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DESIGN+ N.

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ISSN 2038 5609 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA

La Pasarela Arganzuela di Domenique Perrault Steven Holl progetta La Cité de L’Océan e du Surf Lo studio di Cino Zucchi amplia il Museo dell’Automobile a Torino L’istituto di design HKDI dello studio francese CAAU




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DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro

INTERGRANITI di Paturzi Giuseppe

Lavorazione e posa in opera di

M A rm i Graniti P i e t re

Redazione Alessio Aymone, Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Piergiorgio Giannelli, Andrea Giuliani, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Ha collaborato Manuela Garbarino Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

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CONTENUTI

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Pensieri Globali Marina Pugliese Direttrice del Museo del 900 Guido Strazza Presidente Accademia di San Luca Pier Luigi Sacco Professore Università IUAV di Venezia

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p.16 p.18 p.20

Segnali Un auditorium per Bologna p.23 IL nuovo spazio per la musica, progettato da Renzo Piano, sorgerà nel cuore della Manifattura delle Arti L’importanza della forma Le creazioni in legno di Esse & Vi

p.27

Ospitalità multimediale È stata inaugurato a Parigi Hi matic, il primo hotel completamente automatico

p.29

Il Pritzker va a De Moura L’architetto portoghese ha ricevuto quest’anno il prestigioso riconoscimento

p.32

Riapre il negozio Olivetti p.38 È stato restaurato, dopo più di 50 anni, lo spazio espositivo progettato da Carolo Scarpa

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CONTENUTI

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Progetti Museo dell’Automobile di Torino Progetto di Cino Zucchi Architetti

p.40

La Pasarela Arganzuela Progetto di Dominique Perrault Architecture

p.50

Istituto di design HKDI Progetto di CAAU, Coldefy & Associés

p.58

Cité de l’Océan e du Surf Progetto di Steven Holl Architects

p.64

Real Estate Bologna: abitazioni di lusso in crescita

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Dietro al progetto Intervista ad Alfoso Femia e Gianluca Peluffo, 5+1AA

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Anteprima Arte e design in mostra

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Arte Dinamiche sculture di luce

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Nuovo design Tra estetica e funzionalità

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EDITORIALE

QUALUNQUEMENTE Cretini illuminati da lampi di imbecillità. (Ennio Flaiano) Il momento storico attuale, per gli architetti, non è dei migliori. Al di là di tutte le giustificazioni e gli ottimismi, bisogna ammettere che è così. La considerazione riguarda, soprattutto, la situazione italiana, poiché nel “resto del mondo” (viene alla mente la partita di calcio Italia contro resto del mondo, che aveva però, al contrario della circostanza di cui parliamo, valenza positiva: tutto il mondo contro i migliori) le cose vanno, seppure con differenze notevoli, assai meglio. L’ultimo rapporto del CRESME sulla situazione del settore immobiliare e della professione dell’architetto in Italia mettono in evidenza una serie di indicatori che sono decisamente preoccupanti. Per fare solo qualche esempio: i lavori pubblici stanno diminuendo a grande velocità; il reddito professionale medio degli architetti di quest’anno è inferiore a quello di dieci anni fa; le normative edilizie, invece di andare nel verso della semplificazione, sono sempre più complicate e contraddittorie; sono stati segnalati casi di ribasso del novantanove per cento sulla parcella, con buona pace della tanto sbandierata qualità della prestazione; il concorso di progettazione, invece di essere sempre più utilizzato, viene evitato con tutti gli artifici e le motivazioni possibili come nel caso delll’EXPO di Milano, dove non ne è previsto neanche uno; vengono privilegiati gli affidamenti diretti, con innalzamenti delle soglie minime e l’appalto integrato. Le cose non vanno molto bene per gli architetti uomini, ma per le donne è ancora peggio, sia per la difficoltà nel trovare lavoro che per il reddito medio, sensibilmente inferiore a quello maschile. Ciò nonostante siano, ad esempio, all’università, superiori per quantità e qualità. Si potrebbe continuare con tanti altri esempi desolanti e negativi. Fermiamoci e proviamo a ragionare sui motivi che ci hanno portato verso questa sconsolante situazione. Le tematiche potrebbero essere scivolose, per cui porsi delle domande può rivelarsi più opportuno che darsi delle risposte. Come primo argomento iniziamo dall’università. Lo studiare meno per studiare tutti, come recitava uno slogan, migliora il livello culturale di una nazione o lo peggiora? C’è chi pensa che il mezzo pollo a testa, che nell’alimentazione funziona, nella cultura possa invece creare di problemi. Colui che esce da un corso triennale è un laureato breve o un diplomato lungo? È giusto che le nostre facoltà si siano licealizzate? Perché se una università ha un alto tasso di “mortalità didattica” si tende a pensare che è mediocre invece che severa? Per contro se una università laurea gli studenti in corso è molto efficiente o è troppo facile? Perché alla fine di un corso di studi in Italia un laureato può decidere se farsi chiamare architetto o ingegnere e, nel caso sia indeciso, possa iscriversi contemporaneamente ai due albi? Non tentate di spiegare cose del genere ad uno straniero. Perderete la sua stima.

Come secondo argomento potremmo affrontare il problema del governo e dell’amministrazione della cosa pubblica. È meglio che un politico faccia quel mestiere di professione o che sia un tecnico, un laico prestato dalla società civile? Una persona, quindi, che, avendo raggiunto una credibilità pubblica attraverso il suo lavoro, si renda disponibile a mettere le sue capacità al servizio della collettività? Oppure è preferibile una persona che fa il mestiere di politico a tempo pieno per tutta la vita? Ma allora potrebbe esserci un corso di laurea in sindaco, un altro in deputato, diverso però, ovviamente, da quello di senatore. In questo caso sarebbe meglio un corso triennale o quinquennale? Terzo argomento: la prestazione intellettuale e quella di produzione e servizio. In un paese dove è diventato normale studiare meno, anzi così è più democratico e dove chiunque, indipendentemente dalle sue capacità e dal suo curriculum, può amministrare la cosa pubblica, come ci si può meravigliare se progettare un aeroporto, operare a cuore aperto, difendere un innocente da una accusa ingiusta o perseguire un colpevole per un giusto motivo, venga equiparato a guidare un taxi, forgiare bulloni o lavare lenzuola per le ferrovie dello stato? Tutti sono capaci di lavare le lenzuola, quindi lo faccio fare a chi mi costa meno; analogamente tutti sono capaci di progettare un ponte strallato in una bellissima vallata e quindi lo faccio progettare a chi mi costa meno. Sensibilità ambientale e culturale, capacità artistica, tecnica e di coordinamento, ma di cosa stiamo parlando! La nostra normativa per gli affidamenti di incarichi prevede, del resto, che un progettista che ha fatto due orribili ospedali vale di più ci quello che ne ha fatto uno splendido; un magnifico progettista che non ne ha fatto neanche uno, non vale, invece, niente. Con la scusa delle liberalizzazioni si sostengono cose assurde e si produce una confusione totale. Anni orsono siamo finiti in una lenzuolata insieme a taxisti e massaggiatrici, oggi siamo felicemente equiparati agli autotrasportatori. Tutto quanto descritto in precedenza è indipendente dalla situazione contingente della crisi che riguarda il settore immobiliare, l’etica politica e professionale, e, più in generale, il livello di intelligenza di chi ci governa ed amministra da decenni. La crisi ha solo esasperato e portato a galla una serie di contraddizioni e assurdità che caratterizzano la situazione dell’architettura, in Italia, da molto tempo. Tutti noi vorremmo essere ottimisti se non fosse che molti dei nostri interlocutori, che dovrebbero risolvere una parte dei problemi, ci fanno invece venire alla mente un film recente ed un famoso aforisma di Ennio Flaiano …

Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

Marina Pugliese

«Didattica e creazione di scambi internazionali. Finanziamenti pubblici e soldi privati. Il giusto equilibrio di questi fattori determina, oggi, il futuro di un museo»

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Quali obiettivi si prefigge oggi il direttore di un nuovo museo?

Ampliare il bacino di utenza, con politiche di inclusione anche per le fasce di popolazioni generalmente lontane (adolescenti, cittadini stranieri residenti nel territorio), diventare un riferimento per chi abbia sete di cultura, adattarsi a nuove sfide.

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Proprio perché nel tempo l’idea di spazio espositivo si è totalmente evoluta, come è cambiata, conseguentemente, la figura del direttore del museo?

Non è più solo uno storico dell’arte specializzato in museologia, deve avere notevoli capacità manageriali ed essere anche un trend setter ovvero deve identificare lo stile del museo e fare sì che sia riconoscibile all’esterno.

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Quanto è difficile gestire uno spazio museale inaugurato nel pieno di un periodo economicamente instabile?

Bisogna puntare alla cooperazione di finanziamenti pubblici e sponsorizzazioni private.

Il museo oramai è una piazza. È un contenitore. Può essere considerato un mezzo di trasformazione sociale?

È auspicabile che lo sia. L’esperienza dimostra che i bambini che hanno confidenza col museo diventano adulti abituati a frequentare i musei. La didattica a questo proposito è un segmento fondamentale dell’attività museale. In qualità di direttrice del Museo del Novecento, la mia attenzione a questo tema è altissima. Oltre alla guida museale per gli adulti il Museo ha pubblicato anche quella dei bimbi. Oltre al laboratorio per i bambini abbiamo dedicato agli studenti ”Il museo in una stanza” un ambiente dove c’è un opera per ogni movimento e corrente dell’arte italiana del XX secolo.

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L’idea stessa di museo oggi sembra essere legata a quella di edificio simbolo. Di un edificio che sappia già da sé attrarre e comunicare. Quanto questa “ricerca” è in grado di cambiare il rapporto tra il museo e il fruitore?

Forse più che modificare il rapporto tra museo e fruitore cambia il rapporto tra museo e opera, ma non demonizzerei l’importanza dell’architettura.

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Uno spazio espositivo pubblico come sceglie i propri investimenti?

Un museo sceglie gli investimenti in relazione alla storia del patrimonio che conserva e sono specificatamente i musei che devono preoccuparsi di salvaguardare le forme più complesse ed effimere di espressione culturale, sia questa arte concettuale o deperibile. Il museo deve dotarsi di forme sofisticate di catalogazione e documentazione, in virtù del fatto che per statuto deve conservare sia le testimonianze materiali che quelle immateriali dell’umanità.

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La sicurezza delle opere esposte. Quanto pesa tale voce su tutto il badget?

Pesa moltissimo, il personale di custodia comporta una delle voci di spesa maggiori.

Il Museo del Novecento non è solo spazio espositivo ma anche archivio e centro di ricerca. Cosa farà per gli artisti italiani e per promuovere l’arte italiana all’estero?

Va considerato che si tratta di un museo d’arte del XX secolo e non di arte contemporanea. Facciamo micro operazioni per dare visibilità al patrimonio: da “20metricubi”, una vetrina destinata ad ospitare con un’opera di un museo straniero, alla pubblicazione di ricerche e partecipazione a convegni internazionali sul tema della conservazione e della museologia.

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Sono previsti accordi sinergici con altri musei nazionali?

Abbiamo iniziato ad attivare una serie di collaborazioni sul territorio. Ad esempio con la Fondazione Cineteca Italia e con gli Archivi di Via Farini e Care Of e siamo membri Amaci. Quindi già lavoriamo in rete su alcuni temi con gli analoghi musei italiani.

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Di cosa ha bisogno l’Italia per migliorare in questo campo?

Di lavorare in rete anche in un’ottica di scambio internazionale. Questioni amministrative impediscono ai musei di lavorare su programmazioni pluriennali. Questo va a detrimento della costruzione di partnership per la co-produzione di mostre.

Marina Pugliese, storica dell’arte, è conservatore responsabile delle collezioni di arte del XX secolo per il Comune di Milano e insegna Museologia del Contemporaneo all’Accademia di Belle Arti di Brera. Si interessa degli aspetti materici, tecnici e conservativi dell’arte contemporanea nonché della relazione tra opera d’arte e contesto espositivo. È Direttrice del Museo del Novecento. Tra le sue pubblicazioni, “Estetica del Sintetico. La plastica e l’arte del Novecento”, “Le tecniche e i materiali nell’arte contemporanea”, “Tecnica mista. Materiali e procedimenti nell’arte del XX secolo”.

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PENSIERI.GLOBALI

Guido Strazza

«L’Accademia di San Luca punta all’acquisizione di nuovi archivi, e presta molta attenzione alla cultura architettonica e professionale del centro Italia»

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In qualità di direttore dell’Accademia di San Luca ci spiega che tipo di rapporti crea oggi questa istituzione con la fascia giovane dell’arte italiana?

L’Accademia Nazionale di San Luca attiverà entro il 2011 una sua attività didattica sul tema primario del segnare. Il segnare specifico dell’arte e dell’architettura, ma anche della parola, del suono e della scienza. Non si tratta di una ripresa dell’antica tradizione didattica dell’Accademia di San Luca ma della rifondazione di una “didattica” pubblica e operativa, finalizzata alla ricerca e allo studio sulle problematiche primarie del fare, del farsi e del significare dei segni. Un campo relativamente inesplorato, cruciale per chi fa e legge segni: artisti e storici, ma anche chiunque comunichi e si esprima per segni.

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Negli anni l’Accademia che tipo di rapporti ha creato con le scuole, le università e le accademie d’arte?

L’Accademia ha sempre avuto e ha rapporti con l’Università e con Accademie straniere. Nell’ambito del Progetto didattico, conteremo sulla collaborazione attiva dell’Accademia dei Lincei e del Conservatorio di Santa Cecilia.

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Come si comporta l’Accademia di San Luca verso il linguaggio digitale sempre più presente nell’arte?

Il mondo accademico ha sempre mostrato resistenza alle innovazioni tecnologiche nell’ambito delle arti, ma l’Accademia di San Luca ha mostrato una particolare attenzione ai nuovi linguaggi dedicando alle attuali sperimentazioni un premio.

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Oggi che il linguaggio mediatico cambia, quanto è importante innovare perché un istituto storico come l’Accademia sia sempre adeguato ai tempi?

Da anni l’Accademia si sta riordinando per una più aggiornata partecipazione al dibattito culturale contemporaneo che lo stesso progetto didattico esprime: nella sua forma “didattica”, nell’ordinamento della galleria, nell’istituzione della nuova collezione di disegni e di opere di tutti gli Accademici.

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Sia esso museo, galleria o altro, lo spazio espositivo istituzionale, oggi, riesce ancora ad essere il luogo indicato per esporre l’arte contemporanea?

L’Accademia, per tradizione e vocazione, è custode critico di memoria storica e, per questo, animatrice di memoria futura. La nuova collezione di opere, contemporanee e storiche, di disegni e di opere degli Accademici è esposta nelle sale dell’Accademia. La nostra Galleria ospita mostre del contemporaneo, come il Premio Presidente della Repubblica e il Premio Giovani, ma, istituzionalmente e idealmente, la galleria dell’Accademia non è luogo di esposizione convenzionale.

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La conservazione e la tutela di interi archivi di architetti appartenenti alla storia dell’architettura è una delle responsabilità dell’Accademia di San Luca. Come promuove la conoscenza di tali patrimoni?

Oltre che alla conoscenza, l’Accademia punta alla conservazione e salvaguardia degli Archivi di architettura. Porta avanti la politica di acquisizioni di nuovi archivi, con attenzione alla cultura architettonica e professionale del centro Italia, in modo da non sovrapporsi agli archivi distribuiti sull’intero territorio.

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A maggio si è svolta la Prima Giornata Nazionale degli Archivi di Architettura. Come si è svolta per L’Accademia di San Luca?

La giornata del 20 maggio ha coinciso con la presentazione del sito web dedicato a Mario Ridolfi. Inoltre abbiamo organizzato una mostra di materiali originali che ha presentato una selezione degli architetti del Novecento di cui conserviamo gli archivi. Di questi materiali abbiamo avviato la parziale campagna fotografica per la successiva digitalizzazione e messa on-line.

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Che rapporto c’è tra le città italiane, i cittadini e l’arte contemporanea?

Non so quanto le definizioni “città italiane”, “cittadini”, “arte contemporanea” abbiano senso. Per quello che vedo, le città “usano” l’arte e i cittadini amano farsi usare - e l’arte contemporanea?... del mercato? del mondo? C’è tutto, ma il punto è di sapere cosa, come e perché si espone qualcosa e lo si va a vedere. Perciò che rapporto dovrebbe esserci? Diciamo così: responsabile e critico.

Dopo aver conseguito la laurea in ingegneria a Roma, Guido Strazza abbandona la professione per dedicarsi completamente alla pittura. Frequenta la Calcografia Nazionale (1964-67), dove approfondisce il linguaggio dell'incisione nell'ambito di una ricerca segnica inerente al suo lavoro. Nel 2003 riceve dall'Accademia dei Lincei il Premio A. Feltrinelli per l'Incisione. Ha insegnato alla Calcografia Nazionale, all'Accademia dell'Aquila, alla Wesleyan University, all'Università di Siena e all'Accademia di Roma di cui è stato Direttore. È membro dell'Accademia Nazionale di San Luca dal 1997, e dal 1 gennaio 2011 ne è il Presidente.

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PENSIERI.GLOBALI

Pier Luigi Sacco

«L’Italia è tra i primi paesi europei per numero di occupati nel settore cultura e per valore economico prodotto. Ma i media e la politica non se ne accorgono»

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Economia della cultura. Una disciplina relativamente nuova. Quali sono i temi da lei più dibattuti?

I temi più importanti oggi hanno a che fare con la capacità della cultura di generare valore economico. In Italia siamo ancora fissati con l’idea che la cultura possa vivere soltanto di sussidi pubblici e privati. Certo, ci sono forme di attività culturale e creativa che non potrebbero sopravvivere senza sussidi e che sono spesso estremamente importanti (si pensi al patrimoni storico-artistico, ad alcuni ambiti delle arti visive e dello spettacolo dal vivo), ma ce ne sono molte altre (l’editoria tradizionale e quella multimediale, la radio-televisione, i videogiochi, la moda e il design, e così via) che possono invece essere molto profittevoli. L’Italia, peraltro, è tra i primi paesi europei per numero di occupati in questi settori e per valore economico prodotto, ma è difficilissimo che i media e soprattutto la politica se ne accorgano, presi come sono a concentrare tutta la loro attenzione su settori molto meno dinamici e nei quali il nostro vantaggio competitivo è minore, ma che per ragioni di tradizione e abitudine continuano ad occupare il centro dell’agenda politica.

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Valorizzare i luoghi della cultura è un concetto diverso da quello oramai consueto della valorizzazione del territorio e delle sue peculiarità?

Sì, è un concetto molto diverso da quello tradizionale, che considera come unico sbocco possibile un turismo culturale che continua ad essere declinato stancamente su modelli di 30 anni fa, e che non a caso produce una perdita costante di capacità competitiva rispetto ad altri paesi in teoria meno dotati di noi in termini di patrimonio storico-artistico. Bisognerebbe tenere a mente che negli anni a venire i turisti saranno sempre più nativi digitali, che cercheranno modelli di esperienza molto diversi da quelli attuali, nei quali l’integrazione dei contenuti tra piattaforme fisiche e virtuali dovrà necessariamente essere sofisticata e capace di andare molto al di là della fornitura di sfondi per le foto ricordo, come accade per lo più oggi. Mi sembra che si stia facendo molto poco per affrontare questi nuovi scenari, che sono già praticamente dietro l’angolo.

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La pianificazione urbanistica e sociale delle città dovrebbe, per una crescita programmata, confrontarsi anche con i teorici dell’economia della cultura?

L’economia della cultura non è soltanto teoria, per quanto importante, ma anche e soprattutto pratica di progettazione, di interazione con gli attori del territorio. Tutti i principali casi di rigenerazione urbana di successo degli ultimi anni hanno avuto una fortissima componente culturale, e spesso la cultura è stata il principale motore di trasformazione, di modificazione dei profili di specializzazione territoriale. Ancora una volta, questo è un tema che in Italia fa fatica ad attirare l’attenzione che meriterebbe, e i risultati si vedono: tutti i principali progetti di rigenerazione urbana degli ultimi anni in Italia sono stati pensati e giocati in una chiave immobiliaristica. C’è allora da stupirsi se non c’è nessuna città italiana nella classifica delle prime venticinque città al mondo per qualità della vita?

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Lei ha dichiarato: «Abbiamo smesso di produrre idee, convinti che, grazie al nostro passato glorioso, potevamo fare a meno di nuovi contenuti”. Vi sono invece esempi in Italia che smentiscono quest’assunto?

L’Italia è piena di coraggiosi, piccoli esempi che su scala locale provano a seguire una traiettoria diversa. Ma a questo punto è importante far sì che questa dimensione laboratoriale assuma una scala più importante, una scala perlomeno regionale. La regione Marche, ad esempio, sta provando a muoversi in questa direzione, e spero che saranno in molte a seguirne l’esempio.

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In Italia la cultura del fundraising si riduce alla sola agevolazione fiscale per le imprese o esistono esempi più completi?

In Italia l’aspetto delle agevolazioni fiscali non è importante. L’idea che mi sono fatto è che, per le imprese italiane, è molto più importante ottenere un’adeguata visibilità per i loro sforzi in questo settore, piuttosto che ottenere sconti fiscali. Certo, se gli sconti arrivano sono i benvenuti.

Pier Luigi Sacco è professore di Economia della Cultura presso l’Università IUAV di Venezia, dove è anche direttore del Dipartimento delle Arti e del Disegno Industriale e pro-rettore alla comunicazione e alle attività editoriali. Insegna anche presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e ha insegnato nell’ Università Bocconi di Milano, a Firenze, a Bologna. È direttore scientifico della Fund Raising School e coordinatore dell’area Economia della Cultura del Master in Arts and Culture Management della Trento School of Management. È responsabile scientifico di Goodwill a Bologna.

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E G N A L I

UN AUDITORIUM PER BOLOGNA Bologna, dichiarata dall'Unesco “Città creativa della musica”, avrà un Auditorium. Progettato da Renzo Piano, verrà costruito nel cuore della Manifattura delle Arti, ex area dismessa che si trova a pochi passi dal centro

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enzo Piano, Claudio Abbado e Bologna. A legare i tre è il nuovo progetto dell’Auditorium che l’architetto ha presentato a completamento della centralissima area di recupero conosciuta come Manifattura delle Arti. Un’area che si trova subito a ridosso delle mura trecentesche e che è perfettamente raggiungibile, in dieci minuti a piedi, dalla Stazione Ferroviaria. Sono già presenti nell’area al-

tre numerose attività culturali: il MAMbo, ilMuseo d’Arte Moderna ricavato nell’ex Forno del Pane, la Cineteca Comunale, il Cineforum nato all’interno dell’ex Macello, la sede del DMS, il Dipartimento Musica e Spettacolo del DAMS, laboratori e sale prove e due Centri Culturali “La Salara” e “G. Costa”. L’Auditorium completerà l’area e contribuirà a trasformarla in un vero e proprio Campus delle Arti, aggiungendo la musica

a questo eccezionale mosaico culturale. La Manifattura delle Arti è un pezzo di città che, nonostante sia stata oggetto di interventi di recupero e numerose attività culturali al suo interno siano attrattive già consolidate, ancora fatica ad esprimere appieno le sue potenzialità. Proprio per questo il progetto dell’Auditorium mira a una ricucitura dei diversi ambiti: il Giardino del Cavaticcio è stato ripensato come nuova piazza raggiungibile da

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Sopra: 1. Cineforum; 2. Biblioteca; 3. La Salara centro culturale; 4. Sala prove Dams - sala conferenze; 5. Giardino del Cavaticcio; 6. Mambo; 7. Auditorium; 8. Palazzina Magnani; 9. Circolo culturale G. Costa; 10. Scuola di Musica; 11. Dipartimento Musica e Spettacolo, Facoltà Dams; 12. Parco XI settembre; 13. Il Vivaio; 14. La Cineteca

In basso: il plastico dell’area Manifattura delle Arti. Nel cuore dell’area verrà costruito l’Auditorium. Sorgerà accanto alla Palazzina Magnani che ospiterà i camerini e gli spazi studio e vi si collegherà attraverso più percorsi

più punti e dalla quale è possibile accedere all’Auditorium; la riqualificazione del Parco XI Settembre realizzata sia schermando, con nuove alberature, gli edifici che si affacciano su di esso sia ospitando al suo interno un Vivaio; la Scuola di Musica che sarà ubicata all’interno del Parco XI Settembre proprio di fronte all’Auditorium, mentre la pedonalizzazione dell’intera area migliorerà le condizioni ambientali dell’intero Campus. L’area risente dell’antica presenza del Porto e del Canale del Cavaticco che, fin dal XIV se-

colo, ha rappresentato la forza motrice di quello che per secoli è stato un vero e proprio distretto produttivo. È un’area priva di un tessuto urbano omogeneo, che si è nel tempo configurata attraverso una giustapposizione di ‘pezzi’ edilizi che oggi si fronteggiamo con caratteri forti e autonomi: il MAMbo, la Cineteca ex Macello e la Salara. Il nuovo progetto quindi interpreta questa drammaticità aggiungendo un altro pezzo. Un pezzo che rifugge il codice dell’architettura disegnata e come una sorta di meteorite atterra dall’alto e si posa nell’unico spazio nato dalla demolizione dell’Ex Cinema Embassy. Sorgerà accanto alla settecentesca Palazzina Magnani, un’importante riacquisizione poco nota ma ricca di suggestioni materiali, che vi si collega attraverso un doppio percorso, interrato e aereo, e ospiterà i camerini e gli spazi per lo studio della musica. L’aspetto scientifico che ispira tutto il progetto è ovviamente legato all’acustica. L’Auditorium infatti è stato progettato come se fosse un grande Stradivari. E poiché il suono per sua natura si diffonde e si espande verso l’alto il progetto asseconda questa natura fisica del suono verticalizzando la sala. Gli spettatori si troveranno quindi ad una distanza omogenea dall’orchestra e ciò gli permetterà di vedersi in faccia. Situazione che durante l’ascolto della musica produrrà un senso di appartenenza e di circolarità emotiva che farà aumentare la partecipazione degli spettatori.


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2P s.r.l Via Cicogna, 38/A 40068 San Lazzaro di Savena (Bo) Tel. 051.6258683 Telefax 051.6257032 e-mail: poggioli.2p@tiscalinet.it La nostra azienda è specializzata da 15 anni nella curvatura di profili di alluminio, ferro, ottone, acciaio, ecc. Ci occupiamo sia della curvatura di profili commerciabili per finestre, porte e facciate, sia della curvatura di profili ideati dal committente. Con le nuove normative CE la nostra azienda, oltre a occuparsi della sola curvatura dei profili, è anche in grado di fornire alcune tipologie di finestre già finite (fra cui oblò a bilico, oblò apribili a wasistas, finestre a 1 anta e a 2 ante) certificate UNI EN 14351-1 con le seguenti prestazioni: - permeabilità all’aria CLASSE 4 - tenuta all’acqua CLASSE E1050 - resistenza al carico del vento CLASSE C5 Oltre ai tipi di curve già citati, ci occupiamo anche della curvatura finalizzata per l’arredamento, per macchine automatiche e industriali, nonché di macchine utilizzate a scopo medico.

Curvature eseguite per Ditta Focchi s.p.a - Rimini


ARTE.ARTIGIANATO

L’IMPORTANZA DELLA FORMA

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Rifiniture e decorazioni particolari. Ricerca di caratteristiche estetiche e funzionali per inserirsi in ogni spazio della casa. Le creazioni in legno di Esse & Vi mostrano attenzione alla purezza della forma e cura ai colori caldi della materia utilizzata

a tecnica di lavorazione dei mobili cambia a seconda del progetto che si esegue. Durante la fase creativa si assiste ad un progressivo processo evolutivo di tipo estetico - funzionale che comporta cambiamenti a volte anche notevoli rispetto al progetto iniziale. Ogni volta è come raccontare una storia, e ogni storia ha uno stile diverso. «Trent’anni di esperienza nel campo della falegnameria su misura – racconta l’architetto Monica Vittoria - ci hanno consentito di ottenere un know how tale da permetterci, pur non trascurando le nuove tecnologie, di mantenere vive le caratteristiche artigiane del nostro lavoro e di non trascurare mai quella ricerca del particolare che fa la differenza. Sempre seguendo e mai snaturando i desideri di chi ci cerca per arredare la propria casa». Lo staff di Esse & Vi si occupa di lavorazioni in legno, in particolare arredi di interni, caratterizzandosi per la versatilità di produzione e per la capacità di accontentare ogni tipo di esigenza. «Quello che più ci interessa è coniugare lo stile personale e la necessa-

ria funzionalità, creando armonia nel cuore di ogni casa. Il nostro è un linguaggio che sintetizza l’utilità e la contemporaneità nel rispetto di una dimensione artistica ed estetica che non deve mancare e che deve rispecchiare in tutto e per tutto i gusti del padrone di casa. Continuiamo e soprattutto completiamo il lavoro di chi ha progettato una casa, ovvero l’architetto», prosegue Monica Vittoria. Idee, quelle di Esse & Vi, che quindi nascono dall’unione della propria esperienza con le esigenze del cliente, nella convinzione che per arredare casa ci vogliano personalità, gusto e funzionalità. Gli arredi caratterizzano gli spazi in cui viviamo e ci accompagnano durante tutta la nostra giornata. Il luogo in cui si vive è come un abito, ed è giusto che ognuno scelga il suo e se lo tagli su misura. Una casa, dunque, per essere accogliente deve assomigliare a chi la abita. Ne è convinta Monica Vittoria: «fa parte del nostro lavoro anche essere dei buoni “consiglieri”, ovvero aiutare i nostri clienti a definire spazi abitativi in cui possano riconoscersi al meglio. Da 30 anni lo facciamo con grande passione, che insieme alla professionalità credo siano ottime garanzie». Spesso lo staff di Esse & Vi costruisce arredi semplici (sebbene caratterizzati da rifiniture di alto artigianato) ma decorati in maniera particolare per creare un forte impatto estetico: i mobili in legno si trasformano in tele da decorare con estro e originalità. In questo modo un mobile diventa unico e prezioso in ogni dettaglio, dissimulando con discrezione la vena sotterranea della creatività parallela al risultato che si vede in superficie. (di Cristiana Zappoli) Esse & Vi Via 1° Maggio, 34/a - 40026 Imola Tel 0542643647 - Fax 0542647823 www.essevigroup.com DESIGN + 27



CONTRACT.DESIGN

OSPITALITÀ MULTIMEDIALE

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Inaugurato a Parigi un hotel completamente automatico. Tecnologico, innovativo nel design, senza personale. Hi matic Hotel ha 42 camere. A metà strada tra un albergo cittadino e un bed and breakfast, costituisce certamente una novità avveniristica

È

a Parigi, in Rue Charonne al numero 71, a sud della Bastiglia, il primo hotel totalmente automatico, dove tutto viene fatto tramite Internet e distributori self service. In pratica è concepito per funzionare senza apporto umano (lo staff può comunque essere contattato tramite tablet). Nuovo e coloratissimo, HI matic è un hotel interattivo e multimediale frutto della collaborazione tra la designer francese Matali Crasset, molto apprezzata da Philippe Starck, Patrick Elouarghi e Philippe Chatelet. È il terzo hotel che Matali Crasset disegna per il gruppo Hi life, gli altri due si trovano a Nefta in Tunisia (completato nel 2011), l’Hotel Dar HI, e a Nizza (realizzato nel 2008), sulla Promenade des Anglais, l’HI hotel. Matali Crasset, classe 1965, è nata a Chalons en - Champagne e ha studiato a Parigi. Ha lavorato a Milano con Denis Santachiara e a Parigi con Philippe Starck. Nel 1998 ha aperto uno studio proprio e molti dei suoi lavori sono inclusi nelle collezioni permanenti dei musei nazionali soprattutto in

Francia. Matali Crasset concepisce il design come una ricerca. Sviluppa da diversi anni una riflessione sui rituali domestici e sulle tecnologie domestiche e sulle questioni che riguardano il vivere insieme, sempre alla ricerca di nuove direzioni da esplorare, così come è successo con questo hotel parigino. Hi matic è un eco - alloggio che consente di vivere un’esperienza hi - tech a 360°. Sorge in un quartiere della città ricco di negozi biologici, ristoranti, concept stores, librerie. Qui si incontrano i giovani designer e qui aprono i loro ristoranti i giovani chef più promettenti. Come sostiene la stessa designer, Matali Crasset: «qui ci sono molti bar ed è un quartiere divertente, ma la zona non è turistica, ha mantenuto il suo sapore locale, con negozi e caffé caratteristici». È una zona popolare quanto trendy, racchiude in sé tutte le caratteristiche di Parigi, tanto da esserne quasi una versione concentrata. Con 42 camere, HI matic combina i codici di un hotel cittadino con quelli di un alloggio di campagna. Economico, ecologico e auDESIGN + 29


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CONTRACT.DESIGN

Sopra e sotto: alcune immagini degli spazi comuni all’interno di HI matic, la zona colazione e la hall. Gli spazi comuni sono concepiti in modo tale da favorire la socializzazione fra gli ospiti dell’hotel

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tomatico, ricorda il Riokan giapponese, l’ostello della gioventù, ma anche una clinica del benessere. Nel rispetto dell’ambiente, la scelta dei materiali è stata molto attenta: legno, gomma, pigmenti naturali scaldano le aree di convivialità e condivisione. Contemporaneo nell’aspetto, caldo nella scelta degli spazi abitativi e sincero per quanto riguarda la consapevolezza ambientale, HI matic è ciò che mancava nella città in fatto di alloggi di qualità. È un piccolo hotel perfetto per una città come Parigi, risponde ottimamente alle necessità del turismo urbano, per una permanenza breve come per una più lunga, un pied à terre per chi si trova a Parigi per un viaggio di lavoro o per chi vi si trova per piacere. L’hotel è stato pensato per essere semplice, informale e amichevole. L’unico modo per avere una camera è una prenotazione online che svela un codice d’accesso per i suoi servizi. Anche il check in si fa senza alcun intervento umano, attraverso un touch screen come quello che si trova negli aeroporti o nelle stazioni, lo stesso vale per il check out. Le camere sono disposte su cinque piani e arredate con un design moderno, dotate di iPad per effettuare ordinazioni tramite web, wi-fi, TV satellitare e bagno privato. Gli spazi sono sfruttati con estrema razionalità e fantasiosa creatività. Tutti i servizi sono personalizzabili e si possono scegliere tecnologicamente anche musica e libri preferiti. Infatti in un muro di vetro sono racchiusi alcuni box contenenti kit da viaggio, libri e musica. La prima impressione, scoprendo le stanze, è la sensazione di potersi appropriare del proprio spazio. Le 42 stanze sono concepite sul modello della cabina. Non c’è niente appeso alle pareti e la cabina è la stessa struttura che conduce a tutti i servizi. Il letto si trova su una piattaforma, con il suo materasso in memory foam realizzato su misura: di notte diventa un letto grande e confortevole mentre durante il giorno viene utilizzato come sofà per oziare, mangiare, lavorare. C’è anche una prolunga della struttura che diventa una piccola scrivania. Fluidità, autonomia, semplicità: il cliente è in un universo senza formalità, estremamente libero e, contemporaneamente, molto strutturato. La colazione è a base di prodotti biologici, servita in vassoietti monodose come quelli degli aerei collocati in un’apposita macchina che li distribuisce dalle 7:00 alle 11:00. Chi arriva viene accolto dalla musica che esce dall’iPad, a disposizione dei clienti per decidere cosa ascoltare nelle aree comuni o semplicemente per cercare informazioni utili. Hi matic non è un albergo low cost, il prezzo di una stanza si aggira infatti intorno ai 150 euro, ma è un modo diverso di concepire l’ospitalità alberghiera, mediando tra l’esigenza urbanistica di una grande metropoli e la ricerca di quel gusto minimalista ed ecologico che ormai è diventato un must per tutti. Essendo una struttura modulare, si presta a essere aperta in altri luoghi e a diventare una catena, quindi presto potrebbero sorgere Hi matic anche in altre città del mondo. Questo hotel rispecchia le idee della Crasset riguardo all’ospitalità. Basti pensare ad uno dei suoi primi progetti: “Quand Jim monte à Paris”. Un nome particolare ma che riusciva a descrivere lo spirito dell’oggetto in sé, un letto salvaspazio da srotolare sul pavimento di piccoli appartamenti in attesa di ospiti informali, nonché un emblema dei codici che avrebbero caratterizzato il lavoro della designer francese: uso del colore, flessibilità e ribaltamento dei presupposti dell’abitare. (di Cristiana Zappoli)


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PREMIAZIONI

IL PRITZKER VA A DE MOURA

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L’architetto portoghese ha vinto il Pritzker Prize 2011. Ha prodotto un cospicuo numero di opere pubbliche e private. Il progetto più celebre è lo Stadio di Braga in Portogallo

otenza e modestia. Autorevolezza esibita e senso di intimità. Audacia e delicatezza. Quando l’architettura mostra la propria adattabilità a ogni contesto, caricandosi degli aspetti più diversi e in contrasto tra loro nel modo più semplice e apparentemente senza alcuno sforzo, allora diventa un’esperienza globale, un’esperienza in grado di offrire un contributo tangibile e significativo all’umanità e all’ambiente architettonico. Ogni anno il premio Pritzker rende omaggio a un architetto vivente che attraverso una combinazione di talento, vision e impegno sia riuscito a realizzare con le proprie opere un tale ideale di architettura e quest’anno è stata la volta del cinquantaseienne architetto portoghese Eduardo Souto de Moura. Alla base del riconoscimento la sua capacità di andare 1

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oltre le mode e le apparenti discordanze formali, per unificare molteplicità di tradizioni architettoniche diverse. Souto de Moura esplora sempre la tipicità storicoculturale del territorio in cui andrà a inserirsi la propria opera e mette tale esplorazione in architettura attraverso un utilizzo eterogeneo di materiali, forme e colori. Grazie a questi aspetti la giuria del premio ha potuto affermare che la sua architettura "rafforza un senso di storia nella misura in cui espande la portata dell'espressione contemporanea". È vero infatti che ogni realizzazione dell’architetto portoghese è un ragionamento che opera nel senso del recupero della tradizione e della storia ma è altrettanto vero che ogni ragionamento viene poi raccontato architettonicamente dalla trama unificatrice di un linguaggio sempre spiccatamente moderno. È per questo che parlare di una

singola concezione architettonica per riferirsi al corpus che Souto de Moura ha sviluppato nell’arco dei suoi trent’anni di attività è ben riduttivo. Così come è riduttivo incasellarlo in un genere di costruzione o di scala di grandezza. Perché ogni schematizzazione pregiudiziale è puntualmente smentita dai diversi progetti realizzati che vanno dalle abitazioni unifamiliari, ai centri commerciali, agli hotel, agli appartamenti, a gallerie d’arte e scuole passando anche per la progettazione di un cinema. A voler raccontare la carriera di questo architetto portoghese che della sua terra porta una particolare leggerezza, quasi che ogni opera fosse concepita da una mente naturalmente libera, il premio Pritzker è il punto di partenza. Se infatti per qualsiasi architetto l’ambito riconoscimento può definirsi omega di un percorso professionale, un omega, beninteso,


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1) Eduardo Souto de Moura 2) Braga Stadium in Portogallo Costruito tra il 2000 e il 2003 è ispirato agli antichi ponti Inca del Sud America. 3) Paula Rêgo Museum, Cascais, Portogallo Costruite tra il 2005 e il 2009, le due piramidi tronche, che caratterizzano tutto il complesso, hanno lo scopo di catturare la luce zenitale. 4) Burgo Project in Boavista Avenue a Porto, Portogallo Edificio a torre completato nel 2006 e dedicato ad uffici e centri commerciali. Le trame in facciata hanno forme molto semplici e rielaborano la logica di Mies negli edifici di Chicago. 5) Manoel de Oliveira, Cinema House, a Porto in Portogallo Realizzato tra il 1998 e il 2003, è la prima testimonianza di un cambiamento formale nella architettura di Souto de Moura.

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PREMIAZIONI 6) House in Serra da Arràbida, in Portogallo Abitazione situata nel cuore del Parco Naturale della Serra da Arrábida e inserita in una cornice di assoluta tranquillità e armonia. 7) Ad Amares, Braga, in Portogallo Conversione del Convento cistercense del XII sec di Santa Maria do Bouro in una struttura di accoglienza di lusso. Tempi di realizzazione 1989 -1997.

culmine ed esaltazione e mai conclusione, nel caso di Souto de Moura lo stesso premio diviene anche alfa, quel principio che lo vede agli inizi della sua carriera allievo dell'unico architetto portoghese prima di lui ad aver mai ricevuto l’insigne onorificenza: Alvaro Siza. Con Siza, Souto de Moura studia e lavora durante i cinque anni di università dal 1974 al 1979, anni in cui, chissà, abbia preso forma l’idea alla base della sua prima committenza, il progetto del mercato municipale della città di Braga. È un approccio anticonformista il suo, un approccio disarticolato dalle tendenze del momento, che secondo la giuria del Pritzker caratterizza questo lavoro e tutte le altre realizzazioni di questi primi anni '80. Mentre tutto intorno il postmodernismo detta le proprie leggi, Souto de Moura sceglie e persegue una strada individuale. Allo sguardo retrospettivo egli appare come un architetto decisamente démodée, un architetto decisamente coraggioso, un architetto versatile nel progettare su scala urbana e su scala domestica. Sono la bellezza e l’autenticità dei materiali ad affascinarlo sopra ogni cosa. Le sue capacità in questo senso sono ben visibili in ognuna delle sue opere, come

ben visibile è l’influsso di Mies van der Rohe nella tendenza a fondere i materiali più antichi con le pratiche e i dettagli più moderni. Nelle sue opere, materiali estremamente eterogenei comunicano tra loro realizzando dialoghi architettonici di opposti generazionali. È del 1991 il Centro culturale di Porto realizzato con un attento utilizzo di rame, pietra, cemento e legno. Degli stessi anni il lavoro sulla pavimentazione, sulla texture, sui percorsi e sugli spazi pubblici della metropolitana di Porto. E accanto a questa tendenza una volontà ancora tesa a far dialogare gli opposti e portare il particolare paesaggio culturale, tradizionale e naturale nell’opera da realizzare. Con la grammatica della modernità. È l’esempio del convento e monastero cistercense del dodicesimo secolo situato nell'area montuosa vicino Amares di Santa Maria do Bouro al quale negli anni dal 1989 al 1997 l'architetto dona nuova vita di hotel a gestione pubblica. Nel complesso Souto de Moura rivendica per la sua arte la natura di atto mentale, di atto di pensiero che fa del progetto in primo luogo una scrittura in cui il contesto è un pre-testo. Comunque lo si legga. Lo stesso presupposto si ripresenta in un’opera 7

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completamente diversa, lo stadio municipale di Braga, da lui progettato nel 2000 e completato nel 2004 per gli europei di calcio. Quasi un milione di chilometri cubici di pietra granitica fatta esplodere per produrre il cemento necessario. Esplosioni mirate su un lato della montagna per creare una facciata a gradoni in granito che delimita “naturalmente” una estremità dello stadio. Sulle due estremità opposte si concentrano tutti i posti a sedere. Il risultato è una perfetta fusione di architettura e natura in cui la giuria del premio ha visto un lavoro muscolar e fortemente integrato con la potenza del paesaggio. Anche la Torre Burgo, completata nel 2007 a Porto e costituita da due torri poste una accanto all’altra porta avanti il discorso dell’imponenza architettonica. Interrogato dal direttore di Casabella sulle ragioni delle scelte formali adottate in quest'ultimo caso, Souto de Moura risponde a sua volta con una domanda: “È preferibile essere buoni o interessanti?” La risposta conferma il sottile e costante legame con l’architetto tedesco maestro del Bauhaus. Con la realizzazione del Museo di Paula Rego a Cascais nel 2008, il ragionamento progettuale si sposta in un contesto completamente diverso: ideare una struttura al centro di una foresta. Souto de Moura propone una serie di volumi dalle altezze variabili regolate su quelle degli alberi circostanti e sceglie un colore in deciso contrasto con quello della foresta, il rosso. A questo punto, immaginando di allinearci con la dinamica progettuale di Souto de Moura ci spostiamo all'indietro, sempre di più, per una visione globale di opere e luoghi, fino a raccogliere con uno sguardo ideale la sua vasta produzione. L’impressione che ne rimane è la stessa che si prova guardando un paesaggio a distanza, un’impressione analoga alle ragioni che hanno determinato l'assegnazione del Premio Pritzker di quest’anno: un’architettura, naturale, serena e semplice. (di Silvia Di Persio)



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RESTAURO

RIAPRE IL NEGOZIO OLIVETTI

Olivetti, la laguna di Venezia e l’architetto Carlo Scarpa. Uno storico connubio che ritorna in auge. La ragione è la conclusione del restauro del famoso negozio. Grazie a Generali che ha sostenuto i lavori, per poi affidare il museo in concessione al FAI

È

un negozio progettato, nel 1958, per trasmettere l’immagine dell’Azienda. L’Olivetti. L’architetto? Carlo Scarpa. E dal 22 aprile 2011, a più di 50 anni dalla sua costruzione, il negozio Olivetti di Venezia è stato completamente restaurato, da Gretchen Alexander Gussalli Beretta, in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, e donato in comodato, da Assicurazioni Generali, al FAI affinché lo gestisca e ne garantisca l’apertura al pubblico. L’uomo che visitò, alla fine degli anni ’20, gli stabilimenti Ford di Highland Park, avendo così modo di entrare in contatto

Nacque nel 1906 a Venezia e vi tornò alcuni anni più tardi per studiare all'Accademia di Belle Arti. Ma già mentre studiava ottenne il primo incarico con alcuni vetrai di Murano. Ambiente in cui maturerà l’interesse per l'Oriente, le arti plastiche e applicate e verso l'architettura organica di Frank Lloyd Wright. Divenne presto insegnante presso l’Istituto Superiore di Architettura di Venezia e nel 1978 ricevette presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia una laurea honoris causa in architettura che mise fine alla continua disputa sulla legittimità del suo operato. Ma a causa di un incidente in Giappone non partecipò alla cerimonia di consegna. Dal 2006, a Treviso presso l'Archivio di Stato, esiste il Centro Carlo Scarpa con circa 30 mila disegni dell’architetto.

con la filosofia fordista del “My life and work”, e che ritornato a Ivrea cominciò immediatamente a sperimentare il Taylorismo adattandolo al contesto italiano, è appunto Adriano Olivetti, il giovane industriale illuminato, che commissionò il progetto per il Negozio Olivetti di Piazza San 36 DESIGN +

Marco a Venezia al giovane architetto veneziano Carlo Scarpa. L’azienda Olivetti entro i primi anni ‘30 fu investita da una radicale trasformazione dovuta principalmente all’adozione di una serie di provvedimenti in favore dei dipendenti e alla scelta da parte dell’azienda di una vasta gamma di progetti innovativi. Progetti che nel 1955 portarono Adriano Olivetti a ricevere il Compasso d’Oro per meriti conseguiti nel campo dell’estetica industriale. L’industria cambia volto. E quando Carlo Scarpa è stato chiamato dall’Olivetti per il progetto del negozio la sfida era: progettare un punto vendita che diventasse anche immagine dell’azienda. Una “vetrina” prestigiosa ed elegante che mostrasse, nel cuore di una piazza unica al mondo, i prodotti dell’Olivetti: un’impresa all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e caratterizzata da una forte partecipazione in ambito culturale. Adriano Olivetti desiderava un “biglietto da visita” che riuscisse a rappresentare i suoi prodotti e a testimoniare la sua visione del mondo. Questa doppia richiesta è stata rappresentata e sintetizzata da Carlo Scarpa in una meravigliosa e raffinata soluzione architettonica che lega, attraverso il proprio linguaggio, il passato e il presente della città. La genialità di Scarpa trasforma un piccolo e angusto spazio, con luci, forme, dettagli e soprattutto con i suoi classici materiali, in un negozio, dilatato con infinite soluzioni, dallo spazio inafferrabile in grado di rappresentare la tradizione immaginifica della città. Profondo 21 metri, largo 5 e alto 4, l’ambiente si presentava stretto e lungo, poco illuminato e diviso in due vani da una parete e con due strette scalette che portavano a un ammezzato molto basso. Scarpa elimina il muro di mezzo, amplia così il volume del vano e ne sfrutta al massimo la lunghezza inserendovi lateralmente due lunghi ballatoi. Colloca al centro della nuova sala la famosa scala, il perno visivo di tutto l’ambiente, un vero capolavoro archi-

tettonico realizzato in pietra d’Aurisina, che lui stesso, solitamente indulgente, definisce molto bella. E aggiunse anche: “È una scala costosissima. Però Olivetti può permettersela - per il re si può fare un palazzo reale”. Accanto alla scala, sopra una base di marmo nero del Belgio, vi ha posto una scultura di Alberto Viani, Nudo al sole, ricoperta da un leggero scorrere d’acqua. Il pavimento diventa un altro elemento identitario di tutto il negozio. Realizzato con un mosaico in tessere di vetro di varie dimensioni e colori, il pavimento cambia colore a seconda della zona del negozio: rosso all’ingresso, la parte centrale del negozio è bianco-grigia, la zona di accesso laterale

blu mentre il retro è giallo. Diventa un gioco di luce e trasparenze, di colori e barlumi che riprendono e interpretano il tipico linguaggio veneziano fatto di riflessi d’acqua e sciabordii colorati. Anche le pareti ripropongono e rileggono un caposaldo dell’architettura classica veneziana: lo stucco ve-


La soluzione architettonica adottata lega il passato e il presente. In un piccolo e angusto spazio diviso da una parete e con due strette scalette, Scarpa elimina il muro e vi inserisce lateralmente due lunghi ballatoi e colloca al centro la famosa scala il perno visivo di tutto l’ambiente

neziano, ma proposto su pannelli inframmezzati da luci fluorescenti verticali protette da lastre di vetro satinato. Ma la luminosità dell’ambiente è affidata anche ad un insieme di lampade in ebano che illuminano l’ambiente scorrendo a piacimento su cavi d’acciaio sopra le vetrine realizzate in

cristallo molato. Al piano superiore le finestre sono state schermate all’interno con grate dalle forme ovali e con andamento scorrevole, mentre i ripiani per le macchine da scrivere sono stati realizzati o in palissandro o in metallo e vetro. Superando l’aspetto dimensionale dello spazio, Scarpa

crea un’opera che viene riconosciuta come una delle più significative realizzazioni di architettura civile del XX secolo. Opera che, nel 1997, la società di Ivrea smette di utilizzare come showroom e lascia che lo spazio venga adibito a rivendita di oggetti per turisti. (di Gianfranco Virardi) DESIGN + 37


PROFESSIONAL

Via Amedeo Modigliani, 10/a1 40014 Crevalcore (Bo) edilizia: tel. 051.980122 fax 051.6803250 mostra ceramica: tel. 051.6800888 fax 051.6803249 www.forniathos.it ceramiche: cristina@forniathos.it edilizia: cremona@forniathos.it

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Dal 1960 la ditta Forni Athos aiuta i propri clienti a realizzare la casa dei loro sogni, affiancandoli con professionalità e attenzione, dalla scelta dei materiali per la costruzione come laterizi, isolanti, collanti, cappotti coibenti, finestre VELUX, fino alla scelta dei materiali di finitura per pavimenti e rivestimenti, per esempio il gres porcellanato o il legno, e per gli arredi. La Forni Athos tratta le migliori marche sul mercato: Panaria, Caesar, Mutina, Casa dolce casa, Bisazza, Lea Ceramiche, ABK, Ce.Si, Riverstone, legno Gazzotti e Original Parquet, Ardesia di Artesia, mobili Toscoquattro e Rifra, autobloccanti Paver, pavimenti e rivestimenti in vetro Skytech, vetroarredo Seves.

La Società Agricola Colombini Ulisse opera nel settore del “verde” da diversi anni, si occupa di progettazione, realizzazione e manutenzione di terrazze, giardini, giardini pensili e parchi, realizzando location uniche con tecnologie d’avanguardia. Si occupa, inoltre, di potature, anche di alberi ad alto fusto, creazioni di impianti di irrigazione e trattamenti fitosanitari. Grazie all’esperienza acquisita nel tempo è in grado di offrire soluzioni personalizzate che soddisfino ogni tipo di esigenza, offrendo un servizio completo dalla progettazione fino alla messa in opera. L’azienda, oltre alla normale attività vivaistica, è in grado di fornire piante da tartufo, nonché di creare tartufaie artificiali.

La Falegnameria Soffritti, fondata nel 1981, è specializzata nella produzione di porte, infissi e mobili realizzati su misura. Tutta la produzione viene curata internamente all’azienda partendo dalla fase di progettazione per finire con la verniciatura e l’installazione: questo garantisce alla clientela un prodotto di qualità superiore, in grado di rispondere a tutti gli standard nazionali ed internazionali, e completamente personalizzato. I prodotti sono realizzati rispettando in tutto e per tutto le esigenze del cliente attraverso la cura dei particolari e delle rifiniture, per offrire sempre e solo il meglio. Oggi come ieri l'azienda mette a disposizione della propria clientela tutta la professionalità e l’esperienza acquisite nel corso degli anni.



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UNA SECONDA VITA Torino cambia. E anche Cino Zucchi vi partecipa. È sua la nuova soluzione del MAUTO, il Museo Nazionale dell’Automobile. Il nuovo progetto che coinvolge e amplia la vecchia struttura e cambia le relazioni esistenti tra il museo e il paesaggio circostante di Iole Costanzo

SCHEDA

Cliente Museo Nazionale dell’Automobile di Torino Progettazione e direzione artistica Cino Zucchi Architetti CZA Coordinamento e direzione lavori RecchiEngineering Srl Progetto strutturale e impiantistica Proger Spa Consulente per il restauro Michela Catalano Progetto carpenteria metallica Studio Durbano Progetto rivestimenti vetrati e metallici Caolo srl Allestimento François Confino con Studio LLTT Tempi 2005 – 2011


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orino con il suo evolversi, con la sua voglia di cambiare veste e anche sostanza, è oramai per molti il simbolo del rinnovamento. E così uno dei luoghi storici della città, il Museo dell’Automobile, è stato coinvolto in un’ampia opera di restyling e di ampliamento. La storica struttura, progettata nel 1932 da Amedeo Alberini, è stata restaurata e arricchita di una nuova pelle, di nuovi volumi e nuovi spazi espositivi da Cino Zucchi. Il nuovo ampliamento integra il corpo esistente. Lo abbraccia, lo avvolge e coinvolge e dà continuità e omogeneità linguistica, materica e percettiva a tutto il complesso. Torino, l’ex capitale sabauda, nei suoi nuovi lavori di recupero, ristrutturazione e riqualificazione ha coinvolto edifici storici e industriali come la Regia Manifattura Tabacchi, le Officine Grandi Riparazioni che sono state trasformate in sede aggiuntiva per la Gam, la Galleria d'Arte Moderna, il nuovo Urban Center, il Cortile del Maglio e l’ex Arsenale Militare che è diventato luogo d’esposizione artigianale. Anche 15 km del circuito ferroviario sono stati interrati e ciò che prima divideva in due la città diventerà, secondo questa nuova logica di recupero e rigenerazione, un nuovo percorso attrezzato, con una nuova stazione e degli strutturati percorsi museali. Tutti lavori che cominciarono con lo scopo di organizzare i XX Giochi Olimpici invernali che si sono tenuti nel 2006 e che si dimostrarono, nel tempo, essere la giusta occasione per avviare la trasformazione di Torino, città industriale postfordista, in una vera città-laboratorio.

Una città che dopo la crisi manifatturiera ha saputo creare il giusto humus per divenire una vivace città di cultura. L’originale complesso museale progettato da Amedeo Albertini e caratterizzato dall’articolazione in più corpi edilizi presenta un volume principale che prospetta, con un’ampia facciata convessa e 114 metri di lunghezza, verso il fiume Po e verso lo storico corso Unità d’Italia. Un’architettura pensata per cogliere lo sguardo veloce degli automobilisti. Una superficie continua, lineare, “ve-

Sopra: la corte, spazio preesistente che dopo il nuovo intervento è diventato una Piazza per gli eventi sociali. Un ambiente suggestivo rivestito con una pelle d’alluminio forato. A sinistra: schizzo del rivestimento esterno. In alto a destra: il rivestimento di vetro serigrafato presente all’esterno. Piccoli pannelli dalle diverse dimensioni e sfumature, montati seguendo ricorsi orizzontali. A fianco: altra immagine interna della Piazza

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PROGETTO / 1 Sotto: il Museo dell’Automobile visto dall’esterno. L’impostazione orizzontale dei pannelli d’alluminio montati in facciata è interrotta da ampie vetrine

loce”. La richiesta del bando di concorso indetto nel 2005 consisteva unicamente nell’addizione di una nuova ala su via Richelmy e nella riorganizzazione dell’intero sistema di accessi. Il Museo dell’Automobile, dopo l’intervento di Cino Zucchi, è diventato invece un segno, un landmark. È il simbolo della riconciliazione tra l’ambiente e l’automobile. È una nuova immagine. È la prima architettura dal linguaggio contemporaneo che si incontra entrando in città da sud. Il nuovo intervento, di restauro e di ampliamento, si basa su alcuni punti fondamentali: l'apertura del piano terra verso

le colline e il Po; la copertura e la trasformazione della corte preesistente, elemento di unione tra le diverse parti del complesso, in un luogo per eventi sociali. Il nuovo corpo aggiunto sul fronte ovest abbraccia e coinvolge la struttura preesistente modificandone lo spazio dedicato agli uffici. Vi dona maggiore respiro. Copre la terrazza che prospetta sull’ampliamento e ricava, con la chiusura della corte giardino, una hall che regala ai fruitori del MAUTO un ambiente suggestivo, omogeneo, un unicum rivestito con una pelle d’alluminio forato. Un’unica suggestione dunque che sembra legare

L’AMPLIAMENTO DEL MUSEO INTEGRA IL CORPO ESISTENTE. LO ABBRACCIA E AVVOLGE. CONFERISCE CONTINUITÀ LINGUISTICA, MATERICA E PERCETTIVA A TUTTO L’INTERO COMPLESSO


Sopra: la facciata convessa lunga 114 metri. Appartiene al complesso museale progettato nel 1957 da Amedeo Alberini e prospetta verso il fiume Po e verso il corso Unità d’Italia. Era stata pensata per dare, con la sua superficie continua e lineare, l’idea della velocità e del progresso. Di una città al passo con i tempi



PROGETTO / 1 A destra:la planimetria generale dell’intero complesso mostra chiaramente il rapporto diretto esistente tra il MAUTO, il fiume, il verde e il corso Unità d’Italia. Tre fronti, tre diverse suggestioni che dialogano con il complesso museale

l’interno all’esterno. All’interno de La Piazza, il cuore della nuova struttura, luogo che lascia anche scorgere le storiche strutture in calcestruzzo, vi si arriva attraversando l’ingresso, un’area che prima aveva funzione di deposito per le auto storiche. La struttura che Cino Zucchi ha ridisegnato, la struttura baricentrica che collega il nuovo all’esistente, non è altro che la vecchia corte protetta con una copertura a pianta rettangolare ritmata e illuminata da una serie di lucernari in policarbonato poggianti su travi reticolari di 30 metri di luce. Le travi secondarie, oltre ad avere funzione portante, hanno anche valenza di brise-soleil fonoassorbente. Infatti, proprio perché rivestite da pannelli di cartongesso microforati controllano il riverbero sonoro interno e con il loro profilo a V mitigano il surriscaldamento estivo garantendo una luce diffusa. Il vecchio museo ha così cambiato aspetto. E l’elemento che uniforma tutto l’intervento è appunto il rivestimento esterno: un’interpretazione dei prospetti continui delle strade della città. Una vera quinta cittadina il cui sviluppo geometrico ha richiesto 3 diversi raggi di curvatura, diversi aggetti e rientranze, e lastre di vetro extrachiaro temperato e serigrafato che offrono all’interno diversi gradi di trasparenza. Complessivamente tutto l’intervento ha avuto un costo di 33 milioni di euro, di cui 22 milioni sono stati destinati alla ristrutturazione e all’ampliamento dell'edificio, i restanti sono stati adoperati per gli allestimenti interni curati dallo scenografo François Confino, lo stesso che in città intervenne sul Museo Nazionale del Cinema. Il suo allestimento ha coinvolto la ricca e interessante collezione del MAUTO., formata da più di 200 automobili originali esposte su tre piani, collezionate tra il 1769 e il 1996 in una suggestiva esposizione realizzata con l’ausilio di una scenografia sonora e di una serie di effetti speciali che l’hanno resa interattiva ed emozionante e adatta anche a un pubblico vasto e non solo di elezione. DESIGN + 47


PROGETTO / 1 PROSPETTO

SEZIONE

Nella foto in basso: vista notturna del complesso museale reso omogeneo dal rivestimento esterno che coinvolge anche l’architettura preesistente. L’illuminazione notturna esalta le ampie e regolari vetrine. La struttura è la prima architettura contemporanea che si incontra entrando in città da sud

48 DESIGN +


LO SVILUPPO GEOMETRICO DEL NASTRO DI VETRO CHE CARATTERIZZA LA NUOVA ALA DEL MUSEO DI TORINO HA RICHIESTO 3 DIVERSI RAGGI DI CURVATURA, DIVERSI AGGETTI E LASTRE DI VETRO SERIGRAFATO

In alto: pianta primo piano. A sinistra: dettagli della facciata. La sezione evidenzia come la vetrina si inserisca in facciata

DESIGN + 49


PROGETTO / 2

LA PASARELA SUL PARCO La città di Madrid ha un nuovo ponte. La prima opera ingegneristica di Dominique Perrault è un’architettura che dalla due sponde del fiume Manzanares conduce al centro del Parque de la Arganzuela di Iole Costanzo

Struttura costole in acciaio

Diagonali (struttura spiraliforme)

Struttura longitudinale

Piloni

50 DESIGN +

Nodi

M

adrid, la storica città spagnola dall’intramontabile fascino, cambia veste. Partecipa a questa metamorfosi anche l’architetto francese Dominique Perrault con la sua prima opera di ingegneria civile: il ponte ciclopedonale Arganzuela, costruito per attraversare l’omonimo Parco e il fiume Manzanares. Il ponte è lungo 278 metri lineari ed è costituito da due coni la cui larghezza varia dai 5 ai 12 metri. Due coni aventi anche diversa lunghezza, l’uno di 150 metri e l’altro di 128 metri, che, rivestiti in maglia di metallo, accompagnano da sponde opposte il pedone al centro del Parco. È un’opera che rientra nell’ambizioso piano di recupero, il Rio Madrid, redatto dai paesaggisti olandesi West 8 in collaborazione con lo studio spagnolo Mrio Arquitectos: un parco pubblico che, snodandosi dal Puente del Rey fino al Parque de la Arganzuela per più di 1 milione di metri quadri di superficie, offre ai cittadini 20mila alberi, una ventina di aree per bambini, piste per skateboard, pattini e bmx, campi da calcio, strade ciclabili e aree di relax con fontane e piante di ogni genere. Il nuovo parco è in buona parte progettato sopra i tunnel dell’ M-30, l'anello delle tangenziali costruito nel 1970 intorno al cuore della capitale e che nel 2005 è stato interrato per ben 25 m sotto le rive del fiume Manzanares. È un piano pensato per collegare due parti di città servendosi del verde, di diversi ponti e della stessa integrazione del fiume, il Manzanares, che la città ha avuto modo così di riscoprire. Il ponte di Dominique Perrault, la Pasarela Arganzuela che si trova tra i ponti storici, il Toledo e il Praga, due importanti punti di riferimento per i madrileni, collega i quartieri Arganzuela e Carabanchel. È stato progettato unicamente per pedoni e ciclisti. Per consentire il passaggio di persone da un lato del parco all'altro, bypassando il fiume e l’intera fascia di verde che oggi oc-

A destra: la Pasarela Arganzuela, un ponte realizzato in due parti di diverse lunghezze tra loro e con una sezione che varia lungo il percorso. I due coni hano l’accesso di circa 5 m di diametro e l’arrivo di 12 m


SCHEDA

Architetto Dominique Perrault Architecture Cliente Comune di Madrid Luogo Parque de la Arganzuela Strutture MC2 / Julio Martínez Calzón Ingegneria meccanica TYPSA, Madrid Superficie totale 1 684 m²


PROGETTO / 2 cupa lo spazio della M30. L’impostazione progettuale di Perrault fa sì che si crei, in una zona centrale dell’area, un ulteriore ingresso al parco sottostante: un’ampia piattaforma d’arrivo su cui i due segmenti del ponte, non appartenenti alla stessa retta, giungono senza incrociarsi. Restano tra loro distanti e all’arrivo sulla piattaforma acquistano valenza di nuova porta. Una porta con belvedere da cui godere un diverso punto di vista e da cui ammirare il famoso Ponte Toledo. Un nuovo sguardo sul parco e la città. Il Parco Arganzuela ha una topografia irregolare e il ponte, galleggiandovi sopra, per-

ché i due segmenti conici poggiano ognuno su due punti, crea attraverso il rivestimento metallico un gioco di luci e di ombre sul morbido prato verde sottostante e ovviamente anche al suo interno. La struttura metallica, 4 profili giuntati tra loro con un elemento di raccordo multi direzionale, è rivestita con elementi d’acciaio ricurvi, che evocano uno scheletro di balena e sono ricoperti da una spirale metallica: un nastro che, avvolgendo in modo ritmico e dinamico la struttura, protegge gli astanti dal sole e dalle intemperie. Per far questo l’architetto ha scelto il suo materiale d’elezione, la rete metallica, che con i giochi di

Il ponte attraversa il Parque de la Arganzuela, in totale 280 m, poggiando su solo 8 piloni posti all’inizio e alla fine dei due tronchi. Al centro il ponte passa senza altri appoggi sui corsi d’acqua e sui giochi di verde



PROGETTO / 2

Rete

Substruttura a costole

Struttura principale

Camminamento

Passerella nord Passerella sud

Sopra: schema strutturale dei due coni che formano il Ponte Arganzuela. A destra: le due immagini mostrano la costruzione della Pasarela Arganzuela parallelamente al completamento del parco sottostante, il Parque de la Arganzuela. Il parco fa parte di un masterplan molto più ampio, il Rio Madrid, progettato dallo studio olandese West 8 insieme allo spagnolo Mrio Arquitectos, sulle sponde del fiume Manzanares dopo l’interramento delle tangenziali costruite nel 1970

LA PASARELA ARGANZUELA CHE SI TROVA TRA I PONTI STORICI, IL TOLEDO E IL PRAGA, COLLEGA I QUARTIERI ARGANZUELA E CARABANCHEL

54 DESIGN +

trasparenza, filtraggio, riflessione e opacità trasforma e cambia l’architettura in relazione ai diversi momenti della giornata. È una struttura leggera la prima opera di ingegneria civile di Perrault. Ma costruirla ha richiesto più fasi. Innanzitutto nei diversi momenti costruttivi sono stati necessari molti punti d’appoggio, opere provvisorie in metallo di altezza variabile con plinti di cemento armato, su cui far poggiare i diversi elementi della struttura prima che saldati

tra loro si tenessero autonomamente. Solo giunti alla fine le opere provvisorie sono state rimosse lasciando la struttura, solida nelle sue parti, librare sul parco fidandosi di soli due punti d’appoggio. La leggera Paserela Arganzuela, ombreggiata durante il giorno diviene invece luminosa durante le ore notturne. Diventa un oggetto vibrante. Una lanterna, come lo stesso architetto lo ha definito, che acquista valenza di simbolo: il simbolo del grande Parque de la Arganzuela.


DESIGN + 55


PROGETTO / 2

Sotto: lo schema planimetrico rende chiaro come i due coni formanti il Ponte Arganzuela giungano sulla collina-belvedere posta nella parte centrale del parco tra il fiume Manzanares e il secondo corso d’acqua progettato per assorbire un aumento della portata d’acqua

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In alto: l’immagine mostra chiaramente l’intreccio complanare che riveste il ponte. L’ultimo strato è formato da una rete, il tipico materiale usato da Dominique Perrault in molte situazioni come brise-soleil. Sotto: la struttura è vista dall’interno. Il camminamento è ligneo e in parte è pedonale e in parte ciclabile

DESIGN + 57


PROGETTO / 3

SCHEDA

Progettisti CAAU, Coldefy & Associés Cliente Vocational Training Council Hong Kong Strutture Arup Hong Kong Verde ACLA Hong Kong Acustica Shen, MIlson & Wilke Hong Kong Costi dell’opera 78.000.000 di euro


ROCCAFORTE DEL DESIGN

In una città che ha scelto l’espansione verticale, Hong Kong, lo studio francese CAAU ha progettato l’istituto di design HKDI secondo uno schema orizzontale. Una struttura mista, con torri e piattaforme di Mercedes Caleffi


PROGETTO / 3 Area verde Piattaforma superiore Podio

Scale mobili

Entrata pedonale

Torri

Piazza pedonale

Entrata per i veicoli

È

Pendio ripido

Parcheggio Piscina biciclette

una struttura dalle spropositate dimensioni. È in cemento, vetro e acciaio, ed è composta da 4 torri e due piastre. L’edificio, progettato dallo studio francese CAAU, Coldefy & Associés, Architectes Urbanistes, è l’HKDI, l’Hong Kong Design Institute, commissionato dal Vocational Training Council. L’HKDI è una scuola che ha come indotto più di 40mila studenti e necessita di una superficie di ben 42mila mq. L’edificio è monumentale e si trova in una zona centrale di Hong Kong, città che proprio per la sua particolare impostazione urbana è in grado di metabolizzare anche edifici con tali impostazioni dimensionali. La tipologia più comune presente in questa città è ovviamente quella dalle dimensioni verticali, invece l’HKDI ha un andamento orizzontale. Una struttura che non solo modifica l’assetto dell’isolato ma anche quello della tipologia scolastica. L’obiettivo del nuovo edificio dell’HKDI è quello di riunire in un’unica sede l'insegnamento di diverse discipline artistiche, il cinema, la moda, il disegno, la musica digitale, la fotografia e l’animazione 60 DESIGN +

Parcheggio Campi sintetici

3D, il disegno industriale e l’architettura di interni, la stampa e la grafica. Discipline in precedenza dislocate in vari punti della città. Intento pedagogico riuscito anche perché l'edificio si trova nel distretto di Sai Kung, ad est della penisola di Kowloon, di fronte alla Junk Bay e l'area su cui sorge è ad alta densità residenziale ed è servita sia dalla metropolitana di Tiu Keng Leng che


La struttura portante dell’edificio è una “diagrid”in acciaio. La staticità della struttura è garantita dagli elementi posti in diagonale che, diventando solidali con gli elementi orizzontali in cemento armato, riducono il bisogno di quelli verticali. In basso: la fotografia rende evidenti gli elementi che formano il complesso: 4 torri e i due elementi orizzontali, il podio e la piattaforma aerea

PIANO VOLUMETRICO

DESIGN + 61


PROGETTO / 3 PIANTA 4째 LIVELLO

PIANTA 7째 LIVELLO - PIATTAFORMA

PIANTA 1째 LIVELLO - PODIO

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SEZIONE TRASVERSALE

A sinistra: i campi sportivi, per gli studenti e i cittadini, posti sulla copertura del podio. Sotto: l’interno della piattaforma costituita da biblioteca, sale multidisciplinari e amministrazione

dagli autobus. C’è chi ha voluto leggere nell’impostazione metaprogettuale di questo edificio una citazione della teoria della Ville spatiale proposta dall’architetto Yona Friedman per risolvere i problemi della densità nelle città. Ma nella realtà l’HKDI è ben lontano dall’impostazione compositiva dell’architetto israeliano. Infatti, non lascia alla città la quota zero. Il piano è completamente occupato da un’ingombrante struttura orizzontale, il podio, contenente gli auditorium e vari servizi. Il solaio di copertura, posto a 7m di altezza dal piano di campagna, funge da quota zero, ed è stato pensato per offrire strutture sportive all’aperto e angoli verdi alla popolazione studentesca e a quella cittadina. Il podio, l’elemento matericamente rappresentato dal cemento, funziona come un “salotto urbano”. Così, con i suoi spazi verdi interni ed esterni, con i due campi sportivi di pallacanestro e calcetto e una piscina, è in grado di favorire l'incontro e l'interscambio. Sono quattro gli auditorium realizzati in questo spazio, di cui uno con 700 posti. Il tutto è corredato di una caffetteria, uno spazio per il design e una sala espositiva. Percettivamente è dalla copertura del podio che si innalzano le quattro torri, i quattro elementi verticali che non hanno solo valenza strutturale. Sono torri di collegamento verticale e ospitano le strutture scolastiche con le loro aule per le molteplici discipline. Sono il simbolo della multidisciplinarietà e sono state spiritosamente so-

prannominate dai progettisti “legs of education”. La loro staticità è legata a una struttura a “diagrid” in acciaio: pensata su basi triangolari con elementi posti in diagonale che si legano anche orizzontalmente con travi-solai in cemento armato, rendendo tutta la struttura solidale. Questa soluzione riduce l'utilizzo di elementi verticali quali colonne e setti. Garantisce, inoltre, un'ottima rigidità laterale adatta a supportare la lunga scala mobile alta circa 60 metri e il livello superiore, l’aerial platform: ultimo elemento orizzontale posto a conclusione della struttura che è definita “aerial” non solo per la sua posizione ma anche perché ha un aspetto diafano quasi inconsistente. È una piastra quadrata, 100m x 100m, che si affaccia al mondo esterno attraverso intere vetrate serigrafate e ospita oltre alla multidisciplinare biblioteca anche gli uffici amministrativi e gli spazi per il brainstorming.

DESIGN + 63


Foto di Iwan Baan

PROGETTO / 4

SCHEDA

Cliente SNC Biarritz Ocean Luogo Biarritz, France Cronologia 2005 - 2011 Progettisti Steven Holl Architects Strutture Betec & Vinci Construction Marseille Acustica AVEL Acoustique


COME ONDE Uno spazio dedicato. Un luogo pensato per celebrare una delle peculiarità di Biarritz: le onde dell’Oceano Atlantico. Quelle onde da cavalcare che sono la passione dei surfisti. A loro è dedicata la Cité de l'Océan et du Surf appositamente progettata dall’architetto americano Steven Holl di Mercedes Caleffi


Foto Steven Holl Architects


Foto di Iwan Baan

PROGETTO / 4

Entrambe le foto riprendono la copertura del museo. Una copertura concava che evoca simbolicamente il movimento ondoso. Le leggere strutture vetrate che sembrano semplicemente appoggiate ospitano il bar e il ristorante. È una copertura che avrà funzione di piazza, di luogo di incontro per chi ama il surf

B

iarritz, una cittadina francese dei Pirenei Atlantici e il surf. Un binomio forse conosciuto da molti, ma che adesso è legato anche al mondo dell’architettura. A fare da intermediario tra questi due mondi c’è l’architetto americano Steven Holl. La Cité de l'Océan et du Surf, il COS, è un museo dedicato al surf e Steven Holl ne ha progettato la struttura. È una struttura pensata per suscitare una suggestione in particolare: l’onda. Le onde che negli anni ’60 hanno fatto scoprire a Biarritz il surf, la disciplina importata dalla California che ha trasformato l’elegante città costiera, storicamente legata alla caccia delle balene, in uno dei poli europei più conosciuti per la pratica di questo affascinante sport. Da tutto il mondo giungono surfisti pron-

ti a cavalcare le onde. E Biarritz non si è fatta scappare l’occasione. Ha alle spalle una buona strategia di marketing per lo sviluppo locale. E una logica così impostata ha conseguentemente portato ad un Surf Festival annuale, alla formazione dell’Ecole du Surf e ora anche alla Cité de l'Océan et du Surf. Un nuovo luogo dove poter approfondire la conoscenza del mare. Il concetto spaziale adottato da Steven Holl è fondamentalmente supportato da due motti "sotto il cielo" e "sotto il mare". È la forma concava il carattere dello spazio esterno: la "Place de l'Océan" rivestita con ciottoli portoghesi ed erba. All'interno l’edificio è ovviamente convesso e il ricurvo soffitto sottostante acquisisce anche la valenza di spazio espositivo principale. Diventa uno spazio dinami-

LA CITÉ DE L’OCÉAN E DU SURF SI APRIRÀ AL MONDO DELL’ECOLOGIA E DELLA SCIENZA, ALLA CONOSCENZA APPROFONDITA DEL MARE E DELLE SUE RISORSE

DESIGN + 67


PROGETTO / 4 SEZIONE TRASVERSALE

Foto di Iwan Baan

SEZIONE LONGITUDINALE


SEZIONE AA

SEZIONE BB


PROGETTO / 4 A sinistra: planimetria generale di tutto il complesso. L’edificio si troverà negli anni immerso nel verde e un percorso dall’andamento naturale condurrà il visitatore nei pressi della spiaggia più vicina. Sulla copertura concava della sala interna si proietteranno immagini marine

Foto Steven Holl Architects

co e la superficie curva si anima con le immagini in movimento che vengono su di essa proiettate e con la luce. L’interno del volume è stato pensato per assecondare la sensazione di essere immersi nell’acqua. Ed è lo stesso calcestruzzo armato, curvo, quasi morbido e fluido che rafforzando l’idea di un ambiente “acquatico” evidenzia all’interno le diverse funzioni espositive. Gli ambienti sono intonacati di bianco e il pavimento è in legno. In copertura, sulla "Place de l'Océan”, la candida struttura rifinita con il cemento bianco fa da supporto ai due volumi diafani, di vetro acidato, che si collegano alla hall d’ingresso del museo, pur restando

ALL'INTERNO L’EDIFICIO È CONVESSO E ACQUISISCE LA VALENZA DI SPAZIO ESPOSITIVO PRINCIPALE

autonomi come gestione, e hanno funzione di ristorante e di chiosco con vista sull’Oceano. ll bookshop invece è stato progettato nel livello intermedio degli spazi espositivi, ed è anch’esso uno spazio strettamente collegato alla hall di ingresso e all'auditorium. L’aspetto concettuale e topografico conferisce all’edificio un continuum con l’oceano poco distante, con la baia di Biscay, il paradiso dei surfisti. Creare cultura. Creare le condizioni per fare cultura. Creare le strutture che promuovano la conoscenza. Ecco cosa sta facendo Biarritz. Anche se questo museo è tematico si è dato, comunque, come mission non solo quella di dare informazioni sul mondo acquatico del surf. Non creerà solo le condizioni per approfondire la conoscenza di questa sola disciplina e alimentare gli incontri tra surf. Questo spazio, concavo e convesso, si aprirà al mondo dell’ecologia e della scienza, alla conoscenza del mondo marino. Alla consapevolezza che il mare non è solo sport, ma anche scienza e natura da proteggere. Il museo sarà promotore di cultura.


Foto di Iwan Baan

Sopra:pianta del secondo livello. Oltre alla sala espositiva vi è anche un auditorium. A destra: pianta del primo livello. Entrambi i piani sono collegati con i due elementi, vetro e acciaio, posti in copertura DESIGN + 71


PROFESSIONAL

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Via San Carlo, 10/I 40023 Castel Guelfo (Bo) tel. e fax 0542.670216 333.2413153 - 334.9711047 www.ecoenergiaweb.it infocommerciale@ecoenergiaweb.it

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72 DESIGN +

Angolo B nasce dopo un'esperienza di oltre 10 anni di attività nelle scenografie e nella realizzazione di strutture in metallo. L’azienda si occupa di arredamento per abitazioni private, uffici e spazi fieristici, creando strutture ad hoc per ogni ambientazione e ottenendo quindi il risultato migliore con l’aiuto di professionisti di fiducia con cui collabora da anni. L’obiettivo principale di Angolo B è fornire un prodotto di alta qualità e un servizio affidabile, anche sulla lunga distanza. Lo staff è disponibile a valutare tutti i progetti richiesti dal cliente, per consegnare, alla fine, un prodotto “chiavi in mano” caratterizzato dalla massima qualità, nonché rigorosamente fatto a mano e made in Italy.

Eco Energia è un’azienda presente nel settore delle energie alternative rinnovabili che fornisce, chiavi in mano, impianti fotovoltaici di tipo domestico, industriale, commerciale e grandi impianti. Grazie alla propria esperienza e professionalità, offre consulenze personalizzate sia in fase di progettazione che di sviluppo, nonché assistenza post-vendita, gestendo direttamente anche l’iter amministrativo. L’impegno assiduo e costante che ne caratterizza l’anima, assicura al cliente la massima efficienza per l’ottenimento dell’obiettivo prefissato. Qualità, esperienza, innovazione, dinamicità, miglioramento continuo, sostenibilità ambientale, sono solo alcuni degli elementi vincenti che valorizzano Eco Energia.

L’azienda, fondata nel 1997 dai soci Todaro e Fortini, nasce dalla volontà di unire le loro professionalità e la loro esperienza decennale nel settore delle coibentazioni. Da oltre vent'anni si occupa di isolamenti termici di impianti di riscaldamento e condizionamento in ambito civile ed industriale, per i quali ha ricevuto la certificazione ISO 9001:2008, compreso l'assistenza e la manutenzione, avvalendosi di un team di professionisti qualificati che garantiscono serietà e rapidità nello svolgimento dei lavori. Inoltre può eseguire servizio di rimozione, smaltimento, e bonifica dell’amianto, isolamenti ignifughi REI 120, lavori in cartongesso, piccoli lavori edili, contropareti acustiche e REI.



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74 DESIGN +

MetalCrea è un’azienda giovane e dinamica, che si avvale di professionisti altamente specializzati nella lavorazione di alluminio, acciaio inox e corten per rivestimenti e pavimenti, ma anche per complementi d’arredo, come specchiere, cornici per camino, separè e altri oggetti personalizzati. La ricerca e la sperimentazione sono la loro sfida quotidiana. Il dinamismo e la voglia di rinnovarsi continuamente permette all’azienda di proporsi come partner nello sviluppo e nella realizzazione di progetti di interni, anche i più personalizzati. La qualità dei servizi è indiscutibilmente la priorità di MetalCrea e la snellezza della produzione le permette di accontentare anche le richieste più specifiche e personali.

Azienda presente da otto generazioni, Grandi è da sempre attiva per risolvere i piccoli problemi legati alla lavorazione del ferro. Tra i servizi offerti dall’azienda rientrano la messa a norma di parapetti in stabili d’epoca, la possibilità di piccole lavorazioni con fucina o forno, la produzione di inferriate per finestrature con possibilità di abbinamento a scuri esterni, cancelli carrai o pedonali, parapetti scale interne in ferro o ghisa, particolari di arredo, vetrinature per negozi. Tutta la produzione viene svolta su disegno del cliente oppure su proposta dello staff dell’azienda. Lavora in collaborazione con ditte artigiane di provata esperienza e serietà per lavori di falegnameria, vetreria e realizzazione di corrimani e particolari in ottone e inox.

Esperienza, professionalità e qualità del lavoro hanno fatto dell’azienda Tierre una realtà di successo nel settore dell’installazione elettrica civile e industriale. È in grado di installare piccoli, medi e grandi impianti. Realizza impianti elettrici industriali con dorsali in cavo e in condotto elettrico prefabbricato, distribuzione in canale e tubazione metallici di acciaio zincato o in materiale plastico. Ogni progetto deve rispondere a norme ed esigenze specifiche e calibrate su una specifica realtà, offrendo sempre la massima efficienza e sicurezza. Tierre si occupa, inoltre, di condizionamento, automazione di cancelli, antifurto e antincendio, installazione di Tv e satellite e di installazione di reti di dati nelle aziende.




REAL ESTATE

Che il mercato immobiliare stia vivendo un periodo decisamente delicato è sotto gli occhi di tutti. Un’indagine della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati, portata a termine nel luglio del 2010, evidenzia tra gli elementi negativi un boom delle case invendute (circa 120mila appartamenti in tre anni di mercato in flessione). A questo si aggiunge la tendenza negativa nel settore delle costruzioni che ancora non sembra aver toccato il punto minimo della caduta ciclica. L’indagine mostra, inoltre, una maggiore difficoltà di acceso al credito: le banche oggi sono molto più prudenti nel rilasciare mutui e, generalmente, l’ammontare del prestito non supera mail il 60 o il 70 per cento del valore dell’immobile. «Il mercato immobiliare a Bologna come in generale nel resto d’Italia è stazionario con tendenza al ribasso», spiega Luigi Benedetti, agente immobiliare specializzato nella ricerca di immobili di prestigio. «Il compratore è perfettamente consapevole di questa situazione e tenta di approfittarne. Inoltre è molto più preparato culturalmente rispetto al passato e questo determina una maggiore analisi critica e comparativa tra i vari immobili in vendita a cui è interessato. Questo parlando in generale. Se invece dobbiamo analizzare il mercato immobiliare del lusso, possiamo dire che a Bologna, come nel resto d’Italia, non c’è crisi. Anzi». Il mercato del lusso, quindi, pare non aver conosciuto battute d’arresto. È stato, forse, solo sfiorato dalla crisi che non sembra

Luigi Benedetti

impattare più di tanto sull’economia delle classi agiate, che hanno dimostrato solo una maggiore attenzione nelle proprie spese, anche quando si tratta dell’acquisto di immobili. Il lusso esula in parte dal mercato globale e funge da traino. Mentre il mercato immobiliare naviga nell’incertezza, il comparto delle abitazioni di lusso continua a crescere in maniera inarrestabile non solo in Italia ma in tutto il mondo. A decretarlo è il network immobiliare britannico Savills, che lo scorso gennaio ha comparato le situazioni e i mercati dei paesi principali in cui ville e case di lusso rappresentano una fetta importante del mercato immobiliare, come Londra e New York con Mosca, Hong Kong e la Cina in generale. Lusso inteso come sinonimo di comfort, di efficienza, di contatto con il verde, e non come puro e semplice capriccio. È questa la filosofia che governa una nicchia del mercato immobiliare, quella appunto degli immobili di prestigio. Lo conferma Luigi Benedetti. «Seguo transazioni superiori al milione di euro. Il mio cliente ha quindi una buona disponibilità economica ma oltre a questo ha delle altre caratteristiche che non sono per niente scontate: vuole fortemente la sua nuova casa e conosce molto bene le proprie esigenze abitative. In generale si tratta di professionisti e imprenditori che hanno poco tempo libero da dedicare alla ricerca della loro nuova abitazione ma anche di persone che dopo aver cercato per anni da soli non sono riusciti a individuare sul mercato la casa che stanno sognando. Sono clienti impegnativi da assistere, che vogliono il meglio». Benedetti è quello che nel resto d’Europa e in America chiamano Flat Hunter, letteralmente “cacciatore di appartamenti”, una figura diffusa nei mercati immobiliari inglese, francese e americano. Le agenzie immobiliari ruotano intorno al venditore, il Flat Hunter è al servizio esclusivo del

ANALISI

BOLOGNA: ABITAZIONI DI LUSSO IN CRESCITA

compratore. È un professionista che segue il cliente nel tempo esattamente come fa un commercialista o un avvocato. «Io mi frappongo tra il compratore e il mercato – spiega Benedetti – e analizzo la zona dove il cliente desidera la sua casa, esaminando sia le offerte delle agenzie che quelle sommerse o potenziali, offrendo in questo modo una consulenza che garantisce al compratore un vantaggio competitivo per l’individuazione dell’immobile desiderato. Una volta trovata la casa giusta, la consulenza viene poi finalizzata alla conclusione di una trattativa sicura e conveniente per il compratore». I vantaggi per i clienti sono evidenti: una cospicua quantità di tempo e di energie risparmiate, la comodità, la privacy e il non doversi accontentare di una casa che lo soddisfa solo in parte. In circa quattro mesi, affidandosi al Flat Hunter, è possibile trovare l’immobile (di lusso) perfetto per le proprie esigenze: «Ogni ricerca – prosegue Luigi Benedetti, la cui agenzia si chiama Desiderata Domus – è una storia a sé. Il mio cliente è sempre alla ricerca di soluzioni architettoniche non banali e di una gestione degli interni personalizzata e non ordinaria. Mi capita spesso, proprio per questo motivo, di lavorare in tandem con l’architetto del mio cliente o magari di suggerirgli io stesso un architetto adatto alle sue esigenze». L’obiettivo, in ogni caso, è garantire al cliente una visione esaustiva della disponibilità di immobili coerenti con le sue esigenze, comprendendo quelli che non passano per il mercato ufficiale. Ma non basta trovare la casa perfetta. «Un’altra peculiarità fondamentale del mio servizio – conclude Benedetti – è garantire al cliente la possibilità di analizzare le transazioni prima che lo sappiano gli altri, cioè garantirgli un vantaggio temporale che molto spesso fa la differenza».

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Alfonso Femia e Gianluca Peluffo sono soci fondatori dello studio 5+1 a Genova nel 1995. Nel 2005 creano 5+1AA Agenzia di Architettura e vincono il concorso per il Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia. Femia è Professore alla KSU di Firenze . Gianluca Peluffo è Ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Genova.

Foto di Giuseppe Maritati

DIETRO AL PROGETTO

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Sotto: schizzi preparatori della nuova sede dell’ A.S.I. (Agenzia Spaziale Italiana). Struttura in fase di ultimazione nella periferia romana

5+1AA

La bellezza? Insita nel concetto di dialogo. Mentre la tecnologia è al servizio dell’architettura. E ancora: sentimenti e generosità, etica e conoscenza. Alfonso Femia e Gianluca Peluffo esplorano il loro mondo progettuale di Mercedes Caleffi DESIGN + 79


Foto di Ernesta Caviola

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a loro architettura è fatta di “sentimenti operativi”: generosità, dialogo e meraviglia. I 5+1AA, gli architetti genovesi che tanto lavorano sul territorio francese, ritengono altrettanto importante nella loro progettazione la presenza della sorpresa - peculiarità del mondo reale italiano - che usano e inglobano nelle architetture per comunicare e facilitare la lettura visiva delle scelte progettuali fatte. Alfonso Femia e Gianluca Peluffo, il prolifico duo che costituisce i 5+1AA, proseguono lungo un percorso creativo, influenzato da fattori emozionali e allo stesso tempo da istanze innovative. Domanda. In Francia avete avuto modo di realizzare molti vostri lavori. Quando e come è cominciato tutto? Risposta. L’interesse per la Francia, per il mondo dell’architettura pubblica francese, nasce per noi ai tempi degli studi. Si trattava di un interesse per la ricerca architettonica, centrata principalmente su Jean Nouvel e sui giovani che stavano iniziando a costruire all’inizio degli anni ’90, ma anche di un interesse per la grande produzione di qualità diffusa nell’opera pubblica. Nei nostri viaggi da studenti sulle orme di Le Corbusier, in80 DESIGN +

contravamo le piccole e grandi opere pubblicate su A. d’A. o su le Moniteur. La Francia allora trasmetteva l’idea che, attraverso una legge sull’Architettura (del 1977!) e attraverso un’idea e struttura di Stato che vuole “costruire”, la Contemporaneità potesse essere un modo di trasformare in meglio le nostre città. Così, ai nostri esordi, abbiamo cercato e coinvolto con la sfacciataggine dei mocciosi alcuni architetti francesi, che sono diventati poi amici e compagni di battaglia, in concorsi e incarichi in Italia. Poi, quando ci siamo sentiti pronti, e alcune situazioni italiane, fatte di sabbie mobili, scorrettezza e menzogna, ci sono risultate insostenibili, abbiamo aperto uno studio francese confrontandoci con una realtà così seria e anche complessa nei suoi meccanismi. D. Volendo descrivere il vostro modus operandi nel progettare quali parole ritenete più adatte? R. Il nostro modo di operare è fatto di “sentimenti operativi”. La generosità è il primo di questi sentimenti operativi: l’idea che ogni architettura sia pubblica, qualsiasi sia il committente e la funzione, e che per questo abbia il diritto e il dovere di cambiare il mondo, migliorandolo. In questo senso il nostro lavoro

In alto: la ”torre orizzontale”. Il Centro Direzionale del Quartiere Espositivo di Fieramilano, costruito per le dieci società consociate. Sono la trasparenza e il colore dell’oro, riferito al tema della luce solare, a definire il nuovo edificio. A destra: Generali Properties Blend Building, riqualificazione della struttura di piazza 4 Novembre a Milano


R. La tecnologia è uno strumento fondamentale, non un obiettivo, non uno scopo. La sua conoscenza, l’accoglierne gli sviluppi, sono modalità essenziali per ottenere obiettivi percettivi e sentimentali. Il discorso, ovviamente, è più complesso di così: se pensiamo all’aumento della velocità di movimento e di produzione negli ultimi 100, 50 o solo 20 anni, o alla capacità di ricreare realtà virtuali impressionanti, oppure alla diminuzione di peso e dimensione di ogni materiale, elemento o tecnica di costruzione, non possiamo non pensare alla tentazione e al rischio che la fascinazione di questo sviluppo possa renderci schiavi dell’immaterialità e dell’istantaneità. Ecco, rispetto a queste pericolose fascinazioni, non si tratta di porre resistenze nostalgiche, e nemmeno di “fare surf sull’onda” di queste innovazioni violente diventandone servitori, ma si tratta di tornare a concentrarci intensamente sulla profondità politica ed etica dei contenuti dell’architettura, e di considerarli sempre obiettivi e temi centrali: condivisione pubblica, realtà, verità. Solo se la tecnologia è piegata a questi scopi l’architettura stessa ha un obiettivo ed un futuro. D. “La bellezza ha poco a che fare con l’idea tradizionale di utilità” è una vostra frase. Ma oltre che per alcuni oggetti di design pensate possa valere anche per l’architettura?

Sopra: sala interna del Palazzo Del Ghiaccio - Frigoriferi Milanesi. Il complesso, una vecchia fabbrica di ghiaccio, è stato recuperato: la pista di pattinaggio è oggi una sala polifunzionale, l’edificio Stecca è sede di una società

Foto di Giuseppe Maritati

si configura come un dono, costruito di fatica, passione ed energie nei confronti del territorio stesso. Il secondo sentimento operativo è quello della ricerca del dialogo, ovvero il concetto di considerare l’architettura come corpo, come “corpo sessuato”, ovvero destinato alla polifonia, all’incontro dell’altro, e non al monologo. In questa idea di architettura l’invenzione nello specifico, ovvero il dialogo con le condizioni specifiche del contesto, non solo fisico, è la modalità centrale. Non si tratta di una modalità “politicamente corretta” o pedagogica: il dialogo può essere violento, fatto di urla, sorprese, cose non comprensibili magari, ma capaci di creare una reazione di conoscenza. Il terzo sentimento operativo è quello legato alla creazione della Meraviglia, intesa come reazione all’architettura capace di avvicinarci alla conoscenza della realtà: migliorare la realtà implica il tornare a conoscerla, e questo deve fare l’architettura come primo passo; deve diventare uno strumento di percezione, fisica e sentimentale, della realtà delle nostre città, dei nostri territori. La creazione di meraviglia, del sentimento dello stupore attraverso l’architettura, ha proprio lo scopo di innescare il meccanismo di conoscenza. D. La ricerca tecnologica che ruolo ha nella vostra progettazione?

Foto di Ernesta Caviola

DIETRO AL PROGETTO


Foto Studio Peia

R. La bellezza è insita nel concetto di dialogo: la bellezza del corpo dell’architettura è legata alla sua volontà interiore e naturale, alla polifonia e all’incontro. La cultura degli anni ’60 fino ai ’90 dello scorso secolo ha pervicacemente combattuto il semplice uso della parola bellezza, collegandola ai concetti di arbitrarietà, pittoresco e romantico, perseguendo obiettivi di oggettività, strutturalista o ideologica. Noi crediamo si sia trattato di un grande inganno, di una grande rivincita violenta dei non architetti nei confronti della forza dirompente e rivoluzionaria della Modernità, della quale si sono voluti evidenziare tradimenti e cadute poetiche, per tornare alla dittatura della razionalità cinica. L’utilità, la funzionalità sono per noi ovvietà di partenza, condizioni necessarie ma non sufficienti, così come lo sono le strutture, le tecnologie, la sostenibilità. La bellezza come dialogo e condivisione: lo scopo è l’architettura come atto di generosità. Prioritario ed etico. D. La progettazione ex novo per lo studio 5+1AA è in continuità o in completa rottura con la preesistenza? R. Non si tratta di ragionare in termini di rottura o di continuità, ma di forza e violenza sorprendente del dialogo, allo scopo di entrare in contatto con la realtà. D. La sorpresa, da voi integrata nella progettazione, è presentata quale peculiarità genovese. Come riuscite ad assicurarne la presenza nelle vostre realizzazioni? R. In realtà è una peculiarità italiana. In questo senso la nostra cultura ha ancora una grande possibilità di insegnare e di spiegare al mondo attraverso le nostre città e la nostra contemporaneità. Provate a percorrere 1500 km in Francia, in Spagna oppure in Italia. Chi ha bisogno della meraviglia e dello stupore e chi ci convive da secoli? Nei nostri progetti si tratta di individuare un elemento, un “punctum”, che sia capace, come una freccia surrealista, di colpire e di ferire,

Foto di Ernesta Caviola

DIETRO AL PROGETTO

in modo che, attraverso questa ferita, possano fuoriuscire memorie, desideri e sentimenti personali, e che questi stessi possano entrare in contatto con quelli della comunità. D. Il cattivo regime del territorio si è trasformato negli anni in vera violenza. Quanto gli architetti dovrebbero cercare di educare i propri clienti a rispettarlo? R. Educare forse non è un verbo associabile all’architettura e agli architetti. Come abbiamo già spiegato si dovrebbe parlare di una “educazione sentimentale”: l’architettura pubblica, civile, crediamo non possa essere pedagogica, ma debba essere capace di unire i sentimenti privati a quelli pubblici, debba creare condivisione e contatto

Sopra: Biblioteca, ludoteca e auditorium nella ex Villa Sottanis a Casarza Ligure. Il vano scala e ascensore sono pensati come “giunto” ancorato alla volumetria della villa. Sotto: Marina Residence a Cotonou Benin in Africa, una micro-città con ville e blocchi di servizi pubblici costruita nel 2008. Il tessuto urbano è a maglia regolare e accoglie abitazioni realizzate con strutture in cemento armato e materiali tradizionali.


Foto di Ernesta Caviola

lancio, un rispetto per questa memoria legato agli strumenti dell’architettura. Poi, si tratta di costruire un pezzo di città, e quindi di densificare, creare luoghi pubblici, edifici pubblici caratterizzanti, un tessuto di spazi pubblici capaci di innestare l’area alla città. Per questo, una lettura della città e del territorio secondo sistemi percettivi e sentimentali è il primo passo progettuale. D. Cosa si prova a “ridare vita” o dignità a un edificio? R. Una profonda soddisfazione e senso del nostro lavoro. D. Come reagiscono la città e soprattutto i cittadini quando finalmente possono riappropriarsi di un luogo urbano dimenticato. R. Non seguendo noi un percorso di “politicamente corretto” e di cinica comunicazione, le prime reazioni sono contrastanti e mai indifferenti o morbide. Il tempo, e il suo trascorrere a fianco delle persone e dentro la città, sono componente essenziale del progetto. Condividere sentimentalmente una architettura può avvenire immediatamente, oppure, con il tempo. Si corrono dei rischi: il nostro lavoro, come noi lo intendiamo, è un mestiere pericoloso... D. Esiste secondo i 5+1AA un’architettura emozionale? R. Esiste solo un’architettura emozionale, sentimentale e rivoluzionaria.

Sopra: Centro commerciale Area D4 Assago. Un triangolo isoscele dal perimetro compatto ma dalla volumetria frammentata. Il bordo esterno è caratterizzato da giochi di colori e da caratteri tipografici impressi sul basamento cementizio. Sotto: Bi, La Fabbrica del Gioco e delle Arti, realizzata a Cormano, nell’hinterland milanese, nel 2010. Della fabbrica dismessa è stata conservata la severità architettonica a sua volta esaltata dal contrasto con il nuovo ampliamento

Foto di Ernesta Caviola

con la realtà. “L’architettura è un enigma che si risolve con il cuore”. D. La buona architettura può diventare il pretesto o l’occasione per una palingenesi sociale? R. Rigenerare l’idea di bene pubblico, di cosa pubblica, di socialità e di condivisione dei sentimenti e della conoscenza sono scopi primari dell’architettura. D. Una vostra previsione sulla città contemporanea? R. L’intensità, la densità di sentimenti e di polifonia sono la speranza delle città contemporanee. Si tratta di una visione romantica e anticinica totalmente fuori moda e considerata inopportuna. Ma la forte e drammatica crisi finanziaria di questi anni del 2000, potrebbe portare a una diminuzione del servilismo cinico del nostro mestiere. Forse qualcuno di noi potrebbe tornare a pensare e ad agire come creatore di architettura pubblica ed etica. D. Conservazione, restauro e ristrutturazione dell’esistente. Quale logica applica in questo tipo di progettazione lo studio 5+1AA? R. Il dialogo sentimentale, e l’idea che comunque si tratta di opere pubbliche, in tutti i casi. D. Quali domande sottende un progetto di recupero di un’area dismessa? R. La prima cosa alla quale pensiamo è alla memoria del lavoro che si è svolto per anni in quei luoghi, e se è possibile immaginare un suo ri-

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STANZE LIBERE

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er la sua prima mostra antologica in uno spazio museale, ZimmerFrei presenta un gruppo di opere appositamente realizzate per il MAMbo e una selezione di lavori che testimoniano la multiforme attività del gruppo formato nel 2000 da Massimo Carozzi, Anna de Manincor e Anna Rispoli. Video, installazioni, ambienti sonori, fotografie, dispositivi ottici e luminosi compongono le tappe di un’esplorazione del paesaggio naturale, della città, dai centri storici alle periferie, e dell’universo sociale contemporaneo in cui vengono individuati di volta in volta luoghi, immagini, narrazioni, tonalità emotive inattese. ZimmerFrei si immerge nel presente per portarne in luce la complessità, le zone d’ombra, le stratificazioni di tempi e spazi, le storie e la potenza simbolica che lo abitano. La mostra è annunciata all’esterno da un’insegna al neon che gioca sul nome del gruppo (“stanze libere” in tedesco): un invito alla scoperta, grazie a uno spioncino che consente agli spettatori di sbirciare dentro il museo. All’ingresso, quattro monitor trasmettono altrettanti video della serie Panorama: Roma, Bologna, Atene, Harburg, sono le città di cui le immagini ci offrono una visione inconsueta e suggestiva, grazie al particolare metodo

T E P R I M A

di ripresa time-lapse col quale è possibile “comprimere” in pochi minuti un’intera giornata. Nell’ambiente centrale, baricentro della mostra, è sospesa una grande rete, Radura, un dispositivo che trattiene nelle sue maglie un paesaggio immaginario e crea un envinronment sonoro in cui allacciare sensazioni e pensieri. Il percorso prosegue con alcuni lavori fotografici, tra cui due gruppi di immagini che i visitatori possono disporre in sequenza libera: il primo è stato realizzato a Coney Island, spiaggia di Brooklyn, all’estremo sud di New York, di fronte alle architetture fantastiche di un vecchio Luna Park; il secondo nell’estrema periferia di Roma, dove pastori e pecore diventano simboli di un’impossibile accordo tra un tempo arcaico e un degradato presente. L’esposizione ZimmerFrei campo | largo gode del sostegno del Premio Terna 03, in quanto gli artisti sono i vincitori del Premio Speciale Musei AMACI, nella categoria Megawatt.

Bologna

ZimmerFrei campo | largo MAMbo (fino al 28 agosto 2011)

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MOSTRE

La mostra, compresa nel programma ufficiale per le Celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, presenta il fenomeno del Made in Italy come elemento di coesione sociale che ha contribuito a rafforzare il nostro sentimento di identità nazionale. Il racconto espositivo si sviluppa attraverso i prodotti della Collezione storica del Compasso d’Oro, per la prima volta dalla sua nascita esposta integralmente. L’evento è ideato e prodotto dalla Fondazione Valore Italia, la cui missione principale consiste nella valorizzazione dell’eccellenza produttiva italiana e del patrimonio di conoscenze che ne ha consentito l’espressione, in collaborazione con ADI - Associazione per il Disegno Industriale e la Fondazione ADI – Collezione Storica Compasso d’Oro. La mostra “Unicità d’Italia. Made in Italy e identità nazionale. 1961/2011 Cinquant’anni di saper fare italiano attraverso il Premio Compasso d’Oro ADI”, 86 DESIGN +

è curata da Enrico Morteo e si articola in due sedi espositive. Al Palazzo delle Esposizioni verrà illustrata, attraverso sei percorsi tematici, l’evoluzione del saper fare italiano negli ultimi cinquanta anni e mostrato come la nostra qualità progettuale e produttiva abbia modificato, nel medesimo arco di tempo, stili di vita e comportamenti sociali e di consumo, contribuendo nello stesso tempo a rafforzare il nostro comune sentimento di identità nazionale in un periodo nel quale lo stesso è stato soggetto a molteplici ripensamenti. A condurci in questo viaggio saranno i circa trecento oggetti della Collezione Storica del Compasso d’Oro ADI, che dal 1954 premia l’eccellenza del design italiano. Non c’è al mondo collezione di design altrettanto estesa, che metta insieme semplici oggetti d’uso domestico con complessi macchinari industriali, strumenti di misura, giocattoli, automobili e tessuti decorativi, sistemi

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Il Compasso d’Oro nella storia

costruttivi ed editoria, ricerche teoriche e progettazione grafica, solo per citare alcuni fra gli ambiti che sono stati presi in esame dalle giurie del Premio. Al Macro-Testaccio La Pelanda si guarda alla contemporaneità e si apre il dibattito sul futuro: quali sono le sfide che il Made in Italy deve oggi, e sempre più dovrà domani, affrontare per poter mantenere la propria “unicità”? Quale tragitto deve seguire il sistema produttivo nazionale per rimanere competitivo nell’economia globalizzata? In mostra vi saranno i circa quattrocento nuovi prodotti selezionati nell’ultimo triennio dall’Osservatorio Permanente del Design dell’ADI per concorrere al XXII Premio Compasso d’Oro ADI, che sarà assegnato in luglio proprio nell’ambito della Mostra.

ROMA - Unicità d’Italia. Made in Italy e identità nazionale. - Palazzo delle Esposizioni / MACRO Testaccio La Pelanda (fino al 25/9/2011)


La mostra “China New Design” organizzata dall’IGAV, Istituto Garuzzo per le Arti Visive di Torino e dallo UCCA di Pechino presenta, per la prima volta al pubblico italiano, un’ampia panoramica sulla straordinaria originalità e ricchezza del design cinese contemporaneo, articolata nei due spazi espostivi del MINI&Triennale CreativeSet del Triennale Design Museum di Milano e Palazzo Chiablese di Torino. È davvero straordinario che il tumultuoso progresso economico della Cina dei passati decenni le consenta ora di assumere un ruolo importante sulla scena mondiale della cultura, fino ad affacciarsi con le sue proposte in due delle più note capitali del design internazionale, Milano e Torino, proprio in Italia che del design ha fatto la sua bandiera. A cura di Jérome Sans, direttore dello UCCA e già curatore e cofondatore del Palais de Tokio a Parigi, e Cui Quiao, direttore generale della

Sezione Cultura ed Educazione dell’UCCA, la mostra propone una selezione dei più interessanti lavori dei designer cinesi contemporanei, in molti casi inediti per l’Italia. Il progetto non fa solo riferimento al design, ma il tema vero è la cultura delle giovani generazioni cinesi. Quello che emerge è un panorama che parte dal furniture design fino ad abbracciare nuove forme di comunicazione, dal fashion design al design del gioiello, dalla grafica alla multimedialità fino ai complementi d’arredo e all’oggettistica. L’evento assume dunque un significato simbolico, e costituisce il punto di arrivo di un coerente percorso culturale, una specie di “via della seta” che l’IGAV percorre ormai da cinque anni, in una direzione e nell’altra. Dal 2005 infatti, l’IGAV si è fatto promotore dell’arte contemporanea italiana, con una particolare attenzione per i giovani talenti e gli artisti emergenti, in Italia, all’estero e soprattutto in Cina, dove nel 2006, in

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La Cina attraverso il design

occasione del’Anno dell’Italia in Cina, e poi ancora nel 2008 e 2010, ha organizzato mostre di grande ambizione e respiro culturale a Beijing, Shanghai e Shenzhen, sino ad essere invitata per un evento al Padiglione Italia dell’Expo di Shanghai. Il Governo e le istituzioni cinesi hanno mostrato in più occasioni un considerevole apprezzamento per l’impegno e la qualità dei progetti promossi dall’IGAV. Il lavoro svolto ha dunque consentito di consolidare proficui rapporti di scambio e collaborazione che, oggi, permettono di ricambiare l’ospitalità nell’Anno della Cina in Italia: un’occasione davvero eccezionale offerta dalle Autorità governative cinesi, cui l’IGAV ha avuto l’onore di essere chiamata a partecipare. MILANO

China New Design - Triennale Design Museum (fino all’11 settembre 2011)

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MOSTRE

Sogni Lucidi

VENEZIA

Cristiano Pintaldi. Lucid Dreams

Fotografie di Erwitt Ex Cantiere navale (fino al 31 ottobre 2011)

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Artigianato italiano Una mostra ispirata alle esposizioni internazionali dell’industria e del lavoro che Torino ha ospitato nel 1911 e nel 1961 per il Cinquantenario e per il Centenario dell’Unità d’Italia. Una mostra laboratorio fatta per raccontare un nuovo artigianato metropolitano, rivolto verso il futuro e l’internazionalità ma legato strettamente alla cultura e alle tradizioni italiane. Una vetrina di tutto ciò che di nuovo e originale è oggi offerto dall’artigianato di eccellenza del nostro Paese. Ma la mostra intende andare anche oltre. Nelle intenzioni del curatore Enzo Biffi Gentili, infatti, Il Futuro nelle mani vuole essere anche un richiamo, quasi un’esortazione a riflettere, “oltre che sulle prospettive economiche e occupazionali offerte dal settore, sull’alto valore qualitativo, estetico ed esistenziale dei lavori fatti ad arte”. Non soltanto, dunque, l’invito a rispondere all’aggressività delle economie emergenti mediante l’investimento sull’innovazione e sull’alta qualità, ma anche uno stimolo al recupero su vasta scala del valore nobilitante delle occupazioni manuali e materiali, idealmente contrapposto a modelli di lavoro maggiormente indifferenziati e massificanti. Articolandosi in tre diverse sezioni espositive, la mostra offre un panorama di ciò che si sta realizzando in questa direzione. Ospite d’onore di questa sezione della mostra sarà il carrozziere e meccanico italo-svizzero Franco Sbarro, che ha saputo attirare l’attenzione di tutti i grandi produttori automobilistici, presentando ogni anno prototipi di automobili e motociclette dalle soluzioni geniali e dalle forme uniche.

Rivoluzione Mirò

Joan Miró, Poème

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Merano Arte dedica un’ampia retrospettiva al fotografo americano Elliot Erwitt attraverso 40 immagini, scelte tra i suoi lavori più celebri, tutte stampate da Erwitt stesso nel suo studio di New York. La mostra, curata da Valerio Dehò, ospitata dall’edificio Cassa di Risparmio (via Portici 163), organizzata in collaborazione con Sudest57, Milano e Galleria Spazia, Bologna, ripercorre la carriera di reporter e artista di Erwitt, attraverso le serie che hanno conquistato un posto fisso nell’immaginario fotografico.

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Allestita all’interno dei suggestivi spazi di archeologia industriale dell’Ex Cantiere Navale di Castello, per la prima volta utilizzati per una mostra d’arte contemporanea, Lucid Dreams, a cura di Achille Bonito Oliva, è inserita nel programma ufficiale degli eventi collaterali della 54a Esposizione Internazionale d’Arte, la Biennale di Venezia. Attraverso una selezione di lavori pittorici di grande formato, per lo più inediti, Cristiano Pintaldi presenta un’articolata riflessione sulla nostra capacità di definire e percepire la realtà. Il titolo stesso della mostra, Sogni Lucidi, esplicita il pensiero dell’artista secondo il quale la realtà di cui facciamo parte sia un sogno in cui ciascun individuo è simultaneamente regista e attore del proprio film, creatore responsabile della propria visione.

La mostra usufruisce di prestiti concessi dalla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence con la quale il Forte di Bard ha firmato un importante accordo di collaborazione. I prestiti hanno permesso di riunire un insieme di 188 opere particolarmente significative: 17 oli, 58 sculture, 91 opere grafiche, tra disegni, incisioni e litografie originali, 17 ceramiche e 6 libri illustrati, un makemono, un immenso arazzo e la maquette per la ceramica murale dell’Unesco a Parigi. Realizzate fra il 1947 e il 1980, le opere occupano gli spazi severi e nobili del Forte per dare vita ad un’eccezionale rievocazione della rivoluzione plastica che caratterizzò quel periodo e che ebbe in Miró uno dei maggiori interpreti.

MERANO

Elliot Erwitt. Icons

TORINO

Il futuro nelle mani. Artieri domani.

BARD (AO)

Edificio Cassa di Risparmio (fino al 25/9/2011)

Officine Grandi Riparazioni (fino al 20/11/2011)

Forte di Bard (fino al 2 novembre 2011)

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AGENDA

TRENTO Le grandi vie delle civiltà Castello del Buonconsiglio (dall’1 luglio al 13 novembre 2011)

Questa affascinante esposizione, attraverso una selezione di preziose testimonianze archeologiche provenienti da oltre 50 musei e soprintendenze italiane ed estere, racconta dei contatti, degli scambi e delle relazioni a largo raggio che hanno segnato gli sviluppi delle civiltà in Europa con la trasmissione di saperi, la contaminazione di modelli e stili di vita. Una fitta ragnatela di vie tra il Mediterraneo e il Centro Europa, le cui trame si intrecciano e si separano in un continuo divenire, che hanno portato territori e culture lontani e diversi a trovare una serie di elementi in comune.

ORVIETO Il fascino dell’Egitto Museo Faina e Palazzo Coelli (fino al 2 ottobre 2011)

La mostra riunisce circa 250 reperti (almeno tremila anni di storia dell’umanità) - molti davvero di grande importanza concessi da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane. Il sottotitolo evidenzia chiaramente il taglio che gli studiosi hanno voluto imprimere a questa ampia, importante rassegna: “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”, ovvero ciò che gli egittologi partiti dal nostro Paese hanno saputo fare intorno alle sponde del Nilo, lì attratti dallo spirito d’avventura, talvolta dalla sete di facili guadagni, molte altre dall’obiettivo di approfondire le conoscenze sull’antica Terra dei Faraoni. VIAREGGIO Genio dei macchiaioli. Mario Borgiotti Centro Matteucci per l’Arte Moderna (fino al 13 novembre 2011)

Mario Borgiotti, nato a Livorno nel 1906, ma fiorentino d’adozione, è stato, per oltre quarant’anni, il vero punto di riferimento per la conoscenza e la valorizzazione della pittura toscana di area macchiaiola. La sua azione si è sviluppata soprattutto nell’ambito delle personalità che hanno aggiornato il linguaggio di questa scuola. L’opera di Lega, Fattori, Signorini, Abbati, Borrani, Cabianca, D’Ancona e di altri protagonisti del gruppo appare oggi più definita nella sua totalità grazie al recupero di dipinti inediti o erroneamente attribuiti. Autodidatta, Borgiotti fu personalità complessa e attraente anche per le qualità segretamente coltivate, come il dipingere e la generosità nei confronti di ogni iniziativa culturale.


AGENDA

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LUGANO Film stills & backstage Villa Ciani (fino al 3 settembre 2011)

Fulcro della manifestazione che Lugano dedica a Wim Wenders è la mostra di fotografie di Wenders e della moglie Donata. Curata da Massimiliano Di Liberto, l’esposizione presenterà una selezione di 286 immagini – a colori scattate dallo stesso Wenders e in bianco e nero dalla moglie Donata – che ricostruiscono la loro personale cronaca delle riprese di alcuni tra i film più rappresentativi del grande cineasta tedesco, come Al di là delle nuvole con Michelangelo Antonioni, Buena Vista Social Club, Million Dollar Hotel. All’interno del percorso espositivo verrà presentata la serie di fotografie inedite del suo ultimo lungometraggio Pina, dedicato a Pina Bausch (1940-2009), la più importante coreografa di danza contemporanea e una delle più grandi "rivoluzionarie" dell’arte del movimento corporeo.

ANDROS, già presente sul mercato dell’isolamento acustico da 7 anni, si è sempre distinta per la quantità e la qualità dei servizi nell’isolamento acustico in edilizia: progettazione acustica, fornitura e posa di isolanti, collaudi con rilascio dei rapporti di prova legittimi con la garanzia del raggiungimento dei parametri di legge. ANDROS, per mantenere lo standard del know-how a livelli superiori alla concorrenza, dopo due anni di ricerca ha concluso il progetto PANISOL. Già presentato al SAIE 2010, è il primo prodotto P35F che ha ricevuto il premio unico di sezione SAIE UNA VETRINA SUL FUTURO “Recupero: le specificità di lavorare sul vecchio”. Nel 2011 collocava finalmente sul mercato tutta la linea con importanti novità sulla resistenza meccanica dell’isolante. INFORMAZIONI SUL SITO

RIMINI Progetto Scultura 2011 Castel Sismondo (fino al 16 ottobre)

È una mostra “firmata” quella che la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini propone alla Rocca Malatestiana sulla scultura italiana contemporanea. Firmata perché rappresenta una interpretazione specifica, personale, del tema, secondo il gusto, la visione che della scultura italiana ha il critico che, di volta in volta, sarà chiamato ad interpretarla. Per la prima edizione la scelta degli artisti da invitare e l’ideazione del percorso e dei contenuti della mostra sono stati affidati a Beatrice Buscaroli: bolognese, storico e critico d’arte, docente all’Università di Bologna-Ravenna e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha curato numerose mostre dedicate al 900 e al contemporaneo.

Tappeto per isolamento a calpestio solai Pannello per isolamento aereo muri divisori

REGGIO EMILIA Fountain Show Dispari & Dispari (fino al 18 settembre 2011)

Che cos’è che rende le fontane così speciali? Il loro stile o l’acqua che scorre dentro di esse? Fountain show è un progetto sviluppato attraverso conversazioni con gli artisti invitati, ai quali è stato chiesto di riflettere anche utopisticamente sui possibili stili e valori di una fontana nella società contemporanea. Steven Claydon, Flavio Favelli, Peter Goi, Brian Griffith, Thomas Kilpper, Erik Van Lieshout, Katrin Plavcak, Cullinan Richards, Patrick Tuttofuoco, Gavin Turk, Alterazioni Video e Klaus Weber. Questo dispositivo, che ha storicamente accompagnato l’uomo in tutto il suo progresso ha subito un costante processo di trasformazione che ne ha lentamente modificato forma e valore. Per esempio tra funzione sociale, collezionare e distribuire acqua e funzione architettonica, come elemento d’arredo delle città.

ANDROS di Tozzola Andrea Via Belfiore, 2 - 40026 Imola (BO) www.androsat.it - info@androsat.it www.panisol.it - info@panisol.it


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AGENDA

ROMA Oltre la tradizione. Maestri della pittura cinese moderna Palazzo Venezia (fino al 15 settembre 2011)

STUDIO - PRODUZIONE DIVANI E POLTRONE

La maggior parte delle opere esposte è stata accuratamente selezionata dalla collezione del National Art Museum of Art (NAMOC) di Pechino. Si contano un totale di 100 pezzi, suddivisi in tre sezioni a seconda dei soggetti trattati: ritratti, fiori e uccelli, paesaggi, che trovano una corrispondenza diretta con le tre sezioni principali della pittura classica occidentale: di ritratto, di natura morta e di paesaggio. È possibile capire similitudini e differenze esistenti tra la pittura cinese e quella occidentale nella scelta dei temi, nonché la diversa concezione del colore, i diversi linguaggi ed il diverso gusto estetico nonostante il tema rimanga invariato.

MENDRISIO/MONTAGNOLA Hans Purrmann. Un maestro del colore - Museo d’Arte Mendrisio/ Museo H.Hesse Montagnola (fino al 28 agosto 2011)

Una grande retrospettiva dedicata a Hans Purrmann (1880-1966), maestro del postimpressionismo tedesco, passato dal clima fervido della Monaco di Kandinsky, Klee e Marc agli ambienti parigini d'inizio secolo. Protagonista, a 45 anni dalla scomparsa, della prima antologica allestita in area italiana, quella di Purrmann è una figura affascinante, non solo per le ricerche condotte nell'ambito della pittura, segnate da un colorismo acceso e felice, in bilico fra modi espressionisti e seduzioni mediterranee, ma anche per i suoi scritti teorici, per i contatti allacciati con personaggi della cultura di mezza Europa, oltre che per la passione collezionistica e l’amore per l'antico citati costantemente nelle sue nature morte disseminate di oggetti d'altre epoche. FORTE DEI MARMI (LU) Open your eyes 2.0 PH Neutro (fino al 4 settembre 2011)

TAGLIATTI POLTRONE DA OLTRE 50 ANNI REALIZZA TUTTI I PROGETTI DI TAPPEZZERIA Via 2 Agosto Strage di Bologna, 41 40016 SAN GIORGIO DI PIANO (Bologna) Tel. 051.861854 - Fax 051.861854 www.tagliattipoltrone.it - info@tagliattipoltrone.it

In mostra una selezione di opere rappresentative di una collezione capace di comprendere capolavori del passato, immagini di noti autori contemporanei e giovani promesse. Tra i maestri spicca su tutti il nome di Henri Cartier-Bresson, che con il suo “momento decisivo” ha saputo donare dignità autoriale alla fotografia giornalistica; Ansel Adams, inventore del “sistema zonale”, capace di produrre stampe fotografiche in bianco e nero dalle ineguagliabili ricchezze tonali e grazie alle cui caratteristiche di conservazione le case d'aste più importanti hanno iniziato a guardare alla fotografia con interesse; Duane Michals con le sue sequenze e Robert Frank. Tra i contemporanei, il paesaggista Michael Kenna, la Scuola di Düsseldorf con Thomas Ruff e Thomas Struth e il controverso Joel Peter Witkin.


AGENDA

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VENEZIA Gran Sur Biennale, Arsenale (fino al 27 novembre 2011)

Sarà l’artista Fernando Prats a rappresentare l’anima più profonda e vissuta della geografia e della storia cilena alla prossima 54a. Esposizione Internazionale D’Arte - La Biennale di Venezia. L’esposizione è costituita da tre opere: un intervento sull’impatto dell’eruzione vulcanica a Chaiten (2008); varie parti che si riferiscono al terremoto che ha colpito le zone del centro sud del Cile (2010); e un’installazione con lettere al neon che riproduce l’annuncio che l’esploratore irlandese Ernest Shackleton avrebbe pubblicato, intorno al 1911, per reclutare uomini per la sua spedizione nell’Antartico. Prats produce immagini iniziando dal fumo, mediante il quale riesce a sedimentare fenomeni naturali quali l’acqua espulsa da un geyser o la superficie di un immenso ghiacciaio. GALLARATE (VA) Alchemica di Roberto Floreani Museo MAGA (fino al 25 settembre 2011)

Tutte le opere in mostra presentano le caratteristiche che hanno portato Roberto Floreani ad essere uno dei più significativi rappresentanti della sua generazione a livello internazionale. Prima fra tutte la presenza dei Concentrici, complesse strutture in rilievo che compongono una serie infinita di combinazioni circolari, geometrie che compensano e definiscono un pattern di base realizzato con una tecnica materica particolarissima, ideata dall’autore, che prevede una paziente stratificazione delle tele, prima di un minuzioso, attento lavoro di “ripulitura” dei rilievi realizzati. Le opere della serie Alchemica in particolare presentano un nuovo impiego delle colature terrose, che amplificano la tematica cara all’autore dell’opera intesa come possibile messaggio di natura spirituale. MARRAKECH Marrakech magia dell’archetipo. Sculture di Elio Armano Riad Gate Marrakech (fino al 31 dicembre 2011)

Una mostra di Elio Armano inaugura Il Riad Gate Marrakech, un nuovo spazio che si propone come punto di riferimento e d’incontro ma soprattutto come luogo in cui poter accogliere tutti coloro che hanno come obiettivo la valorizzazione culturale e lo sviluppo della città marocchina. Le sue sculture, realizzate in gesso o in cemento, insieme ai legni verticali mescolati alle grandi riseghe dalle quali sembrano inseparabili, sono diventate padrone silenziose di stanze e pareti del riad. Queste opere popolano gli ambienti di un mondo "altro" che vive in simbiosi con quello della città. Tutti questi elementi ritmano gli spazi ricoperti di ossidi colorati e di terra locale tenuta assieme da collanti naturali e si aggiungono così, al trionfo dell'astrazione e delle geometrie tipiche del mondo moresco.

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ARTE A sinistra e sotto: OpaΩ, “Io vedo”, 2011, neon multicolor, acciaio inox, stampa digitale su polimetilmetacrilato colato, 210x145x20 cm. In basso: Gaia 2007, neon multicolor, stampa digitale su alluminio, 75x75x5 cm

DINAMICHE SCULTURE DI LUCE Tecnologia e arte. Natura e artificio. Donatella Schilirò, artista bolognese, con l’utilizzo del neon e dell’argon offre allo spettatore visuali inedite. La luce delle sue opere reinterpreta il paesaggio circostante di Cristiana Zappoli

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A sinistra e sotto: Tacitulus Taxim, “in silenzio piano piano”, alluminio, stampa digitale, neon multicolor, 130 x 50, opera a parete. In basso: foto dell’artista Donatella Schilirò

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Foto di Beatrice M. Serpieri

culture di luce al neon che vengono da lontano: Bronzino, Parmigianino, Rosso Fiorentino, sono loro ad averle ispirate. Con le sue opere Donatella Schilirò ha saputo coniugare la sua grande passione per l'arte, che l’ha portata a laurearsi all’Accademia di Belle Arti di Bologna in scultura, con l’attività di famiglia. È infatti l’art director di Neon Stile, azienda nata nel 1947 e specializzata in insegne luminose: un punto di riferimento del settore. La ricerca incessante della luce nelle sue opere nasce dalla sua esperienza nella bottega ar-

tigiana del padre, soffiatore di neon. Fin da giovanissima passa ore in quel laboratorio affascinata dalla forza comunicativa della luce, fantasticando su come fosse possibile trasformare in arte il lavoro del padre. «L’amore per la luce accomuna ogni artista, qualunque sia la sua valenza artistica. La luce esprime l’essenza dello spirito, l’interiorità più profonda di chi crea. È una presenza vitale ed emozionante – spiega l’artista – e solo con essa si può intendere la materia». L’amore per la storia dell’arte si riflette, dunque, in una passione irrefrenabile per la luce, e più in particolare la luce al neon,

che utilizza esattamente come il pittore i pennelli o lo scultore gli scalpelli, imprimendo su supporti metallici di vario genere immagini luminose che si ispirano alla natura, alla mitologia, all’arte. L’azienda del padre di Donatella è stata, negli anni, il punto di incontro tra architettura, design, arte e artigianato, come le botteghe trecentesche umbre e toscane dove gli orafi preparavano pale d’altare: è questo il paragone che formula Graziano Campanini, psicologo e studioso di storia dell’arte, parlando del lavoro della Schilirò. E prosegue, in un articolo introduttivo al catalogo dell’ultima mostra dell’artista, paragonandola a Gentile da Fabriano che aveva imparato nella bottega paterna le tecniche da orafo grazie alle quali illuminava i particolari delle grandi pale d’altare: «i tubi al neon di Donatella, inseriti spesso in grandi lastre di plexiglass o di metalli vari, ricordano, sette-ottocento anni dopo, quei lavori prerinascimentali, a testimoniare che esiste nell’idea della luce di Donatella un percorso che ha radici profondissime nel nostro passato artistico». Il fascino dei giochi di luce delle insegne lu-

AMO LA CONTAMINAZIONE DEL NEON CON L'ARGON E IL DINAMISMO DELLA LUCE. UNA PARTICOLARE CARATTERISTICA DEI MIEI LAVORI È LA POLICROMIA

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In questa pagina foto di Raul Duranti

ARTE

Sopra: Corrente di luce, 2011, neon muticolor, polimetilmetacrilato colato, stampa digital, alluminio. Opera permanente donata a casa Frabboni. Sotto: Gaia 2007, neon multicolor, stampa digitale su alluminio, 75x75x5 cm. In basso: terzo elemento dei cinque che costituiscono l’installazione Corrente di luce

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minose hanno lasciato un segno profondo e indelebile nell’immaginario dell’artista bolognese. «Amo la sperimentazione cromatica, la contaminazione del neon con l'argon, il dinamismo della luce. Una particolarità dei miei lavori è la policromia: il colore del neon cambia in relazione al trascorrere del tempo» dice la Schilirò. Un effetto, questo, ottenuto da una particolare tecnica sperimentale scoperta nel laboratorio del padre: la luce muta con il trascorrere del tempo e non sarà mai uguale con il passare dei giorni. Tutto scorre, tutto cambia, in queste opere come nella vita. Donatella Schilirò ha già all’attivo diverse mostre, sia in Italia che all’estero. I soggetti sono diversi ma se si può individuare il leit motiv, a parte ovviamente la luce al neon, è la linea: è da qui che parte l’azione creativa. Dalla linea serpentinata mutuata dal manierismo del Bronzino o del Parmigianino, che tanto ascendente ha avuto sulla formazione della Schilirò, che spesso va a formare una parola che rappresenta la chiave dell’opera, un segno distintivo dell’artista.

Si è da poco conclusa la sua ultima mostra monografica, “Corrente di luce”, ospitata al Museo di Casa Frabboni a San Pietro in Casale, a cui, tra l’altro, l’artista ha donato un’ opera permanente che dà il nome all’esposizione. «Questa installazione – spiega Donatella in un’intervista con l’architetto Gisella Gellini del Politecnico di Milano, esperta di Light Art – è nata dall’idea di far emergere le falde sotterranee presenti nel nostro territorio, utilizzando alcuni miei scatti fotografici di corsi d’acqua naturali e artificiali. Il lavoro è composto da cinque elementi di luce e immagini, inseriti all’interno di arcate architettoniche del Parco Frabboni». Un regalo che l’Assessore alla Cultura di San Pietro in Casale non esita a definire “un nuovo elemento di bellezza” nel Parco culturale cittadino. Ogni installazione di Donatella Schilirò è caratterizzata da un grande rigore formale, i cavi elettrici vengono nascosti e anche il trasformatore per il neon viene posizionato all’interno del lavoro in modo da renderlo invisibile preservando così l’estrema pulizia tecnica dell’opera. Perché la protagonista unica deve essere la luce, nient’altro. Come spiega bene Francesco Murano, docente del master in Lighting Design al Politecnico di Milano: «…i tubi di vetro diventano protezione e non costrizione, i neon trasformano la grafia in percorso e il viaggio della luce procede di ansa in ansa sotto l’amorevole sguardo nostro e di chi là, nella luce, è nata e nella luce, continua felicemente a stare».



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ella vita quotidiana è un elemento d’arredo onnipresente ed è sicuramente uno fra gli oggetti più significativi e caratterizzati dal design. È la sedia, e per i designer di tutto il mondo rappresenta da sempre il campo di ricerca per eccellenza, all’interno del quale misurare le proprie forze creative. La storia e l’evoluzione della sedia ha determinato e influenzato la storia del design stesso con modelli che sono diventati dei cult, continuando ad essere protagonisti degli interni più glamour del momento. Poltrone, sedute, pouf e sedie di pregio definiscono non solo l’importanza della comodità, funzione cui sono destinate per natura, ma anche la necessità di inserirsi nei vari ambienti e valorizzarli con il loro design. E ogni volta che si riescono a raggiungere entrambi gli obiettivi, non si possono non celebrare pubblicamente il progettista e il prodotto, artefici di questo successo. Nel corso dei secoli le sedute hanno interpretato i valori di ogni epoca specifica. Basti pensare alle sedie in legno curvo prodotte in serie nella seconda metà dell’800, oppure alle sedie in acciaio

tubolare disegnate da Marcel Breuer alla ricerca di leggerezza. Basti pensare, ancora, al design americano che, dopo la seconda guerra mondiale, ha collaborato con l’industria per la produzione in serie di accessori per l’arredamento delle case degli americani. Il design diventa così ufficialmente interpretazione del vivere quotidiano. E non è certo esagerato considerare la sedia come l’oggetto simbolo della nuova modernità. Non a caso le è stato dedicato addirittura un museo: la collezione di Vitra Design Museum di Dessau, che raccoglie 1800 diversi esemplari, tutti destinati alla produzione di serie. Tra questi sono stati selezionati cento capolavori, che rappresentano i cento modelli più significativi per leggere la storia del design attraverso l’evoluzione della sedia. Noi abbiamo scelto di presentare alcuni modelli di sedie di designer internazionali e nazionali, caratterizzati da una forte dose di originalità e da materiali di alta qualità che strizzano un occhio all’ambiente. Sedie comode e decisamente innovative, tanto versatili da essere adatte in ufficio come in casa, in salotto oppure in giardino.

TRA ESTETICA E FUNZIONALITÀ

Sedute che coniugano perfettamente la ricerca di materiali sofisticati con soluzioni per le esigenze più disparate. Plastica, legno e tessuto ricoprono geometrie avvincenti di Cristiana Zappoli B-Chair, BD Barcelona Dopo aver creato il B-Table, il designer tedesco Konstantin Grcic propone la B - Chair, realizzata, anche quest’ultima, per l’azienda produttrice di mobili di design BD Barcelona. Di Konstantin Grcic, i suoi colleghi dicono che è il nuovo Achille Castiglioni. Gli addetti ai lavori riconoscono in lui i segni dello stesso genio, la stessa capacità di innovare forme. Grcic rappresenta la perfezione, lavora pensando alla produzione industriale ed è considerato oggi uno dei designer

più importanti del mondo. Ha uno stile che non può essere paragonato a quello di nessun altro, improntato sempre alla funzionalità e alla semplicità. Il tavolo progettato per BD nel 2009, primo pezzo della collezione Extrusions, è stato una sfida che ha chiesto la collaborazione di tecnici di primo piano. Grcic ha trovato la sua ispirazione in pezzi classici dell’azienda spagnola, come ad esempio la scaffalatura Hypostila (in produzione dal 1979) e ha realizza un tavolo in alluminio

estruso supportato da due gambe di legno semplice. Il risultato sorprende per solidità e leggerezza. Come complemento del tavolo, Grcic ha progettato la B Chair, una sedia in legno con intelaiatura abbellita da elementi di alluminio. Le gambe sembrano sci e la seduta si ripiega, rendendo possibile l'impilamento orizzontale che dà il nome alla collezione. Un particolare interessante è costituito dalla decorazione inferiore della seduta: una suggestiva gamma di colori che svela la genialità del designer.

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Antilope La sedia Antilope, ideata da Luca De Pascalis, deve il suo nome all'inconsueta piega delle gambe anteriori che permette un raccordo diretto con quelle posteriori e lo schienale, riducendo al minimo gli elementi costruttivi. Lo scheletro così delineato viene rinforzato dalla seduta, che ne assicura la stabilità. Lo schienale basculante rende la sedia ergonomica e adatta a differenti posture e funzioni.

Schienale e seduta sono realizzati combinando due essenze lignee in una texture di linee oblique. Esiste anche una versione monocromatica dello stesso modello. Sono realizzate interamente in legno massello: una delle due strutture è in noce nazionale con piani in acero e wengè; l’altra struttura in faggio e piani in padouk e guayacan. Luca De Pascalis crea oggetti in legno: piccoli mobili, lampade e sedie, tutti dinamici.

Bite Me, xO Design La poltrona Bite Me è stata disegnata dal designer anglo egiziano Karim Rashid. Le sue opere fanno parte delle collezioni permanenti in quattordici musei in tutto il mondo, tra cui il Museum of Modern Art di New York e San Francisco. Bite Me è il frutto della prima collaborazione fra lui e xO Design, azienda francese diretta da Philippe Stark. Questa sedia di 100 DESIGN +

plastica dal design caratteristico e divertente a forma di dente sovradimensionato si inserisce nella serie di capolavori di Rashid così come nella collezione di sedute di xO Design. Grazie alla robustezza dei materiali è perfetta per i grandi e per i più piccoli, per uso domestico così come all'aperto. È dotata, infatti, di un foro di scolo per l'acqua ed è colorata con polietilene stampato in rotazione.


NUOVO DESIGN T - shirt chair, Green Forniture Sweden È un’originale seduta a metà tra una sedia e una poltrona. Al posto dell’imbottitura ha delle magliette ormai inutilizzate incastrate in un telaio. Maria Westerberga, la designer che l’ha creata, lavora con oggetti che hanno già una storia per dare loro una seconda chance. Questa sedia “intreccia una storia

OH chair, Umbra La pluripremiata OH chair è fra gli oggetti creati da Karim Rashid diventati un vero e proprio cult. Robusta e flessibile, ha una struttura in propilene stampato e verniciato a polvere e gambe in acciaio rivestito con piedini in nylon. È una sedia impilabile dal design moderno, progettata per essere usata all’aperto oppure in un ambiente chiuso. Disponibile in un’ampia gamma di

significativa utilizzando tessuti usurati” come si legge nella motivazione della giuria del premio Green Furniture Award vinto nel 2011. Un particolare molto interessante è che la T-shirt chair può essere acquistata già imbottita con stoffe di scarto provenienti da fabbriche di divani oppure come struttura vuota da riempire con le proprie stoffe personali.

colori creati per essere mescolati e abbinati. È allo stesso modo ideale sia per la casa sia per l’ufficio. Karim Rashid l’ha disegnata per Umbra, azienda nata 31 anni fa grazie a un gruppo di designer fra cui Paul Rowan e oggi considerata leader mondiale del design innovativo. Molti prodotti Umbra hanno ottenuto riconoscimenti internazionali e hanno ricevuto il plauso di celebrità internazionali. DESIGN + 101


NUOVO DESIGN FLY chair Sedia che “accoglie” chi vi si siede. L’anatomia umana è l’ispirazione della sua forma ergonomica e “muscolare”. La struttura di base è un pezzo unico in legno, dello spessore di 1,5 cm, e supporta la schiena attraverso l’appoggio lombare. Sopra, diversi elementi di imbottitura realizzati in TST-ES by Albeflex: un foglio di tranciato di legno flessibile accoppiato ad un espanso con un risultato soft touch. Disegnata da Domenico Orefice e Michela Benaglia, ha vinto la

Promosedia International Design Competition del 2010. Rispettivamente classe 1982 e 1980, i due designer hanno iniziato a lavorare insieme nel 2010 facendo confluire percorsi e competenze diverse nel Benaglia + Orefice Studio Associato di Milano. La giuria ha apprezzato la FLY chair perché « l’ergonomicità data dal rispetto dell’anatomia e delle proporzioni del corpo umano è accompagnata da una notevole leggerezza del legno che conferisce all’oggetto eleganza e sobrietà».

New Retrò, Domitalia Sedia impilabile adatta sia per l’uso indoor sia outdoor. È realizzata in policarbonato bicolore e rappresenta una vera rivoluzione in campo tecnologico: è composta da un unico monoblocco in policarbonato con due colori che, seppur a contatto diretto, rimangono completamente distinti. Domitalia è riuscita, infatti,

a brevettare la realizzazione di una sedia bicolore da un unico stampo con iniezione sovrapposta di due colori. Il risultato è un modello che ricorda la struttura costruttiva di una sedia in legno. New Retrò, 100% riciclabile, si adatta a ogni ambiente, grazie alla combinazione di materiali moderni con forme confortevoli e che richiamano il passato.


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