DESIGN+ n.4

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DESIGN

N. 4

"Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA

Il Museo della Memoria dell’Andalusia. Matteo Thun e il “No Design”


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Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Direttore Marketing Francesco Toschi (pubblicità@koreedizioni.it) Redazione Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Piergiorgio Giannelli, Andrea Giuliani, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Hanno collaborato Manuela Garbarino, Marilena Giarmanà, Emilia Milazzo, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

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CONTENUTI

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28 Venezia omaggia Tang L’Università Iuav ha consegnato la Laurea Honoris Causa in Architettura a Tang

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Un aeroporto ecosostenibile

Alberto Zanni

Una Fondazione Museo dedicata a Vico Magistretti

Intervista al Presidente di Confabitare, l’Associazione Proprietari Immobiliari con sede a Bologna

Un’idea della figlia Susanna per onorare la memoria dell’architetto, progettista e designer

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Silvana Annicchiarico

Emozioni cromatiche

Il design italiano contemporaneo al Triennale Design Museum di Milano

Un viaggio nel mondo dell’acquerello e della ceramica con l’artista bolognese Mara Guerrini

L’aeroporto di Lleida-Alguaire progettato da Fermín Vásquez

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Paola Grifoni

La nuova Serpentine

Degrado ed educazione civica nelle parole della Soprintendente

Jean Nouvel propone in Inghilterra una struttura di metallo rosso che sfida la forza di gravità


Quando il linguaggio armonico della forma incontra la tecnologia al servizio del confort

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CONTENUTI

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L’Academy di Libeskind

Architetture di stoffa

L’architetto polacco progetta l’Accademia per il Museo Ebraico di Berlino

Roberto Capucci porta le sue creazioni al di là dei confini della moda verso l’architettura

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52 Luce e spazio in movimento Il Rolex Learning Center, progettato da Sanaa, è un fluido e luminoso open space

66 Il ponte simbolo della modernità A La Roche-sur-Yon un ponte di metallo collegherà la città nuova con la storica

44 La memoria andalusa

75 Anteprima Mostre dedicate ad architettura, design e arte nei musei e nelle gallerie italiane

Alberto Campo Baeza ha progettato un nuovo museo a Granada, bianco, luminoso ed essenziale

110 Padiglioni universali

86 Matteo Thun Alla ricerca del “No Design” e dell’archetipo, la vera essenza delle cose

96 Progettare in un motel Il collettivo svizzero Atelier Oï ha scelto un vecchio motel come luogo di lavoro

Shanghai ospita l’Expo Universale che, quest’anno, ha scelto come tema la città


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EDITORIALE

SLIM CITY

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a questione è di quelle serie. L’obesità è un problema che preoccupa la quasi totalità dei paesi cosiddetti industrializzati. Questione seria e palesemente paradossale, se si considera il perdurante squilibrio, all’alba del terzo millennio, della distribuzione delle risorse del pianeta. Da poco tempo si è verificato l’epocale sorpasso dell’uomo della città su quello della campagna e in molti casi il metabolismo urbano, di cui noi siamo le cellule, si rivela molto malato, di patologie a volte apparentemente incurabili: traffico veicolare, inquinamento atmosferico, criminalità diffusa, nuove forme di asocialità. Le osservazioni sull’aumento del peso corporeo unite a quelle sulla pigrizia indotta dagli stili di vita cittadini ci portano a poter affermare che viviamo in ambienti obesogenici. La disincentivazione della sedentarietà potrebbe quindi diventare uno degli obiettivi prioritari nella progettazione degli spazi pubblici e privati. La slim city di cui ogni tanto si parla altro non è che un modello di città che stimola, promuove e facilita il movimento. È certo che un miglioramento della qualità della vita, fisiologica e psicologica, del cittadino medio si otterrebbe progettando meglio gli spazi della città. Un primo passo veramente importante sarebbe quello di allontanare, per quanto possibile, l’automobile dalla nostra vita. È indubbio che la pedonalizzazione degli spazi urbani produca benessere da molteplici punti di vista. A parte l’ovvia incentivazione del movimento, induce la socialità tra gli individui, riduce l’inquinamento atmosferico e i fenomeni di microcriminalità da spazi criminogenici; se unita alla piccola distribuzione favorisce, inoltre, la diversificazione dell’offerta commerciale. Tende quindi a fare aumentare il cosiddetto FIL, la Felicità Interna Lorda della popolazione, parametro ironico che indica un possibile livello sostenibile nello standard di vita. Lo psicologo Kahneman, premio Nobel nel 2002 per l’economia, con la sua teoria della felicità, ha a sua volta proposto una visione della felicità umana in parte disgiunta dagli odierni valori materiali e dal denaro: ci ha spiegato, con analisi approfondite e non convenzionali, il concetto, antico e scontato, che i soldi non sono sufficienti per essere felici. Pedonalizzare uno spazio può aiutare anche a caratterizzare in senso positivo l’Impronta Ecologica dell’ambiente in cui si vive, si lavora e ci si svaga. Andare a piedi o in bicicletta significa avere un’esperienza percettiva del mondo veramente completa: tutti i cinque sensi sono coinvolti e lo sono con ritmi umani. Sulla percezione dinamica dello spazio ha scritto, tra gli altri, molto e bene Paul Virilio che, per descrivere questo nuovo concetto, ha coniato il termine dromologia. Qualche esempio serio? Ci sono città come la norvegese Oslo, la tedesca Munster, la svedese Malmo che propongono, con successo, modelli che vanno in questa direzione. Il caso di Malmo è particolarmente emblematico, perché nel 2000 ha edificato un grande quartiere dove l’automobile è bandita nella quoti-

dianità e serve solamente per esigenze ben definite legate all’emergenza e al trasferimento delle merci. Le aree esterne, tutte pedonalizzate, sono curate in ogni dettaglio e offrono ai cittadini una grande quantità di luoghi in cui fermarsi a parlare, camminare e fare jogging, giocare: in una parola a socializzare. Un paradiso urbano che rappresenta il sogno di ogni architetto che ponga come prioritari i valori dell’etica professionale e della sostenibilità ambientale. Non sono purtroppo in grado di fornire dati sul peso della popolazione. Osservo e mi domando: Malmo è sicuramente una slim city, ma i suoi abitanti sono davvero più magri della media? Un esempio buffo? Ad Oklahoma City, una delle venti città più grasse d’America, il sindaco ha dichiarato che uno dei suoi obiettivi sarebbe stato fare perdere 450 tonnellate ai suoi abitanti entro due anni. Obiettivo non poi tanto strano se si pensa che il tema dell’obesità, malnutrizione e ipernutrizione, è diventato uno degli argomenti caldi nei programmi elettorali delle primarie americane: si potrebbe suggerire lo slogan che chi ingrassa impoverisce anche te. A Londra è nata anche una nuova figura che fornisce consigli su percorsi ciclopedonali alternativi; è costato dieci milioni di sterline, ma ha fatto diminuire del dodici per cento l’uso dell’auto ed aumentare del trenta quello della bicicletta: soldi spesi bene. In Europa, Italia compresa, sono pregevoli i programmi e la promozione di VeloCity. A Trento l’Arcidiocesi ha promosso una rinuncia quaresimale dell’automobile, una sorta di digiuno ecologico. Un atto religioso se visto dal punto di vista della riflessione sul distorto ruolo sociale dell’auto, ma anche etico se rivolto a promuovere le buone pratiche utili alla salvaguardia dell’ambiente nel quale viviamo. Sembra incredibile, ma esiste anche l’altra faccia della medaglia. Mi corre l’obbligo, per par condicio, di fornire qualche informazione. Esiste una parte della blogosfera denominata fatosphere. Si tratta di una community, in costante aumento, che rivendica il pensiero fat positive e che contesta che essere magri significhi essere più belli. L’essere umano è veramente divertente. Non so se la slim city potrà risolvere il problema; tendo più realisticamente a pensare che l’obesità sarà forse sconfitta, nella maggioranza dei casi, per via chimica: una pillola colorata dai poteri miracolosi. Non possiamo infatti dimenticare che l’uomo è l’unico animale, oltre che divertente, cattivo, invidioso e autolesionista. Ed è sicuramente molto pericoloso, per sé stesso e per gli altri. Riesce ad essere individualmente molto intelligente, ma anche statisticamente molto stupido: a volte per risolvere un problema ne crea altri. A questo proposito, lo sapevate che l’aumento del sovrappeso è inversamente proporzionale alla diminuzione dell’uso del tabacco?

Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

Alberto Zanni

«È importante oggi tutelare i proprietari immobiliari. Confabitare dialoga con le istituzioni locali e nazionali per il rispetto di una maggiore qualità di vita» L

Nata da poco tempo, quali sono gli obiettivi che intende perseguire Confabitare?

Confabitare - Associazione Proprietari Immobiliari - nata a Bologna nel novembre 2009 è una nuova associazione a tutela della proprietà immobiliare. L’associazione non vuole solo offrire una serie di servizi ai propri associati, come l’assistenza in materia legale, tecnica, tributaria, amministrativa, contrattuale, sindacale e, in generale, in ogni ambito ove risulti coinvolto il diritto della proprietà immobiliare, ma vuole soprattutto essere il riferimento e l’interlocutore principale nei confronti delle Istituzioni, per discutere di tutte le problematiche legate al mondo della casa e dell’abitare, come il problema del traffico, dell’inquinamento e delle barriere architettoniche, del degrado e dell’immigrazione e di quei fattori che comunque incidono sia sul valore degli immobili che sulla loro qualità abitativa. Confabitare ha scelto anche la collaborazione e la sottoscrizione di protocolli di intesa con altre associazioni, come Fiaba - Fondo Italiano Abbattimento Barriere Architettoniche - e più di recente con il Codacons, per sostenere i proprietari nella loro veste di consumatori. L’impegno è quello di agire presso gli organi di governo, sia quelli nazionali che locali, affinché siano promulgate norme e leggi a tutela della proprietà.

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Quali sono gli strumenti per sensibilizzare proprietari e costruttori verso una maggiore qualità nel costruire?

Per quanto riguarda le imprese costruttrici si può puntare sul raggiungimento di una migliore qualità dell’abitare, mentre per il privato, che è anche il futuro acquirente, si può parlare di minori costi e consumi legati a un nuovo modo di costruire.

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In Italia nascono quartieri e nuove zone residenziali che non tengono conto del tema dell’accessibilità, creando disagio a persone con handicap e anziani. Quali impegni si assume Confabitare rispetto a queste tematiche?

Anche se esiste una normativa che dispone determinati accorgimenti (legge 13 del 1989) alla quale si fa riferimento nei nuovi piani particolareggiati e nella costruzione dei nuovi edifici ancora oggi si realizzano percorsi, vie di accesso e dislivelli tali da limitare l’accesso a persone con ridotte capacità motorie. Confabitare si impegna cercando di diffondere una nuova cultura legata proprio all’abbattimento delle barriere architettoniche, che molte volte sono anche barriere culturali.

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Qual è secondo lei la strada per una ripresa consapevole del mercato immobiliare?

Difficile trovare formule quando i problemi riguardano purtroppo tutti i settori. Preso atto che rispetto a tanti altri tipi di investimenti quello del mattone almeno non “porta via” il capitale investito, sarebbe auspicabile che tutti gli operatori della filiera si accontentassero di margini di guadagno più ridotti, così da rendere estremamente appetibile l’acquisto degli immobili. Viceversa si legge di recente sulla stampa che “l’autonomia impositiva dei Comuni” bastonerà ulteriormente un settore che non era crollato come gli altri. Complimenti ai legislatori!

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Si può tutelare la proprietà immobiliare dalle inefficienze del settore delle costruzioni?

Ritengo che da una parte occorra semplificare le procedure inutili, e il legislatore sembra averlo capito. Si sono delegificati alcuni interventi modesti, si sta procedendo a semplificare per interventi modesti anche la documentazione occorrente in zone vincolate ecc. Da un altro punto di vista occorrerebbe “tornare indietro”. Non esistono più figure professionali realmente terze quali il Direttore dei Lavori che un tempo controllava l’esecuzione dei lavori. Il risultato finale è che l’acquirente non risparmia nulla rispetto ad un tempo, ma purtroppo ha prodotti finiti di scarsa qualità.

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Secondo lei si sta affermando la logica della necessità, etica ed economica, oramai ineludibile, di costruire o adattare gli edifici ai nuovi canoni ecosostenibili?

La legislazione e le necessità di noi tutti vanno nel senso di costruire con attenzione ai canoni ecosostenibili. Purtroppo in questo periodo critico bisogna trovare un giusto equilibrio, e forse conviene accontentarsi di “costruire bene” rimandando a periodi più ricchi costruzioni sicuramente più piacevoli ma spesso più costose. Inoltre c’è ancora una generale disinformazione e manca una certa sensibilità nei confronti delle risorse ecosostenibili. (di Andrea Giuliani)

Nato a Bologna, Alberto Zanni fonda, il 10 novembre 2009, Confabitare, Associazione Proprietari Immobiliari, di cui è Presidente. Dal 1985 al 1995, è stato consigliere del Quartiere Saragozza. Nel 1988 è stato nominato nel Consiglio di Amministrazione della Camera di Commercio di Bologna, e dal 1997 si è dedicato all’arbitrato facendo parte dei vari organi quali il Consiglio e il Comitato tecnico della Camera arbitrale immobiliare, di cui ne è anche Vice Presidente dal 2005. Nel 2004 è stato nominato componente del Comitato delle Botteghe storiche.

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PENSIERI.GLOBALI

Silvana Annicchiarico

«I Musei propongono nuove letture della realtà. In quest’ottica il Triennale Design Museum interpreta il paesaggio contemporaneo del design italiano» L

Quale filosofia sta alla base del Triennale Design Museum che si definisce spazio museale dinamico?

Con il Triennale Design Museum abbiamo voluto realizzare un museo mutante. Capace di mettere in discussione se stesso, di smentirsi e di contraddirsi. Di suggerire delle domande più che formulare delle risposte preconfezionate e valide una volta per tutte. Per questo ogni anno la storia del design italiano viene raccontata secondo un’interpretazione diversa, e anche la messa in scena si rinnova. Il nostro modello non è quello di un museo di arte figurativa: sappiamo che un oggetto di design non è un’opera d’arte in senso tradizionale, e quindi abbiamo cercato di mettere a punto un progetto idoneo a esporre oggetti seriali nati per l’uso prima che per la contemplazione estetica.

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Nel 2009 è nato il Triennale Incheon a Sud di Seoul. E da pochi giorni la Triennale di Milano ha anche una sede a New York. Cosa significa tutto questo per il design italiano?

Nell'ultimo quadriennio la Triennale di Milano è stata fortemente impegnata in un processo di espansione all’estero, applicando strategie di internazionalizzazione con lo scopo di rafforzare la propria missione di centro propulsore della cultura italiana, del design, dell’architettura, della moda, dell’arte, ma anche del mondo dell’impresa, del turismo e di tutto quello che rappresenta le eccellenze italiane nel mondo. A Incheon, la cui sede è progettata da Atelier Mendini con Archiban, portiamo anno dopo anno le diverse interpretazioni del Triennale Design Museum precedentemente presentate a Milano.

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C’è chi afferma che bisogna rifunzionalizzare e rivitalizzare gli spazi esistenti piuttosto che costruirne di nuovi. Possono luoghi come il Maxxi, o il Tampa Museum of Art, o il Moderna Museet Malmö, tanto per citarne alcuni tra gli ultimi realizzati, essere considerati luoghi superflui nel contesto cittadino?

I musei non sono mai luoghi superflui in un contesto cittadino. L’idea alla base del Triennale Design Museum è proprio quella di invitare il visitatore a tornare più volte nello stesso posto, proponendo sempre nuove letture e punti di vista di uno stesso tema. La maggior parte dei musei esistenti nel mondo si basa su collezioni private, è articolata sul modello di musei di arti figurative e ha un impianto internazionale, un po’ all’insegna del “the best of ”. Il Triennale Design Museum non si basa esclusivamente su una collezione privata, ma mette in rete quel patrimonio di giacimenti che già esistono e fanno la ricchezza del sistema design Italia. Ovvero, l’Italia è già un Museo vivente. Esistono tantissimi giacimenti di design disseminati su tutto il territorio nazionale. E il Triennale Design Museum è il luogo possibile della rappresentazione di tutti questi giacimenti.

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Come può un impianto allestitivo attivare il visitatore, non più visto solo come spettatore, bensì ritenuto esso stesso attore della rappresentazione?

Ogni anno l’allestimento del Triennale Design Museum viene affidato a un progettista diverso. Nella prima interpretazione abbiamo accostato lo sguardo barocco di Peter Greenaway con quello eclettico di Italo Rota e quello radicale di Andrea Branzi. Nella seconda interpretazione abbiamo fatto dialogare la classicità, il rigore e la chiarezza razionalista di Antonio Citterio con la scientificità e la didatticità di Andrea Branzi. Ora con “Quali cose siamo” (aperta fino al 27 febbraio 2011) mettiamo in cortocircuito il minimalismo poetico e concettuale di Pierre Charpin con il puntiglioso e sorprendente enciclopedismo di Alessandro Mendini.

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Dall’oggetto pensato per la vita di tutti i giorni (che già di per sé non vuol dire di massa) all’oggetto opera d’arte. Cosa sta cambiando nel mondo del design?

Serie Fuori Serie illustrava il paesaggio contemporaneo del design italiano che dalla ricerca sperimentale arriva fino ai mercati di massa. Il prototipo e il pezzo unico e artigianale rientrano in un circuito dinamico in cui la produzione industriale riceve energia dalla sperimentazione più avanzata e autonoma della ricerca indipendente e, viceversa, quest’ultima si alimenta in un contesto produttivo che prevede anche il fuori serie e la serie limitata. (di Cristiana Zappoli)

Architetto, svolge attività di ricerca, critica, didattica. Dal 2007 è Direttrice del Triennale Design Museum. Dal 1998 al 2007 è stata Conservatore della Collezione Permanente del Design Italiano della Triennale di Milano, dal 2002 è membro del Comitato Scientifico per l'area design, dal 1998 al 2004 ha insegnato come Professore a contratto presso il Corso di Laurea di Disegno Industriale del Politecnico di Milano. Dal 1998 al 2001 vicedirettore del mensile di design "Modo”, attualmente collabora con varie testate giornalistiche e radiofoniche.

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PENSIERI.GLOBALI

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Paola Grifoni

«Per frenare il degrado delle città e lo sfruttamento del suolo, bisogna partire da un nuovo modello di educazione civica che coinvolga i giovani e tutti i cittadini» L

La prima cosa che ha detto arrivando nel capoluogo felsineo da Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Bologna, Modena e Reggio Emilia, è stata: “… va affrontato immediatamente il problema della sporcizia, della sciatteria, dell’arredo urbano e dei portici”. A pochi mesi di distanza come vi state muovendo?

Dopo poco tempo da queste dichiarazioni abbiamo incontrato più volte l’allora amministrazione comunale per trovare una strategia comune per migliorare questa situazione. Visto il cambio di amministrazione la cosa non è potuta andare avanti. Abbiamo però preso contatti con il commissario Cancellieri che è stata sensibile riguardo a questo argomento e, dopo un primo incontro, stiamo già lavorando per un recupero di due zone campione: una in centro e una in periferia. Questo è il primo passo per valutare e risolvere quelle problematiche che vengono evidenziate in corso d’opera e per fare una mappatura del degrado considerando ogni aspetto: dalle pavimentazioni, agli infissi, ai vandalismi grafici, allo sporco.

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La consapevolezza dell’importanza del proprio patrimonio architettonico e paesaggistico si sviluppa con l’istruzione, la divulgazione e, non per ultimo, la partecipazione degli abitanti. Come è possibile coinvolgerli?

A mio parere, è fondamentale l’educazione. Quella che una volta a scuola si chiamava educazione civica e che già si faceva molto poco, oggi non esiste più. Invece andrebbe riconsiderata a qualsiasi livello scolastico, perché le menti più sono giovani più sono ricettive. È un tipo di educazione che va insegnata esattamente come si insegnano le buone maniere.

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Come ha trovato la situazione a Modena e Reggio Emilia?

Entrambe queste città hanno un’altra qualità di vita rispetto a Bologna, dovuta anche alla dimensione più piccola e più gestibile. Questo avviene in tutte le città più piccole che non hanno le problematiche di una città che può già considerarsi grande come Bologna, con tante infrastrutture, traffico e molto altro.

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Lei a Firenze ha curato la Certosa del Galluzzo, ha redatto un piano di recupero per gli Uffizi e dal 2002 si è anche occupata dei restauri arborei per il Giardino di Boboli. Che propositi ha per le tre città emiliane?

Come Soprintendente non mi occupo direttamente di cantieri, questa è una competenza dei funzionari. La mia è una supervisione sui grandi interventi che si devono realizzare. A Bologna, per esempio, il Civis o il recupero dell’ex manifattura tabacchi; a Modena il complesso di Sant’Agostino e il monitoraggio del Duomo e del campanile; a Reggio Emilia c’è un progetto per una sistemazione museale importante. In provincia, per fare un altro esempio, ci stiamo occupando del recupero dell’ex manicomio a Imola. Queste sono tre province in cui c’è fermento.

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Lo sfruttamento del suolo sta determinando cambiamenti senza precedenti nei paesaggi, negli ecosistemi e nell’ambiente. Le aree urbane e le relative infrastrutture sono i maggiori consumatori del suolo. Come si può bloccare questo tipo di impostazione?

Ci sono due aspetti della questione. Il consumo delle aree urbane è uno, ed è di competenza delle amministrazioni comunali che operano attraverso i piani regolatori. Le nostre competenze sono più rivolte al territorio inteso come paesaggio. Nonostante oggi lo sfruttamento esista, è più mirato e controllabile di quello che c’è stato negli anni ‘70 quando la tutela del paesaggio era stata delegata alle regioni e la soprintendenza non aveva voce in capitolo. Questa voce le è stata ridata nel 1985, con la legge 431. Mentre prima il nostro era un parere di legittimità degli atti emanati dall’amministrazione comunale e non potevamo entrare nel merito delle progettazioni, oggi abbiamo più autorità. Io credo di riuscire a controllare anche la qualità degli interventi, e inoltre ci sono anche i piani paesaggistici regionali che hanno già indicato come devono essere utilizzate le aree, anche quelle di concerto con le soprintendenze. Nonostante le amministrazioni siano sempre più sottoposte alle leggi della politica, oggi c’è comunque una maggiore attenzione all’uso del territorio. (di Cristiana Zappoli)

Lavora per lo Stato dal 1979 come vincitrice di concorso. Ha cominciato la sua attività alla Soprintendenza fiorentina e, dal 1987, come responsabile della Soprintendenza di Pistoia. Tra i suoi saggi e pubblicazioni meritano di essere menzionati i due volumi "Monumenti e istituzioni", sulla storia del servizio di tutela in Italia. Dal settembre 2009 è Soprintendente ai Beni architettonici, ambientali e paesaggistici di Bologna, Modena e Reggio Emilia.

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MA.R.A.V.

di Lorenzini Pierluigi & C.

Società fondata il 13 marzo 1993, attualmente costituita da due soci, padre e figlio, e conta otto dipendenti qualificati. Oltre alla manutenzione e alla realizzazione di aree verdi, offriamo progetti studiati e personalizzati per ogni tipo di esigenza con progettista abilitato, presso la nostra sede. Ci occupiamo di spazi verdi, privati, comunali, aziendali, compresa la fornitura e la posa di impianti di irrigazioni, recinzioni, muri a secco con diversi materiali (sassi di travertino, tufo e legno), e tappeto erboso in zolla. Eseguiamo la pulizia dei boschi ad alto fusto e la potatura di quelli da frutto. Specializzati in potatura in tree climbing oltre che in quella eseguita con piattaforma aerea, non ci limitiamo solo all'abbattimento delle piante ma procediamo alla piantumazione di giovani piantine di specie autoctone per il rimboschimento, qualora ci venga richiesto. Nel periodo invernale oltre alle potature, eseguiamo il servizio di pronto intervento sgombro neve e spargimento sale. Anno dopo anno la nostra azienda è in continua espansione, nel 2008 abbiamo inaugurato il nuovo garden di 1000 mq coperti e 3000 mq esterni adibito alla vendita al dettaglio di piante, terricci, vasi e materiale per tutto quello che riguarda il verde. Non esitate a contattarci, siamo a vostra disposizione.

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sEGNAL I

Una sala della Fondazione. In primo piano esemplare grezzo della sedia Selene, prodotta da Artemide nel 1969

UNA FONDAZIONE MUSEO DEDICATA A VICO MAGISTRETTI Nel gennaio scorso Susanna Magistretti decide di costituire una fondazione studio - museo dedicata a suo padre, Vico Magistretti: architetto, progettista e designer. Una iniziativa che vede la partecipazione di un fondatore istituzionale come La Triennale di Milano, e con la carica di cofondatori, altri soggetti quali Artemide, Cassina, De Padova, Flou, Oluce e Schiffini Mobili Cucine. È il risultato di un lungo lavoro di inventariato del fondo archivistico lasciato dall’architetto e dichiarato di particolare interesse storico dalla Sovrintendenza Archivistica della Lombardia. Lo scopo va ben al di là della tutela, già di per sé non semplice, del lavoro di Vico Magistretti. Nelle intenzioni e nelle dichiarazioni degli stessi fondatori questa istituzione vuole essere “permanente, senza scopo di

lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico. Un’istituzione che compie ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e le espone a fini di studio, di educazione e di diletto”, rispettando così la definizione di museo fissata dall’International Council of Museums (ICOM). La sede naturale della fondazione non poteva che essere lo stesso studio Magistretti, quel luogo che lo vide protagonista del designer italiano fin dal 1946 quando decise di affiancare il padre, anch’egli architetto. Per fare in modo che il maggior numero possibile di persone possa usufruire degli archivi, è stato necessario ristrutturare degli ambienti. L’architetto, Paolo Imperatori, suo collaboratore negli ultimi anni, ha volu-

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S DESIGN.STORY

to con il suo intervento, interpretare lo spirito stesso dello studio, per ricreare quell’atmosfera di creatività che si respirava in quell’ambiente. Innovandolo in alcune sue parti, ma senza alterarne la struttura, in modo da renderla ancora riconoscibile. Il progetto comprende, fra l’altro, la trasformazione della grande sala d’ingresso in museo, uno spazio dove oggi è esposta una selezione degli schizzi dell’archivio. Un rapido excursus sia figurato che interattivo percorre l’intera carriera di Magistretti attraverso gli oggetti e le architetture disegnati tra il 1946 e il 2006. Il cosiddetto Archivio vero e proprio trova posto nei sotterranei dello studio, ove si trova una raccolta di straordinaria importanza storico - culturale, costituita da documenti, disegni, fotografie e modelli, a disposizione di studiosi, studenti e visitatori interessati all’approfondimento del lavoro di Magistretti e di alcuni dei suoi progetti. Ma il lavoro dei fondatori non si è fer-

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mato, come ci si sarebbe aspettati, al marzo di quest’anno quando finalmente il museo - archivio ha visto la luce. Continua ancora con lo scopo di incrementare lo studio delle tematiche principali che il progettista Magistretti aveva iniziato. Era necessario, infatti, dopo una prima catalogazione, un’attività più approfondita di archiviazione sia del fondo che della collezione. Questa seconda fase, in cui sarà necessario un’ulteriore schedatura comporterà ancora ricerche e studi sui progetti. Per fare in modo che l’usura del tempo non ne alteri il contenuto, i documenti saranno conservati in appositi contenitori a norma ISO. Questo successivo riordino permetterà anche una consultazione “filtrata” dei materiali da parte del pubblico. Il lavoro di catalogazione comunque non prescinde da un lavoro di relazione con il territorio. Il museo vuole inserirsi in un piano urbanistico della città di Milano, che vede come polo globale del design La Triennale, e che attraverso

un’espansione verso la città ospite, lo vuole protagonista prima e accompagnatore poi, per un tour ideale attraverso gli edifici più significativi progettati e realizzati da Magistretti nel capoluogo lombardo. L’apporto informatico - interattivo già consultabile all’interno del museo - studio sarà poi arricchito da una consultazione on line, per coloro che volessero consultarlo, attraverso un sito web dedicato all’architetto milanese, all’indirizzo www.vicomagistretti.it. In preparazione, si prevede nel 2011, c’è una mostra monografica che documenti in modo completo e scientifico tutto il suo lavoro. Certo si tratterà di un lavoro davvero enorme considerando la documentazione a disposizione degli esperti ma, soprattutto, occorre operare un riordino nella catalogazione dei suoi progetti, tenendo conto anche delle vicissitudini personali del designer. Sarà quindi compito dei ricercatori, trovare tracce dell’influenza di uno dei suoi maestri, su cui lo


Nella pagina a fianco, in alto: Atollo (prodotto da Oluce), lampada da tavolo a luce diretta in alluminio verniciato e Eclisse, lampada da tavolo o da parete con una struttura in metallo verniciato nei colori bianco, arancio o grigio silver. In questa pagina, a sinistra: Vico Magistretti nel suo studio. Sotto: divano letto Oblò, prodotto da Campeggi. In basso: Claritas, la prima lampada progettata da Vico Magistretti e realizzata con Mario Tedeschi nel 1946

stesso Magistretti aveva sempre posto l’accento: Ernesto Nathan Rogers. La frequentazione risale al periodo “svizzero” tra il 1943 e il ’44, presso il Champ Universitarie Italien di Losanna. Nel ’45 torna in Italia e, dopo essersi laureato, inizia a lavorare nello studio d’architettura di suo padre. Dal dopoguerra fino ai primissimi anni ’60, Magistretti si rivela come una delle menti più geniali tra gli architetti della cosiddetta “terza generazione”. Insieme a Franco Longoni realizza la torre al Parco in via Revere, tra il 1953 e il ’56, e il palazzo per uffici in corso Europa, tra il ‘55 e il ’57. A questi si aggiungeranno altri numerosi interventi, tra i quali le torri di piazzale Aquileia, tra il ’62 e il ’64. Negli anni successivi la sua attenzione si concentra sul tema della casa e dell’abitare. Già nel ’59 partecipa al Congresso CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne) di Otterlo dove i suoi colleghi italiani presentano la torre Velasca dei BBPR, la mensa Olivetti A sinistra e a destra: la seduta-relax Magellano, la cui forma può essere rapidamente modificata: divano, chaise longue o piano morbido da usare come tappeto - letto. La seduta ha una struttura in metallo, con imbottitura in poliuretano ricoperta da un “pezzotto”

di Ignazio Gardella, e le case a Matera di Giancarlo De Carlo, con la casa Arosio ad Arenzano realizzata l'anno precedente. Queste opere sono destinate a suscitare scandalo nell’ambito del Congresso, che si rivelò persino un po’ troppo conservatore, rispetto ai parametri innovativi che venivano dall’Italia. Ma la casa di Arosio era solo l’inizio di un’esplorazione personale di un nuovo linguaggio che cominciò ad esprimersi con nitidezza nelle case unifamiliari, come la villa Schubert a Ello, nel 1960, la casa Gardella ad Arenzano tra il 1963 e il ’64, e la villa Bassetti ad Azzate, tra il 1960 e il ‘62. Molti furono i progetti realizzati da Magistretti negli anni successivi. Oggi le “opere di design” di Magistretti, come qualcuno le ha definite, sono esposte nella collezione del Museo di Arte Moderna di New York, il celeberrimo M.O.M.A. Ma forse nemmeno lui, quel giovane milanese così ambizioso, classe 1920, lo avrebbe immaginato. (di Biagio Costanzo)


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VENEZIA OMAGGIA TANG L’Università Iuav di Venezia il 19 maggio scorso ha consegnato la Laurea honoris causa in Architettura al grande progettista cinese Man-Chung Tang

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’Università Iuav di Venezia, a maggio, presso l'aula Magna ai Tolentini Santa Crcoce, ha conferito la Laurea honoris causa in architettura all'ingegnere ManChung Tang, per il contributo dato all'architettura strutturale nella progettazione dei ponti a grandi luci. Man-Chung Tang ha superato il suo maestro Tung-Yen Lin e oltre ad essere progettista di ponti dai record mondiali, ancora non superati, è autore di molti brevetti di forme strutturali. Nell’arco della sua carriera Man-Chung Tang è stato insignito di molti riconoscimenti. Si è laureato alla Technical University di Darmstadt e durante la sua attività ha realizzato più di 100 ponti, tra cui il San

1. Seohae Grand Bridge, Korea 2000 2. Sidney Lanier Bridge, Brunswick, Georgia 2006 3. Dagu Bridge, Tianjin, China 2006 4. New Sanhao Bridge, Shenyang, China 2008 5. Caiyuanba Bridge, Chongqing, China 2007 6. Jiayue Bridge, Chongqing, China 2009

Francisco-Oakland Bay Bridge, in California. È stato anche docente presso la Columbia University di New York dal 1989 al 1995. Sempre quest’anno ha ricevuto il premio “Outstanding Projects And Leaders” della Società Americana degli Ingegneri Civili (ASCE), per i risultati ottenuti nel campo della durabilità delle strutture. È membro dell’Accademia americana di ingegneria, membro straniero dell’Accademia cinese di ingegneria e membro onorario della Società Americana degli Ingegneri Civili. Inoltre è il Presidente della T.Y. Lin International, un'azienda fondata nel 1954 da TungYen Lin con sede a San Francisco, una società di consulenza di ingegneria, tecnica e architettura per la progettazione Nella foto: l’ingegnere cinese Man-Chung Tang. Dottore di ricerca e docente, nell’arco della sua carriera ha progettato più di 100 ponti

dei ponti più complessi e con strutture speciali. L'azienda progetta e realizza anche aeroporti, edifici, ponti, strade, autostrade, porti, ferrovie e molto altro ancora. Ha sedi in molti Stati degli USA e in numerosi Paesi dell'Asia e dispone di uno staff professionale di oltre un migliaio di scienziati, ingegneri e architetti. Nel grande numero di opere da ManChung Tang realizzate ci sono da includere più di trenta ponti strallati e quattro sospesi, e va ricordato che sono suoi il 30% dei ponti a conci in cemento armato precompresso del Nord America. Il Ponte Grande Seohae, in Corea, di 990 metri di lunghezza strallato e con una campata principale di 470 metri è il ponte più lungo della Corea. Il Sidney Lanier Bridge, in Georgia è lungo 7.780 metri e ha due campate laterali a 625 piedi e un arco di 1.250 metri. Il Dagu Bridge costruito a Tianjin in Cina copre una luce di 100 m, mentre, sempre in Cina, il Ponte Sanhao Bridge è rientrato nel badget di spesa alquanto esiguo grazie alla costruzione di una trave scatolare di calcestruzzo. Il Ponte Jiayue, sopra il fiume di Jialing e aperto nel 2009, estradossato ad Y, porta sei corsie per i veicoli e nella parte inferiore ha due piste ciclabili per una lunghezza totale di 774 m e una larghezza di 38. Man-Chung Tang a maggio era presente al convegno tenutosi a Catania con i gotha del settore, per fare il punto sul discusso Ponte di Messina. (di Gianfranco Virardi)


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ARTE.ARTIGIANATO

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Sotto, a sinistra: figurina femminile, h.31, terra rossa ingobbiata e smaltata. Al centro: Venere, 28x50, terre colorate intarsiate. A destra: ciotola riccio, diametro 20, terra rossa ingobbiata e smaltata

Acquerello e ceramica: sono le due tecniche attraverso cui l’artista bolognese Mara Guerrini esprime la propria arte. Le sue opere sono apprezzate non solo nel nostro Paese. Ha conquistato anche il Giappone, dove ha esposto più volte di Cristiana Zappoli

EMOZIONI CROMATICHE

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la leggerezza impalpabile dell’acquerello declinata nei colori della natura che esprimono le emozioni dell’anima. Le carte di Mara Guerrini sono questo: una sorta di visione evocativa che l’artista dipinge con la propria anima prima ancora che con i pennelli. La sua è una tecnica fatta di colori e sfumature allo stato puro, una tecnica che esclude in toto l’uso del disegno: il colore non riempie la forma ma la crea. Il risultato sono atmosfere dolci e armoniche che esprimono le emozioni più intime attraverso un linguaggio immediato. «La tecnica dell’acquerello mi affascina - spiega l’artista - per la sua immediatezza, spontaneità, freschezza. In

particolare la tecnica che utilizzo io, quella dell’acquerello puro, senza l’uso di nessun elemento grafico, risponde a queste caratteristiche. Utilizzo solo il pennello e il colore sciolto nell’acqua». Le tematiche sono diverse, dal ritratto alle nature morte fino ai paesaggi. Mara Guerrini definisce la sua arte come un realismo tonale. «Usando il colore come lo uso io, la mia fonte di ispirazione è l’arte veneta del Cinquecento e del Seicento. I miei sono toni di colore che creano la forma e il volume, un metodo inventato dai veneti, da Giorgione in avanti. Tutti i miei studi cominciano dall’arte classica». L’altra grande passione dell’artista bolognese, che proprio nella capitale felsinea si è

diplomata all’Accademia di Belle Arti, è la ceramica. «Non posso dire se preferisco l’acquerello o la ceramica», racconta la Guerrini. «Ho conosciuto entrambe le tecniche nello stesso periodo e sono cresciute parallelamente». Quella della ceramica è un’arte che non ammette improvvisazioni: richiede mestiere e molta esperienza. È un materiale che si presta più di altri allo studio continuo di tecniche diverse, al continuo rinnovamento. «Oltre alle tecniche basilari – spiega l’artista – studio e metto in pratica tecniche diverse. Ultimamente ho elaborato una tecnica ad intarsio fatta con argille che coloro personalmente con ossidi minerali prima di cominciare a foggiarle». Anche DESIGN + 33


S ARTE.ARTIGIANATO A destra: l’artista bolognese Mara Guerrini all’interno del suo atelier. Sotto: dipinto acquerello su carta 51x33 "In volo" e ciotola riccio, diametro 15, terre colorate e ingobbiate

in questo caso i soggetti sono diversi: dai vasi alle ciotole dalle forme più comuni fino ai corpi umani, in particolare corpi di donna. «Lavoro sempre sul vuoto – specifica la Guerrini – e mi piacciono gli spessori sottili. Per questo utilizzo la tecnica a colombino per ottenere vasi e contenitori dalle molteplici forme». Regalando così alla materia forgiata dal fuoco lo stesso linguaggio immediato che imprime sulla carta con l’acquerello. Sono opere ricche di richiami storici e culturali di cui l’arte contemporanea non può fare a meno. Mara Guerrini ha esposto le sue opere su carta e in ceramica in Italia ma non solo. È stata invitata anche all’estero, in particolare è molto amata in Giappone dove è stata chiamata ad esporre dalla Art Print Japan come Italian Talented Painter nel 2003 e poi nel 2005. «Sono stati loro a scegliermi ed è stata un’esperienza straordinaria», racconta. «Stavano cercando un acquerellista italiano e, dopo aver visionato più di trecento siti,

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hanno scelto me e sono venuti nel mio studio a visionare le opere dal vero». Nel corso degli anni l’artista bolognese ha esposto nelle gallerie Daimaru di Tokyo, Osaka, Kyoto e Kobe come rappresentante italiana nel campo dell’acquerello. Anche la Francia si è interessata alla sua arte: nel maggio del 2007, infatti, ha esposto a Metz una rassegna di opere sulla tematica dell’acqua. L’esposizione si inseriva nel progetto europeo “La semaine européenne de l’eau”. «Questa è una tematica che mi ha sempre affascinato e l’ho sempre curata in modo particolare. Ho tenuto un’altra mostra incentrata sul tema dell’acqua al Museo Bargellini di Pieve di Cento, dove sono conservate in permanenza alcune mie opere». Anche le ceramiche sono state esposte in diverse occasioni. Proprio il primo weekend di settembre 2010 parteciperà ad Argillà Italia, il grande evento dedicato alla ceramica artistica e artigianale che si terrà a Faenza e che coinvolgerà l’intera città, ospitando artisti da tutto il mondo. Ventitré anni fa, quando ancora erano in pochissimi a farli (probabilmente a Bologna nessuno), Mara Guerrini ha cominciato a organizzare corsi di acquerello. «La soddisfazione più grande – spiega l’artista e insegnante – è vedere che molte persone che hanno fre-

quentato i miei corsi proseguono sulla strada che ho indicato io. Anche artisti che hanno frequentato l’Accademia e che quindi hanno sperimentato tecniche diverse, restano legati all’acquerello. Ho un metodo globale di insegnamento e le lezioni si svolgono non solo in studio ma anche en plein air, per imparare a dipingere il paesaggio dal vero. Mi piace dare ai miei allievi una preparazione completa sulla tecnica dell’acquerello puro. È una tecnica molto difficile, con regole severe e rigorose, una tecnica che deve essere capita e approfondita. Per esempio, un acquerello puro è quando l’effetto del bianco è ottenuto in negativo non con l’uso del pigmento, ma lasciando la purezza del foglio bianco. All’inizio non è facile capire questo concetto». I corsi di acquerello e di ceramica sono trimestrali e cominciano a ottobre e a marzo e a partecipare sono diverse tipologie di persone: dagli studenti dell’Istituto d’Arte ai semplici appassionati dell’una o dell’altra arte. Una curiosità: da pochi anni Mara Guerrini ha cominciato anche a dipingere su seta, instaurando un’interessante collaborazione con una stilista. «Un’esperienza - conclude l’artista - molto stimolante. La cosa che più mi attrae di questa tecnica sono i colori, da cui si possono ottenere effetti unici sia nelle armonie che nei contrasti, difficilmente realizzabili sulla carta». (di Cristiana Zappoli) Atelier di Mara Guerrini Via A. Aspertini, 8 - Bologna, Italy tel. (+39) 051 62 40 304 www.maraguerrini.com


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LA NUOVA SERPENTINE

È la galleria che il jet set anglosassone attende tutti gli anni con l’arrivo dell’estate. Jean Nouvel propone una struttura di metallo rosso che sfida la forza di gravità

dell’origami. Nel 2002 fu la volta di Toyo Ito, seguì Oscar Niemeyer, e nel 2004 gli Mvrdv progettarono una struttura che non venne mai realizzata. Alvaro Siza nel 2005 progettò una griglia di legno e policarbonato e Rem Koolhass nel 2006 ideò un gonfiabile ovoidale di materiale traslucido fluttuante sopra la galleria. Snøhetta e Olafur Eliasson nel 2007 hanno ideato una struttura lignea con le movenze geometriche di una rampa spiraliforme. Frank Gehry l’anno seguente ha scelto dei terrazzamenti protetti da una decostruita copertura in legno e vetro. Il gruppo Sanaa, l’anno scorso, con una sinuosa e sottilissima tettoia riflettente ha posto la galleria in continua relazione con le variazioni cromatiche del cielo. Il regolamento del concorso prevede, ogni dodici mesi, l’invito di un grande architetto internazio-

nale che non deve mai aver portato a termine un progetto in Gran Bretagna. Jean Nouvel, nonostante la sua fama internazionale, non ha, prima di quest’anno, mai realizzato nulla in questo Paese. La sua proposta, inaugurata il 5 luglio, riprende il tipico colore rosso delle cabine telefoniche, dei famosi autobus urbani a due piani e delle cassette della posta. Il colore che governa l’immaginario collettivo londinese. La celebre manifestazione anche quest’anno avrà la sua sperimentazione architettonica che consterà di una struttura metallica, leggera e a sbalzo, con una parete autoportante, alta 12 m e inclinata, pronta a sfidare le leggi della gravità. All’interno pannelli in policarbonato creano diverse e versatili sistemazioni protette da una copertura piana di tessuto retrattile. (di Andrea Giuliani)

Foto di Serena Zanzu

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Ovest di Hyde Park, i Kensington Gardens, i rigogliosi giardini reali ospitano, a pochi passi dal lago Serpentine, La Serpentine Gallery, che festeggia 40 anni di attività e dieci dal lancio dell’originale progetto che consiste nel cambiare padiglione tutti gli anni. Quest’anno per la nuova struttura è stato invitato Jean Nouvel. Sull’onda del nuovo millennio l’organizzazione del Serpentine Gallery ha deciso di creare un evento e ha invitato l'architetto decostruttivista anglo-irachena Zaha Hadid. L’installazione temporanea consisteva nel creare, attraverso un tetto triangolare, una nuova tipologia di tenda. L’anno successivo l’evento venne proposto all’architetto Daniel Libeskind che con i suoi diciotto pannelli metallici propose una sequenza evocante le pieghe

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S PRE.VISIONI

L’ACADEMY DI LIBESKIND

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Courtesy Studio Daniel Libeskind, rendering Bromsky

Libeskind progetta per il Museo Ebraico di Berlino. Un cubo inclinato compenetrerà il Blumengrossmarkt creando la Jewish Museum Academy

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o scorso maggio il Museo Ebraico di Berlino ha presentato un nuovo progetto di Daniel Libeskind per la costruzione dell'Accademia del Museo. L’architetto polacco ha già progettato sia l'ampliamento, in zinco, del Museo Ebraico di Berlino nel 2001, sia il Cortile Vetrato, estensione dell'edificio storico. L’Accademia verrà costruita sul sito dell’ex Mercato dei Fiori di Berlino, il Blumengrossmarkt, e utilizzerà l'edificio esistente. La nuova struttura riunirà biblioteca e archivi e permetterà al museo di usufruire di nuovi uffici, depositi e spazi di servizio. L'Accademia sarà integrata al complesso storico Kollegienhaus e al suo famoso ampliamento. L’elemento caratterizzante la nuova Accademia sarà un

cubo inclinato che penetra nel muro esterno dell'ex mercato dei fiori creando una corrispondenza con l'ingresso principale del Museo. La forma del cubo riprende e rielabora il tema presente sia nel Giardino dell'Esilio sia nel Cortile Vetrato. Anche questo volume sarà rivestito con pannelli di zinco titanio. L’ingresso consisterà in un taglio nel cubo, attraverso il quale il visitatore potrà accedere all’Accademia. All'interno vi saranno altri due cubi inclinati l'uno verso l'altro che conterranno la sala conferenze e la biblioteca e saranno rivestiti con pannelli di legno grezzo. La copertura presenterà invece dei lucernari dalla forma ispirata alle prime due lettere dell’alfabeto ebraico, Alef e Bet. (di Annamaria Armentano)

In alto: rendering dell’intersezione tra il cubo d’accesso e l’edificio esistente. Sotto: la sala lettura




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PROGETTO / 1

Bianco, luminoso, essenziale. È il Museo della Memoria dell’Andalusia progettato dall’architetto spagnolo Alberto Campo Baeza. Un’architettura assoluta e semplice che rivela la sua complessità concettuale e la ricerca dell’essenzialità geometrica e formale di Iole Costanzo

LA MEMORIA ANDALUSA 44 DESIGN +


SCHEDA

Progettazione Alberto Campo Baeza Cliente Caja Granada Luogo Granada Dimensioni del patio ellittico Asse maggiore 42m, asse minore 30m Altezza patio 15m

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In questa pagina: vista dal basso del “Pantalla”, l’edificio che contiene la parte amministrativa del museo e il Mirador al penultimo piano. A destra in alto: il museo inserito nel contesto con alle spalle la Sierra Elvira. Al centro: schizzi preparatori. In basso: il cortile ellittico con le due rampe elicoidali al centro


PROGETTO / 1

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n’architettura fatta di luce e linearità. Severa e essenziale. Assoluta, semplice e dominante. Il Museo della Memoria dell’ Andalusia, tipica architettura di Alberto Campo Baeza, con la sua discreta monumentalità dominerà il paesaggio periferico, a due passi dall’Autovia de Sierra Nevada, della città di Granada. E anche se è stato più volte definito per la sua austera forma, dallo stesso architetto, un edificio silenzioso, è un segno che sarà visibile e darà riconoscibilità a tutto l’intorno. L’opera nasce su un terreno di proprietà della Caja Granada, la cassa di risparmio andalusa, che ha sovvenzionato il progetto e la cui sede principale, sempre progettata nel 2001 dallo stesso Campo Baeza, è a pochi

metri di distanza. Sono entrambe architetture imponenti, essenziali, dalle linee tipiche del linguaggio lecorbuseriano e dalla matericità di Tadao Ando, i due mentori del linguaggio espressivo dell’architetto Alberto Campo Baeza. Il Museo della Memoria dell’Andalusia, progettato così che dialogasse con il preesistente edificio Caja Granada, ha comunque una sua identità ed è stato pensato per trasmettere il proprio messaggio culturale alla città. È caratterizzato da due volumi, uno semi-ipogeo (podio), che contiene gli spazi espositivi e l’altro alto e stretto, in spagnolo detto “pantalla”, che ospiterà il settore amministrativo. L’ultimo piano di questo edificio, l’unico caratterizzato da grandi superfici vetrate, è stato pensato come Mirador. Offre infatti una magnifica vista sull’Alhambra, la Sierra Nevada e la Sierra Elvira e al suo interno è stato organizzato un ristorante. L’edificio del museo è un podio di 60x120 m, con un solo piano sopraterra a livello della Caja Granada e con al centro un ampio cortile ellittico che accoglie le rampe elicoidali che collegano i tre livelli creando contemporaneamente una suggestiva tensione spaziale. Il patio si presenta come uno spazio bianco che distribuisce la circolazione interna. È il protagonista spaziale dell’edificio. Le sue dimensioni sono state progettate sovrapponendo alla pianta del nuovo edificio la pianta del piano terra del Palacio de Carlos V, la storica e imponente struttura a pianta quadrata, che fa parte del complesso pala-

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PROGETTO / 1

PIANTA QUOTA GIARDINO (-5.00)

PIANTA PODIO (+10.00)

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PIANTA BAJA (0.00)

PIANTA MIRADOR (+38.00)

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PROGETTO / 1

ziale L'Alhambra e che contiene al suo interno un sorprendente cortile circolare con 32 colonne. All’interno del diametro del cortile del Museo della Memoria dell’Andalusia l’architetto Alberto Campo Baeza ha ricavato un’ellisse. L’evidente trasposizione concettuale dell’opposizione tra le due forme geometriche, il cerchio e l’ellisse, ha portato alla nascita della forma elicoidale delle rampe d’accesso. Il bianco domina il vuoto. E la luce disegna i quattro prospetti. Essenziali, netti, bianchi e lisci diventano il luogo di proiezione delle ombre che rafforzano l’effetto dei tagli chiaroscurali degli accessi. All'interno di questo edificio si trovano gli spazi espositivi del Museo. La loro disposizione prevede il coinvolgimento, nelle loro funzioni, del giardino e del piano terra. La Sala delle Esposizioni

temporanee si trova al primo piano e sul lato Est, con un accesso separato, è stata posta la sala del Teatro Sperimentale. Quasi a emulare la porta della città, dal podio-museo emerge il netto e materico elemento verticale, la “Pantalla”, cioè screen, display. È alto 50 metri, precisamente quanto la facciata principale dell’edificio della Caja Granada che sta alle sue spalle ed è largo 6.30 m. Osservando la sezione longitudinale, è chiaro che tutto il progetto è inserito in una maglia dal ritmo uguale e cadenzato e che l’esigua larghezza dell’edificio della “Pantalla” ne è l’esatta ventesima parte. Come già accade in Times Square a New York o in Piccadilly Circus a Londra, il prospetto della “Pantalla” (di fronte all’ampia piattaforma rivolta verso il fiume) diverrà uno schermo gigante su

ALBERTO CAMPO BAEZA

Nato nel 1946 a Valladolid in Spagna, Antonio Campo Baeza, nel 1977 è stato nominato professore ordinario all'Ecole Polytechnique Féderale di Losanna e all'University of Pennsylvania a Filadelfia nel 1999. Attualmente è accademico presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Madrid. Il motto “More with less“ riassume la sua capacità di raggiungere un efficace effetto spaziale usando pochi elementi architettonici. I critici hanno visto nelle costruzioni di Campo Baeza un’interpretazione in chiave critica del razionalismo del '900. Dal minimalismo formale è passato, recentemente, alla realizzazione di spazi evocativi. Tra le sue opere più importanti ci sono da annoverare il Centro Balear de Innovaciòn Tecnològica a Inca (Maiorca, 1995), e la più recente sede della Caja General de Ahorros di Granada (2001).

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IL MUSEO DIALOGA CON IL PREESISTENTE EDIFICIO CAJA GRANADA, È STATO PENSATO PER TRASMETTERE IL PROPRIO MESSAGGIO CULTURALE ALLA CITTÀ


A sinistra: planivolumetrico dell’edificio del Museo della Memoria della Andalusia e dell’edificio della Caja Granada. In questa pagina: fotografia dell’interno del Mirador

cui verranno proiettati gli eventi più importanti del mondo. L’informazione a 360 gradi: ciò che all’interno è possibile apprendere su supporto cartaceo, nella nuova mediateca allestita nei primi piani dell’edificio, all’esterno sarà possibile vederlo su schermo. Il museo ha un’organizzazione spaziale e funzionale che corrisponde in sintesi alle caratteristiche di un edificio a patio. A partire da un’ampia piattaforma nell'angolo Nord-Ovest si giunge, attraversando una porta monumentale aperta nel Palazzo “Pantalla” e scendendo delle scale, nell’ ellittico cortile di ingresso, da cui si accede alle sale interne del museo che espongono la memoria storica andalusa. La pro-

gettazione dell’architetto Campo Baeza intende l’essenzialità delle forme non solo una necessaria semplicità progettuale, bensì una precipua occasione per dare a elementi, quali la luce, l’opportunità di diventare l’ingrediente indispensabile all’ideazione delle forme. Ciò che conta nel suo progettare è la composizione stessa, l’attenzione e il rispetto per il contesto, la giusta attenzione alla funzione a cui ritiene di dover dare una risposta pratica e contemporaneamente emozionante ed emozionale. E così, nel meridione della penisola iberica, lì dove il confine tra l’ Europa e l’Africa, la cultura occidentale e la cultura africana, il Cristianesimo e l’Islam è alquanto

labile, e tutto è un tripudio di colori, suoni e sapori, la ricerca formale dell’architetto Campo Baeza ha risposto con una semplicità assoluta e un’essenzialità geometrica ancor più esaltata dal candore del bianco. Molte sue architetture sono state più volte citate come esempi costruttivi ricchi di purezza, eleganza e silenzio, perché attente e coerenti al motto “More with less, il più con il meno” che Campo Baeza usa, parafrasando le parole di Ludwig Mies van der Rohe “il meno è più”. Pure questa architettura, che pone al centro l’uomo e la sua cultura, conferma quella particolare precipua complessità che si ottiene con l’assidua ricerca della semplicità. DESIGN + 51


PROGETTO / 2

LUCE E SPAZIO IN MOVIMENTO È un fluido e luminoso open space. È un luogo che rivoluziona l’idea di spazio dedicato allo studio. Progettato dal gruppo SANAA, il Rolex Learning Center, posto nel cuore dell’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, è un continuum spaziale adatto al brainstorming. La biblioteca interna conterrà più di 500mila volumi da consultare di Iole Costanzo

SCHEDA

Gruppo di progetto SANAA Luogo Losanna, Svizzera Costo 110.000.000 CHF Superficie 37.000 mq Illuminotecnica Zumtobel Lumière Acustica EcoAcoustique SALausanne

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PROGETTO / 2

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na visione dall’alto rivela una forma geometrica legata alla legge del parallelogramma. Un classico quadrilatero, un comune rettangolo tagliato da più e diverse corti ellittiche. È il Rolex Learning Center del Politecnico Federale di Losanna, il PFL, progettato dallo studio d’architettura nipponico SANAA, degli architetti Sejima e Nishizawa. La visione dal piano di calpestio rivela un luogo ben diverso da quello che si poteva intuire da una lettura fatta solo dall’alto. Il Rolex Learning Center è un edificio che rivoluziona il concetto di spazio dedicato allo studio e al lavoro. È innovativo, luminoso e, sopratutto, ondeggiante. Gli spazi sono fluidi tra loro. All’interno vi è un continuum spaziale che assicura ovunque l’accessibilità a tutti. Il colore dominante è il bianco. Per gli interni è stato scelto anche un secondo colore, il grigio. Colori che comunque esaltano la luce o un leggero effetto chiaroscurale, cromatismi che nell’architettura fanno storia. Ma è la luce che la fa da padrona. E con essa entra a far parte del tutto anche il colore verde della vegetazione degli esterni, inserito in questo caso dal dialogo reale e simpatetico che le finestre e per-

RYUE NISHIZAWA + KAZUYO SEJIMA

Lo studio SANAA, acronimo di Sejima e Nishizawa Architects Associates, è stato fondato nel 1995 da Kazuyo Sejima e da Ryue Nishizawa. Entrambi allievi di Toyo Ito, con i loro progetti hanno generato un'architettura che coniuga la semplicità estetica con la ricercatezza tecnica. Nel 2009 hanno progettato il Serpentine Gallery Pavilion a Londra. Numerosi sono i progetti che meritano di essere ricordati. Fra questi: il Museo del Ventunesimo Secolo a Kanazawa in Giappone, la nuova sede del Louvre a Lens, il Teatro e centro culturale De Kunstlinie di Almere (Olanda), il negozio Dior di Tokyo. A marzo sono stati premiati con il Pritzker Prize.

In basso: l’esterno dell’edificio. I prospetti sono tutti in vetro. Gli infissi sono realizzati con sottili profili di alluminio. I solai sono tra loro perfettamente paralleli e sono sostenuti da strutture denominate gusci. Sopra: vista dall’alto della struttura. Un sottile parallelepipedo bianco deformato con regolarità geometrica e forato da ben 14 patios

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tanto l’interno creano con l'esterno. I quattro prospetti sono ondeggianti, sinuosi, parallelamente ricurvi, tutti in vetro e connotati unicamente dal monotono e sempre uguale ritmo degli infissi. La luce, elemento fondamentale di questo centro studi, non è però solo relegata alle continue aperture laterali, ma attraverso le corti e i diversi lucernai, una luce zenitale, cioè con direzione perpendicolare, si diffonde in quasi tutti gli ambienti, garantendo un migliore grado d’illuminazione e un completo annullamento delle zone d’ombra, rendendo omogenea tutta la composizione del flusso luminoso. All'interno è la quasi totale assenza di pareti divisorie la caratteristica di questa struttura, e le diverse funzioni degli ambienti sono state evidenziate con vari escamotage. Per le aree che necessitano di calma e silenzio, l'isolamento acustico è stato ottenuto variando l'altezza degli ambienti stessi, o creando delle vere e proprie bolle di vetro entro le quali trovare tutto il necessario per un approccio diverso allo studio. La scelta di spazi comunicanti tra loro, senza alcun impedimento né visivo né materico, è maturata nei progettisti riflettendo sulla forma spaziale e sulle peculiarità necessarie all'interazione e allo scambio tra studenti e studiosi che


LA PROGETTAZIONE HA TENUTO CONTO DELLE TECNOLOGIE E DEI DIVERSI STUDI CHE OGGI CONSENTONO UN RIDOTTO CONSUMO DI ENERGIA si dedicano ad attività e discipline comunque diverse tra loro. Potrebbe essere definita, dunque, architettura aristotelica, o peripatetica, perché ciò che era alla base dei principi didattici di Aristotele non era altro che la comunicazione a 360°, essere e/o camminare intorno. Le sue lezioni avvenivano, infatti, passeggiando intorno al giardino del ginnasio, il che presupponeva un’impo-

stazione pedagogica, non cattedratica, aperta alle possibili influenze tra discipline. Se da un lato l’associazione con i principi aristotelici potrebbe risultare troppo occidentale, dall’altro risulta altrettanto inappropriato rileggere questa architettura come una trasposizione della leggerezza della seta e della carta da riso. Così pure la disposizione interna degli spazi, rarefatti e diafani, più che porli in

continuità con il retaggio culturale giapponese, risulta immediato collegarli a un più attuale concetto dell’intercomunicazione e del’interdisciplinarità. Nel Rolex Learning Center la connessione interno - esterno non è percepita solo attraverso una lettura visiva normale al piano di calpestio ma anche attraverso i morbidi cambiamenti di quota raggiunti attraverso le sinuose curve del so-

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PROGETTO / 2

ALL’INTERNO DEL ROLEX LA LUCE LA FA DA PADRONA. E CON ESSA ENTRA A FAR PARTE DEL TUTTO ANCHE IL COLORE VERDE DELLA VEGETAZIONE DEGLI ESTERNI laio. Il tetto, che da una visione dall’alto può sembrare un regolare rettangolo, nella realtà presenta un’ondulazione che accompagna parallelamente quella del solaio sottostante. I patios, così definite dagli architetti le 14 corti interne, di dimensioni e forme variabili, sono veri spazi sociali che offrono un legame visivo con l’esterno. Sono luoghi emblematici che danno modo di percepire visivamente il passaggio dei giorni e delle stagioni. Il Rolex Learning Center è anche dotato di altri tipi di luoghi deputati all'incontro sociale, più canonici, come un anfiteatro da 600 posti, un bar-caffetteria e un ristorante. Luoghi dove matematici, ingegneri, neuroscienziati e microtecnologi si uniscono non solo per immaginare insieme nuove tecnologie, ma anche per condividere altro. I collegamenti dell’edificio, che ha una superficie di 20mila metri quadrati, sono assicurati non solo dalle dolci pendenze del solaio (citazione della topografia tipica della città di Losanna e della regione circostante, ragione per cui il gruppo Sa-

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naa ama definirlo “park landscape”) ma anche dai vetrati ascensori orizzontali. Avendo una copertura e un pavimento ondulato ma dall’andamento parallelo, il Center si alza dal terreno staccando al suo interno i quattordici patii, asole circolari e vetrate, di cui 7 arrivano direttamente a terra creando dei possibili accessi alla struttura. Strutturalmente l’edificio è appoggiato su due gusci ricurvi in calcestruzzo, creati da undici arcate pre-tese ottenute da studi e simulazioni virtuali atte a individuare le forme più adeguate a una risposta statica che comporti il minore sforzo a flessione. I gusci sono di diverse dimensioni tra loro, quello più piccolo ha quattro arcate lunghe 30-40 metri, mentre quello più grande poggia su sette arcate di 55-90 metri. I principali materiali strutturali usati sono l’acciaio e il legno, e il calcestruzzo è stato versato in casseforme così precise che la parte inferiore dell'edificio ha quasi un aspetto levigato. Il solaio di calpestio è una struttura di cemento mentre il tetto è in acciaio e legno. La complessa geometria delle conchi-


SEZIONI 1. Spazio di ristoro 2. Sala polivalente 3. Sala lettura 4. Area di lavoro 5. Archivio 6. Ristorante 7. Parcheggio 8. Magazzino 9. Locali tecnici

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Planimetria generale del Rolex Learning Center, situato nel cuore de l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, il campus svizzero che si trova a pochi passi dalle rive del Lago di Ginevra

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IL ROLEX È DOTATO DI ALCUNI LUOGHI DEPUTATI ALL'INCONTRO SOCIALE, COME UN ANFITEATRO DA 600 POSTI, UN BAR-CAFFETTERIA E UN RISTORANTE glie per essere realizzata ha richiesto 1.400 stampi diversi per il calcestruzzo, a dimostrazione del fatto che una struttura così pensata esige un’impostazione progettuale e realizzativa molto flessibile, sia nel gettare in opera le casseforme di calcestruzzo che nelle rifiniture. I controsoffitti sono uniti tra loro da giunti e i vetri curvi degli infissi delle facciate sono stati tagliati separatamente affinché siano indipendenti nel movimento dagli altri telai. L’ingresso principale è posto al centro dell’edificio e vi si giunge passando sotto i lembi dell’edificio sostenuti dalle arcate dei gusci. L’edificio (definito anche enorme stanzone, perché pur avendo un’estensione di 10mila metri quadrati non ha corridoi e le divisioni interne sono ridotte al minimo) è posto al centro del campus EPFL di Losanna e funzionerà come un laboratorio per l’apprendimento. È dotato di una libreria con 500mila volumi e sarà aperto sia agli studenti, circa 7mila, che al pubblico. Al suo interno lavorerà uno staff di 4mila persone fra ricercatori e accademici, dalle sette del mattino fino alla mezzanotte. La progettazione ovviamente ha tenuto conto delle diverse tecnologie e dei diversi studi che oggi consentono un ridotto con-

sumo di energia e favoriscono la luce naturale e i sistemi di ventilazione controllata. Il volume ondulato di ciascuna stanza, infatti, è stato studiato attraverso simulazioni al computer e sono stati individuati determinati periodi in cui serve la ventilazione naturale e quelli in cui si rende necessario il riscaldamento a pavimento. Difatti l’edificio è altamente efficiente dal punto di vista energetico e ha ricevuto la tanto ambita etichetta Minergie, lo standard utilizzato in Svizzera per classificare l’efficienza energetica degli edifici costruiti e ottimizzati. Il Rolex Learning Center è completamente dotato di sistemi di ventilazione naturale, esclusi gli ambienti del ristorante e quelli della libreria multimediale, e ottiene un consumo energetico di 38,5 kWh/m2 (139 MJ/m2), grazie a finestre con doppi vetri, 20 centimetri di isolamento del tetto e 35 cm nel solaio che poggia sul terreno. Si avvale dell'installazione di pompe termiche che utilizzano le acque del lago per il raffreddamento così come il resto del Campus. Il centro è un struttura progettata e studiata con molta precisione, come i numerosi orologi, ovviamente Rolex, che scandiscono il tempo all’interno della struttura. DESIGN + 59


PROGETTO / 3

UN AEROPORTO ECOSOSTENIBILE

Foto di Adria Goula

Ocra, giallo e verde. Sono questi i colori delle doghe che caratterizzano la copertura e le facciate della torre di controllo del nuovo Aeroporto di LleidaAlguaire. Una possibilità di crescita per il territorio della Catalunya. Progettata da Fermín Vázquez la struttura è ecologicamente sensibile e bene inserita nell’ambiente di Mercedes Caleffi

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SCHEDA

Gruppo di progetto Fermín Vázquez, b720 Arquitectos Cliente Generalitat de Catalunya. GISA Luogo Alguaire, Lleida, Spagna Superficie Totale 4.942 mq Costo totale 14.550.000 euro

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Foto di Joan Argelçs


PROGETTO / 3 A sinistra: rendering che illustra la vista dall’alto della caratteristica copertura a bande colorate con le tinte tipiche del paesaggio gravitante intorno. Nella pagina a fianco: la copertura piana intervalla fasce di vegetazione a quelle colorate, che nel diventare facciata della torre presentano dei fori utili al passaggio filtrato della luce

L’AEROPORTO È STATO PROMOSSO DALLE AUTORITÀ PER RINFORZARE IL TURISMO COMMERCIALE NELLA SECONDA CITTÀ CATALANA

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a già un epiteto con cui viene designato: “Tappeto mimetico”. E chi sorvola l’Aeroporto di Lleida-Alguaire, in Catalunya, prima dell’atterraggio ha la percezione di vedere un grande tappeto. L’aggettivo mimetico è invece legato alla gamma cromatica che lo studio Fermín Vázquez b720 Arquitectos ha scelto. Il piano dei colori si basa su tinte calde, molto naturali, legate al paesaggio che gravita intorno all’aeroporto. Ocra, verde e giallo sono le nuance scelte, fasce di colore composte tra loro seguendo una logica grafica molto vicina alla scansione del codice a barre. Il tappeto, o per meglio dire i tappeti, perché nella realtà sono due le fasce di copertura, che si muovono parallelamente, subiscono piccole modifiche negli alzati. Un’analisi dei prospetti rivela che la copertura, nella parte più esterna, diventa un largo fascione dal caratteristico effetto rame patinato con inciso in negativo il nome dell’aeroporto. È una linea continua che piegandosi dolcemente sopperisce alle FERMÍN VÁZQUEZ

Ha fondato lo studio b720 Arquitectos nel1997. Ha realizzato i progetti in città importanti della Spagna e ha vinto numerosi concorsi. Attualmente insegna all'Università Europea di Madrid (UIM), e in passato è stato insegnante di progettazione alla Escuela Técnica Arquitectura Superiore di Barcellona e all’École d'Architecture et de Paysage de Burdeaux in Francia. Fra i progetti più recenti vi è la Città di Giustizia di Barcellona (realizzata insieme a David Chipperfield), il recupero di Plaza del Torico a Teruel, le sedi corporative di INDRA a Barcellona, l’Aeroporto di Lleida, il nuovo mercato di Encants a Barcellona, la costruzione del Gran Casinò Costa Brava (Lloret, Girona) e altri. Lo studio b720 Arquitectos ha collaborato anche con Jean Nouvel per l’ampliamento del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid e il parco di Poblenou a Barcellona e con Toyo Ito per le Torrette di Fira di Barcelona.

diverse quote degli ambienti sottostanti creandovi delle asole di luce lungo il piano verticale dei prospetti in vetro. Ma la suggestione prosegue e il lungo tappeto mimetico dai colori caldi della terra cambia vorticosamente quota e diventa la facciata della torre di controllo che è posta, con la sua altezza di 41 m, al centro della composizione degli edifici. Il progetto è riuscito a soddisfare diversi requisiti che vanno dagli adeguamenti alle norme tecniche richieste direttamente dall’aeronautica, al rispetto verso il territorio circostante ponendo particolare riguardo a non modificare eccessivamente l’impatto visivo con il paesaggio circostante. La torre, l’elemento verticale, consiste nella realtà di due volumi principali: la torretta, che ospita le funzioni specifiche di controllo dei velivoli e dei servizi e la base, che è stata progettata per ospitare gli ambienti amministrativi, i locali tecnici e quelli per il magazzinaggio. La base e la torretta sono strutturalmente unite dalla curva che la copertura crea per passare dalla quota del pianterreno alla completa verticalità e trasformarsi così nelle due facciate della torre che ha comunque una struttura rettangolare di 8x21m ed è suddivisa in 9 piani. Il piano terra accoglie le funzioni specifiche di controllo aereo, assistenza tecnica e altri servizi della torre; dal terzo al quinto piano sono stati inseriti gli spazi amministrativi per il movimento aereo, mentre dal sesto al nono gli spazi tecnici, le sale riunioni, gli ambienti per i collegamenti radiofonici e le camere per il riposo dei piloti. A coronamento della torre vi è stato posto un volume ottagonale quasi tutto in vetro di 4.5m per lato e alto 4.7m con lo scopo di offrire una visuale completa su tutto il complesso. Anche il piano terra DESIGN + 63


PIANTA DEL PIANO TERRA

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Torre di controllo

Spazio polifunzionale

SEZIONE LONGITUDINALE

PROSPETTO LATO PARCHEGGIO

1. Ingresso principale - 2. Uscita principale - 3. Hall - 4. Punto check-in - 5. Caffetteria - 6. Sala partenze - 7. Sala arrivi - 8. Area destinata al commercio 9. Spazi tecnici - 10. Accesso autorizzato - 11. Spazio riservato ai vip - 12. Uffici torre di controllo - 13. Spazio personale torre di controllo - 14. Parcheggio

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ha prospetti in vetro. La trasparenza è massima, ma la schermatura dalla luce diretta è garantita dall’aggetto di 4 m della copertura superiore che non solo crea l’effetto di tappeto verde ma offre anche un’unione visiva del complesso. Infatti, la copertura dei due edifici bassi alterna alle bande colorate fasce di vegetazione che collaborano al mantenimento della temperatura interna creando una barriera termica e potenziano la suggestione di emulazione della trama degli appezzamenti agricoli dell’intorno. Le stesse fasce di vegetazione, che si alternano con un andamento random agli altri colori, man mano che l’effetto cromatico si avvicina a divenire facciata diventano bande di alluminio grecato colorate, anch’esse traforate, così da garantire la luce naturale agli interni. Questa veste cromatica consentirà un’indolore espansione futura del progetto, senza alterare in maniera sostanziale la sua identità e la sua traccia - impronta nell’ambiente. Il nuovo aeroporto è stato impostato su tre tipologie di procedure atte a soddisfare le misure di

compensazione delle norme ambientali quali: destinare una superficie di terreno equivalente a quella occupata dall’aeroporto per la tutela dell’habitat, delle steppe, della flora e della fauna; la presentazione di approfonditi studi dei livelli di valutazione delle immissioni sonore e un attento monitoraggio dell’avifauna per più di 5 anni dal completamento dei lavori. Tutti accorgimenti che rendono il primo aeroporto commerciale promosso dalla Generalitat de Catalunya, il quarto nel territorio di Barcellona, una valida ed ecologica opportunità per generare nuovi servizi e attività. Costruito per creare un asse di connessione con i Pirenei e per diventare uno dei motori dell’economia della terra de Lleida è stato promosso dalle autorità locali proprio per rinforzare il turismo congressuale e commerciale nella seconda città catalana, cercando anche di incentivare il turismo invernale dei Pirenei, entrando così in competizione con le città francesi, quali Toulouse, che detengono il primato per questo tipo di turismo.

PIANTA COPERTURA

Sopra: vista interna della hall. La zona check-in è stata posta prima della piegatura della copertura in doghe lignee. La differenza di quota tra le due fasce parallele in copertura forma un’asola di luce

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PROGETTO / 4

IL PONTE SIMBOLO DELLA MODERNITÀ

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A La Roche-sur-Yon un ponte di metallo collegherà la città nuova con quella storica. Progettato da Bernard Tschumi Architects e Hugh Dutton Associates riprende gli studi di Robert Le Ricolais. Un cavalcavia per i nuovi binari che la ferrovia francese ha realizzato per il passaggio della TGV di Iole Costanzo

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osso, rettilineo e cilindrico. È il ponte in metallo progettato da Bernard Tschumi Architects e Hugh Dutton Associates a La Roche-sur-Yon. Realizzato con travi a T e a H, incrociate in senso diagonale, è un landmark, un segno identitario per una nuova realtà urbana, una relazione concreta e simbolica tra le due principali zone della città, quella storica e quella moderna. E il colore rosso-arancio brillante, scelto proprio per caratterizzarlo maggiormente, ha il precipuo compito di sottolineare il senso di tale impostazione concettuale. Roche-sur-Yon è una città storicamente legata a Napoleone situata nella Francia orientale, vicino a Nantes. Di recente, l'estensione della rete ferroviaria TGV ha coinvolto anche questa amena cittadina, mettendola urbanisticamente in discussione proprio per il suo tessuto già provato dalla divisione esistente tra due aree, quella storicamente consolidata e quella attuale di espansione. La città ha cominciato così la costruzione di varie infrastrutture, atte a migliorare le conosciute condizioni di frattura che il passaggio del TGV avrebbe potuto amplificare. Tra i progetti realizzati vi è un interscambio di trasporto, un centro commerciale, diverse strade di attraversamento e il nuovo ponte pedonale e ciclabile da poco inaugurato. La nuova struttura, che sostituirà il vecchio ponte costruito nel 1890, ha tutti gli ingredienti per diventare un riferimento non solo geografico ma anche iconografico, data la sua concezione strutturale e l’originalità della forma. Gli

A sinistra: vista interna del ponte. Cerchi di metallo regolari tra loro saldati con segmenti di travi montate in diagonale che formano un reticolo tubolare autoportante. A destra: l’attacco tra il ponte e l’ascensore

architetti hanno sviluppato una maglia metallica nata da studi teorici sulle strutture reticolari già studiate da Robert Le Ricolais, un ingegnere, architetto, pittore e poeta, nato e vissuto proprio a Roche-sur-Yon nella metà del XX secolo e conosciuto come il padre delle strutture articolate nello spazio. È doveroso ricordare che durante i suoi studi sul modello matematico automorfico Le Ricolais presuppose il princi-

pio della continuità dello spazio-materiaenergia. Nelle strutture automorfiche le forze, propagandosi senza soluzione di continuità lungo catene biunivocamente corrispondenti, sono in grado di riprodurre gerarchicamente l’unità dell’insieme. Ma di tutta la teoria di Le Ricolais sull’automorfismo, ovvero sulla scomposizione di un elemento in sotto-elementi che ripetono la matrice formale, ciò che ancor di più oggi


PROGETTO / 4 colpisce, è che i materiali, i sistemi di costruzione, le configurazioni strutturali, lo spazio e il luogo sono un continuum logico. Vale a dire che dal punto di vista complessivo esiste fra tutti una continuità fisica e che pertanto struttura e spazio sono indivisibili. Ma i riferimenti storici non finiscono qua. Ovviamente non possono mancare i riferimenti al lavoro di Eiffel come le travi laterali composte da una maglia diagonale di strisce di lamiera di piccole dimensioni rivettate tra loro. Questo patrimonio, intellettuale e storico, ha ispirato il progetto del nuovo ponte pedonale e ha condotto i progettisti alla ricerca della massima leggerezza, ottenuta combinando l’ottimizzazione strutturale con i concetti estetici tipici dell’architettura contemporanea. Creando così un tubo a tutta altezza di filigrana reticolare, che fornisce non solo un supporto per la sicurezza, come richiesto dall'autorità ferroviarie, ma anche la massima inerzia strutturale. Il volume fornisce un’unica e completa soluzione strut-

REALIZZATO CON TRAVI A T E A H, INCROCIATE IN SENSO DIAGONALE, IL PONTE DI TSCHUMI È UN SEGNO IDENTITARIO PER UNA NUOVA REALTÀ URBANA

BERNARD TSCHUMI

Studia a Parigi e al Federal Institute of Technology di Zurigo. Nel 1982 vince il concorso per il Parc de la Villette di Parigi e apre lo studio Bernard Tschumi Architects a Parigi. In quello stesso anno diventa membro del Collège International de Phylosophie. È stato nominato nel 2004 Direttore Generale per l'Esposizione Internazionale a Dugny in Francia. Ha vinto diversi premi e riconoscimenti ed è impegnato in più parti del mondo.

turale che possiede l'inerzia necessaria per distanziare tra loro i punti di appoggio a disposizione. E svolge anche la funzione di supporto per gli schermi di protezione in policarbonato previsti per ovviare agli accidenti atmosferici, mentre l’illuminazione inserita con perizia nelle maglie metalliche segue il ritmo della struttura. Non è un caso che l’architetto Tschumi abbia più volte dichiarato, infatti, che non c'è architettura senza movimento e che un ponte pedonale non è solo un oggetto statico, bensì rappresenta un vettore dinamico sia nel suo utilizzo che nella percezione urbana. Al di là delle rigidità e della flessibilità, questo tipo di struttura ha altri vantaggi oggi estremamente significativi per un approccio progettuale al passo con i tempi: la leggerezza e l'economia ottenuta grazie all’uso di profili in acciaio molto più sottili di quelli che normalmente vengono adoperati in una costruzione tradizionale. Nei punti di appoggio, le tensioni presenti sono principal-


In alto: schizzi preparatori. Sopra: la parte superiore del tubo, rivestito con policarbonato sagomato per garantire la protezione dalle intemperie. Il semicerchio inferiore è invece internamente rivestito da una rete metallica a maglia piccola per proteggere i binari da possibili cadute di oggetti. Tutto il ponte consta di cinque moduli prefabbricati successivamente saldati in cantiere DESIGN + 69


PROGETTO / 4

In alto: visione fotografica di tutto il prospetto del ponte. Incorniciato tra gli ascensori il ponte attraversa tutta la sezione della strada ferrata. In basso: sezioni di diversi punti del ponte

SEZIONI TRASVERSALI

LA NUOVA STRUTTURA HA TUTTI GLI ELEMENTI PER DIVENTARE UN RIFERIMENTO NON SOLO GEOGRAFICO MA ANCHE ICONOGRAFICO

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mente di taglio e hanno prevalentemente direzione verticale. Solo a metà campata le sollecitazioni diventano di flessione e la direzione cambia tendendo verso la direzione orizzontale. La natura delle forze è evidenziata dall’uso di profili metallici con sezioni a T o a H adatti per la compressione e ad aste semplici per rispondere alla tensione. La transizione delle forze tra i supporti fino a metà delle campate è sottolineata anche dalla presenza di cerchi verticali che ricreano i collegamenti necessari per il trasferimento della forza di taglio. Il risultato architettonico quindi è espressione delle stesse forze

naturali. Quindi il processo di ottimizzazione strutturale che permette il risparmio di tonnellate di materiale in acciaio non solo è guidato da obiettivi concreti, estetici ed economici, ma anche da principi ecologici, pur restando il fatto che l’acciaio è comunque un materiale riciclabile. Questo tipo di progettazione ha contribuito notevolmente a migliorare le prestazioni del lavoro in termini di qualità architettonica ma anche in termini di impatti ambientali. Dalle prime analisi, in cui tutte le sezioni d'acciaio erano identiche tra loro, le quantità sono state notevolmente ridotte grazie alle successive analisi e in particolare grazie alla sostituzione dei tiranti con bacchette sottili. Tutto il ponte ha una lunghezza totale di circa 70 m, e per ragioni di trasporto e movimento materiale è stato progettato in 5 sezioni prefabbricate, saldate e dipinte in officina. Posizionate a 6 m dal suolo, le 5 sezioni si poggiano sue tre paia di zampe e sono collegate a terra da varie scale e ascensori chiusi all’interno di un prisma di vetro strutturale di color fumé, posti agli estremi del percorso e in un suo punto non esattamente mediano, ma corrispondente ad una banchina nell’area centrale della stazione. Il prolungamento, lungo la costa dell’oceano Atlantico, della linea ferroviaria ad alta velocità (TGV) fino a La Roche-sur-Yon ed oltre, segna dunque un momento importante per l’ammodernamento della rete ferroviaria europea e francese, ma per amministrazioni lungimiranti diviene anche un’occasione per avviare miglioramenti di spazi e attrezzature pubbliche.


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ANT E PR I MA

UNO “SPAZIO” MAXXI

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al 30 maggio ha aperto definitivamente al pubblico il MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo progettato a Roma da Zaha Hadid Architects, a coronamento di un impegno pluriennale del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero delle infrastrutture. Il MAXXI è il primo museo pubblico nazionale dedicato alla creatività contemporanea. Fortemente sostenuto dal Ministro dei beni culturali Sandro Bondi, è gestito dall’omonima Fondazione presieduta da Pio Baldi, con la direzione di Margherita Guccione (MAXXI Architettura) e Anna Mattirolo (MAXXI Arte). In occasione dell’apertura sono diverse le mostre in programma ma quella che più di tutte parla dell’anima del museo è “Spazio”: il primo allestimento tematico delle collezioni d’arte e di architettura del MAXXI, curato da un gruppo interdisciplinare composto da Pippo Ciorra, Alessandro D’Onofrio, Bartolomeo Pietromarchi e Gabi Scardi. Catalogo a cura di Stefano Chiodi e Domitilla Dardi. L’idea di “Spazio” prende avvio dagli stimoli suggeriti dalle forme fluide create da Zaha Hadid e interpreta appieno il carattere di interdisciplinarità del MAXXI. In un unico percorso che si snoda all’interno e all’esterno del museo, saranno esposte circa 90 opere della collezione Arte (tra cui Alighiero Boetti,

Anish Kapoor, William Kentridge, Sol Lewitt, Giuseppe Penone) che dialogheranno con le installazioni site specific di dieci studi di architettura internazionali (tra cui Diller, Scofidio e Renfro, Lacaton & Vassal Architetcs, West 8). Un’opera di Studio Azzurro, Geografie italiane, occuperà una parete di 40 metri: un racconto interattivo sull’architettura italiana degli ultimi 60 anni, composto di spezzoni cinematografici, interviste, fotografie, disegni, liberamente rielaborati e assemblati in modo spettacolare. Questa opera e le installazioni arricchiranno la collezione del MAXXI Architettura. Una sezione ad hoc sarà dedicata al progetto NETinSPACE, a cura di Elena Giulia Rossi: un viaggio che esplora le contaminazioni tra il mondo virtuale e quello fisico attraverso le opere di Miltos Manetas, BiancoValente, Stephen Vitiello e altri. “Spazio” includerà anche un omaggio a Fabio Mauri e le due opere realizzate da Maurizio Mochetti e Massimo Grimaldi per il concorso MAXXI 2per100.

Roma SPAZIO. Dalle collezioni d’arte e d’architettura del MAXXI MAXXI (fino al 23 gennaio 2011)

DESIGN + 75


A MOSTRE

Alessandro Mendini, uno dei personaggi veramente grandi del design, è curatore e allestitore per la Neue Sammlung – the International Design Museum Munich, di una retrospettiva sugli ultimi 30 anni di design italiano. Punto focale della sua esposizione è un protagonista sulla scena del design: l’azienda Alessi che da piccolo laboratorio per la lavorazione del metallo si è trasformata fino a divenire l’odierna fabbrica di idee operante a livello mondiale. Non solo con i suoi prodotti, ma soprattutto con le sue idee, che hanno plasmato uno stile preciso, con le sue iniziative e i suoi metaprogetti la Alessi ha scritto la storia europea del design ed ha ispirato spunti di riflessione sul futuro del design. Con Alberto Alessi, entrato nell’impresa di famiglia nel 1970, Mendini collabora dalla fine degli Anni ’70 – “un rapporto che ricorda quello di Peter Behrens con la AEG“ (Alberto Alessi) – lavorando per la Alessi come architetto, graphic e product designer, consulente e… 76 DESIGN +

storiografo. Mendini inserisce nel suo concetto espositivo una riflessione critica sulla tradizione del design Alessi, che spazia dal famoso servizio da tè e caffè “Bombé” creato nell’immediato dopoguerra passando per il “Bel Design” degli Anni ’50 e ’60 e per il Post-Modernismo fino al design pluralista dei giorni nostri, presentando al contempo nella sua vera luce l’evoluzione del design in Italia. La concezione di Mendini va oltre i primi progetti dell’azienda Alessi e si rivolge anche al presente con i mutamenti imponenti che lo contraddistinguono: «Riteniamo infatti che il complesso di fattori che caratterizzano la Alessi possano essere ora decifrati nel contesto delle numerose istanze di cambiamento che oggi incalzano pesantemente l’industria del design in diverse parti del mondo». In tal modo Mendini individua sia le strategie comuni del design, sia le problematiche peculiari del design contemporaneo, ma anche aspetti del dinamismo culturale fra Est e Ovest ed i

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Alessi e la storia del design

mutamenti dell’estetica in un mondo globalizzato caratterizzato da cambiamenti sempre più rapidi. Questi concetti sono stati incorporati nel nuovo metaprogetto “Alessi del futuro “: secondo Alberto Alessi, una specie di scenario socioculturale ipotetico in grado di generare in ultima analisi progetti veramente innovativi. Insieme alla azienda Alessi, Mendini ha sviluppato i presupposti o le ipotesi per il design del futuro. Da qui sono scaturiti dieci progetti forieri di prospettive, ripetutamente rielaborati in collaborazione con nuovi creatori di design. Paragonati ai classici del design di oggi questi oggetti evidenziano le mutate premesse per gli sviluppi futuri che vengono interpretati come sfide sia per l’azienda italiana che per il design mondiale. MONACO DI BAVIERA

Oggetti e progetti. Alessi Pinakothek der Moderne (fino al 19 /09/ 2010)


Mostre, convegni, incontri e pubblicazioni per rendere omaggio a quello che è stato uno dei più illustri architetti della storia e figura centrale della cosiddetta architettura organica. Per il 2010 il Comune di Fiesole insieme al Comune e la Provincia di Firenze, la Fondazione Michelucci, la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, l’Ordine degli Architetti di Firenze e altre istituzioni del territorio, in collaborazione con la Frank Lloyd Wright Foundation, organizza una serie di eventi incentrati sulla figura del maestro statunitense. Un calendario ricco di iniziative che indagano sul suo soggiorno fiesolano e sulla sua influenza nell’opera di alcuni fra gli architetti della cosiddetta “scuola fiorentina”, come Leonardo Ricci, Franco Bonaiuti e Giovanni Michelucci. La prima mostra in calendario verrà inaugurata giovedì 17 giugno e resterà aperta fino a fine agosto. L’esposizione si propone di

esaminare alcune opere progettate dopo il 1910, di far conoscere disegni e documenti, alcuni per la prima volta esposti in Italia, e di analizzare l’influenza che il soggiorno fiesolano ha prodotto sulle architetture di Wright. La mostra raccoglierà, fra gli altri, i disegni che Wright realizzò durante il suo soggiorno fiesolano, ospite del villino Belvedere in via Verdi, per un’abitazione, sempre in Fiesole, però mai costruita. I progetti esposti, attualmente conservati alla Frank Lloyd Wright Foundation di Scottsdale (Arizona) e alla University of Utah Library, vengono eccezionalmente mostrati a Fiesole insieme ad alcuni disegni della villa di Taliesin, residenza definitiva dell’architetto statunitense e attualmente sede della Frank Lloyd Wright Foundation. Infatti, proprio prendendo spunto dalla configurazione planimetrica del villino Belvedere, Wright progettò e realizzò la residenza di Taliesin. L’edificio

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Emozioni multimediali

sorge, appunto, in posizione collinare dominante, dove l’architettura si adatta alla conformazione del terreno e viceversa. L’evento, che verrà ospitato nei locali del Museo Archeologico di Fiesole è stato curato in particolare dal Rotary Club Fiesole e dall’Inner Wheel Firenze Medicea in collaborazione con la Frank Lloyd Wright Foundation di Scottsdale, Arizona. Nella seconda metà dell’anno è in programma un'altra mostra dedicata all’architetto, che vede la collaborazione dell’associazione Fiesole Futura. Incontri, conferenze e visite guidate alla mostra e ai luoghi dove Frank Lloyd Wright fu ospite si articolano per tutto il corso del 2010. FIESOLE

Frank Lloyd Wright a Fiesole 100 anni dopo Museo Archeologico (fino al 30 agosto 2010)

DESIGN + 77


A MOSTRE

L’oltre della Gelmi

RIVARA (TO)

In architettura. Annamaria Gelmi Castello di Rivara (fino all’8 settembre 2010)

Vetro prezioso

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La vita del Battista

Un evento unico nel suo genere (mai prima d’ora, nonostante la popolarità di questo santo e la quantità di opere d’arte a lui dedicate, era stata allestita una vasta rassegna iconografica sul tema del Battista) che vede raccolti tutti insieme una sessantina di preziosi dipinti del Seicento, di pittori per lo più italiani o stranieri operanti in Italia, provenienti dalla collezione Koelliker. Capolavori che vanno da Ribera a Lanfranco, da Caroselli a Pietro da Cortona, da Desubleo a Cantarini, da Cairo a Pagani, più altri pittori fiamminghi e caravaggeschi, per una ricca antologia iconografica sulla figura del santo che ricopre un periodo che va dal XVI al XVIII secolo, e che rende conto delle tante varianti tematiche, delle alte qualità e delle più suggestive interpretazioni artistiche. La scelta di Cesena non è casuale dal momento che San Giovanni Battista è il patrono della città dal 1682. La mostra si divide in due distinte sezioni. Nella Galleria Comunale d’Arte sono esposti i dipinti (una trentina di opere) che raccontano tutta la vita di San Giovanni attraverso i suoi episodi cruciali, dalla gestazione nel grembo di Elisabetta e l’infanzia domestica, fino al precoce eremitaggio e le prediche alle turbe, arrivando al momento cruciale del battesimo di Cristo. Alla Biblioteca Malatestiana è invece allestita una singolare wunderkammer che incastona 32 tele che raffigurano la testa mozzata del Battista posta sul piatto, poggiate su di un piano come fossero nature morte, che insieme formano una lamentazione di straordinaria eloquenza.

Omaggio a Enrico IV

Museo delle Cappelle Medicee (dal 15 luglio al

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Capolavori rinascimentali dai musei veneziani, un carico di perle e vetri cinquecenteschi recuperati nei fondali marini croati, affascinanti collane di perle vitree destinate al mercato africano, ed ancora il flauto in vetro di Napoleone che fu recuperato dagli inglesi dopo la battaglia di Waterloo, sono solo alcuni dei settecento magnifici oggetti che si potranno ammirare in esposizione. Con questa mostra il Castello del Buonconsiglio sigla un importante “gemellaggio” con Venezia e il museo del Vetro di Murano.

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Ancora una volta questa artista di inesauribile vena creativa è capace di mettersi in gioco in un nuovo progetto espositivo, dimostrando che è sempre possibile per chi fa questo mestiere con solida professionalità evolvere, cambiare, innovare se stessi. La capacità di reinventarsi dell’artista non prescinde tuttavia da un solido legame con la propria storia personale, come il titolo stesso della mostra suggerisce. L’architettura è infatti la disciplina che più di ogni altra ha ispirato Annamaria Gelmi nel suo brillante percorso. Il suo lavoro, pur rigidamente geometrico, astratto- concettuale, è allo stesso tempo fragile nella poetica, allusivo, capace di svelare un “oltre” denso di significato e sfumature, profondamente femminile.

A quattrocento anni dall’assassinio di Enrico IV, avvenuto a Parigi il 14 maggio 1610, la Soprintendenza di Firenze con il Museo delle Cappelle Medicee, unitamente al Musée National du Château de Pau, intende celebrare con una grande mostra, il Re di Francia e di Navarra. Il fulcro della mostra è costituito dalle 19 tele a monocromo che Cosimo II de’ Medici commissionò a pittori accademici fiorentini per celebrare, con grande pompa, le esequie di Enrico IV il 16 settembre 1610 nella Basilica di San Lorenzo. In mostra saranno presenti anche libri, incisioni e disegni, l’albero genealogico dei Medici, medaglie dei principali personaggi legati all’episodio, documenti del matrimonio e un bozzetto di Rubens.

TRENTO E VIGO DI TON - L’avventura del

vetro. Dal Rinascimento al 900 - Castello del

CESENA - La Croce, la testa e il piatto.

Storie di San Giovanni Battista - Gall. Com.

FIRENZE - “Parigi val bene una messa”.

Buoncosiglio e Castel Thun (fino al 7/11/’10)

d’Arte e Bibl. Malatestiana (fino al 24/10/’10)

2 novembre 2010)

78 DESIGN +


INSTALLAZIONE, FORNITURA E MANUTENZIONE

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A AGENDA AOSTA Rinascimento Privato. Aspetti del collezionismo degli Este Museo Archeologico Regionale (fino all’1/11/2010)

Arredi e Oggetti “Vintage” da Italia - Europa - Nord America

Il titolo di questa mostra si rifà a quello del celebre romanzo storico con cui Maria Bellonci vinse lo Strega nel 1986. Non a caso: questa esposizione, curata da Mario Scalini, fa rivivere l’atmosfera culturale che permeò la Corte e la Dinastia dei Principi d’Este tra Ferrara e Modena, alla stregua di quanto Isabella d’Este, che del volume della Bellonci è la protagonista, racconta di sé e della Corte dei Gonzaga. Per la mostra giungerà ad Aosta una sequenza di capolavori dall’Antichità romana fino al pieno Rinascimento, a illustrare per la prima volta al pubblico la ricchezza e la varietà di una delle più antiche raccolte principesche europee, quella di Casa d’Este, appunto.

ROMA L’Età della conquista. Il fascino dell’arte greca a Roma Musei Capitolini, Sala Pietro da Cortona (fino al 5 settembre 2010)

Per trovare qualcosa di più che semplici soluzioni alle esigenze tecniche

Primo appuntamento del programma quinquennale “I Giorni di Roma”, saranno esposte opere di un periodo tra i più innovativi ed originali per l’intero sviluppo dell’arte occidentale: quello successivo alle campagne di conquista in Grecia, dalla fine del III secolo alla seconda metà del I a.C, uno dei momenti fondamentali per la futura identità culturale e artistica romana, non solo dell’età repubblicana. Attraverso la visione di imponenti statue in marmo, raffinate opere in bronzo e terracotta, interi cicli scultorei, fregi ed elementi di arredo domestico in bronzo e argento, del più alto valore stilistico, verrà narrata un’epoca di profondi cambiamenti nei canoni stilistici e nel gusto estetico della Roma antica. Un periodo in cui l’influenza ellenica diventa preponderante fino a coinvolgere completamente il mondo culturale romano. VENEZIA Mapping the Studio: Artists from the François Pinault Collection Punta della Dogana e Palazzo Grassi (fino al 31 dicembre 2010)

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L’esposizione testimonia la volontà della François Pinault Foundation di sviluppare un programma artistico di altissimo livello, confermando il suo costante impegno di promuovere la cultura contemporanea a Venezia. Riprendendo il titolo di un’importante videoinstallazione di Bruce Nauman, in cui l’artista registra la microattività notturna presente nel suo studio e offre una visione inedita dello spazio simbolico in cui si sviluppa il processo creativo, i curatori vogliono sottolineare la profonda analogia tra la dimensione intima dello studio degli artisti e l’appassionata visione personale del collezionista. Questo parallelismo diventa punto di partenza per un dialogo tra le opere di artisti affermati e la produzione delle generazioni più giovani.


AGENDA

A

PERUGIA Steve McCurry: Sud – Est Galleria Nazionale dell’Umbria (fino al 5 settembre 2010)

Ideata e curata da Tanja Solci, la mostra propone un’eccezionale raccolta di 240 scatti di Steve McCurry che accompagnano il visitatore in un racconto che si snoda in un percorso dove volti, colori, paesaggi e luci, pervasi da una magica atmosfera, segnano l’identità di paesi come l’Afghanistan, l’India, il Tibet, la Birmania, colti dall’obiettivo di uno dei maestri del fotogiornalismo, premiato diverse volte con il World Press Photo Awards, il premio Nobel della fotografia. La mostra è la narrazione del viaggio silenzioso che Steve McCurry ha più volte intrapreso nel Sud e nell’Est del mondo dove si è trasformato in osservatore per renderci testimoni di luoghi che sembrano non incrociare il nostro sguardo. UDINE Giambattista Tiepolo tra scherzo e capriccio. Castello di Udine e Galleria d’Arte Antica (fino al 31 ottobre 2010)

A 40 anni dall’ultima loro storica esposizione, i Capricci e gli Scherzi di Giambattista Tiepolo tornano al Castello di Udine. Il corpus completo della magnifica produzione grafica dell’artista veneziano sarà esposto nella Galleria d’Arte Antica del Castello udinese insieme ad una attentissima selezione di suoi disegni, opere direttamente collegate ai temi delle incisioni. Il tutto affiancato dagli oli del Tiepolo e dei tiepoleschi patrimonio delle Gallerie d’Arte udinesi e dai cicli di affreschi che i Tiepolo, Giambattista e Giandomenico, hanno lasciato in città e che valgono ad Udine l’appellativo di “Città di Tiepolo”.

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FIRENZE Virtù d’amore. Pittura nuziale del 400 fiorentino Galleria dell’Accademia e Museo Horne (fino all’1 novembre 2010)

La mostra rievoca, attraverso l’esposizione di oltre 40 pregevoli tavole del Quattrocento provenienti da prestigiosi musei esteri ed italiani, la vita coniugale nel Rinascimento, i ruoli nella coppia e in particolare il ruolo femminile in ambito domestico, gli atteggiamenti e la condotta esemplare che si raccomandavano come indispensabili virtù d’amore. Queste tavole dipinte erano nate come parti di sontuosi arredi delle case fiorentine del 400 e in esse si celebrano il matrimonio e la stirpe, le virtù civiche e coniugali; erano destinate ad arredare soprattutto la camera degli sposi.

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A AGENDA MILANO 50° Gruppo T. Miriorama 16 Fondazione Mudima (dal 21 settembre al 21 ottobre 2010)

A cinquant’anni dalla sua nascita la Fondazione Mudima di Milano ospita la mostra che celebra il Gruppo T, fondato a Milano nel 1960 da Giovanni Anceschi, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi e Davide Boriani, cui si aggiunse, l’anno successivo, e fino al 1964, Grazia Varisco. L’esposizione ripercorrerà le tappe storiche del gruppo, attraverso una quarantina tra opere e ambienti immersivi ed interattivi, tra le più importanti realizzate dai cinque artisti, come gli ambienti “Scultura da prendere a calci” di Gabriele Devecchi, “Strutturazione Pulsante” di Gianni Colombo, “Superficie magnetica” di Davide Boriani e “Tavola di possibilità liquide” di Giovanni Anceschi.

VIAREGGIO

Da Fattori a Casorati. Capolavori della collezione Ometti Centro Matteucci per l’Arte moderna (fino al 12/09/2010)

Una mostra-manifesto dell’attività della nuova associazione culturale fondata e voluta da Giuliano Matteucci, conoscitore della pittura italiana dell’Ottocento. Tra i principali obiettivi del Centro: indagare, documentare e presentare l’arte moderna, in particolare il momento tra Otto e Novecento, valorizzando il collezionismo d’epoca. Banco di prova, davvero complesso, è il tentativo di ricomporre un’importante collezione, quella del noto scrittore e critico Ugo Ojetti, per trent’anni responsabile delle pagine culturali del Corriere. Un’impresa ai limiti dell’impossibile in ragione dell’impegno necessario per ricostruire uno spaccato il più possibile rappresentativo di quanto egli aveva riunito nella magnifica villa Il Salviatino sui colli di Settignano. ARONA (NO) Marilyn Monroe. L’Arte della Bellezza Villa Ponti (fino al 28 novembre 2010)

L’esposizione, curata da Carlo Occhipinti con la collaborazione di Massimo Ferrarotti, intende evidenziare l’attualità e l’umanità del leggendario mito Hollywoodiano attraverso i dipinti, le sculture e le fotografie di grandi artisti internazionali. Oltre alla serie delle dieci “Marilyn” di Andy Warhol del 1962, diventata l’icona della corrente artistica rivoluzionaria della “Pop art”, letteralmente “esplosa” durante la seconda metà del secolo scorso, la mostra propone un’ampia sezione dedicata all’artista Mimmo Rotella, ai suoi décollages realizzati a partire dagli anni Sessanta e ispirati alla Monroe e la raccolta: “Marilyn. Bellezza Eterna”, dieci opere dello stesso Rotella incorniciate dalla lirica inconfondibile di Alda Merini, che a lei dedicò alcune poesie.


AGENDA

A

PIEVE DI CENTO (BO)

Wi-fire Tutto il pensabile è possibile

Philip Taaffe. Disvelamenti/ Unveilings Magi 900 (fino al 30 settembre 2010)

La personale a Pieve di Cento consente di ripercorrere le tappe più importanti del lavoro di Taaffe. Con circa quaranta dipinti di medie e grandi dimensioni che abbracciano un arco temporale compreso fra la seconda metà degli anni ’80 e il 2009 si attraversa la vita del pittore nelle sue diverse stagioni artistiche. Diviso tra una ferma volontà di astrazione e una piena ricchezza della forma Taaffe si allontana da un linearismo formale avvicinandosi via via ad atmosfere più articolate e varie. Nella mostra si legge un reale desiderio di indagare i motivi che sono nella natura come nella tradizione artistica, forse un tentativo di trovare ordine nelle forme che sono anche manifestazioni di vita reale e dunque natura e cultura assieme, microcosmi che non escludono analogie e armonie con un ordine del macrocosmo. MILANO I due imperi Palazzo Reale (fino al 5 settembre 2010)

Un’esposizione congiunta di oltre 450 capolavori italiani e cinesi, in cui saranno ricostruite le tappe e i momenti salienti del sorgere e dello sviluppo dei due imperi e verranno messi in luce aspetti della vita quotidiana, della società e della comunicazione sociale, del culto e dell’economia. Saranno messe a confronto, “in parallelo”, le testimonianze dei traguardi raggiunti nei vari settori dell’arte, della scienza e della tecnica. Oltre agli ormai famosi guerrieri di terracotta, si potranno ammirare straordinarie statuette di ceramica che raccontano i costumi, la moda, le arti cavalleresche e militari della cultura cinese, affiancati a maestosi gruppi statuari in marmo, affreschi, mosaici, utensili in argento, altari funebri appartenenti alla tradizione artistica dell’impero romano. ORVIETO Omaggio a Lorenzo Maitani MODO, Palazzi Papali (fino al 13 novembre 2010)

700 anni fa, Lorenzo Maitani, architetto senese già di gran fama, giungeva ad Orvieto con l’incarico di dare forma definitiva ad una Cattedrale che, con la sua bellezza ed imponenza, testimoniasse la forza politica ed economica raggiunta dal Comune e la grandezza di un evento miracoloso: quello avvenuto nel 1263 a Bolsena e da allora celebrato universalmente con la festa del Corpus Domini. Per celebrare il settimo centenario della rinascita del celebre edificio, l’Opera del Duomo ha voluto rendere omaggio al genio di Maitani, dedicandogli una mostradossier. La mostra si concentra su alcuni pezzi di straordinario pregio. Vengono presentati, in originale, i disegni della facciata della Cattedrale orvietana.

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Architetto e designer, Matteo Thun dopo l’incontro con Ettore Sottsass diventa co-fondatore del gruppo “Memphis” a Milano e partner di Sottsass Associati dal 1980 al 1984. È professore della cattedra di design all’Università di Arti Applicate a Vienna dal 1983 al 2000. Nel 1984 apre il proprio studio a Milano e diventa Art Director per Swatch, dal 1990 al 1993


DIETRO AL PROGETTO

In questa pagina: lampada Arba. Appartiene a una famiglia di lampade che soddisfano tutti gli attuali requisiti di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico. L’acero riesce a trasformare la luce fredda delle lampade fluorescenti a basso consumo in un caldo e confortevole effetto luminoso

THUN Matteo

Ha fondato insieme a Ettore Sottsass il gruppo Memphis. Oggi si impegna a raggiungere il “No Design” e a cercare l’archetipo, la vera essenza delle cose. L’architetto Matteo Thun ritiene che l’architettura abbia una nuova possibilità: agire come “life cycle engineering” di Mercedes Caleffi DESIGN + 87


H

a uno studio composto da un team di 50 professionisti: architetti, designer e grafici. Matteo Thun, architetto altoatesino dalla particolare versatilità progettuale, ha creato uno studio dinamico in continuo dialogo interdisciplinare tra design, architettura, interior design, comunicazione ed ecologia. Ha lavorato con Ettore Sottsass e con esso ha fondato il gruppo Memphis, ma dopo diverse esperienze al limite e cariche di colori e di forme geometriche nate da continue ricerche formali ed estetiche è giunto a una progettazione attenta all’essenza stessa dei materiali e all’ecosostenibilità delle strutture edificate. La poetica dominante nel suo progettare oggi fa largo uso del concetto di sottrazione e di semplificazione. Si è avvicinata con il tempo all’essenza dell’oggetto

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fino a giungere a ciò che il progettista definisce Zero Design. Un’essenziale ricercata visione che coinvolge tutti i suoi progetti, proprio perché come lo stesso Matteo Thun afferma: «l’edificio ha bisogno degli interni, gli interni hanno bisogno degli oggetti e gli oggetti hanno bisogno del designer». Domanda. Lei ha collaborato per lungo tempo con Ettore Sottsass e con lui ha fondato Memphis. Oggi però è giunto al “No Design” cioè alla ricerca dell’archetipo, del non disegnato. Cosa ha guidato questo percorso che va dal simbolismo emotivo al minimalismo? Risposta. Per lavorare con Sottsass bisognava capire al volo l’essenza dell’oggetto da disegnare. Oggetti che hanno tuttora una grande qualità: non essere disegnati. È il motivo per cui a distanza di 20 anni, nel 2000, è venuto fuori il nostro pensiero del “No Design”. Che non significa rifiutare il design. Vuol dire semplicemente trovarne l’archetipo! D. Come definirebbe oggi il suo design? R. Il mio motto parte da un lavoro di sottrazione e semplificazione, dove il semplice non è impoverimento semantico, ma raffinatezza. Non è una scarnificazione della personalità del

In alto a sinistra e a destra: immagini delle Terme di Merano, un luogo dove corpo, mente ed anima vengono stimolati e portati all'armonia. Sono state pensate come una continuazione della natura. Sono un complemento dei giardini di Trauttmansdorf. In basso a sinistra: collezione "Supersassi" prodotta appositamente da Rossi di Albizzate per l'albergo SIDE di Amburgo e per i negozi Missoni. Sono divani, puff e tavolini rivestiti da un tessuto di lana elasticizzata. A destra: le poltrone Virgilius


prodotto. Traduco l’anima del marchio e le esigenze relative in modo creativo, sempre alla ricerca della vera essenza di una cosa. Bisogna mettere insieme l’etica con l’estetica. D. Negli anni quanto è cambiato il suo lavoro con l’introduzione di software sempre più specifici per la progettazione? R. Il software dà solo più velocità. Non potrà mai sostituire i vecchi metodi: avere un’idea in mente da far nascere con degli schizzi e da lì far partire la realizzazione. Anche se oggi ovviamente tutto avviene anche grazie a vari strumenti digitali. D. Perché il suo studio, che fino a qualche tempo fa era impegnato nella progettazione di nuove strutture per gli Emirati Arabi, ha preso la decisione di abbandonare questo campo? R. Noi fino a un anno fa impegnavamo l’ottanta per cento della forza progetto negli Emirati Arabi. Poi la decisione di lasciare perdere tutto perché, soprattutto a Dubai, l’uomo ha prodotto pura follia. D. Matteo Thun è anche noto per le sue architetture sostenibili. Com’è nato questo interesse? R. Come progettista ho sentito da sempre la necessità di lavorare con un atteggiamento rispetDESIGN + 89


DIETRO AL PROGETTO

In alto: ONE, “Il bagno che non c’è”. Un bagno dalle forme innovative e ridotte a poche linee. In basso: il quartiere Tortona. Uno degli sviluppi più recenti a Milano in un’area ex-industriale. Il complesso unisce la creatività con la sostenibilità. I cinque edifici risanati utilizzano tecnologie energetiche innovative. L'esterno offre un isolamento completo e protegge l'edificio dalle temperature estreme

toso della natura del luogo, inteso come complesso di relazioni fra natura, aspetti socioculturali e simbolici. Lo scatto evolutivo che ci viene chiesto oggi è quello di tornare ad agire in modo consapevole nei confronti del consumo di energie. Credo che gli architetti abbiano la possibilità di giocare un ruolo fondamentale nella società civile: agire come “life cycle engineering”. D. Esiste un design sostenibile? R. Se il design sostenibile esiste già non lo so dire. Il mio atteggiamento rispetto al mondo del

consumo è molto radicale. Credo sia inutile disegnare la millesima sedia. Si produce l’80% di oggetti inutili in quanto esistono già mille, duemila oggetti uguali, fantastici. Piuttosto i miei principi di un buon “design sostenibile” devono essere rispettosi nei confronti della natura e dell’ambiente. La semplicità del layout, la serenità dell’idea, la sensorialità del materiale e la durabilità tecnica, sono questi, per me, i principi fondamentali. D. Da più di 10 anni il suo studio è impegnato anche nel settore del turismo. Riuscite a garantire la progettazione chiavi in mano di un hotel. E con Casa Clima ha lavorato per proporre una nuova certificazione: Clima+Hotel. Cosa cambia nella progettazione? R. Anche gli architetti devono cambiare la strategia e l’approccio a un progetto: non possiamo più progettare edifici o interni che al momento magari sono “le dernier cri” e che poi dopo qualche anno devono essere già sostituiti. Un egoismo che non possiamo più permetterci. Oggi più che mai dobbiamo pensare alle generazioni future. D. Tra le sue architetture si annoverano oramai numerosi esempi di prefabbricazione. Quali ragioni sottintendono questa scelta? R. Da un anno a questa parte siamo, nel campo


In alto: Social Houses Motta di Livenza (Treviso, Italia) - A.T.E.R., un Ente pubblico economico costituito con la legge regionale del Veneto. Questo progetto prende forma e concretizza le esigenze dell’amministrazione pubblica di trovare soluzioni innovative nel panorama delle costruzioni di tipo sovvenzionato (casa popolare). Si tratta di un edificio che reinterpreta in chiave contemporanea la tipologia a blocco caratteristica delle case di ringhiera di estrazione popolare

dell’edilizia, in una situazione di emergenza. Ma non parlerei di crisi. Siamo piuttosto in un momento fantastico e magico di trasformazione. Sta cambiando il sistema del costruire case e bisogna ridurre della metà costi e tempi di costruzione. Lo scorso anno abbiamo presentato un brevetto per implementare la trasportabilità di moduli architettonici dalla fabbrica al punto in cui la gru li impila e li assembla. Questo ha portato, per esempio nel caso di alcune abitazioni per studenti che stiamo realizzando, all’abbattimento dei costi del 2030%. Grazie alla prefabbricazione anziché impiegare due anni per la realizzazione, servono solo due mesi e mezzo. D. Lei ha più volte dichiarato che è il legno il materiale del futuro. E nelle sue progettazioni ne fa largo uso. Ma non è poco ecosostenibile proporre in Italia questo materiale visto e considerato che una grossa percentuale del territorio è privo di boschi? Non vuol dire incentivare l’importazione di legname estero e favorire il disboscamento mondiale? R. Intendo con la sostenibilità anche il fatto che più avanti nel tempo si vedranno i vantaggi

dell’uso del legno. L'ambiente costruito genera circa il 35% del consumo mondiale di energia, produce la metà delle emissioni di gas serra e consuma il 50% delle nostre risorse. Il legno è l'unico materiale da costruzione rinnovabile e poi c’è un surplus di legno del 30%. D. La sua esperienza lavorativa è piuttosto varia. Le scale di lavoro sono diverse tra loro. Come cambia ogni volta la sua forma mentis? R. Considerati i miei principi di “etica + estetica”, non ho bisogno di cambiare la mia forma mentis. Sono principi che applico anche nella mia vita privata. D. Il design nato per esigenze di moltiplicazione è ormai estinto. Sempre più architettura, arte e design tendono a coincidere. Cosa comporterà questo radicale cambiamento? R. Secondo me è sempre stato così. Dagli anni Ottanta cerco di percorrere un’altra via. Una via capace di coniugare la piena contemporaneità a un attento ascolto del contesto. Una via che permette di evitare l’urlo egocentrico della modernità a tutti i costi. Questa via si chiama Ecotecture: Ecology, Economy, Architecture che coinvolgono anche l’arte e il design. DESIGN + 91


DIETRO AL PROGETTO

La Power Station Schilling fa del ciclo del legno un vero e proprio circolo virtuoso. Gli scarti di produzione della segheria diventano biomassa combustibile per la centrale energetica. Costruita a Schwendi in Germania è un felice dialogo tra natura e tecnica. In architettura questo si traduce in una forma estetica ecologica: un cubo in vetri e acciaio con un rivestimento cilindrico in doghe intrecciate di larice. Una cupola semisferica di zinco completa il tutto. La centrale per l’energia pulita a kilometro zero, è costituita da quattro parti: l’impianto di alimentazione, l’impianto di combustione, il circuito oleotermico e l’impianto ORC simile a una turbina a vapore. Quello stesso legno che la stazione trasforma in energia diventa la texture decorativa del fabbricato e il legame con le tipologie rurali circostanti

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Le nuove industrie di Hugo Boss a Coldrerio in Svizzera. Un volume trasparente fatto di vetro, acciaio e calcestruzzo ricoperto da un intreccio di acero. Tutti gli elementi sono prefabbricati. Questo ha permesso un maggiore controllo dei costi di costruzione e dei tempi di realizzazione. Fra la parete divisoria di legno e quella di vetro vi è una galleria che raddoppia la circolazione ed estende lo spazio esterno. Nell’entrata si sente il suono dell’acqua che scende sulle pareti di vetro portando un’eco di natura all'interno della costruzione DESIGN + 93



IMPRESA EDILE di Giuseppe Russo

Via Piana, 4/B - 40129 Bologna Tel. 051.6335145 Fax 051.6370544 Cell. 339.3524522



LUOGHI.CREATIVI

PROGETTARE

IN UN MOTEL

La scelta di un vecchio motel come luogo di lavoro rispecchia in pieno la metodologia di progettazione dell’Atelier Oï, collettivo di architetti e designer svizzero. La loro esigenza? Comunicare con molta rapidità e favorire gli scambi e le contaminazioni creative di Silvia Di Persio

P

rima la scelta di fissare la propria sede in un piccolo centro abitato al confine tra la Svizzera tedesca e quella francese al di fuori dei circuiti delle grandi capitali del design e della progettazione architettonica. Poi, dopo diciotto anni di attività e di collaborazione con grandi marchi come Ikea, Wogg, Swatch, B&B Italia, Foscarini, Louis Vuitton o Bulgari, la decisione di trasferire l’intera macchina di progettazione e di produzione in un vecchio motel degli anni Sessanta. Ogni passo dell’Atelier Oï, collettivo di architetti e designer svizzeri oggi quarantenni, racconta di una realtà imprenditoriale e creativa che si muove da uno stesso centro verso tutto quanto è commistione, scambio, incontro di diversità. Dalla scelta della cittadina di provincia come base di isolamento creativo e come stimolo al movimento verso un mercato situato altrove, a quella del motel come incarnazione del gusto per l'incontro e per il viaggio di scoperta nella concezione di un unico spazio di lavoro multifunzionale. È così che la grande struttura dallo stile retrò, ben visibile con la sua classica insegna al neon dall’importante arteria stradale che la costeggia appena fuori Neuveville, richiama ognuno di questi motivi, proponendo allo stesso tempo un metodo di lavoro analogo: ap-

plicare il principio dell’interdisciplinarità del progetto e della sperimentazione in opposizione a un sistema monoculturale, racchiudere in un’unica sede tutti i passaggi della catena di lavoro, dall’idea alla realizzazione del progetto, affinché ogni anello, ogni singola diversità, sia parte di un unico processo e possa, individualmente, funzionare da stimolo creativo. Una filosofia questa che appartiene al gruppo ancora prima del suo costituirsi, con il primo incontro tra i designer Aurel Aebi e Patrick Reymond negli anni della scuola di architettura e design frequentata a Losanna. «La scuola, fondata dall’architetto Alberto Sartoris sulla base dell’interdisciplinarità tra architettura, arte, design, urbanistica è stata fondamentale per noi, per lo sviluppo del nostro metodo», racconta Patrick Reymond. Dopo la scuola l’incontro decisivo a Neuveville con l’altro componente del gruppo storico, l’architetto navale Armand Louis. «Armand lavorava già da tempo come architetto navale e questo gli permetteva di entrare in contatto diretto con i materiali. Ciò che lo accomunava a noi era l’interesse primario per i materiali e per la varietà delle discipline». L'Atelier Oï, dove l’Oï è quello di Troïka, dal nome di una danza russa “a tre” che i tre designer scelgono come rivendicazione del percorso

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LUOGHI.CREATIVI

di gruppo, nasce nel 1991 dopo diversi progetti e concorsi vinti insieme. Nel 2009, a diciotto anni dalla nascita dell’Atelier, la scelta del motel come nuovo quartier generale diviene un'opportunità per rispondere al bisogno di spazi più ampi per le diverse esigenze professionali del collettivo che intanto negli anni è cresciuto raggiungendo gli oltre trenta collaboratori tra architetti, designer, ingegneri, grafici e scenografi, ma anche un’occasione per ribadire le premesse delle origini in termini di filosofia e di metodo di lavoro. «Il concetto era di mettere insieme tutte le fasi del progetto, dall’idea all’oggetto finito», precisa Patrick Reymond. «Nella sede precedente il parco macchine dell’Atelier era dislocato in un luogo diverso, per questa ragione con la nuova sede cercavamo uno spazio che fosse più grande ma che allo stesso tempo potesse tradurre la filosofia e la metodologia dello studio: concentrare tutte le fasi del progetto in un unico luogo. Cercavamo uno spazio che ci permettesse di integrare il lavoro di ricerca con quello manuale, uno spazio per esporre senza però dover lasciare Neuveville». Con i suoi 900 mq distribuiti su tre livelli, il motel, inaugurato

il 25 settembre 2009 e subito personalizzato in Moïtel, raggruppa oggi tutte le attività dell’atelier con la cosiddetta materiateca, una vera e propria biblioteca dei materiali, e l’atelier dei prototipi allestiti nel piano interrato, la caffetteria, la reception e la terrazza panoramica al piano terra, insieme a uno spazio a doppia altezza per la presentazione dei progetti, alcuni degli uffici, sale riunioni e una stanza da letto presenti anche al piano superiore. «A noi - continua - il concetto di “motel” in sé sembrava perfetto perché rispecchiava in pieno il senso del nostro metodo di lavoro. Un motel è un luogo di scambio di culture, di passaggi di persone diverse, era questo il senso che ci aspettavamo per la nostra sede. Non a caso abbiamo mantenuto e organizzato due camere per accogliere i clienti che vengono da lontano o per gli studenti e stagisti di passaggio». Ma l’aspetto fondamentale rimane quello della sperimentazione sulla materia con la possibilità di scoperte sempre nuove. «Nel Moïtel abbiamo destinato tutto il piano interrato, uno spazio abbastanza grande da poter ospitare un parco macchine, a questa fase del progetto con la materiateca e l’atelier dei prototipi». E oltre allo spazio di speri-


mentazione anche la possibilità di cogliere con lo sguardo l’intero processo di lavorazione grazie alla vetrina aggiunta sul lato nord della struttura. «Lo spazio di sperimentazione dell’Atelier e la vetrina permettono di mettere in scena per il cliente ma prima di tutto per la nostra ispirazione. Il Moïtel nel suo complesso diviene così un luogo in cui far sviluppare la storia, il film della creazione a partire dal materiale e dal suo incontro con il progetto, attraverso l'idea fino alla realizzazione. Lo spazio dell’atelier è il nostro palcoscenico, il nostro set, e la materia è la protagonista della storia rappresentata». Tante le storie di progettazione che si sviluppano nell’Atelier Oï e tutte diverse perché la filosofia di pluralità del gruppo investe anche la natura dei prodotti. Il flacone di profumo, la scenografia, la seduta, il tappeto, l'edificio, la lampada solo per citarne alcuni. E ognuna di queste creazioni può nascere da un'impressione, dalla suggestione di progetti diversi. «La vetrina del work-in-progress dei progetti - aggiunge Patrick Reymond - permette a tutto il gruppo di avere sempre sotto controllo il modo in cui questi procedono. Si tratta di un modo per comunicare rapidamente tra i membri di un team molto grande

Nella foto sopra, l’esterno dell’edificio - un vecchio motel scelto dai designer di Atelier Oï come luogo di lavoro. Nelle altre foto gli interni di questa nuova struttura, modificati e ristrutturati per rispondere al bisogno di spazi più ampi per le diverse esigenze professionali del collettivo, che intanto negli anni è cresciuto raggiungendo gli oltre trenta collaboratori tra architetti, designer, ingegneri, grafici e scenografi

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LUOGHI.CREATIVI Con un’area di circa 900 mq, i diversi luoghi di lavoro si distribuiscono su tre livelli. Il motel, inaugurato il 25 settembre 2009 e subito personalizzato in Moïtel, raggruppa oggi tutte le attività dell’atelier con la cosiddetta materiateca, una vera e propria biblioteca dei materiali, e l’atelier dei prototipi allestiti nel piano interrato, la caffetteria, la reception e la terrazza panoramica al piano terra, insieme a uno spazio a doppia altezza per la presentazione dei progetti


ma anche di un modo per favorire gli scambi e le contaminazioni creative. Accade spesso che degli ingredienti di un particolare progetto siano utilizzati in vari progetti, magari con trasformazioni ulteriori. In questo modo si favorisce la fluidità delle idee». Tutta la struttura è stata riadattata alle esigenze professionali del collettivo di architetti e designer con interventi di cambiamento radicale e con scelte di conservazione. L’attuale facciata del motel rispecchia fedelmente l'architettura originaria degli anni '60. «Il motel era un monumento storico sottoposto a tutela per la conservazione del patrimonio monumentale, quindi la nostra possibilità di intervento era vincolata. Abbiamo dovuto conservare questa parte restaurandola nel rispetto dell’estetica di quegli anni fin nei minimi dettagli delle tende. Abbiamo mantenuto tutta la struttura delle camere nell’area che oggi è destinata agli uffici. Ogni ufficio era una camera. Abbiamo mantenuto la reception mentre l’attuale caffetteria del Moïtel si trova dove allora era il ristorante. Questo però non è stato un limite per i nostri progetti sulla struttura perché a noi l’estetica del motel così com’era piaceva molto.» La parte nord invece è stata modificata con

l’aggiunta di una copertura in metallo e vetro che isola e ingrandisce la struttura. «Originariamente le camere davano sull’esterno e noi abbiamo approfittato della necessità di costruire un passaggio che le collegasse da quella parte per ampliare la struttura nell'area dedicata ai materiali. In realtà con queste modifiche non abbiamo tolto nulla all’estetica originaria dell’edificio visto che questa parte era piuttosto degradata, frutto di tanti interventi di scarsa qualità. Ora la facciata è nuova». Nel complesso, ciò che viene valorizzato dai diversi interventi scelti è l’immagine di un luogo di lavoro complesso e variegato, in grado di funzionare in piena autonomia. In un’epoca in cui i confini tra spazio abitativo e spazio professionale si fanno più labili, con fenomeni come il coworking o il telelavoro in continuo aumento, anche l’Atelier Oï propone uno spazio di sconfinamento creativo e di contaminazione funzionale. «Era importante trovarci in un luogo che potesse tradurre i nostro obiettivi estetici. Per l’intero gruppo il Moïtel è uno spazio di vita, uno spazio accogliente e domestico, capace allo stesso tempo di stimolare la collaborazione professionale giornaliera. È così che manteniamo vivo lo spirito del motel».

UN MOTEL È UN LUOGO DI SCAMBIO DI NUOVE CULTURE, DI PASSAGGI DI PERSONE DIVERSE, È IL SENSO CHE CI ASPETTAVAMO PER LA NOSTRA SEDE

(Patrick Reymond)

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MODA.DESIGN

ARCHITETTURE di

stoffa

Abiti che sintetizzano creatività e rigore, esperienze sensoriali e forme puramene architettoniche. Roberto Capucci porta le sue creazioni al di là dei confini della moda tout court. Per queste ragioni nel 2007 la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma gli ha conferito una laurea Honoris Causa in Disegno Industriale di Silvia Di Persio Foto di Claudia Primangeli

S

ovrapposizioni di volumi, superfici e geometrie complesse modulate dal colore. E poi la suggestione dell’indossare quando trascende l’ordinario e investe di forma architettonica la materia più fluida: il tessuto. Da oltre cinquant’anni Roberto Capucci firma l’Haute couture e lo fa creando abiti concepiti per andare oltre le mode e permanere nel tempo come “abiti da abitare, architetture che creano un altro corpo, esperienze sensoriali”. Da sempre rifiuta di essere definito stilista per riconoscersi come sarto-architetto e lo fa sposando un’idea di composizione e di bellezza che sigla l’allontanamento dalla moda come sistema di consumo a favore di una visione plastica della sartoria. La sua volontà innovativa investe il livello formale, materico e cromatico recuperando allo stesso tempo tecniche e suggestioni artistiche e artigianali secolari. Nascono gli splendidi abiti-scultura, strutture di stoffa indossate dalle prime donne del cinema e della cultura da Silvana

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In apertura: abito-scultura taffetas e sauvage di Roberto Capucci. Esposto presso la New York Army National Guard Armory, nel 1985

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ROBERTO CAPUCCI

Foto di Fiorenzo Niccoli

Dopo aver frequentato il liceo artistico, studia all'Accademia di Belle Arti di Roma, la sua città natale, collaborando in seguito con lo stilista Emilio Schuberth. Nel 1950 fonda la sua casa di moda e già nel 1956, a 27 anni, Christian Dior lo definisce pubblicamente "il miglior creatore della moda italiana", per l'assoluta originalità delle sue creazioni che in seguito la critica, pressoché unanimemente, considererà vere e proprie "sculture in tessuto". Nel 1962 apre un atelier a Parigi e nel 1968 rientra in Italia, a Roma, nell'atelier di via Gregoriana. I suoi abiti sono stati indossati da moltissime celebrità e tra gli abiti più famosi c'è quello indossato da Rita Levi-Montalcini in occasione del conferimento del Nobel per la medicina del 1986.

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MODA.DESIGN Mangano a Rita Levi Montalcini, opere d’arte esposte nei più importanti musei del mondo, esemplari di un metodo riconosciuto dalle istituzioni dell’architettura e del design. Nel 2007 la facoltà di architettura dell’Università La Sapienza di Roma ha assegnato per la prima volta una laurea Honoris Causa in Disegno Industriale a Roberto Capucci indicando tra le ragioni del riconoscimento la capacità di sintetizzare creatività e rigore in ognuna delle sue opere. Più recentemente, lo scorso febbraio 2010, l’ADI ha nominato Capucci socio onorario “per le sue spiccate doti di creatività unite alla padronanza degli elementi tecnici della professione, praticate secondo il miglior metodo del progetto”. L’ispirazione primaria alla base di questo particolare metodo del progetto rimane quella cromatica. Roberto Capucci non si identifica con un colore di elezione ma in decine e decine di sfumature di una stessa tinta o ancora in geometrie cromatiche che usano i risvolti per creare movimento e multidimensionalità. «Testimonianze visive di come proprio nell’ambito del colore si realizzi la sperimentazione più innovativa dell’arte di Roberto Capucci», spiega Carlo Bertelli, ordinario di Storia dell'Arte medievale e rinascimentale e vice presidente della Fondazione Roberto Capucci, creata per conservare e promuovere la conoscenza dell'opera e del metodo di lavoro del Maestro. «Si pensi all'arte di sovrapporre strati di colore che Capucci ha tratto dalla tradizione giapponese mutuandola in un’invenzione infinita di combinazioni felici di seta su seta, pervinca su ciclamino, violetta su sang de boeuf». Dall’ispirazione cromatica all’imperativo formale: Roberto Capucci supera la bidimensionalità del tessuto sperimentando sul materiale. Il Maestro riscopre tessuti e metodi di filatura e di ricamo antichissimi declinando la seta nelle forme più pregiate di mikado, sauvage, crêpe marocaine o ermesino e alterna la ricerca sulla fibra naturale con raffia o bambù all’utilizzo di materiali di sintesi come plexiglass e fibre high-tech. Le sue configurazioni plastiche sono pagine di

Foto di Claudia Primangeli

In questa pagina: abito-scultura - raso. Esposto presso la New York Army National Guard Armory, nel 1985

CREDO CHE OGNI MOSTRA DI CAPUCCI SIA UNA LEZIONE PER TUTTI GLI STILISTI CREATORI

(Carlo Bertelli)

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Foto di Claudia Primangeli

A sinistra: abito-scultura taffetas e sauvage. Nel centro: abito-scultura-gazaar. Entrambe le creazioni sono state esposte nel 1985 presso la Army National Guard Armory di New York. A destra: abito-scultura - crepe e raso, esposto al Museo di Palazzo Venezia a Roma nel 1987

storia del costume. Nel 1958 Roberto Capucci crea la “linea a scatola” che accoglie il corpo femminile in volumi geometrici sfaccettati e netti rompendo con il più diffuso gusto romantico delle gonne a ruota e delle linee curve di quegli anni. Poi arriva il plissé, ispirato alle gorgiere del Cinquecento, tecnica che utilizza nella caratteristica forma a ventaglio e nella quale Roberto Capucci si afferma come maestro indiscusso. Quindi gli inserti tubolari e a pannelli degli anni Ottanta per affermare una molteplicità di forme generate dagli stimoli culturali più diversi. «La bellezza degli abiti di Capucci - continua Bertelli - non è una bellezza classica. Il plissé, l’applicazione delle maschere, l’ampiezza e il volume sono elementi sculturali che rompono con la tradizione occidentale fatta di pietra, marmo, legno e possibilmente bianca. Capucci frequenta i secoli e i continenti. Il dettaglio di una gorgiera del Cinquecento può ispirargli la contaminazione con una giubba turca; il disegno di una porcellana di Herend può tramutarsi in un delicato motivo di bambù». Gli stimoli formali e compositivi 106 DESIGN +

si fondono e si confondono gli uni negli altri. Roberto Capucci rielabora l’immaginario naturale dell’Oriente adattandolo alla propria estetica. In questo scenario esotico i tessuti si compongono in leggeri origami di stoffa o ancora si gonfiano in tutte le sfumature del blu come onde spumose in una stampa di Hiroshige. L’abito policromatico a farfalla o quello in taffetà di seta plissé nei vari toni del verde, del viola e del fucsia ne animano il paesaggio incantato. E ancora una volta, nella forma di una natura ordinata e ripensata, la creazione di Roberto Capucci è architettura perché come ricorda Carlo Bertelli «architettura è anche il progetto di un giardino o la salvaguardia di un paesaggio». Nella consapevolezza architettonica di Roberto Capucci il paesaggio ritorna come contesto espositivo. «Capucci è ben consapevole del limite del manichino – racconta Bertelli - e non vuole che i suoi abiti diventino oggetti da vetrina. Per questo è tanto attento alla loro collocazione spaziale e contestuale. I suoi abiti si presentano come architetture autonome e definiscono esse stesse lo spazio in modo mirabile. Ne sono un esempio gli abiti distribuiti come personaggi nel Teatro Farnesiano a Parma. Un incontro irripetibile che ha fatto scoprire aspetti nuovi della grande architettura cinquecentesca». All’origine di questo incontro la riflessione sul valore e sul significato dello spazio espositivo che il Maestro compie negli anni Ottanta, periodo che vede l’affermarsi del prêt-à-porter come sistema di moda sempre più orientato al mercato. «Il prêt-à-porter – continua Bertelli - è un’impresa rischiosa e difficile che vuole intervenire sul gusto diffuso tenendo conto di dinamiche di mercato


Sopra: abito-scultura ‘Lame’-sauvage e taffetas, esposto nel 1985 alla Army National Guard Armory di New York. Sotto: abitoscultura - faille e velluto, esposto nel 1989 a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna

Foto di Claudia Primangeli

ciano; Palazzo Colonna a Roma e Palazzo Fortuny a Venezia. «Superba è stata la mostra a Palazzo Fortuny a Venezia - racconta Carlo Bertelli - con la collaborazione di uno dei più raffinati e colti architetti di mostre, Daniela Finetti. Ma più in generale credo che ogni mostra di Capucci sia una lezione per tutti gli stilisti creatori affinché possano comprendere il limite tra l’audacia e il gusto e distinguere tra il gusto individuale e il “buon gusto” di tutti». Oggi il contesto migliore per chi voglia conoscere meglio l’opera e il metodo di progettazione di questo Maestro che non si è mai fermato di fronte ai limiti imposti alla creatività dai sistemi delle discipline è quello della Fondazione e del Museo Capucci a Villa Bardini a Firenze. «La visita alla Fondazione Capucci - conclude Bertelli - è istruttiva non soltanto per chiunque sia interessato all’abito e al costume, ma anche in via assoluta per coloro che non si accontentano di categorie precostituite desiderando di andare incontro alla bellezza». Una bellezza che come certe architetture permane nel tempo e oltre le mode. La bellezza secondo Roberto Capucci.

Foto di Claudia Primangeli

e di costi lì dove l'opera di Capucci mira invece a picchi di creatività da conseguire di volta in volta». Inevitabile la rottura. Roberto Capucci decide di abbandonare le passerelle per cercare nuovi luoghi che possano dialogare con le sue creazioni. Incontra le architetture e i contesti urbani. Le dimore patrizie, i musei e le città. Luoghi dell’arte e della storia. Spazi privilegiati per esaltare le preziose architetture di tessuto. Le città e i palazzi si susseguono senza soluzione di continuità. Milano, con Palazzo Visconti e la Fondazione Carlo Erba, nel 1982. Tokyo alla Sumitomo Corporation nel 1983. Nel gennaio del 1984 la collezione Capucci è all’Ambasciata d'Italia a Parigi e l’anno successivo, nel 1985, viene esposta nell’Army National Guard Armory di New York. Poi Roma con il Museo di Palazzo Venezia e la Galleria Nazionale d'Arte Moderna nel 1987 e nel 1989 e ancora Berlino, Vienna, Graz e la Schauspielhaus, i Castelli di Schoenbrunn e di Eggenberg. Più recentemente il Munchner Stadtmuseum di Monaco e il Museo Tinguely a Basilea; Palazzo Pitti a Firenze e il Museo del Palazzo Odescalchi di Brac-

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PADIGLIONI

UNIVERSALI 14 13

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Shanghai, la città più popolosa della Cina, quest’anno da maggio fino a ottobre, ospita l’Expo Universale. Una kermesse che coinvolge tutto il mondo. È la prima esposizione che ha scelto come tema la città. A confronto diverse modalità di sviluppo, nuove teorie sull’urbanistica e nuovi materiali. Una spinta per la promozione di un futuro sviluppo sostenibile dei centri urbani di Mercedes Caleffi

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EXPO 2010 1. Padiglioni delle Americhe; 2. Padiglione dei Paesi Africani; 3. Padiglioni dei Paesi Europei; 4. Padiglioni dell’Oceania e Sud-Est asiatico; 5. Theme Pavilions; 6. Padiglioni per le Organizzazioni Internazionali; 7. Area Ristoro; 8. Event Hall; 9. Expo Center; 10. Padiglione Cinese; 11. Performing Art Center/ centro culturale; 12. Padiglioni dei Paesi Asiatici; 13. Expo Village; 14. Padiglioni Imprese

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etter City, Better Life. Una città migliore per un vivere migliore. È questo il motto che accompagna la progettazione, la realizzazione e l’apertura dell’Expo 2010 a Shanghai. Un tema attuale e di grande interesse che è stato ulteriormente suddiviso, dagli organizzatori, cioè dal Bureau International des Expositions, in cinque sotto temi ritenuti fondamentali per il miglioramento e lo sviluppo futuro delle città e del pianeta. L’integrazione di diverse culture, la prosperità economica, l’innovazione tecnologica, il rimodellamento delle comunità e l’interazione tra aree urbane e campagna sono i cinque punti, i cinque problemi da risolvere o comunque i cinque argomenti che necessitano di un ulteriore sviluppo affinché la vita su questo pianeta migliori. Ogni Esposizione Internazionale, dal 1850 in poi, ha affrontato temi quali lo sviluppo tecnologico, la trasformazione dell’abitazione e la crescita delle città. Ma a focalizzare bene i punti dell’attuale esposizione si può riscontrare la consueta attenzione, comune in tutte le Esposizioni Interna-

zionali, verso la modernità. Ma è da sottolineare che la prima richiesta, fondamentale in una società contemporanea, è il dialogo culturale. Sin dalla prima a Londra, le Esposizioni sono sempre state considerate un mezzo unico per la diffusione dei risultati della ricerca tecnologica e della corrispettiva applicazione alla vita di tutti i giorni. Uno dei modi per comunicare l’applicabilità delle nuove conoscenze acquisite è la costruzione dei padiglioni che ogni Paese partecipante sceglie di realizzare per rappresentare se stesso. L’Esposizione Universale di Shanghai 2010 offre l’opportunità di esplorare il potenziale delle città nel 21° secolo. E così 200 nazioni e relative organizzazioni internazionali, distribuite nelle cinque zone disposte su entrambi i lati del fiume Huangpu, nella parte sud della città di Shanghai, hanno fatto costruire dei padiglioni che incoraggiano e promuovono lo sviluppo sostenibile delle città. Da sempre gli Expo hanno lasciato, con le loro momentanee costruzioni, il segno nella storia dell'architettura sia moderna che contemporanea. Per gli

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EXPO 2010 PADIGLIONE INGLESE Struttura cubica di acciaio e legno. The Seed Cathedral. Una banca di semi incastonati in 60mila lunghi

filamenti acrilici trasparenti oscillanti con il vento che durante il giorno fungono da fibre ottiche. I filamenti durante la notte brillano

architetti e gli ingegneri quest’occasione è il luogo ideale per proporre quelle idee azzardate che, ai consueti committenti, non è sempre possibile proporre. Ecco perché il padiglione è diventato emblematicamente simbolo della città del futuro o comunque dei principi che si spera sottendano la prossima crescita delle città. Esempio di rinnovamento e creatività per l’attuale Expo è sicuramente il Padiglione Inglese disegnato dall’architetto britannico Thomas Heatherwick. Una struttura di sei piani interamente rivestita da 60mila sottili prismi acrilici trasparenti lunghi 7,5 metri che si muovono con il vento. Sessantamila filamenti che durante il giorno assolvono il compito di fibre ottiche, incanalando la luce na-

turale verso l’interno. Durante la notte invece, conducono la luce artificiale che illumina gli spazi interni verso l’esterno. L’intera struttura, facilmente associabile a un porcospino, brilla. La struttura è stata soprannominata The Seed Cathedral cioè la cattedrale dei semi, perché ciascun filamento contiene, incassati all’estremità, uno o più semi di piante rare protette provenienti dal Kunning Institute of Botany della Cina. Il Padiglione Francese invece è l’opposto di un classico stand. È un esempio d'architettura possibile, destinata a durare oltre l'esposizione. Jacques Ferrier ha pensato il padiglione come un paesaggio e per tanto lo ha costruito attorno a tre concetti: un piano d'acqua, una grata di cal-


cestruzzo bianco e un giardino verticale. L’edificio sembra levitare sullo specchio d’acqua su cui si riflette anche il giardino che si trova nel patio e che accoglie con la sua frescura gli ospiti rincuorandone l’attesa anche con i giochi d’acqua e di luce. La Ville Sensuelle, così è stato chiamato il padiglione, affronta il tema del paesaggio all’interno della metropoli del XXI secolo, e quindi affronta il tema del piacere di vivere nelle città. Il risultato è un paesaggio che dovrà acquisire la capacità di sollecitare tutti i sensi dell’uomo. Una visione che supera dunque il concetto dello sviluppo duraturo, sostenibile ed equosolidale, e avvalora quella del desiderio e del piacere di vivere nelle città pensate e costruite come il luogo in cui l'invenzione procede parallelamente anche alla libertà e all'identità culturale. E la strada della sensualità scelta dai francesi diventa Happy Street per il Padiglione dei Paesi Bassi. La Via Felice è la risposta alla necessità di migliorare la vita nei centri abitati. Una qualità che abbandonerà la zonizzazione delle at-

PADIGLIONE FRANCESE La Ville Sensuelle si caratterizza per la presenza

dei giardini verticali. Tutta la struttura è appoggiata su un lago artificiale

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EXPO 2010

tuali città, con le diverse zone dormitorio, le zone dedicate al lavoro e quelle al commercio, a favore di una città che faccia coesistere tutti questi bisogni e conduca a una vita fatta di minori spostamenti e di maggiore integrazione tra i diversi momenti che la determinano. Per la progettazione della Happy Street John Körmeling ha unito differenti costruzioni che sono tipici esempi degli stili architettonici olandesi. E sulla Street, che si sviluppa in altezza, si possono trovare differenti strutture rispondenti a diverse tipologie e funzioni. L’intera realizzazione, valutata con Life Cycle Assessment, una metodologia di analisi del ciclo di vita che esamina le interazioni che un prodotto ha con l'ambiente, è risultata a basso impatto ecologico proprio perché interamente costruita in acciaio, il materiale riciclabile per eccellenza. Il Padiglione Danese esibisce tutte le virtù danesi, ne fa sfoggio e fa interagire gli ospiti con le migliori attrazioni di Copenhagen: la bicicletta in città, il bagno nella pulita acqua del porto, il parco giochi e il picnic. L’intento degli olandesi è rilanciare l’uso della bicicletta, anche per città come Shanghai, storicamente rinomata per le sue biciclette, perché sta optando, attualmente, per un maggior uso della macchina, oramai status simbol della ricchezza economica. La costruzione è stata progettata da Finn Nørkjaer come una doppia spirale da percorrere con le biciclette (ne sono state messe a disposizione degli spettatori 300) o a piedi. È una struttura autosufficiente e monolitica. È in acciaio bianco-verniciato, ed è stata completamente fabbricata in

PADIGLIONE PAESI BASSI È stato concepito come un sentiero che si inerpica. I singoli padiglioni espositivi lungo il percorso sono inaccessibili

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PADIGLIONE DANESE Una doppia spirale, due sentieri paralleli, quello ciclabile e quello pedonale accompagnano i visitatori alla scoperta delle

tipicità danesi: l’acqua limpida, la bicicletta, i giochi nel verde e la fatidica piccola sirenetta, l’originale scultura bronzea esposta per la prima volta


EXPO 2010 PADIGLIONE GIAPPONESE Un'architettura che respira. Il color viola deriva

dalla mescolanza dei colori rosso e blu, che simbolizzano il sole e l’acqua

un cantiere navale cinese. Al centro dei due percorsi si snodano delle panchine con una linea essenziale che fungono sia da punto di sosta a disposizione degli spettatori sia da staccionata. Lo spettatore, seguendo il percorso, può giungere così fino al piano superiore per poi riscendere fino al piano terra del padiglione. L’uso della bicicletta finisce così per rappresentare l’essenza della coscienza ecologica danese diventando anche l’emblema del padiglione. È invece un volume avveniristico dalle complesse geometrie curvilinee, il Padiglione Austriaco. È completamente ricoperto di piastrelle esagonali di ceramica, circa 10 milioni, dalla colorazione sfumata che gradualmente va dal rosso vivo al bianco candido, in onore della bandiera nazionale austriaca. Gli architetti SPAN & Zeytinoglu hanno scelto come tema principale la continuità formale, la sinuosità avvolgente, il continuum materico. La sala centrale si schiude dall’interno verso l’esterno. E la sequenza curvilinea degli spazi interni conduce i visitatori dall’ingresso fino all’uscita passando per l’esposizione. Per la creazione delle sfumature dei colori e della posa in opera delle piastrelle è stato necessario uno studio appropriato che si è avvalso di diverse tecnologie. Ed è proprio lo studio parametrico della modellazione che ha portato all’adozione di piccoli pezzi esagonali dal diametro di 2,5 centimetri. Mentre per trasformare i modelli digitali in realtà concreta lo studio ha fatto uso delle stesse tecniche della topologia e ha ottenuto così degli interni in cui non vi è alcuna soluzione di continuità tra il solaio, le pareti e il pavimento.


PADIGLIONE AUSTRIACO All’esterno ha un aspetto avveniristico mentre all’interno offre esperienze sensoriali legate ai tipici scenari austriaci.

Il progetto si ispira all’idea di continuità, equilibrio e simbiosi tra città e campagna. Il colore bianco è stato scelto per veicolare l’idea di dinamismo

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EXPO 2010

Sui toni del viola è il Padiglione Giapponese che è stato soprannominato“Isola del Baco da Seta Viola”. Utilizza i concetti di Architettura “eco-respiratoria” che, applicati, danno modo alla struttura di respirare come un essere vivente. Il nuovo padiglione, ideato da Yutaka Hikosaka, eredita gran parte dei concetti ambientali già affrontati e sviscerati durante l’Expo del 2005, tenutasi nella città

giapponese di Aichi. Questa scelta è stata fatta proprio per evidenziare che l’impegno del Giappone su questi temi non è variato nel tempo. L’involucro esterno è stato completamente rivestito con una membrana costituita da pannelli fotovoltaici che filtrano i raggi solari e li trasformano in energia elettrica; le toilette fanno uso di micro-organismi e di ozono per trasformare le acque reflue in acqua pulita e riciclabile; l’intera cupola, con i suoi tre fori “respiranti” è stata fatta di un nuovo materiale di riciclo chiamato ETFE e sono stati anche impiegati alcuni metodi tradizionali giapponesi per il risparmio energetico, quali la nebbia artificiale com’era in uso un tempo in Giappone, prima dell’avvento dei condizionatori, per ridurre la temperatura dell’aria. Con il titolo “Balancity“ la Germania sottolinea l’importanza dell’equilibro all’interno della città del futuro. Il Padiglione Tedesco riesce a creare una chiara e reale idea delle differenze e anche dei vari contrasti che sono presenti nelle attuali città. È la ricerca dell’equilibrio il filo conduttore di questo padiglione. Un iter alla scoperta delle differenze che portano al giusto equilibrio tra innovazione e tra-

PADIGLIONE TEDESCO “Balancity“ è il nome datogli per sottolineare l‘importanza dell‘equilibro fra tradizione e innovazione e non

solo all‘interno della città futura. Il simbolo della “Città dell’Equilibrio” è una sfera di 3 m di diametro che si illumina con 400mila LED


dizione, urbanizzazione e natura, comunità e individui, e tra globalizzazione e identità nazionale. Sono state impiegate 1.200 tonnellate di acciaio per realizzare un padiglione alto 20 metri e poggiante, a causa delle condizioni del terreno, su 520 pali posti a una profondità di 22 m. Nella costruzione, sia all’interno che all’esterno sono stati utilizzati circa 50mila mq di cartongesso. Così come una città si compone di stratificazioni storiche, di funzioni e ambientazioni, così il padiglione tedesco è stato progettato dal gruppo Schmidhuber + Kaindl come uno spazio dinamico. Uno spazio verde terrazzato si sviluppa dal piano terra sino al terzo livello al di sopra del quale appaiono come sospese nell’aria le quattro strutture espositive. Ma le città sono diverse tra loro, e così sono diverse le suggestioni che i padiglioni cercano di rappresentare. Infatti l’idea di progetto del Padiglione Italiano è cresciuta dal bisogno di coniugare il modus vivendi italiano fatto di piazze, vicoli e borghi, con la ricerca e l’applicazione di materiali ecocompatibili. Presenta una superficie totale di 7.800 mq distribuita su tre piani per un’altezza di 18 metri. L’intera struttura è divisa in più corpi diversi e irregolari collegati tra loro da strutture-ponte realizzate in acciaio. L’edificio è lambito su tre lati da una lama d’acqua che riflette l’edificio stesso e la sua luminosità interna che si scorge grazie all’impiego di un cemento trasparente, un materiale di recente creazione. L’architetto Giampaolo Imbrighi che lo ha progettato si è ispirato all’antico gioco cinese tanto in voga negli anni Settanta in Italia con il nome della città che attualmente ospita l’Expo 2010. Il progetto è stato realizzato così da soddisfare strutturalmente l’esigenza di essere smontato e ricostrui-

to in un’altra area della città, anche con dimensioni ridotte visto e considerato che il padiglione italiano rientra nell’esigua cerchia dei padiglioni a cui è stato consentito di avere grandi dimensioni. Tutte le architetture presenti comunque alla kermesse sono potenzialmente destinate ad essere distrutte. Hanno un’anima caduca, temporanea e forse è anche questo aspetto a renderle ancora più affascinanti. Ma la storia delle esposizioni internazionali insegna che non tutti i fabbricati vengono smantellati. È stato così per la Torre Eiffel a Parigi, costruita per l’esposizione del 1889, per la Biosfera, costruita per l'Expo del 1967, a Montreal , e per l'Atomium a Bruxelles, rimanenza dell'esposizione del 1958, e di esempi se ne potrebbero citare anche altri. E così, in attesa della futura esposizione che si terrà, fra cinque anni, a Milano, ci si chiede quale tra questi nuovi padiglioni sopravviverà?

PADIGLIONE ITALIANO Un parallelepipedo a pianta quadrata.

La morfologia dell’edificio cita la topografia delle città italiane

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