anche se l’ha fatto in modo diverso con le une e con le altre. Ma qualcosa si sta muovendo anche nel nostro continente. La convinzione granitica sull’efficacia delle politiche di austerità a senso unico si sta sgretolando, e si afferma la necessità della flessibilità e di politiche per la crescita e lo sviluppo, seppur a grande fatica e con un’impronta tecnocratica che continua a svilire il progetto europeo. La critica alle politiche di austerità non riguarda solo le economie occidentali. L’Unctad, l’organizzazione delle Nazioni Unite che promuove il processo di integrazione dei paesi in via di sviluppo, sostiene che non è possibile uscire dalla crisi riproponendo semplicemente uno sviluppo basato esclusivamente sulle esportazioni. Per uscire dalla crisi in modo duraturo è ormai evidente che occorre uno sviluppo più equilibrato a beneficio della domanda interna. Ma non è ancora sufficiente: occorre anche cambiare il modello di sviluppo, poiché le tendenze attuali porterebbero in non molto tempo a conseguenze disastrose per il futuro dell’umanità. Ed è qui che si incontrano le città, che possono essere causa di gravi e insolubili problemi, oppure culla di un nuovo e diverso paradigma dello sviluppo a livello globale. Basta riflettere su pochi dati che risultano però essenziali. Un secolo fa solo il 20 per cento della popolazione mondiale viveva nelle città, attribuendo a tale termine un significato ampio che comprende anche l’urbanizzazione diffusa. Nel 2010, per la prima volta nella storia, sui circa sette miliardi di abitanti del pianeta la popolazione urbana ha superato quella rurale. Ha così avuto inizio un nuovo «millennio urbano», ed è previsto che nel 2050 il 70 per cento dei circa nove miliardi di abitanti di tutto il pianeta vivrà nelle città, 2,8 miliardi in più rispetto al 2010. Se non si riuscirà a
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modificare il modello di sviluppo delle nostre città, si calcola che l’impronta urbana si espanderà in non molto tempo di altri 1,2 milioni di chilometri quadrati, una superficie pari a quella della Germania, della Francia e della Spagna messe assieme. Più di due terzi delle emissioni di anidride carbonica del pianeta già ora riguardano le esigenze dei centri urbani, e se non intervengono modifiche le conseguenze sul clima saranno irreversibili. Il modo in cui le città sono cresciute nel mondo occidentale non è più né ambientalmente né socialmente sostenibile, e non può essere il modello di urbanizzazione dei paesi emergenti e in via di sviluppo. Per la sostenibilità globale è assolutamente necessario riprogettare le città. È significativo che siano proprio le Nazioni Unite a parlare delle città come «rimedio alla crisi globale», e a proporre «un nuovo tipo di città del XXI secolo» basato su un concetto della prosperità a cinque dimensioni comprendente, otre alla crescita economica, le infrastrutture, i servizi sociali, la riduzione delle diseguaglianze compreso il contrasto alla povertà e lo sviluppo sostenibile. Il ripensamento delle città non può che avere un approccio fortemente integrato tra le varie politiche e tra attori diversi. Non sono coinvolti solo i decisori politici ma anche la cittadinanza in prima persona, senza la quale non è possibile effettuare i cambiamenti che sono necessari, insieme alle competenze e al mondo produttivo e delle imprese. Gli investimenti diretti del settore pubblico hanno un ruolo fondamentale per stimolare la domanda in funzione anticiclica, soprattutto nei settori che producono più posti di lavoro. Ma le città possono promuovere anche investimenti privati stabilendo regole che creino nuove opportunità di mercato, come ad esempio nei campi dell’energia e della rigenerazione urbana. Va fatta la scelta della città compatta contro la città dell’espansione incontrollata, per azzerare o contenere al massimo il consumo di suolo e lo sprawl urbano che compromettono le superfici coltivate, producono più esigenze di spostamento e maggiori consumi energetici anche attraverso gli opportuni strumenti fiscali. L’altra scelta fondamentale è quella del risparmio di risorse naturali e alimentari, cambiando completamente il metabolismo urbano e reinventando il flusso verso le città di risorse – cibo, acqua, prodotti ed energia – che devono tutte provenire da fonti prossime e sostenibili. Questo comporta muoversi con decisione verso la città a zero emissioni di carbonio, con tutte le conseguenze radicali che sono necessarie a favore della green economy e del trasporto sostenibile. L’approccio al lavoro e alla vita di tutti i giorni può essere rivoluzionato con la condivisione e la collaborazione nei campi più diversi (sharing economy), dagli spazi ai servizi domestici e di cura, ai mezzi di trasporto. Più in generale è l’innovazione urbana in quanto tale che può trainare una nuova fase dello sviluppo sollecitando anche la produzione di nuovi beni da parte di interi comparti produttivi come l’edi-
lizia, i trasporti, l’ICT, l’energia, la salute e il welfare. Come ci ha insegnato lo studioso britannico Peter Hall, la creatività delle città non è legata solo alla cultura e alle arti, ma anche alle innovazioni tecnologiche e industriali. Sono le soluzioni dei problemi del vivere urbano, attraverso l’interazione tra le persone e l’utilizzo dei servizi e delle infrastrutture dell’informazione e della comunicazione, che rendono le città smart e ne fanno il luogo privilegiato dell’economia digitale. Riduzione della povertà e affermazione di principi di eguaglianza, a partire da quella fondamentale tra i generi, possono essere affidati a un processo di innovazione sociale che apre anch’esso spazi alla collaborazione tra pubblico, privato e soggetti no profit. La dimensione attiva della cittadinanza può farsi carico autonomamente della soddisfazione di esigenze collettive nei diversi campi, avanzando idee e progetti sostenuti da fondi pubblici e da forme di partenariato tra organizzazioni no profit e istituzioni. Il politologo americano Benjanim R. Barber, nel suo libro If mayors ruled the world: dysfunctional nations, rising cities, sostiene la tesi del passaggio dalla polis alla cosmopolis, per mettere le città al posto degli stati e globalizzare la democrazia come antidoto alla sua crisi. I sindaci sono stati eletti per risolvere problemi, possono collaborare tra di loro senza contrapposizioni ideologiche e religiose, e per la cittadinanza sono «i loro vicini di casa». Tra l’altro le città già lo fanno, scrive Barber, attraverso le reti di città esistenti sui problemi più diversi. La sua proposta è quella di un parlamento mondiale dei sindaci. Vi sono altri segnali che dimostrano come, a partire dagli Stati Uniti, si stia sviluppando un movimento di opinione pubblica che va nella direzione indicata da Barber. Vi sono studiosi americani i quali sostengono che il circuito dell’innovazione che ha cominciato a far uscire il paese dalla grande recessione è incentrato sulle metropoli, dove un’innovazione può diffondersi alle altre producendo l’effetto «palla di neve». L’Unione Europea sta prestando molta attenzione alle città, a partire dall’indicazione contenuta nei documenti programmatici per la politica di coesione 2014-2020 e rivolta a ciascun paese membro, di dotarsi di «un’ambiziosa Agenda urbana» con almeno il 5% delle risorse assegnate a livello nazionale. L’Agenda urbana europea doveva essere elaborata ai primi del 2015 anche in relazione alle conclusioni del Forum “CITIES – Investing in Europe” tenuto a Bruxelles il 17-18 febbraio 2014 e della consultazione, che si è conclusa il 26 settembre 2014, sulla base della comunicazione “La dimensione urbana delle politiche dell’Unione Europea – Elementi fondanti di un’Agenda urbana UE” del 18 luglio 2014. La nuova Commissaria Corina Cretu ha indetto il secondo Cities Forum per il 2 giugno 2015 per presentare i risultati della consultazione e per discutere di “come procedere nell’Agenda urbana dell’UE”. Anche l’ONU parla di una “Nuova Agenda urbana” che sarà al centro di Habitat III, la Conferenza dell’ONU sugli insediamenti umani e lo sviluppo urbano sostenibile che si terrà a Quito nell’ottobre 2016. Purtroppo in Italia l’Agenda urbana stenta a decollare. Si parla di Agenda Urbana esclusivamente in rapporto all’utilizzo dei Fondi strutturali europei 2014-2020. Per le 14 città metropolitane c’è uno specifico Programma operativo nazionale (PON), mentre per le città medie e gli altri poli urbani provvederanno i POR approvati dalle regioni. Ciò contraddice l’esigenza che gli interventi previsti dai fondi europei si accompagnino al coordinamento delle grandi politiche nazionali per le città, nel campo del welfare e dell’istruzione, della mobilità, della riqualificazione urbana, della cultura e dell’innovazione, della finanza locale e degli strumenti di governance. Era quan-
to doveva assicurare il Comitato interministeriale per le politiche urbane (Cipu) istituito nel 2012, che ora è del tutto inattivo. Per le città è continuata la ben nota frammentazione delle politiche tra le amministrazioni centrali dello Stato. Nel Piano nazionale di riforma (PNR) del 2014 sono citati ben 10 ministeri, 3 dipartimenti della Presidenza del Consiglio, 2 unità di missione più l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), senza alcun coordinamento tra di loro. Se per l’Unione europea il conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 passa dalle città, questo vale a maggior ragione per l’Italia, dove in molti casi è accumulato un ritardo preoccupante. Ma vi sono alcune opportunità che si presentano e che possono consentire di far ripartire un discorso pubblico sulle città, intese come un grande potenziale di sviluppo per l’Italia la quale, nonostante lo scempio che si è fatto del suo territorio, ha un sistema urbano equilibrato e in grado di trainare tutto il Paese. La prima è costituita dalla legge Delrio. Ha rimesso in discussione l’ordinamento locale preesistente costringendo a cambiare le province, che non sono più elette direttamente, a istituire le città metropolitane con ampia autonomia statutaria e ad andare verso le unioni e la fusione dei comuni. Questo mette in moto una dinamica che non è solo istituzionale, ma riguarda le traiettorie di sviluppo delle città italiane. La seconda è rappresentata dalle smart cities. Sono stati investiti 800 milioni di euro in progetti di ricerca da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) che ora devono dare i propri frutti sui territori, sostenendo l’innovazione in tutti i campi (energia, ambiente, mobilità, welfare, Information Communications Tecnology). Per dematerializzare la pubblica amministrazione e far viaggiare i servizi, sia pubblici che privati, in rete occorre la banda larga e ultralarga secondo gli obiettivi dell’Agenda digitale europea. Anche per questo le città sono fondamentali, perché si deve facilitare la realizzazione delle nuove infrastrutture dello sviluppo e abituare le persone, anche gli anziani, all’uso delle nuove tecnologie attraverso l’alfabetizzazione e la messa online di tutti i propri servizi. Dopo il fallimento del Piano città approvato nel 2012, del quale sono stati spesi solo 2,5 milioni sui 318 stanziati, è evidente che è necessario rilanciare una strategia di rigenerazione urbana e di riqualificazione (energetica, sismica, sociale) del patrimonio immobiliare esistente. Il modello più convincente è quello dell’Agence nationale pour la rénovation urbaine (ANRU) francese, con la quale si è creato un volano finanziario, che in Italia potrebbe essere sostenuto dagli investimenti della Cassa depositi e prestiti, finalizzato a mettere in condizione le famiglie di affrontare gli investimenti necessari con la conseguente creazione di un circuito virtuoso che può mettere in movimento importanti risorse private.
(Walter Vitali è stato sindaco di Bologna dal 1993 al 1999, presidente di Eurocities e senatore dal 2001 al 2013. Ha promosso l’Intergruppo parlamentare per l’Agenda urbana contribuendo all’approvazione della norma per l’istituzione del Comitato interparlamentare per le politiche urbane (Cipu). Tra i promotori di Laboratorio urbano, è direttore esecutivo di Urban@it, il centro nazionale di studi per le politiche urbane. Inoltre ha curato il volume Un’Agenda per le città. Nuove visioni per lo sviluppo urbano (Il Mulino). È composto da una introduzione e 13 capitoli, ciascuno dei quali affidato a un autore diverso e contiene le proposte di Laboratorio Urbano (centro di documentazione, ricerca e proposta sulle città con sede a Bologna - www.laboratoriourbano.info) sugli argomenti di maggiore interesse per le città. È disponibile nelle librerie a stampa al prezzo di 21 euro e in e-book al prezzo di 13,99 euro)
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SCHEDE Our House, Kerteminde (Danimarca)
Tutte le foto Mikkel Frost
Progetto: Cebra Architecture
In Danimarca è stato concluso di recente un particolare progetto di architettura chiamato Our House, nato per ospitare un centro di assistenza per bambini e ragazzi emarginati. L’edificio, progettato dal team Cebra Architecture, concentra in sé le funzioni di uno spazio sicuro e adeguato per i bambini e capace di richiamare l’immagine della “casa tradizionale”, combinato alla possibilità di poter insediare all’interno servizi e funzioni pedagogiche. L’edificio è in netta rottura con le tipologie costruttive di accoglienza di questi luoghi, riconoscibili dalle loro forme rigide e diffuse. Il concept parte dalla riflessione sulla tradizionale casa danese con il tetto spiovente e l’abbaino. I due elementi vengono fusi e combinati in un modo nuovo e divertente. La forma
geometrica di base “della casa” viene modificata a seconda delle funzioni ospitanti, provocando un movimento di corpi che entrano ed escono dall’edificio, si capovolgono e, in alcuni angoli, salgono a formare un punto di vista panoramico. L’architettura si compone di un gruppo di volumi separati, ma collegati fra loro mediante spazi comuni. L’unità abitativa che ricalca la casa con tetto a falda è ripetuta più volte, e forma l’aggregazione di un complesso più esteso e flessibile. I percorsi fra le varie funzioni sono di breve distanza e tutti gli spazi risultano condensati e stretti fra loro. I prospetti laterali e le coperture sono stati realizzati con mattoni in cotto, tipico materiale da costruzione che esteticamente si presenta caldo e accogliente.
SEZIONE
Infissi e pavimenti sono stati realizzati in legno chiaro, in contrasto con le pareti intonacate e dipinte di bianco. I soffitti, per attutire i rumori, sono stati realizzati con pannelli in lana di legno
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Jean-Claude Carrière Theatre, Montpellier (Francia) Progetto: A+Architecture Sviluppare un pensiero che tenga conto del nuovo concetto di temporaneità dell’architettura, della prefabbricazione e anche della sostenibilità è senza alcun dubbio un modus operandi contemporaneo. A ciò si è attenuto il gruppo A+Architecture con il Jean-Claude Carrière Theatre, il nuovo teatro ligneo costruito a Montpellier. La struttura nasce dall’assemblaggio di elementi prefabbricati di legno scelti per garantire un totale isolamento termico, ottimizzare l’acustica durante gli spettacoli, assicurare un’adeguata resistenza a qualsiasi formazione di eco all’interno. Il teatro è realizzato al 90% da materiali riciclabili e con pannelli multistrato di legno certificato. L’edificio consuma pochissima energia per il riscaldamento o per il raffreddamento grazie all’isolamento ottenuto con la tipologia di pannelli selezionati. Inoltre il 100% dell’impianto d’illuminazione funziona a Led e il Jean Claude Carrière Theatre è completamente smontabile e rimontabile in altro loco o comunque è facile scomporlo in parti, il che assicura un possibile rapido smaltimento futuro. È un volume rosso di 2.620 metri quadrati, avvolto da una trama romboidale realizzata con aste di legno a sua volta evidenziata da elementi colorati a forma sempre di rombo, al suo interno ospita, oltre alla sala teatrale, un ristorante. Quest’ultimo è sistemato in un volume arretrato, la cui posizione dona agli ospiti la possibilità di godere di una vista diretta sul parco. L’edificio è caratterizzato dall’applicazione di un rivestimento con pannelli multistrato a vista, collegati tra loro con giunzioni a secco, proprio perché tutto possa rispondere alla possibilità di essere facilmente smontato. Sì, perché il Carrier Theatre è una struttura temporanea reversibile. E la reversibilità è il massimo requisito che può avere un’architettura temporanea. SEZIONI TRASVERSALI TEATRO
Tutte le foto Marie-Caroline Lucat
SEZIONE TRASVERSALE STRUTTURA
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SCHEDE Theatre de Stoep, Spijkenisse (Olanda) Progetto: UNStudio
Foto Jan Paul Mioulet
Foto Peter de Jong
Sono molte le città che ormai puntano sulla cultura per alimentare e rigenerare la propria crescita. E il progetto di UNStudio per il nuovo teatro della città di Spijkenisse risponde pienamente a queste necessità. Theatre de Stoep unisce alla consueta funzione archetipica di creare un mondo di illusione, le specifiche esigenze del teatro regionale e la necessità di soddisfare varie richieste espresse dalla comunità locale. È un teatro dall’alta versatilità. Inoltre l’auditorium non è altro che una sala scollegata dalle fondazioni, e questo escamotage serve a impedire la dispersione del suono. Sempre per l’ottimizzazione dell’acustica molti dei pannelli posti a soffitto potranno essere regolati per meglio bilanciare anche i diversi livelli di volume. Durante il giorno il vetro presente in facciata permette un’illuminazione diretta, così pure il lucernario presente in copertura. Nelle ore serali invece il foyer è avvolto da un’atmosfera calda e invitante creata attraverso l’uso del colore e dell’illuminazione artificiale. La struttura può accogliere più di 800 spettatori e si presenta come un unico sinuoso volume, con una grande hall centrale, mancante di elementi portanti, che è il cuore della struttura. Le due sale sono orientate verso lo spazio centrale del foyer che diviene così il centro di tutto l’edificio. La flessibilità di questa struttura non è solo organizzativa. Anche il suo posizionamento urbano, nonché il suo orientamento, è stato studiato per facilitarne l’integrazione nell’andamento cittadino.
Foto Jan Paul Mioulet
Dalle foto si comprende quanto il teatro sia eccessivamente voluminoso rispetto al contesto e nonostante tutto risulta ben inserito. Un lavoro di cesellatura che ha salvaguardato perfettamente tutte le preesistenze
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Hotel and Conference Centre Ecco’s, Tonder (Danimarca) Progetto: Dissing+Weitling architecture
Quanto consuma un hotel? E che tipo di impatto ha sull’ambiente? Gli hotel sono dei veri e propri energivori perché ne utilizzano considerevoli quantità nello svolgimento delle loro quotidiane attività. E questo è dovuto all’elevata domanda di tecnologia a sua volta necessaria a garantire i comfort. L’Hotel and Conference Centre Ecco's, progettato dallo studio Dissing + Weitling architecture, su richiesta del marchio Ecco, è un edificio innovativo con oltre 50 camere, un ampio foyer, una sala per le conferenze e, cosa molto importante, tutta la struttura risponde pienamente ai più aggiornati canoni della sostenibilità. Il design dell’edificio è stato ottenuto cercando di ottimizzare gli impianti, in particolare quello del riscaldamento-raffrescamento attraverso l’integrazione dell’impianto geotermico e solare. La stessa pianta dell’edificio, di forma circolare, garantisce brevi distanze all’interno e una conseguente minima perdita di calore negli ambienti. Una soluzione planimetrica classica che oggi potrebbe anche suonare come possibile logica di risparmio per l’uso del suolo, ma altro non è che un’ottima risposta per l’esposizione dell’intero manufatto. L’ hotel non è solo autosufficiente, riesce a essere anche produttore di energia. L’interno è stato curato con materiali naturali e la pianta circolare è caratterizzata da una pavimentazione in gomma e doghe in legno.
PIANTA PRIMO LIVELLO
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