Divina commedia

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Demetrio Bianchi

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Inferno

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Dante Alighieri

LA DIVINA COMMEDIA Versione in prosa di

DEMETRIO BIANCHI

a cura di Rita Gherghi


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Demetrio Bianchi

© La Bancarella Editrice Viale della Repubblica n 47, 57025 Piombino (LI) www.bancarellaweb.it ® www.bancarellaweb.eu email: labancarella@aruba.it Collana Classici in prosa n. 1

Copertina : a cura Marisa Pieroni EAN 978-88-89971-59-8

Illustrazioni del testo: Per gli inizi dei canti, Marisa Pieroni le illustrazioni all'interno dei canti sono quelle di Gustavo Dorè salvo alcuni casi ove specificato sono di altri autori. Legenda illustrazioni: viene citato il canto e i versetti e se è un particolare dell'immagine Part. = per particolore Esempio = (Part. I Falsari. Inferno, XXIX, 79-83).


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PREMESSA

V

olevo leggere la Divina Commedia. Ero curioso. Mi interessava sapere che cosa veramente fosse accaduto durante tutto quel lungo viaggio di Dante: passo dopo passo, in modo continuativo, semplice, logico, armonico, frase dopo frase, episodio dopo episodio, durante tutto il tragitto attraverso i tre mondi. Dunque non volevo leggere la Divina Commedia –per così dire– «a pezzi», come spesso, anche per motivi di tempo, accade, per esempio, durante lo svolgimento dei programmi scolastici, dove si «saltano» i capitoli ed i canti più noiosi e difficili per affrontare quelli più famosi e significativi (un po’ sempre gli stessi). Tutto questo mi sembrava importante anche per formare una base più solida al fine di predisporsi ad entrare nei meandri dei puri e complessi commenti sui contenuti religiosi, storici, morali e filosofici dell’opera con riferimenti ad episodi, personaggi ecc.; ed affrontare così tutti gli approfondimenti e gli studi su Dante e la Divina Commedia che, come si sa, possono non finire mai. Ma…come fare? Per rendere più facile la lettura, più corrente e rapida, senza dover ricorrere alla tradizionale ma difficile lettura delle rime e poi andare ad esaminare le relative note e tradurre (come in pratica si procede a scuola), ho cercato una sorta di testo “in prosa” dell’intera Divina Commedia; non un “commento” né un “riassunto”, bensì qualcosa di “narrativo” che, tuttavia, non si allontanasse dall’originale forma poetica. Non ho trovato nulla del genere. Allora, per soddisfare comunque la mia volontà, non ho potuto fare altro che piegarmi a leggere la poesia e tradurre dunque i testi originali, “scolasticamente”, frase dopo frase e, naturalmente, con l’insostituibile guida delle note. Però, anche in questo modo, mi sembrava che, in fondo, non mi “rimanesse” proprio tutto quello che leggevo; dunque pensai di scrivere quello che in pratica traducevo. Mi accorsi così, traducendo e scrivendo, di procedere in effetti ad una “ricucitura”, paziente ed anche preziosa, delle innumerevoli “note” che trovavo nei testi. Però, così facendo, mi resi conto che, ormai, potevo (così come ho fatto) cercare di “impostare in prosa” tutta l’opera dalla prima all’ultima frase, senza alcun commento o riassunto, con relativa semplicità e chiarezza, sempre aderente alla frase poetica ma, in parole povere, come fosse stato semplicemente un lungo romanzo a puntate. Forse ho fatto una cosa inutile; in ogni modo…. è andata così. È stato un lavoro lunghissimo, ma anche piacevole, altrimenti non l’avrei certamente concluso. Dunque, se qualcuno, come me, fosse spinto dall’istinto di leggere “in un altro modo” la Divina Commedia, lo potrà fare. La traduzione è stata ricostruita, frase dopo frase, in modo molto aderente all’originale poesia.


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Durante la lettura potranno essere rilevate anche alcune tortuosità e la frase potrà apparire anche un po’ pesante ma, d’altra parte, convertire in prosa le frasi poetiche di Dante senza allontanarsi dalla poesia stessa, né accompagnare la narrativa con l’aiuto di commenti o spiegazioni, non è stato facile. Inoltre, nel tradurre, la preoccupazione maggiore è stata quella di cercare di chiarire i tanti concetti, forse un po’ a scapito della pura forma letteraria. Per la verità, a volte, di fronte a personaggi o episodi singolari o similitudini o particolarissimi riferimenti storici e leggendari, nel contesto della traduzione è stata aggiunta qualche frase non appartenente alla poesia, per spiegare meglio i fatti più oscuri e le circostanze più complesse. Tuttavia certe “libertà” o “leggeri prolungamenti”, non frequenti, credo non abbiano falsato l’originalità e la continuità della stessa frase poetica o dei concetti danteschi, ma siano serviti, piuttosto, a rendere più completa ed esauriente la narrativa stessa. Una cosa però devo ripetere e chiarire al di sopra di tutto. Non ho mai, in nessun caso, osato “interpretare” in modo personale il pensiero di Dante bensì ho tradotto esclusivamente sulla base di testi scolastici e di quelle “note” ufficiali che hanno rappresentato “alla lettera” la base fondamentale della traduzione. Spero così di avere perlomeno salvato la mia massima buona fede senza nulla togliere e nulla aggiungere al mio lungo lavoro. Insomma, io non credo che leggere la Divina Commedia come fosse “un romanzo”, sia una cosa inutile e nemmeno che ciò possa, in qualche modo, sminuire il suo contenuto e la sua importanza. E beati coloro che hanno la capacità di impararla a memoria! Ma per chi ha poca memoria e poco tempo e volesse semplicemente conoscere questa lunghissima storia senza impegnarsi a studiarsela tutta in modo tradizionale, scolastico o specialistico, ebbene, in questo modo potrebbe più facilmente tentare di farlo. Poi, se vorrà, potrà ricominciare da capo ed affrontare tutti gli approfondimenti, gli studi, le indagini ed i commenti che desidera.

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PREFAZIONE

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el suo profondo vidi che s’interna / legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna; / sustanze e accidenti e lor costume, / quasi conflati insieme, per tal modo / che ciò ch’io dico è un semplice lume. / Le forme universali di questo nodo / credo ch’io vidi, perché più di largo, / dicendo questo, mi sento ch’io godo». Queste meravigliose parole leggiamo nei versi 85-93 dell’ultimo canto del “Paradiso” di Dante, canto con il quale si conclude il breve (tre giorni) e pur lunghissimo viaggio dell’uomo-Dante attraverso i regni dell’oltretomba. È il momento culminante del lungo peregrinare, il più drammatico e il più lirico, il più profondo ed atteso, perché in questo momento ci troviamo di fronte a Dio. Non ad un Dio qualunque, non ad un feticcio, bensì di fronte al supremo Intelletto e, soprattutto, al supremo Amore. In quel punto, legati assieme in un amoroso vincolo di unità, si trovano tutti gli esseri, grandi e piccoli, sostanze ed accidenti che si dipanano nell’intero, immenso universo. La conoscenza di questo punto infinito ha rappresentato da sempre e rappresenta a tutt’oggi lo scopo fondamentale del sapere umano; se l’uomo potesse conoscere il principio primo di tutto ciò che è, la ricerca terminerebbe la sua corsa e l’uomo sentirebbe appagata la sua ansia di conoscenza. Ma l’intelletto umano, che è legato a certi modi definiti di conoscere, non può arrivare a comprendere l’infinito che, come tale, rimarrà per sempre una meta ideale ed insieme impossibile del nostro sapere. «All’alta fantasia qui mancò possa…», afferma il sommo poeta al v. 142 del canto XXXIII; la fantasia, che si era elevata a tanta meta, non trova la forza di seguire la pura intuizione di un intelletto che può tanto, solo perché illuminato da Dio. Ed ecco che, a questo punto, si comprende che l’unico modo di conoscere, o meglio di immaginare le più alte vette, è la Poesia; essa è da sempre il regno dell’eterno, dell’immortalità, dell’Assoluto e dell’Infinito, perché solo la poesia è in grado di scavare e di intuire, in una sorta di flash luminoso che poi subito scompare dalla nostra mente, la dimensione dell’interiorità che raccoglie in noi, come in un nodo, i misteri più profondi e i valori dell’esistenza. La poesia arriva subito, l’intelletto cammina lentamente, a brevi passi. In un’opera pittorica di Caspar David Friedrich intitolata “Il viandante nel mare della nebbia”, risalente all’anno 1818, noi vediamo un uomo, ben vestito, che dalla cima di una montagna, sotto la quale non c’è che nebbia, guarda, con le spalle rivolte all’osservatore, verso una luce nascente. Noi non conosciamo l’espressione impressa nel volto del “Wanderer”, cioè del nostro viandante: può essere un’espressione di gioia perché di fronte alla luce, o di stanchezza per il lungo cammino o intensa perché propria di chi sta scrutando l’imperscrutabile. Ciò che si immaginava Friedrich noi non lo sapremo mai, ma sappiamo che quel dipinto risale agli inizi del Romanticismo, di quell’età in cui i valori,


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contenuto dell’interiorità, costituiscono il materiale con il quale uomini di grande levatura morale scrissero pagine di meravigliosa poesia. Così si riconferma che l’Arte è il regno dell’infinito e proprio per questo il divino poema affascina e imprigiona ancora oggi, dopo tanti secoli dalla sua nascita, il cuore degli uomini; l’artista ne rimane impressionato ed impressiona noi ogni volta che declama quei versi sublimi. Così ne è rimasto impressionato, uomo fra gli uomini, anche il mio amico Memi. E a questo punto permettetemi di parlare di lui o meglio di immaginare la sensibilità e la profondità di un uomo che, di fronte alla lettura dei versi danteschi, ha sentito nascere in sé qualcosa di così immenso, di irrazionale e insieme di così dolce e accattivante da decidere di imporre a se stesso un’opera così ardua: la conversione in prosa dei versi della “Divina Commedia”. Come nel “Wanderer” io, a somiglianza di tutti, non conosco l’espressione di quel volto, così non so la vera ragione che ha spinto questo mio caro amico ad un’impresa non certo facile. Ma, se l’immaginazione non fallisce, l’animo mi suggerisce che solo un perché può averlo spinto a tanto: il divino poema ha conquistato il suo animo, provocando in esso gioia appagante, compimento e felicità non futile, ma pregnante. Lui ha sentito così la necessità di trasmettere agli altri questa gioia, perché quando una soddisfazione e una conquista sono immense si sente la necessità di trasmetterle agli altri e di non serbarle in un vuoto egoismo. Se ci pensiamo bene, si comprende che questa spiritualità è un moto eterno nell’uomo, non ha tempo e non ha spazio e per capire ciò basta rifarci al “mito della caverna” del grande Platone: lo schiavo, che si è liberato dalle catene e che è giunto a contemplare la luce del sole, non vuole rimanere lassù in quel regno beato, ma vuole ridiscendere all’interno della caverna affinché anche gli altri schiavi possano diventare uomini liberi. A giudizio di Platone, infatti, fa parte integrante dell’etica del filosofo il “ritorno alla caverna”; tale ritorno consiste nella rivisitazione del mondo umano alla luce di ciò che ha visto al di fuori, dove il sole rappresenta l’idea del bene e l’intero mondo esterno alla caverna rappresenta le Idee. Ritornare nella caverna significa, per l’uomo, mettere tutto ciò che ha visto a disposizione della comunità, perché quella realtà sociale, per quanto inferiore all’ideale, è il mondo umano, il suo mondo ed egli capisce di avere un dovere verso di esso, dovere che ha per scopo il miglioramento di tale umana realtà. E se facciamo mente locale, questo è anche il messaggio di Dante, il cui compito, tornando in terra, è di riportare agli uomini tutto ciò che ha visto e principalmente l’immagine stupenda dell’unità di tutte le cose in Dio, fine ultimo del suo viaggio e di quello di tutta l’umanità. «All’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio desio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle». Leggiamo, dunque, i sublimi versi del sommo poeta, che ancora oggi ci parla e ci insegna e, attraverso quelle pagine meravigliose, cerchiamo di far crescere e di approfondire la nostra spiritualità.

Rita Gherghi


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«Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, / esta selva selvaggia e aspra e forte, / che nel pensier rinova la paura!» (Inferno, I, 1-6).


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Riassunto Canto I

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ante si sente moralmente e spiritualmente perduto. Prova a redimersi, con le sole sue forze, ma non ce la fa. Infatti, gli si presentano davanti i grandi peccati –lussuria, superbia, avarizia– sotto la forma di tre belve –lonza, leone, lupa– che lo ostacolano nell’intento, ed è disperato. Proprio in quel momento gli appare provvidenzialmente Virgilio, il grande poeta latino, venuto per salvarlo. Virgilio gli consiglia però di abbandonare quella breve e facile via della dolce collina –che Dante aveva tentato di intraprendere– proponendogli, per la salvezza della sua anima, un’altra via più sicura, ma anche più lunga e faticosa, che lo porterà attraverso l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso.

CANTO I v. 1

In quel momento della vita in cui l'uomo si pone le cruciali domande, chi sono, dove sono, dove vado, io fui assalito da una terribile angoscia e smarrimento simile a chi all'improvviso si ritrova perso in una selva oscura. Ahimè, com’è difficile spiegare quanto fosse tremenda la sensazione di ritrovarsi in quella situazione. Una situazione tanto amara ed angosciosa quasi quanto la morte. Tuttavia, per raccontarvi ciò che, seppure in quei momenti tremendi e drammatici mi accadde anche di bello, di grande, e meraviglioso, cercherò di spiegare tutto quello che mi capitò veramente e quello che fui in grado di scoprire e sapere. Non ricordo esattamente né come né il momento preciso in cui accadde, né il momento in cui ho capito di essermi veramente perduto1. Ero talmente cieco e disperato che non sapevo più distinguere il bene dal male. Ad un certo punto, dopo avere lottato, da solo, in quell’oscura selva fatta di paura e di peccato ed esserne con le sole mie forze, quasi venuto fuori, mi accorsi di essere giunto, finalmente, ai piedi di un colle. Alzando lo sguardo verso l’alto, vidi che il pendio della collina, lassù verso la cima, era già un po’ illuminato dal sole e dalla luce che guida tutti verso la giusta via. Allora si calmò un po’ la paura che, nel cuore, avevo avuto a lungo durante tutta quella notte passata in quel terribile stato d’ansia e capii anche che, se avessi potuto raggiungere quella cima illuminata, ciò avrebbe potuto rappresentare finalmente la salvezza per la mia vita. Sì, era quella la via, era quella la luce della rinascita e della felicità; avevo forse ritrovato la vera strada, il vero cammino o –quantomeno– avevo capito quale dovesse essere e, quindi, dopo tanto dolore, cominciai a star meglio. E come un naufrago che, sfinito, esce fuori dal mare in burrasca e giunge sulla riva e poi si volta verso lo scampato pericolo e lo osserva ancora con sentimento di paura e d’angoscia; così io, con l’animo ancora dominato dalla paura, mi voltai indietro per riosservare quel luogo, quella situazione drammatica in cui mi ero ritro1 È il momento in cui per il poeta ha inizio la sua crisi morale.


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vato, che mi attanagliava e dalla quale credo nessuno mai era uscito vivo. Appena ebbi riposato il mio stanco corpo, m’incamminai un poco in salita, per la zona deserta, verso quel colle che avevo davanti. v. 31 Ed ecco, quasi all’inizio della salita, apparirmi una lonza, dall’aspetto agile e molto veloce ricoperto di pelo maculato e stava là ferma, l’emblema della lussuria. E non se n’andava, anzi sembrava quasi che volesse impedire il mio cammino, tanto che più volte fui preso dalla tentazione di ritornare indietro. Era il principio del mattino ed il sole saliva nel cielo insieme a quelle stelle che fanno parte della Costellazione dell’Ariete in compagnia delle quali, il sole, si era trovato anche nel momento in cui Dio creò il mondo e mosse, per la prima volta, gli astri. Così, quell’ora mattutina, l’ora più pura, in cui anche l’uomo si sente più sereno e migliore, insieme a quella dolce stagione primaverile, mi davano motivo di conforto e di speranza per poter vincere certe tentazioni riguardo a quell'animale, peraltro piacevole per la sua bella pelle leggiadra. Speranza, sì, ma non tanta da non farmi impaurire nuovamente per l'improvvisa comparsa di un leone, simbolo della superbia. Lo vidi venirmi incontro a testa alta, minaccioso e con ferocia, tanto che anche l’aria sembrava avere paura. Ed ecco per ultima, ma dall’aspetto ancora più crudele, apparire una lupa, che nella sua estrema magrezza sembrava incarnare tutti i desideri più corrotti che rovinano gli uomini come l’avarizia, la cupidigia, la corruzione. Questa suscitò in me tanta disperazione ed angoscia –per la paura che quel suo terribile aspetto emanava– da farmi perdere la speranza di proseguire la strada e raggiungere la cima del colle. E mi sentii come colui che ha acquistato con gioia un bene e poi arriva il momento in cui lo perde ed allora piange e si rattrista nel suo animo, in tutti i suoi pensieri. Questo, in me, provocò quella bestia che rappresentava colui che non ha mai pace perché desidera sempre di più. Venendomi incontro, mi respingeva indietro di nuovo verso la selva oscura dei peccati e cioè verso la mia disperazione. Mentre perdutamente precipitavo di nuovo indietro, ecco che mi si presentò davanti agli occhi qualcuno, forse, qualcosa: una presenza che, essendo rimasta tanto a lungo in silenzio, appariva come priva di voce. Ed appariva muta –così– come, forse, la religione o la mia coscienza che erano rimaste entrambe per me molto a lungo in silenzio, avendo io perduto la retta via. Quando vidi e percepii meglio quest’entità, questa presenza, in quel gran deserto «...pietà… per me...» gli gridai «... qualsiasi cosa tu sia, ombra o uomo certo...». Mi rispose: «Non uomo; già fui uomo, ed i miei genitori furono lombardi, entrambi mantovani.» v.70 «Nacqui al tempo di Giulio Cesare prima che lui avesse conquistato il potere e vissi a Roma, sotto il buon Augusto al tempo degli dei falsi e bugiardi i quali, essendo falsi, non possono rendere quello che la fede in loro, attende. Fui poeta e cantai di quel giusto Enea, figlio di Anchise, che venne da Troia, quando quella su-


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perba città fu distrutta. Ma tu perché sei così incerto? Perché torni indietro verso quell’oscura selva, verso tanto male? Perché non sali su, verso il colle che dà gioia e che è il principio e la ragione della vera felicità?». «Ma allora tu sei Virgilio, l’espressione dell’umana saggezza e della ragione; quella fonte inesauribile che sparse un largo fiume di parole e che raggiunse il più alto grado di eloquenza?!» io gli risposi con ammirazione ed anche con vergognoso timore. «O luce e onore degli altri poeti, che mi sia di giovamento ed aiuto quel lungo studio ed il grande amore con cui ho letto l’Eneide, il tuo grande poema. Tu sei il mio maestro e colui al quale mi sono sempre ispirato; tu sei il solo da cui appresi lo stile delle canzoni e delle liriche e che mi ha procurato così tanto onore. Guarda quella tremenda bestia, per colpa della quale sono tornato indietro, poiché mi fa tremare di paura: aiutami, salvami da lei, grande saggio». «Allora per questo, devi fare in un altro modo: ti conviene cambiare completamente strada, se vuoi veramente allontanarti da questo luogo selvaggio», rispose Virgilio dopo che mi vide piangere. «Infatti questa bestia per cui invochi aiuto, non lascia passare mai nessuno per la sua strada e costringe sempre a tornare sul peccato. Non tanto con la violenza come quella del leone, quanto per la sua tremenda ostinazione, che poi finisce con l’uccidere. Essa ha una natura così malvagia e crudele che non è mai soddisfatta e dopo avere mangiato, ha sempre più fame di prima. Molti uomini sono rovinati da lei e saranno ancora tanti, fino a quando qualcuno –un Veltro da caccia, un Salvatore– come una straordinaria grazia di Dio, finalmente non verrà e così la farà morire nel dolore. Questo Veltro mandato da Dio non si ciberà né di terre né di denaro o di ricchezze, ma si ciberà di saggezza, di amore e virtù e la sua casa sarà nella povertà e lui vivrà poveramente. Sarà la salvezza di quella terra italiana piena di basse coste sabbiose, per la quale morì combattendo contro i Troiani anche la fanciulla Camilla, figlia di Metabo re dei Volsci. E con lei morirono anche Turno re dei Rutoli e quindi morirono di ferite anche i soldati Eurialo e Niso. Questo Salvatore mandato da Dio caccerà la lupa da ogni città fino a che non l'avrà ricacciata nell'Inferno da cui l’Invidia del Diavolo verso gli uomini l’aveva fatta uscire, in passato, per tormentare tutta l’umanità. Quindi, poiché non è possibile vincere la lupa ed ucciderla prima della venuta del Veltro, per il tuo bene io ritengo più opportuno che tu prosegua per altra via. v. 113 Io sarò allora la tua guida e ti farò uscire da qui e da questa situazione di pericolo, proprio attraverso la strada dell’Inferno; di quell’Inferno che durerà in eterno, dove udirai grida disperate e vedrai gli antichi spiriti nel dolore, tanto che ciascuno di loro invoca una seconda morte, quella dell’anima, per cessare di soffrire ancora. Poi vedrai coloro che nel Purgatorio gioiscono invece per le fiamme perché sperano, quando sarà espiata la loro pena, di salire fra i beati. Dopo, se lo vorrai, potrai proseguire in Paradiso, verso le anime dei beati e salire ancora. Allora ci sarà l’ani-


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E lei a me: «Nessun dolore è maggiore del ricordare i momenti tanto felici, quando siamo nella miseria. E questo lo sa bene la tua guida. Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere il principio della nostra avventura amorosa e come si sviluppò; e se questo ti servirà per ricostruire e comprendere la colpa, nei suoi modi e nelle sue cause, affinché essa ammonisca e metta in guardia sulla facilità di cadere, ebbene te lo dirò parlando e piangendo. Un giorno noi stavamo leggendo, per divertimento, come Lancillotto si innamorò di Ginevra moglie di re Artù. Eravamo soli ed anche in buona fede. Più volte, mentre leggevamo, ci guardavamo e ci identificavamo in quei personaggi, impallidendo dall’emozione. Però, solo un punto fu quello che ci vinse, cioè quando leggemmo che la bocca di Ginevra fu baciata da Lancillotto. Allora anche Paolo, che come ora mi stava sempre vicino, mi baciò tremante di passione. Galeotto fu quel libro e chi lo scrisse; perché, da quel giorno, smettemmo di leggere». Mentre uno spirito parlava, l’altro piangeva così fortemente che io svenni dal dispiacere come fossi morto. E caddi come cade un corpo morto.

« Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: / esamina le colpe nell'entrata; / giudica e manda secondo ch’avvinghia.» (Minosse. Inferno, V, 4-6).


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«I’ cominciai: “Poeta, volentieri / parlerei a quei due che ’nsieme vanno, / e paion sì al vento esser leggieri”.» (Paolo e Francesca. Inferno, V, 73-75).


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fero– con tanti cittadini gravati da pesantissime pene, insieme a un grande stuolo di demoni». Ed io: «Maestro là dentro le mura vedo già chiaramente delle fortificazioni che sembrano moschee, di color rosso come se fossero uscite dal fuoco». E lui a me: «Il fuoco eterno, che là dentro le infiamma, le fa anche sembrare di colore rosso, come puoi vedere in questa parte più bassa dell’Inferno, dove ora siamo». Alla fine giungemmo dentro a dei profondi fossati che circondavano, come un grande vallo, quella città senza speranza: le mura sembravano di ferro. Non senza prima fare un grande giro arrivammo in un punto dove il nocchiero Flegiàs gridò forte: «Scendete dalla barca; è qui l’ingresso». Io vidi allora più di mille diavoli sulle porte che dicevano con rabbia: «Chi è costui che da vivo gira per il regno dei morti?». Allora il saggio mio maestro fece segno di voler loro parlare segretamente. Quindi quei diavoli si calmarono un poco e dissero: «Vieni tu solo; e quello –visto che ha avuto il coraggio di entrare in questo re gno da vivo– se ne rivada da sé, se ne è capace. v. 91 Se ne ritorni da solo per la folle strada. Ci provi, se sa farlo, perché tu che lo hai condotto per questo oscuro cammino, rimarrai qui». Pensa un po’, lettore, se io non mi impaurii nell’udire quelle parole maledette, tanto che non credei, a quel punto, di poter ancora ritornare sulla terra. «O caro duca mio, che infinite volte mi hai trasmesso sicurezza e fiducia e mi hai allontanato dai grandi pericoli che mi si sono presentati» io dissi «non lasciarmi ora così disperato; e se ci è negato di andare oltre, lasciamo perdere, riprendiamo –insieme e subito– la strada del ritorno». E quel maestro che mi aveva condotto lì, mi disse: «Non temere; perché il nostro cammino non può impedircelo proprio nessuno essendo stato autorizzato direttamente da Dio. Ma aspetta qui e –invece– consola e tranquillizza il tuo stanco spirito e nutrilo di viva speranza perché io certamente non ti lascerò quaggiù». Dopo queste parole Virgilio, il dolce padre, si allontanò e mi lasciò lì ed io rimasi nel dubbio e nell'incertezza, tanto che, nella mia mente iniziarono a combattersi pensieri contrastanti. Non potei udire quello che egli disse a quei diavoli; ma non stette là a lungo perché molto presto ciascuno di loro corse a rinchiudersi dentro le mura. Quei diavoli chiusero le porte in faccia al mio signore che rimase fuori e tornò lentamente verso di me. Con lo sguardo basso e gli occhi privi di baldanza diceva sospirando: «Chi è che mi ha impedito l'ingresso nella città di Dite...!» Poi mi disse: «Tu però non ti preoccupare per il fatto che io mi adiri, perché alla fine avrò ragione, qualsiasi cosa stiano facendo là dentro per impedirci di entrare. Questa loro tracotanza non è nuova. Infatti già loro agirono così quando vollero difendere una porta ancora meno segreta di questa, cioè più esterna. E ciò accadde quando a Cristo volevano impedire di entrare nel Limbo per liberare le anime dei


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Patriarchi. Ma Cristo ruppe quella porta che è rimasta poi senza più alcuna chiusura, come tu hai potuto constatare quando noi ci siamo passati senza ostacoli; e sopra di essa tu vedesti la scritta della morte di ogni speranza. Ma sappi che proprio in questo momento tale porta è già oltrepassata da un messo del Cielo il quale senza alcuna scorta sta venendo verso di noi, in nostro aiuto. Egli discende il pendio dell’Inferno nelle sue profondità, passando attraverso i vari cerchi che noi abbiamo già percorso. Lui non ha però alcun bisogno di guide e vedrai che, per lui, ci verranno aperte le porte dell'ingresso alla città di Lucifero».

Riassunto Canto IX

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irgilio e Dante, bloccati davanti alla porta di Dite, rimangono un po’ di tempo in quella situazione di terribile impotenza in attesa di un soccorso dal cielo. Dante, quasi a voler stemperare la tensione, chiede se altri avessero mai lasciato il Limbo per scendere in quelle viscere infernali. Virgilio gli risponde che lui stesso –sì– in un’altra occasione, poco dopo la sua morte, era dovuto scendere negli Inferi e questo dimostrava, appunto, la sua conoscenza di quei luoghi; ulteriore motivo per cui Dante non dovesse temere alcunché. Oltre ai demoni, appaiono sulle mura di Dite tre Furie che invocano con aria minacciosa l’intervento di Medusa affinché pietrifichi Dante. Virgilio protegge Dante da quelle minacce. Ma ecco che finalmente giunge in soccorso il messo divino. Apre la porta della città ed immediatamente svaniscono pericoli e paure. Egli, con asprezza e sufficienza, ammonisce quei demoni che avevano tentato di ostacolare il disegno divino. Quindi, altero ed impaziente, senza aggiungere altro, lascia quel luogo. Virgilio e Dante entrano nella città e pianti e lamenti si fan sentire in un’atmosfera di intenso dolore. Lì intorno sono sparsi gli avelli roventi degli eresiarchi, di coloro cioè che hanno alimentato e fomentato le eresie. Virgilio spiega brevemente a Dante le colpe di quei dannati e poi proseguono.


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«Tanto ch’i’ vidi delle cose belle / che porta ’l ciel, per un pertugio tondo; /e quindi uscimmo a riveder le stelle.» ( Dante e Virgilio sono fuori dell'Inferno. Inferno, XXXIV, 137-139).


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«Per correr miglior acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno, / che lascia dietro a sé mar sì crudele; / e canterò di quel secondo regno / dove l’umano spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno». (Purgatorio, I, 1-6).


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Riassunto Canto I

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scito dall’Inferno Dante, implorando le Muse affinché lo aiutino nel nuovo e più elevato impegno, si predispone spiritualmente a raccontare il suo viaggio attraverso il Purgatorio. I due poeti si trovano ora nell’emisfero australe e quindi in questo nuovo mondo anche tutti i segni astronomici sono diversi come le stelle del cielo che appaiono pure e splendenti. Una diversa luce che diffonde un colore celestino circonda quel luogo e l’ambiente appare molto diverso dalle lontane, tristi tenebre infernali. Catone Uticense, guardiano dell’Antipurgatorio, si presenta ai due poeti i quali provano subito emozione di fronte a quella veneranda figura avente l’aspetto di un patriarca. Lui, meravigliato, chiede autorevolmente spiegazioni su come essi abbiano potuto abbandonare l’ Inferno dal quale mai nessuno è potuto uscire. Virgilio spiega, non senza timidezza e reverenza, il senso e l’origine di quel viaggio voluto dal cielo e sotto la guida diretta di Beatrice. Pertanto lo prega di lasciar proseguire quel cammino già iniziato ed indispensabile per la salvezza di Dante. Catone acconsente e consiglia però di lavare la faccia di Dante per togliere dal suo volto le tracce della bruttura e dello sporco infernale ed anche di cingerlo con un giunco che cresce sulla spiaggia nel punto più basso del Purgatorio. Tale giunco lo avrebbe reso degno di presentarsi all’angelo che avrebbero trovato sulla porta del Purgatorio. Poi improvvisamente Catone scompare e i due s’incamminano verso il mare. E’ l’alba e tutto sembra preannunciare il vero inizio della salvezza. Virgilio pulisce le guance sporche di Dante e quindi arrivati sulla spiaggia deserta del Purgatorio cinge con un giunco la sua vita, come aveva raccomandato Catone. Quel giunco reciso immediatamente rinasce nello stesso punto. CANTO I

Per viaggiare in acque migliori, più pure, la nave della mia intelligenza e della mia fantasia alza ora le vele e lascia dietro di sé quel luogo così amaro e crudele. Ora racconterò di quel secondo regno dei morti dove le anime si purgano e diventano degne di salire in cielo. Ma il mio spirito poetico che laggiù in quel luogo non poteva esprimere il suo stile, risorga ora, o Sante Muse! Mi sento infatti nelle vostre mani. E mi rivolgo particolarmente a Calliope affinché accompagni il mio canto con quella musica e quell’armonia di cui le sciagurate Pieridi 1 sentirono talmente la superiorità che non osarono neppure sperare di trovare perdono e scampo per la loro presunzione. 2 Appena uscito dall’Inferno, che aveva tanto rattristato i miei occhi ed il mio v. 1

1 Figlie di Pierio re della Tessaglia. 2 Le Pieridi avevano osato sfidare nel canto quelle Muse che in quell’occasione erano rappresentate proprio da una di loro e cioè da Calliope. E non volendo poi neppure riconoscere la loro inferiorità rispetto alle Sante Muse, furono da queste trasformate in gazze.


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« “ricorditi di me che son la Pia: / Siena mi fè; disfecemi Maremma /salsi colui che ’nnanellata pria/ disposando m’avea con la sua gemma.”» (Pia dei Tolomei. Purgatorio, V, 133-136).


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«Vieni con lui». Se io avessi, o lettore, più tempo per raccontare, continuerei a cantare anche in parte, per quel che mi è possibile con la mia arte, quanto sia dolce il bere le acque dell’Eunoè, tanto che mai mi sarei saziato. Ma siccome ormai sono ripiene tutte le carte già predisposte, come l’ordito della tela, che erano destinate a questa seconda cantica, ciò non mi consente di dilungarmi oltre, di proseguire al di fuori di una rigida disciplina narrativa. Io ritornai dalla santissima acqua dell’Eunoè, rinnovato come le piante giovani si rinnovano di nuove fronde, purificato predisposto a salire in cielo fra le stelle.1

«S’io avessi lettor, più lungo spazio / da scrivere i’ pur cantere’ in parte / lo dolce ber che mai m’avria sazio; / ma perché piene son tutte le carte / ordite a questa cantica seconda, / non mi lascia più ir lo fren dell’arte. / Io ritornai dalla santissima onda / rifatto sì come piante novelle / rinnovellate di novella fronda, / puro e disposto a salire alle stelle.» (Part. Dante si abbevera al fiume Letè. Purgatorio, XXXIII ,136-145).

1 Il peccato e la sua memoria sono caduti come le foglie secche e la memoria delle opere buone si è rinnovata come le foglie nuove. Dante è un uomo, degno di salire a Dio.


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Riassunto Canto I

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ante esalta la magnificenza di Dio e anticipa subito al lettore l’argomento che tratterà: il raggiungimento dell’Empireo. È un’esperienza che la memoria umana e la poesia stessa non riescono a testimoniare completamente. Tuttavia lui farà il possibile per riuscire bene nel suo intento. E per questo Dante rivolge un’accorata preghiera ad Apollo, il dio della poesia, perché gli dia forza ed arte per portare a termine l’arduo compito. Con un riferimento astronomico Dante ricorda di essere in primavera, la stagione più lieta e rigeneratrice della vita. Beatrice è lì vicino e fissa come un’aquila il sole. Di riflesso, anche il poeta fissa i suoi occhi sul sole ed esalta subito le possibilità e facoltà che si possono acquisire in Paradiso e che permettono di fare cose impensabili in terra. Dante rimane estasiato per la splendida armonia dei suoni e per i movimenti delle sfere rotanti, ma non riesce a capire tutto quello che sta accadendo. Beatrice avverte lo stato d’animo di Dante e gli consiglia di staccarsi dal ragionare in modo terreno perché lui sta già procedendo velocemente verso l’Empireo, la sua vera patria. Dante non si rende, conto, però di come, essendo ancora legato al corpo, possa oltrepassare corpi lievi, quali la sfera dell’aria e quella del fuoco. Dunque Beatrice, con pazienza e amore divino, inizia una lunga spiegazione della dottrina dell’ordine universale e conclude affermando che, dal momento che Dante è ormai purificato dai peccati terreni, è perfettamente normale che lui possa naturalmente salire verso Dio, come un fiume scende lungo la valle. Poi tace e rivolge lo sguardo verso il cielo. CANTO I v. 1

La magnificenza di Dio, motore dell’universo, si diffonde e risplende in tutte le cose (perché da Lui giunge a ciascuna di esse l’esistenza stessa e l’essenza che dà loro la forma) ma in vario modo e misura, ossia a seconda della maggiore o minore predisposizione di ciascuna ad accogliere in sé l’impronta della virtù divina.1 Io andai nell’Empireo, il più luminoso dei cieli. Che contiene tutti i corpi e da nessuno è contenuto e che arde del fuoco spirituale e cioè del santo amore.2 E vidi cose che chi scende da lassù non sa riferire perché se ne è dimenticato e perché, pur se ne conservi la memoria, viene meno la capacità di esprimerle. Infatti la parola umana non è in grado di tener dietro al volo sublime dell’intelletto. Avvicinandosi a Dio, ultima meta del suo desiderio, la mente s’addentra così profondamente nella cognizione del bene supremo che poi, cessata la visione, la memoria non è più capace di ricordare quello che l’intelletto ha visto nel rapimento mistico. Tutta1 Il Paradiso inizia con la maestosa immagine di un Dio che guida tutto l’universo, imprimendo a ciascuna realtà creata una vita specifica e manifestandosi non come potenza dominatrice, ma come luce che illumina amorosamente l’intimo delle sue creature. 2 Vale a dire, la carità.


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via, quanto della visione del Paradiso la mia memoria potè conservare, sarà ora materia della mia poesia. Oh valente Apollo,1 per questa fatica che ancora mi resta, infondi in me tanta virtù poetica quanta tu stesso sai che ne occorra, affinché un uomo si renda degno del glorioso titolo di poeta. Fino a questo momento mi è bastato il soccorso delle Muse;2 ma adesso, per affrontare l’ultimo argomento, mi è necessario il soccorso di entrambi. Entra dentro di me, o Apollo, e ispirami con quella potenza che mostrasti nella gara con il satiro Marsia3 O divina virtù, se mi presti il tuo valore, tanto che io possa esprimere il ricordo del Paradiso rimasto impresso nella mia mente, mi vedrai venire alla tua diletta pianta, l’alloro, ed incoronarmi delle sue foglie; così ne sarò degno grazie all’altissimo argomento e a quell’arte che tu, o Apollo, mi vorrai prestare. v. 28 D’altra parte, molto raramente accade che si distacchi il ramo di quella pianta per celebrare il trionfo di un imperatore o di un poeta, per colpa dei peccati e delle volgarità degli uomini, i quali non tendono alla perfezione e si allontanano dalla parte migliore della loro natura. Quando invece tale fronda di alloro dovesse suscitare un forte desiderio ed assetare qualcuno ciò dovrebbe renderti felice di prestare il tuo aiuto, o Apollo. Talora un grande incendio nasce da una piccola scintilla. 4 Spero infatti che dopo di me ti rivolgeranno preghiere altri poeti ancor più dotati, affinché tu, o Apollo, esaudisca le loro aspirazioni e venga così maggiormente alimentata e perfezionata la grande missione dell’arte poetica5 Il sole sorge per gli uomini da diversi punti dell’orizzonte; ma esso esce con un corso migliore ed accompagnato da una stella più propizia quando nasce da quel punto in cui quattro cerchi si incontrano formando tre croci. In quel periodo dell’anno esso plasma con la sua impronta la materia del mondo in modo più completo.6 Sorgendo dal punto cardinale di levante, il sole aveva recato il mattino all’orizzonte del Purgatorio, e la sera a quello di Gerusalemme. 1 Apollo era considerato nell’antichità guida e ispiratore dei poeti. 2 Le Muse che hanno il potere di aiutare soltanto nei limiti della conoscenza in quanto espressione della scienza umana. 3 Lo sfidò in una competizione di musica. E Apollo, dopo averlo vinto e legato ad un albero, lo scorticò vivo, secondo l’uso che consentiva al vincitore di fare del vinto ciò che avesse voluto. Ovidio, “Metamorfosi” VI, 382-400. 4 Ossia, a volte il tentativo di un ingegno mediocre può suscitare con il suo esempio il fervore di molti emuli. 5 Qui Dante fa tristemente riferimento al fatto che ben pochi nel suo tempo aspirano all’alloro poetico, in un mondo cioè non più guidato da grandi ideali. 6 Con la sua forza fecondatrice ed è così che esso dà avvio alla stagione più lieta e rigeneratrice per gli uomini, cioè la primavera.


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Riassunto Canto VII

B

eatrice risponde ad alcuni nuovi dubbi di Dante. Il poeta non si rende conto di come, dopo la giusta punizione per il peccato di Adamo (avvenuta tramite il sacrificio di Gesù), Dio abbia voluto vendicarsi anche contro gli Ebrei che in fondo erano, sì, stati gli esecutori di quella vendetta, ma pur sempre voluta da Dio. La donna spiega questo mistero dopo tutta una logica disquisizione, e conclude affermando che tale morte fu comunque voluta dagli Ebrei perché Gesù sovvertiva le loro credenze. Quindi il deicidio fu comunque un grave peccato che fece inorridire il mondo. La terra tremò e l’odio degli Ebrei e la loro colpa fu punita da un giusto tribunale in terra: quello dell’imperatore Tito, che si fece anch’esso strumento di giustizia divina distruggendo Gerusalemme. Chiarito il primo dubbio, Dante non si spiega ancora come Dio abbia potuto, per la redenzione degli uomini, scegliere l’incarnazione e la crocifissione di Gesù. L’argomento è molto complesso, ma Beatrice, illuminata da Dio, rivela anche questa verità: la creatura umana, come gli angeli, è stata creata direttamente da Dio in condizione di primitiva perfezione e con il vantaggio di godere dell’immortalità. Ma tale condizione è venuta a mancare con il peccato di Adamo. L’uomo da solo non poteva salvarsi, dunque fu indispensabile il diretto intervento di Dio per reintegrare l’uomo nella vita eterna. Dio volle redimere l’uomo con un atto sommamente giusto e misericordioso: suo figlio (ovvero Lui stesso) si incarnò e si sacrificò sulla croce. Questo fu un atto ancora più generoso di un puro atto di potenza divina e di gratuita misericordia. CANTO VII «Salve o Santo Dio degli eserciti che con la tua luce fai immensamente risplendere i beati fuochi di questi regni celesti !». Così, avvolgendosi con movimento di danza al ritmo della sua melodia, sentii cantare quell’anima1 sulla quale si diffondeva una doppia luce (la luce della beatitudine e quella divina), ed essa e le altre anime si mossero tutte al ritmo della loro danza e, come faville velocissime, scomparvero rapidamente ai miei occhi. Io ero incerto e dicevo fra me: “ parla, parla! Spiega alla tua donna il motivo del tuo nuovo dubbio ed ella sazierà la sete di sapere con le dolci stille della verità”. Ma la timidezza e la reverenza che sempre si impadronivano di tutto me stesso al solo udire la prima e l’ultima sillaba del suo nome, “ Be” o “ Ice”, faceva chinare in giù il mio capo in atto di reverente incertezza, simile a quella dell’uomo che prende sonno e nel quale, quindi, la volontà si attenua. Beatrice non sopportò che io rimanessi a lungo in quello stato e cominciò a parv. 1

1 Giustiniano, che si stava congedando da Dante.


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lare illuminandomi con un tale sorriso e di una tale luce da far felice un uomo anche in mezzo ai tormenti del fuoco. «Secondo quanto io vedo tramite Dio, senza quindi possibilità di errore, è nato in te il dubbio per come sia stato possibile che la giusta punizione per il peccato di Adamo1 abbia poi potuto comportare una seconda, giusta vendetta.2 Ma io libererò la tua mente dal dubbio che la tiene legata e tu ascolta le mie parole, che ti faranno dono di una grande verità. Per non aver sopportato un freno a proprio vantaggio3 Adamo, che era stato creato direttamente da Dio, dannando se stesso, condannò tutta la sua discendenza. Perciò l’umanità giacque nel peccato per molti secoli, fino a che il figlio di Dio non decise di scendere in terra, dove, incarnandosi nel ventre di Maria per sola virtù dello Spirito Santo, unì a sé nella stessa persona la natura umana che con il peccato di Adamo si era appunto allontanata dal suo Creatore. Ora porgi grande attenzione al ragionamento che farò. La natura umana che si congiunse con la natura divina nell’atto dell’incarnazione fu pura e senza peccato, così come era stata creata in Adamo.4 v. 37 Tuttavia, in quanto natura umana in se stessa, non era degna del Paradiso perché, appunto, si era allontanata dalla verità e dalla vita. Quindi, se la pena imposta dal supplizio della croce viene rapportata a quel che la natura umana era diventata dopo il peccato originale, allora il supplizio della crocifissione si può giudicare come una pena che mai così giustamente colpì qualcuno. 5 Ma se giudichiamo invece l’innocenza della creatura divina che di fatto subì il supplizio, alla quale creatura la natura umana era del resto intimamente unita, allora nessuna pena fu mai tanto ingiusta. Perciò, da uno stesso atto, cioè dalla crocifissione di Gesù, derivarono effetti diversi ed apparentemente contraddittori. Infatti la stessa morte, quella di Gesù, piacque a Dio.6 Piacque agli Ebrei.7 Per quella morte dunque (in quanto causata da una colpa degli Ebrei) la terra tremò inorridita; mentre (essendo stata voluta da Dio come atto di giustizia) per questo, si aprirono le porte del cielo per l’umanità redenta. Pertanto non ti deve più apparire difficile da capire ed accettare il fatto che si affermi che una giusta vendetta fu poi altrettanto giustamente punita da Dio per mezzo di un giusto tribunale in terra 1 Voluta da Dio ed avvenuta con il sacrificio della croce. 2 Consistente nella punizione degli Ebrei, avvenuta tramite la distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani. 3 Per non aver saputo frenare la propria volontà stimolata dalla tentazione dell’orgoglio. 4 Gesù nacque senza la macchia del peccato originale. “ Cristo non peccò in Adamo” San Tommaso S. Th. 3,15- 1 5 Si consideri che il supplizio della croce era riservato dai Romani agli schiavi e la natura umana era appunto schiava del peccato originale. 6 Poiché era per Lui atto di giustizia, in quanto colpiva in Gesù la natura umana per punizione del peccato originale. 7 Perché così poterono sfogare il loro odio contro colui che si era proclamato figlio di Dio.


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Ma io vedo ora che la tua mente, passando da un pensiero ad un altro, sta per entrare dentro ad un nuovo dubbio. v. 55 Tu pensi questo: “io capisco bene quello che tu hai fin qui detto, ma ancora mi rimane oscuro il motivo per cui Dio, ai fini della nostra redenzione, abbia scelto proprio questo modo (cioè l’incarnazione e la crocifissione di Gesù)”. Ebbene, questo decreto di Dio è infatti particolarmente inaccessibile per colui in cui l’ingegno non è stato ben nutrito dalla fiamma dell’amore divino. Ma poiché intorno a questo argomento della dottrina cristiana si rivolge molta attenzione dei credenti e così poco invece se ne comprende, ti spiegherò il motivo per cui l’incarnazione e la crocifissione del Verbo sia stato il mezzo scelto da Dio come il più adeguato allo scopo. La divina bontà, che allontana da sé ogni invidia, ardendo in se stessa del fuoco del suo stesso amore, irradia fuori come faville le opere della creazione e manifesta in questo suo atto creativo le proprie eterne bellezze. Ciò che deriva direttamente da Dio è eterno, perché rimane indelebile l’impronta divina quando è suggellata (sulle creature). Ciò che discende direttamente da Lui è perfettamente libero, perché non è soggetto all’influenza dei cieli.1 (Ciò che è creato direttamente da Dio) è più simile a Lui, e per questo gli è più gradito,dal momento che lo splendore divino che irradia ogni cosa, risplende di più in quella che più gli assomiglia. Di tutte queste doti (cioè libertà, immortalità ecc.) l’uomo si avvantaggia (su tutte le altre creature); e se una sola di queste qualità gli viene a mancare, egli di necessità decade dalla sua condizione di privilegio e perfezione. Solo il peccato però lo priva di questa libertà2 e lo rende diverso da Dio; per la quale ragione egli poco si illumina della luce divina, e non ritorna più nella sua originaria dignità, se non riempie il vuoto prodotto dalla colpa nell’anima con un’adeguata espiazione che si contrapponga al cattivo diletto. La natura umana quando peccò tutta nel suo progenitore (= Adamo), fu privata di tutti questi doni che formavano la sua dignità, così come venne privata del paradiso terrestre; né essi, se esamini bene, si potevano recuperare in altro modo senza passare per una di queste vie: o che Dio perdonasse per un semplice atto di misericordia (= “cortesia”) o che l’uomo da solo riparasse al proprio folle errore. Osserva ora con la tua intelligenza entro la profondità dei decreti stabiliti da Dio fin dall’eternità, seguendo attentamente le mie parole senza le quali ti smarriresti. L’uomo, nei limiti delle sue capacità, non poteva certamente riparare il proprio peccato adeguatamente, perché non poteva umiliarsi tanto con la sua obbedienza, quanto aveva preteso di innalzarsi con la sua disubbidienza. Questa è la causa per cui l’uomo fu impedito dalla possibilità di riparare da solo al suo peccato. Dunque, era indispensabile che fosse Dio stesso a reintegrare l’uomo entro la sua vita eterna, ridonando a lui tutte quelle dignità perdute nel peccato, tramite le vie proprie di Dio stesso, che sono la misericordia e la giustizia; ed era necessario che Dio facesse questo seguendo una sola oppure entrambe le vie. 1 “cose nove”. I cieli sono detti “cose nove” rispetto a Dio che, essendo eterno, preesiste ad essi. 2 Perché lo rende schiavo delle passioni.


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Ma poiché un’azione è tanto più gradita a chi la compie, quanto più tale azione esprime la bontà stessa dell’animo dal quale appunto proviene, ecco che la bontà divina, che diffonde il suggello della sua carità in tutto l’universo, per redimere l’uomo caduto nell’abisso del peccato volle adoperare entrambe le sue vie, e volle essere contemporaneamente tanto sommamente giusta quanto sommamente misericordiosa. Né tra il primo giorno della creazione del mondo e l’ultima notte della sua fine vi fu mai, né potrà mai realizzarsi, un atto così alto e così magnifico. Dio, avendo sacrificato se stesso per rendere l’uomo capace a risollevarsi dal peccato, fu ancor più generoso che se avesse perdonato per sua semplice potenza e generosità. E tutti gli altri modi non erano sufficienti a rispondere all’esigenza della giustizia divina, se proprio il Figlio stesso non si fosse umiliato scendendo dalla sua sublimità alla condizione umana. Ora, però, per soddisfare completamente ogni tuo desiderio, torno a chiarire nuovamente un punto del mio discorso, perché lì tu veda così chiaramente come vedo io stessa. Tu con la tua ragione e basandoti sulla tua esperienza terrena, pensi ancora questo: “Io vedo che gli elementi, acqua, fuoco, aria, terra e tutti i corpi che sono generati dalla loro unione e mescolanza, vengono a corruzione dopo una breve durata. Eppure anche tutte queste cose sono state create da Dio, mentre se ho ben compreso quello che tu hai detto, esse dovrebbero essere immuni dalla corruzione”. Ma, fratello, gli angeli, cioè le Intelligenze celesti in tutte le loro gerarchie ed i cieli, la regione pura in cui ora ti trovi, si possono dire veramente creati da Dio, cioè creati direttamente da Lui nella pienezza del loro essere e queste sono le “cose nuove”. Invece, gli elementi che tu hai nominato (acqua, aria ecc.) e tutte le cose che sono composte da loro ricevono la loro forma non per diretto intervento di Dio, ma per intervento di una virtù creata, cioè da una causa seconda. La materia prima degli elementi fu creata direttamente da Dio e questa, quindi, sarà incorruttibile; e creata da Dio direttamente fu anche la virtù che dà forma alla materia, cioè le Intelligenze celesti, in queste sfere che ruotano intorno ad esse. v. 139 L’irradiarsi degli influssi delle Intelligenze celesti, che si diffondono secondo il moto delle stelle originato da quelle Intelligenze, produce, senza compiere, però, un vero atto di creazione, l’anima di ogni animale bruto e quella delle piante.1 La somma bontà divina crea e infonde invece direttamente l’anima umana, che è razionale; e Lui, suo creatore, fa innamorare di sé l’anima stessa la quale, per questo motivo, desidera sempre Dio.2 Da quanto ti ho ora detto, puoi trarre anche un’altra considerazione che spiega la resurrezione della carne se, appunto, tu ripensi a come anche il corpo dell’uomo sia stato formato quando furono creati Adamo ed Eva.3 v. 106

1 Beatrice in sostanza vuol dire che l’anima vegetativa delle piante e quella sensitiva degli animali trae origine dagli influssi celesti, cioè è creata da Dio indirettamente, mediante l’intervento delle “cause seconde”: tale anima è perciò corruttibile e mortale. 2 In quanto creata direttamente da Dio, l’anima umana è immortale. 3 Beatrice vuol dire che anche il corpo di Adamo, in quanto creato direttamente da Dio, e quello di Eva, tratto dalla costola di Adamo, sono immortali e perciò la corruttibilità della


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«Poscia che li occhi miei si fuoro offerti / alla mia donna reverenti, ed essa / fatti li avea di sé contenti e certi, / rivolsersi alla luce che promessa / tanto s’avea, e “Deh chi siete”” fue / la voce mia di grande affetto impressa.» (Carlo Martello il Giovane. Paradiso VIII, 40-45).

carne è da considerarsi temporanea, come conseguenza del peccato. Infatti la redenzione, operata da Cristo, restituì all’uomo anche l’immortalità corporale.


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Quando a Dio, che lo aveva predestinato a compiere tutto quel bene, piacque di chiamarlo in cielo a ricevere il premio che egli aveva meritato con il suo essersi fatto piccolo e umile, Francesco raccomandò ai suoi frati, suoi eredi legittimi, la Povertà, la donna sua più cara e comandò loro che l’amassero fedelmente. Poi l’anima straordinaria di Francesco staccandosi dal grembo della Povertà, per tornare in cielo che era il suo regno, non desiderò che al suo corpo si desse altra bara se non il grembo stesso della Povertà: egli fu infatti deposto nudo sulla nuda terra. Allora se tale fu San Francesco, pensa ormai quanto grande sia stato l’altro Santo, Domenico, che fu degno collega suo nel sacrificio di mantenere sulla diritta rotta, tra i pericoli dell’alto mare, la barca di Pietro cioè la Chiesa. Questo Santo fu il fondatore del nostro ordine. Per questo, per i grandi meriti cioè di San Domenico, puoi comprendere come colui il quale segua rigorosamente la sua regola e la segua come egli comanda, carichi di conseguenza di buone merci la propria imbarcazione facendo così provvista di tanti beni spirituali e di virtù indispensabili alla sua vita futura. Purtroppo però, il gregge di San Domenico ora è diventato goloso di tanti altri cibi, diversi da quelli che la regola ha incaricato loro di cercare. Pertanto non è possibile che non si disperda in pascoli fuori della giusta strada. E quanto più le sue pecore, i suoi seguaci si allontanano senza la guida di quelle regole, tanto più tornano all’ovile impoverite di latte e non sono più in condizione di dare agli altri quel cibo spirituale per cui l’ordine stesso dei predicatori è stato istituito. v. 130 Naturalmente vi sono ancora di quei frati che temono il danno (che può derivare loro se si allontanano dalla regola) e per questo si stringono attorno al pastore, ma essi sono in numero tanto limitato da bastare veramente poca stoffa per fornire loro le cappe da indossare. Ora se le mie parole non sono oscure come se avessi parlato con voce fioca e se tu hai ascoltato attentamente richiamando alla memoria quello che io ho detto, il tuo desiderio di capire sarà in parte soddisfatto. Comprenderai come la pianta, ovvero l’ordine religioso, si viene scheggiando con la perdita di molte parti che si allontanano dalla regola. Ecco allora che così puoi capire il significato della correzione all’affermazione “… nell’ordine di San Domenico ci si può arricchire di ogni virtù …” con l’aggiunta della frase “… dove bene ci si nutre se – però – non si vaneggia, cioè se non ci si dedica a cose vane e lontane …”(U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”)».


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«così di quelle sempiterne rose / volgìensi circa noi le due ghirlande, / e si l’estrema all’intima rispose. / Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande / sì del cantare e sì del fiammeggiarsi / luce con luce gaudïose e blande / insieme a punto e a voler quetarsi,» (I Beati. Paradiso XII, 19-25).


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eterno così splendente com’è ora.1 E se rimarrà inalterata, spiegategli come, dopo che sarete ridiventati visibili (avendo ripreso il corpo), potrà accadere che (questa luce) non riesca molesta (“non vi noi”) ai vostri occhi». Come accade talvolta fra coloro che nel mezzo ad un giro di danza, improvvisamente innalzano la voce nel canto e aumentano il ritmo gioioso della danza stessa, così alle parole di Beatrice, le due corone di beati mostrarono una nuova gioia sia nel movimento sia in quel meraviglioso canto. Chi si lamenta della morte terrena per passare nel Paradiso lo fa proprio perché non ha mai visto quale sia lassù la gioia dei beati che sono dissetati dalla frescura della pioggia della Grazia divina. La Trinità, che sempre regna non racchiusa o limitata in un luogo, bensì comprendendo in sé tutto l’universo, era esaltata nel canto di quegli spiriti tre volte, con tale melodia che avrebbe potuto rappresentare, per la sua dolcezza, la giusta ricompensa anche al più grande. E dalla luce più fulgida della corona dei beati che stava nella posizione interna, udii provenire una dolce voce, forse simile a quella dell’Arcangelo Gabriele nell’atto dell’Annunciazione: «Il nostro ardore di carità, il nostro amore verso Dio farà sì che la luce che ci avvolge splenderà intorno a noi fin che durerà la beatitudine del Paradiso. Lo splendore della nostra luce deriva dal nostro ardore di carità e quindi è proporzionata ad esso; l’ardore deriva dalla nostra visione di Dio e la visione di Dio è proporzionata alla grazia che Dio stesso concede, secondo il merito di ciascuno. v. 43 Quando, dopo il Giudizio Universale, le nostre anime avranno rivestito la carne resa gloriosa e santa2 la nostra persona sarà a Lui più gradita. Quindi per il fatto di essere più graditi a Dio crescerà anche la grazia che Dio ci concede. E poiché quella grazia che Dio ci concede è quella che ci mette in condizione di vedere Dio stesso, ecco che allora, quando noi saremo completi, diventerà anche conseguenza naturale che aumenti la nostra visione di Dio e quindi il nostro ardore e naturalmente anche il nostro splendore3». «Ma come il carbone ardente produce la fiamma e al tempo stesso la supera per la vivezza della sua luce incandescente, così che il suo aspetto non si lascia sopraffare, nello stesso modo questa luce, che già ci avvolge, sarà vinta in luminosità dalla carne, che è ancora giù da voi, ricoperta dalla terra. Né questa luce potrà in alcun modo abbagliarci, poiché gli organi del corpo saranno in grado di percepire tutto ciò che potrà farci piacere». A quelle parole (di Salomone) gli spiriti che componevano le due corone si mo1 Se cioè la luce che ora nasconde le loro sembianze sarà così viva anche quando, dopo il Giudizio Universale, avranno ripreso il loro corpo. 2 Perché partecipe della gloria dell’anima beata e quindi purificata e non più in condizione di peccare. 3 La perfezione dell’essere umano è nell’unione di anima e corpo, la quale perfezione si ricostituirà per l’eternità nel giorno del Giudizio Universale. Ciò secondo quanto affermato dalla teoria Aristotelica – Tomista, seguita appunto da Dante.


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«Parea dinanzi a me com l’ali aperte / la bella image che nel dolce frui / liete facevan l’anime conserte:» (L'Aquila, simbolo di giustizia. Paradiso XIX, 1-3).


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Disse Bernardo: «Figlio, rigenerato dalla grazia di Dio non potrai conoscere veramente la beatitudine del Paradiso finchè terrai gli occhi rivolti verso il basso. v. 115 Guarda invece in alto fino agli ultimi cerchi, finchè vedrai quello dove è la Vergine, alla quale tutto questo regno è devoto». Io levai gli occhi e così, come al mattino la parte orientale dell’orizzonte supera per luminosità l’occidente, nello stesso modo io, alzando gli occhi dal fondo dell’Empireo, come andando con lo sguardo dal fondo di una valle alla sommità della montagna, vidi nella parte più alta della rosa un punto che vinceva per splendore tutto il resto del cerchio. E come il punto dell’orizzonte a levante si infiamma di più quando il sole sta per sorgere, mentre nei lati dall’una e dall’altra parte la luce diminuisce quanto più si allontana da quel punto, così quella luce mi appariva più splendente nel mezzo, mentre da ogni lato si veniva affievolendo. E intorno a quel punto luminoso che stava nel centro io vidi una moltitudine di angeli festanti, diversi tra loro per lo splendore e per il modo di celebrare la Vergine con il volo e con il canto. Io vidi qui sorridere ai loro voli e ai loro canti il bel volto della vergine, che era motivo di letizia per tutti i beati che lo contemplavano. E anche se io avessi tanta ricchezza di parole quanta ne ho nell’immaginazione, non oserei descrivere nemmeno la minima parte di tanta bellezza. San Bernardo, vedendo che i miei occhi erano fissi nell’oggetto del suo amore, cioè nella Vergine da lui tanto amata, volse anch’egli verso di lei il suo sguardo con tanto amore che rese me ancora più desideroso di contemplare.


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«In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa; / ma l’altra, che volando vede e canta / la gloria di colui che la innamora / e la bontà che la fece cotanta, / sì come schiera d’ape s’infiora» (Dante contempla gli angeli e il loro ministero. Paradiso XXXI, 1-7).


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«E a quel mezzo, con le penne sparte, / vid’ io più di mille angeli festanti, / ciascun distinto di fulgore e d’arte. / Vidi a’ lor giochi quivi ed a’ lor canti / ridere una bellezza, che letizia / era nelli occhi a tutti li altri santi.» (Contemplazione della gloriosa Regina del cielo. Paradiso XXXI, 130-135).

Riassunto Canto XXXII

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opo la contemplazione della Madonna, Bernardo inizia a spiegare a Dante la disposizione dei beati nei vari ordini dei seggi della candida rosa. Bernardo si dilunga in un meticoloso elenco di coloro che, dopo la loro vita sulla terra, godono nell’Empireo della beatitudine perfetta.


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Tra i beati, Bernardo indica anche i bambini che, pur essendo morti prima di avere la piena capacità di distinguere il bene dal male, fanno parte della candida rosa e sono distribuiti in diversi ordini di beatitudine. Bernardo teme che questo fatto non sia perfettamente comprensibile per Dante e pertanto precisa che tutto quello che lui vede in quel luogo è strettamente legato alle leggi eterne di Dio, ai suoi decreti che sono imperscrutabili per tutti, compresi gli angeli e i beati. Dio distribuisce infatti la sua grazia, all’atto della stessa creazione, in modo diverso per ciascuna creatura. Poi il santo ritiene che sia giunto il momento di concentrarsi solo sulla Vergine, che sola può impetrare per Dante la vista dell’Eterno. Così è giunto il momento in cui Dante deve raggiungere il fine ultimo del suo viaggio; ma la vista di Cristo potrà avvenire solo dopo che insieme, lui e Bernardo, avranno rivolto una grande preghiera alla Madonna, nelle cui mani entrambi si rimettono. CANTO XXXII

Tutto preso nel suo amore per Maria, San Bernardo assunse spontaneamente il compito di maestro e iniziò a parlare con queste sante parole: «Quella che è tanto bella ai piedi di Maria (e che è quindi nel secondo giro) è Eva, colei che aprì nel genere umano la piaga del peccato originale e la inasprì spingendo a peccare anche Adamo; piaga che poi doveva essere risanata da Maria dando alla luce il Redentore. Nel terzo ordine di seggi, sotto Eva, siede Rachele insieme con Beatrice, come tu puoi vedere1. Sono disposte l’una sotto l’altra, di seggio in seggio: Sara, la moglie di Abramo e madre di Isacco; Rebecca, la moglie di Isacco e madre di Esaù e Giacobbe; Giuditta e Ruth, bisavola di David, colui che compose il “Miserere”, salmo per il pentimento dell’adulterio commesso con Betsabea e per la morte del marito di lei, Uria2. Dal settimo grado in giù, così come dal primo fino al sesto grado, si succedono donne del Vecchio Testamento e quella colonna di donne ebree separa i petali della rosa, come una sorta di linea che taglia il fiore in senso verticale dall’alto al basso. In questo modo esse formano come una specie di muro divisorio per mezzo del quale sono ripartiti gli ordini dei beati a seconda che la loro fede in Cristo sia stata rivolta verso il futuro o verso il passato.3 Ossia i beati del Vecchio Testamento sono seduti alla sinistra di Maria e delle donne ebree e lì il fiore è ormai maturo, la rosa ha tutti i seggi ormai occupati. v. 1

1 Rachele, seconda moglie di Giacobbe, è simbolo della vita contemplativa. Essa appare accanto a Beatrice la quale, simbolo della verità rivelata, prepara alla contemplazione. Le due cose sono, dunque, complementari, come dimostra il loro stare accanto. 2 Sara, moglie di Abramo è considerata la progenitrice dei credenti in Cristo venturo; Giuditta liberò il popolo eletto dal pericolo degli Assiri, uccidendo il loro capo Oloferne e Ruth ha solo il merito di essere la bisavola del grande David. 3 Prima o dopo la nascita di Cristo.


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Dall’altra parte, dove i semicerchi sono interrotti da seggi vuoti, si trovano coloro che volsero gli occhi della fede verso Cristo venuto. E come da questa parte il trono di Maria, regina del cielo, e gli altri seggi di sotto al suo segnano la grande separazione, 1 così dalla parte opposta (segna un analoga divisione) il seggio del grande Giovanni che, santo prima ancora di nascere, sopportò il deserto e il martirio e poi l’Inferno per circa due anni2 e sotto di lui ebbero in sorte di operare questa divisione Francesco, Benedetto, Agostino e altri fin qua giù di gradino in gradino. v. 37 Ora ammira la profondità del disegno della divina Provvidenza: infatti i credenti in Cristo venturo ed i credenti in Cristo venuto riempiranno in eguale misura questo fiore. E sappi che dal gradino che taglia a metà in senso orizzontale le due linee divisorie3 in giù, (ossia la metà inferiore della rosa). è occupata da anime che sono in Paradiso non per merito proprio ma per merito altrui e sotto certe condizioni, perché tutti questi sono spiriti sciolti (dal corpo) prima ancora di possedere la facoltà della libera scelta tra il bene e il male.4 Di questo (cioè che si tratta di anime di bambini) tu puoi accorgerti se li osservi attentamente e se ascolti le loro voci ed osservi i loro volti puerili.5 Ora tu hai un dubbio e dubitando taci; ma io scioglierò il nodo in cui ti avvolgono i tuoi sottili ragionamenti.6 Nella vastità dell’Empireo non c’è neppure un punto che sia casuale. Quindi non possono avervi luogo il dolore, la sete o la fame. 7 Infatti, tutto quello che vedi è stabilito dalla legge eterna, così come tutte le cose si corrispondono perfettamente ciascuna secondo il motivo della sua creazione e della predestinazione, come l’anello corrisponde alla misura del dito. Perciò non è senza causa che questi bambini venuti presto alla vita del Paradiso siano distinti in diversi gradi di beatitudine. Dio, il re per la cui grazia questo regno riposa in tanto amore ed in tanta gioia che nessuna volontà osa chiedere di più, creando, con un gioioso atto d’amore, tutte le anime, elargisce ad esse la sua grazia in misura diversa, a suo piacere; e riguardo a ciò bisogna accontentarsi di constatare i fatti. 1 Tra i beati dell’Antico e del Nuovo Testamento. 2 San Giovanni Battista dopo la morte dovette rimanere nel Limbo per due anni, fino al momento in cui Cristo discese all’Inferno per liberare le anime dei patriarchi dell’Antico Testamento. 3 Quella delle donne ebree e quella dei padri della Chiesa. 4 Sono le anime dei bambini innocenti, morti prima ancora di avere la piena capacità di distinguere il bene dal male. 5 L’Empireo è così diviso in due parti non solo verticalmente, ma anche in senso orizzontale: la parte più bassa è occupata dalle anime dei bambini. Tutti i teologi medioevali sono d’accordo nell’affermare che gli uomini risorgeranno nella pienezza delle forze e nel vigore degli anni giovanili, senza i difetti e disagi sia della vecchiaia sia della fanciullezza. 6 Il dubbio di Dante è il seguente: perché i bambini che non sono giunti alla salvezza per proprio merito godono di un diverso grado di beatitudine? 7 Tutti i difetti che sono propri del mondo terreno.


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Perciò è giusto che la luce della divinità circondi degnamente il capo degli uomini di una grazia derivante esclusivamente dalla sua unica volontà e diversamente tra un essere umano e l’altro1. Dunque i bambini sono posti in gradi differenti senza alcun merito derivante loro dalla loro breve vita. Tutto ciò è infatti dovuto solo a quella differenza di acutezza della vista intellettuale e della capacità di vedere Dio conferita loro ed assegnata direttamente per grazia divina all’atto della loro stessa creazione, in modo da comportare in ciascuno un diverso grado di beatitudine. Nei primi secoli, per i bambini (al fine di avere la salvezza eterna), insieme con l’innocenza bastava la fede dei genitori (nel Cristo venturo). Poi, quando furono finite le prime età, fu necessario che i maschi acquistassero forza alle loro ali innocenti mediante la circoncisione.2 Quando poi venne il tempo della grazia, cioè dopo la redenzione operata da Cristo, l’innocenza dei bambini fu relegata nel Limbo, nel caso in cui essi non avessero ricevuto il battesimo. Ma ora è giunto il momento che tu guardi il volto della Vergine, quello che più assomiglia al volto di Cristo, suo figlio in terra, ed al quale Ella è più vicina di qualunque altra creatura del cielo. Quel volto nella sua chiarezza è quello che più si può preparare a vedere direttamente Cristo». Io vidi piovere sopra il volto della Vergine tanta gioia portata dagli angeli nel loro volo da Dio ai beati, che mai prima in tutto il paradiso io ero stato rapito da tanta ammirazione. Ne mai tutto quello che avevo visto prima mi aveva mostrato un’immagine tanto simile a quella di Dio. v. 94 E l’arcangelo Gabriele, che, primo tra gli angeli, era sceso accanto a Maria, cantando «Ave Maria, piena di grazia», si librò ad ali aperte davanti a lei.3 Tutta la corte celeste da ogni parte rispose a quel canto divino, cosi che l’aspetto di tutti i beati e gli angeli si illuminò di letizia. «O santo padre che non disdegni di stare qui per me, lasciando il luogo alto e beato che ti è stato assegnato per l’eternità, chi è quell’angelo che guarda con tanta gioia la Vergine, ardendo tutto del suo amore?» Con questa domanda feci ancora ricorso alla dottrina di San Bernardo che, fissando Maria, si abbelliva come la stella del mattino (cioè Venere o Lucifero) si adorna dello splendore del sole. Ed egli mi rispose: «Tutta l’esultanza e la letizia che si possono vedere in un angelo e in una creatura umana, si raccolgono in lui; e noi siamo felici che sia così, perché egli è colui che recò in terra a Maria l’annuncio, quando il figlio di Dio volle prendere su di sé la nostra natura corporea. v. 70

1 L’espressione “secondo il color de’ capelli” si riferisce alla diversa quantità di grazia che Dio assegnò a Esaù e Giacobbe: cioè come a Dio fu gradito che Esaù avesse i capelli rossi e Giacobbe neri, così gli piacque dar grazia più, a Giacobbe che a Esaù. 2 Fu istituita, appunto, da Abramo. 3 Queste parole fanno riferimento all’episodio in cui l’arcangelo Gabriele era disceso per celebrare le lodi di Maria in occasione del suo trionfo nel cielo, riportato nel canto XXIII, vv. 91-111.


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Ma ora vieni a seguire con gli occhi le mie parole e osserva i grandi dignitari di questo regno giustissimo e santo. I due beati che sono su in alto e più felici per essere i più vicini a Maria, l’imperatrice del cielo, sono da considerarsi la radice di questa rosa di beati. Quello che sta a sinistra della Vergine è Adamo, il padre di tutti gli uomini, che per aver gustato il frutto proibito è stato causa di tanta amarezza per tutti gli umani. Alla destra di Maria sta San Pietro, il più antico e primo padre della chiesa, al quale Cristo affidò le chiavi del Paradiso. 1 Alla destra di Pietro siede San Giovanni evangelista, il quale prima ancora di morire ebbe la rivelazione dei tempi difficili, delle persecuzioni da cui sarebbe stata oppressa la Chiesa, la bella sposa di Cristo, che egli stesso fece sua con il suo martirio e con il suo sangue versato sulla croce per il colpo di lancia che lo ferì al costato e per i chiodi con i quali fu crocifisso. Alla sinistra di Adamo sta Mosè, che condusse gli Ebrei, spesso ingrati e ritrosi, a seguirlo fuori dall’Egitto e sotto la cui guida quel popolo eletto visse di manna nel deserto. v. 133 Di fronte a San Pietro2 vedi seduta Anna (la madre della Vergine), così lieta di mirare sua figlia che pur cantando osanna come gli altri non distoglie gli occhi da lei. Di fronte ad Adamo, padre di tutta l’umanità, siede Lucia, che esortò Beatrice a venire in tuo soccorso, quando tu tornavi a volgere gli occhi verso il basso, dove stavi precipitando.3 Ma poiché fugge il tempo che ti riempie di sonno, ci fermeremo qui, facendo come il buon sarto che fa la gonna secondo il panno a sua disposizione.4 E dunque alzeremo gli occhi a Dio, che è il primo amore, così che, guardando verso di Lui, tu possa penetrare per quanto ti sarà possibile nel suo fulgore. Ma affinché tu, credendo di andare avanti con le tue ali non retroceda invece, è necessario che tu chieda la grazia della Vergine con la preghiera. E tu mi seguirai nelle mie parole con devozione intensa in modo da non separare il tuo cuore dalle mie parole». Ed iniziò questa santa preghiera alla Madonna.

1 Adamo è considerato il fondatore del popolo dei credenti in Cristo venturo e Pietro dei credenti in Cristo venuto. Ecco perché sono definiti le radici di questa rosa. 2 Nella parte opposta della rosa, a sinistra di San Giovanni Battista. 3 Lucia, di Siracusa, fu martire santa e a lei Dante fu particolarmente devoto. Per questo fu proprio lei a pregare Beatrice di soccorrere Dante contro le tre fiere. 4 È questo un passo di dubbia interpretazione: alcuni pensano che nel verso 139 Dante faccia riferimento a se stesso che, come essere vivente, non può sopportare una lunga veglia. Una seconda interpretazione si rifà a Sant’Agostino che rappresenta il mistico come se, dormendo, rimanesse sveglio. Infine San Giovanni nell’“Apocalisse” dice che il tempo assegnato alla contemplazione degli alti misteri divini richiede la totale astrazione dai sensi e, quindi, l’uomo rimane come dormiente.


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1

“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, 4 tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. 7 Nel ventre tuo si raccese l’amore per lo cui caldo nell’etterna pace così è germinato questo fiore. 10 Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se’ di speranza fontana vivace. 13 Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua dïsianza vuol volar sanz’ali. 16 La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. 19 In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate. 22 Or questi, che dall’infima lacuna dell’universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, 25 supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l’ultima salute. 28 E io, che mai per mio veder non arsi più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 31 perché tu ogni nube li disleghi di sua mortalità co’ prieghi tuoi, sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 34 Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. 37 Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei preghi ti chiudon le mani!” Paradiso XXXIII, 1-39


Inferno

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Indice generale PREMESSA..........................................9 CANTO II..........................................165 PREFAZIONE.....................................11 CANTO III........................................169 INFERNO...........................................13 CANTO IV........................................173 CANTO I.............................................15 CANTO V..........................................177 CANTO II............................................18 CANTO VI........................................182 CANTO III..........................................22 CANTO VII.......................................186 CANTO IV..........................................26 CANTO VIII......................................191 CANTO V............................................30 CANTO IX........................................196 CANTO VI..........................................35 CANTO X.........................................200 CANTO VII.........................................38 CANTO XI........................................205 CANTO VIII........................................42 CANTO XII.......................................210 CANTO IX..........................................45 CANTO XIII......................................214 CANTO X...........................................50 CANTO XIV.....................................220 CANTO XI..........................................54 CANTO XV.......................................225 CANTO XII.........................................58 CANTO XVI.....................................230 CANTO XIII........................................62 CANTO XVII....................................235 CANTO XIV.......................................66 CANTO XVIII...................................240 CANTO XV.........................................71 CANTO XIX.....................................244 CANTO XVI.......................................74 CANTO XX.......................................250 CANTO XVII......................................79 CANTO XXI.....................................255 CANTO XVIII.....................................83 CANTO XXII....................................260 CANTO XIX.......................................87 CANTO XXIII...................................265 CANTO XX.........................................91 CANTO XXIV...................................270 CANTO XXI.......................................96 CANTO XXV....................................275 CANTO XXII....................................100 CANTO XXVI...................................280 CANTO XXIII...................................104 CANTO XXVII.................................285 CANTO XXIV..................................109 CANTO XXVIII................................290 CANTO XXV....................................113 CANTO XXIX...................................295 CANTO XXVI...................................117 CANTO XXX....................................300 CANTO XXVII.................................121 CANTO XXXI...................................306 CANTO XXVIII................................125 CANTO XXXII.................................311 CANTO XXIX..................................130 CANTO XXXIII................................316 CANTO XXX....................................134 CANTO XXXI..................................138 PARADISO.......................................321 CANTO XXXII.................................143 CANTO I...........................................322 CANTO XXXIII................................148 CANTO II..........................................327 CANTO XXXIV................................153 CANTO III........................................332 CANTO IV........................................337 PURGATORIO................................159 CANTO V..........................................342 CANTO I...........................................161 CANTO VI........................................347


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Indice analitico Demetrio Bianchi

CANTO VII.......................................352 CANTO XXV....................................439 CANTO VIII......................................357 CANTO XXVI...................................443 CANTO IX........................................362 CANTO XXVII.................................449 CANTO X.........................................367 CANTO XXVIII................................454 CANTO XI........................................372 CANTO XXIX...................................459 CANTO XII.......................................377 CANTO XXX....................................463 CANTO XIII......................................382 CANTO XXXI...................................467 CANTO XIV.....................................387 CANTO XXXII.................................472 CANTO XV.......................................392 CANTO XXXIII................................478 CANTO XVI.....................................396 CANTO XVII....................................402 INDICE ANALITICO.......................485 CANTO XVIII...................................407 TAVOLE ILLUSTRATE CANTO XIX.....................................411 INFERNO..........................................507 CANTO XX.......................................416 PURGATORIO..................................508 CANTO XXI.....................................421 PARADISO.......................................509 CANTO XXII....................................427 CANTO XXIII...................................431 CANTO XXIV..................................435


Indice analitico Inferno

Indice analitico

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Legenda: (Mit.)= mitologia, (fam)=famiglia (pers).= personaggio

a cura dell'editore. Abbagliato .......................................................133 Abele, figlio di Adamo...............................27, 224 Abido, città dell'antico Egitto...........................292 Abramo, patriarca biblico.................................473 Acàn, personaggio biblico................................253 Accidia.............................199, 237, 242, 262, 315 Accidiosi..........................................................239 Acheronte, fiume infernale.....24, 59, 69, 163, 278 Achille, (mit.), eroe greco. .31, 60 e seg., 118, 134, 138, 263 Achilleide, poema di Stazio.............................257 Acone VII, Haakon VII re di Norvegia............414 Acquacheta, fiume affluente del Montone..........77 Acquario, costellazione....................................109 Adamo, primo uomo, personaggio biblico 27, 63, 135, 162, 170, 294, 312, 318, 350, 353, 355, 383 e seg., 385, 446, 449, 476 Adelaide degli Alberti, madre di Cunizza.........363 Adige, fiume..............................................58, 233 Adimari, famiglia fiorentina.......................75, 399 Adone, (mit.), amato da Afrodite......................292 Adrasto, figlio di Talao re di Argo....................262 Adriano V, papa................................................248 Adriatico, mare................................................424 Afranio, poeta latino, comico I sec. a. C..........349 Africa, continente.....................................141, 365 Agamennone, (mit.), il “gran duca dei greci”. .215, 344 Agatone, poeta greco I sec. a. C. .....................263 Agave, (mit.), una della Baccanti, sorella di Semelé......................................................................134 Aghinolfo, Guido ed Alessandro (conti di Romena)....................................................................135 Aglauro, esempio d'invidia punita....................224 Agnello di Dio..........................................403, 435 Agnolo.............................................................115 Agostino, (santo), dottore della Chiesa.............474 Agrigento, città................................................121 Aguglione, o Aquilone, castello.......................398 Alagia de’ Fieschi.............................................248 Alardo di Valery, condottiero di Carlo d'Angiò 126 Albani, popolo dell'antico Lazio......................348 Alberichi, famiglia fiorentina...........................399 Alberti da Mangona, conti di Mangona e Val di Sieve................................................................183 Alberto Camicione de’ Pazzi ...........................145 Alberto I d’Asburgo, imperatore..............184, 414 Alberto da Casalodi, reggente di Mantova.........94

Alberto degli Alberti conti di Mangona............144 Alberto da Siena...............................................132 Alberto della Scala...........................................243 Alberto Magno, dottore della Chiesa ......277, 370, 381 Alchimisti, falsari.............................................131 Alcmeone, 560 a. C padre della medicina .......340 Aldobrando degli Adinari, fam. fiorentina.........36 Alepri, ghibellini, famiglia fiorentina...............400 Alessandria, città del Piemonte........................190 Alessandro Alberti, guelfo................................144 Alessandro il Grande..........................................60 Alessandro Magno.............................................67 Alessandro Novello, vescovo di Feltre.............364 Alessio Interminelli, adulatore...........................86 Aletto, (mit.), una delle furie delle mit. romana. 47 Alfonso III re di Aragona.................................189 Alfonso di Castiglia.........................................183 Algeria, paese africano.....................................365 Alì Ebn Abi, genero di Maometto....................126 Alichino, diavolo........................................99, 104 Alighieri di Ferrara, antenati di Dante..............395 Alighiero, figlio di Cacciaguida.......................394 Almeone, figlio di Anfirao, indovino........211, 255 Alpi............................................................93, 349 Alpi Apuane.....................................................144 Alpi Retiche.......................................................93 Alpi del Trentino..............................................363 Altea, madre di Meleagro, moglie del re Orneo di Caledonia.........................................................276 Amaleciti, popolo dell'antica Palestina.............344 Aman, ministro del re Assuero.........................236 Amata, moglie del re Latino ............................236 Amazzoni, (mit.), donne guerriere.....................29 Amiclate, pastore.............................................373 Amidei, famiglia fiorentina......................128, 400 Anacleto, (santo), papa.....................................450 Anagni, località laziale.............................253, 466 Anania, marito di Safira pers. Biblico......253, 443 Anassagora, filoso greco....................................29 Anastagi, famiglia di Ravenna.........................223 Anchise, (mit.), padre di Enea......17, 19, 392, 414 Ancona, città......................................................60 Andalò di Bologna (ghibellini).........................106 Andrea de’ Mozzi, vescovo................................73 Anfiarao, indovino greco....................92, 211, 340 Anfione, (mit.), musico....................................143 Anfisibena, animale (deserto di Libia) a due teste.111


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Finito di stampare nel novembre 2009 da Global print (MI)



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