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Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Direttore Marketing Francesco Toschi pubblicita@koreedizioni.it Redazione Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Piergiorgio Giannelli, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Hanno collaborato Manuela Garbarino, Marilena GiarmanĂ , Emilia Milazzo, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

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CONTENUTI

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52 Il nuovo museo di Zaha Hadid Apre a Roma il MAXXI. Sarà un luogo di esposizione e conservazione

77 Appuntamenti d’arte e design Tutto ciò che di più importante succede in Italia

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Renata Codello

Il recupero del Mausoleo di Marconi

Intervista al Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna

Si sono conclusi i lavori di restauro, promossi dal Comune di Sasso Marconi

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Fulco Pratesi

Il futuro viene dal sole

L’architettura e l’ambiente naturale: l’opinione del fondatore del WWF

Il fotovoltaico di nuova generazione nelle parole del Professore Giuliano Martinelli

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Ilaria Buitoni Borletti

Nuova etica del design

La nuova Presidente del Fondo Ambiente Italiano parla della sua attività

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CONTENUTI

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Il nuovo cinema Alfa

Il RIBA premia Ieoh Ming Pei

La più piccola sala cinematografica al mondo è allestita dentro a un’Alfa 2000

L’architetto ha ricevuto l’11 febbraio la prestigiosa Royal Gold Medal

44 La casa della cultura A Parma, un edificio progettato dallo studio MBM Arquitects

DESIGN +

113 Salone dell’Arte del Restauro Al via l’importante manifestazione che si terrà a Ferrara Fiere dal 24 al 27 marzo

46 Una residenza nel parco L’architetto Andrea Trebbi ha progettato l’ampliamento della Residenza Gruppioni

69 La Float House di New Orleans

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Progettata da Thom Mayne e gli studenti della Università della California, è galleggiante, autonoma, leggera e colorata

Un nuovo mercato a Rotterdam Il nuovo Market Hall avrà la firma del gruppo di architetti MVRDV

86 Mario Cucinella Ha fondato lo studio MCA a Parigi e il Mario Cucinella Architects a Bologna

94 La fabbrica delle idee Officina 83 è il Centro Stile FIAT guidato da Lorenzo Ramaciotti, transportation designer

101 Marco Introini Guardare la città È un fotografo di architettura e del paesaggio antropizzato


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EDITORIALE

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opo The creative city e The intercultural city Charles Landry, con City making, ci propone una ulteriore suggestiva interminabile serie di chiavi di lettura sulla fenomenologia urbana, sui problemi che caratterizzano le città contemporanee, sulle soluzioni che il city maker ha a disposizione per risolvere i malanni dei centri storici e delle periferie. Il saggio, di grande attualità soprattutto in Italia, è stato scritto quattro anni fa, ma solo da pochi mesi è stato tradotto e pubblicato in italiano. Gli stimoli culturali, le sollecitazioni emotive, le citazioni e gli esempi proposti sono veramente, per quantità e qualità, di notevole portata, a partire dalla metafora informatica che immagina la città alla stregua di un computer che utilizza, per funzionare, hardware e software, sistemi operativi e programmi. Nella Ouverture che introduce il testo Landry afferma che il city making non si limita a mera pianificazione, ma che rappresenta quanto meno un’arte complessa, che non esistono ricette semplicistiche o regole prefissate. Parla piuttosto di principi forti sulla scorta dei quali il city maker può fondare le basi per l’attuazione di programmi di sviluppo. Per fare qualche esempio: la dicotomia passione e compassione, un corretto bilanciamento tra globale e locale, il coinvolgimento degli utenti, il rafforzamento di valori etici, la promozione della capacità immaginativa delle persone e della creatività civica quale ethos della città. Quest’ultimo punto è di particolare rilevanza e difficoltà poiché implica un salto di qualità nello spirito imprenditoriale degli amministratori pubblici della città. Contemporaneamente richiede una maggiore consapevolezza, da parte del privato, delle proprie responsabilità verso la collettività. Interessante e controcorrente anche la sua osservazione sul fatto che: “Le città che si basano principalmente sulle cosiddette buone prassi, anziché trainare, vanno al seguito, e non si assumono i rischi necessari per proiettarsi avanti”. La velocità con la quale si verificano i cambiamenti, infatti, è così rapida che spesso le “buone pratiche”, cioè le buone azioni volontarie, si sovrappongono temporalmente alle imposizioni normative, diventando presto obsolete, scontate o, addirittura, fuorvianti. Landry suggerisce che i professionisti urbani debbano pensare in modo più fluido le connessioni tra le cose, percepire la città come un’esperienza sensoriale e sentirla in termini emotivi. Nello stesso tempo è necessario capire i fenomeni urbani dal punto di vista culturale poiché questo tipo di conoscenza è lo strumento più importante per comprendere le dinamiche della città. I professionisti urbani invece tendono a ragionare sui temi urbani in modo solamente tecnico “…come se la città fosse qualcosa di inanimato, distaccato…”.

City making non è un libro per architetti, almeno non è solo per loro. Non dice solo cose interessanti, ma offre al lettore anche concetti apparentemente banali, sillogismi discutibili, certezze opinabili. Nelle oltre cinquecento pagine dice tutto e il contrario di tutto. Nello otto pagine dell’indice, che smista i titoli di quasi trecento capitoli, il lettore può trovare i trampolini per tuffarsi negli argomenti più disparati: dal Prado a Prada, la Gestalt professionale, trendspotting o trainspotting, l’agopuntura urbana, ecologia creativa, avere lo Zeitgeist dalla propria parte, l’ancoraggio etico, l’impronta ecologica. Ma anche: la doccia e lo sciacquone, la fine della civiltà è alle porte?, la logistica di una tazza di tè, flussi e riflussi, la cultura della prestazione. Come si può evincere Landry fa di mestiere il comunicatore e come tutti i comunicatori tende a voler stupire con effetti speciali. Ma allora, questo saggio lo si deve leggere o no? È utile o inutile? Sì, lo si deve leggere perché, nel suo insieme, è intelligente e stimolante, ma bisogna avere la pazienza e la capacità di leggerlo tutto, con attenzione, sopportando le cose che non si condividono e cercando di immaginarne le applicazioni nella realtà italiana. E qui sorge il problema. A volte un problema non si riesce a risolverlo perché non si ha la soluzione. Altre volte i problemi, seppur con difficoltà, si potrebbero risolvere, ma non si vuole farlo, generalmente per ragioni di interessi di parte, ma anche, non sottovalutiamo la questione, per semplice ignoranza, sottocultura o, come ha detto Philippe Daverio in una recente geniale conferenza, applicazione del pressapochismo come matrice del pensiero contemporaneo. Cosa ci sentiamo di chiedere agli amministratori, agli imprenditori, ai committenti, vale a dire ai city makers e ai city users per Bologna? Comprendere finalmente la differenza tra edilizia e architettura, riconsiderare la centralità del progetto quale sostrato insostituibile per il raggiungimento della qualità dello spazio, dare maggior possibilità di parola, e disegno, alle menti più giovani. Più in generale, chiediamo di investire di più in cultura architettonica e studiare ed osservare il mondo attorno a noi. Investire in termini di risorse economiche e umane, di spazi ed opportunità, di disponibilità e condivisione. Studiare per imparare da chi, ed è evidente, è più avanti di noi. Al contrario di Barcellona, Amsterdam, Monaco, Vienna, Salisburgo e di tante altre città, Bologna è citata, nel libro, solo una volta, in una riga, per ricordare che è famosa per il colore rosso dell’intonaco. Ci piace immaginare che, nella prossima edizione di City making, Bologna sarà ricordata per la sua nuova ed inaspettata ricomparsa nella cultura architettonica contemporanea. Per dirla con le parole di Landry, ci auguriamo che Bologna possa davvero “… sintonizzare il contemporaneo con il futuro”. Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

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Renata Codello

«Una maggiore consapevolezza del patrimonio passa attraverso l’istruzione. Diventa importante anche il coinvolgimento degli abitanti del nostro territorio»

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In qualità di Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna ci spiega quali complessità presenta un territorio così vario come quello veneziano?

La maggiore complessità consiste nel coniugare la tutela del patrimonio architettonico con la salvaguardia dell’ambiente lagunare e del paesaggio che lo caratterizza. A Venezia gli edifici sottoposti a vincolo sono moltissimi ed esigono quindi un controllo diretto, oltre le regolari autorizzazioni per gli interventi, da parte della Soprintendenza. In questo ambito è fondamentale la conoscenza delle tecniche storiche, dei materiali antichi e di quelli tradizionali, ma anche una vasta conoscenza di storia dell’architettura. Tutto ciò determina uno straordinario “paesaggio culturale” che per qualità delle fabbriche e per dimensione della città ha esso stesso valenza paesaggistica. Non solo, il contesto più ampio del paesaggio lagunare esige conoscenze di natura morfologica, idraulica e il riconoscimento degli eccezionali aspetti naturali e faunistici. La Laguna di Venezia è la più grande area umida d’Europa e, al contempo, l’area più artificialmente modificata. Le nozioni di paesaggio culturale e paesaggio naturale sono, quindi, inscindibili ed esigono una continua attenzione dato che la salvaguardia di entrambi è condizione della medesima attività conservativa.

L

Esiste un programma di valorizzazione del patrimonio culturale della città di Venezia?

La valorizzazione del patrimonio culturale della città di Venezia è compito delle Soprintendenze ma anche dei Comuni (sono otto i Comuni della gronda lagunare), Provincia e Regione. In tempi recenti è diventata sempre più stretta la collaborazione tra il MIBAC e gli enti territoriali. Si osserva un’aumentata sensibilità e un apprezzamento sempre più esteso dei beni architettonici e paesaggistici del nostro territorio. Tuttavia, andrebbe ancora aumentato l’impegno di tutti i soggetti, sia pubblici che privati, nel coordinamento delle iniziative e nella promozione delle qualità di questo straordinario territorio. Ciò permetterebbe un’“economia di scala” che in tempi di scarse risorse economiche darebbe sicuramente maggiori risultati sia in termini di tutela e salvaguardia del patrimonio che in termini di qualità della vita e fruizione turistica dei luoghi.

L

Lei in passato ha affrontato il tema dell’illuminazione dell’arte. Che tipo di competenze, accortezze e studi richiede la realizzazione di un progetto simile?

Il tema è particolarmente delicato perché l’illuminazione di un’opera d’arte coinvolge aspetti conservativi dell’opera stessa; possibilità di un’ottimale lettura delle opere esposte da parte dei visitatori; aspetti di costi e gestione degli apparati illuminotecnici e, infine, capacità progettuali ad hoc in grado di valorizzare sia le aziende produttrici di sistemi ad alta qualità che l’elaborazione dei progetti adeguati alle specificità degli spazi espositivi e delle architetture che le contengono.

L

Ci può spiegare brevemente la differenza tra conservazione e restauro?

Per conservazione si intendono tutte le azioni volte a eliminare e ridurre i processi di degrado che agiscono sui manufatti. Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un insieme di operazioni tecniche finalizzate all’integrità materiale e al recupero del bene medesimo. Va ricordato che l’art. 29 del Codice dei beni culturali richiama una concezione ampia del concetto di conservazione. Comprende sia l’attività di studio che la prevenzione, la manutenzione e il restauro. È un’idea moderna della conservazione che riconosce la validità di un’azione coerente coordinata e programmata ai fini della tutela del bene storico. Tende anche a ridurre i lavori di restauro a un numero sempre più ridotto di interventi.

L

Come si riconoscono gli stati di degrado di un oggetto architettonico?

Si riconoscono attraverso la fase diagnostica condotta sui manufatti. Si tratta di indagini (geometriche, chimiche, fisiche, biologiche, geognostiche, statiche, ecc.) in buona parte non distruttive e talvolta basate sul prelievo di campioni significativi per riconoscere e caratterizzare i fenomeni in atto.

Laureata allo IUAV, è stata professore a contratto presso la Facoltà di Architettura di Genova e di Ingegneria di Roma Tor Vergata. Attualmente è Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna. Autrice di numerosi saggi ha curato, con Roberto Masiero, il volume “Materia Signata-Haecceitas. Tra restauro e conservazione” (Milano, 1990). Ha pubblicato “Gli intonaci. Conoscenza e conservazione” (Firenze, 1996); “Il restauro dell’architettura contemporanea. Carlo Scarpa, Aula Manlio Capitolo” (Milano, 2000).

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Il costo dei restauri. Le sponsorizzazioni sono una gran risorsa, ma quali problemi sollevano?

Va detto che nei restauri si tratta prevalentemente di sponsorizzazioni pubblicitarie che, inevitabilmente, determinano un impatto sul contesto monumentale in cui ricadono. La pubblicità è oggi molto aggressiva e in contrasto con il rispetto e il decoro necessario nelle aree storiche. È un settore di per sé molto volubile e quindi difficile da disciplinare. Meno problemi pongono, invece, le sponsorizzazioni tecniche che prevedono la fornitura, a prezzi di costo, di materiali e/o attrezzature da impiegare negli interventi di restauro.

L

Cosa si intende per riattazione (riuso) nel caso di edifici storici?

Il riuso prevede la possibilità di cambiare la destinazione d’uso di un edificio introducendo modifiche molto contenute ovvero compatibili con l’assetto fisico della fabbrica antica.

L

In cosa consiste la conservazione preventiva?

Si tratta di un insieme di attività che hanno lo scopo di eliminare alcune cause di degrado che producono deterioramento dei materiali costituenti l’edificio. Possono essere sia interne, e quindi risolvibili con semplici azioni di manutenzione ordinaria, che esterne alle strutture dell’edificio (scarsa efficienza dei pluviali, temperature troppo secche o troppo umide per la conservazione degli edifici, presenza di deiezioni animali, ecc.).

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In Italia spesso si teme l’interruzione dei lavori da parte della Soprintendenza. Spaventano i tempi lunghi. Tempi spesso dovuti alla dolorosa scelta di cosa salvare, conservare o distruggere prima della ripresa dei lavori. Quali sono i principi che guidano queste scelte?

È ormai consolidata la posizione che gli interventi sul patrimonio esistente, sottoposto a vincoli storico-artistici, debbano essere di natura conservativa. Ciò significa che nella maggior parte dei casi è possibile progettare adeguamenti tecnici e funzionali scarsamente invasivi per le antiche strutture. Ne consegue che le modificazioni e le eventuali demolizioni debbano essere attentamente valutate e decise solo dopo aver svolto indagini conoscitive sul manufatto altrettanto precise. Accade, invece, che molti interventi sull’esistente siano fatti senza aver approfondito la conoscenza della fabbrica antica e quindi necessitino di verifiche in corso d’opera. Questa è una delle principali cause dei ritardi dei lavori di restauro. Un principio generale è quello che nessun nuovo intervento deve impoverire, ridurre, sottrarre elementi di qualità propri del manufatto ma, al contrario, ne dovrebbe valorizzare la significatività e dunque permetterne un maggior apprezzamento.

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Storia e paesaggio sono beni comuni. Come fare per stimolare una maggiore coscienza collettiva?

Lo sviluppo di una maggiore consapevolezza del patrimonio che abbiamo ereditato passa attraverso l’istruzione e la divulgazione dei messaggi in esso contenuti. Non solo, diventa importante anche il coinvolgimento degli abitanti del nostro territorio. Si tutela ciò che si ri-conosce, si difendono i beni capaci di suscitare senso di appartenenza ai luoghi e di identità culturale. Tutto ciò che appartiene al “paesaggio culturale” appartiene innanzitutto alle popolazioni che lo abitano.

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Quanto è importante la frase presente nella Carta di Venezia, documento guida per il restauro redatto nel 1964, “il restauro deve fermarsi dove ha inizio l’ipotesi…”?

Se l’intervento di restauro si allontana da una piena comprensione del testo materiale della fabbrica e diventa ipotesi progettuale elaborata autonomamente, nega la conservazione e la riconoscibilità dell’antico. In questo senso l’ipotesi progettuale può stravolgere e alterare per sempre il contesto originale.

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L’accortezza, il rispetto, la cura che c’è per la conservazione e il restauro di oggetti architettonici storici è la stessa che c’è per quelli moderni?

La consapevolezza dell’importanza di molte opere di architettura moderna è piuttosto recente. Con l’istituzione della Direzione Generale per l’Arte e l’Architettura Contemporanee nel nostro Ministero è stata riconosciuta la valenza dell’architettura moderna. A mio parere la tutela del patrimonio moderno ha bisogno di un approccio in buona parte differente da quello maturato per l’architettura antica. In sintesi segnalo, ad esempio, che molti materiali nell’architettura recente sono stati impiegati sapendo che avrebbero avuto una breve durata; spesso sono materiali di produzione industriale e in quanto tali riproducibili oppure non “restaurabili” perché costituiti da componenti di sintesi.

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Il restauro dell’architettura contemporanea. Tema da lei affrontato per l’Aula Manlio di Carlo Scarpa. Le difficoltà, i metodi, le norme, quanto cambiano in questo caso?

Una difficoltà di ordine generale riguarda il riconoscimento dell’interesse culturale di alcune opere. È molto raro che la comunità di storici, critici, conservatori dell’architettura sia unanime nel riconoscere la valenza di tali opere. Altri problemi nascono dall’effettiva capacità tecnologica di indagine e diagnosi del degrado dei materiali moderni. La produzione industriale, dal secondo dopoguerra ad oggi, è infinita e quindi difficile da indagare accuratamente. Talvolta sono disponibili i disegni esecutivi e quelli di cantiere ma spesso le realizzazioni sono molto diverse dal progetto. Si tratta di tecniche speditive che assumono i caratteri della sperimentazione e raggiungono il “limite di esercizio” delle strutture. I metodi devono essere ampiamente flessibili, l’approccio deve essere privo di pregiudizi e anche le norme, siano esse relative alle strutture, agli standard urbanistici o al Codice dei beni culturali, devono integrarsi in modo che nessun aspetto sia messo in secondo piano. In questo senso Carlo Scarpa è stato per me uno straordinario maestro che ritrovo continuamente nel lavoro con il figlio Tobia nel cantiere di ampliamento delle Gallerie dell’Accademia. (di Silvia Di Persio)

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PENSIERI.GLOBALI

Fulco Pratesi

«È importante capire che l'uomo non può essere un dominatore dell'ambiente in cui vive. Deve sempre rapportarsi e confrontarsi con ciò che già esiste» L

WWF Italia nasce nel 1966. A distanza di 43 anni, come sono cambiate le campagne sostenute dal WWF?

L'associazione è nata in una stanzetta nel mio studio di architetto grazie all'impegno di una ventina di persone e già dopo un anno contava 800 soci. Volevamo acquistare o affittare territori da proteggere per poter gestire un territorio naturale ben preciso: il primo è stato il lago di Burano nella Maremma toscana. Da allora la gente ci ha seguito e continua a farlo perché nota che facciamo cose concrete. Oggi le radici del WWF sono le stesse e siamo divenuti un'associazione di grande partecipazione, con 300mila soci. Riscontriamo una grande attenzione verso gli animali: tutte le volte che facciamo raccolte fondi dedicate all'orso marsicano o alle tartarughe otteniamo ottime risposte. Nel frattempo, continua l'impegno concreto nell'acquisizione e nella creazione di oasi protette che oggi sono già più di cento in Italia per oltre 30mila ettari.

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Per la prosecuzione di questo percorso, conta molto sulle nuove generazioni?

Attorno al WWF si è creata una simpatia diffusa da parte dell'opinione pubblica. Questo ha anche portato a un aumento di sensibilità verso gli animali del nostro territorio da parte delle nuove generazioni. Ci occupiamo molto dell'educazione di base dei giovani, senza la quale sarebbe difficile cambiare le cose in Italia.

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Nel 1960 lei si laurea in architettura. Perché si è dedicato alla protezione della flora e della fauna?

Sin da piccolo ho sempre avuto un grande amore per la natura e gli animali. Volevo studiare Scienze Naturali all'università, ma siccome disegnavo bene ed ero bravo in matematica, mi sono laureato in architettura. In seguito ho lavorato per anni come architetto progettando ville e abitazioni, tuttavia ero attratto dalla natura. D'estate i miei colleghi visitavano le grandi opere architettoniche in Europa mentre io andavo a cercare gli animali. Un anno trascorso in Sardegna a fare disegni di animali e piante per arredare un albergo della Costa Smeralda mi convinse a iscrivermi a Scienze Naturali dove arrivai a pochi esami dalla laurea prima che le attività del WWF prendessero il sopravvento.

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Che tipo di rapporto si crea fra le aree tutelate e i centri abitati limitrofi o inglobati all'interno di questi parchi?

Questa è una grande sfida che siamo riusciti a vincere in una realtà come il Parco Nazionale d'Abruzzo. Chi adesso visita quest'area si accorge di quanto la natura sia stata preservata conservando le opere umane preesistenti come i borghi storici che contribuiscono a rendere bello il parco. Durante i miei anni di progettazione di parchi nazionali e di aree paesistiche ho tenuto conto dell'integrazione fra l'opera della natura e quella dell'uomo se fatta con intelligenza, rispetto e sensibilità.

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Cosa consiglia agli architetti per limitare o impedire il rischio della cementificazione?

L'importante è cercare di fare capire che l'uomo non può essere un dominatore assoluto dell'ambiente in cui vive, ma deve sempre rapportarsi e confrontarsi con ciò che già vi esiste perché la natura ci sarà anche dopo di noi. Faccio spesso l'esempio di alcune contee inglesi dove non è permesso costruire nuove cubature se tutte quelle presenti non sono già utilizzate. Il dramma dell'Italia odierna è invece quello di un Paese che pur non aumentando per popolazione è cresciuto in maniera devastante per occupazione del territorio.

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Nel 2009 lei ha introdotto il decalogo del WWF in materia di architettura sostenibile affermando che un edificio ecologico deve essere innanzitutto “indispensabile”.

Sì, perché la casa più ecologica in assoluto è quella che non si costruisce, ma recupera cubature già esistenti e inutilizzate. In Italia abbiamo enormi spazi coperti da industrie o caserme abbandonate, mentre si continua a occupare il territorio con nuove case. Si parla molto di preservare i nostri monumenti e centri storici, ma non bisogna dimenticare il terreno che è una sostanza viva e ogni anno viene divorato da una coltre mortale di cemento e asfalto che annichilisce il territorio naturale per sempre. Dobbiamo pensare che un ettaro di terreno agricolo è in grado di dare in un solo anno 20-30 quintali di grano o altre colture. Ma se questo stesso terreno viene ricoperto dal cemento ecco che termina di essere produttivo. (di Carlo Vinciguerra)

Architetto, giornalista e illustratore, ha fondato il WWF Italia nel 1966 e ne è oggi il presidente onorario nonché il presidente del Comitato Scientifico Oasi. Dopo aver esercitato per anni la professione di architetto realizzando insediamenti abitativi è divenuto un apprezzato progettista di parchi e riserve naturali in Italia e all'estero. In passato è stato presidente di Lipu, consulente di Italia Nostra e membro della Consulta per la Difesa del Mare e del Consiglio Nazionale dell'Ambiente.

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PENSIERI.GLOBALI

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Ilaria Buitoni Borletti

«Preservare le nostre radici non significa escludere chi non le ha, ma mantenere e trasmettere l'espressione più alta dell'identità nazionale che è la nostra arte» L

Lei è stata recentemente eletta alla presidenza del FAI, cosa eredita dalla fondatrice Giulia Mozzoni Crespi, che l'ha preceduta in questo ruolo?

Eredito una straordinaria passione civile ed etica. Pensare che 35 anni fa una signora dell'alta borghesia milanese decidesse di dedicare tempo, risorse e lavoro per salvare il patrimonio artistico e culturale italiano mi sembra di per sé un insegnamento straordinario. Eredito una fondazione che è animata da questa passione civile e nella quale lavorano persone che hanno sposato lo scopo del FAI al 100%. Ma eredito anche una delle fondazioni più stimate a livello istituzionale che esistano in Italia. Porto avanti la possibilità di fare qualcosa di concreto che va oltre il salvare il singolo monumento, contribuendo a preservare un patrimonio culturale che è il simbolo della nostra identità.

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In questo 2010 il FAI festeggia il proprio 35° compleanno. Quali sono stati i più grandi successi raggiunti in questi anni e quali i maggiori tesori restituiti dal Fondo Ambiente Italiano al grande pubblico?

Fra i maggiori successi c'è il fatto di aver raggiunto gli 80mila soci, anche se siamo ancora lontani dai traguardi che il FAI meriterebbe. Inoltre, vi è il fatto di aver acquisito e ricevuto in concessione o donazione 38 proprietà fra le quali molte sono state restaurate e aperte al pubblico. Posso citare come esempi Villa Gregoriana e i suoi giardini che erano una discarica e oggi sono uno straordinario percorso a Tivoli, o il castello di Masino che è stato un restauro molto complesso e oggi è aperto al pubblico. Il maggiore successo del FAI è stato non solo quello di farsi conoscere dagli italiani, ma soprattutto quello di avere riportato all'accessibilità di tutti beni che in precedenza erano chiusi oppure si trovavano in uno stato di abbandono.

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Qual è l'iter da seguire per fare sì che un bene naturalistico o architettonico sia tutelato dal FAI?

Le possibilità sono due. La più frequente è quella di un privato che decide di lasciare un bene alla fondazione perché essa lo restauri, mantenga e apra al pubblico. Questo è avvenuto per il castello di Avio o la tomba dei Doria presso l'Abbazia di San Fruttuoso. Il secondo caso è quello rappresentato dal Parco Villa Gregoriana a Tivoli, ovvero di beni dati in concessione al FAI dallo Stato o da un ente pubblico affiché la nostra fondazione li restauri e li riapra per renderli fruibili ai visitatori.

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In che modo il FAI collabora con le istituzioni preposte alla tutela del patrimonio artistico e ambientale italiano?

Collaboriamo con gli organi statali che si occupano di tutela e salvaguardia del patrimonio artistico e ambientale, come le Sovrintendenze. Purtroppo la mancanza di mezzi e le leggi dello Stato non aiutano in questo senso. Né aiuta il trasferimento alle Regioni e ai Comuni di competenze in materia di tutela ambientale. Spesso, infatti, le istituzioni locali hanno necessità di fare cassa e se non si mantengono le redini della tutela in mano alle Sovrintendenze e al Ministero per i Beni Culturali questo bisogno può tradursi in una devastazione del territorio.

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Una netta maggioranza dei beni del FAI si trova al Nord. Come intendete estendere la vostra azione di tutela anche al Meridione?

Una delle strategie che perseguirò durante la mia presidenza è quella di estenderci nel CentroSud. Stiamo valutando in questo periodo l'acquisizione di due beni nel Meridione. Posso dire che siamo interessati a un bene architettonico in Puglia, un'abbazia che riteniamo essere di grandissimo interesse culturale e storico, e a un bene naturalistico in Calabria.

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Come si riescono a conciliare efficacemente la tutela del paesaggio naturalistico con quella del patrimonio architettonico?

Siamo entrati di recente anche nella conservazione della natura, un aspetto della nostra attività che intendiamo ampliare. Per storia e tradizione siamo più esperti nella gestione del patrimonio architettonico, così come i colleghi del WWF hanno maggiore esperienza nella gestione delle loro oasi naturalistiche. Detto questo, però, è anche vero che nostri beni naturalistici come la Baia di Ieranto e il Giardino Pantesco sono mantenuti in modo ineccepibile. (di Carlo Vinciguerra)

Rappresentante di una famiglia simbolo della borghesia industriale milanese, dal novembre 2009 è la nuova presidente del Fondo Ambiente Italiano, dopo essere stata presidente regionale del FAI in Umbria. Da anni la sua attività principale si rivolge al non profit, collaborando a onlus come AMREF, il Summit della Solidarietà e il Borletti-Buitoni Trust che si occupa di promuovere giovani concertisti nel mondo. Per dieci anni è stata volontaria in un centro ospedaliero del Kenya.

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E G N A L I

Ingresso della cripta del Mausoleo Marconi, a restauro terminato

IL RECUPERO DEL MAUSOLEO DI GUGLIELMO MARCONI A cento anni dall’assegnazione del Nobel per la Fisica a Guglielmo Marconi, il 12 dicembre 2009 in occasione delle Celebrazioni Marconiane in corso in tutta Italia con numerose iniziative e attività, è stato inaugurato un importante intervento di Restauro Conservativo promosso dal Comune di Sasso Marconi sotto l’Alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Bologna. I lavori sono stati eseguiti dalla ditta SOS Art, sotto la responsabilità di Carlotta Scardovi per quanto riguarda gli interventi di Restauro Conservativo dei paramenti murari esterni e da Essebiesse srl sotto la responsabilità di Simone Baiocchi, per le opere strutturali e impiantistiche, la pulitura e consolidamento delle scalinate in granito di accesso a Villa Griffone.

CENNI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

Il materiale costitutivo dei paramenti murari è in arenaria grigia, roccia di origine sedimentaria con numerosi inserti di conchiglie fossili. I paramenti murari erano gravemente danneggiati, lo stato di conservazione era assai degradato: diffusi su tutta la superficie i fenomeni di esfoliazione, distacchi a lastra e un grave processo di decoesione dei conci dovuti a erosione per scorrimento di acqua. L’andamento dello scorrimento dell’acqua era molto evidenziato da colate nere e formazioni di concrezioni. In particolare il lato esposto a nord era ricoperto da vistose colonie di microrganismi, muschi, alghe e licheni crostosi e gelatinosi. Sul lato sud sono state rilevate notevoli quantità di insetti che avendo nidificato al di sotto di spaccature o la-

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NUOVI.RESTAURI 1

stre già distaccate, hanno determinato un peggioramento dei fenomeni di sfaldamento della pietra. INTERVENTI ESEGUITI

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1. Particolare con evidenti fenomeni di forte decoesione ed erosione. 2. Sigillatura delle crepe su lastre completamente distaccate, intervento preventivo al consolidamento. 3. Tassello di pulitura effettuata con microsabbiatrice ed inerte minerale naturale Garnet. 4. Recupero della bicromia dei ciottoli del piazzale davanti all’entrata della cripta

Dopo un’attenta analisi dello stato di conservazione, dei materiali e delle tecniche costruttive, in accordo con la Direzione Lavori, si è proceduto con un intervento di restauro di tipo conservativo atto a conservare quanto più possibile le parti ammalorate per evitare un appiattimento dei volumi del bugnato del paramento murario. Una prima fase di preconsolidamento con iniezioni resina acrilica in soluzione acquosa al 5% e sigillatura di fessure con iniezioni di malta a base di calce. Pulitura con microsabbiatrice con inerte Minerale Naturale Garnet per rimuovere le croste nere e le colonie di licheni. Al termine della pulitura un trattamento ulteriore contro la microflora con benzalconio cloruro al 3% in acqua deionizzata. Le numerosissime fessure sono state stuccate a livello con l’ausilio di piccole spatole utilizzando malta a base di calce e sabbia fine con aggiunte di pigmenti in polvere per ottenere la giusta colorazione. Le lacune dell’iscrizione sono state ritoccate con pigmenti e legante acrilico. Il trattamento finale di protezione è stato effettuato con Idrosil Plus, idrorepellente consolidante in alcool isopropilico per superfici lapidee. Le pareti con esposizione a nord sono state trattate con Idrosil Plus con aggiunta di algochene ad azione preventiva contro la microflora. L’intervento di restauro ha

consentito di bloccare il grave degrado della pietra, ma si rende opportuno un monitoraggio nel tempo, prevedendo interventi manutentivi successivi, che rallentino l’inevitabile degrado dovuto ad agenti atmosferici e climatici. CAUSE DEL DEGRADO

Il degrado dei materiali inorganici quali materiali lapidei è dovuto a fattori chimici e fisici. Fattori metereologici e di esposizione, influiscono sull’arenaria in particolare quando presenta una superficie ruvida e lavorata e aiutano lo sviluppo biologico di microrganismi quali alghe e cianobatteri, funghi e licheni che si sviluppano all’interno di fessure o spaccature, colonizzando piccole cavità, causando alterazioni come croste nere, patine, fenomeni di polverizzazione ed esfoliazione. Tali meccanismi di biodeterioramento causano danni di tipo meccanico e chimico: diminuzione di coesione attraverso cicli di disidratazione e imbibizione, congelamento e scongelamento, produzione di acidi organici e composti chelanti. Infine danni di tipo puramente estetico. OBIETTIVI RAGGIUNTI

Gli interventi effettuati secondo il progetto dei tecnici del Comune aveva come obiettivo il restauro e la valorizzazione del luogo. Migliorare la fruibilità del luogo attraverso il riordino del percorso pedonale partendo dalla nuova pavimentazione del piazzale ovest. La pulitura dell’acciottolato di accesso ha consentito di riportare alla luce la bicromia dei ciottoli che, secondo il disegno del noto urbanista Piacentini, scandisce ritmicamente la gradinata del corsello centrale ed amplifica il rigore e i volumi del piazzale rialzato all’entrata della cripta. In secondo luogo potenziare la visibilità con un nuovo impianto di illuminazione, composto da corpi illuminanti ad incasso nel piazzale ovest e lungo tutto lo sviluppo del corsello pedonale di accesso. SOS Art - Conservazione e restauro di Opere d’Arte via San Pier Tommaso, 20/E - 40139 Bologna, www.sosart.it tel. 051/8554276 - cell.339/5265343

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ENERGIA.PULITA

IL FUTURO VIENE DAL SOLE

Nasce il fotovoltaico di nuova generazione che cattura tre fasci di luce. Una possibile risorsa per i nuovi impianti a energia solare. Affrontiamo l’argomento con il Professor Giuliano Martinelli, ordinario di Fisica all’Università di Ferrara

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Giuliano Martinelli

’interesse per il fotovoltaico aumenta. La ricerca sul tema è costante e diversicata, nel senso che la logica cambia e i risultati altrettanto. E proprio per questo, i dati scientifici a volte risultano difficili da confrontare tra loro. Comunque lottare per un’energia che sia il meno inquinante è la strada da seguire. Trasformare la propria abitazione in una centrale elettrica, o finanziare i parchi fotovoltaici potrebbe essere la risposta giusta per mantenere l’impegno con l’Europa, e garantire, entro il 2020, il 12% di fonti energetiche solari. Uno dei punti di forza della ricerca in questo settore è rappresentato dal dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara. In questa sede stanno sperimentando il fotovoltaico di nuova generazione che cattura tre fasci di luce. «Noi lavoriamo per abbattere i costi», ci spiega il professor Giuliano Martinelli, caposcuola del fotovoltaico italiano e Responsabile del laboratorio sensori e semi conduttori del dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara. «Ritengo tuttavia che a fornire dei numeri debba essere l’industria. Il nostro ruolo di ricercatori non può essere confuso con la produzione industriale, su cui non abbiamo competenze adeguate. Noi dobbiamo presentare dei progetti e consentire all’industria di valutare le potenzialità della produzione e i relativi costi». Domanda. Professor Martinelli, ci spiega la differenza tra pannello solare termico e pannello solare fotovoltaico? Risposta. Il pannello solare termico sfrutta la radiazione solare per ottenere calore. Il pannello solare fotovoltaico converte invece la radiazione solare direttamente in energia elettrica. Ciò avviene creando elettroni dai fotoni di cui è composta la luce. D. All’interno del Polo Tecnologico dell’Università di Ferrara lei ha creato un gruppo che si occupa di fotovoltaico. Ci illustra il 34 DESIGN +

progetto che sta suscitando tanto interesse: il pannello fotovoltaico a concentrazione? R. Il gruppo che si occupa di fotovoltaico (PV) è composto da una decina di persone, con inoltre molte collaborazioni esterne sia di enti di ricerca che di industrie. Il progetto, che abbiamo iniziato una decina di anni fa, si basa sulla ricerca di un possibile impiego dello stesso per scopi “energetici”. L’esigenza di produrre energia elettrica su vasta scala è alla base di questa tecnologia, volta ad assegnare al PV pari dignità rispetto ad altre forme come quella idroelettrica, nucleare e altre. Questo progetto prevede l’intervento delle Istituzioni. A nessuno verrebbe in mente di installare centrali nucleari o approvvigionamenti di gas o petrolio senza un intervento dello Stato. L’Italia è il Paese del sole, e non possiamo perdere questa opportunità. D. Facendo un parallelo tra il fotovoltaico a concentrazione e il fotovoltaico che attualmente l’Enel consiglia, quali sono le sostanziali differenze? R. Le differenze sostanziali si possono riassumere in quattro punti: 1) concentrando la luce del sole serve molto meno materiale semiconduttore. Ad esempio, concentrando la luce solare con un fattore di concentrazione 300, serve un’area di “celle” 300 volte inferiore. Questo fa sì che la disponibilità di materiali semiconduttori diventi sufficiente anche per quantitativi energetici elevati. Con la tecnologia convenzionale basata su pannelli piani di silicio, la produzione mondiale di polysilicon (su cui si basa l’industria elettronica e quella fotovoltaica) non basterebbe neppure a produrre l’1% del solo fabbisogno energetico nazionale (pari a circa 350 milioni di MWh/anno). Si evince pertanto che se si vuole portare il PV a pari dignità con le altre forme di energia,


Foto tratte dal testo “Ernesto Nathan Rogers e la costruzione dell’architettura” a cura di De Poli A. e Visentin C.

cioè in torno al 10% del fabbisogno nazionale, è necessario ricorrere a tecnologie innovative, tra cui ritengo quella a concentrazione come la maggiore candidata. 2) La concentrazione, consentendo un consumo molto limitato di materiale semiconduttore, permette anche l’utilizzo di materiali diversi dal silicio. Infatti, ogni materiale semiconduttore è in grado di convertire in energia elettrica solo una parte della radiazione solare, mentre tutto il resto si trasforma in calore. Ad esempio, le cosiddette multigiunzioni sono costituite da una serie di materiali in forma di film sovrapposti molto sottili, ognuno dei quali è in grado di assorbire utilmente (trasformando la radiazione in elettroni) una particolare frazione dello spettro solare. Questo aspetto è importante in quanto consente di raggiungere efficienze molto più elevate, riducendo così gli spazi necessari e, dato il consumo molto contenuto di materiali pregiati, di ridurre i costi. 3) Rispetto alle multigiunzioni bisogna evidenziare che, poiché i semiconduttori che le compongono sono in serie, esse si comportano molto bene per applicazioni spaziali, dove lo spettro solare rimane costante, ma non altrettanto per applicazioni terrestri, dove lo spettro solare è soggetto a variazioni sia di luogo che di tempo. Nel nostro laboratorio è stata pertanto messa a punto una tecnologia che separa la radiazione solare (come fa l'arcobaleno), inviando delle frazioni di spettro ben definite su materiali in grado di assorbirle correttamente e che, essendo disposti in parallelo, non si influenzano negativamente tra loro. 4) Dato che il supporto su cui si depositano i film è composto da germanio monocristallino, materiale sia raro che costoso, abbiamo messo a punto una tecnologia che consente di depositare, da fase gassosa, uno strato sottilissimo di germanio cristallino su supporto

di silicio. Ciò, oltre a superare il problema della quantità limitata di germanio disponibile, ne riduce anche drasticamente il costo. È comunque da sottolineare che l’ENEL non si oppone al fotovoltaico a concentrazione, anzi partecipa a progetti rivolti a un suo impiego. D. Il Ministero dello Sviluppo Economico, sotto la guida del Ministro Bersani, ha istituito un progetto finanziario per innovare il sistema industriale, Industria 2015, al quale il suo gruppo ha partecipato. Nel gennaio 2009 siete stati esclusi da ogni possibile finanziamento. Perché? R . È fondamentale coinvolgere in processi così complessi la grande industria. Noi ci siamo appoggiati alla St Microelettronica come coordinatore e insieme con loro e diverse altre industrie ci siamo candidati al bando di concorso nel settore energia. Purtroppo le nostre attese sono state deluse. Non si capisce bene quali siano state le logiche, tanto è vero che il 22 gennaio 2009 è stata presentata un’interpellanza parlamentare da parte del PD, riguardante l’Agenzia incaricata di valutare i progetti, i cui membri sono stati sostituiti dall’attuale Governo poco prima dei pronunciamenti. Non mi piace pensare male, criticare la solita Italia, però non nascondo che sono demoralizzato. Mi sembra che l’Italia non sia capace di reagire e di rispondere adeguatamente a questa crisi e a questo bisogno di energia che è evidente. Il nostro non è un progetto di pura ricerca, abbiamo realizzato prototipi dei dimostratori, sono state fatte valutazioni precise, non è possibile sostenere che la nostra proposta sia priva di interesse. Non sono mai state rese note da alcuno le motivazioni della esclusione o accettazione dei progetti presentati. Noi e numerose industrie siamo comunque decisi ad andare avanti, in quanto la tecnologia c’è, ci DESIGN + 35


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ENERGIA.PULITA sono ottimi ricercatori e inoltre si potrebbe costruire una filiera interamente italiana. Quello che manca, almeno per ora, è la volontà di fare sul serio da parte di chi deve indicare delle direttive concordate con gli attori riconosciuti da tutti come validi esperti nei vari settori energetici. D. Secondo gli impegni presi in Europa, entro il 2020 il 12% del mix energetico dovrà venire dal solare. Questo aiuterà la ricerca sul fotovoltaico? R. Se si accetta l’idea di realizzare sistemi effettivamente energetici, ritengo proprio di sì. Basti pensare infatti che si consumano mediamente tre tonnellate di petrolio all’anno, ed essendo in 60 milioni di persone, un banale conto ci consente di verificare che spendiamo circa 90 miliardi di euro all’anno per il petrolio. Risparmiando un 10%, avremo un risparmio annuo di circa 9 miliardi di euro, alla faccia della impossibilità di assumere giovani ricercatori. Tra l’altro vorrei aggiungere, dopo tutte le esperienze all’estero, che i nostri ricercatori sono certamente tra i migliori al mondo, solo che non sappiamo impegnarli in progetti di ampio respiro, come ad esempio potrebbe essere questo. D. Quando il fotovoltaico a concentrazione potrà essere prodotto? R. Oggi posso affermare che una grande azienda pubblica ha chiesto un’offerta significativa per un sistema a concentrazione con separazione spettrale e un’azienda italiana è pronta ad accoglierla. Credo che i termini temporali prevedano di iniziare l’installazione entro il 2010. Questo dovrebbe agevolare la concessione di incentivi anche per il PV a concentrazione che, paradossalmente, ne è tuttora escluso, causa anche questa di una ritardata iniziativa produttiva. D. Lo scorso luglio è stato pubblicato il decreto sulla certificazione energetica degli edifici. Quanto tempo ci vorrà prima che le abitazioni e le strutture italiane risultino adeguate al risparmio energetico? R. È mia impressione che molti decisori pubblici comincino ad effettuare delle valutazioni come quelle riportate sopra, e quindi siano in attesa di comprendere meglio le potenzialità di queste iniziative. Quando molti anni fa, lavorando negli Stati Uniti, ci dedicavamo al PV, simile a quello convenzionale, lo scopo era RICEVITORE CONCENTRATORE

INSEGUIMENTO

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Schema del sistema fotovoltaico a concentrazione dicroica

Concentratore

Cella InGaP Dicroico 1 Cella GaS Dicroico 2 Cella Si

quello di realizzare piccole stazioni autonome per i soldati nel deserto, in particolare in Arabia Saudita . Nessuno si curava di applicazioni come abitazioni ecc., non solo perché allora i costi del petrolio erano molto bassi, ma anche per tutte le ragioni sopra esposte. L’aumento del costo del petrolio, la consapevolezza dell’inquinamento associato, la preoccupazione per la dipendenza da Paesi stranieri e anche il timore della mancanza, in tempi non molto lontani, del prezioso oro nero hanno spinto i vari Paesi a cercare soluzioni diverse. Alcuni, come noi, consapevoli della inadeguatezza dei sistemi proposti per applicazioni di potenze elevate, hanno iniziato ricerche innovative che spero diano i risultati sperati. D. Sappiamo che ci sono altre università italiane che fanno ricerca sul fotovoltaico. È ingenuo pensare che ci possano essere delle collaborazioni? R. Il fabbisogno di energia elettrica nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti. Sole, vento, geotermia, idroelettrico, moti ondosi e altro sembrano necessari per limitare l’indispensabile utilizzo di petrolio. Appare pertanto evidente la necessità di collaborazione tra le varie Università ed Enti di Ricerca. Noi siamo impegnati con molti di questi centri. Dirò solo che, rimanendo nel solare, molte iniziative sono complementari. Con alcuni centri stiamo sviluppando nuovi materiali per efficienze più elevate e/o costi inferiori, con altri si cerca di ottenere materiali dicroici ottimali per la separazione spettrale, con altri ancora stiamo sviluppando sistemi a concentrazione anche per applicazioni termiche ma a temperature elevate, per cui anche problematiche legate alla climatizzazione degli ambienti potrebbero trovare un’adeguata soluzione. Da ultimo accenno a una ricerca in corso per un adeguato sistema di accumulo, indispensabile per coprire utilizzi energetici anche all’infuori del 10%. L’idrogeno potrebbe essere un buon candidato. A tale scopo ricordo che l’idrogeno serve per accumulare energia, non per produrla, come alcuni pensano.


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Sotto: Alice Leonardi, “Grattaluce”, lampada da tavolo realizzata con grattugia da formaggio chiusa ai lati con gelatina gialla. Al centro: Maurizio Lamponi Leopardi, “Lambretta New 1”, manubrio e nasello del modello Lambretta 175 TV del 1962. A destra: 13 Ricrea, “Lampade Tree“, a basso consumo in rete metallica, legno e ceramica

Dare la luce grazie ai vecchi materiali. E non parliamo di semplici lampade, ma di pezzi originali, unici e innovativi. L’eco-compatibile, dunque, come nuova frontiera della creatività made in Italy

NUOVA ETICA DEL DESIGN

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luce fu. Riciclata. Non la luce, ma le lampade che la emanano sicuramente sì. Si parla di creazioni uniche e di design, ma di un design ecocompatibile che sviluppa prodotti in materiale riciclato. Sono sempre di più i designer che decidono di affrontare questa nuova sfida: il design etico, trasformando le problematiche ambientali in opportunità economiche. In natura il concetto di rifiuto non esiste, quello che viene scartato viene sempre, in qualche modo, assorbito dall’ambiente e rimesso in circolo. Ecco, il concetto è esattamente lo stesso: prendere oggetti usati, magari buttati in una discarica, e reinventarli, trasforman-

doli in qualcosa d’altro, in questo caso in oggetti che emanano luce, lampade e lampadari ma non solo, perché la luce ha un’enorme forza creativa e le sue potenzialità possono essere messe in atto da prospettive differenti. Cosa spinge un designer a declinare le sue capacità e la sua creatività nelle tante possibilità che offre il riciclo? «Crediamo che il futuro si possa e si debba costruire con il materiale esistente e con lo scarto, visto che non facciamo che creare spazzatura di cui non sappiamo disfarci». A parlare è Ingrid Taro che, insieme ad Angela Mensi e Cristina Merlo, ha fondato, nel 2007, 13 Ricrea, un gruppo di designer che si dedica completamente alla

reinterpretazione di materiale destinato al disuso, all’abbandono e al macero. «Basta farne un uso intelligente – prosegue – e flessibile, creando in talune occasioni piccole industrializzazioni e facendo scelte alternative per altri materiali che nel tempo cambiano la loro produzione». In pratica lo scarto e l’avanzo possono divenire una vera e propria risorsa. Quello che vediamo passeggiando per strada, oggetti abbandonati che creano degrado e sporcizia, possono essere visti da prospettive diverse. Con consapevole riutilizzo tutto questo può essere riciclato ad arte ed essere pronto per vivere una seconda vista del tutto diversa, per forma e funzione, dalla prima. DESIGN + 39


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ECO.DESIGN

In alto: Raffaella Bandera, particolare della lampada da soffitto “Cantadores”, costruita con rame, vetri rotti, bastoncini da caffé, bottigliette di plastica, pezzetti di alluminio. Sopra: Stefano Fanti, lampadario “Eclissi” (1996), realizzato con un cestello da lavatrice, uno specchio e del vetro; misura 130 centimetri di altezza per un diametro di 55 centimetri. A fianco: Paolo Ulian, “Bartolo” (1998), realizzato con un barattolo di vetro per conserve. Al suo interno dieci metri di cavo elettrico che eterminano il colore della lampada

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È come dare una seconda occasione agli oggetti. Lo spiega con chiarezza Stefano Fanti, designer bolognese: «mi piace assemblare oggetti di varie forme e crearne di nuovi che non abbiano più nulla a che fare con quelli di partenza. Amo pensare al principio per il quale nulla si crea o si distrugge ma tutto si trasforma. Questo mi dà la forza creativa che riverso nelle mie opere». Per la maggior parte di questi designer, dunque, il riciclo è una scelta consapevole: tutto quello che viene sottratto al degrado e all’abbandono non peserà più sul nostro futuro ma verrà valorizzato dall’ingegno di chi lo ricicla. Ma non è così per tutti. Per alcuni c’è solo il grande fascino delle cose abbandonate e scartate, che nascondono un grande potenziale da scoprire. C’è il fascino di luoghi, oggi sempre più rari da trovare, «dove giaceva la storia abbandonata di quegli oggetti che avevano fatto parte per almeno 50 anni delle case degli italiani». Racconta Maurizio Lamponi Leopardi, artista che si dedica alla creazione di lampade con oggetti riciclati. «Da questa passione è nata la mia voglia di salvare quelle forme bellissime – prosegue – e l’unica maniera era quella di ridare loro una nuova funzione. E così ho fatto. Non si è trattato di voglia di riciclo, che oggi va molto di moda, ma di puro amore per la forma che, secondo me, non doveva andare persa. La forma delle mie lampade nasce dal volere comunque mantenere slegato l’oggetto da tutto ciò che è supporto per permettergli di rimanere il punto focale della lampada». Quando il desiderio di riciclo, che derivi da un senso di responsabilità etica o dall’amore nei confronti di ciò che sembra morto ma non lo è, si unisce alla passione per la luce e all’abilità di un designer capace, gli oggetti rinascono illuminandosi e illuminando. E i punti di luce appaiono come una sorta di sublimazione del riciclo, quasi a significare la rinascita per eccellenza. E luce fu, appunto. La luce non contrasta solo il buio: con la luce si può giocare, si può colorare, si può spe-

rimentare. Prendere oggetti che servivano a tutt’altro e farli diventare luce vuol dire: «riabilitare un oggetto a una vita funzionale nella realtà degli umani, seguendo nuove razionalità. È un piccolo gesto di ribellione». Così la vede Alice Leonardi, anima creativa dello studio Le Alici. E prosegue: «la consapevolezza del valore delle cose e del loro potenziale crea la capacità di utilizzare come risorsa ciò che è di norma considerato scarto». Dietro ad ogni lavoro che coniuga l’etica del riciclo alla forza della luce, si nascondono idee, lavoro artigianale, sperimentazione, originalità e stile. Non stiamo parlando di semplici lampade o lampadari, oggetti impersonali e di serie, stiamo parlando di oggetti unici dal design innovativo le cui linee sono morbidamente sottolineate dalla luce. La luce esalta i colori e i materiali, come racconta Raffaella Bandiera, autoproduttrice (come si definisce) di oggetti di design: «quando, tempo fa, mossa da una naturale curiosità, decisi di sperimentare la lavorazione di resine e gomme siliconiche non sapevo dove sarei arrivata, l’interesse per la luce è venuto da sé. È stato un fantastico mezzo per esaltare le trasparenze, la pigmentazione e la densità di questi materiali. E anche successivamente, quando mi sono interessata maggiormente al riciclo, la luce è rimasta una componente essenziale del progetto che trasforma e impreziosisce anche il materiale più povero e negletto. Ultimamente sto sperimentando oggetti illuminanti creati con lane di riciclo, e anche in questo caso è come se la luce riuscisse a mutare l’essenza stessa del materiale». Quando i designer creano riciclando, è evidente che l’oggetto riciclato e il materiale di cui è fatto diventano centrali. Gli occhi del designer vedono oltre quell’oggetto, lo vedono già trasformato nella forma o semplicemente nell’uso, vedono già quello che sarà, la sua nuova vita. Vedono già quale potrebbe essere il suo riuso in chiave attuale. Ormai sta prendendo sempre più piede un modo diverso di vivere casa, un po’ di eco consapevolezza l’abbiamo maturata tutti. Ecco perché questo made in Italy eco – compatibile potrebbe realmente diventare la nuova frontiera dell’arredamento. (di Cristiana Zappoli)


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TRAS.FORMARE

IL NUOVO CINEMA ALFA

È

un’auto d’epoca, una berlina del 1974. È un modello dell’Alfa Romeo, la 2000 per la precisione. Presentata nel 1971 e prodotta fino al 1977 nello stabilimento di Arese, ha carrozzeria e interni mutuati, con qualche piccola modifica, dal modello 1750, con una motorizzazione diversa. Nuovo frontale con quattro fari di uguale diametro e scudetto Alfa allargato, nuove borchie copriruota con bulloni a vista, fanaleria posteriore ingrandita e nuovi interni, con plancia e strumentazione più imponenti e pretenziose e finiture superiori alla 1750. In giro se ne vedono pochissimi esemplari. E sicuramente nessuno di loro è “modificato” come la berlina in questione: color verde pino, 132 cavalli per 5500 giri al minuto, ha cinque marce e freni idraulici. Quando l’hanno costruita costava

2.295.000 lire e sicuramente né il designer né gli ingegneri che se ne sono occupati potevano immaginare che un giorno sarebbe diventata una sala cinematografica! Oggi questa Alfa 2000 è diventata la Cortomobile, il più piccolo cinema al mondo, l’unico in Italia che si muove su quattro ruote e l’unico al mondo pensato all’interno di un’automobile. Il progetto, che ha visto la luce nel 2006, è appannaggio della Hulot Distribuzione, e l’ideatore è Francesco Azzini, filmaker e fonico fiorentino. La sua Cortomobile può arrivare ovunque e per iniziare la proiezione (rigorosamente solo di cortometraggi della durata massima di 7 minuti che si possono scegliere da un menù creato ad hoc) basta parcheggiarla dove è possibile arrivare ad una presa elettrica

Foto di Serena Zanzu

Foto di Marco Foresti

Il più piccolo cinema al mondo. Una vecchia Alfa Romeo 2000 diventa una mini platea. Il design si misura con un cult della storia dell’automobile italiana

(magari chiedendo “ospitalità” a un negozio o a un bar) e può accogliere fino a due spettatori comodamente adagiati sulla seduta posteriore color biscotto. I tendaggi sono bordeaux, nella “sala” non si può fumare e l’uscita di sicurezza è segnalata sulla portiera sinistra. Una maschera in carne e ossa invita gli spettatori ad accomodarsi e un esperto di cortometraggi vestito in smoking aiuta nella scelta dei titoli da vedere. Tutto è come al cinema, solo in formato automobile. Buona Visione! (di Cristiana Zappoli) DESIGN + 43


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LUOGHI.URBANI

LA CASA DELLA CULTURA Ex edificio industriale progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi. Ex Centro Studi del CSAC. Un edificio che, sotto la mano degli MBM Arquitectes, diventa volano per la riqualificazione di tutta l’area circostante di Mattia Curcio

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a città di Parma, l’antica capitale del Ducato di Parma e Piacenza, attuale sede dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha dato il via all’approvazione del progetto per il risanamento dell’edificio, appartenente ad un recente passato industriale, che ha ospitato le attività del CSAC, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’università di Parma. Il progetto in questione partecipa a un piano di riqualificazione urbana decisamente più ampio che cerca di rivalutare quei contesti cittadini periferici e dai caratteri identitari oramai sbiaditi. MBM Arquitectes, e cioè Josep Martorell, Oriol Bohigas, David Mackay, Oriol Capdevila, Francesc Gual, i curatori di questo progetto, è uno studio formato da grandi nomi internazionalmente conosciuti, ma con un loro metodo di lavoro alquanto

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singolare che si basa sul controllo di tutto il progetto da parte di tutti e cinque i soci. Così è stato anche per questo caso che presenta un’importante peculiarità: il recupero del padiglione progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi. L’edificio, ovviamente, era caratterizzato da una copertura molto ampia, frutto della convinzione dell’ingegner Nervi che l’ubbidienza alle leggi della statica fosse garanzia di una adeguata risposta estetica . La logica progettuale della proposta degli MBM non segue i principi del risanamento conservativo, infatti manterrà la cupola, tipico elemento della progettazione nerviana e le facciate originali di altri due corpi di fabbrica, ma rivede completamente l’ambiente o meglio il vuoto, al di sotto della grande copertura. La cupola suggellerà il nuovo progetto: un concatenarsi di volumi dalle fattezze morbide ma severe che

articolano diversamente lo spazio all’interno del capannone. L’edificio denominato comparto A, dall’impostazione orizzontale, ospiterà gli esercizi commerciali al piano terra e gli uffici al piano superiore. La “Casa della Cultura”, così si chiamerà tutto l’insieme di volumi posti sotto la protezione della grande copertura, sarà aperta, permeabile e flessibile a molteplici usi e attività. Internamente lo spazio sarà ottimizzato e i diversi livelli intermedi spezzeranno e moduleranno le doppie altezze presenti. L’edificio, pensato per ospitare numerose attività legate al pubblico, come laboratori, auditorium e spazi teatrali, sarà caratterizzato da grandi spazi aperti, terrazze e forme avvolgenti. Ognuno di questi spazi avrà una distribuzione interna pensata in modo tale da essere completamente indipendente dall’altro. Il sistema di accessi infatti è stato progettato


così che le diverse parti possano entrare in relazione tra loro, come un unico grande organismo, oppure organizzarsi per un funzionamento autonomo e indipendente. Anche quest’edificio sarà servito da un parcheggio sottostante articolato in tre livelli per un totale di circa 4.300 mq. L’inizio dei cantieri è previsto verso la metà del 2010, e la fine dei lavori per il 2011. Il costo complessivo sarà di 10milioni di euro. Il risultato, se così si può dire, è un’operazione da tremila metri quadrati variamente sfruttati. I lavori che coinvolgono il riassestamento di tutto il quartiere sono già cominciati. Alla fine del 2010 il quartiere avrà pertanto acquisito un nuovo volto, pensato a misura di cittadino, con strade, marciapiedi, piazze, nuclei di verde, un’accurata illuminazione, le piste pedonali e ciclabili e i parcheggi. Prima di cominciare la costruzione di questo nuovo progetto il comune si è fatto carico di un nuovo piano programmatico: 1. La realizzazione di un nuovo asse stradale di collegamento tra via Pasubio e via Palermo caratterizzato da un andamento sinuoso che andrà a definire tutte le infrastrutture sopra descritte. Attraverserà l’intero comparto e sarà dotato di percorsi pedonali, di pista ciclabile, di ampi parcheggi pubblici e di superfici che fungono

da galleria commerciale “en plein air”. 2. La costruzione di una grande piazza urbana in posizione centrale rispetto all’intervento, contraddistinta da un originale elemento di arredo urbano: una grande pergola sostenuta da pilastri luminosi con funzione di lampioni, che illumineranno i lati su cui si affacceranno esercizi commerciali e caffetterie. 3. La nascita di un parco attrezzato a est della nuova piazza corredato da una fontana: una zona verde e alberata, ideale per lo svago e il relax. 4. L’edificazione di un parcheggio pubblico interrato che si estenderà su due livelli lungo il tracciato della nuova strada e che conterà circa 300 posti auto complessivi.

A sinistra: plastico dell’intero progetto. Veduta del prospetto retrostante. In alto: immagine ricavata dal rendering . Si scorge il nuovo volume posto sotto la copertura progettata da Nervi. In basso: rendering di tutta l’opera. Si leggono tutti i volumi inseriti nel vecchio edificio industriale

Il progetto dell’intervento, oltre a rispondere alle esigenze dei cittadini, si fa carico di fondere funzionalità, estetica e qualità. L’obiettivo è che l’intera opera di riqualificazione urbana funga da motore di sviluppo e rilancio per un quartiere periferico che oggi di fatto potrebbe sentirsi inserito nel cuore pulsante della città. Un quartiere in cui gli artisti di Parma potranno frequentare laboratori permanenti tenuti dai più affermati esponenti del panorama nazionale: teatro, cinema, fotografia, animazione e altro ancora. Una sorta di “bottega dell’arte del terzo millennio”, così l’ha definita il sindaco della città, in cui apprendere e poi mostrare i frutti dell’apprendimento.


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PROGETTI.IPOGEI

UNA RESIDENZA NEL PARCO

A Bologna linee morbide e flessuose per il progetto dell’ampliamento della residenza sanitaria ad opera dell’arch. Andrea Trebbi. L’inserimento nel sottosuolo mimetizza la nuova struttura con il paesaggio collinare del Parco dei Gessi di Giuliano Cirillo

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SCHEDA

Nella pagina a fianco, sopra: planimetria generale. Sotto: vista da nord-ovest. L’estensione collinare contiene il corpo di ampliamento. In questa foto:prospetto nord. La quinta che distingue il corpo di ampliamento anticipa l’esistente Residenza

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a Residenza Sanitaria-Riabilitativa Eugenio Gruppioni in Val di Zena, all’interno del Parco Naturale Regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa, è un progetto che Andrea Trebbi elabora e dirige tra il 1997 e il 2003. L’opera si colloca all’interno di un comprensorio territoriale protetto, il più incontaminato dell’assetto collinare bolognese, e tale situazione ne influenza significativamente l’architettura. Quattro anni dopo, la proprietà della Residenza Gruppioni chiede a Trebbi di pensare ad una soluzione di ampliamento. Non appartiene alla vocazione dell’architetto bolognese la prestazione («peraltro - commenta-, richiestami raramente») di riesaminare le proprie architetture; addirittura, egli confessa la dichiarata riluttanza a rivisitarle per il timore di constatare alterazioni, preferendo, conseguentemente, memorizzarle all’atto del loro completamento. «Però, nel caso specifico, era esclusa ogni interferenza tra la Residenza Gruppioni e il

suo ampliamento -afferma Trebbi-, perché il repertorio urbanistico-normativo e il programma operativo predisposto dal committente non potevano che designare, per l’ampliamento, un’interpretazione isolata e autonoma. Pertanto, l’attività progettuale sul riscontro tra le due parti segnalava chiaramente di doversi limitare all’indagine sulle sole tematiche legate alla loro relazione fisica, e indicava, piuttosto, di concentrare in modo totalizzante l’attenzione sulla nuova architettura e sulla sua compatibilità con l’esigente ambientazione naturalistica del luogo». L’esito di queste prestazioni ha infine generato la configurazione di un’opera completamente sotterranea, nella quale il piano più alto è complanare al piano interrato della Residenza, articolata, al contrario, su tre livelli fuori terra: l’unica espressione del corpo di ampliamento rilevabile dagli estranei è rappresentata dalla lunga quinta trasparente, il cui svolgimento plagia il pre-esistente crinale rivolto a nord, assumendone il movimento

Progettazione Andrea Trebbi Collaboratori architettura: arch. Rita Garuti; ingegneria: ing. Filippo Ospitali; impianti ed energia: ing. Giuseppe De Luca, Sinertec srl; acustica e verifica di sostenibilità dell’intervento: Eco-Ter srl Luogo Pianoro, loc. Osteria Inizio dei lavori settembre 2010 Committente/proprietà Clas Immobiliare srl, Pianoro (BO) Superficie dell’ampliamento mq. 2000 Importo lavori stimato euro 6.000.000

morbido e flessuoso. E, ovviamente, su di essa si orientano i riferimenti delle funzioni primarie che distinguono l’organizzazione disciplinare dell’opera: nell’ordine crescente dei suoi tre piani, prima gli spazi riabilitativi e terapeutici, poi gli spazi di cura e infine gli spazi di degenza. Quei riferimenti, disposti in successione all’interno di ambiti variamente dimensionati, interagiscono con i retrostanti assetti distributivi che, invece, si approvvigionano della luce naturale zenitale attraverso una lunga fenditura che solca il giardino di copertura. Pertanto, le differenti relazioni con l’ambiente esterno distinguono sostanzialmente le prestazioni del corpo di ampliamento. Per Andrea Trebbi questo progetto ha rappresentato un’occasione: soddisfare il proprio interesse verso le architetture ipogee. «Sono sostenitore dell’inserimento nel sottosuolo delle infrastrutture, per esempio dei teatri, dei musei, degli impianti sportivi,… e della maggior parte dei temi che riguardano la mobilità e la DESIGN + 47


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PROGETTI.IPOGEI sosta. Perché sono convinto che, ad eccezione della funzione residenziale, il sottosuolo costituisca la vera risorsa ‘sostenibile’ per consentire all’ambiente di rinaturalizzarsi e di sopravvivere». A proposito di ‘sostenibilità’, in relazione all’assetto prestazionale, il progetto del corpo di ampliamento aderisce ai principi della sostenibilità energetica. La sua già citata autonomia rispetto alla Residenza ha inteso assicurare la piena continuità operativa della Residenza stessa durante la fase di realizzazione del corpo di ampliamento e, inoltre, ha consentito di calibrare la nuova opera in conformità all’aggiornamento normativo nel frattempo intervenuto. La sofisticazione progettuale della generale dotazione tecnologica dell’opera prescinde dalla sua condizione ipogea che, al contrario, assicura la protezione dagli agenti esterni più di ogni altra, bensì trae origine dal perfezionamento di un preciso programma gestionale. È importante annotare che la definizione dell’aliIn alto: vista da nord-est o dalla strada di Zena. A fianco: vista da est. Il percorso di ingresso alla Residenza, i raccordi altimetrici e i giardini sopra al corpo di ampliamento. Sotto: sezione orizzontale del piano a quota - 11.20, dedicato all’accoglienza e alla riabilitazione

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mentazione elettrica, a pompe di calore, esclude emissioni nocive nell’ambiente. Parimenti, il recupero per finalità di scarico e di irrigazione delle acque, non solo piovane ma anche di quelle disperse dall’uso quotidiano, l’elevatissimo grado di isolamento assegnato alla quinta trasparente, l’uso di materiali riciclabili, la facoltà di coprire con soluzioni ‘a verde’ l’edificio,… rappresentano opzioni progettuali nel caso specifico irrinunciabili. Inoltre, nello sviluppo della tematica ipogea o semi ipogea sono ritenute centrali, in chiave prestazionale-qualitativa, le risposte alle problematiche riguardanti l’illuminazione e la ventilazione naturale. «In effetti -chiarisce Trebbi-, il corpo di ampliamento della Residenza Eugenio Gruppioni si estranea dal repertorio delle architetture sotterranee subordinate alla presenza permanente della luce artificiale. Le simulazioni illuminotecniche hanno assicurato la capacità della quinta trasparente e della fenditura del giardino di copertura di garantire, in forme differenti ma in misura assolutamente sufficiente, l’approvvigionamento diurno della luce naturale. Poiché, comunque il requisito del contenimento energetico ed economico non può non costituire una risorsa da rispettare, il progetto illuminotecnico, che per la Residenza Gruppioni elaborai in collaborazione con Zumtobel Staff disegnando alcune soluzioni, è, anche per il corpo di ampliamento, attentamente calibrato alle rigorose aspettative che la tipologia funzionale dell’opera richiede». Il nuovo manufatto è letteralmente inserito ‘dentro’ al territorio collinare e ciò significa che il declivio conclude ‘naturalmente’ sopra di esso le proprie pendici. Di conseguenza, il piano di copertura orizzontale diviene la medesima estensione collinare e il manto erboso, che suggella il substrato vegetale steso sopra all’ultimo solaio, non si limita a sostenere il tema della rinaturalizzazione del paesaggio e ad accertare l’indubitabile contestualizzazione in esso della nuova opera, ma tutela l’attuale opportunità di ammirare alcuni scenari del Parco da questo fantastico osservatorio. «Come gli esigenti caratteri del luogo -specifica Trebbi- determinarono le scelte dei materiali nel progetto della Residenza Gruppioni, così tra essi sono stati ora selezionati quei pochi che il suo corpo di

Sopra: sezione verticale in uno dei 2 luoghi di connessione del corpo di ampliamento con la Residenza. Sotto: sezione verticale che attesta l’isolamento fisico delle 2 opere

ampliamento riesce ad esibire». E, in realtà, più che per stabilire un legame tra le 2 opere, il pre-fissato obiettivo della reciproca assonanza materica intende candidare anche per il nuovo corpo l’assegnazione di quel requisito della compatibilità con l’ambiente del Parco dei Gessi che ha caratterizzato i lusinghieri commenti sull’architettura della Residenza. Nel 2008 su The Plan, Luigi Prestinenza Puglisi ha dichiaratamente riscontrato nelle modalità progettuali dell’architetto Andrea Trebbi, palesi riferimenti a Wright, Aalto e Dudok. Giuliano Gresleri, nell’apertura della monografia Andrea Trebbi 1980-2005 architetture, gli attribuisce: “… circuitazioni misteriose che l’occhio coglie e ruba ad altre opere e che la mente trasforma e ricrea”. E Andrea Trebbi, pur nella consapevolezza

delle sue preferenze, replica: «nell’esercizio del mestiere, escludo che il mio pensiero ricorra deliberatamente a qualche riferimento, ma d’altronde, isolando quei rarissimi Maestri la cui opera ha segnato la storia, il percorso progettuale, in architettura, è un procedimento di inconscia rielaborazione culturale… Provocatoriamente, sono piuttosto persuaso della grande importanza rivestita da architetti bravissimi, ma spesso sconosciuti, la cui attività si esprime prevalentemente nei territori che essi abitano: alla continuità qualitativa delle loro prestazioni, si deve la salubrità di quegli ambienti architettonici, mentre il lavoro dei ‘riferimenti famosi’ si svolge nell’episodicità logistica e temporale e, pertanto, si riduce ‘solo’ a designare insospettate mete turistiche». DESIGN + 49




PROGETTO / 1

IL MUSEO DEL XXI SECOLO Rappresenta la libertà della linea. La linea che dolcemente piega e si sovrappone. È il MAXXI di Zaha Hadid, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. Sarà un luogo di esposizione e conservazione. Laboratorio di nuovi linguaggi artistici. Un nuovo portale verso il futuro di Iole Costanzo

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SCHEDA

Foto Roland Halbe

Gruppo di progetto Zaha Hadid e Patrik Schumacher Luogo Roma Data 1999 - 2009 Superficie totale lotto 29mila metri quadri Spazi esterni 19.640 mq Spazi interni 21.200 mq Costo totale dell’opera 150 milioni di euro

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i son voluti 50mila mc di calcestruzzo per la realizzazione delle strutture del MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. È un’opera in cui i muri, in calcestruzzo a vista, lunghi alcune decine di metri, spessi, materici, alti, curvi nonché inclinati, hanno un ruolo determinante. Le pareti interne tese come travi longitudinali raggiungono anche l’estensione di ben 30 metri e hanno doppia funzione: definire la trama del progetto e custodirne le diverse tecnologie necessarie alla gestione museale. Zaha Hadid, irachena e di cittadinanza britannica, vincitrice nel 2004 del premio di architettura Pritzker Prize, ha creato per il MAXXI la suggestione di una vertigine fluida. Una successione di spazi tra loro concatenati, morbidi e avvolgenti e mai claustrofobici. Essenziali e possenti. Nudi e, purtroppo, non sempre immacolati e lisci come un’esecuzione a regola d’arte avrebbe richiesto. «Scuote la città come un rombo di tuono, riportandola nel presente - scrive Nicolai Ouroussoff, il critico d’architettura del New York Times - anche il Bernini, suppongo, ne avrebbe apprezzato le curve». Sottolineando con grande

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Foto Steve Double

PROGETTO / 1

ZAHA HADID

È nata a Baghdad nel 1950, nel 1971 consegue all’Università americana di Beirut un master in matematica pura e dal 1972 al 1977 frequenta l’Architectural Association di Londra. È fra gli interpreti più significativi del decostruttivismo in architettura. Tiene conferenze in tutto il mondo e nel 1994 ha insegnato alla Graduate School of Design dell'Università di Harvard. È stata scelta come la vincitrice per il 2004 del premio di architettura Pritzker Prize, ed è la prima volta che una donna ha vinto nei 26 anni di storia del Premio. Hadid è il terzo architetto del Regno Unito a riceverlo.

sintesi quanto poco la città eterna si stia affacciando al mondo contemporaneo. Entrare al MAXXI ha riservato a molti visitatori suggestioni uniche. È il primo museo pubblico nazionale che si occuperà di creatività contemporanea. È un'istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, gestita dalla Fondazione MAXXI e presieduta dall'architetto Pio Baldi, dirigente del MiBAC, che alla preinaugurazione avvenuta nel novembre 2009 ha dichiarato: «Non sarà un museo come gli altri, né sarà un luogo dove esporre le opere d'arte. Sarà invece un laboratorio di ricerca per il confronto tra diversi linguaggi contemporanei: design, moda, cinema, pubblicità dialogheranno con l'arte e l'architettura. Una vera e propria fabbrica della creatività che si baserà su tre parole: innovazione, multiculturalità, interdisciplinarità». Comunque sia il MAXXI genera nello spettatore una diversa percezione dello spazio. Uno spazio dai confini morbidi. E, percorrendo tutto l’edificio, lo spazio interno si dilata, ingloba l’esterno e in alcune situazioni si ha quasi la percezione di stare in un unico ambiente. I due musei, il MAXXI Arte e il MAXXI Architettura, ruotano intorno alla grande


LA DICOTOMIA CROMATICA, BIANCO E NERO, È UNA CITAZIONE DELLA DRAMMATICA TENSIONE PRESENTE IN MOLTE ARCHITETTURE CLASSICHE, E IPOTIZZA L’ETERNA LOTTA TRA LA CONOSCENZA E LA SOFFERENZA ingannatrici del film Il Nome della Rosa. E chissà quanti altri esempi ancora sarebbe possibile citare per avvalorare l’associazione scala - comunicazione - arte - mondo contemporaneo. Sta di fatto che l’architetto Zaha Hadid ne ha ancor di più esplicitato, in questo suo progetto, la potenza evocatrice e immaginifica. Nikos A. Salingaros nel suo libro No alle Archistar - il manifesto contro le avan-

guardie spiega, nel paragrafo “Il metodo atemporale per proteggersi”, come comprendere quali sono le architetture realizzate solo con l’intento di procurare fama all’architetto e non per piacere al visitatore. La risposta, dice, sta dentro di noi: «affidatevi al vostro corpo e alle vostre emozioni, all’intelligenza, ai sistemi percettivi biologici di cui tutti gli esseri umani sono dotati…». Si può pertanto concludere, e sicuramente il sopracitato matematico australiano non sarebbe d’accordo, che dal MAXXI non ci si deve proprio difendere. Le emozioni provate sono tante e tutte piacevoli. Gli elementi architettonici che caratterizzano il progetto di Zaha Hadid sono principalmente tre: le pareti in cemento che delimitano le gallerie espositive e determinano l'intrecciarsi dei volumi, le scale che ne caratterizzano il cuore e, infine, la copertura che permette di modulare la luce naturale. Copertura costituita da un sistema stratificato di diversi dispositivi tecnologici e integrati necessari alle funzioni museali:

Foto Roland Halbe

hall a tutta altezza dalla quale si accede alle gallerie che ospiteranno le collezioni permanenti e le esposizioni temporanee e che sinuosamente accompagnano all'auditorium, ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e al bookshop. Il tutto si presenta con una tessitura atta a sviluppare nei visitatori l’impressione di omogeneità, continuità e compattezza formale. La hall con il suo intreccio aereo di scale e passerelle si presenta come una visione contemporanea, di piranesiana memoria, di un gioco di attraversamenti pensati per comunicare, immediatamente, quanto oggi siano importanti i collegamenti intesi nel modo più ampio del termine. I collegamenti, l’informazione, la comunicazione oramai fanno parte dell’arte e nell’immaginario evocano prefigurazioni classiche come le scale che il Piranesi ha più volte rappresentato nelle sue Carceri, o quelle illusorie appartenenti al mondo matematico di Escher, o le scale semoventi e affascinanti che Harry Potter in uno dei film della saga fantasy è costretto a salire, o infine le scale

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Foto Hélène Binet

PROGETTO / 1

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Foto Hélène Binet

Foto Hélène Binet

In alto: visione dall’alto dei collegamenti interni, paralleli tra loro, presenti nel cuore del MAXXI. In basso a sinistra: punto saliente dei percorsi pensati da Zaha Hadid. Le linee si doppiano, si incrociano ma non si scontrano. Il tutto segnato dalla luce e dalla rigida linearità delle travi presenti in copertura. In basso a destra: gli stessi collegamenti, caratterizzati dal loro colore nero e dalla loro sinuosità, diventano corpi illuminanti


Foto Roland Halbe

In alto: le scale caratterizzate dai neri fascioni, con corpi illuminanti inseriti; i solai che intersecano le curve delle pareti, e le travi brisoleil su cui scorreranno i pannelli per oscurare gli ambienti, se necessario. In basso: la planimetria del progetto. Il MAXXI si inserisce in un contesto che prima di questo intervento sentiva il peso della cesura che la caserma Montello aveva creato nel quartiere. Oggi, finalmente, tutto si risolve con la grande piazza costruita davanti al MAXXI

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PROGETTO / 1

L’entrata del MAXXI, segnata dagli elementi cilindrici. A sinistra, si scorge uno degli edifici preesistenti (testimoni ne sono le aperture ad arco e la finestra posta al piano superiore). A destra, la hall illuminata all’interno del nuovo edificio progettato da Zaha Hadid

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A sinistra: la sezione trasversale evidenzia le diverse scale e le travi del solaio di copertura. In basso: fotografia dell’ambiente del secondo livello, con il solaio inclinato. Ampia sala messa a disposizione del MAXXI Arte

serramenti, strumenti di filtro della luce solare e dispositivi per l’illuminazione artificiale. Quest’ultima risulta spiazzante, bianca e lineare, e accompagna comunque la fluidità delle pareti esaltandone la linearità stessa. Il bianco domina. E i segni neri, i collegamenti, si evidenziano, si staccano ed emergono nella loro essenzialità. Le scale stesse diventano corpi illuminanti e il gioco chiaroscurale si amplifica ulteriormente, evidenziando inevitabilmente l’imperizia di alcune maestranze nello stendere la pellicola acrilica nera sui parapetti. La dicotomia cromatica, bianco e nero, è pur sempre una citazione della drammatica tensione presente in molte architetture classiche, in cui il contrasto tra l’intonaco bianco ed il grigio della pietra serena, specie se in uso per gli interni, simbolicamente ipotizzava l’eterna lotta tra la conoscenza e la sofferenza. Gli ambienti si susseguono tra loro in modo dinamico e continuo e, gradualmente, il visitatore perde il senso del tempo. Orham Pamuk, nel suo libro Il Museo dell’Innocenza, fa pronunciare al personaggio principale queste parole: “Emanciparsi dal senso del Tempo, trascendere il Tempo: è questa la più grande consolazione della vita. Nei musei fatti con passione e ben organizzati, a confortarci non è la vista degli oggetti che amiamo, ma questa eternità di cui facciamo esperienza visitandoli”. A novembre, dopo la visita allo spazio museale del MAXXI, vuoto senza opere, si poteva provare proprio questa piacevole sensazione di spaesamento atemporale. E sicuramente sarà una sensazione che accompagnerà piacevolmente le opere che vi saranno esposte. Il Museo sorge su un’ex area militare posta a Nord di Roma, nei pressi del Palazzetto dello Sport, progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi e del parco della Musica di Renzo Piano. Si trova a pochi passi dal Villaggio Olimpico costruito per ospitare gli atleti della XVII Olimpiade nel 1960, su progetto degli architetti Luigi Moretti, Adalberto Libera, Luccichenti, Cafiero e Vincenzo Monaco. Un quartiere caratterizzato anche dal

viadotto di Corso Francia progettato da Nervi e dalla Chiesa di San Valentino dell’architetto Francesco Berarducci. Nel quartiere, con la costruzione della grande piazza antistante il MAXXI, si è creato un nuovo collegamento urbano, il cui percorso pedonale, seguendo la sagoma dell'edificio, si snoda nello spazio circostante secondo un andamento sinuoso e non estraneo all’intorno. Il risultato è il sorprendente inserimento di un volume scultoreo con un moderato sviluppo in altezza (solo tre livelli) in un quartiere romano ricco di storia. Ma una grossa mancanza nella progettazione esiste e, sicuramente, si farà sentire nella gestione urbana: un parcheggio ipogeo. Nella caotica esistenza di questa città sembra anacronistico non averci pensato e una valida ragione vi sarà. Ma una

IL MAXXI GENERA NELLO SPETTATORE UNA DIVERSA PERCEZIONE DELLO SPAZIO DAI CONFINI MORBIDI DESIGN + 59


Foto Hélène Binet

PROGETTO / 1

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PIANO TERRA 1. Landscape 2. Hall 3. Reception 4. Esposizione temporanea 5. Collezioni di grafica e fotografia 6. MAXXI Architettura 7. Auditorium 8. Bookshop 9. Caffetteria

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PRIMO PIANO 1. Hall 2. MAXXI Architettura 3. MAXXI Arte 4. MAXXI Arte 5. Sala conferenze

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SECONDO PIANO 1. Hall 2. MAXXI Arte 3. MAXXI Arte

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soluzione bisognerà trovarla o, altrimenti, l’inserimento nel quartiere di questa nuova struttura sarà reso vano dalle difficoltà logistiche che si presenteranno durante i prossimi eventi. È necessario, data la complessità progettuale di questo spazio museale, specificare anche che la struttura è stata completamente realizzata con un cemento armato dalla particolare composizione, e che è stato presentato, nella letteratura tecnica, come un calcestruzzo Self-compacting, Self-Compressing e Self-Curing e cioè un calcestruzzo auto-compattante che arricchito da un agente espansivo può generare una sorta di auto-compressione e anche auto-stagionatura. Un nuovo esperimento, dunque, nato dalla necessità di dare una valida risposta alle prerogative progettuali e costruttive. Un nuovo prodotto capace quindi di riempire le casseformi, nonostante all’interno vi fosse un sistema di armature metalliche alquanto congestionato. Le difficoltà costruttive sono state molte ma in primavera si apriranno definitivamente le porte e si potrà godere delle cinque mostre previste per la primavera 2010: “Spazio!”, un unico percorso attraverso le collezioni del MAXXI Arte e del MAXXI Architettura, curato da Pippo Ciorra e altri, insieme ai conservatori del MAXXI; “Gino De Dominicis. L’immortale”, seguita da Achille Bonito Oliva; “Kutlug Ataman Mesopotamian Dramaturgies”, uno degli artisti turchi più affermati sulla scena internazionale, curata da Cristiana Perrella; “Luigi Moretti, 19071973”, curata da Bruno Reiclin e Maristella Casciato; “Geografie italiane”, un’installazione multimediale creata da Studio Azzurro. Ad oggi fanno parte della collezione del MAXXI Arte oltre 350 opere, tra cui quelle di Boetti, Clemente, Kapoor, Kentridge, Merz, Penone, Pintaldi, Richter, Warhol e molti altri di altrettanto rilievo, mentre il MAXXI Architettura ospita oltre 75mila documenti, e tra questi si annoverano i disegni di Carlo Scarpa, Aldo Rossi, Pier Luigi Nervi e molti progetti contemporanei di autori come Toyo Ito, Italo Rota e Giancarlo De Carlo, nonché collezioni di fotografia di autori come Basilico, Barbieri, Jodice e Guidi. Vi sono state molte polemiche sui possibili costi futuri che tale opera avrà e sul mancante project financing, anche perché un progetto di questa portata non potrà certo vivere di finanziamenti ipotetici, elargiti da ministri pro tempore. DESIGN + 61


PROGETTO / 2

SCHEDA

Gruppo di progetto MVRDV Luogo Rotterdam Conclusione lavori 2014 Totale superficie 100000 mq Costo totale 175 milioni di euro

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Per le foto Š Provast / Sezioni e planimetrie courtesy by MVRDV

NUOVO MERCATO A ROTTERDAM


Un mercato coperto. Un centro dedicato al commercio posto al centro della città. Il Market Hall progettato dal gruppo MVRDV, rappresenterà un nuovo luogo di ritrovo per gli abitanti di Rotterdam. Abitazioni e negozi. Una grande piazza. Un nuovo fulcro per l’economia immobiliare cittadina di Iole Costanzo

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a città consolidata, posta sotto analisi e, in seguito a una catalogazione dell’esistente, rivela solitamente quelle tipologie urbane che hanno contribuito nel tempo a organizzare e strutturare le diverse parti del centro abitato. Tra queste spesso si trova il mercato coperto. Emblema di una vita cittadina che teneva conto di tutte le fasce di reddito degli abitanti e frutto di un illuminismo consapevole dei reali bisogni funzionali e culturali dei cittadini, il mercato coperto è stato la classica risposta tipologica che una città moderna poteva dare. Tutto ciò fa pensare che, proprio per le sue peculiarità, nella città contemporanea, invece, il mercato coperto sia destinato a scomparire. Ebbene, entro il 2014 Rotterdam, la seconda città dei Paesi Bassi, avrà, vicino alla storica chiesa di Laurens, il suo Market Hall. Il gruppo MVRDV ha progettato un edificio ad arco. Un ibrido tra il mercato pubblico e il condominio. Una sinergica combinazione dell'abitare con il vivere pubblico contemporaneo, pensato per potenziare le possibilità interattive di funzioni differenti. È una combinazione di cibo, tempo libero, abitazioni e parcheggi tutti pienamente integrati. Il Market Hall si presenta come una galleria contenente 228 appartamenti con

una grande hall caratterizzata da 100 banchi da mercato, negozi e ristoranti, e al livello sotterraneo un supermercato e un parcheggio. L’input progettuale nasce come risposta alle nuove esigenze igienico-sanitarie della legge olandese che richiede la copertura anche del mercato a cielo aperto. Dati alla mano, in un’area destinata a un mercato rionale, gli MVRDV vi hanno ricavato, regolamento permettendo, 3mila mq di superficie dedicata alla vendita al dettaglio, una zona di 1600 mq per la ristorazione, posta tra il piano terra e il primo piano, un supermercato da 1.800 mq e un parcheggio ipogeo per 1.200 posti auto. La parte dedicata alle residenze inizia dal terzo piano e giunge fino all’undicesimo, posto proprio in piena chiave dell’arco. Assumendo come riferimento entrambe le linee di mezzeria del tunnel, la disposizione planimetrica degli appartamenti è speculare rispetto ad esse. Vi sono diversi tagli, e l’impostazione è molto simile alla tipologia a schiera, con relativo muro di spina centrale. Sono presenti anche delle formazioni a duplex, sia nei piani intermedi che nei piani posti a chiusura. Ogni appartamento ha anche le finestre lungo la superficie esterna, nella fascia di assorbimento del raggio di curvatura della facciata stessa, che ammortizza la

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Foto Rob’t Hart

traslazione garantendo all’appartamento una piccola zona adibita a terrazzo. Anche nei Paesi Bassi gli edifici a carattere residenziale devono garantire l’illuminazione naturale di ogni ambiente. Ogni appartamento, per tanto, è situato in modo tale che gli ambienti lounge affaccino all'esterno dell’archway, con vista sulla città, mentre la cucina, la zona destinata al pranzo, è posta nell’intradosso. Pannelli di materiale isolante sono stati inseriti in molte divisioni interne e anche nella membrana interna che riveste l’intradosso dell’archway proprio per isolare gli ambienti dal rumore del mercato. L’intera superficie dell’intradosso è ritmicamente scandita dalle finestrature delle residenze e, nei primi due piani, dalle vetrine dei diversi negozi che vi sono stati posti. Le finestre che si affacciano all'interno del mercato, il cui opportuno isolamento eviterà effetti indesiderati, è di dimensioni inferiori a quelle poste sull’esterno. Tutto l’interno della hall sarà completamente caratterizzato dalla pellicola sensibile di rivestimento che proietterà le gigantografie colorate dei diversi prodotti che il mercato stagionalmente proporrà e dai tagli regolari degli infissi, dalle aperture dei condotti di areazione e dall’illuminazione. L’apertura frontale, nonché quella posteriore della hall, è di 40 metri sia in altezza che in larghezza e sarà coperta da un’ampia facciata

Ph.Gaston Bergeret

PROGETTO / 2

MVRDV

Il gruppo MVRDV viene fondato a Rotterdam da Winy Maas, Jacob van Rijs e Nathalie de Vries, nel 1991, dopo la vittoria del primo premio alla Berlin European Competition. Winy Maas nasce a Schijndel nel 1959 e compie i suoi studi al RHSTL Boskoop. Jacob van Rijs, nasce ad Amsterdam nel 1964, studia alla Technical University di Delft, e si laurea con menzione d'onore. Così pure Nathalie de Vries, che nasce nel 1965 ad Appingedam. Lo studio, composto da uno staff di oltre cinquanta collaboratori, lavora e fa ricerca sul tema della “densità” urbana, si occupa di architettura, urbanistica e landscape design.

in vetro sospesa, che consentirà comunque la massima trasparenza. Il sistema costruttivo della nuova galleria di Rotterdam, il Market Hall, è alquanto semplice. Le diverse sequenze delle fasi costruttive, vengono rappresentate come una serie di moduli tra loro sistemabili. Si possono vedere su You Tube come un’efficace e interessante animazione - elaborata e presentata dagli stessi MDVRD - del concept fondativo di tutto il progetto. Il progetto è parte del nuovo processo di rigenerazione del centro di Rotterdam ed è promosso e sovvenzionato dalla Provast, che si occuperà della costruzione dell’intero edificio, mentre la Unibail Rodamco ha investito nei negozi e nei ristoranti, e la Housing Corporation Vesteda gestirà gli appartamenti in affitto. È tutto programmato e ben presto il Market Hall diventerà parte integrante della vita sociale della città. La Provast, infatti, quale ottima conoscente delle logiche di mercato, ha già inserito su web un filmato carico di suggestioni reali e virtuali. Il filmato, realizzato con l’ausilio di diverse immagini di repertorio tipiche dei mercati della Nederland e con le soluzioni offerte dal rendering dell’opera, fa chiaramente intendere come potrà svolgersi la vita all’interno del “de eerste markthal van Nederland” – il primo Market Hall dei Paesi Bassi. I Paesi Bassi, piccolo stato dell’Unione Eu-


SEZIONE LONGITUDINALE

Nella pagina accanto in basso: planimetria generale. In questa pagina, a sinistra: sezione longitudinale dell’intero edificio, compresi i piani ipogei adibiti a parcheggi. In basso: prefigurazione della vita all’interno del Market Hall

ropea, sono densamente popolati, circa 16 milioni di abitanti in quasi 42mila kmq di superficie. Gran parte della popolazione vive nella Randstad, un’area metropolitana che occupa il 10% della superficie del territorio e che è formata da ben 17 città tra cui Amsterdam, Rotterdam, L’Aia e Utrecht. Rotterdam, il porto della grande conurbazione, possiede molte industrie ed è per questa ragione la città più densamente popolata, in cui, a partire dal 1901, si sono susseguiti diversi piani di crescita. Già nel 1975 venne presentato un nuovo modello urbanistico noto con la denominazione “città compatta”. Ne seguirono altri negli anni ma tutti comunque confermarono, con fare lungimirante, la tutela del territorio agricolo e il controllo dello sprawl urbano. Teoria che si rivelò, in seguito, utile anche per un maggior con-

trollo della mobilità e dei consumi energetici. Rotterdam, in questi ultimi anni, grazie a quei piani di salvaguardia, è stata più volte oggetto di interesse per nuove progettazioni e questo perché dispone di diverse aree, strategicamente collocate, che rendono la città dunque ricca di interessanti potenzialità, già analizzate e studiate nel piano di Teun Koolhas fin dal 1987 e per le quali ipotizzò, come migliore soluzione, la famosa “implosione del centro”, cioè l’espansione, fino alla saturazione, del centro cittadino. Il Market Hall dunque non è che un valido esempio di ciò che la città ha in programma di fare. I lavori cominciano e la spesa prevista, per un totale di 100.000 mq, è di 175 milioni di euro, neanche tanti se si pensa ai servizi che garantirà, e al numero di abitazioni che a lavoro terminato saranno disponibili.

IL MARKET HALL SI PRESENTA COME UNA GALLERIA CONTENENTE 228 APPARTAMENTI CON UNA GRANDE HALL CARATTERIZZATA DA 100 BANCHI DA MERCATO, NEGOZI E RISTORANTI

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PIANTA APPARTAMENTI IN CHIAVE

PIANTA PRIMI APPARTAMENTI

PIANTA PIANOTERRA


In alto: ricostruzione fotografica con l’inserimento del Market Hall nel contesto urbano. In basso: sezione trasversale. La dislocazione degli ambienti lungo l’arco è molto chiara: arretrano sull’estradosso creando uno spazio all’aperto, e in chiave avanzano, sfruttando il diverso raggio di curvatura, e trasformano le abitazioni in duplex. I collegamenti verticali con i piani ipogei garantiscono l’uso dei parcheggi anche per i fruitori del mercato e dei negozi ad esso prospicienti

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SCHEDA

Progettista Thom Mayne - Studio Morphosis Luogo New Orleans - Luisiana Committente Make It Right Foundation Superficie di intervento 88 mq Cronologia 2007 - 2009

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Per le foto Iwan Baan

PROGETTO / 3


LA FLOAT HOUSE DI NEW ORLEANS TETTO pannelli fotovoltaici alloggiamenti per pannelli (alluminio zincato) pannelli coibentati Sip pannelli Sip Osb pannelli Sip in gomma piuma intelaiatura pacchetto tetto travetti rete in metallo arcarecci in TimberSil puntoni in acciaio PIATTAFORMA TimberSil Decking: legno silicato barriera di alluminio decorata scala prefabbricata in calcestruzzo MURI rivestimento SwissPearl assi TimberSil pannelli coibentati Sip

GALLERIA - CORRIDOIO lucernario in policarbonato serbatoi d’acqua piovana telaio finestra supporti in acciaio accumulatori fotovoltaici persiane adatte all’uragano

PIANTA 1. Portico anteriore 2. Sala 3. Galleria 4. Cucina 5. Camera da letto 6. Bagno 7. Locale tecnico

Progettata da Thom Mayne e dagli studenti della University of California, Los Angeles, la Float House ha una linea nuova, leggera e colorata. Finanziata da Brad Pitt rappresenta una nuova speranza per gli abitanti di New Orleans. È galleggiante, autonoma, facile da costruire e trasportare di Mercedes Caleffi

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a Float House, una risposta pratica nonché poetica ad un grosso problema climatico e conseguentemente economico. Un modo per ovviare a disastri come quello che, nel 2005, colpì New Orleans. Un progetto innovativo, curato da Thom Mayne, che sarà adattabile a diverse situazioni, e che garantirà agli acquirenti o comunque ai proprietari, in caso di alluvione o hurricane (uragano), di non veder distrutta la propria abitazione. Oramai fa parte dell’immaginario collettivo la critica stagione degli uragani atlantici di quell’anno. E, come tutti ricordano, gran parte dell’area metropolitana di New Orleans, in Louisiana, è stata completamente inondata, a causa del cedimento del sistema degli argini del Missisipi. In quella occasione hanno perso la vita 1.836 abitanti e in alcuni punti della città l’acqua ha raggiunto i 6 m di altezza. È stato definito il più grave disastro naturale, in termini economici, della storia degli Stati Uniti. Si è, infatti, stimato che quell’uragano, Katrina, abbia causato danni per più di 81miliardi di dollari. È opinione comune oramai che l’esacerbarsi di tali eventi sia dovuto anche agli sconvolgimenti climatici provocati, in grande parte, dall'effetto serra e dall’indiscriminato sfruttamento delle risorse terrestri e che, questi squilibri ambientali, rendano le "catastrofi naturali" molto più numerose e più distruttrici che in passato. Proggettata dall'architetto Thom Mayne, con un team di sette neo laureati del dipartimento di architettura e design urbano dell'UCLA, 70 DESIGN +

University of California - Los Angeles, e dallo studio Morphosis, di cui Thom Mayne è cofondatore, la Float House è in gran parte finanziata dal famoso Brad Pitt, il divo hollywoodiano che a ridosso dell'agosto 2005, data del passaggio del devastante uragano a New Orleans, ha creato la fondazione Make It Right, che si sta impegnando nella ricostruzione del quartiere Lower Ninth Ward, uno dei più colpiti della città. La Float House, 92 metri quadrati di superficie, è capace di navigare in sicurezza. Non è pensata per essere abitata durante l’alluvione ma in caso di necessità gli abitanti potrebbero avere al suo interno un’autonomia di tre

In alto:fotografia della facciata principale. La galleria, il volume aggettante posto sotto la tettoia, ripropone il tipico patio dell’architettura autoctona. In basso: prospetto laterale. Il profilo del tetto denuncia le inclinazioni atte a convogliare l’acqua piovana negli impluvi sottostanti


PROGETTO / 3

TETTO

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giorni. La casa viene spostata dalle acque ma probabilmente non distrutta e ciò permetterà di vivere, in forma meno traumatica, il passaggio delle calamità. All’interno vi è una batteria con capacità sufficiente per alimentare diversi apparecchi e rendere autonoma l’abitazione. Il sistema è stato così pensato solo per ovviare a una possibile perdita dell’abitazione. Il proprietario infatti in caso di alluvione è tenuto a trovarsi altra sistemazione e alla fine della criticità climatica deve riposizionare l’abitazione nella posizione precedente. Tutta l’opera è sostenibile e, particolare per nulla trascurabile, realizzabile con metodi di produzione e assemblaggio di massa, il che garantisce un notevole abbassamento dei costi di realizzazione e soprattutto di mantenimento. Non bisogna dimenticare che, per le località costiere, il problema dell’innalzamento dei livelli delle acque, rappresenta una seria minaccia in tutto il mondo e questa soluzione, dunque, com’è giusto che sia, oltre ad essere radicale per ciò che concerne l’idea di abitazione, è anche versatile e adattabile a diverse situazioni geografiche. La nuova abitazione si presenta sollevata da terra. Ha un portico anteriore, ovviamente richiudibile, come la migliore tradizione locale della Louisiana richiede, e presenta una serie di accorgimenti che facilitano l’accessibilità agli anziani residenti e alle persone con handicap. La cosiddetta zattera su cui è costruita tutta l’abitazione consiste in un modulo prefabbricato di polistirene espanso ricoperto con una miscela di calcestruzzo e fibra di vetro. L’intero chassis ospiterà tutti gli impianti necessari alla fornitura dell’acqua e dell’aria e in condizioni di allagamento la casa potrà staccarsi

IMPIANTI

ANCORAGGIO

SPACCATO ASSONOMETRICO DEL SISTEMA DI ASSEMBLAGGIO DESIGN + 71


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S1 pareti in pannelli Sips S2 finestra S3 finestra aggettante S4 2x2 traversine di legno S5 rivestimento esterno SwissPearl

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I1 pareti attrezzate I2 porte scorrevoli in legno I3 binari in metallo

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LA FLOAT HOUSE È SOLUZIONE ABITATIVA ECONOMICA, SOSTENIBILE E SICURA. ISPIRANDOSI ALLE BARCHE APPLICA ALLA CASA IL PRINCIPIO DEL GALLEGGIAMENTO

G1 piani in pannelli Sips G2 sottopavimento G3 pavimento in resina epossidica G4 pareti in pannelli Sips G5 traversine di legno G6 lastre Sips in legno G7 finestra G8 lastre di vetro scorrevoli G9 traversine di legno G10 porta d’entrata G11 travi metalliche G12 tetto in policarbonato della galleria G13 rivestimento esterno SwissPearl

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In alto e a destra: fotografie degli interni della Float House. Gli ambienti sono luminosi e attrezzati. Nella foto a destra si scorge la galleria con le sue finestre a nastro poste in copertura

dagli allacci alle linee elettriche, dal gas, dagli impianti idraulici e salire con le acque delle inondazioni. Inoltre è anche dotata di sistemi ad alte prestazioni energetiche: il Solar Power Generation, un tetto che supporta pannelli solari sufficienti a sostenere la potenza energetica di tutta la casa. L’inclinazione del tetto è studiata così da renderlo concavo, per raccoglie l'acqua piovana che attraverso un sistema di canalizzazioni viene ridistribuita alle cisterne presenti nell’intercapedine, per poi essere filtrata e conservata per l'uso quotidiano. Gli apparecchi sanitari presenti sono a basso flusso, e gli elettrodomestici a basso consumo di energia. Il riscaldamento e il raffreddamento dipendono entrambi da una pompa di calore geotermica. Il telaio zattera è stato progettato così da essere in grado di adattarsi alle diverse tipologie abitative. Gli interni sono ben organizzati: la cucina si affaccia sulla living room, mentre le stanze da letto e i bagni sono tutti collegati e resi accessibili anche da un corridoio - portico che collega tra loro tutti gli ambienti. La resistenza della struttura alle sollecitazioni tipiche di un’alluvione non è ancora stata testata, ma lo studio Morphosis ha però condotto numerose simulazioni al computer e modellato la struttura su una quantità di precipitazioni

simili a quelle dell’uragano Katrina. La fondazione Make It Right, lanciata dall'attore Brad Pitt con lo scopo di aiutare i residenti per la ricostruzione e con l'obiettivo principale di sviluppare, entro il 2010, almeno 150 case eco compatibili e tempesta-resistenti per le famiglie che vivevano nel nono quartiere, è riuscita a ottenere per queste strutture anche il certificato LEED (Leadership in Energy and Environmental Design): la più alta indicazione per il rendimento energetico e la sostenibilità che si possa ricevere negli Stati Uniti. La Morphosis Float House è stata realizzata a Los Angeles nel campus della University of California e trasferita in un secondo momento in Louisiana. L’intero processo, dall’ideazione al montaggio, è durato dal 23 maggio 2008 al 30 settembre 2009, 16 mesi di lavoro di cui nove mesi sono serviti per l’ideazione e la progettazione, e sette sono stati dedicati alla realizzazione della base, al trasporto da Los Angeles e al montaggio di tutta l’abitazione. Quest’ultima fase, dopo il posizionamento della base a 30 cm da terra, su una speciale fondazione, è durata solo tre mesi, proprio perché il sistema di montaggio era stato studiato per far sì che il tutto risultasse facile e immediato nella costruzione. Per tanto costruirne altre 150 entro quest’anno, viste le premesse, sembra alquanto fattibile.

SISTEMA TETTO

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FLOAT HOUSE

FASI COSTRUTTIVE PRIMA FASE DAL 23.05.08 AL 24.02.09 Dopo le diverse fasi progettuali durate fino al 6.10.08, il gruppo passa all’inventario del materiale e alla direzione della modellazione dei blocchi di materiale espanso che ospiteranno i vari impianti: acqua, riscaldamento, luce e la raccolta di acqua piovana.

SECONDA FASE: DAL 25.02.09 AL 07.06.09 Terminata la fase dell’infilaggio delle guaine per gli impianti, la sigillatura dei diversi giunti con colle siliconiche appropriate e l’applicazione a spruzzo di calcestruzzo in fibra di vetro su tutto lo chassis, si passa all’imbragatura del tutto per lo spostamento su un adeguato mezzo di trasporto.

TERZA FASE: DAL 08.06.09 AL 13.07.09 Fatte le ultime rifiniture il camion parte da Los Angels per New Orleans. Attraversa il deserto della California e le montagne di San Bernardino, arriva al Lower Ninth Ward. Dopo diversi assestamenti dei lavori si posiziona sul sito lo chassis.

QUARTA FASE : DAL 14.07.09 AL 30.07.09 Si comincia il montaggio della Float House con la costruzione prima del sistema portante e poi dei pannelli posti a chiusura. Alla fine del mese sono già pronti per la sistemazione del pacchetto del tetto e l’impermeabilizzazione sia della copertura sia dei pannelli di tamponamento.

QUINTA FASE: DAL 31.07.09 AL 30.09.09 Si concludono le operazioni: le rifiniture dei pannelli dell’esterno, il montaggio delle pareti attrezzate, l’ultimazione degli impianti all’interno e il bloccaggio delle persiane anti uragano all’esterno, e la conclusione del tetto con i pannelli fotovoltaici.


FLOAT HOUSE

FASI COSTRUTTIVE


LABORATORIO DEGLI ANGELI S.R.L. DA 40 ANNI ALTA SPECIALIZZAZIONE NEL RESTAURO ARCHITETTONICO E DI OPERE D’ARTE ANTICA, MODERNA E CONTEMPORANEA

Il laboratorio è in possesso della certificazione SOA OS2 ed è gestito da titolari con qualifica di direttore tecnico restauratore, con esperienza nella progettazione e nella direzione di interventi complessi, che prevedono l’azione coordinata in settori differenti. Nell’ambito del restauro architettonico, opera su dipinti murali, materiale lapideo, laterizi, soffitti lignei, papier-peints e stucchi. Di grande rilievo è, inoltre, l’attività di restauro di opere mobili (dipinti su tela, tavola e supporti vari, cornici, materiale cartaceo e membranaceo, cere e manufatti polimaterici) che viene condotta riservando grande attenzione alla scelta dei materiali e alle metodologie d’intervento più innovative. Il laboratorio si distingue nel settore per interventi su manufatti di grande formato e per l’allestimento di opere d’arte contemporanea.

Laboratorio degli Angeli S.r.l.

CONSERVAZIONE E RESTAURO DI OPERE DI ARTE ANTICA, MODERNA E CONTEMPORANEA Via degli Angeli, 32 - 40124 Bologna - Tel. 051.583200 - Fax 051.331822 - www.laboratoriodegliangeli.it Qualificazione S.O.A. OS2 cat.II n.3153/05/00


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T E P R I M A

TUTTI I GRANDI TESORI DI PARMA

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iù di 12 milioni di opere archiviate, il maggiore fondo sul Novecento esistente in Italia. È la “Collezione infinita” dello CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma), il centro di documentazione creato da Arturo Carlo Quintavalle e Gloria Bianchino, che in questi decenni si è accresciuto moltissimo grazie – ed è un fatto unico per dimensioni e qualità in Italia – alle donazioni degli artisti che scelgono questa istituzione per renderla depositaria delle testimonianze del loro ingegno. Nel colossale archivio è possibile trovare tutto il ‘900 nelle diverse discipline di espressione umana: arte, fotografia, architettura, moda, design. Ecco alcuni nomi: Schifano, Burri, Boetti, Fabro, Ceroli, Guttuso, Fontana, Sironi nell’arte; Armani, Versace, Ferré, Krizia nella moda; Man Ray, Iodice, Ghirri, nella fotografia; Sottsass, Munari, Castiglioni, Mari per il design; Ponti, Nervi, Scarpa, Gardella per l’architettura. Si tratta di una

miniera immensa di saperi e di creatività, una raccolta in continuo divenire: è uno dei grandi tesori di Parma che per la prima volta in assoluto viene organicamente presentato al mondo, grazie alla preziosa collaborazione tra Comune di Parma e Università degli Studi di Parma. Per la prima volta in assoluto, dunque, sarà in mostra la collezione dello CSAC di Parma: così si inaugurerà un nuovo, prestigioso spazio espositivo della città: il restaurato Palazzo del Governatore, nella centralissima Piazza Garibaldi, nel cuore della città. Lo storico edificio riaprirà con questa esposizione e sarà interamente dedicato all’arte moderna e contemporanea: 3mila metri quadri di superficie espositiva in grado di ospitare eventi espositivi di livello mondiale. PARMA (fino al 25 aprile 2010) NOVECENTO Arte, fotografia, moda, design, architettura

Palazzo del Governatore, Galleria San Ludovico, Scuderie della Pilotta

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MOSTRE

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Scarpa, Businaro e “Il Palazzetto” La mostra, curata da Guido Pietropoli, è promossa dalla Regione Veneto, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e dal Comitato Paritetico per la conoscenza e la promozione del patrimonio legato a Carlo Scarpa, e prodotta dal MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo - Centro Archivi MAXXI Architettura in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza e dall’Archivio di Stato di Treviso. L’esposizione sarà visitabile fino al 29 maggio 2010 dal lunedì al venerdì. La mostra è incentrata sulla figura di Aldo Businaro, committente di Carlo Scarpa per gli annessi alla villa “Il Palazzetto”. L’incontro tra Scarpa e Businaro ebbe luogo in occasione del viaggio in Giappone di una delegazione di architetti e designer italiani, nel 1969, cui parteciparono entrambi: esso segna l’avvio di un fortunato sodalizio che li terrà costantemente legati alla residenza

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seicentesca del committente. Situato nella campagna a sud-est di Monselice, il complesso della villa appariva costituito dal corpo dominicale, da una piccola costruzione adibita a casa del custode verso sud, da una grande fabbrica destinata a stalle e fienile a ovest e da un padiglione ottocentesco a pianta rettangolare posto a nord. Nell’arco di circa sette anni, a partire dal 1971, Scarpa ebbe l’incarico di progettarvi diversi elementi, fra cui il muro di cinta e gli accessi principale e posteriore, il berceau, la celeberrima aia, il recupero del padiglione adiacente all’ingresso. Dal 2005 Aldo Businaro e i figli hanno affidato l’esecuzione di una scala esterna, già prevista lungo la facciata occidentale del Palazzetto, all’architetto Tobia Scarpa, che nel proprio progetto si è attenuto in parte ai disegni del padre. La mostra vuole mettere in luce il lungo lavoro di restauro e ri-disegno della corte dominicale della villa.

Da qui il titolo della mostra che, a ragione, si può considerare una “rapsodia architettonica”, una silloge di parti di autori diversi armonizzate tra loro e che insieme raccontano i quattrocento anni di storia del Palazzetto. Il work in progress dei vari interventi progettati da Carlo Scarpa è documentato attraverso disegni originali conservati al Centro Carlo Scarpa e che fanno parte dei fondi degli architetti contemporanei del Centro Archivi MAXXI Architettura e inoltre sono presenti disegni autografi del maestro custoditi in una collezione privata e dall’architetto Fabrizio Zuliani di Este, collaboratore di Scarpa. Inoltre la mostra sarà accompagnata da fotografie e rilievi bidimensionali dell’as built realizzati ad hoc. TREVISO (fino al 29 maggio 2010) Scarpa e Il Palazzetto

Centro Carlo Scarpa. Archivio di Stato di Treviso


“Ritorno al barocco” è un ampio progetto espositivo, a cura di Nicola Spinosa, che comprende 6 esposizioni tematiche in altrettante sedi museali a Napoli - Museo di Capodimonte, Castel Sant’Elmo, Certosa e Museo di San Martino, Museo Duca di Martina, Museo Pignatelli, Palazzo Reale – e coinvolge l’intera città e il territorio regionale con 51 itinerari nei luoghi barocchi: chiese, certose, collegiate, palazzi, musei regionali. È un affascinante percorso di storia e d’arte da Caravaggio a Francesco Solimena e ai tardi esponenti dell’ultima stagione del barocco napoletano. L’evento espositivo intende documentare i progressi conoscitivi degli ultimi trent'anni, dal 1979 al 2009, su aspetti, momenti e “generi” che caratterizzarono la stagione del barocco a Napoli, definita cronologicamente da tre momenti: l'arrivo di Caravaggio a Napoli nel 1606, la presenza in città di Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga (1750) e la

partenza di Carlo di Borbone per la Spagna (1759). Le mostre, che confluiscono in una grande manifestazione territoriale, rappresentano il momento ultimo di studi e ricerche rispetto alle tre grandi mostre organizzate dalla Soprintendenza per il Polo Museale di Napoli tra il 1979 e il 1984: “Civiltà del Settecento a Napoli”, con sedi a Napoli, Chicago e Detroit; “Painting in Naples from Caravaggio to Luca Giordano”, con sedi a Londra, Washington, Parigi e Torino; “Civiltà del Seicento a Napoli”, con sede a Napoli. Le 6 mostre presentano al pubblico dipinti, disegni, sculture, arredi, gioielli, tessuti, ceramiche e porcellane, provenienti da collezioni private e musei italiani e stranieri; oltre 500 opere in gran parte inedite o recentemente restaurate - suddivise tra i molteplici e diversi aspetti rappresentati dalla produzione artistica dei centocinquanta anni di elaborazione e diffusione di questo linguaggio figurativo e culturale. Per

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Percorsi nel barocco napoletano

“Ritorno al barocco” si è non solo inteso evidenziare quanto in termini di nuove conoscenze e di nuovo collezionismo si è determinato in questi ultimi 25 anni, quanto anche richiamare l'attenzione sulle inclinazioni, i comportamenti e gli aspetti più radicati caratterizzanti la realtà napoletana in età barocca. La città nel suo apparire, sin dal primo Seicento, costantemente segnata da contraddizioni tra vizi e virtù, miseria e nobiltà, fasti e misfatti, con atteggiamenti caratterizzati da forme d’insanabile individualismo e di coinvolgente generosità, con punte di altissima produzione culturale alternate a manifestazioni di esteso provincialismo, viene vissuta e percepita come un vasto scenario, un “gran teatro del mondo”. NAPOLI

Ritorno al barocco Varie Location (fino al all’11 aprile 2010)

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MOSTRE

Capolavori privati

ROVIGO Tesori dalle dimore storiche del Veneto Museo dei Grandi Fiumi (fino al 13 giugno 2010)

Amico dell’arte

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Dipingere fiori

Con l’Ebe di Canova, la magnifica “Fiasca fiorita” è l’opera più celebre conservata nei Musei del San Domenico. Considerata una delle più belle nature morte di tutti i tempi, la “Fiasca fiorita” di Forlì è un dipinto di cui non è stato ancora risolto il mistero. Non è stato, infatti, identificato il suo autore. Sono stati fatti molti nomi, tutti più o meno plausibili, tra cui quelli che appaiono più vicini alla realtà restano Caravaggio e Cagnacci. Anche se il quesito è, probabilmente, destinato a rimanere insoluto, una cosa è certa: si tratta di un quadro eseguito non da uno specialista cioè da un pittore che riproduceva solo fiori, appartenente al gruppo dei cosiddetti “Fioristi” - ma da un grande maestro appartenente alla categoria, allora considerata la più prestigiosa, dedita alla rappresentazione della figura umana, quindi alla pittura sacra, a quella di storia e al ritratto. Attorno e a partire da questo capolavoro, alcuni tra i più importanti studiosi hanno elaborato il progetto di una mostra che intende riproporre la storia della pittura di fiori, tra il naturalismo caravaggesco e l’affermazione della modernità con Van Gogh e il simbolismo, giungendo così alle soglie del Novecento. Le opere selezionate saranno la dimostrazione di come i quadri di fiori o i quadri di figura, dove l’elemento floreale assume un rilievo simbolico e formale eguale se non superiore alla figura, abbiano raggiunto un’intensità assai superiore alla convenzionalità che caratterizza la pittura dei “Fioristi”.

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Una mostra dedicata ad una figura chiave della scena artistica del secondo Novecento. Amico di maestri come Bonnard, Matisse, Braque, Chagall, Miró e Giacometti, Aimé Maeght fu un editore di fama e soprattutto il fondatore a Parigi di una delle gallerie più innovative del secolo, nonché, a Saint-Paul de Vence, della Fondation Marguerite et Aimé Maeght, un tempio dedicato alla creazione artistica e un crocevia internazionale di pittori, scultori, scrittori, musicisti e intellettuali.

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Una mostra davvero “rara”: cento dipinti che, per questa unica occasione, passano dalle stanze private di signorili dimore venete ad una mostra pubblica. Le stanze sono quelle dei soci dell’ADSI – Associazione Dimore Storiche Italiane che, per il tempo della mostra, si sono privati di alcuni importanti capolavori delle loro collezioni. L’ambito della mostra è quello della pittura veneta, con opere di Guariento, Giovanni Bellini, Jacopo Tintoretto, Vecellio, Savoldo, Solimena, Marco Ricci, Giambattista e Giandomenico Tiepolo. Eccezionalmente sarà esposta anche parte di una importante collezione di nature morte con dipinti di Strozzi, Bonzi, Fede Galizia, Brueghel e altri grandi artisti, una vera e propria mostra nella mostra.

Trionfo del pop

Roy Lichtenstein torna ad esporre in Europa con una grande mostra antologica che si preannuncia come uno degli eventi artistici più importanti del 2010. Include oltre cento opere, tele per lo più di grande formato, oltre a numerosi disegni, collages e sculture provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali. Il curatore, Gianni Mercurio, ha ideato una retrospettiva di Lichtenstein che per la prima volta fa il punto sulle opere che l’artista pop ha realizzato appropriandosi delle immagini provenienti dalla storia dell’arte moderna. È la prima volta che la mostra esplora in modo organico e completo questo significativo aspetto del lavoro di Lichtenstein.

FERRARA

Aimé Maeght e i suoi artisti

FORLÌ Fiori. Natura e simbolo dal 600 a Van Gogh

MILANO

Palazzo dei Diamanti (fino al 2 giugno 2010)

Musei San Domenico (fino al 20 giugno 2010)

Triennale (fino al 30 maggio 2010)

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Roy Lichtenstein, Meditations on Art



STUDIO CONSERVAZIONE E RESTAURO DI VIA DELL’INFERNO

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AGENDA

SIENA Architetti a Siena Biblioteca Comunale degli Intronati (fino al 12 aprile 2010)

La Biblioteca comunale degli Intronati di Siena festeggia i 250 anni dalla sua fondazione e svela i suoi tesori. L’esposizione – realizzata con il contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e della Regione Toscana – mette in mostra, nella sala storica di via della Sapienza, alcune delle più significative testimonianze relative alla cultura architettonica senese dal XV al XVIII secolo. Si tratta di opere quasi esclusivamente provenienti dai fondi antichi e dalla straordinaria collezione di disegni della Biblioteca. Era il 1759 quando l’economista Sallustio Bandini donò la propria ricchissima raccolta libraria, costituendo il primo nucleo della Biblioteca.

CATANIA Burri e Fontana. Materia e Spazio Fondazione Puglisi Casentino – Palazzo Valle (fino al 16 maggio)

Restauro conservativo di opere d’arte “contemporanee, moderne ed antiche” di vario genere, su tela, superfici lignee, lapidei, olio, tempera e superfici murali. Si eseguono progetti per decorazioni ex-novo in appartamenti o strutture esterne

Via dell’Inferno, 8/A - 40126 Bologna tel. 051.226313 restauri.inferno@libero.it

Per realizzare la più essenziale esposizione che sia mai stata dedicata al confronto tra i due titani dell’arte italiana del ‘900, si sono messe insieme tre Fondazioni: quelle intitolate ai due artisti (la Fondazione Fontana di Milano e la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri di Città di Castello) e la Puglisi Cosentino che, curata da Bruno Corà, propone ed organizza la grande mostra che sarà allestita appunto a Palazzo Valle, nel cuore storico di Catania. Protagonista sarà il confronto tra opere sceltissime dei due interpreti dell’arte contemporanea a livello internazionale, artisti che, ognuno con specifiche invenzioni pittoricoplastiche, hanno segnato i gradi più avanzati della ricerca artistica negli ultimi sessant’anni, imprimendo alle arti visive una svolta di radicale mutamento. ROMA Caravaggio Scuderie del Quirinale (fino al 13 giugno 2010)

Caravaggio non dipinse molto in vita sua. Perché la vita prese spesso il sopravvento sull’arte. E nonostante ciò, nel corso dei secoli sono state attribuite a Michelangelo Merisi molte opere, qualcuna dubbia. La mostra vuole offrire al pubblico solo e soltanto la produzione certa, la summa indiscutibile del Maestro. Una carrellata di quadri straordinari, perché straordinaria è la tecnica, la visione e l’innovazione di Caravaggio nell’arte che ne hanno fatto un pittore unico, perché nessuno prima e dopo di lui ha saputo “dare luce al buio”. La carriera artistica del Merisi sarà rappresentata lungo i due piani espositivi delle Scuderie in un percorso che non sarà strettamente cronologico, ma teso ad esaltare il confronto tra tematiche e soggetti uguali.


AGENDA

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BAZZ ANO (BO) Cavalieri Etruschi dalle Valli al Po Rocca dei Bentivoglio (fino al 5 aprile 2010)

La mostra "Cavalieri Etruschi dalle Valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e VII sec. A.C." offre una panoramica archeologica pressoché completa del territorio ad occidente dell'antica Felsina, sviluppando anche i rapporti con il versante opposto dell'Appennino tra l'inizio dell'VIII e l'inizio del VI secolo a.C. Si tratta di una fase cruciale per la vicenda politica e culturale dell'Etruria padana, che vede da un lato il consolidarsi del ruolo di capitale di Bologna, dall'altro il mantenimento di spiccate caratteristiche di autonomia delle comunità locali, specie nei rapporti di scambio con l'Etruria settentrionale e specie per le vallate più occidentali, i cui collegamenti naturali portavano a referenti diversi rispetto all'asse Felsina – valle del Reno – valle dell'Arno. MILANO Goya e il mondo moderno Palazzo Reale (dal 17 marzo al 27 giugno 2010)

Un’emozionante rassegna che attraverso 180 opere, tra dipinti, incisioni e disegni, ricostruisce la relazione tra Goya e altri celebri artisti che hanno segnato il percorso dell’arte degli ultimi due secoli: da Delacroix a Klee, da David a Kokoschka, da Victor Hugo a Mirò, da Klinger a Picasso, da Nolde a Bacon, da Kirchner a Pollock, da Guttuso a de Kooning. Analizzando le tematiche care al pittore, l’immagine della nuova società, l’espressione della soggettività, la reazione gestuale, la violenza, la rassegna propone un inedito e stimolante confronto tra Goya e il mondo moderno, di cui il pittore è stato anticipatore e testimone.

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ROVIGO Pietro Ricchi a Rovigo (con Bortoloni, Piazzetta, Tiepolo) Palazzo Roverella (fino al 27 giugno 2010)

Il cuore dell’esposizione è la presentazione del restauro di due dipinti di Pietro Ricchi raffiguranti rispettivamente “La cena in Emmaus” e “Il Signore libera le anime del Limbo” provenienti dalla chiesa parrocchiale di Baricetta. I due dipinti sono esposti insieme alla “Resurrezione”: la mostra non vuole dare una visione esaustiva della trama artistica di quel periodo, ma permette di comprendere l’eccezionale qualità artistica del pittore e suscitare la curiosità di visitare il Tempio della Beata Vergine Maria, imponente impresa decorativa del Ricchi. L’estroso artista lucchese beneficia di una formazione completa ed aggiornata su quanto di meglio poteva offrire il panorama pittorico italiano del XVII secolo e spazia su vari temi, che sceglie o che gli vengono commissionati.

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AGENDA

MILANO Schiele e il suo tempo Palazzo Reale (fino al 6 giugno 2010)

La mostra ricostruisce attorno alla figura di Egon Schiele, il clima culturale di Vienna nei primi anni del XX secolo, partendo dalla fondazione della Secessione, attraversando le tendenze espressioniste della generazione successiva, fino al 1918, anno segnato dalla fine della prima guerra mondiale e dalla morte di Klimt e Schiele. Un breve ma intenso periodo, in cui Vienna, da centro della cultura, diventa teatro di rovina della vecchia Europa. Si tratta di una rara occasione per ammirare, affiancati alle grandi opere esposte di Schiele, altri capolavori dell’Espressionismo austriaco, che per la prima volta sono riuniti in un progetto tanto esaustivo.

AOSTA Mimmo Paladino. Il segno e la forma Centro Saint-Bénin (fino al 2 maggio 2010)

L’esposizione di Aosta propone oltre trenta opere grafiche e una decina di sculture di Paladino, che offrono al pubblico l’opportunità di ammirare due aspetti significativi della vasta ed eterogenea produzione di questo artista. All’incisione Paladino si è dedicato a partire dalla fine degli anni settanta, sperimentandone tutti i diversi procedimenti, in un rapporto sempre vivo con la matrice. Particolarità dell’opera grafica di Paladino sono le grandi dimensioni di alcuni lavori, nonché l’impiego contemporaneo, nella realizzazione della stessa opera, di diverse tecniche, dalla serigrafia all’acquaforte, dalla xilografia alla litografia. Mentre l’approccio di Paladino al mondo della scultura è databile intorno al 1985 quando si cimenta con grandi sculture in bronzo e con installazioni. GORIZIA Futurismo - Moda - Design Musei Provinciali (fino all’1 maggio 2010)

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Alla moda e alla “Ricostruzione futurista dell’universo quotidiano”, meglio domestico, i Musei Provinciali di Gorizia dedicano una originalissima esposizione curata da Raffaella Sgubin e Carla Cerutti, allestita al Museo della Moda e delle Arti Applicate dei Musei Provinciali. Ad essere esposti saranno un centinaio di pezzi originali, alcuni dei capi in mostra sono concessi da coloro che oggi fanno la moda: Laura Biagiotti Cigna oppure Ottavio e Rosita Missoni, ad esempio, collezionisti di vestiti futuristi. Roberto Capucci, a conclusione della rassegna, è presente con un’anteprima del suo abito-omaggio al Futurismo. La mostra rientra nel progetto “Gorizia. Futurismi di Frontiera” congiuntamente promosso a Gorizia da Provincia, Comune e Fondazione Cassa di Risparmio.


AGENDA

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GENOVA Pubblicità e propaganda. Ceramica e grafica futuriste Spazio Mostre della Wolfsoniana (fino all’11 aprile 2010)

La mostra si concentra sulla presenza della persuasione pubblicitaria e politica all’interno della produzione ceramica e grafica futuriste degli anni Venti e Trenta. La straordinaria stagione della ceramica e della grafica futuriste verrà analizzata mettendo in rilievo come, attraverso le sue peculiari e innovative sperimentazioni linguistiche e iconografiche, queste specifiche ricerche contribuirono alla diffusione di messaggi pubblicitari e alla celebrazione di quei motivi propagandistici che, peraltro, la retorica del regime elaborò in parte attraverso gli stessi modelli poetici del movimento futurista. L’esposizione rappresenta un momento di riflessione sulle dinamiche espressive di quella sottile linea di demarcazione che separa la persuasione pubblicitaria e la propaganda politica, a cui i principali esponenti del movimento adattarono i temi della loro originaria poetica. LISSONE - MILANO - BERGAMO Il grande gioco. Forme d’arte in Italia 1947-1989 Luoghi vari (fino al 9 maggio 2010)

Tre grandi mostre (Lissone, Museo d’arte contemporanea; Milano, Rotonda di via Besana; Bergamo, GAMeC) per descrivere e interpretare 40 anni di storia italiana. Avendo nell’arte il punto focale, ma inserendo le espressioni artistiche nel contesto culturale, sociale economico di decenni rivelatisi cruciali per l’Italia: quelli dal 1947 al 1989, dall’immediato dopoguerra alla caduta del muro di Berlino. Sono stati gli anni della ricostruzione dopo una guerra tra le più devastanti, ma anche del celebrato “miracolo italiano”, gli anni della contestazione e del terrorismo, gli anni complessi della Guerra fredda. Anni fondamentali anche per capire ciò che è l’Italia di oggi.

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FIRENZE Parigi Capitale della Fotografia 1920-1940 MNAF (fino all’11 aprile 2010)

Si tratta della prima grande mostra di questo importante periodo storico del Novecento dedicata alla sola fotografia. Vi sono esposte oltre 100 opere (tutte vintage prints) di una quarantina di fotografi che hanno lavorato a Parigi tra il ‘20 ed il ‘40, accanto a documenti originali dell’epoca (riviste, libri etc). Curata da Marta Ponsa e Michaël Houlette, l’esposizione arriva, dopo Parigi, nel Museo fiorentino della fotografia, offrendo un’occasione per un appassionante itinerario alla scoperta della “Nuova Visione Fotografica in Francia”, così definita dai curatori stessi. Nei primi anni Venti, infatti, Parigi si afferma come capitale mondiale delle avanguardie artistiche, comprendenti anche la fotografia.

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Nato in Italia nel 1960, si è laureato, nel 1987, in architettura a Genova. Ha fondato lo studio MCA a Parigi nel 1992 e Mario Cucinella Architects Srl. a Bologna nel 1999. Ha lavorato presso il Renzo Piano Building Workshop per cinque anni a Genova, poi a Parigi. È Visiting Professor presso l'Università di Nottingham e insegna in scuole di architettura di tutta Europa


DIETRO AL PROGETTO Schizzo preparatorio del SIEEB, SinoItalian Ecological and Energy Efficient Building, a Pechino. Un nuovo edificio di 20mila mq della Tsinghua University. È concepito come una vetrina delle potenzialità di riduzione delle emissioni di CO2 in Cina. L’edificio integra strategie attive e passive per controllare l'ambiente esterno, al fine di ottimizzare le condizioni ambientali interne

CUCINELLA Mario

Ha dichiarato che per un architetto la curiosità è una parte vitale del lavoro. E che è necessaria per capire come si progetta. Considera, inoltre, la cultura una spinta vitale nella ricerca e nella sperimentazione. Una risorsa utile e fondamentale a cui bisognerebbe costantemente attingere di Nilde Pratello

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CSET, Centro per le Tecnologie Energetiche Sostenibili, Ningbo, Cina. Il padiglione sorge lungo un corso d’acqua e presenta un design ispirato alle lanterne di carta e ai ventagli della tradizione cinese. La facciata si ripiega dando vita a una forma dinamica. L’edificio è rivestito da una doppia pelle di vetro con motivi serigrafati che evocano gli edifici storici della zona. Un’ampia apertura sul tetto convoglia la luce naturale a tutti i piani dell’edificio e produce un effetto camino che assicura la ventilazione naturale


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DIETRO AL PROGETTO

a lanciato l’idea della casa a 100 mila euro, dimostrando che un complesso abitativo a basso consumo energetico non è un lusso per pochi. Mario Cucinella è l’architetto che sul numero 250 della rivista l’Arca si è messo in copertina dichiarando d’essere socialmente inutile, ponendo così l’accento su quelle problematiche, appartenenti al mondo dell’architettura, che molti cercano invece di non evidenziare. Ha consegnato alla città di Bologna la sua nuova sede comunale, un nucleo amministrativo che da subito è diventato perno tra il centro cittadino e lo storico quartiere periferico, la Bolognina. Ha vinto, a marzo del 2009 a Cannes, il Mipim Award, l’Oscar per il mercato internazionale della proprietà immobiliare. Il progetto premiato, nella categoria Green Building, è il CSET - Centre for Sustainable Energy

Risposta. L’architettura non è un esercizio estetico né tantomeno un oggetto isolato. È molto di più. È legata alla vita degli uomini, all’uso dello spazio pubblico e alla responsabilità di costruire lo spazio, e questo può condizionare positivamente o negativamente la vita degli uomini. Tutto ciò è l’aspetto che più mi interessa. D. Nel 1997 a Recanati il suo progetto per iGuzzini puntava già sul controllo della luce naturale, sullo sfruttamento della ventilazione naturale e sull’uso della massa termica. Oggi la sua scommessa è una casa riciclabile per tutti ad emissione zero. In questi anni ha sentito maggior interesse per questi temi da parte dei governi italiani che si sono susseguiti? R. Negli ultimi anni la sensibilità e l’attenzione ai temi ambientali ha fatto crescere una nuova coscienza ecologica. È solo l’inizio, siamo ancora in

Technologies, redatto per conto dell’università inglese di Nottingham e realizzato nella città cinese di Ningbo. Solo qualche giorno fa, a L’Aquila, ha presentato un progetto per la città. Una struttura leggera e diversamente essenziale, caratterizzata da un sistema di ponteggi in legno grezzo, con all’interno un ambiente conico di legno lamellare antisismico: il nuovo teatro. Domanda. Architetto Cucinella, lei fonda lo studio MCA nel 1992 a Parigi puntando da subito su un gruppo di lavoro multidisciplinare e sulla logica di affrontare diversi temi: il design, la ricerca tecnologica, la ristrutturazione, il landscaping e altro ancora. Qual è l’aspetto architettonico che sente comunque più vicino al suo modo di progettare?

un’era primitiva: dopo l’era industriale e post-industriale non siamo ancora entrati nell’era ecologica. Non possiamo pensare che questo passaggio avvenga solo attraverso forme di volontariato. Servono azioni forti da parte dei governi che disegnino, attraverso le leggi, questa visione. Ecco direi: siamo ancora lontani da una visione ecologica da parte della politica. D. Nel dicembre 2004 nella città di Pechino è stato inaugurato, alla presenza dell’ex Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, il SIEEB Sino Italian Ecological and Energy efficient Building. Un interessante progetto sovvenzionato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio Italiano e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia Cinese, nell'ambito degli accordi di Kyoto.

ARPA, Agenzia Regionale per l’Ambiente, Ferrara. Il nuovo edificio circonda un cortile centrale che costituisce il nucleo del complesso. Agisce proattivamente con il clima locale. Tutti gli spazi di lavoro aperti verso l’esterno, con l’inclusione di aree verdi, creano un’alternanza di microambienti che movimentano i volumi

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DIETRO AL PROGETTO

Edificio per uffici Focchi, a Poggio Berni, Rimini. Nasce come un ampliamento di 2500 mq dell’esistente. Il volume è trasparente. La costruzione definisce al suo interno i due livelli come due grandi spazi aperti che comunicano visivamente con l’esterno e con il giardino

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Questo progetto è stato per lei una grande sfida? R. L’idea era quella di mostrare che un’altra via, nel costruire edifici contemporanei, era possibile. Nel progetto in questione l’idea fondante era un edificio che integrasse nuove tecnologie e che, ispirandosi alle tradizioni locali, ne desse un’interpretazione contemporanea. Questa sfida è stata importante anche per i riflessi positivi che si sono avuti dopo la costruzione. Il fatto che fosse un’azione governativa ha dato forza e valore al lavoro di tanti: imprese italiane, progettisti e manager. D. Nel suo libro Works at MCA sono presenti molte progettazioni per edifici pubblici in Italia: il com-

l’architettura una forma di espressione della propria cultura e questa povertà si è poi espressa con azioni che hanno spesso creato disagio nei cittadini, o deturpato paesaggi. La diffidenza la si supera con la cultura, avendo la pazienza di spiegare e comprendere i luoghi dove si lavora. Anche questo dovrebbe essere comunicato ai cittadini. D. Ci illustra il progetto della casa da 100mila euro? R. La casa da 100K nasce da una domanda che nessuno ci ha mai fatto: costruire case a basso costo che integrassero i temi energetici. A questo antefatto bisogna aggiungere il valore sociale dell’abitare, l’aspirazione e i desideri delle persone e le modalità del vi-

plesso congressuale di Riva del Garda, la Sede ARPA di Ferrara, la nuova sede Comunale di Bologna, il Campus Universitario di Forlì e tanti altri. Architetto Cucinella, come si è relazionato con le diverse realtà storiche e con la sottile diffidenza italiana verso l’architettura contemporanea? R. Spesso la diffidenza non è poi così sottile. Credo che nasconda un peccato originale, dovuto a tanti anni di disattenzione verso l’architettura contemporanea che spesso si è però dimostrata distante dai luoghi e soprattutto poco colta e per nulla empatica con i contesti nei quali si inseriva. Inoltre sono convinto che la politica non ha visto, negli ultimi decenni, nel-

vere, sempre più lontane dalle tipologie speculative. Quindi il tema proposto è un progetto tecnico di un edificio riproducibile industrialmente, pensato da un lato con particolare attenzione ai desideri e quindi fatto di spazi da contaminare e personalizzare e dall’altro capace di rispondere alla sfida ambientale trasformando, con la tecnologia, il problema dei consumi in un’opportunità. Power to the people è un modo per dire che l’energia dovrebbe essere prodotta e consumata dalle famiglie direttamente, creando così un rapporto diretto. D. Quant’è realmente possibile trasformare un edificio tradizionale (ricordiamo il progetto di via Bor-


gognone a Milano) in produttore di energia e soprattutto in un non consumatore di energia? R. Fondamentalmente è un aspetto tecnico: migliorare l’involucro, le prestazioni d’isolamento, utilizzare tecnologie nuove sia per riscaldare che raffrescare e utilizzare fonti rinnovabili. Ma se fosse tutto qui avremmo risolto solo una parte del problema. Mettere mano alla cura del parco immobiliare esistente deve essere un’opportunità creativa, un’opportunità per migliorare la qualità estetica degli edifici e la qualità dello spazio pubblico. D. Riattare gli edifici vuol dire anche inquinare con i materiali di scarto. Un progetto sostenibile non

D. In Italia ci sono molti edifici abitativi vuoti, invenduti, e molto spesso di scarsa qualità. Come mai la quantità non ha battute di arresto, nonostante il decremento della popolazione, mentre la qualità purtroppo sì? R. Molto del parco immobiliare nasce da esigenze speculative e, a forza di costruire solo con quello scopo il mercato, si è saturato di invenduto, creando due problemi: uno la mancanza di profitto e l’altro la creazione di edifici inutili che hanno compromesso il paesaggio. Niente di peggio. Ora credo che anche i promotori più attenti si accorgano che in mercati inflazionati bisogna aumentare la qualità an-

dovrebbe prevedere anche il riuso di questo tipo di materiali? R. L’architettura e in genere il costruire non sono mai un’operazione ecologica. Si costruisce utilizzando materia che viene comunque sottratta alla natura. Detto questo il tema non è solo quello dell’inquinamento ma quello di utilizzare le materie nel modo più efficace, nel modo più “pulito”. Costruire costa in termini energetici molto meno che mantenere in vita gli edifici e quindi le mie attenzioni sono rivolte più alle performance e alla possibilità del recupero delle materie. Lo sviluppo sta nel creare un utile scarto che potrebbe essere impiegato in altre filiere.

che se ancora non è abbastanza. Esiste la speranza di una lenta crescita della qualità dell’abitare. D. Quanto la sostenibilità può diventare o è già diventata un business? R. La sostenibilità è già un business, e non c’è niente di male. Da quando l’economia ha visto nella sostenibilità, nella valorizzazione dei territori e dei prodotti, nelle politiche energetiche un affare, questo ha aumentato l’attenzione e questo ci aiuterà ad andare più veloci. La sostenibilità non è solo una bella cosa, ha a che fare con la vita degli uomini, con i consumi, con i prodotti e con l’industria. D. Si sente deluso per la recente mal riuscita del

Foto grande: il Centro Direzionale Forum, Rimini. Il prospetto curvo ricorda i tradizionali edifici coperti d'edera. Sotto: stazione marittima, Otranto. La struttura in cemento armato è rivestita con pietra di Lecce. In basso: la casa da 100 k. La realizzazione di una casa da 100 mq a zero emissioni di CO2

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DIETRO AL PROGETTO

Sopra: SIEEB, Sino-Italian Ecological and Energy Efficient Building, Pechino. A destra in alto:Santander, edificio terziario-produttivo, Milano. A destra in basso: nuova sede per uffici della società 3M, Pioltello, Milano

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tanto atteso summit sull’ambiente di Copenhagen? R. Più che una delusione è la costatazione che oggi le forme di politica, le istituzioni sono fragili e incapaci di prendere delle decisioni importanti. Questa fragilità nasconde, di fatto, un tema grave e preoccupante perché lascia soli i cittadini e ancor di più lascia alle libere organizzazioni le decisioni di muoversi verso il cambiamento. Forse l’attore sarà proprio la cultura: una cultura del cambiamento che parte dal basso! D. Nel suo studio MCA quanta ricerca si fa? E quali sono i temi maggiormente affrontati? R. Noi abbiamo un’unità di R&D che affianca i pro-

con il commercio, vitale per i nostri centri storici, e una politica di riduzione dell’inquinamento per migliorare la vita dei cittadini. Cose semplici ma efficaci che devono essere prioritarie per qualunque iniziativa politica. D. Oggi, secondo lei, è ancora possibile parlare di urbanistica? R. L’urbanistica è una disciplina teorica che spesso si è allontanata dai luoghi. Pensiamo ai piani regolatori che impiegano 15 o 20 anni a essere approvati e poi sono messi in discussione con varianti continue. Forse non è lo strumento giusto. Aver ingabbiato la città non ha prodotto qualità diffusa e, pur avendo

getti, analizza i luoghi, ci dà delle informazioni energetiche e disegna scenari di strategie per gli edifici che progettiamo. Inoltre svolge una funzione importante che è quella di raccogliere e selezionare le informazioni in quest’ambito, che sono molte e vanno capite. D. Ma quando sarà possibile legare la progettazione urbanistica alla progettazione energetica? R. Oggi la città va vista come un organismo che consuma energia, si scalda, si consuma e ha bisogno di cure, di terapie intensive che vanno da una politica dei trasporti pubblici per migliorare e incoraggiare l’uso dei mezzi pubblici alle biciclette e alle aree pedonali. Servirebbe anche nuova visione del rapporto

progettato tanto, le città vivono una condizione urbanistica drammatica! Alcune esperienze si salvano e una di queste è Bologna. Ma perché dietro c’era una visione politica, negli anni 70, che ha fatto scuola. Senza visioni politiche l’urbanistica diventa solo un altro processo burocratico fine a se stesso. D. Nonostante le spinte alla omologazione globale, esiste ancora, secondo lei, il genius loci? R. Certo che esiste. Nelle nostre città e nei nostri paesaggi è un aspetto fondamentale. Milano non mi sembra che abbia le stesse caratteristiche di Bologna e questo è un valore che deve essere scoperto e capito. Come diversi per vocazioni sono i territori e le cul-


ture che le abitano. Per troppo tempo abbiamo creduto che la diversità fosse qualcosa da appiattire mentre, invece, una nuova coscienza ecologica deve guardare alle diversità come valori fondamentali, come una biodiversità. D. Quando progetta, oltre alla sostenibilità, quale altra categoria progettuale sente fondamentale? R. Progettare voce del verbo amare, diceva un grande designer italiano, AG Fronzoni. Quindi la sostenibilità è solo un aspetto del grande amore per l’architettura che è fatta di tecnologia ma anche di emozioni, di prestazioni ma anche di imprecisioni. È pensata ma anche costruita. E in questo passaggio sta

e varia carriera l’approccio verso la progettazione? R. Da una parte il mio approccio è rimasto fedele a un impegno etico che si allarga alla ricerca di trasparenza e correttezza dei comportamenti. È rimasto anche fedele alla sincerità di progettare edifici migliori. Ma è anche cambiato perché il tempo è un alleato e nella maturità si capiscono e si scoprono più cose. E questo mi piace. D. Il mondo desidera cambiare e l’economia e la politica tentennano. Anche Kyoto oramai sembra più lontano. La consapevolezza del ruolo dell’architettura in ambito ambientale e climatico non è ancora completamente riconosciuto quanto quello dell’agricol-

il segreto della straordinaria avventura del progettare. D. Quando ha dichiarato, “rottamiamo l’edilizia orrenda. È un mercato immenso, una vera sfida economica”, cosa intendeva? R. Intendevo che bisogna premiare chi demolisce. Oggi esistono solo i permessi per costruire. Dovrebbero creare un nuovo strumento urbanistico che preveda il permesso a demolire nel senso che si libera spazio e territorio e questo deve diventare un sistema di incentivi. Demolire non significa che bisogna ricostruire e forse si potrebbe cominciare a vedere in questo anche un’opportunità economica. D. In che modo è cambiato nel corso della sua lunga

tura o dell’ingegneria. A suo avviso, qual è la strada da percorrere perché questo avvenga? R. La strada è quella di non considerare l’architettura una disciplina a se stante, ma profondamente legata ad altre. L’architettura è la matrice dell’abitare e non esiste edificio che non debba confrontarsi prima di tutto con aspetti materiali e con principi di fisica e di resistenza. La maturità avverrà quando fonderemo tutto in un’unica grande disciplina. L’architettura contiene dentro di sé l’ingegneria, la filosofia, la cultura, la tecnica e il paesaggio, ed è ora di dare all’architettura e agli architetti il loro ruolo. Fondamentale e socialmente utile.

Nuova sede comunale, Bologna. Il concept nasce dall’idea della rottura di una massa unica che realizza tre blocchi di altezza diversa uniti da una tettoia ombreggiante. L’atrio d’ingresso si sviluppa su quattro piani e affaccia su una piazza che si apre verso la Bolognina

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LUOGHI.CREATIVI

L’entrata del Centro Stile Fiat. Inaugurato nel luglio 2007 dal recupero di un’ala dello storico stabilimento Mirafiori, oggi in questo spazio vengono pensati e progettati i nuovi modelli della Casa torinese

LA FABBRICA DELLE IDEE

L’ispirazione nasce anche dalla qualità del luogo in cui si lavora. Officina 83 è stata concepita proprio in quest’ottica. Una passeggiata all’interno del Centro Stile Fiat insieme a Lorenzo Ramaciotti, transportation designer responsabile della struttura, per scoprire, tra un Pfund e un open space, come e grazie a chi nasce il modello di un’automobile di Edmea Collina

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a qualità dello spazio in cui si lavora non è un dettaglio. A maggior ragione se si tratta di un’officina di ricerca o di uno studio di design. In questo caso, contenitore e contenuto intrecciano tra loro un legame a doppio filo. Ambienti ariosi, sobri, ricchi di trasparenze possono, infatti, coadiuvare il lavoro e il pensiero. Essere fonte stessa di ispirazione. E mettere il designer nella condizione ottimale per creare. Officina 83, dal luglio 2007 sede del Centro Stile del gruppo Fiat Automobiles, è un esempio perfetto di questa concezione. Risultato del recupero di un’ala dello stabilimento Mirafiori, simbolo stesso della casa torinese e dell’industria italiana, Officina 83 è il laboratorio dove vengono pensati e creati i modelli dei marchi Fiat, Lancia, Maserati e Abarth. Così, dallo stesso luogo in cui dal 1939 vengono assemblati i componenti delle automobili della casa di bandiera, ora escono idee, soluzioni, forme.

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LUOGHI.CREATIVI

Ogni definizione di Officina 83 rischia, però, di essere riduttiva. E questo a partire dai numeri: 12.500 sono i metri quadrati occupati dagli studi circondati da 8.100 metri quadrati di aree esterne. Uno spazio che ospita circa 200 persone impegnate nell’intero processo stilistico dove designer, modellisti, matematizzatori lavorano quotidianamente spalla a spalla. Risulta fuorviante anche pensare a Officina 83 come un semplice ambiente di lavoro visto che qui arte, cultura e leggerezza trovano una nuova e inedita sintesi. Passeggiando per il Centro Stile non si può fare a meno di essere attratti dalle opere di Roger Pfund che trasformano gli spazi di lavoro in veri e propri spazi espositivi. Allo stesso modo è impossibile non fermarsi a riflettere davanti alle massime scritte sulle pareti di Descartes, Leopardi, Plutarco, Pascal, Leonardo Da Vinci, Napoleone, Gadda e Sottsass che, come slogan, inneggiano al po-

tere infinito della creatività, dell’immaginazione, del pensiero. «L’involucro – spiega Lorenzo Ramaciotti, designer responsabile della struttura – non deve prevaricare chi lo occupa, ma essere il più possibile sobrio, trasparente». Passato dalla scuderia Pininfarina, dove ha lavorato per 17 anni, alla Fiat per volontà di Sergio Marchionne, Ramaciotti insiste proprio sull’importanza del rapporto visivo del creativo con il mondo. «La fonte primaria di ispirazione – continua – proviene e si genera dalla realtà in cui si vive». Un mondo che oggi, secondo l’ingegnere, travolge e aggredisce, senza lasciare il tempo di rendersene conto. Si vive, insomma, in una foresta di messaggi, segni, simboli nella quale è difficile districarsi. «I media sono invasivi», ammette. «Si è connessi alla rete 24 ore su 24. Si è travolti da un torrente di informazioni che, a volte, è eccessivo e ti prevarica. Le sollecitazioni dall’esterno sono molto, troppo, forti». Lo sforzo maggiore consiste allora nel fare chiarezza, mettere a fuoco la meta da raggiungere. Tradotto significa anche capire a che tipo di cliente ci si indirizza e cosa quest’ultimo si aspetta dall’auto che intende acquistare. «Occorre mettere in campo uno sforzo di immede-

Sopra, a sinistra: due specialisti addetti alla realizzazione di un modello in scala. A destra: un gruppo di designer. In basso: una delle numerose riunioni che scandiscono le giornate lavorative in Officina 83


LA STORIA E I NUMERI

In principio era solo la Mirafiori, storico stabilimento di Torino. Simbolo della casa torinese e, per estensione, simbolo della stessa industria italiana. Poi, proprio nel cuore della produttività, si è fatto spazio il Centro Stile, mente creativa della Fiat. Dal 2007 da qui escono i nuovi modelli. Uno spazio, concepito per essere un inno alla leggerezza e alla trasparenza, di 12.500 metri quadrati occupati da studi e 8.100 metri quadrati di area esterna. In questa struttura lavorano circa 200 persone, di un’età media di 36 anni, impegnate nell’intero processo stilistico: dai designer e i modellisti fino ai matematizzatori. Il Centro Stile Fiat, come unità autonoma, nasce nel gennaio 1959 in via Settembrini, a Torino. Sarà in seguito trasferito in via Correggio per trovare poi una sede stabile nel 1961 in Strada della Manta 22 dove resterà fino al 2007. Il 2 luglio di tre anni fa è, infatti, inaugurata l’Officina 83, nata per essere il polo di riferimento di tutte le attività di stile del Gruppo. Qui vengono creati i nuovi modelli dei marchi Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Abarth, Maserati, Fiat Professional, Iveco e CNH.

simazione», sorride Ramaciotti. «Ecco perché il designer deve essere un po’ psicologo, cercare cioè di entrare in sintonia con il pubblico a cui si rivolge. E, contemporaneamente, deve sapere interpretare e precorrere il futuro, sintonizzarsi sullo stile di domani, visto che le macchine pensate oggi, saranno commercializzate solo tra un paio d’anni». L’équipe di lavoro è per questo multifunzionale. «Nelle valutazioni degli esperti che si occupano di consulenza e di prodotto – conferma Ramaciotti –, il design si posiziona come il primo elemento di scelta nell’acquisto, rientrando negli asset strategici di un brand». Detto questo, va da sé che il transportation designer non può essere considerato un battitore libero. Occorre infatti sgombrare il campo dall’immagine del creativo concentrato su se stesso e sulle proprie idee. Chiuso, insomma, nel suo mondo fatto di carte, matite e colori. Colui che disegna veicoli deve fare costantemente i conti con gli esperti di marketing e lavorare in un flusso costante e a doppio senso di informazioni e input. Solo così può trasformare i desiderata che aleggiano nel mercato in linee, spazi e forme. Riunioni serrate e meeting periodici scandiscono necessariamente la vita lavorativa all’inDESIGN + 97


LUOGHI.CREATIVI

Sotto: una sala del Centro. Più di un semplice studio di progettazione, Officina 83 è una vera Galleria d’Arte. Alle pareti sono appese opere di artisti contemporanei come Roger Pfund e frasi celebri di filosofi, statisti e architetti-designer

terno di Officina 83. «Le nostre tempistiche si articolano su processi complessi che possono durare anche anni», dice l’ingegnere. «Per questo serve un confronto costante per monitorare gli avanzamenti del lavoro. A questo si aggiunge il fatto che i progetti sui quali lavoriamo sono molteplici. Per intenderci, è come se contemporaneamente diversi treni corressero paralleli su un fascio di binari». E di questa rete ferroviaria, Ramaciotti è a tutti gli effetti il capostazione. «Mi occupo di ritmare e controllare le attività del team da cui provengono idee, indicazioni e pareri. I collaboratori sono assolutamente autonomi di esprimere la propria creatività. Sono

giovani professionisti di grande valore. Nei loro confronti posso definirmi un vecchio saggio, sono un po’ la loro coscienza, un pungolo». Sì, giovane. È questa l’altra caratteristica della squadra di Officina 83, la cui età media si aggira sui 36 anni. Ma non “nata ieri”. Se un tempo, infatti, come ricorda Ramaciotti, si diventava designer di mezzi di trasporto sul campo, «da autodidatta», ora la filiera formativa si è arricchita, e oltre agli Stati Uniti, alla Germania e all’Inghilterra, è possibile studiare e fare pratica anche in Italia. È in questo bacino che i grandi produttori e i grandi studi cercano i nuovi collaboratori. Coordinare molte teste e diverse professionalità non è un compito semplice. Soprattutto in campo creativo dove sensibilità e gusti assolutamente personali e, quindi, non sovrapponibili devono convogliare su un unico risultato. «A volte sorgono disaccordi – sorride il capo –. Ma se sono convinto delle mie ragioni allora le sostengo e le porto avanti solo, però, dopo aver compreso le ragioni del dissenso. Del resto, la bellezza è nell’occhio di chi guarda, quindi è assolutamente normale avere davanti a un progetto reazioni diverse. Bisogna capire fin dove spingersi e quanto serva essere invasivi con la propria visione. Se lavorassi da solo realizzerei vetture tutte uguali. Nei limiti in cui è possibile, è bene


Sopra: uno degli spazi espositivi con alcuni nuovi modelli e prototipi. Il Centro, caratterizzato da spazi ampi e luminosi, è stato pensato per essere un luogo di lavoro confortevole dal quale trarre ispirazione

permettere varietà di espressione». Un ragionamento che non fa una piega, soprattutto in una realtà multibrand come Fiat che produce dalla Maserati all’Alfa Romeo fino ad arrivare ai veicoli commerciali. «Ogni brand deve esprimere un carattere specifico, una filosofia formale indipendente. Se così non fosse, finiremmo per produrre una marmellata di automobili assolutamente indistinguibili le une dalle altre. È questo il trucco: gestire la molteplicità di visioni». Esiste però una filosofia di fondo che accomuna lo stile degli autoveicoli Fiat. «Qui - conferma il designer - cerchiamo di esprimere un design fresco, sorridente, positivo, amichevole, che punti a valori semplici e non richieda letture complesse. Allo stesso tempo deve mantenere i tratti di buon gusto e di equilibrio che da sempre sono le cifre del design italiano». Ma come nasce concretamente un nuovo modello? Come si passa da un’idea alla sua realizzazione? Il processo di sviluppo è sostanzialmente lo stesso in ogni Paese. La fase iniziale consiste in una visualizzazione a due dimensioni, un rendering, in grado di materializzare e rendere facilmente trasmissibile l’idea. Il secondo

step è la definizione a tre dimensioni, attraverso programmi con cui si creano modelli virtuali, realistici e definiti, visibili e proiettabili a grandezza naturale. Passato questo livello, allora le future auto diventano modelli reali e realizzati in scala uno a uno. Il tutto sempre in coordinazione con i responsabili di prodotto e di mercato. Se può essere evidente il fatto che dietro un’automobile, sia essa l’utilitaria o la sportiva da sogno, ci sia un’idea, forse lo è meno pensare che alla sua realizzazione lavori per anni una squadra multidisciplinare. Un team di professionisti che devono sapere precorrere i tempi, interpretare e captare i desideri dei futuri clienti, traendo ispirazione da un mondo sempre più rumoroso, urlato e caotico. Restando ancorati all’unica certezza che tutto, alla fine dei conti, è relativo. Per questo Ramaciotti, che più che manager si definisce vecchio saggio, ama ripetersi e ripetere ai suoi giovani colleghi, la poesia di Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. «Questo - allarga le spalle - ci fa capire che la nostra vita deve essere sempre pronta a un grande cambiamento. E in fondo in fondo cos’è il design se non l’essenza del cambiamento?». DESIGN + 99


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FOTOGRAFIA

MARCO INTROINI

GUARDARE LA CITTÀ

Detroit Downtown, 2009. Questa foto fa parte di un progetto fotografico tuttora in corso sulla città americana, diventata caso studio per la riqualificazione urbana

Documentarista della forma urbana. Marco Introini, fotografo di architettura e del paesaggio antropizzato, approfondisce l’idea di luogo e della geometria che gli è propria. Esalta la luce, le ombre, i segni dei diversi vissuti urbani di Silvia Di Persio DESIGN + 101


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FOTOGRAFIA

no sguardo in movimento che di città in città ha percorso e circoscritto le grandi distanze concettuali dello spazio urbano fissandole nell’immagine fotografica. Dall’astrazione metafisica di Brasilia alle contraddizioni di Shanghai e ancora Lisbona, Madrid, Detroit. Davanti c’è sempre la città con la sua filigrana di segni architettonici passati, presenti e futuri da leggere e interpretare. Dietro l’obiettivo, Marco Introini, architetto, docente di Fotografia dell'Architettura e Tecnica della Rappresentazione presso il Politecnico di Milano ma, soprattutto, uno dei più interessanti fotografi di architettura e del paesaggio del momento. «Quando lavoro per un architetto documentandone l’opera ascolto prima di tutto il suo racconto. È lui che mi dà la sua chiave di lettura, i cardini, i temi del progetto e questo mi serve perché la mia sensibilità ha registri differenti. La mia esperienza di architetto e ora di osservatore dell’architettura mi fa percepire elementi differenti del progetto». Da questa percezione alternativa del progetto nasce la capacità di rintracciare costanti compositive inedite dello spazio urbano che permea ognuna delle sue ricerche fotografiche così come, fin dal titolo, la mostra “Marco Introini. Paesaggio analogico 05” a lui dedicata. Con un uso prevalente del bianco e nero, in questo caso così come in altre rassegne di immagini della sua produzione, il fotografo milanese recupera la dialettica profonda tra diversi sistemi di isolati, edifici e schemi cittadini di diverse capitali europee per restituirla agli sguardi. Anche ai più distratti. Domanda. È vero, secondo lei, che lavorare sull’architettura per un fotografo equivale a capirla e svelarne gli aspetti che sfuggono allo sguardo occasionale? Risposta. Certamente il fotografo svela qualcosa che al visitatore occasionale sfugge. Attraverso la sua macchina, sceglie una determinata posizione nello spazio, un determinato angolo di campo; ritaglia nel suo rettangolo fotografico una porzione discreta dello spazio e di quell’architettura ne dà ordine e misura; il visitatore occasionale percorre lo spazio immerso in esso e non concentra mai lo sguardo; è immerso in un flusso di immagini. D. Le città che lei ha fotografato hanno dei tessuti urbani diversissimi tra loro. Beirut, Hong Kong, Shanghai, Madrid, Berlino. Quale città ha più colpito il suo occhio e perché? R. Le ho trovate tutte interessanti e ognuna mi ha colpito per differenti motivi: Beirut per la sua vitalità nonostante la guerra, Hong Kong per la sua orografia e per il melting pot architettonico. Madrid per la sua architettura monumentale e Shanghai per quella coloniale. Berlino mi ha colpito per la presenza di grandi esempi di architettura e per le sue vicissitudini urbane. Forse quella che mi ha colpito di più, forse solo perché è l’ultima in cui ho lavorato, è Detroit,

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città molto particolare che dai due milioni di abitanti degli anni Cinquanta è passata ai circa seicentomila di oggi. Questo spopolamento ha portato dopo mezzo secolo a dei grandi vuoti urbani per cui da Downtown puoi percorrere miglia di interi isolati rasi al suolo e poi trovarti di fronte a stupendi edifici e grattaceli Art Deco, a brani di città abbandonati. Io in realtà ero lì per fotografare il Lafayette Park di Mies e non ho potuto fotografare molto la città. Fotografare Detroit sarà uno dei propositi di quest’anno. D. Cartier-Bresson riteneva che non si può imparare a fotografare, perché fotografare è un modo di vedere e di vivere. Quand’è che Marco Introini ha iniziato a vedere attraverso la fotografia? R. Se devo rispondere con una battuta, quando il caso me lo ha permesso. Per me la fotografia è stato un naturale passaggio dalla prospettiva, dalla rappresentazione d’architettura del cui linguaggio mi sono sempre interessato durante i miei studi di architettura. Allo stesso tempo la fotografia come per la maggior parte degli studenti di architettura era una passione; solo dopo aver indirizzato i miei interessi esclusivamente verso la fotografia di architettura e di paesaggio ho trasferito la mia conoscenza di anni di disegno nella macchina fotografica. Poi il caso ha voluto che venissi in contatto con alcune redazioni di riviste di architettura e che vincessi dei premi su progetti fotografici; poco per volta l’attività di fotografo ha preso il sopravvento su quella di architetto e sono diventato fotografo. D. Nell’atto del fotografare cosa la colpisce di più? La novità, la somiglianza con altro, la luce e il chiaroscuro, il colore o cos’altro? R. La somiglianza è quello che mi colpisce di più. In una città la prima cosa che cerco è proprio la familiarità con quelle che ho già vissuto e questo mi porta molto spesso a trovarmi subito a mio agio in una nuova città. Da qui nasce il lavoro su Shanghai e sulle altre città della costa cinese, il cui grande patrimonio di architettura coloniale ci permette di sentirle più vicine a noi. D. Prima di fotografare si documenta o lascia che siano le percezioni del momento a guidarla? R. Paragono sempre il progetto fotografico al progetto d’architettura, passo sempre attraverso lo studio del tema, del luogo, per capire cosa racconterò; preparo un piano di battaglia. Una volta che sono sul “luogo del delitto” posso ricevere nuovi stimoli, verificare la mia idea. La documentazione e la programmazione sono fondamentali. D. Perché la scelta ricorrente del bianco e nero per fotografare l’architettura? R. Io utilizzo più spesso il bianco e nero per formazione, perché prima di approdare alla fotografia ho disegnato molto l’architettura quando si disegnava a china e la rappresentazione architettonica attraverso

A destra: fotografie scattate a Shanghai nel 2007. Il progetto fotografico è concepito come un percorso temporale sulla città cinese. Città già raccontata dai media nella contemporaneità dei grattaceli e dei grandi interventi urbani, ma che trova origine in un nucleo storico di forte identità, nato nel periodo coloniale quando porzioni di territorio urbano erano cedute alle Concessioni Straniere, che ne hanno disegnato la forma urbana e l’architettura



Nella fascia in alto, le tre foto sono state scattate a Madrid tra il 2002-2005. Il lavoro inizia nel 2002 sul percorso della Gran Via, asse storico della pianificazione madrilena. La città è stata attraversata, sezionata da Est a Ovest, cercando di restituire l’identità e la stratificazione storico-architettonica

l’incisione sei-settecentesca. Utilizzo il bianco e nero per il valore evocativo e per la maggiore sintesi nella veduta, ma anche perché mi permette una più ampia libertà nell’utilizzo dell’architettura e degli oggetti del nostro paesaggio (affissioni, cartelli, pali elettrici, ecc.) nella composizione dell’immagine. Ripuliti dalla loro informazione cromatica posso utilizzarli in maniera più disinvolta e poi saranno l’occhio, la mente e l’esperienza dell’osservatore della fotografia a restituire inconsciamente i colori. Quando lavoro a colori la selezione dello spazio che traccio attraverso la macchina fotografica passa anche attraverso la selezione dei colori: pochi per non essere “cacofonico”. L’ultimo libro realizzato con Maddalena d’Alfonso, curatrice del concept e dei testi, è su due musei di Alvaro Siza, il museo Serralves e il museo Ibere Camargo. Qui ho usato il colore perché si tratta di un’architettura già quasi concepita in toni di grigio e gli unici colori sono il verde della natura e l’azzurro del cielo; situazione cromaticamente perfetta. D. Secondo il fotografo Mimmo Jodice l’architettura dovrebbe vivere nei progetti dell’architetto e nell’interpretazione del fotografo. I giornali dovrebbero dare più spazio a quest’ultimo lasciandone emergere lo stile. Qual è la sua esperienza? 104 DESIGN +

R. Se dovessi dare una risposta da architetto o da semplice persona direi che l’architettura vive nel momento in cui rappresenta il suo valore civile, è il suo scopo. Ma io non credo nell’unicità di questa visione. Se parliamo delle riviste di architettura allora posso dire che loro fanno delle scelte per cui l’architettura è il soggetto di una descrizione che fa riferimento a una tradizione rappresentativa in cui la fotografia ha lo scopo di descrivere l’architettura in maniera quasi asettica, una maniera in cui l’intervento del fotografo e del suo linguaggio è quasi assente. Dico “quasi assente” perché poi i gradi di libertà rimangono comunque molti. La mia esperienza in questo settore è ottima, anche perché c’è una sorta di coincidenza tra il lavoro che mi viene richiesto e la mia ricerca sulla percezione dello spazio. Certo è che alcune ricerche linguistiche di determinati fotografi non si sposano con la mission della rivista di architettura. Il mondo dell’arte e delle gallerie predilige una fotografia in cui la ricerca “artistica” è più evidente mentre il linguaggio delle riviste di architettura è legato a una fotografia più documentale, è una questione di mission. D. La città è un essere vivente che si modifica e muta. Come varia l’occhio del fotografo nel riprenderla? R. Se devo essere sincero, il mio occhio non cambia o


Le cinque foto, nella fascia in basso, sono state scattate a Lisbona, Area Expo, nel 2009. Sono frutto di una ricerca commissionata dall’Ordine degli Architetti di Milano per indagare le aree EXPO europee dopo l’evento. Altri fotografi hanno raccontato Siviglia, Saragozza, Hannover

almeno a me non sembra che cambi. Il mio sguardo, che sia a Milano, dove le mutazioni sono più lente, o a Shanghai dove in quindici giorni brani di città mutano, rimane lo stesso. L’atteggiamento non cambia. Mi documento sul luogo che fotograferò attraverso le mappe, le carte storiche, la bibliografia e l’iconografia esistente. Studio per capire cos’è avvenuto in quella città in quel determinato territorio. Per comprendere qual è stata l’evoluzione, in che modo è avvenuta la trasformazione e quali sono quelle in atto. Cerco di capire ciò che la città mi può raccontare. Poi comincio a percorre i luoghi con il mio taccuino sul quale disegno, schizzo le fotografie che andrò a fare e mi appunto emozioni che mi dà il luogo. Tutto ciò influisce molto sulla costruzione della sequenza del racconto fotografico, sul suo ritmo, ma non credo che nella singola fotografia si verifichi una variazione del linguaggio e della composizione. D. Fotografare Brasilia. Lei lo ha fatto. Cosa richiede a chi fotografa la moderna e solitaria monumentalità tipica delle architetture di questa città? R. Brasilia è stata un’esperienza molto particolare perché è la costruzione della città teorizzata e disegnata dal movimento moderno. Camminare lungo i viali è un’esperienza straniante: l’asse-giardino longitudinale

regola la disposizione dei monumentali edifici pubblici, ma la grandezza e l’orizzontalità del terreno fanno sì che gli edifici vengano percepiti nella loro singolarità e dimensione, creando una sensazione di solitudine. Complice è la luce netta del luogo che rendendo lo spazio privo di atmosfera, quasi metafisico, mi ha portato alla memoria tutta quella tradizione pittorica e di rappresentazione dell’architettura che parte dalle tavole di Urbino con la stessa atmosfera rarefatta e arriva fino alle solitudini delle piazze di De Chirico e di alcuni quadri di Hopper. Brasilia richiede un bagaglio di immaginario al quale fare riferimento, nel cui solco inserirsi. D. I cittadini vivono e si muovono nelle città. Eppure i fotografi scelgono comunemente di escluderli quasi del tutto. Anche lei ha spesso fatto questa scelta. Perché? R. La città come scena teatrale dove gli attori devono ancora entrare; noi siamo concentrati sull’architettura, sugli oggetti della casualità che costellano il nostro paesaggio: i cartelli, l’arredo urbano, le insegne, i pali della luce, i fili aerei. Notiamo il tempo che passa sugli edifici e sul paesaggio, ne notiamo i pregi e i difetti; ci emozioniamo e intanto immaginiamo gli attori che la abitano, ma il nostro sguardo e la nostra mente rimangono concentrati sul paesaggio che stiamo guardando. DESIGN + 105


RICONOSCIMENTI

IL RIBA PREMIA IEOH MING PEI L’uso di una geometria rigorosa. Il pensare le masse architettoniche in termini scultorei. Il massimo rispetto per i materiali. Sono queste le peculiarità che hanno segnato il lavoro di Ieoh Ming Pei che l’11 febbraio ha ricevuto la Royal Gold Medal 2010 di Mercedes Caleffi Il Rock and Roll Hall of Fame and Museum, Cleveland, Ohio, USA. Una torre con una piramide di vetro. La torre è alta 50 metri e la base della costruzione si estende su 13.500 mq. L'apertura del museo avvenne il 2 settembre 1995 e a tagliare il nastro fu Yoko Ono

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eoh Ming Pei, l’architetto sino-americano di fama mondiale, con alle spalle una notevole produzione, circa 170 progetti e oltre 50 masterplan, l’11 febbraio 2010 ha ricevuto la Royal Gold Medal for Architecture dopo esserne stato proclamato vincitore dal RIBA, il Royal Institute of British Architecture, il 6 ottobre. Gli è stata attribuita da sua Maestà, la Regina Elisabetta, per onorare il suo instancabile lavoro nell'ambito dell'architettura a livello internazionale. Ieoh Ming Pei ha 92 anni e nell’arco della sua vita professionale ha creato architetture innovative dal grande valore simbolico e impianti urbanistici di grandi città. La sua fama iniziale è dovuta alla Biblioteca di John F. Kennedy a Boston, la cui costruzione durò circa 15 anni. La Biblioteca fu completata nel 1979, ma con una originalità di forma e utilizzo di materiali da colpire favorevolmente l’allora First Lady Jacqueline Kennedy ed essere, tanti anni dopo, ancora

menzionata tra le grandi opere di valore architettonico degli Stati Uniti L’architetto Ieoh Ming Pei non è presente solo nella storia dell’architettura americana, è presente anche in quella dei francesi. Questi ultimi hanno tanto lottato affinché ciò non avvenisse. Infatti, come ostacolarono la realizzazione del Beaubourg, si opposero accanitamente alla costruzione della famosa piramide di vetro di Pei nella Cour Napoleonica del Louvre, definendo l’architetto scelto dal presidente Mitterrand “Pei faraonico” e il progetto “la casa della morte”. Proseguirono con questo tono fino a quando Pei stesso, seguendo una richiesta fattagli da Jacque Chirac, allora sindaco di Parigi, fece realizzare un modello temporaneo in scala 1:1 in tubi innocenti da posizionare nel sito prescelto. Migliaia di cittadini visitarono la struttura, e tra questi lo stesso sindaco. Oggi la vera piramide è fonte di orgoglio cittadino. La Piramide di vetro, che a marzo del 2009 ha festeggiato i suoi 20 anni, è a voler essere estremamente sintetici una sorta di lucernario alto 20 metri che copre l’entrata sotterranea del museo, dove trovano spazio ristoranti, gallerie, negozi, librerie e un auditorium. Un diamante da 200 tonnellate, realizzato con Il Museum of Islamic Art (MIA). Un’imponente composizione di blocchi quadrati e ottagonali in pietra bianca sovrapposti l’uno all’altro che culmina con una torre centrale. Il nuovo museo sembra sorgere dal mare, ma è situato su un’isola artificiale collegata alla costa da due ponti. I volumi arretrano man mano che la struttura si alza in altezza attorno ad un atrio centrale coperto da una cupola. Una facciata continua in vetro sul lato nord del museo offre viste panoramiche sul Golfo e sulla West Bay di Doha

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RICONOSCIMENTI 1

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elementi in alluminio e acciaio inossidabile posti in tensione con rombi di vetro che si agganciano puntualmente alla struttura metallica attraverso un particolare nodo a ragnetto che ha fatto scuola per le successive strutture in vetro. Ruth Reed, il presidente della giuria del RIBA, durante la conferenza stampa organizzata a novembre per fornire le motivazioni del premio, ha dichiarato che l’architetto Pei è uno dei “grandi“ del 20esimo secolo e che ne ha sempre ammirato il lavoro, riconoscendo, con disappunto, quanto il premio sia tardivo, vista l’altissima qualità dei progetti dell’architetto. Ieoh Ming Pei ha ricevuto moltissimi riconoscimenti in diverse parti del mondo, e nel Regno Unito è stato nominato anche Accademico ad honorem della Royal Academy of Arts dal 1993. Tra i premi che gli sono stati attribuiti sono da ricordare: nel 108 DESIGN +

1976 e nuovamente nel 2001 la Thomas Jefferson Memorial Medal. Sono del 1979 la Medaglia d’oro dell’AIA, l’American Institute of Architects, e quella dell’American Academy of Arts & Letters, mentre la Grande Médaille d’Or dell’Accademia dell’Architettura di Francia la ottenne nel 1981 e nel 1983 venne insignito del famoso The Pritzker Architecture Prize. Nato a Suzhou, in Cina, il 26 aprile 1917, I.M. Pei proviene da una famiglia molto agiata, suo padre, infatti, era direttore di banca. Studiò prima ad Hong Kong e alla Saint John's University di Shanghai e in seguito si trasferì negli Stati Uniti dove avviò gli studi di architettura. Ottenne la Laurea in Architettura presso il Massachusetts Institute of Technology nel 1940 e due anni più tardi si iscrisse alla Harward Graduate School of Design, e qui tornò nel ‘44 per conseguire il master in Architettura due

PEI HA RICEVUTO RICONOSCIMENTI IN DIVERSE PARTI DEL MONDO. NEL REGNO UNITO È STATO NOMINATO ACCADEMICO DELLA ROYAL ACADEMY OF ARTS


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Mudam, Musée d'Art Moderne Grand-Duc Jean (Lussemburgo). Aperto nel 2006, sorge nel mezzo della fortezza di Fort Thungen e, preservando la ricchezza storica del luogo, si estende con gli spazi espositivi verso il centro storico della città. 2. Morton H. Meyerson Symphony Center (Dallas). Inaugurato nel settembre del 1989 è crocevia di eccellenze artistiche. È una delle più grandi sale da concerto al mondo, dotata di ampi spazi, eleganza e di un’insuperabile acustica.

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anni dopo. Rimase ad Harward come assistente universitario fino al 1948, anno in cui, divenuto cittadino statunitense a tutti gli effetti, si trasferì insieme alla sua famiglia a Boston, dove visse, anche se per poco tempo, nella casa del famoso architetto Walter Gropius. È solo qualche anno più tardi, nel 1955 a New York, che ci fu l’inaugurazione del famoso studio M.Pei and Associates, internazionalmente noto per aver affrontato i piani di risanamento delle strutture urbane di molte città americane quali Philadelphia e Chicago. All’età di 86 anni l’architetto Ieoh Ming Pei si è ritrovato ad affrontare una particolare sfida lanciatagli dalla sua città natale: costruire a Suzhou un museo moderno. Il sito del progetto risultò essere alquanto importante perché vicino ad altri tre siti formalmente legati alla tradizione classica della città: il giardino dell’umile, la resi-

denza del Principe Zhong, e il giardino della Grotta del Leone. Il Museo, inaugurato nel 2006, nel rispetto dell’intorno, rivela immediatamente la poetica del pensiero di Pei. Si presenta infatti con un muro di cemento dipinto di bianco a calce e caratterizzato da rifiniture di creta grigia scura tipica dell’architettura della città. Se di stile si può parlare, in questo caso possiamo affermare che le linee principali delle costruzioni tipiche della città sono state variamente riproposte. La tradizionale struttura di travi in legno è stata sostituita da un sistema di acciaio e vetro, ma tutti gli altri materiali impiegati hanno comunque un’origine locale. Da museo a museo, l’associazione è immediata con un’altra opera importante per la sua carriera: il museo Miho di Kyoto, in Giappone. A volere tale struttura ha tanto insistito una ricca collezionista nipponica.

Miho Museum (Kyoto). È situato in uno splendido paesaggio tra le montagne di Shigarachi. Vi si può accedere attraversando un tunnel, il collegamento tra il padiglione della reception con il museo vero e proprio. Si percorre dapprima il viale dei Ciliegi, poi il tunnel rivestito con materiale riflettente e da qui, attraverso un ponte con struttura in acciaio sospesa, si giunge alla scalinata che conduce all’ingresso.

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John Fitzgerald Kennedy Library e Memorial (Boston). Subito dopo aver varcato la soglia dell’edificio il visitatore viene proiettato in uno spazio che ha sullo sfondo la baia di Boston.

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Luce Memorial Chapel, Tunghai University (Taiwan). La cappella è impostata su base esagonale irregolare. La copertura, una tenda di cemento armato, un paraboloide alto 19 m, è stata pensata per resistere alle continue scosse di terremoto.

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RICONOSCIMENTI

In alto: Le Grand Louvre, la nuova “porta” del museo nel centro della Corte Napoleone, una piramide a base quadrata, trasparente, virtualmente invisibile, circondata su tre lati da una composizione di fontane di forma triangolare. In basso: Bank of China Hong Kong (1982-89). Una struttura verticale a maglie chiuse, controventata mediante grandi croci di Sant’Andrea, per ovviare ai frequenti tifoni. È situata nel centro della città non lontano dal grattacielo di Norman Foster

Il museo divenne ovviamente famoso, e ciò che lo caratterizza maggiormente è il ponte che si attraversa per accedervi. L’idea di questo collegamento venne a Pei come risposta alla legge ambientale che proibiva il taglio di alberi. Questa strut-

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tura si trova in piena montagna, e l’escamotage per arrivarvi senza taglio d’alberi è stato per l'appunto il caratteristico e leggero ponte che dal piccolo rilievo opposto giunge alla sede senza arrecare grossi problemi ambientali. Un aneddoto su tale progetto è che l’architetto Pei, per farsi approvare l’idea, raccontò all’anziana collezionista di essersi ispirato a una leggenda cinese, consapevole che le signore di quell’età, per educazione culturale ricevuta, ne erano sempre favorevolmente colpite. Altro suo progetto famoso è quello che realizzò, nel 1995, su incarico di Helmut Kohl, a Berlino est: l’ampliamento del museo di storia, collocato all’interno di uno splendido palazzo settecentesco sul viale Unter den Linden. Il suo lavoro si caratterizzò per la particolare luminosità degli spazi e per giochi di luce e ombre, in uno spazio alquanto angusto, creati grazie a numerose prospettive ottiche. Il nuovo padiglione accoglie le esposizioni temporanee e offre particolari punti di vista sull’intorno. Tutto è trasparenza, e la facciata in vetro crea un particolare legame tra il vecchio edificio e la nuova costruzione posta in una zona di grande fascino architettonico. Tutto intorno, infatti, ci sono edifici quali la Neue Wache e l’Altes Museum di Schinkel, il Forum

Fridericianum e la Zeughaus di Schluter. Qui in Italia è Milano la città che ha una sua opera, appena terminata. Si tratta di un complesso architettonico in ferro e vetro, di andamento sinusoidale, con al centro due torri che intersecandosi l’una nell’altra formano un unico corpo di 32 piani. Negli ultimi anni Pei ha portato a termine importanti progetti di musei in Lussemburgo, in Cina e nel Qatar, ma la sua unica opera nel Regno Unito è solo un piccolo padiglione che si trova nel Wiltshire, progettato su committenza di un sensibile privato. Ma, ironia della sorte, sarà appunto il Regno Unito a donargli il riconoscimento alla carriera. Un premio che fra i precedenti vincitori annovera Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Le Corbusier, Ludwig Mies van der Rohe, Alvar Aalto, Kenzo Tange, Ove Arup, Louis Kahn, James Stirling, Norman Foster, Richard Rogers, Oscar Niemeyer, Jean Nouvel, Rem Koolhaas, Toyo Ito e, lo scorso anno, Alvaro Siza. Lo stesso Pei all’annuncio della sua candidatura ha modestamente dichiarato: “È un grande onore ricevere la Royal Gold Medal dal Royal Institute of British Architects. Sono onorato nel leggere i nomi di coloro che mi hanno preceduto come destinatari del premio”.



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24-27 MARZO 2010 FERRARA FIERE


Da mercoledì 24 a sabato 27 marzo 2010 il quartiere fieristico di Ferrara ospiterà la XVII edizione di Restauro - Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali ed Ambientali. Il ricco palinsesto di eventi lo qualifica come un evento unico nel suo genere e punto di riferimento per gli operatori del settore. Il Salone ospiterà 280 espositori (produttori di materiali e tecnologie, allestimenti museali, servizi e software, centri di restauro, fondazioni bancarie e non, università, enti pubblici) e per quattro giorni offrirà un intenso calendario di convegni ed incontri tecnici che toccheranno ogni ambito legato al restauro e alla conservazione del patrimonio storico-artistico. La manifestazione è patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero degli Affari Esteri e si svolge in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna.


I NUMERI DI RESTAURO 2009 quadrati occupati in 6 padiglioni moderni e funzionali 16.000 metri 278 espositori 29.062 visitatori 12 delegazioni ufficiali con 74 delegati esteri 40 convegni internazionali tecnici organizzati dagli Espositori 110 incontri 12 mostre tematiche

TRE IMPORTANTI PARTECIPAZIONI NEL 2010

MiBAC – MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI Il MiBAC partecipa al Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, giunto alla XVII edizione, assicurando la propria presenza in questa che è tra le più importanti rassegne italiane interamente dedicate al restauro, alla conservazione e alla tutela del patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Il tema proposto quest’anno “Restauro: sinergie tra pubblico e privato” sarà anche oggetto di uno specifico convegno/dibattito che si terrà all’apertura della manifestazione il giorno 24 marzo. Oltre ad impegnarsi nell’allestimento di un grande spazio espositivo istituzionale, dove verranno presentati i progetti di restauro più innovativi e rappresentativi delle tecniche e teorie sperimentate negli ultimi anni, Il MiBAC completa la sua attività con un ricco calendario di convegni e seminari che approfondiscono e arricchiscono il programma al quale partecipano relatori di fama nazionale e internazionale.

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ICE – ISTITUTO NAZIONALE PER IL COMMERCIO ESTERO La tutela del patrimonio è voce importante del nuovo made in Italy e ha evidenti positive ricadute sul turismo culturale, sulla tecnologia e in generale sull’economia italiana. Si spiega anche così l’attiva partecipazione dell’ICE - Istituto Nazionale per il Commercio Estero, nel suo intento primario di incentivare l’internazionalizzazione delle imprese del settore e diffondere la filosofia, di scuola italiana, del restauro conservativo. A Restauro l’ICE si farà promotore di eventi che faranno conoscere al pubblico i numerosi interventi eccellenti promossi dal Ministero dello Sviluppo Economico, attraverso l’ICE. Fra questi, ricordiamo il restauro della Porta di Pietro il Grande a San Pietroburgo ed il restauro della Torre dell’Orologio a Istanbul.

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IBC – ISTITUTO BENI CULTURALI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA Il riconoscimento dei Musei “di Qualità”: Spazio IBC Fra i principali argomenti che saranno trattati, l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna si incaricherà di far conoscere i risultati dell’intenso lavoro di qualificazione del sistema museale regionale che ha portato a riconoscere, ad oggi, 109 Musei “di qualità”, che rispettano i requisiti previsti dalla Regione per la conquista dell’ambita qualifica e che potranno fregiarsi di un logo specifico. La Regione Emilia-Romagna, con la Lombardia, è l’unica regione italiana ad aver dato finora attuazione concreta al processo di riconoscimento dei musei. L’incontro di Ferrara rappresenta pertanto un’ottima occasione, per gli amministratori di altre regioni, per condividere esperienze. Sempre affrontando le tematiche museali, l’IBC organizza il convegno “Oltre il gradino–Godimento dei beni culturali e disabilità”. Il convegno intende coniugare la disabilità ed i beni culturali oltre la diffusa concezione che costringe questo rapporto al superamento di una barriera, sia essa architettonica, percettiva o sensoriale. Grazie all’apporto di referenti del mondo delle associazioni, esperti delle istituzioni culturali e della legislazione inclusiva e della pedagogia speciale si proporrà l’offerta di un godimento dei beni culturali maturato sull’articolato mondo delle persone con disabilità. Una chiave per tutti per accedere ad una migliore comprensione del nostro, di tutti, patrimonio culturale.

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IL CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI 2010 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSAPEVOLE A Restauro 2010 verrà presentato il Premio Internazionale di Restauro Architettonico denominato “Domus restauro e conservazione”, ideato e promosso nel 2010 dalla Facoltà di Architettura di Ferrara e dalla Fassa Bortolo per premiare e far conoscere ad un ampio pubblico restauri architettonici che abbiano saputo interpretare in modo consapevole i princìpi conservativi, anche ricorrendo a forme espressive contemporanee, nei quali la comunità tecnicoscientifica si riconosce in modo ampio. Il premio, a cadenza annuale, è indirizzato ad individuare non solo i progettisti ma anche le imprese specializzate che hanno realizzato i lavori di restauro per l’importanza che in questo settore rivestono le competenze imprenditoriali. MALTA: RECUPERO E RESTAURO DEI SISTEMI FORTIFICATI MALTESI Verrà presentato il caso studio della documentazione 3D per il restauro della cittadella fortificata di Gozo. Un convegno ed una mostra dedicati ad uno dei più importanti progetti finanziati dalla Comunità Europea. A cura di: DIAPReM-CFR e Restoration Unit, Repubblica di Malta, Comunità Europea.

COSTRUENDO IL MUDI. La misura di Brunelleschi, il progetto culturale, il Museo Un convegno dove l’Istituto degli Innocenti di Firenze rilancia con coraggio il difficile tema del progetto contemporaneo nell’antico attraverso un progetto architettonico, sviluppato durante un concorso in-

ternazionale, che cerca risposte concrete per triplicare il percorso museale, migliorando la fruibilità e l’accessibilità nel rispetto delle identità e delle memorie. A cura del DIAPReM – di Ferrara. CONSIDERAZIONI SUI MECCANISMI DI DANNO E INTERVENTI DI RESTAURO E CONSOLIDAMENTO DEGLI EDIFICI STORICI AD UN ANNO DAL TERREMOTO IN ABRUZZO Organizzato da ASS.I.R.C.CO. Un convegno che vedrà la partecipazione di studiosi e professionisti che in questi mesi si sono prodigati nella salvaguardia del patrimonio architettonico abruzzese. DESCRIVERE I LUOGHI. Appunti per un osservatorio del paesaggio Convegno organizzato dall’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna Servizio Beni Architettonici e Ambientali. Il convegno si propone di definire quali siano gli strumenti più idonei (studi, dati conoscitivi, cartografia, fotografia, video, ecc.) per supportare l'azione di tutela e miglioramento della qualità del paesaggio, e al tempo stesso di confrontare le esperienze più significative in atto. Si connette alla iniziativa promossa nel 2009 dall'IBC (il convegno dal titolo "Ritornando sull'Appennino") e costituisce anche l'occasione per presentare al pubblico il volume che raccoglie gli esiti della campagna fotografica eseguita per documentare le trasformazioni paesaggistiche dell'Appennino bolognese. CONSERVARE IL NOVECENTO. I MANIFESTI Convegno organizzato dall’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna - Servizio Soprintendenza Beni Librari e Archivistici. La Soprintendenza per i beni librari e documentari dell’IBC – insieme all’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (ICPAL), all’Associazione italiana delle biblioteche (AIB) e degli archivi (ANAI) – prosegue il percorso di riflessione sulla conservazione della documentazione moderna iniziato nel 2000. Il con-

vegno del 2010 focalizza l’attenzione sui manifesti che presentano problemi peculiari di conservazione indotti sia dai diversi tipi di supporto, sia dai vari formati, dalle locandine ai cartelloni di grandi dimensioni composti da più fogli. Proprio alla funzione originaria dell’esposizione al pubblico sono correlate da un canto la rilevanza comunicativa di tali documenti, dall’altro la precarietà conservativa. Nel convegno, oltre alle riflessioni su problematiche di conservazione e casi di restauro, si prevedono relazioni su progetti riferiti a specifici ambiti tematici (ad esempio manifesti politici) e interventi da parte dei conservatori di cospicue raccolte. FARE RESTAURO. LA PRATICA DELLA CONSERVAZIONE Convegno organizzato dall’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna L’azione del Settore Restauro dell’IBC si è consolidata nel corso degli ultimi decenni attraverso una varietà di interventi di restauro e progetti speciali di conservazione preventiva promossi e realizzati anche grazie ad una forte intesa e collaborazione con gli enti. La presentazione di una pubblicazione dedicata e di un video che l’accompagna, alla presenza di giornalisti ed esperti del settore dei beni culturali, vuole essere l’occasione di un dibattito su temi che ruotano attorno al mondo del restauro dei beni culturali: quali le prospettive per preservare il nostro patrimonio; quali le posizioni circa la nuova disciplina sulla qualificazione delle figure dei restauratori; e ancora, quali le possibilità di esportare la tradizione e l’arte del restauro di marca italiana come cultura da divulgare. Sono presenti: Prof. Ezio Raimondi (Presidente Istituto per i Beni Culturali), Vittorio Sgarbi e Viviano Domenici (Giornalista del Corriere della Sera). IL RESTAURO DELL’OGGETTO TRA QUALITA’ E MEMORIA Convegno organizzato da AssForm. Gli oggetti d’arte e di design d’autore rappresentano l’esito finale di un processo intellettuale e culturale, creativo e innovativo. Racchiudono in sé, oltre che tradizione e memoria - rappresentate spesso da un know‐how che conduce alla loro rea-


lizzazione pratica e dall’esperienza che si traduce in perfezione funzionale ‐, anche l’intuizione della capacità e del genio. Il restauro di questi oggetti diventa allora un’importante e imprescindibile opera di recupero della memoria e della qualità, indirizzando il recupero verso un agire sostenibile in quanto, contrariamente all’abitudine consumistica dell’usa e getta, consente di tramandare valori e saperi. HISTORICAL BUILDING – EDIFICI STORICI: INTERVENTI DI RESTAURO SOSTENIBILE Convegno organizzato da AssForm. L’attenzione della sostenibilità ambientale e la certificazione, già operanti a livello internazionale come il LEED (Leadership Energy and Enviromental Design) nel campo delle nuove costruzioni, pone il problema degli edifici a carattere storico dove gli interventi di restauro e risanamento richiedono un progetto nel rispetto non solo della sostenibilità ma anche della tutela e garanzia di durata e trasmissibilità nel tempo. Coniugare le esigenze di confort termico e acustico di edifici storico‐artistici con soluzioni tecnologiche che portano al rispetto degli obiettivi di risparmio energetico e le norme sulla sicurezza è una problematica che solleva tra gli esperti incertezze e dubbi. Il comitato LEED, di GBC Italia, sta ponendo allo studio il protocollo “HISTORICAL BUILDING”, una versione specifica adattabile alle par-

ticolari esigenze degli edifici in oggetto, che andrà ad assumere il valore di certificazione di qualità e sostenibilità. RECUPERO E CONSERVAZIONE DELL’ARCHITETTURA E DELLE CITTÀ DEL NOVECENTO Dalla metodologia di analisi e di progetto del singolo edificio alla continuità di interi contesti urbani Organizzato da: Boero Bartolomeo S.p.A. Promosso da: Comune di Latina. Tra tutti gli elementi storici, architettonici, ambientali e culturali che costituiscono il patrimonio di identità di una città, l’uso dei materiali da costruzione, unitamente al loro colore, al modo in cui vengono trattati in relazione allo specifico contesto abitativo e alla coloritura delle facciate, costituisce la componente significativa dell’architettura concorrendo così alla autenticità e riconoscibilità della città. Il Recupero e la Conservazione del patrimonio edilizio del Novecento rappresenta un tema sempre più di particolare interesse, non solo dal punto di vista storico culturale in quanto prezioso bene architettonico da tutelare, ma come elemento riconoscibile in un contesto urbano più ampio. La caratterizzazione delle strutture e degli intonaci, in particolare la conoscenza della natura dei materiali adottati e della loro provenienza riveste un ruolo fondamentale nell’ottica di una progettazione d’intervento di restauro, compatibile con la situazione contin-

gente dell’edificio. Pertanto lo stato di conservazione degli edifici di questo periodo, spesso in situazione di degrado, rende indispensabile una ricerca e uno studio approfondito dei valori architettonici e di un’attenta metodologia di analisi mirata ad individuare le linee guida di supporto per un corretto intervento di recupero e valorizzazione dell’opera e per favorirne una migliore comprensione degli edifici e dei monumenti inseriti nella scena urbana. Il Convegno si pone l’obiettivo, attraverso l’apporto specialistico di studiosi, architetti e funzionari delle Soprintendenze nonché delle diverse professionalità che operano nel campo della conservazione e del restauro dell’Architettura del Novecento, di inquadrare l’argomento dal punto di vista di approccio teorico/metodologico e di identificare le modalità di intervento attraverso alcune esperienze di recupero architettonico di singoli edifici ed interi ambiti di quest’epoca.

Data: 24 - 27 marzo 2010 Orario: 9.30 -18.30 Biglietto d’ingresso: Euro 10 Ridotto per gruppi di studio: Euro 5 Ente Organizzatore: BOLOGNAFIERE Sede: Quartiere Fieristico di Ferrara Via della Fiera n°11 - 44100 Ferrara Segreteria Organizzativa ed Ufficio Stampa: ACROPOLI srl Tel: 051/6646832 - fax: 051/864313 info@salonedelrestauro.com Per ulteriori approfondimenti ed aggiornamenti: www.salonedelrestauro.com


Azienda Leader nel settore della carpenteria metallica, TANARI s.r.l. mette a frutto l’estrema competenza acquisita in cinquant’anni di esperienza, per progettare e realizzare strutture su misura. Polifunzionali ed eclettiche le creazioni architettoniche possono essere attrezzate per ogni tipo di attività, integrate a qualsiasi edificio, ideate per essere inserite nelle più varie realtà urbane e costruite utilizzando una vastissima gamma di materiali: - Acciaio, alluminio e vetro, assemblati in strutture resistenti e leggerissime, consentono la progettazione di linee d’avanguardia, permettendo l’ideazione di progetti di design sofisticato, perfettamente inseribili in contesti urbani moderni e dinamici. - Legno, nelle sue infinite varietà e colorazioni, quando si utilizza nelle sue lavorazioni più innovative come tek e wengè può essere integrato in strutture moderne e lineari, ma mogano e ciliegio possono fondersi in una eccellenza di stile nelle strutture destinate ad un contesto più classico. - Marmo e pietra, nei decori e nelle rifiniture, arricchiscono ogni tipo di realizzazione, infondendo raffinatezza e cura del dettaglio all’intera produzione. - Ghisa, utilizzata per colonne di rivestimento e decori, che si presenta nella tipica colorazione grigio intenso, particolarmente indicata per l’installazione all’interno di centri storici e borghi.


TANARI s.r.l. si distingue per essere da sempre, ed in egual misura, al servizio di privati ed enti pubblici, potendo vantare collaborazioni con numerosi Comuni italiani ed Aziende estere. Attraverso la ricerca costante e l’impegno concreto degli architetti, la sinergia con gli enti locali ha consentito a Tanari s.r.l. di contribuire attivamente alla riqualificazione di diversi panorami cittadini, la creazione di arredo urbano si caratterizza per la produzione di chioschi bar, chioschi fiori, edicole, moduli commerciali, moduli abitativi, moduli di servizi, che consentono la collaborazione tra differenti attività commerciali e lavorazioni articolate a completamento di edifici anche d’epoca. Caratteristica predominante dell’Azienda e denominatore comune ad ogni singola realizzazione, si individua nelle innovative strutture portanti in acciaio, composte da intelaiatura metallica che garantisce solidità e durata ineguagliabili. Ingegneri, architetti e designers, sviluppano nuove soluzioni, caratterizzate dall’armonia delle forme e dall’attenzione alle peculiarità dei contesti di destinazione, mantenendo standards qualitativi eccellenti nel panorama dell’arredo urbano. Gli operai specializzati, protagonisti competenti della produzione, garantiscono rifiniture di qualità agendo con cura e precisione tipiche delle lavorazioni artigianali. Grazie ai professionisti interni, che hanno maturato una profonda esperienza sul campo, TANARI s.r.l. è in grado di assicurare una estrema funzionalità e segue con pragmatismo e concretezza ogni fase della realizzazione del prodotto finito: dalla consulenza commerciale alla progettazione personalizzata, fino all’esecuzione più rifinita della struttura, trasporto, istallazione e collaudo “chiavi in mano”.

Gli obiettivi che la TANARI s.r.l. persegue risiedono nell’effettivo miglioramento della qualità della vita nelle città, bilanciando la spinta innovativa ed il rispetto del prezioso patrimonio architettonico esistente. In tal modo nascono strutture destinate a divenire uno strumento di aggregazione per la collettività. Particolare attenzione necessita l’evoluzione progettuale delle aree verdi, poiché l’impatto urbanistico di una struttura di qualità CHIOSCHI - BAR-DEHOR rappresenta un forte traino per la riqualificazione degli spazi verdi, STRUTTURE parchi e giardini, attraverso una indotta vivibilità di queste aree. PER ATTIVITÀ COMMERCIALI Passione ed entusiasmo, indiscussi punti di forza, e VILLAGGI TURISTICI rappresentano il motore che anima questa Azienda. In fase di studio avanzato la nuova tecnologia dei “cantieri a secco” che prevedono la sostituzione delle parti strutturali in cemento armato con intelaiatura portante in acciaio, con forte riduzione dei tempi di cantiere permettono al progettista soluzioni flessibili nel rispetto delle normative Europee; per moduli residenziali e villaggi turistici.

Sede Legale: Via Kennedy, 16 40068 San Lazzaro di Savena - Bologna Tel. 051.463256 - Fax 051.463566

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ALFEC

Infissi in alluminio - acciaio - carpenteria metallica - Alluminio/legno - Pvc - Legno

ALFEC nasce nel 1994, e da sempre si rivolge al mercato locale al fine di dare sia prodotti di qualità che una presenza costante sul territorio per il servizio di manutenzione ed assistenza. La continua evoluzione tecnica dei serramenti e le mutevoli esigenze di mercato hanno portato l’Azienda a differenziare l’offerta. Oltre a realizzare in proprio tutti i tipi di serramenti in alluminio a taglio termico ed in acciaio, commercializza ed installa serramenti all’avanguardia in materiali misti alluminio/legno, in PVC ed in legno, con requisiti che rispettano le attuali normative di sicurezza e risparmio energetico. L’offerta è completata con la costruzione all’interno dell’Azienda di tutti i manufatti metallici (acciaio, acciaio inox, alluminio) quali inferriate, cancellate, ringhiere, balconi, carpenteria leggera e media. Nonché la commercializzazione e l’installazione di persiane e scuroni, porte blindate, porte interne, veneziane, zanzariere, e complementi d’arredo. Particolare attenzione è stata rivolta al settore delle porte tagliafuoco destinate ad edifici pubblici, scuole, ospedali, alberghi, attraverso una attenta conoscenza delle normative e una specifica specializzazione nella installazione.

Via Toscana, 85-87-89 - 40035 Castiglione dei Pepoli (Bo) Tel. e Fax 0534.91002 e-mail: alfec@libero.it




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