Museo d'europa

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MUSEO D’EUROPA COME MUSEO DELLE MIGRAZIONI Absorbing Diversity

Marta Pavan Martina Scaravati



CONTENTS

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Abstract

9

Part I

Debating Europe

11

MAPPING EUROPE TODAY

49

CULTURAL DEBATE

69

MIGRATION AS A HISTORICAL PHENOMENON OF GEOGRAPHICAL EUROPE

History of European migration Narrative maps of migratory routes and geopolitical Europe 207

THE NOMADIC NATURE OF CULTURE

Cultural diversity within the unity of Europe Critique of the concept of single cultures Transculturation, Multiculturalism and Interculturality Transculturality


215

Part II Case Studies: new narratives for Europe

217

PERMANENT INSTITUTIONS

History museums M1 The House of European History M2 Musée de l’Europe Heritage museums M3 The Museum of European Cultures M4 Musée des Civilizations Europee Mediterranee 243

TEMPORARY ACTIONS

Exhibitions E1 It’s our history! E2 Image of Europe E3 Everybody is a stranger somewhere E4 Europe Meets the World E5 Europe, where everything began E6 Fascination picture. Cultural contacts in Europe Research projects R1 EuroVision: Museums Exhibiting Europe R2 ECE, East Coast Europe R3 The violence of participation R4 Europe (to the power of ) n R5 Inventing Europe R6 Bureau Europa: Reading Europe R7 Europeana R8 USE. Uncertain States of Europe


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Part III Absorbing Diversity

307

WHICH MUSEUM FOR EUROPE?

Public museum and Nation-state identity Museum and transcultural identity Migration museum to represent the transcultural identity in Europe The musealization of migration 317

PROJECT

Museological project

325

Bibliography



Abstract

L’obiettivo di questa ricerca è la realizzazione del progetto e del programma curatoriale del futuro Museo d’Europa, attraverso un’interpretazione dell’entità sovranazionale quale è l’Europa oggi e di come essa si sia generata attraverso un intenso processo di ibridazione culturale che si protrae sin dalle sue origini. La definizione di Europa annovera molteplici significati: esiste un’Europa geografica che, a differenza della maggior parte degli altri continenti chiaramente definiti dai limiti fisici delle loro terre emerse, è caratterizzata da confini geografici sfocati che sono oggetto di discussione sin dall’antichità; esiste un’Europa politica, i cui confini, che sono cambiati così radicalmente e in maniera caleidoscopica nella storia, raramente sono riusciti a coincidere con quelli etno-culturali; poi esistono organizzazioni economiche, politiche e militari che spesso, tuttavia, escludono Paesi che fanno chiaramente parte della regione geografica d’Europa, includendo invece i più remoti Paesi extra Europei; e, infine, domina un’Europa culturale, un camouflage in continua evoluzione nel quale si identifica l’identità europea. Dunque, si potrebbe affermare che non esiste una, ma molte Europe, che hanno plasmato la storia del continente, e che sicuramente continueranno a farlo. Per dare un’interpretazione di cosa sia l’Europa oggi, è necessario partire dalla premessa che l’Europa è innanzitutto un luogo geografico,

che, sin dal processo di ominazione, è stato caratterizzato storicamente da intensi fenomeni migratori – di immigrazione e di emigrazione, interni ed esterni –, il cui risultato è direttamente rintracciabile nel nostro patrimonio genetico, nella composizione demografica, nelle caratteristiche delle culture e nelle strutture delle diverse lingue. Nella ricerca si indaga la natura nomade della cultura nell’ambito dell’attuale analisi socio-culturale, dove la prospettiva transculturale mette in discussione il concetto stesso di singole culture. Inoltre, esaminando alcuni casi studio nel campo della ricerca museale, si analizza l’immagine che viene restituita dell’Europa attraverso diverse modalità di narrazione. Il programma curatoriale del futuro Museo d’Europa, che emerge da questa ricerca, si basa sulla combinazione di tre livelli narrativi – la storia, le migrazioni e la cultura materiale che ne deriva. Il futuro Museo d’Europa, individuando nelle migrazioni un fenomeno coessenziale alle società europee, si fa manifesto della visione di un’Europa contemporanea non come un’entità statica, ma come il risultato di un processo d’ibridazione culturale dinamico messo in moto da uno scambio di pensiero, di culture e di pratiche varie.



Part I Debating Europe



MAPPING EUROPE TODAY



Europa (gr. Εὐρώπη, lat. Europa): Parte occidentale del continente eurasiatico, delimitata a Ovest dall’Oceano Atlantico, a Nord dal Mar Glaciale Artico, a Sud dal Mar Mediterraneo; tutt’altro che ben definiti sono invece i suoi limiti orientali. Tentativi di più esatta delimitazione dell’Europa verso Est furono fatti a partire dal Cinquecento e con la nascita della geografia moderna. Dal 17° secolo venne proposta quale confine tra Europa e Asia la catena degli Urali, soluzione ancora abitualmente seguita.



Geologia dell’Europa L’attuale configurazione risulta la seguente: nelle regioni montuose i ghiacciai modellano i rilievi e le valli; il clima e le variazioni di livello del mare portano ad alterne fasi di alluvionamento e di incisione delle valli fluviali, mentre modificano i contorni delle regioni costiere, determinando periodi di collegamenti tra isole e aree continentali.



Clima: L’Europa è quasi tutta compresa nella zona temperata settentrionale, il fattore climatico più notevole è la maggiore o minore influenza dell’Oceano Atlantico. Mentre a Sud, in prossimità del Mediterraneo, l’influenza climatica della latitudine è più marcata.



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Confini orientali: a. linea di Stranlenberg b. Monti Urali - fiume Ural c. capo Yuroskiy Shar - monte Pay Khoy d. confine politico tra Kazakistan e Russia e. margine nord dei rilievi caucasici f. spartiacque caucasico g. margine sud dei rilievi caucasici h. fiumi Rioni and Kura i. fiumi Araks and Kura j. confini dell’ex Unione Sovientica

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Europa politica: Manca oggi una spazializzazione condivisa dell’Europa politica. Nel corso della storia europea i confini sono sempre stati riscritti dalla formazione e dalla dissoluzione di una moltitudine di imperi e alleanze. L’Europa politica attualmente si presenta come un’evoluzione di questo processo, presentandosi come un mosaico eterogeneo di alleanze militari e politicoeconomiche che contribuiscono a dare al continente un’identità e un assetto politico incerto.



Unione Europea Unione Europea (UE) è un organismo sovranazionale, con sede a Bruxelles, nato dalle trasformazioni subite dalla Comunità europea in seguito alla firma, nel 1992, del Trattato di Maastricht, con lo scopo di consolidare ulteriormente le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.



Area Schengen Il 14 giugno 1985, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi firmano a Schengen in Lussemburgo un accordo relativo alla soppressione graduale dei controlli alle frontiere comuni, instaurando uno spazio – “l’area Schengen” – di libera circolazione delle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità.



Unione Monetaria Europea Tutti i 28 Stati membri dell’UE partecipano all’unione economica, ma alcuni paesi hanno spinto oltre l’integrazione, adottando l’euro. Questi paesi, che costituiscono l’area dell’euro, godono dell’applicazione dei principi di libertà nella circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi.



OCSE L’OCSE ha lo scopo di sostenere l’economia e l’occupazione dei paesi membri mantenendo una stabilità finanziaria, di espandere il commercio mondiale e di contribuire allo sviluppo economico dei paesi non membri con apporto di capitali, assistenza tecnica e allargamento dei mercati di sbocco. Inizialmente, la membership dell’Organizzazione era composta dai 18 Stati europei si unirono nel 1964, il Canada, gli Stati Uniti e il Giappone.



NATO Scopo della NATO è istituire un’alleanza militare tra le parti a carattere difensivo. In base all’art. 5 del Trattato, un attacco armato contro una o più parti, in Europa o nell’America settentrionale, sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti, che dovranno assistere lo Stato aggredito, intraprendendo immediatamente, individualmente o insieme alle altre parti, le misure idonee a ristabilire e mantenere la sicurezza nella zona dell’Atlantico settentrionale, ivi compreso l’uso della forza armata.



Nordic council Il Consiglio Nordico è un forum di cooperazione interparlamentare creato nel 1952 tra Svezia, Danimarca, Norvegia e Islanda e a cui aderì, tre anni più tardi, anche la Finlandia. A questi si aggiunsero i tre territori autonomi di Groenlandia, Isole Fær Øer e Isole Åland. Prive di effettivi poteri sovranazionali, le disposizioni licenziate dal Consiglio Nordico sono soggette all’approvazione dei vari parlamenti nazionali.




Spagna del nord e Francia del sud Nord e Centro Italia Regioni mediterranee Repubblica Ceca e Ungheria Slovenia Romania e Bulgaria Regione Baltica capitale Stati Baltici Francia orientale e Germania settentrionale Scandinavia meridionale, Scozia e Irlanda Germania Orientale e regione Alpina Scandinavia Inghilterra meridionale e Paesi Bassi del sud Francia orientale e Belgio Inghilterra settentrionale e Galles


Territori Omogenei Classificazione regionale dell’Europa





Densita della popolazione in Europa Secondo stime del 2009, l’Europa conta poco più di 700 milioni di ab., per una densità (circa 68 ab./km2) nettamente superiore a quella delle altre parti del mondo, conseguenza anche di un popolamento intenso fin dall’antichità. Nell’età classica le zone d’Europa più densamente abitate erano quelle meridionali e l’Europa propriamente mediterranea (Penisola Iberica, Francia meridionale, Italia, Dalmazia, Grecia) ospitava oltre il 60% della popolazione europea. La perdita del primato demografico mediterraneo corrispose allo spostamento del baricentro politico, economico e culturale d’Europa verso Nord e verso Ovest dall’inizio dell’età moderna.


Majority of Catholic Christianity Majority of Sunni Islam Majority of Protestant Christianity Majority of Orthodox Christianity Centres with more than 200.000 Islamic people


Religioni Le diverse religioni disegnano una geografia differente dell’Europa. L’appartenenza alle confessioni cristiane è un carattere condiviso da quasi tutta la popolazione europea e, malgrado la numerosità dei non credenti, i valori etici cristiani partecipano in maniera senza dubbio rilevante ai complessi culturali europei. I confini politici degli Stati europei non coincidono sempre con i confini etnici; spesso, anzi, suddividono fra più Stati gruppi che sono culturalmente omogenei, generando minoranze a volte cospicue e in deciso contrasto con l’etnia maggioritaria.



Lingue europee Migrazioni e sovrapposizioni di popoli diversi hanno reso complesso e diversificato il quadro etno-linguistico dell’E., dove si parlano diverse decine di lingue ufficiali, per tacere di quelle relitte, minoritarie, regionali e delle centinaia di dialetti. La quasi totalità degli abitanti dell’E. parla lingue appartenenti alla famiglia indoeuropea, nell’ambito della quale predominano, nell’ordine, quelle slave (quasi 220 milioni di parlanti), neolatine e germaniche (poco più di 200 milioni ciascuno), seguite da altre meno diffuse (celtiche, baltiche, albanese, greco). Tra le lingue non indoeuropee le più diffuse sono quelle del gruppo ugro-finnico (ungherese, finlandese, estone), il turco e il basco.





CULTURAL DEBATE



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“Il mito di EUROPA, che risale all’VIII secolo a.C., narra della principessa Europa, figlia del re dei Fenici, che scesa al mare con le ancelle incontrò sulla spiaggia un toro bianco di grande bellezza e mitezza, tanto da indurla a cavalcarlo. Ma il toro si lanciò attraverso il mare trasportando la fanciulla fino all’isola di Creta e assumendo le sembianze di Zeus. Il mito continua col racconto sui fratelli di Europa, che partirono in varie direzioni per cercare la sorella: tra questi Cadmo che giunse nella Grecia continentale e a cui è attribuita la trasmissione dell’alfabeto dalla Fenicia alla Grecia. In generale il mito rappresenta un movimento di civiltà da Oriente a Occidente e il nome Europa, dato ai territori occidentali, riflette questo spostamento. Europa è una viaggiatrice, che non ha timore ad abbandonare tutto per spostarsi da Oriente a Occidente, a scoprire nuovi mondi e a portarvi il contributo di un’altra cultura. Ci ricorda che i popoli hanno sempre trasmigrato e che tali movimenti di popolazioni portano importanti innovazioni culturali e sociali.” Luisa Passerini


52 — Absorbing diversity

“The historian Imanuel Geiss divides Europe along a North-South and an East-West axis, into a Roman South and a non-Roman North, a Latin West and an orthodox East. At the intersection of the two axes, and stretching towards the East, he locates Central

Europe as an’ “interface territory”, the western boundary of which he dates to the period of Charlemagne. This boundary coincided largely with the line marked in the last century by the Iron Curtain.” Ullrich Kockel


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“Beginning as a sparsely populated archipelago, the pivotal moments of early development – the age of the dinosaur, the Neanderthal, Ancient Greece, Rome – inhabit discreet islands. Arrows indicate the critical interactions with the outside world, particularly with Africa and Asia, that enriched Europe’s early civilizations. From there the history plots a cyclical alternation between ‘good’ and ‘bad’, idealism and zealotry, through the spread of Christianity, the emergence of modernity, the rise of colonialism and industrialization, nationalism, and eventually the catastrophic violence of the 20th century. Our current moment of uncertainty, affluence, and opportunity provides a provisional climax.” OMA


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“The European Union is the culmination of a millenaryprocess led by the Greco-Roman civilization and thwarted for ages by the construction of nation states. This museum will not account for the history of the continent but that of the European spirit, without political motives. One often speaks of the economy and the market, but one forgets to speak about citizenship: how can we become European? By uniting all the core ideas which have been at the foundation of the European Union, without any prejudices”. Musée de l’Europe


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“Until not so long ago, it seemed to be a fairly obvious matter where and what this Europe was. The Danes saw it as the area between their province of Sønderjylland and the Dolomite mountains in northern Italy; to the English it was the intriguingly barbarian frontier beyond the homeland of their Norman colonisers; for the Russians it was a kind of cultural alter ego. The French and Germans would expect

Europe to be

a place where, at long last, they might live together in peace. And some incurable romantics regarded Kakania, the Austro-Hungarian monarchy, as the prototype for a multicultural ‘Europe’. While it may have meant rather different things to different people, there was at least a consensus that it did exist somewhere. But that consensus evaporated in the final decades of the twentieth century.” Ullrich Kockel


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“l’Europa è il campo dove culture dello spazio differenti tra loro hanno trovato modo di rapportarsi e insediarsi nella densità del tessuto urbano e territoriale. L’altro, l’estraneo, lo straniero, se pure generando continuamente conflitti, è entrato spesso in sintonia con la dinamica sociale della trasformazione dell’Europa” Stefano Boeri


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“Se prendessi il corpo umano e lo volessi stendere sulla carta geografica d’Europa, metterei la testa sulla Germania, la testa è certamente tedesca; poi metterei le mani in Italia, la cultura delle mani vi è sempre presente, tutto si esprime con le mani, per una ragione o per l’altra; poi metterei le gambe nei paesi nordici, Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda, dove è importante tutta l’idea del fisico in senso lato: la fisicità, il camminare, la salute e la natura. E poi cosa? Il cuore… il cuore d’Europa… la Russia è Europa? Dunque, per me il cuore d’Europa è la Russia, il cuore ha a che fare con l’anima slava.”

Marina Abramovich


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60 — Absorbing diversity

“When I think of

Europe, I think of Chartres Ca-

thedral and the Sistine Chapel. I think of Shakespeare’s plays and Stravinsky’s Rite of Spring. I hear the final chorus from Bach’s St. Matthew Passion and ‘Back in the U.S.S.R.’ by the Beatles. I see Fellini’s Satyricon and the Tintin album King Ottokar’s Scepter. I think of French cuisine, Greek tragedy, German Romanticism, the Dutch Masters, Scandinavian design, the Russian novel.When I think of Europe, I think of shared culture, from Dublin to Lesbos and St. Petersburg to Lisbon: literature and art that transcends borders. Call me a romantic. Because although I’m not the only one, most people, when they think of Europe, think of other things. Problems with the euro, for example.” Pieter Steinz


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“Quello dell’identità europea è un problema antico. Ma il dialogo tra letterature, filosofie, opere musicali e teatrali esiste da tempo. […] Niente che si possa cancellare malgrado una guerra, e su questa identità si fonda una comunità che resiste alla più grande delle barriere, quella linguistica.” Umberto Eco


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“Davanti alla difficoltà di darne una definizione concreta si può tuttavia affermare che, nonostante la diversità culturale di cui l’Europa è composta, essa sia caratterizzata da un patrimonio culturale comune che la distingue dagli altri continenti. Ciò è attribuibile all’intensa mobilità che l’ha sempre caratterizzata, portandola paradossalmente, da un lato, a sviluppare un senso di comunanza e, dall’altro, a coltivare sentimenti nazionalistici che hanno contribuito a mantenere una diversità all’interno di una presunta unità” Elisabeth Tietmeyer


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“[Boundaries] have ambiguous features: they divide and unite, bind the interior and link it with the exterior, are barriers and junctions, walls and doors, organs of defence and of attack” Raimondo Strassoldo


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“Culture is at hand wherever practices in life are shared. The basic task is [...] the interaction with foreignness.” Ludwig Wittgenstein


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“Most societies around the world are culturally mixed, and national boundaries rarely enclose populations that are culturally or ethnically homogeneous. Since early anthropology, migrational flows and ethnic miscegenation are recognized to have continuously drawn and redrawn world societies and cultures� Afef Benessaieh


66 — Absorbing diversity

“A global soul might be a person who had grown up in many cultures all at once - and so lived in the cracks between them [...]. She might have a name that gave away nothing about her nationality [...], and she might have a porous sense of self that changed with her location”

Pico Iyer


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“The transcultural traverses cultures, bringing to light what is common or alike amid what seems to be different […] it designates the continuous coherence of certain traits, beliefs, and practices that transcend geography or history” Afef Benessaieh


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MIGRATION AS A HISTORICAL PHENOMENON OF GEOGRAPHICAL EUROPE


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HISTORY OF EUROPEAN MIGRATION

L’umanità è sempre stata in movimento. Fin dal processo di ominazione che ha portato l’homo sapiens sapiens a popolare tutto il pianeta, sempre ci sono stati gruppi di persone o intere popolazioni che hanno lasciato il posto dove erano nate e si sono trasferite a vivere in altri luoghi. Possiamo vedere il risultato di questi viaggi nel nostro patrimonio genetico, nella composizione demografica, nelle caratteristiche delle culture, nelle strutture delle lingue. Le ragioni che ieri e anche oggi portano alla partenza sono varie: in molti casi si scappa dalla miseria o dalle persecuzioni politiche o religiose, ma in altri c’è solo la voglia di avventura, la speranza di trovare occasioni di successo e di realizzazione personale. Moltissimi poi sono quelli che non scelgono di partire ma vi sono costretti nel corso di guerre, rivoluzioni, pulizie etniche o che devono subire la violenza delle deportazioni. Il XX secolo è stato testimone di tutti questi diversi tipi di trasferimenti di popolazione e di tutto quello che ogni processo migratorio porta con sé: fatica e speranza, nostalgia e desiderio, rifiuto e accoglienza, delusioni e successi. Lo spostamento a volte è stato solo di pochi chilo-

metri, tanto da non essere neppure vissuto come una “migrazione”, come nel caso di chi si è trasferito dalla campagna o da centri minori nelle città e nelle metropoli. A volte il trasferimento è stato dalle aree più povere di un paese o di un continente verso quelle più ricche e sviluppate: uno spostamento dall’“osso” alla “polpa” che ha comportato l’abbandono di molte aree e il sovrappopolamento di altre. In altri casi, invece, lo spostamento è stato radicale: verso altri continenti, altri ambienti naturali, altri climi. L’Europa è stata e continua ad essere protagonista nei processi migratori, non solo, come spesso si tende a credere, per il fatto che qui si riversano ogni anno migliaia di migranti dal resto del mondo, ma anche perché oggi, e non solo in passato, sono proprio gli europei che si spostano all’interno del continente o si dirigono al di fuori di esso. È difficile trovare qualcuno in Europa che non abbia vissuto l’esperienza personale o familiare di una qualche forma di migrazione e oggi per molti giovani europei andare a lavorare in un altro paese è un desiderio che spesso diventa un progetto concreto. Così, possiamo dire che siamo tutti un po’ migranti.


MIGRATION 700.000 BC

• People left Africa permanently, migrating to Europe, and across it, from the south to the northeast. • Within Europe, these people continued to move, not finding a permanent home. • Until 350.000 B.C., the shelters people used were only temporary homes for hunters. The first people to inhabit Europe originated in Africa. The exact reason of their migration to Europe remains unclear, but they were most likely attracted by the availability of herds, food and shelter. A repulsive force may have been the competition between groups in the sense that groups who migrated to Europe did so because they had been chased away. There appear to have been no forms of government or other regulating institutions to interfere with migration, so that people made their own decisions about where to move. Though unfortunately we know nothing about social organisation in this period, it is likely that each group had a leader who decided on the course of action. Any decision however was heavily influenced by factors such as climate and the availability of food, limiting the freedom of choice.

Migration due to climate change Migration due to conflicts and wars Migration due to religious and ethnical reasons Migration due to economical reasons Migration due to the colonization Considerations


80.000 BC

• Since 350.000 B.C., homes became more permanent because of the use of fire and tools, but until 80.000 B.C. people was still pursuing herds and had to move every now and then to find new sources. Prehistory is usually subdivided according to the changes that took place in nature, the way of life and structure of human societies, and the development of technology. Tools had a large impact on human life as people slowly developed more complicated tools made out of ever-stronger materials. Every new or improved tool changed something in everyday life. The ability to control fire, discovered around 350 000 B.C. was also of immense importance in this respect.

35.000 BC

• People lived in Europe from Gibraltar to Belgium and from western France to the Crimea. They also settled along the North Sea coast and Baltic coast. • People traversed the woods in the Mediterranean area and the moss-tundra between Brittany and the Ural. • Until 35.000 B.C people moved southward to stay away from the cold. Despite these changes however, human development during this time was still very closely bound to and determined by nature. The climate for instance influenced the lives of early inhabitants of Europe in a very direct way. Although the climate in southern and middle Europe remained hospitable during the entire period, in northern Europe the occurrence of several ice ages caused the temperature to drop intermittently to inhospitably cold levels, which was especially critical when clothes were not yet worn. In particular, the second to last ice age (210 000 B.C. - 140 000 B.C.) and the last (80 000 B.C. - 10 000 B.C.) caused severe cold in northern Europe as far south as the Netherlands. Between these two ice ages a warmer period in northwest Europe allowed life to exist until the cold returned with the coming of the final ice age.


8000 BC

• Homo Sapiens entered Europe from the Near East. It settled in southern and central Europe and slowly moved into the areas of northern Europe that became free of glaciers Denmark in 15.000 B.C., Sweden in 8.000 B.C., England, Ireland, Northern Germany, Scandinavia, Poland and Russia in 10.000 B.C.

It was not until about 10.000 B.C. that an enduring livable climate was established in northern Europe. The changing climate in northern Europe also had an effect on the plant and animal life there; the types, distribution and abundance of both varied as cold and warm periods alternated. Living as hunters of herds of animals which themselves migrated due to the the changing climate and as gatherers of fruits and nuts meant that people were also dependent indirectly on climatic conditions.

• Groups of migrants, attracted by european fertile and safe land, came from the Near East to south-eastern Europe, to the borders of the Aegean Sea - Balkans, Crete, Macedonia, Cyprus, Montenegro, Argolis and Thessaly. • Agriculture started spreading, through contacts with the Balkans, to the Adriatic, to the Tyrrhenian Sea, to the French-Iberian coast and after that to the Atlantic coast from the Algarve to the Loire. • Waves of Danube colonists came to Hungary, Romania, Bulgaria and Yugoslavia. Around 8.000 B.C. the everyday life of inhabitants of Europe gradually started to change. This process, by which agriculture slowly replaced the traditional hunter-gatherer lifestyle, began in the south-east of Europe as people started growing their own food. Cultivating the land in this way meant that people were taking a more active role in shaping the environment to meet their needs. The introduction of agriculture had a large impact on demography; the controlled production of food and further improvements in agricultural methods paved the way for a growing population. The shift to agriculture brought with it different cultures since groups of people were more likely to settle in one particular area, and in doing so own more goods and build stronger shelters than would have been feasible as part of a nomadic existence. Different agricultural methods, tools, household articles and burial traditions characterized separate groups, within which they caused changes in social structure.

3500 BC

The agricultural methods caused a widespread need for land, which the farmers found in Europe. Population growth as result of widespread use of agricultural methods drove farmers to keep searching for new land to cultivate. Colonization started near the Danube, but spread across Europe. This process brought farmers all the way to northern Europe between 8.000 B.C. and 4.000 B.C. The Linear Pottery culture represents a major event in the initial spread of agriculture in Europe. The pottery, after which it was named, consisted of kitchen dishes or recipients for the immediate or local transport of food and liquids. Copper was first used to make tools around 4500 B.C. in the Balkans, after which copper tools were brought to other parts of Europe. Later on, bronze also became important.

3


C

3500 BC

2500 BC

• People came from the borders of the Aegean Sea and Anatolia to the Balkans and the eastern part of the Mediterranean. • Merchants came to Crete and to the European coast by ship on trade-journeys. They also went further to the west, even to Spain and to the Canary Islands, reaching even England. Trade connections, driven by the need for materials to make tools, existed between different parts of Europe. Most important new developments took place in the eastern section of the Mediterranean Sea, where the region of ancient Mesopotamia was becoming the cradle of civilization. As a result of trade-contacts with other areas of Europe, some knowledge about these new developments reached central and northern Europe.

2000 BC

According to the Kurgan hypothesis, the primitive hearth of the Indo-Europeans would be identified with the complex of Kurgan cultures north of the Black Sea (ancient Sarmatia). The Akkadian Empire, sometimes regarded as the first empire in history, was an ancient Semitic empire centered in ancient Mesopotamia which united all the indigenous Akkadian speaking Semites and the Sumerian speakers under one rule within a multilingual empire.

1900 BC

• The Bell-beaker culture had entered Europe, arriving to the Netherlands, Denmark and southern Scandinavia, and ruled a large area from the Iberian Peninsula to the Netherlands and from Bohemia to the British Islands. • On the Iberian Peninsula there was no cultural unity: the west coast was influenced by Atlantic cultures, Catalonia was influenced by central European cultures and the south was influenced by original Iberian cultures. • In Bohemia, the Unetice culture emerged as a mixture of Bell-beaker culture and some elements from Asia Minor, and spread fast from Hungary to the Rhine. • Nomadic Helleni migrated to the south and settled both in the present-day Greece and at the other side of the Aegean Sea. • The people on Crete had connections with Egypt, Sicily and Italy. As a result of the migrations of the Kurgan culture - which spread to central Europe and reached parts of the Balkans, the Carpathians and the Danube-area - the Bell-beaker culture spread the technique of making bronze to Europe. Meanwhile, the first Greek Polis appeared about 2000 B.C. in the Eastern part of the Mediterranean, on Cyprus, in Greece and on Crete. On the coast of the Greek mainland the Mycenaean civilisation settled. At first the Minoan culture was the most powerful, but afterwards the Mycenaean took over. The first Greek cities which were a huge source of migration both for economic and political reasons, including trade with remote areas, the colonisation of conquered areas and the use of its inhabitants as slaves, as well as the banishing of political enemies. Most emigrants left the Greek area and only slaves entered.


1900 BC

1800 BC

Babylonia was an ancient Akkadian-speaking Semitic nation state and cultural region based in central-southern Mesopotamia. Always regarded as an example of a great metropolis, well organized and with a multi-ethnic character, it was often involved in rivalry with its fellow Akkadian state of Assyria in northern Mesopotamia.

1700 BC

• Steppe-tribes moved from 1800 B.C. onwards to the area east of the Don, and from there on to Central Europe. The traditional lifestyle of the Steppe was nomadic herding. Grassland was ideal for such a lifestyle, as it provided a regenerating food supply for grazing animals. The vastness of the Steppe allowed tribes to maintain as many animals as they could manage, including sheep, goats, and cattle. On the other hand, the nomadic lifestyle of these tribes prevented civilization from ever developing in the Steppe region . The most important animal for Steppe life was the horse, used for both transportation and combat. Indeed, it was the Steppe tribes that achieved the domestication of the horse, as well as the innovation of riding horseback. These advances diffused from the Steppe across the Old World.The Steppe tribes thus held a great military advantage over settled cultures. One or two millennia prior to this expansion, the Indo-European language emerged in the western Steppe. Over time, Indo-European fractured into various new, descendant languages.

1600 BC

The Minoan Civilization, considered by Will Durant “the first link in the European chain�, was primarily a mercantile civilization engaged in overseas trade. Objects of Minoan manufacture suggest there was a network of trade with mainland Greece, Cyprus, Syria, Anatolia, Egypt, Mesopotamia, and westward as far as the coast of Spain. The Minoan civilization, with its unique art and architecture, made a significant contribution to the development of Western European civilization as it is known today.


BC

1600 BC

1500 BC

• The Babylonian empire has been steadily declining following the arrival of the Hittites in the region, and due to over-farming of the fields. The culture of the Hittites emerges, as does that of the Hurrian empire of Mitanni. In 1595 BC the Hittites lead their army down the Euphrates and sacks Babylon. The power vacuum allows the Kassites to take over control of Babylonia. A dark age period follows and lasts approximately two centuries.

1400 BC

1300 BC

On the coast of the Greek mainland the Mycenaean civilization settled, after taking over the Minoan culture. Their architecture, art and religious practices were assimilated and adapted by newcomers to better express their perhaps more militaristic and austere Mycenaean culture. This period of Greek history is the historical setting of much ancient Greek literature and myth, including the epics of Homer.


1300 BC

1200 BC

That the Mycenaean civilization had trading contact with other Aegean cultures is evidenced by the presence of foreign goods in Mycenaean settlements such as gold, ivory, copper and glass and by the discovery of Mycenaean goods such as pottery in places as far afield as Egypt, Mesopotamia, the Levant, Anatolia, Sicily and Cyprus. No doubt perishable goods such as oil and wine were also significant Mycenaean exports.

1100 BC

• Around 1200 B.C. the Sumerians lived in the steppes north of the Black Sea, until the Scythians chased them away from this area. • The Scythians themselves were on the move because of the movements of the Sarmatians. • When the Dorians-Greek expansion began, people from Asia Minor moved to Sicily, to the Iberian and to the Italic Peninsula. • After that Mycenae was destroyed, people left for Crete, Italy, Cyprus and Sicily. Mycenaean civilization perished with the collapse of Bronze-Age civilization in the eastern Mediterranean, as a consequence of the Dorian invasion. The end of Mycenaean civilization led to a Dark Age which ended when the Archaic Age began, in the 8th century. This was the period in which the harder and cheaper metal iron replaced bronze as a material for weapons and farm implements.

1000 BC

• Steppe-tribes reached the valleys of the Dnieper, and afterwards the Dniester. • The last group of Greeks, the Dorians entered the mainland part of Greek and the Peloponnesus. The migrating Dorians settled chiefly in the southern and eastern Peloponnese, establishing strong centers in Laconia (and its capital, Sparta), Messenia, Argolís, and the region of the Isthmus of Corinth. They also settled the southern Aegean islands of Melos, Thera, Rhodes, and Cos, along with the island of Crete. A great wave of renewed colonization beginning in the 8th century BC brought Dorian settlers to the island of Corcyra (modern Corfu), to Syracuse, Gela, and Acragas (now Agrigento) in Sicily, to Taras (now Taranto) in Italy, and to Cyrene in North Africa, as well as to scattered sites in the Crimea and along the Black Sea. Sparta, Corinth, and Argos were among the most important cities of Doric origin. The Dorian people had a seminal influence on the later development of Greek art; the crowning achievements of Greek art and architecture from the 5th century BC arose from the combination of the art of the Dorians - with its restraint, power, and monumentality - and that of the Ionians - with its grace, elegance, and ornateness.


1000 BC

900 BC

• After the Dorian invasion of the Peloponnese, the Mycenenan, who had been forced to move into Aegilaus, promped the migration of the Ionians, which moved to Attica and mingled with the local population. Later, many Ionian people emigrated to the coast of Asia Minor founding the historical region of Ionia, at the Eastern part of the Aegean Sea and on the Anatolian coast. Unlike the austere and militaristic Dorians, the Ionians are renowned for their love of philosophy, art, democracy, and pleasure, Ionian traits that were most famously expressed later by the Athenians.

800 BC

• The Phoenicians start their trade expansion in the Mediterranean. First they colonized parts of Cyprus, Rhodes, and the Aegean Islands, after that the Phoenician sailors journeyed east to the Black Sea and west to Corinth, Thebes, Sardinia, Palermo, Marseille, Corsica, and Malta. They were known to have gone as far as Gibraltar and Cadiz in Spain. By about 1000 B.C., they had finally reached the Atlantic Ocean. The Phoenicians were an enterprising maritime trading culture whose phonetic alphabet is generally believed to be the ancestor of almost all modern alphabets. Through their maritime trade, the Phoenicians spread the use of the alphabet to North Africa and Europe, where it was adopted by the Greeks, who later passed it on to the Etruscans, who in turn transmitted it to the Romans. The Phoenicians were not only adventurous merchants but expert sailors and navigators as well. These fine merchants brought their dye, fabric, ceramics, glass, metals, wine, crops, and oil from port to port. They became the world's finest maritime nation. The Greeks were influenced in their navigation by the Phoenicians, who taught them to sail by the North star.

700 BC

• Steppe-tribes reached Northern Romania and the stepps of the Ukraine. • Germans moved from the Baltic to the South, in turn prompting the migration of Celts all over Europe. • In Italy the Etruscans (descendants of the Villanovans), situated in central and northern Italy, paved the way to an increasingly orientalizing culture which was influenced by the frequent contacts with Greek traders and colonists in southern Italy. Allies of Carthage, the Etruscans were able to dominate the young Greek colonies in southern Italy, effectively countering the expansion both on land and at sea. • There was much movement around the Aegean Sea. Nomadic Helleni migrated to the south and settled both in the present-day Greece and at the other side of the Aegean Sea. Between 800 and 600 B.C. they went from there to Italy, Sicily and to the territory up to the Black Sea coast, where colonies were founded. The period between 800 and 400 BC is characterized by migration: Steppe-tribes moved from Asia into Europe while changes in climate prompted Germanic culture to leave the Baltic area; the combination of these two forces stimulated the migration of Celts all over Europe. Cultures developed essentially in isolation during this period, forcefully defending their territory. On the side of the Mediterranean, Greek civilization, which had experienced a long period of decline after the arrival of the Dorians, went through a period of assimilation of three different cultures, namely Dorians, Ionians and Aeolians, which gave rise to the Hellenic Culture.


700 BC

600 BC

• The Sarmatians were moving also to the west, forcing the Scythians to move towards Europe and also to the north of Russia. • The Sumerians, to escape from the Scythians, fled to the west and to Asia Minor. • Etruscans complete their expansion in the italian pensinsula conquering Etruria, Umbria, North Lazio and Emilia-Romagna, the south-east part of Lombardia and Veneto and finally taking control of Campania. The influence of the Hellenic culture was noticeable in many places all over Europe, especially in the culture of the Scythians in Southern Russia which later paved the way to the Thracian culture. With the development of the Greek polis-system, an enormous emigration from the Greek cities took place above all in Chalcis on Euboea, Megara, Korinthe and Sparta. At the heart of this emigration lay both economic reasons such as solving demographical problems or supplying new markets by raising intermediate stations for trade routes. Other greek cities were founded in the Western part of the Mediterranean Sea, among them Syracuse, Megara Hyblaea, Catania, Gela, Agrigentum, Selinunte, Himera on Sicily, Tarente, Metapontum, Croton, Locri, Rhegium, Cumea and Naples in Southern-Italy. The whole of these cities was called Magna Graecia.

500 BC

• Germans, which were divided in two main streams (West-Germans and East-Germans), continued their migration to continental Europe because of climate changes, forcing the Celts to move to the south. • Many Celtic tribes came to Central and Western Europe and started to migrate pushed by the advance of Steppe-tribes, Scythians and Sarmatians. They arrived to Italy and to Spain where they mingled with the Iberian culture, giving rise to Celtiberian tribes. While the Greek culture developed in the south-eastern part of Europe and the north-eastern part was dominated by new cultures from Asia, north-western Europe and central Europe saw the appearance of relatively new cultures. West-Germans between 600 and 100 B.C., remained firmly established in the north and ethnically stablle thanks to the good relationship with the Romans that helped them not to mix with any other group; on the other hand, the East-Germans were constantly mixed with people advancing from the north-east. On the other way, the Celts, which were pushed towards south and central Europe by the Germanic cultures, arrived to control the area in Central Europe, playing a big part in the trade between Northern Europe and the Mediterranean world until 200 B.C. The Germanic and Celtic cultures were each composed of many separated groups that had similar cultures, yet each group had its own territory and political organization. The first signs of conflicts between "states" became manifest as each group held on to its own culture and territory.

400 BC

• Despite Gaelic and Celtic invasions, Rome began an expansion to the North and founded colonies in the Po-valley. • People migrated along with the expansion of the Roman Empire. • The movements of the various tribes of continental Europe continued at the borders of the Roman Empire. The Peloponnesian War, fought between the two leading city-states in ancient Greece, Athens and Sparta, weakened the Greek Polis, giving way to the appearance of another powerful state: Macedonia. To neutralize the expansionary pressures of Macedonia, Rome took over the dominant role previously played by the Greek polis, and gained more and more importance as a city. With the expansion of Rome, natives in the conquered areas stayed, but all kinds of Roman civil servants, Roman troops and soldiers migrated to the new conquered areas.


400 BC

300 BC

• Between 359 and 336 BC, Philip II raises Macedonia into the greatest European Power after subduing all of Macedonia's neighbors Illyrians, Thracians, and Greeks. In 338 BC the Battle of Chaeronea where the Macedonians defeat the Greeks, marks an end of Greek history and the beginning of the Macedonian Era. • Between 336 and 323 BC, Philip’s son Alexander III the Great carries the Macedonian armies into Asia and conquers the Persian Empire. Macedonia becomes the world’s largest Empire stretching from Europe, to North Africa and India. The Etruscan civilization had a profound influence on Roman civilization, later merging with it at the end of a long process of conquest and cultural assimilation begun in 396 BC with the conquest of Veii. The spread of the Roman Empire brought with it many changes to the pre-existing communities and cultures in the conquered areas. The religions of the people in the provinces mixed with the Roman pagan religious system. Local culture however was not suppressed and in fact in many places played a stronger role than ever as people sought to contrast their own cultural identity with that of the Roman invaders. In the meantime, on the Aegean side, Macedonia achieved hegemony over Greece and conquered lands as far east as the Indus River, establishing a short-lived empire that introduced the Hellenistic Age of ancient Greek civilization.

200 BC

• Germans moved to the Roman Empire. • Chamavi, Bructures and Chatti formed together the Frankian Union in Western Germania, while Alamanni and Juthungi lived together in Southern Germania. • Rome began an expansion to the West, conquering the south of the Iberian Peninsula. • About 272 B.C. Italy was under Roman control. After this Rome won battles with Cartage over Sardinia, Sicily and Corsica. The effort made by Hannibal from 218-202 B.C. to stop the Romans moving into the Iberian Peninsula failed. The Battle of Sentinum was the decisive battle in which the Romans were able to overcome a formidable coalition of Samnites, Etruscans, Umbrians, and their Gallic allies. The result was a decisive victory for Rome, allowing it to unify Central Italy.

100 BC

• Rome continued its expansion to the West conquering the Iberian Peninsula and, immediately thereafter, Rome began an expansion to the East and, during the Macedonian War, clashed with Macedonia which fell under its control. • After the defeat of Carthage, Romans moved into Gaul, which fell under Roman control about 52 B.C. The process of Romanization, which is the cultural assimilation and the political system established in the dominated territories by the Roman Empire, was rapid and extensive, especially in the early centuries of the Empire. This process was completely successful in the West, where the language and Latin culture became established, was rather less rooted in the East, where the Greek and Hellenistic culture represented an insurmountable obstacle to the penetration of the Roman world. The main tool of dissemination through which Rome exercised that work of integration and assimilation of the provinces, which assured stability and compactness for several centuries in the Empire, were the cities. It was in the densely populated city of the empire who lived the privileged classes, largely integrated into the system of imperial power. The town was also the place where it was distributed and consumed the wealth produced by the campaigns and accounted for diffusion models of the behavior of the imperial society. The secret of Rome was therefore the ability to assimilate different cultures which dominated and integrate them into a coherent system, which, although full of diversifications, was able to give a sense of common belonging.


100 BC

1 AD

• The Romans did not cross the Rhine and the Danube because of the harsh resistance of the Germans on the Rhine and on the Danube, which became the borders of the empire. The Battle of Actium marks the passage from the Roman Republic to the Roman Empire, as well as the annexation of Macedonia - the last major Hellenistic kingdom - and the transformation of Egypt in a Roman province. However, the Roman expansion to the North halted at the Rhine and the Danube, because the Romans met resistance from local tribes. The areas above these rivers remained free from Roman rule and developed along the lines of the pre-Roman period.

100 AD

• From about 36 AD, missionary travels started to spread Christianity - that had begun as a small movement in and around Jerusalem - throughout the Greco-Roman world, thanks in large part to the advanced road system within the Roman Empire. • Christians fled from Rome because of the persecution of Nero which was accompanied by the accusation of burning Rome. Since the Roman religious system was polytheistic, it could easily accommodate any Gods whom the natives revered. Christianity however, being monotheistic, was not acceptable. After 64 AD Christian refugees started to flee from the Roman Empire, because they had been used as scapegoats by Nero for the Great Fire of Rome. By escaping from the Empire, during the 3rd century BC, Christian refugees contributed to the rapid spread of Christianity in many parts of Europe.

200 AD

Large persecutions of Christians took place, especially in Italy and Spain; in other areas like Gaul and Britain persecutions were not so severe. This might have caused a migration of refugees from the intolerant to the tolerant countries.


200 AD

300 AD

• The most important movements took place in Eastern Germany: Goths went to the East and settled in Southern Russia where the Sarmatians and Alans had just settled. • Vandals settled near the Danube. • Germans moved closer to the Roman Empire because of movements of other tribes and population growth. • Goths and Vandals were forced by the Gepid people - new Gothic tribes - to migrate. In Central and Eastern Europe the barbarian world was shaken by strong internal unrest and migration between its populations that tended to shift the balance with the nearby Roman world. From the second century AD onwards, East Germans (on all Gepids and, after them, Goths) pushed continental German tribes more and more against the Roman Rhine-Danube provinces. These tribes reacted organizing themselves into military coalitions (confederations) and ended up assaulting the Roman Empire. The pressure of the enemies on the borders and the lack of a stable leading figure brought the empire to the brink of collapse. Whole regions had to be abandoned definitively to the barbarians. These attacks have been called Marcomannic wars and represented the prelude to the great barbarian invasions of the III-IV-V century.

400 AD

• The Franks and Burgundians settled in France. • The Angles and Saxons came to England and to the Rhine-area from Jutland. • Burgundians came to Southern Germania. • Longobards settled near the Oder. • Vandals and Visigoths settled in the Danube valley. • The Goths, originally from Sweden, came south to the Russian planes and split up into the Ostrogoths and Visigoths: the former lived along the border of the Black Sea between Don and Dnieper, while the Visigoths occupied an area to the West, near the Danube. • The Huns begin migrating into Europe, ravaging Roman provinces, Slavs and Germanic peoples settled in the easternmost parts of Europe. Emperor Constantine was converted to Christianity and in 313 AD, through the Edict of Milan, put an end to the persecution of Christians and to the emigration of religious refugees. The Edict established religious toleration for Christianity within the Roman Empire and granted all persons freedom to worship whatever deity they pleased. At the end of the 4th century, the Barbarian attacks on Rome partially stemmed from a mass migration caused by the Huns’ invasion of Europe. When these Eurasian warriors rampaged through northern Europe, they drove many Germanic tribes to the borders of the Roman Empire. Eventually, when the oppression became too much to bear, Germanic tribes began to penetrate the empire. The period lasting from the 4th until the 7th century A.D. has been called the period of the Migration of the Nations, reflecting the extensive migration of many groups. This period was essential in shaping the distribution of cultures in Europe and laying the foundations of future nations. Most tribes found a fixed place to live, and in doing so formed the roots of the European States.

500 AD

• Alamanni and Franks entered the Empire and settled between Rhine and Moselle. • The Huns drove the Visigoths into Europe and about 450 attacked the eastern side of the Roman Empire. However, in 453 they withdrew towards the Black Sea because their leader Attila died. • The Visigoths beat the Romans and were allowed to live below the Danube. • Around 489 the Ostrogoths entered Italy, which the Visigoths had passed through roughly 90 years earlier on their journey to Central and Southern Spain. • Jocelins, Angles and Saxons entered Britain, Frisians entered Holland, Franks and Burgundians entered France, Alamanni entered Germany and Helvetia, Lombards entered Italy, Suevi entered Northern Spain, Vandals travelled between 400 and 430 trough central Europe and Spain and went to Northern Africa, Sardinia and later on to Rome. The invasions of the Germans in the 4th and 5th century shaped Europe in a fundamental way, since many tribes settled at places where future states of these tribes would arise. The contrast between Northern and Southern Europe faded away and was replaced by a contrast between Eastern Europe with Slav and Greek culture on the one hand, and Western Europe with German and Latin culture on the other.


500 AD

600 AD

• With the rapid dissolution of Attila’s Empire, the Avars, another Eurasian population, moved towards Europe, because the Turks had chased them out of the Orient. • After the Gothic War, fought between the Eastern Roman Empire and the Ostrogoths that had settled in the italian peninsula, in 568 the victorious Byzantines found themselves unable to resist to the invasion of the Lombards. The Byzantine Empire, profoundly weakened by the Justinian Bubonic Plague in 541, and by the military clashes against former Western Roman Empire, which had fallen into the hands of barbarian invaders, could not resist the advance of the Arabs arriving from the Middle East in the 7th century.

700 AD

• The Arabs conquered the rich and populous regions of Syria, Palestine and Egypt which belonged to the Byzantine Empire. From Egypt they continued along the coast of North Africa, taking control of the south-eastern coast of the Mediterranean. • As a result of the settlement of the most important German tribes in Europe the first signs of later states in Europe appeared. In 687 the Carolingians/Franks united a large part of Western Europe, including most of the territory that used to be the Western Roman Empire with an extra piece between Elbe and Rhine. In a very short time, the Arabs, during their advance, were able to take advantage of the exhaustion of local populations towards the rigid Byzantine rule, providing greater religious freedom to Christians “heretics”, particularly for Jews (strongly opposed by Byzantium), and requiring a tax which was much lighter than the usual imperial taxation. Arabs offered to local people to freely exercise their faith in the territories of Islam as gated communities, as long as they accept the superiority of Islam, a certain discipline and the payment of taxes. Already after Muhammad's death in 632, Islam was no longer a community of only Arabs; moving along with its expansion, Islam was increasingly becoming a tolerant and multi-ethnic Arabic speaking community.

800 AD

• The Arabs were on the move, attacking Western and Eastern Europe. In 711 they conquered Spain and the Visigoths but in 732 the Franks blocked their invasion at Poitiers. • In Eastern Europe the Arabs conquered provinces of the Byzantine Empire, but were not able to gain control of Byzantium. • The Avars disappeared from Europe after Charlemagne had beaten them. • In 774 Franks defeated the Lombards in Northern Italy, with the aim to expand his Empire to the south. By doing so, Charlemagne provided added protection for the Papal States in Central Italy. • The Lombards moved southwards to the territories in Southern Italy at the expense of the Byzantines. • Vikings, a northern population coming from Scandinavia, attracted to the wealth of the Carolingian Empire, was on the move towards south-west Europe. • Between 726 and 834, Iconoclasm caused religious refugees: priests and monks fled from the Byzantine Empire to Rome, Southern Italy and Sicily. Iconoclasm, led by Byzantine Emperor Leo III in the Byzantine Empire, forbid the worshipping of statues and religious icons, creating political and economic divisions, and migration movements from the rigid Byzantine society to the Catholic world.


800 AD

900 AD

• Around 830, Magyars, ancestors to modern Hungarians, migrated west due to civil wars in Khazar kingdom. They landed in modern Ukraine, where they launch raids against eastern borders of the Frankish empire. They eventually migrated to modern Hungary. • In 836 Saracens invaded and gained some territories in Southern Italy at the expense of Lombards and Byzantine. • Around 865 Vikings, a collection of Norse, Swedes and Danes, begin to settle along the northern part of England coast. • Vikings moved along the Atlantic coast all the way to Marseilles, settling especially in England, Normandy and Holland. • The Varegues migrated southward from Sweden and founded the State of Kiev in present-day Russia. • In 870 Norsemen settled in Iceland. • In 890 Saracens landed in Provence and attacked Gaul and Italy, taking over Sicily. While in the Mediterranean, the Byzantine Empire, allied with the Lombards, was trying to halt the Arab advance, in Central Europe the political weakening of the Kingdom of the Franks, caused by the tripartition of the territory, stipulated by the Treaty of Verdun, attracted a new wave of invaders, the Vikings.

1000 AD

• In 915 a coalition of Lombards and Byzantines drove Saracens out of Italy. • Magyars invaded Germany, France and Central Europe and ultimately, after their defeat in 955 by the German emperor, they settled in Pannonia. • In 982 Vikings landed in Greenland. • At the end of the 10th century, Turks started their migration into parts of Asia Minor and later on into Southeast Europe. • 400.000 German farmers, knights and inhabitants of the Hanseatic cities moved forcefully to Silezia, Brandenburg, Mecklemburg, Pommeren, Saxen, Prussia and the Baltic States as far as the Finnish Gulf. German "Drang nach Osten", supported by the German nobility, the Slavic kings and dukes, and the medieval Church, referred to the expansion of German culture, language, states, and settlement into eastern and Northern European regions which caused the migration of German peasants and farmers from the Rhenish, Flemish, and Saxon territories of the Holy Roman Empire eastwards into the less-populated Baltic region and Poland inhabited by Slavs and Balts. The future state of Prussia had its roots largely in this German east colonization.

1100 AD

• In 1066, in the Battle of Hastings, Normandy beat England, causing a migration of 100.000 French to England in the following centuries. • Through the Byzantine-Norman wars, the Normans succeded in driving the Byzantines out of their long-held Southern Italy possessions. • During the Spanish Reconquista, people migrated from Northern Spain and from the other side of the Pyrenees to the reconquered areas in Central and Southern Spain. • By 1071 Turk tribes took most of Asia Minor from Byzantines. • Knights and common people went to the Holy land, Cyprus and the area around Constantinople with the crusades; 200.000 people, mostly French, settled there for good. • Migration caused by the East-West Schism. •Religious refugees from the Reconquista (Moors and Jews) migrated from Northern and Central Spain to Grenade and Eastern Europe (Poland and Lithuania). • Jews were not welcome in many countries ever since the crusades started. The East-West Schism of 1054 caused a formal split within the Christian church which by then was divided between the Eastern Orthodox Church, based in Constantinople, and the Western Catholic Church, based in Rome. The First Crusade started as a widespread pilgrimage in France and Germany, and ended as a military expedition launched by Pope Urban II (delegate Roman Catholic Europe) to regain the Holy Lands taken in the Muslim conquests of the Levant (632–661), ultimately resulting in the recapture of Jerusalem in 1099. Migrations in the 11th century are the result of three distinct factors: religious persecution against “heretics”, as a consequence of the Crusades, political refugees caused by internal conflicts within the rising of the new “states”, and finally the colonization of areas for expansive and demographic aims.


1100 AD

1200 AD

1300 AD

• French from Normandy continued their migration to England.

• Mongols, coming from the Far East, started penetrating the Russian area.

• The Reconquista performed by the Northern part of Spain led to the founding of the kingdoms of Aragon, Castilla, Navarra and Portugal. Many religious refugees (Moors and Jews) continued their migration from Northern and Central Spain to Eastern Europe - mostly Poland and Lithuania - or to Grenade which was the only spanish islamic territory left. • The second and the third crusades brought other waves of European to the Holy land, to Cyprus and to the area around Constantinople.

• Jews were expelled from England and France. • Many knights and common people moved to Jerusalem to fight in the Crusades.

• Italian merchants, attracted by the economic power of the Byzantine Empire, settled there taking an important place in the trade. The period between the 10th and the 14th century has been defined as the “Medieval Renaissance”. The population of Europe was characterized by a strong increase in population and in many cities (in northern Italy, France, Britain and Flanders) the decline of the feudal system led to the birth of Commons, the first forms of organization of the city-state. This general wealth brought also new developments in the agricultural methods, in the trade and in the economy, which led to obvious changes in social life. The routes of communication had been improved both by land and by sea. In fact, the navigation became the dominant method of movement for both the economy and the Crusades. The protagonists of the sea traders were the Italian Venetian merchants, who sailed the Adriatic, reaching the coasts of the North Africa, Sicily, Constantinople and Palestine.

• Italian merchants, scientists and missionaries went to China and stayed there until the 15th century. This was a period of urban growth that saw large towns develop and the volume of international trade increase. Many of Europe's finest castles and cathedrals were built during these two centuries. Before the epidemic known as the Black Death in 1348, Europe's population was at its highest level for many centuries. Europe at this time was also witnessing a new cultural renaissance, favored by the regency of Frederick II of Swabia. Emperor of the Holy Roman Empire and of the Kingdom of Sicily, gave impetus to the culture, creating an encounter between three civilizations, namely Latin, Greek and Arabic, and promoting versions of unknown works to the Latins and studies of natural philosophy (from astrology to mathematics). Precursor of the idea of unity between Germanic and Latin Europe, Frederick II was also the first to understand that with the Arab world there could be an agreement based on the common belief that the Mediterranean was not born to divide but to unite two great civilizations.

1400 AD

• In 1394 Jews were expelled from France; primarily they moved eastward into Germany and Poland. • In the same year, Jews were expelled from the Holy Roman Empire as part of the paranoia lingering from the Black Death Plague; along with the anti-Semitic fervor from the Crusades before that, persecution against the Jews remained widespread. Upon being expelled from the Holy Roman Lands, the vast majority emigrated to Poland, where they were welcomed. • Paupers migrated in Western Europe looking for work in rural areas and in the cities. In Eastern Europe serfdom slowed down migration. • In 1341 Portuguese went to Canaries, to the Azores and Madeira, bringing slaves to these newly conquered areas. Between 1347 and 1351 about one third of the European population was killed by the plague. After this disaster, smaller epidemics continued to strike Europe so that the population did not recover quickly. Hard times had come for the farmers; besides famine and disease they had to cope with a bad grain market. This caused farmers in Western Europe to abandon their land and led to the phenomenon of wandering paupers. In search of work, these people travelled to other rural areas where industry was just starting to appear or to cities, where they were faced with the guild system that made it difficult to find a job. In Eastern Europe, the phenomenon led to serfdom for many impoverished farmers as Lords forced their subjects to stay and work for them.


1400 AD

• Turks, after their settlement into parts of Asia Minor and later on into Southeast Europe, moved into the areas of the Serbs, Macedonians and Bulgars. In 1453 the Turks took over Constantinople. • Irish went to England. • The conquering of Grenada by the Spanish Catholics led to a new flood of religious refugees: 150.000 Jews and 300.000 Moors went to other countries. Some Jews went to Italy, to the Ottoman Empire, Morocco, Portugal and Holland. The Moors went mostly to Morocco. • In 1400, as Jews were being expelled from France, Germany and Austria, they primarily moved into Poland-Lithuania, which would become home to the largest concentration of Jews in world.

1500 AD

• Between 1492 and 1533, the colonisation of areas overseas by both Portugal and Spain as a result of the voyages of discovery caused migration towards these areas. Spain colonised parts of South America (Greater Antilles, Mexico and Peru), and Portugal founded in 1492 trade-centres from the Azores to Insulinde. • Europeans needed labourers in their newly colonised territories. This caused the forced slave-trade migration of Africans to America. • From the Netherlands people went to Latin-America.

• St. Bartholomew's Day massacre marks the beginning of the persecution of French Huguenots at the hands of the Catholics. They fled to America and to the protestant parts of Europe, like Germany, Denmark and England. • From the Netherlands groups of Calvinists went either to America or to England because of the Catholic persecution. • Dutch exultants left the Netherlands and went to Germany because of the 80-year war: they settled in Lower Rhine first and went south afterwards.

The desire to establish unity of religion caused governments to force religious minorities to migrate. For instance, the Jews and Moors who had to leave Spain after the Reconquista were often artisans and merchants and their departure meant a loss for the country as a whole. In addition, the “heretical” religious were considered directly responsible for the Great Plague; therefore, there was a general shift of the Jewish population toward the east, away from the west where it had gravitated for centuries before. In the meantime, the conquest of Constantinople by the Ottoman Empire marks the final decline of the Byzantine Empire, bringing to a general cultural change in Eastern Europe and to a fragmentation within the Orthodox Church.

• The French seasonal migration to Catalonia evolved into permanent resettlement. Between 1570 and 1620, the 20% of the male population of Catalonia originated from France. • In Russia, after the development of the principality of Moscow, Zar Ivan the Terrible launched a migrational flow of farmers to resettle the new conquered territories, but many farmers tried to escape to this policy and went to the south-east of the country. The Russian government forbid these migrations because the nobility in the North needed the labourers.


1600 AD

• 243.000 Spaniards went to the new colonies in South-America. • About 750.000 people from England left for New England in the US. • 50.000 left France for overseas. During the 16th century, the Protestant doctrines developed in northern Europe, particularly in France and in the Netherlands, where it spread to the Calvinist doctrine. The measures taken to eradicate Protestantism from these countries, considered by Catholics nothing but heresy, brought to new migration flows both to the more tolerant Northern countries and and in the form of exile to the new overseas areas. Some colonial powers stimulated strategically the migration of religious dissidents to the colonies to sustain the colonial organisational system and economy. From the first half of the century, European countries crossed the oceans in search of fertile land and in order to take part in the international trade.

• Religious conflicts between Catholics and Protestants in Switzerland caused the migration of Swiss to France, where until 1685 the freedom of worship was recognized by the Edict of Nantes. • In 1685 Louis XIV revocated the Edict of Nantes through the Edict of Fontainebleau and a second wave of migration carried 200.000 Huguenots to leave France. • The Irish lost the battle of the Boyne prompting the migration of 13.000 Irish to France. • Italian merchants came to Germany, especially to Frankfurt, to work in the food trade. • From 1650 onwards, the German community in London developed to be very sophisticated.

1700 AD

• The East India Company brought Chinese sailors and Indians to England. • French went to the French colonies in North America and either returned home after a few years or settled there permanently with families. • Sweden experimented briefly with overseas colonies, including “New Sweden” in Colonial America in the 1640s. • 15.000 Africans were brought to England, to work as servants. This deportation is connected with the development of slave trade and the use of slaves in the British colonies. • In 1652 first Dutch colonists settled in Cape colony in South Africa. • In 1683, some Mennonite families travelled to Pennsylviana, followed by the Tunker and Hernnhuter, other German families who founded Germantown. After the Thirty Years War the map of Europe had been irrevocably changed: the ancient notion of a Roman Catholic empire of Europe, headed spiritually by a pope and temporally by an emperor, was permanently abandoned, and the essential structure of modern Europe as a community of sovereign states was established. In the middle of 17th century the overseas explorations were intensified and colonies were founded in America by the absolutist and mercantilist European states. The conquest of the new world and the ability of the states to hunt for commercial hegemony led to a large stream of migrants, flowing between Europe (Spain, Portugal, England, France and the Netherlands) and the new colonies in Northern and Southern America.


1700 AD

• The First French revolution forced 60.000 royalist refugees to England and to other European and foreign countries, to wait for the restoration of the French monarchy. • In the Netherlands, after the Revolt of Patriots of 1785, Dutch patriots joined the French army to help to establish the French Republic. • The First Industrial Revolution in England attracted labourers and merchants from all over Europe. • Other new industrial areas and cities in France, Germany and in the Netherlands, brought labour migrants, scientists and skilled workers from several european countries. • Germans moved towards the new industry areas in the Rhine-Ruhr-area, while. Other Germans went to the industry-areas in England. • French labourers went to North and Eastern France, Wallon, the Ruhr-area and Bretons went to Paris. • Italians went to the new industries in Paris. • Russia and England started to maintain friendly diplomatic contacts with each other, stimulating many Russians to go to England. • Schwaben were asked to come to Romania and Russia where they could work as soldiers, clerics, craftsmen and farmers. • In 1730 Salzburg farmers went to Prussia on request of King Frederick William I to make this area more prosperous. • Frederick II installed German colonists in Prussia, in Ukraine and near the Volga. Labour migrants from Germany moved to Hungary and to Russia.

1800 AD

• From Germany 150.000 people left for overseas areas: 125.000 Germans went to North America and 2000 Germans went to Canada. This German migration was caused by the agriculture’s organisation in state-systems that made many Eastern Germans lost their land. • 27.000 French went to the colonies in America. Many of them originated from Normandy, Poitou-Charentes and Ile de France. • 12 million Africans were taken to America between the 16th and 19th century by English, Dutch, French, Danish, Spanish and Portuguese traders. • Between 1750 and 1815, Germans went to Brazil and Chilli after a famine in Germany. • The developing centres of Buenos Aires, Havana and Caracas began to attract substantial numbers of Spanish migrants in the latter part of the 18th century. • Between 1788 and 1868, 162.000 condemned persons were sent to Australia by England and Ireland. • Germans went to Australia and New Zealand. During this period farmers continued to search for work, often temporarily migrating to work elsewhere during the harvest season. Some were permanently attracted by the rural industries which flourished especially after 1750, whilst others came to live in large cities that needed many employees. A few migrated to the newly conquered colonies overseas. Western European governments, with their mercantilist economical politics, had to deal with the urge to mantain as many people as possible in the country, but at the same time had to control the departure of large groups of religious and political dissidents who were potentially a valuable asset to the nation's economy. Another cause of migration was the expansion of states: newly conquered areas had to be populated, occasionally displacing native inhabitants.

During the Great Famine between 1845 and 1852, a period of starvation and desease brought Irish to migrate on a massive scale to Canada, US and Great Britain. • During revolutionary movements nationalist patriots felt part of a united Europe and went to fight in foreign armies. • The Peninsular War for the indipendence of Spain from France caused the movement of 58.000 Spanish prisoners of war and 7.000 Spanish refugees towards France. • Many intellectuals who fought in the Italian Risorgimento were forced into exile in England, France, North Africa and America. • In 1816, after a big agricultural disaster, many Germans went to England. This migration continued intensively until 1890, but then diminished significantly because of a growth in the German industry. • After 1830, 30.000 Germans went to France, 1.5 million went to Hungary, and some Germans went to Russian industry-areas. • Skilled German labourers went to Belgium temporary and moved on to France or the United States later on. • After 1830, 60.000 English went to France, especially to Normandy. • In 1815 many people from the Netherland left Europe to serve in the Dutch East India Army in the Netherlands East Indies. • Between 1820 and 1924, 6 millions Europeans went to South America: Spaniards, Italians, French and Russian moved to Arentina looking for a job and a permanent place for resettlement.


1850 AD

• From 1820 English colonists settled in the Southern area of Africa. • In 1822 the Brazilian Declaration of Independence was followed by an anti-Portuguese sentiment which forced the Portuguese community to return to Europe. • From 1832 contract labourers from China and India were sent to the colonies of England and France in South America, Africa and Asia. • The abolition of slavery in the British colonies in 1833 favoured the migration of Africans, Chinese and people from India to England. During the first half of the 19th century, a demographic revolution took place in Europe. Along with the growth of towns and rural industry, population grew very quickly due to a decreased death rate and increased fertility. Industrial revolution introduced new means of transportation that made it easier to move over longer distances. In fact, people from all over Europe, and even from the colonies, moved towards the new industry-centres in England, France and Germany. At first the urbanisation had a circular character: the economy needed teams of harvesters that went from town to town seasonally. In addition, the French revolution, followed by a unique revolutionary period in many European countries, had opened an era of liberal revolution which slowly established the right of every citizen to move whenever and wherever he liked. The idea of one nationality in one country started to develop a widespread spirit of patriotism, which led to a new group of refugees: the political refugees. The Patriots and intellectuals of the period had a unitary vision of Europe and moved freely across it to join the political cause of other States or to seek refuge elsewhere.

• During the years of the Third French Revolution, 26.000 people left France: 8.000 stayed in Europe and the rest moved to USA, South America and Algeria. • Many intellectuals who fought in the Italian Risorgimento were forced into exile in England, France, North Africa and America. • After the suppression of the Paris Commune in 1871, many Communards were forced into exile to England, Switzerland and US, or deported to the French colonies in Africa and Australia. • Between 1880 and 1939, Jews from Poland migrated to other European countries such as Germany, France and Britain. • In 1871 many Germans moved from Russia to Rumania. • Migrant labourers from Italy, Poland, Slovakia and Germany went to the Netherlands to the areas around the mines. • Poles went to work to the Ruhr-area in Germany. • Lithuanians, Irish and French went to England to work in the mines and in the heavy industry. • Swiss, Spaniards and Italians went to France. • In 1886 a big crisis in the Belgian industry caused the migration of 486.000 Belgians to France. • Beginning of the period of massive gypsy migration from Eastern to Western Europe: after the abolition of slavery in the Romanian principalities of Moldavia and Wallachia, they were able to wander again.

1900 AD

• During the First Italo-Ethiopian War many Italians went to fight in the Horn of Africa. • In 1851 Italians and Greeks went to Australia. • Between 1880 and 1900, 800.000 Italians came to Brazil. • Between 1880 and 1913, Jews left Russia and went to the USA. • Poles, Lithuanians, Russians, Latvians, Czechs, Slovaks and Hungarians poured during the second half of the 19th century into the USA in unremitting waves. • During the period of New Imperialism, the “Scramble for Africa” led many Europeans to move to African countries between 1881 and 1914, especially to South Africa, Algeria, Zimbabwe and Kenya. By 1850, the countryside had become very overcrowded, because of the rural industry that was located there. The industries in the cities eventually won the competition with the rural industries and brought to the process of urbanization. At first cities still needed many new people every now and again because of bad sanitary conditions and diseases. In addition, more and more people could not fall back on the countryside because rural industries were already saturated and the countryside too overcrowded. That is when “circle migration” became “chain migration”. Many people moved around in Western and also in Eastern Europe (after the abolition of serfdom in 1861). The “circle migration” was at its height between 1850 and 1914, but chain migration and career migration had already become more important. At the turn of the century, in fact, the transatlantic emigration moved 60 million Europeans, transforming Europe for the first time in a country of emigration.


1900 AD

• In 1908 the Armenians arrived to France en masse after the victory of the Young Turk revolution in 1908, which marked the start of their persecution, orchestrated systematically by the new Turkish government. • In Britain the growing arrival of Russian -Polish Jews encouraged the state in 1905 to erect controls over alien immigration. Tensions also developed in France, Germany and the USA. • After 1905 emigrants from Spain, Portugal, Italy and Germany went on a massive scale to Brazil and Argentina. • About 1910, in the years leading up to the First World War, the French directors of the major industries and the larger landowners, who were short of agricultural labourers, recruited miners in Italy and agricultural workers in Poland. • Emigrants from Spain, Portugal, Italy and Germany went to Brazil and Argentina, especially after 1905. • In 1911 750.000 Europeans live in North Africa (Tunisia, Algeria and Libya).

1910 AD

At the end of the 20th century and in the early ‘900, no country in Europe had so many emigrants as Italy. From 130,000 a year in 1880, their number had risen to 540,000 in 1901 and 872,000 in 1913. Some of these migrants, mostly coming from Northern Italy, were headed towards neighboring countries (France, Switzerland, Austria and Germany), but next to temporary European migration, another kind of emigration, which had a definitive character, was developing, in particular to America. Italians who reached North America (USA), found employment in the industries, and those who migrated to the large countries of South America (Brazil and Argentina), were often able to find to work in the agricultural sector, eventually creating even independent companies, of which they became owners. While some countries, both inside and outside Europe, were recruiting waves of migrant workers to launch their economy, in other countries within Europe the first migration policies, which were orientated to thwart or limit immigration, started to appear. This is the case of England which in 1905, through the Aliens Act 1905, for the first time introduced immigration controls and registration, to regulate Jewish immigration from Eastern Europe. Although it remained in force, the 1905 Act was effectively subsumed by the Alien Restriction Act in 1914 that introduced far more restrictive provisions. It was eventually repealed by the Aliens Restriction Act 1919.

• In 1914 with the beginning of WWI Germans living in Belgium, were invited by the Belgium government to leave the country. • Many Belgians went to the Netherlands because of its neutrality during WWI. • In Russia, the civil war and the Bolshevik victory forced millions of political dissidents “White Russians” to voluntary migrations. 1.5 million of Russian emigrants went to Paris, Prague, Berlin and various other European cities. Smaller numbers went to the USA, China and several Latin American countries. Criminals and political prisoners were moved to Siberia by force. • During the WWI Germany recruited 100.000 East Jews for the German War economy. Between 1918 and 1921 these Jews continued to flee through Germany because of anti-Semitism in Poland, Ukraine and Russia. • Between 1915 and 1916, 1.3 million Armenians were deported from Turkey to the Syrian Desert. The surviving population sought asylum in France on a massive scale. • Some Germans went to France. • Italians, French, Lithuanians and Belgians went to England, especially to mining-areas and heavy industry. • During WWI Prussian policy acted to restrict emigration from Russian-Poland: migrants were forbidden to return home and were forced to work in Germany. • After WWI less Italians than before went to England because Mussolini reduced Italian emigration. • In 1917 France signed treaties with Spain, Italy, Portugal and Greece to recruit labourers for the war-industry: 25.000 Spaniards, 23.000 Portuguese, 24.000 Italians, 24.000 Greeks, 33.000 Czech, 67.000 Russians and 60.000 Armenians.


1920 AD

• Africans and West Indies went to England, because England needed them in the war and in the machinery-industry. • France recruited labourers from Maghreb’s colonies: 86.000 Algerians, 55.000 from Morocco and Tunisia. The nation-state had become the dominant form of political organisation in Europe and, together with market-economy, became also, in the second decade of ‘900, a regulatory and directive power, extending to the sphere of migration. The state determined whether a migrant was welcome or not, and was in charge of the means to control its migration, such as passports and visa. Many states had liberal political systems and acknowledged their citizens’ right to migrate, but some countries had a totalitarian structure and did not grant their citizens this right. During the period, the First World War stopped normal life in Western Europe for four years and Eastern Europe was shaken as well by the Russian revolution which had taken place about at the same time. Political and economic rivalry led to a growing need to accentuate national unity and therefore to suppress minorities. The urge to establish states containing only one nationality within their borders continued. At the same time the fear of being flooded by people on the run from communism or nationalism caused states to close their borders more and more. Only migrants with a labour permit and a handful of refugees were welcomed in the rich countries. The First World War brought a sudden end to the usual migration; however, the war caused much involuntary migration: refugees left their country and fled to neighbouring countries as well as to the United States.

• 1.8 million Germans left Russia, Poland, Alsace-Lorraine and the German colonies to go to Germany and Austria. • Bulgarians left Greece and Slovakia. • Hungarians left Rumania and Slovakia. • Poles left the Soviet Union. • People from the Baltic States left the Soviet Union. • 64.000 Russians left Soviet Union to go to Western Europe (France), the United States, Canada and the Far East. • 1.3 million Greek left Asia Minor to go to Greece and 500.000 Turks left Greece to go to Turkey as a result of a deal these two countries made. • 50.000 Basks and 20.000 Catalans left Spain to escape the dictator Primo de Rivera and went to France. • Emigration from Italy during Fascism had been forbidden by Mussolini; though, some Italians managed to escape from nationalsocialism to England, France, Belgium, Libya and other italian colonies in Africa. The only internal migration was a forced resettlement of the newly reclaimed lands in the Toscana and Umbria through a colony of Italians from Veneto. • 65.000 persecuted Armenians escaped from Turkey to France. • With the collapse of Bela Kun's government the so-called White Terror exacted a fearful revenge on Hungary's Jews. The anti-Semitic legislation of 1920,1938 and 1939, which restricted the civil rights of Jews, encouraged a westward migration. • Intellectual exodusfrom Hungary due to the White Terror repression.

1930 AD

• 1920: France needed foreign labourers for the reconstruction of the nation. Workers were recruited throughout Europe, principally from Poland and Italy. After the First World War, more and more European countries erected barriers to immigration, in part because of the burgeoning nationalist sentiment and the long-present fear of foreign radicalism, exacerbated by the success of the Bolshevik Revolution, and partly because many countries witnessed the establishment of totalitarian regimes, who see in the population control a powerful tool for wealth, and migration, a factor that harms local economies. For instance, after WWI, the big wave of German refugees made the Dutch government take measures against foreigners. In 1918 the law "Wet Toezicht Vreemdelingen" was installed and in 1920 the law "Wet op Grensbewaking". In addition, in the period between the two wars there was an increase in anti-Semitic intolerance, especially in Eastern Europe, which caused a direct increase in the emigration of Jews to Palestine and especially to the the US.


1930 AD

• In 1933 the fire in the Reichstag building caused a large migration of left-wing Germans who fled from the Nazi-regime. The neutrality and the tolerance of the Netherlands in WWI favoured the migration of German refugees - socialists, communists and artists - towards this country. • Between 1936 and 1939, during the Spanish Civil War, 200.000 Spaniards left Spain and went to Belgium, to France and to the Maghreb. • 70.000 Italians left Italy beacuse of the Fascist Regime and went to France. • During the Communist Collectivization, many political dissidents and certain nationalities inside the Soviet Union were considered by Stalin enemies of the Soviet State and were forcedly moved to siberian forced work camps: the “gulags”. • Jews from Poland, Hungary and Romania went to Belgium. • Between 1931 and 1939, Jews left Germany and Austria because of the Nazi-regime and fled first to the Netherlands and France, but, after the regime had taken over these countries, escaped again to the United States, Palestine, England, France, Netherlands, Italy, Belgium and Latin America.

1940 AD

• This phase of immigration of labourers through Europe was brought to an end by the crisis of the 1930s, at which time many labour migrants were fired and sent back to their countries. • 18 million of russian farmers were moved towards the industrial centres of European Russia: Leningrad, Moscow and cities near the Volga, Kiev, Kharkov, Donetz and the industrial centres of the Ural. The crisis in the 1930s brought to a further tightening of border control and caused general growing feelings of xenophobia and distrust in total integration. From the mid-thirties onwards fascism had terrorised Europe and minorities were expelled or killed in the most brutal ways. The urge to achieve national unity resulted in the generation of refugees composed mostly by the German Jews, the anti-Franco Spanish, the Communist Russians and Armenians. Nazi Fascism chased away socialists, anti-fascists and Jews from Germany and Italy in the 1930s, but also from France, where ethnic and religious refugees became the target of attacks by the nationalist right-wing. These refugees were sometimes welcomed in neighbouring countries, but in times of economic crisis they were not so easily accepted anywhere. The most extreme urge for national unity was expressed by the national-socialists in Germany and led to the deliberate persecution of a whole “race”: the Jews. From 1941 onwards they were systematically transported to Germany, occupied Poland and the Netherlands where many were imprisoned and eventually killed.

• Jews and political opponents of the Nazi Regime continued to flee from Germany to France, Spain, England, Soviet Union, Czechoslovakia, Sweden, Switzerland and Belgium. • In 1940, 3000 Polish civilians went to England. • The German occupation of the Netherlands caused the migration of Dutch refugees and the exile of the Dutch government to England. • In 1939 one consequence of the Nazi-Soviet pact was the deportation of Poles from eastern Poland to Soviet labour camps in Siberia. • Between 1940 and 1945, Belgians, French, Italians, Dutch, Russians and Poles were moved to labour camps in Germany. • In 1941 the Soviet Union reacted to the German attack, the Operation Barbarossa, by deporting nearly all German immigrants living in the western part of the Soviet Union to Siberia, Central Asia and Kazakhstan. • Between 1942 and 1945, American soldiers went to Europe to fight in WWII. • Germans deported a large part of the Jews that were living in Belgium back to Germany or to Poland after 1940. • Russian Jews escaped the politics of the Soviet Union and the Terror of Stalin. • In 1942 at the Wannsee Conference was formulated the Final Solution to the Jewish Question: 5.2 million Jews and 400.000 Gypsies were moved to concentration camps in Germany and Poland. • Between 1943 and 1945, Russian people who belonged to other ethnic groups were deported to work camps. • After 1948 Jews from all over Europe moved to the new State of Israel.


1950AD

• After 1945, many Poles, Rumanians, Hungarians and Yugoslavs moved to Austria, Belgium, France, Switzerland and Western Germany. • Austrians went to Western Germany. • East Germans went to Western Germany. • After 1945 until the present Irish went to England for better wages and insurance. • Between 1945 and 1955, many southern Europeans (Italians, Greeks, Turkish, Portuguese and Spaniards) were recruited as temporary guestworkers during the post-war Reconstruction in Central Europe (Belgium, France, Germany, UK and Netherlands) . • Between 1946 and 1977 many Finns migrated to Sweden. • After 1947, people from British ex-colonies, who had free entry in the UK until 1962, went to England: the first to arrive were the natives of India from Punjab and Gujarat. • Between 1945 and 1952 people from the Dutch East Indies (Indonesia) went to the Netherlands. After that Indonesia became indipendent in 1949, the Moluccans and any remaining Dutch people were forced to come to the Netherlands. • The Communist victory in China in 1949 led many Chinese people to migrate to UK. In 1945, with the end of World War II and the beginning of the Cold War, Europe was divided into East and West: Eastern Europe was under the control of the Soviet Union, while Western Europe fell under the influence of the United States. While in Western Europe the Marshall Plan enabled the relaunch of the economy, in Eastern Europe economic crisis was raging in the newly communist countries. The Soviet authorities tried to stop streams of migrants who tried to pour out from the East into the West by closing their borders so that people who wanted to leave had to escape at the risk of being shot.

• After the Hungarian Revolution of 1956, 250,000 Hungarians left their country seeking refuge in the Western Europe and in Canada. • The Suez Canal Crisis in 1956 prompted 100.000 British citizens to come to Canada. • Unemployment was a chronic problem for Yugoslavia: in the ‘50s Yugoslavs seeking work began to slip across the border illegally to reach West Germany. • Until the 70s’, guestworkers from south and eastern Europe continued to migrate towards the central countries of the Post-war Reconstruction. • 4 Million migrants came to France between 1955 and 1974: Belgians, Italians, Spaniards, Poles, Portuguese and Algerians. • From 1958 onwards Spanish guest workers immigrated to Belgium. • Germany in particular changed its status of country of emigration and became a country of immigration, attracting Spanish, Portuguese, Greek, Yugoslavian, Moroccans and Tunisian. Only between 1955 and 1975, 900.000 Turks migrated to Germany. • Many Italians were recruited in the Netherlands as first guest workers in the coal mines and the textile industry between 1949 and 1973. • From the 50s’ to the 90’s, 3 million ethnic Germans immigrated to their 'mother' country, most of them from Poland, Romania and USSR. • Between 1950 and 1960, during the “Italian economic miracle”, Italians moved en masse from the poor towns of the country and the countryside to the cities of Genoa, Milan and Turin.

1960 AD

• With the beginning of the Decolonization process, ex-colonists from British Caribbean and from Pakistan settled in the UK between 1947 and 1960. • Since 1954, when the Statute of the Kingdom of the Netherlands was signed, people from Surinam and the Antilles, who had obtained full Dutch citizenship, came to live to the “mother country”. In Western Europe, the post-war reconstruction attracted workers from all over the European territory, especially from the South. European agriculture began to decline after 1950 as urbanisation increased, as did the need for extra labourers to work in industry. Even though there were strict rules concerning migration, many people were invited to the West and rules about the supposed temporary character of this migration were not maintained very strictly because of the enormous labour shortage. In addition, from the 50s, the process of decolonization began to intensify: the inhabitants of the former European colonies, which were achieving independence from the motherlands, returned to Europe, attracted by the economic growth. This migration changed the situation in the former “motherlands”: people from other continents with other religions and a different culture had to be integrated into society. Before 1961, also skilled workers left East Berlin (Soviet-occupied) to find employment in West Berlin, where post-war reconstruction enabled to get higher salaries. The Soviets recognized the problems of losing the majority of the skilled workers in East Berlin, therefore constructed the Berlin Wall dividing the city in two, and drastically reducing the outflow of East Germans to West Germany. During the 50s, after the partition of Palestine into two independent states, one Jewish and the other Arab, the Jewish Holocaust survivors migrated en masse to the new State of Israel.

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1960 AD

• The “Regime of the Colonels” between 1967 and 1974 prompted many people to leave Greece: several thousand suspected communists and political opponents were exiled to remote Greek islands; unskilled labourers went to work in Belgium and Germany; university students and intellectuals escaped en masse to Italy. • After the victory of Israel during the Six-Day War of 1967, Jews were expelled from north Africa and Middle East and moved consequently to Israel. • After 1960 other Mediterranean workers, including Greeks, Portuguese, Spanish, Yugoslavian, Turkish and Moroccans, were hired as guest workers in the coal mines and the textile industry in the Netherlands, in addition to the Italians that had already come in the 50s’. • In the mid-1960s, the Yugoslavian federation opened up its borders to emigration through the liberal economic reform and the number of emigrants, including educated and highly skilled individuals, increased rapidly, especially to West Germany, but also to the Netherlands, Austria, Sweden and France. • During the ‘60s, France began to sign labour treaties and recruit unskilled labourers from Turkey, Portugal, Morocco, Tunisia and Asia. • Immigrants from Poland and Albania went to Greece. • Spanish and Turkish guest workers were recruited in Belgium.

1970 AD

• In the ‘60s Italy and Spain started to receive immigrants from the Third World (Africa and Asia). Those immigrants boosted the underground economy because much of the employment was illegal. • After the independence of Belgian Congo in the ’60s, people from the ex-colony went to Belgium, although they never received the Belgian nationality. • Immigration from India and Pakistan to Britain reached a very high level from 1960 onwards. • The East African Asian Crisis involved a large number of acute refugees, many of whom still held British citizenship: 29.000 East African Asians were resettled immediately in Britain. • After indipendence, people with French citizenship migrated from french ex-colonies Guadeloupe, Martinique (French Caribbean) and Algeria to France. • When the Commonwealth Immigrants Act 1962 came in force, 98.000 people from West Indies (British Caribbean) migrated to the UK. Under the Act, persons from the Commonwealth wishing to work in the UK needed work vouchers. • In 1968, 100.000 Cypriots, 50.000 West-Africans, 223.000 people from India, 60.000 people from the Far East and 119.000 Pakistani lived in England. During the ‘60s, a reversal in migration flows transformed Europe in a country of immigration. The large stream of migrants who came to Northern Europe to supply the enormous labour shortage involved also people from the ex colonies, who benefited from double nationality. Emigration during the ’60s came to involve a high number of skilled workers which gave international migration between 1965 and 1975 the character of a Brain Drain process, which was costly for the sending country. The host countries realised that foreign manpower was becoming permanent and began in 1967 to explore new policies for the implementation of “full integration'” of the non-returning, legally-admitted, foreign workers.

• Between 1968 and 1971, most of the remaining Polish-Jewish citizens were driven out of Poland by an “Anti-Zionist” campaign, initiated by the governing Workers’ Party of the Polish Peoples’ Republic. The official reason for the campaign was the Arab-Israeli war of July 1967. • Between 1969 and 1970, a peak of Finnish emigration to Sweden for economic reasons, forced the two countries to revision their migration policies. • In 1974 many Italians, Spaniards, Yugoslavs and Turks migrated to France. • In the mid-1970s large-scale family reunification took place in the Netherlands: Turks came to join their family-member. • Many Moroccans, Algerians and Tunisians migrated to France. • After many coups d'etat that occurred in Latin America in the 70s, a wave of political refugees arrived to Europe; some of them were the descendants of European immigrants and had European citizenship. • After Pinochet coup d'etat in Chile, 200.000 Chileans received political asylum within some Western European countries such us Switzerland, Italy, France, Spain and Sweden. • In 1972, 60.000 Asian Ugandans were expelled from the country, and 27.000 of them went to the UK. • During the ‘70s, 84.000 islanders of the Dutch Antilles and 237.000 people from Surinam moved to the Netherlands. • The return of democracy in Portugal unleashed an immigratory phenomenon from Portuguese ex-colonies: Cape Verde, Angola, Mozambique, Guinea-Bissau, Sao Tom and Principe. • Because of political instability, 2000 Vietnamese went to Austria.


1980 AD

Against the background of the Oil Crisis of 1973, which caused an increasing unemployment and a decrease in investment, official recruitment of migrant guest workers in all western European countries came to an abrupt stop. One of the measures used by european governments to discourage immigration and to stimulate return migration was the work permit, which during the ‘70s could only be acquired in the home country and no longer in the host country. But immigration in the ’70s continued anyway for two reasons: on the one hand, there was also a rapid increase in family reunions, reinforcing the idea that temporary immigrants were becoming permanent ethnic minorities; and on the other hand, the interference of Western troops in conflicts in far-away areas, created a stream of refugees towards rich Western countries. At the end of the ‘70s, with the interruption of recruitment of foreign and colonial workers, many Western European countries, which had proclaimed themselves “Countries with zero immigration”, hoped that the “uninvited guests” would be gone; the rising unemployment that occurred since the 1973 Oil Crisis, caused a growing xenophobia among the Northern European society, which blamed immigrants for the general unemployment.

• After the Chernobyl disaster, many Ukranians escaped from the contaminated area and went to live to Minsk or to other villages in Belarus. • Before 1989, 181.000 people managed to cross the Iron Curtain to migrate to the West. • The fall of the Berlin Wall in 1989 and the Perestroika stimulated a mass migration of 2 million Eastern Germans from East Germany to West Germany, and of Eastern Europeans from Eastern Europe to the West, among them were Poles, Gypsies, Albanese, Yugoslavs, Hungarians, Eastern Germans, and Romanians. • Europe hosted an important population of Iraqi exiles from the 1980s with the outbreak of the Iraq-Iran war. In particular, the Iraqi diaspora had a strong presence in the UK, Sweden, Norway and the Netherlands. • By the early 1980s, more than six million refugees had fled Afghanistan, most settling in the neighboring countries of Pakistan and Iran, but many thousands also fleeing to Australia, Sweden, Finland and Norway. • During the suppression of the Solidarność movement and the imposition of martial law in Poland at the beginning of the 1980s another 250.000 Polish citizens emigrated. • Between 1989 and 1991, many Jews left the Soviet Union at the end of the Cold War because they had not been allowed to leave during the the communist regime. • Many people were on the move in former Soviet areas. 300.000 Armenians left Azerbadjan and 50.000 Meskhs were chased out of it, 220.000 Azeris left Armenia. 300.000 Russians left the former Soviet areas, especially Azerbadjan and Tadjikistan. 500.000 people from Nagorno-Karabach fled to Azerbadjan.

1990 AD

• After Franco’s dictatorship in Spain, like in whole Europe, a reversal in the migratory process took place and Spain became a receiving country. The main stream of legal immigrants came from EU countries, followed by Eastern Europe, US, Latin America and Asia, but the mass migration was that of illegal immigrants from Morocco. • In the 1980s, Finnish industries began to invest in Sweden and bought several Swedish companies. Consequently, a new kind of Finnish immigrant appeared in Sweden, namely the economic and administrative professionals. Actually after the crisis of '73 there was a period of consolidation and standardization of the immigrants' population. However, this period of consolidation was nothing but a prelude to a new period of rapid change. During the mid-'80s, Southern European countries (Italy, Spain, Portugal and Greece), which had been countries of emigration for more than a century, became countries of immigration, thanks to labor forces from North Africa, South America, Asia and, later, East European. With the fall of the Berlin Wall and the fragmentation of the Soviet bloc, former Soviet countries torn down their barriers to emigration and a mass economic migration from East Europe began as well.


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1990 AD

• Between 1989 and 1994, 700.000 refugees from former Yugoslavia fled to Western Europe. • In 1991 after multi-party elections in March, 28.000 Albanians fled the country and landed at Brindisi in Italy. • A second wave of Albanese migration to Italy and Greece occurred after the Albanian Rebellion of 1997. • By the end of April 1999, about 600.000 residents of Kosovo had become refugees and another 400.000 were displaced inside Kosovo. As asylum seekers, Kosovars were accepted in Germany, Turkey, Norway, Austria, Greece, Canada and US. • In April 1992, Serbian Orthodox Christian Slobodan Miloševic, together with ethnic Bosnian Serbs, set out to “ethnically cleanse” Bosnian territory by systematically removing all Bosnian Muslims (Bosniaks). The Bosnian Diaspora forced until 2005 hundreds of thousands of Bosniaks to leave former Jugoslavia to go especially to Germany, Austria, Sweden, The Netherlands and Turkey. • Between 1990 and 2005 Tunisians settled especially in France and Italy, followed by Germany and Belgium. • In Spain the immigration of Moroccans continues. • In the 1990s, Germany granted asylum to more people than any other European country: Germany has welcomed many refugees fleeing from the wars in the former Yugoslavia (Bosnian, Macedonian, Serbian) and many asylum seekers from Iraq fleeing from the Gulf War. • In the decade came new migration flows to Germany also from Ghana, Ethiopia and Pakistan.

2000 AD

• During the 1990s and early 2000s, immigration to southern Europe, particularly Italy, Portugal and Spain, as well as to Austria, Ireland, and the UK increased considerably. • Millions of people moved within and between the new states that had formed from the collapse of the Soviet Union. As a result, Russia became one of the most important immigration countries, receiving immigrants from the Baltic States, Central Asia and other parts of the former Soviet Union. After the collapse of the communist dominance in Eastern Europe in 1989, all kinds of conflicts between nationalities arose. Fighting states and internal conflicts caused political refugees, often due to the continuing strong role of nationalism whereby people with the same nationality wanted to have their own independent state. In the mid 90s the arrival of people seeking political asylum in Western countries of the OECD reached the maximum of 695,000 as a result of civil wars in the former Yugoslavia, which caused the most extensive problem of refugees and displaced persons that Europe experienced since the immediate aftermath of the Second World War. The movements from East to West increased, but most of the migrants were members of ethnic minorities who moved to the so-called “ancestral homelands”, in which they had a right of entry and citizenship (the ethnic Germans of Aussiedler to Germany, the Russian-Jews to Israel, the Turkish-Bulgarians to Turkey, the Pontic Greeks to Greece). Since 1995, with the entry into force of the Schengen Agreement, borders were removed for European citizens traveling between the member countries, facilitating mobility within the European Union.

• In November 2008 the EU reached a non-binding agreement for accepting up to 10.000 Iraqi refugees, giving special treatment to those living in extreme conditions in Syria and Jordan. • During the inter-ethnic strife in Chechnya and the two separatist First and Second Chechen Wars, hundreds of thousands of Chechen refugees have left their homes to flee to Austria, Belgium, Czech Republic, Denmark, France, Germany, Poland, Spain, UK. • Afghan diaspora: after 2001, Afghan refugees have been living in Germany, UK, Austria, Sweden and Turkey. • Between 2000 and 2006 a new migratory process took place in Spain. The stream of immigrants came from EU countries, namely UK, Germany, France, Portugal and Italy, followed by Marocco, South America, Eastern Europe, the USA and Asia.


2010 AD

With the acceleration of economic globalization, social change and the political upheaval triggered new migrations. Migrants who arrived to Europe were not only asylum seekers or undeclared workers, but also highly skilled workers in search of better opportunities. As a result, the geographic, ethnic, social and cultural diversity of the migrants’ background increased further. Some governments introduced preferential rules of entry for skilled workers, continuing to deny the need for unskilled migrant labor, which resulted in the increase of irregular migration. In 2004, the expansion of the European Union included ten new member statessuch as Romania and Bulgaria. Most of the existing Member States decided to limit the migration of these new member states, which instead was welcomed by Ireland, the UK and Sweden. However, the largest category of migration of this period remains family reunification, which constituted, for example, more than 60% of all regular inflows to France, Italy and Sweden in 2004. The crisis in global financial markets which struck the world economy in mid-2008 has led to the most severe recession since the Second World War. The economic crisis has had an impact on both immigration and emigration flows in Europe. Immigration levels of skilled workers have slowed while emigration has increased, above all in Southern European countries (Italy, Spain, Portugal, Greece and Ireland), causing the phenomenon of brain drain to North Europe and abroad.

• In 2013, in the European Union there have been 435 760 asylum applications, an increase of 30% compared to 2012. The highest number of requests was recorded for the citizens of Russia and the countries of the Western Balkans (Albania, Bosnia Herzegovina, the former Yugoslav Republic of Macedonia, Kosovo, Montenegro and Serbia), for the refugees of the Arab Spring from Syria, Egypt, Libya, and for the asylum seekers of the civil war in Somalia and Eritrea. In 2013, the five EU countries that have welcomed more refugees were: Sweden (26,400), Germany (26,100), France (16,100), Italy (14,500) and the United Kingdom (13,400). • During the first period of the Crimea Crisis, Pro-Russian Ukrainians fled to Russia out of fear of revolution. After annexing Crimea, thousands of residents of the peninsula, predominantly Ukrainian speakers and Crimean Tatars, who make up about 12% of the local population, are leaving Crimea to seek refuge in Lviv and the west of Ukraine. Some of them applied for asylum in Poland.

• One of the most damaging aspects of the economic crisis in Europe has been the increasing rate of youth unemployment and the consequent departure from european countries of university graduates and highly skilled professionals, in particular from South Europe (Greece, Spain, Italy, Portugal and Ireland). With jobs hard to come by and research and development funding slashed in many industries, many people have decided to make the move elsewhere, raising the socalled “Brain Drain” problem. The most receiving countries in Europe are Germany, UK, France, The Netherlands, Belgium, Denmark and Sweden. As already occurred in history, large flows of Europeans moving to transatlantic destinations, settling mainly in the United States, South America, Australia and Asia. • The economic malaise in the debt-scarred southern countries of Europe has dramatically increased the number of people from Mediterranean states migrating to wealthier countries of the north in search of work. For example, the number of Greeks and Spaniards migrating to other EU countries has doubled since 2007 to 39,000 and 72,000, respectively. Indeed, Germany witnessed a 73 percent surge of Greek immigrants from 2011 to 2012, nearly a 50 percent increase for Spanish and Portuguese and a 35 percent jump for Italians. • East-West migration continues from former Soviet Union, former Jugoslavia, Poland and The Baltic States. With the current economic crisis, Europe has once again become a country of emigration. Despite this, illegal immigration continues, as well as the arrival of political refugees and asylum seekers from wars. The "crisis of immigration models" has prompted a new debate over the creation of new migration policies.




Narrative maps of migratory routes and geopolitical Europe



THE NOMADIC NATURE OF CULTURE



Absorbing diversity — 209

“If we were to imagine that we should merely live with what we are as ‘nationals’, and if we would, for example, try to deprive the average German [for example] of all the customs, thoughts and feelings he or she has adopted from other countries of the continent, we would be shocked by how impossible such an existence already is, four-fifths of our inner wealth are the common property of Europe”. Ortega y Gasset, 1931 CULTURAL DIVERSITY WITHIN THE UNITY OF EUROPE

Per molti europei, l’Europa come costruzione politica e culturale risulta troppo astratta per identificarcisi. Davanti alla difficoltà di darne una definizione concreta si può tuttavia affermare che, nonostante la diversità culturale di cui l’Europa è composta, essa sia caratterizzata da un patrimonio culturale comune che la distingue dagli altri continenti. Ciò è attribuibile all’intensa mobilità che l’ha sempre caratterizzata, portandola paradossalmente, da un lato, a sviluppare un senso di comunanza e, dall’altro, a coltivare sentimenti nazionalistici che hanno contribuito a mantenere una diversità all’interno di una presunta unità. Molte persone, infatti, identificano la loro cultura con un luogo definito da confini geografici; questi non sono rigidi ma permeabili, non impediscono alle persone di entrare in contatto, ma, anzi, rendono i popoli più influenzabili l’un l’altro. Così una separazione del locale dal nazionale, o del nazionale dal transnazionale è impossibile (Tietmeyer 2013: 66).

In questo senso i confini geografici sono ambivalenti: “[They] have ambiguous features: they divide and unite, bind the interior and link it with the exterior, are barriers and junctions, walls and doors, organs of defence and of attack” (Strassoldo 1989: 393). In origine il nome greco Εὐρώπη sembra aver designato un territorio ristretto, forse a Nord dell’Egeo, ma già nel corso del VI secolo a.C. i geografi ionici chiamavano Europa tutta la terra a Nord del Mediterraneo. Nella riforma dioclezianea dell’amministrazione dell’Impero romano del III secolo d.C., fu detta Europa una delle quattro province in cui era diviso l’Impero, che più tardi si estese verso levante, fino a comprendere i territori abitati dagli Slavi orientali. Tentativi di più esatta delimitazione dell’Europa verso Est furono fatti a partire dal Cinquecento e con la nascita della geografia moderna. Dal XVII secolo venne proposta la catena degli Urali quale confine tra Europa e Asia, soluzione ancora abitualmente seguita.


210 — Absorbing diversity

Nel corso della storia Europea, a causa delle guerre di dominio e dei flussi migratori, l’idea stessa dell’Europa si è quindi modificata nel tempo: il lungo dominio turco sulla penisola balcanica, per esempio, ha fatto escludere per secoli dall’Europa l’area balcanica, compresa la Grecia, proprio la regione considerata culla della civiltà europea.

Questa visione riemerse come un’importante corrente teorica negli anni ’70 con la svolta interpretativa di Clifford Geertz, il quale sviluppò un’idea di cultura non più come un sistema isolato e coerente, ma come una “rete di significato” permeabile, altamente dinamica e intessuta di pratiche umane e rappresentazioni (Benessaieh 2010: 13).

Nessun criterio fondato su elementi fisici è soddisfacente, dunque, e l’Europa può essere individuata soltanto come area culturale.

L’“antropologia interpretativa”, come venne coniata, propose quindi lo studio della cultura attraverso delle reti e dei flussi, privandola di una struttura stabile e definendola come un contesto human-made da esaminare attraverso la “densa” prospettiva dei suoi attori sociali.

Quindi, considerando l’Europa come un terreno di scambio di pensiero, di culture e pratiche varie da parte di individui e popoli, emerge una visione di cultura non come un’entità statica, ma come il risultato di un processo dinamico. Le culture in Europa non si sono sviluppate indipendentemente l’una dall’altra ma hanno generato culture pluralistiche e ibride (Karasek et al. 1999). CRITIQUE OF THE CONCEPT OF SINGLE CULTURES

“Culture is at hand wherever practices in life are shared. The basic task is […] the interaction with foreignness” (Wittgenstein 1929). Bronislaw Malinowski definiva la cultura, in opposizione alla natura, come la totalità sistemica di manufatti umani atti a soddisfare i loro essenziali bisogni di cibo, sicurezza, protezione e riproduzione (Malinowski 1944: 36-38). La cultura era vista dall’antropologo polacco come un insieme coerente e determinato di pratiche, rappresentazioni e credenze, proprie di una collettività umana e trasmissibili da una generazione all’altra, che potevano essere scientificamente studiate per lo più come chiuse entità sistemiche. Mentre in alcuni degli attuali dibattiti sulla cultura rimane altamente influente la visione sistemica-funzionalista di Malinowski (Benessaieh 2010: 13), altre scuole di antropologia, si sono scagliate contro tale visione, sviluppando invece un’idea di cultura come un contesto altamente permeabile e “in un costante stato di flusso” (Boas 1920/1940: 284).

L’idea della cultura come di una rete portò a criticare la concezione funzionalista, e a promuovere una visione più relazionale di culture come di configurazioni complesse delle quali l’interconnessione rappresenta la chiave. Il dibattito sulla cultura limitata o illimitata, stabile o dinamica, contraddistingue molte discussioni sul nazionalismo, la diversità culturale, il conflitto e in generale il cambiamento culturale messo in moto dall’attuale processo di globalizzazione. Le nuove comunicazione e le tecnologie mediatiche, accelerando i flussi migratori e la mobilità, e fornendo un accesso crescente ai prodotti culturali da tutto il mondo, sono importanti caratteristiche di tale processo. In linea con questa corrente di pensiero, Welsch afferma: “The classical concept of single cultures, developed by Johann Gottfried Herder in the late 18th century […] today is both descriptively unsuitable and unsustainable” (Welsch 1999: 197). L’inattualità del concetto di singole culture, secondo Welsch, deriva proprio dal fatto che le società moderne, a causa della molteplicità di interconnessioni culturali sempre più fitte, risultano eterogenee e complesse, e quindi non descrivibili attraverso i parametri di omogeneizzazione sociale, consolidazione etnica e delimitazione interculturale, che sono invece i presupposti del tradizionale concetto di cultura.


Absorbing diversity — 211

TRANSCULTURATION, MULTICULTURALISM AND INTERCULTURALITY

Nel saggio Transculturality: The Puzzling Form of Cultures Today, Welsch illustra il concetto di “transculturalità” che, a suo parere, si configura oggi come la più appropriata concezione di cultura, in opposizione sia al tradizionale concetto di singole culture che a quelli più recenti di “interculturalità” e “multiculturalismo”. “Most societies around the world are culturally mixed, and national boundaries rarely enclose populations that are culturally or ethnically homogeneous. Since early anthropology, migrational flows and ethnic miscegenation are recognized to have continuously drawn and redrawn world societies and cultures” (Benessaieh 2010: 15). I termini come “transculturazione”, “multiculturalismo” e “interculturalità” suggeriscono che qualcosa di “puro”- nel senso di non mescolato - nella cultura esista o preceda la mescolanza, o che la diversità culturale e il cambiamento siano nuove caratteristiche del mercato mondiale globalizzato caratterizzato da un’accelerazione dei flussi migratori. Più che rappresentare una novità, l’aumento dei flussi migratori e della mobilità geografica ha messo in evidenza lo stato dinamico della continua prossimità e mescolanza culturale, rendendo più difficile uno studio isolato delle culture o la loro interpretazione come di isole ordinatamente separate. Il concetto di “transculturalità” differisce da quello di “transculturazione”, “multiculuralismo” e “interculturalità”, in quanto, a differenza di questi, rende adeguatamente il senso di movimento e la complessa mescolanza delle culture a contatto, descrivendo attentamente l’attuale situazione di pluralismo culturale vissuta da molti individui e comunità, e resa semplicemente più visibile dalla globalizzazione (Benessaieh 2010: 15-16). Il concetto di “transculturazione” (spesso confuso con quello di transculturalità) fu coniato dall’antropologo cubano Fernando Ortiz negli anni ’40 per studiare i processi di resistenza, scambio e appropriazione avvenuti tra popolazioni culturalmente differenti nel contesto dell’economia cubana schiavista. Centrale nel

termine di “transculturazione” è la nozione di dominanza, dove gruppi culturalmente nondominanti vengono coinvolti in un processo di appropriazione e trasformazione di pratiche e rappresentazioni culturali del gruppo culturalmente dominante, o viceversa. Sebbene il processo di “transculturazione” consideri a priori le culture come adattabili e dinamiche, enfatizza anche l’idea che le culture entrate in contatto reciproco siano distinte e strutturalmente incorporate in una relazione di potere storicamente consolidato nella quale l’una tende a dominare l’altra. Invece, la “transculturalità” pone enfasi nelle situazioni di rapido cambiamento insite nella mescolanza culturale, dove è più difficile individuare relazioni di potere poichè, con la mobilità in aumento, il senso di una singola cultura dominante è più difficile da instaurare. Un altro concetto che viene spesso considerato in relazione alla “transculturazione” è quello di “multiculturalismo”, sostituito talvolta a quello di “cosmopolitismo”, per descrivere le società caratterizzate da un’intensa esperienza di diversità culturale attraverso afflussi migratori e/o apertura a tale diversità (Benessaieh 2010: 17). Il termine “multiculturalismo” viene usato più appropriatamente per caratterizzare specifiche politiche di gestione pubblica delle società culturalmente diverse nel mondo industriale, presenti soprattutto in Canada, Stati Uniti e Regno Unito. Nel contesto canadese, il multiculturalismo è in uso sia come termine per descrivere la diversità culturale nella popolazione in una visione non-assimilazionista, che come insieme di misure programmatiche condotte dallo Stato, le quali confermano la centralità del rispetto per il pluralismo culturale nella cultura canadese. Il “multiculturalismo” viene però generalmente accusato di incoraggiare gruppi e comunità a mantenere e coltivare differenze culturali anzichè favorire la relazione e l’adattamento alle culture ospitanti. La critica centrale al “multiculturalismo” verte sull’idea che esso descriva la diversità come l’amalgamarsi di comunità separate tra loro e che tenda a favorire una visione stereotipata delle culture come entità immuta-


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bili e irrevocabilmente diverse. Essenzialmente la “transculturalità” differisce dal “multiculturalismo” in quanto non è utilizzata per descrivere programmi o politiche pubbliche, nè come termine per descrivere il pluralismo culturale, ma è radicata in una prospettiva teorica che mette in discussione l’idea che le culture siano insiemi separati, stabili o anche diversi tra loro. “The transcultural traverses cultures, bringing to light what is common or alike amid what seems to be different” (Benessaieh 2010: 18). Un terzo importante termine nella letteratura è l’“interculturalità” che viene usato spesso utilizzato per esprimere il diritto alla differenza nei rapporti di natura dualistica tra minoranze o culture emarginate e la maggioranza o culture dominanti che hanno storicamente la tendenza ad essere tese o conflittuali. Sin dalla metà degli anni ’80 l’UNESCO ha utilizzato il termine sia nell’educazione che nelle relazioni internazionali per esprimere il bisogno di un dialogo maggiore tra gruppi, comunità e nazioni che si percepiscono come collettività culturalmente distinte guidate a difendere e coltivare il loro diritto alla differenza. “Transculturality places a distinctive emphasis on commonality and connectedness, viewing cultures as mobile flows in close interaction with one another. […] The transcultural does not dualize or polarize cultures as essentially different or potentially antagonistic, as the term interculturality can often suggest” (Benessaieh 2010: 19). La “transculturalità” non condivide la premessa di limitatezza culturale, di differenza o di propensione al conflitto propria dell’“interculturalità”, la quale deriva principalmente dall’antropologia classica e dalla visione essenzialista delle culture.

TRANSCULTURALITY

Centrale alla nozione di “transculturalità” è il paesaggio interdisciplinare a cui molti autori lavorano, per i quali il termine rappresenta un senso di identità culturale privo di confini nazionali.

“Transculturality designates the continuous coherence of certain traits, beliefs, and practices that transcend geography or history” (Benessaieh 2010: 24). Lo scrittore Patrick Chamoiseau identifica la “transculturalità” con il passaggio delle correnti culturali nel tempo e nello spazio; questa visione parla di una forza coesiva attraverso l’uso del termine “corrente”, che mette in evidenza la capacità di certe identità culturali di attraversare il tempo, di migrare attraverso lo spazio, di adattarsi a nuovi contesti, pur mantenendo i loro tratti fondamentali in una continuità identitaria. Questa visione rappresenta il caso delle popolazioni diasporiche o di popolazioni di una determinata ascendenza etnica che si definiscono sotto l’egida comune di un’identità collettiva che non è sempre territorialmente ascritta. Usando il termine nella struttura globale contemporanea, il filosofo Wolfgang Welsch definisce la “transculturalità” come “la conseguenza della complessità e differenziazione interna delle culture moderne […], che compenetrano o emergono l’una dall’altra” . Designa, inoltre, “l’intreccio con nuove realtà e la convalida di nuove visioni ibridate del mondo che solitamente hanno la conseguenza di sconvolgere identità finora stabili o monolitiche” (Welsch 1999: 197). Centrale a questa prospettiva è l’idea che la “transculturalità” riveli le identità composite e le interazioni sociali che smentiscono la visione della cultura come monolitica e definita da nitidi confini. La “transculturalità”, in quanto processo di costruzione culturale fluido e dialogico, è diventato più visibile nell’attuale epoca di globalizzazione, dove individui, gruppi e comunità di diversi background culturali vivono in un continuo contatto diretto. Questa visione corrisponde a un’idea recentemente avanzata da altri studiosi: gli individui e le comunità stanno sviluppando l’abilità di spostarsi continuamente tra flussi culturali e mondi, componendo un nuovo senso di sé che non sia monoculturalmente ascritto. Questo può essere il caso della seconda e terza generazione di immigranti, degli individui che vivono in città globali continuamente esposti a


Absorbing diversity — 213

una grande varietà di culture, e più in generale, di persone che hanno sviluppato un’attitudine a sentirsi a casa nel mondo e a sentire il mondo a casa, e che non riescono più a riconoscersi come appartenenti a una singola nazione o cultura etnica. Il novellista Pico Iyer interpreta la transculturalità come la capacità camaleontica di adattarsi culturalmente a una grande varietà di parametri: “A “global soul” might be a person who had grown up in many cultures all at once- and so lived in the cracks between them […]. She might have a name that gave away nothing about her nationality […], and she might have a porous sense of self that changed with her location” (Iyer 2000: 18). Qui la “transculturalità” descrive un’attitudine camaleontica a riarrangiare strategicamente il proprio senso di identità culturale attingendo a un repertorio vasto e in continua espansione. In maniera simile, la “transculturalità” può essere vista come una competenza, un’identità, un’attitudine o una strategia situazionale usata per qualificare le produzioni culturali in musica, letteratura, cibo, film, abbigliamento e più in generale opere d’arte che si occupano di diversità interiore e più distante, combinando materiali

di diverse culture per dare vita a nuove forme, generi e discorsi ma anche per produrre nuovi significati. La produzione transculturale può risultare un complesso mondo cacofonico che aggrega materiali diversi provenienti da più culture e riuniti più o meno armoniosamente (Benessaieh 2010: 27). “The world is home, and the world is at home” Il termine “transculturalità” apre una nuova via nelle attuali discussioni sulla diversità culturale, ed ha come obiettivo quello di far comprendere meglio che, sotto la globalizzazione, la diversità culturale continuerà con molta probabilità a crescere, con persone che compiranno sempre più viaggi, che immigreranno e che saranno sempre più esposte all’“altro” e alla differenza attraverso il contatto, l’informazione, il consumo e la comunicazione. Se continuiamo a vedere le culture come isole separate o mondi distanti tra di loro, per i quali la vicinanza è solo motivo di ansietà, incomprensione o rifiuto, non riusciremo a stabilire dei terreni comuni in contesti multiculturali (Benessaieh 2010: 29).

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ity, Transculturality”. In Transcultural Americas/Amériques

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• Strassoldo, Raimondo. 1989. “Border Studies. The State of

• Boas, Franza. 1920/1940. “The Methods of Ethnology”. In

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• Iyer, Pico. 2000. The Global Soul: Jet Lag, Shopping Malls and the Search for Home. New York: Vintage Books. • Karasek, Erika, and Elisabeth Tietmeyer. 1999. “Das Museum Europäischer Kulturen: Entstehung-Realität-Zukunft.”

gos: University of Lagos Press. • Tietmeyer, Elisabeth. 2013. “The Challenge of “Displaying Europe”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 6170. Milano: Politecnico di Milano.

In Faszination Bild. Kulturkontakte in Europa, edited by Erika

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Karasek et al. Publication series of the Museum of European

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London: Sage. • www.treccani.it/enciclopedia/europa/



Part II Case Studies: new narratives for Europe



PERMANENT INSTITUTIONS History museum



Absorbing diversity — 219

M1 The House of European History Bruxelles 2007- in progress

ORIGINI DEL MUSEO

The House of European History (HEH) è un’iniziativa del Parlamento europeo, che aprirà le sue porte nel cuore di Bruxelles alla fine del 2015, situandosi accanto al Parlamento europeo e vicino agli edifici delle principali istituzioni dell’Unione europea. L’origine dell’iniziativa può essere fatta risalire al discorso inaugurale di Hans-Gert Pöttering, come Presidente del Parlamento europeo, nel febbraio 2007, durante il quale ha presentato la sua intenzione di creare “un luogo per la storia e per il futuro dove il concetto d’idea europea possa continuare a crescere, (...) una Casa della storia europea”. Nel dicembre del 2007, l’Ufficio di presidenza ha costituito un comitato di esperti (9 storici ed esperti di musei di diversi paesi europei), per creare un concetto per il futuro HEH. Dal gennaio 2011 in poi, il Team accademico è stato reclutato. Nel marzo 2011, gli architetti francesi Chaix & Morel ed i loro partner internazionali sono stati designati i vincitori del concorso per la trasformazione dell’edificio. I lavori di costruzione sono iniziati alla fine del 2012.

Il Museo avrà sede all’interno di un edificio preesistente, progettato nel 19° secolo dall’architetto svizzero Michel Polak, e situato nel Parco Leopold. Gli architetti francesi Chaix & Morel hanno progettato un estensione contemporanea nel cortile e sul tetto. Il loro progetto fornirà nuovi spazi espositivi all’aperto, completando l’edificio originale; inoltre è prevista la ristrutturazione delle facciate originali e di alcune stanze, mantenendo così l’estetica storica.

PROGETTO MUSEOLOGICO

La mission dell’istituzione culturale e museo House of European History (HEH), è promuovere una migliore comprensione della storia e dell’integrazione europea attraverso una serie di attività: una mostra permanente, mostre temporanee, mostre itineranti, con una collezione di oggetti e documenti rappresentativi della storia europea, programmi educativi, eventi culturali e pubblicazioni nonché un’ampia gamma di contenuti online. A lungo si è discusso sugli obiettivi che il progetto dovrà soddisfare:


220 — Absorbing diversity

• la storia d’Europa in tutta la sua complessità e ampiezza; • una prospettiva trans-nazionale sulla storia d’Europa - politico, sociale, economico e culturale; • una mostra in tutte le lingue dell’Unione; • un’esperienza informativa, educativa e partecipativa; • un istituto culturale con ingresso gratuito, accessibile a tutti; • un luogo di riflessione e dibattito sulla storia europea; Queste rappresentano le sfide che il HEH dovrà affrontare per diventare un luogo di incontro, discussione e dibattito attorno alla complessa ma affascinante storia d’Europa. Il campo di applicazione del House of European History trascende i confini nazionali, regionali e locali. La sua mostra permanente presenterà una prospettiva più ampia rispetto alla somma delle storie nazionali. Essa rivelerà la diversità della storia europea, delle sue interpretazioni e percezioni. Lo sviluppo della Casa della storia europea, in particolare della sua mostra permanente, si basa su una dicotomia di obiettivi: da un lato, la mostra vuole trasmettere una narrazione storica coerente che sarà facile da comprendere per qualsiasi visitatore interessato; dall’altro, intende sollevare la consapevolezza dell’esistenza di una varietà di differenti interpretazioni storiche, punti di vista, sfumature di percezione e memoria, in modo da stimolare la riflessione e il dibattito. La narrazione principale della mostra permanente comprenderà la storia d’Europa, ponendo l’accento sul XX secolo. Particolare enfasi verrà posta sulla contestualizzazione della storia dell’integrazione europea. Verranno mostrati i legami con la storia mondiale e con la posizione dell’Europa sulla scena internazionale. La struttura generale della mostra permanente sarà cronologica, a partire dal secondo piano dell’edificio fino al piano superiore. Questo narrativa sarà accompagnata da un percorso tematico, che permetterà al visitatore di acquisire una

visione d’insieme per mezzo di retrospettive e valutazioni più ampie, in cui la cronologia interna degli eventi, cause e conseguenze sarà presentata in un contesto storico più ampio. Al fine di offrire ai visitatori una variegata esperienza, l’atmosfera dei sei temi principali, disposti su cinque piani dell’edificio, sarà sviluppato utilizzando diversi stati d’animo. Il primo tema fornirà una sezione introduttiva e una guida alla mostra, mentre l’ultimo tema, situato al piano superiore dello spazio espositivo, offrirà uno spazio in cui tutta la visita può essere valutata e la conoscenza approfondita in modo interattivo. Gli altri temi saranno dedicati alla storia europea degli ultimi due secoli. Nel corso della mostra ricorrerà un leitmotiv: il concetto di “centro e periferia”. Si tratta di un tema duraturo nella storia europea, che ancora oggi resta al centro del dibattito sullo sviluppo dell’Unione europea. Nel corso del tempo, diverse parti d’Europa hanno occupato il ruolo del centro o della periferia, spazialmente e psicologicamente. Si potrebbe dire che l’Europa si è sviluppata principalmente attraverso questi processi di spostamento di frontiere, centri e poteri. Il senso di appartenenza o di esclusione è importante per ogni individuo europeo. La filosofia della Casa della storia europea sarà enucleata attraverso i seguenti temi: focus sulla storia europea; questioni di identità nazionale e transnazionale; molteplicità delle percezioni; e la domanda di una memoria europea, nonché il filo conduttore del ‘centro e la periferia’ che metterà in evidenza le variazioni del centro di gravità nel tempo. Inoltre, la Casa della storia europea, fornendo i suoi contenuti nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione europea, affronterà la questione del multilinguismo, vista come espressione della diversità culturale dell’Europa. L’utilizzo di dispositivi multimediali consentiranno ai visitatori di esplorare il museo nella lingua ufficiale del loro paese d’origine.


Absorbing diversity — 221

PROGETTO MUSEOGRAFICO Diversi modelli di tipologia spaziale sono stati definiti per ciascun tema. Questi modelli concettuali indicano il tipo intuitivo di organizzazione spaziale che in questa fase appare più appropriato per i diversi capitoli della storia. Questa tipologia aiuterà a guidare lo sviluppo dei concetti di spazio e di garantire che ogni livello possiede un’identità spaziale così come un diverso orientamento tematico. La variazione dell’esperienza sarà sviluppata attraverso cambiamenti nella densità degli oggetti e nel livello di interattività per ciascun tema: l’uso di tecnologie multimediali sarà variata a seconda del contenuto. All’interno della mostra permanente, alcuni elementi visivi ricorrenti saranno situati vicino al punto di partenza di ogni tema, fornendo punti di riferimento per il visitatore. Il loro scopo principale sarà quello di introdurre il visitatore al tema, di agire come punti di orientamento e di spiegare la timeline del tema. La narrazione della mostra sarà completata da una installazione spaziale, che salirà attraverso i cinque livelli della mostra permanente e sarà caratterizzata da una vetrina verticale su ogni piano espositivo - visibile dalla scala - che conterrà oggetti iconici legati al tema presentato su quel piano. Inoltre, viene utilizzata la mappatura come uno strumento di presentazione dell’immagine dell’Europa e della definizione politica del continente, che ha cambiato radicalmente dall’antichità ai giorni nostri. Piuttosto che essere definito da confini geografici, la mappa dell’Europa si basa sulle caratteristiche culturali, politiche e sociali del continente. HEH propone di utilizzare, per quanto possibile, oggetti originali per sostenere la narrazione della mostra. Questi saranno selezionati per la loro capacità di trasmettere messaggi significativi e di arricchimento al visitatore. Inoltre, testimonianze registrate e storie personali avranno un ruolo importante nel trasmettere memorie e raffigurare particolari prospettive su eventi storici. La nuova collezione costituirà il ‘nucleo’

di un serbatoio permanente di memoria europea condivisa. ALTRE ATTIVITÀ PROPOSTE DAL MUSEO

Oltre alle esposizioni, si prevede di sviluppare mostre online che potrebbero essere utilizzate da altre istituzioni in modo da introdurre le proprie esposizioni in un contesto europeo più ampio. Programmi educativi, rivolti a bambini, giovani, adulti e famiglie, saranno organizzati per accompagnare le mostre, con lo scopo di ispirare il pensiero critico, sulla base della convinzione che l’educazione alla storia non è semplicemente una questione di conoscenza storica generale, ma riguarda anche l’acquisizione di competenze quali la ricerca, la critica, l’analisi di documenti storici, contestualizzazione e comunicazione. Adottando anche una dimensione partecipativa, visitatori ed istituzioni saranno invitati a contribuire alle collezioni e ai progetti futuri: per questa iniziativa, il servizio online della House of European History svolgerà un importante ruolo di sensibilizzazione per la raccolta. Una particolare politica è stata sviluppata per la raccolta di beni materiali e immateriali che documentano la storia del processo di unificazione europea. VISIONE DI EUROPA Alla fine del 2012, il progetto Team accademico (team esecutivo sviluppare i contenuti ei programmi della HEH) era composto da 22 persone, tra cui 15 diverse nazionalità europee ampiamente diffuse da Nord a Sud e da Est a Ovest, parlando di circa 20 lingue diverse e provenienti da molto diverse discipline di storia, archeologia, storia dell’arte, museologia, sociologia, ecc., e sviluppare competenze in tutti i settori professionali necessari, come la curatela, l’istruzione, la gestione delle raccolte, comunicazione, amministrazione, le finanze, la legislazione, ecc. Questa varietà di culture, punti di vista e prospettive hanno sicuramente arricchito il progetto museale, e rappresentano appieno l’immagine di Europa mutliculturale che il Museo stesso vuole trasmettere. Il museo vuole rappresentare


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un centro che studierà il futuro dell’Europa nel contesto del suo passato, e nel quale sarà incoraggiata la riflessione sulla storia dell’integrazione europea e la sua posizione nella nostra vita quotidiana. La Casa della storia europea è un progetto che sarà in continua evoluzione. L’obiettivo è quello di costruire, nel tempo, una fonte di informazioni e una ricchezza di competenze in materia di storia europea, nella convinzione che il museo possa essere un luogo di dibattito e di comp-

References • www.europarl.europa.eu/visiting/en/visits/historyhouse.html • www.europanostra.org/news/269/ • www.ep.liu.se/ecp/083/008/ecp12083008.pdf • www.europarl.europa.eu/visiting/ressource/static/files/building-a-house-of-european-history_e-v.pdf

rensione per la situazione attuale, tra cui la crisi stessa, dal punto di vista delle sue radici storiche. La sua visione per il futuro è quello di diventare un forum permanente che offre a tutti i soggetti coinvolti ed interessati nella storia europea una piattaforma per riflettere, per imparare, per discutere e condividere opinioni e idee. La Casa della storia europea sarà un anello di congiunzione per le istituzioni, per i visitatori e i ricercatori.




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M2 Musée de l’Europe Bruxelles 2007- in progress

ORIGINS OF THE MUSEUM Located in the city of Brussels, headquarters of the European institutions, the Musée de l’Europe is a museum project which was conceived, by the members of its scientific council, as a “living reality, a place of memory whose goal is to show visitors that Europeans share a history and a communal civilization”. At its origins in 1997, the Association du Musée de l’Europe, a non-profit association mostly composed of Belgian elites such as public figures, academics and cultural entrepreneurs, stated: “The European Union is the culmination of a millenary process led by the Greco-Roman civilization and thwarted for ages by the construction of nation states. This museum will not account for the history of the continent but that of the European spirit, without political motives. One often speaks of the economy and the market, but one forgets to speak about citizenship: how can we become European? By uniting all the core ideas which have been at the foundation of the European Union, without any prejudices”. The cultural project of a Museum of Europe was approved in December 2004 by the Museum

Support Committee, which brought together the International Committee of Museum Directors and the International Orientation Council to create an integrated team focusing on interdisciplinarity and Europeanness. According to its creators, the Brussels-based Museum of Europe is, however, only an island in an archipelago of museums scattered throughout Europe; in fact the Musée de l’Europe is part of an international network of museums, which includes the Museum Europäischer Kulturen of Berlin, the Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée, the Maison Jean Monnet in Paris, and the Maison Robert Schumman in Metz, all placed under the patronage of the European Council of History Museums. According to Krzysztof Pomian, historian and director of the scientific council of the museum, the Musée de l’Europe in Brussels was established by an initiative of “civil society” and took ten years to come to fruition. The “civil society” involved is that of Belgian cultural entrepreneurs and historians, whose networks with the Belgian State and the EU institutions are notoriously well established.


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Among the initiators of the museum, we find former state ministers and members of the European Parliament or of the European Commission. The scientific council first directed by Elie Barnavi is almost entirely composed of university-trained historians, among them Marc Ferro, Krzysztof Pomian, Claire Billen, Michel Dumoulin, Marie-Louis von Plessen, Els Witte, and Thomas G. Gaeghtens. Although presented as an initiative which emerged from a non-governmental organization, the museum benefits from an hybrid financial support base, with funds from private companies and from the Belgian state. MUSEOLOGICAL PROJECT Initiating a supranational official history, with which every European citizen, whatever their origin, could identify, the museum it’s based on two spaces – one permanent, the other variable – which are meant to “offer all Europeans (and their guests) a reasoned history of a Union portrayed as a diverse but unique civilisation”. The museum, by dealing with a supranational history, aims to show how the process of unification and European integration resulted from a continuos movement that began in a distant past. The narration of Europe’s integration is built on three periods of unity – “unity through faith” (10th–15th centuries), “unity through the Enlightenment” (18th–19th centuries), and “unity by design” (since 1945) – interrupted by two periods of rupture: “the Wars of Religion” (16th– 17th centuries), and “the Wars of Ideologies” (1913–1989). This way of conceiving the history of Europe brings us to an integration of ‘heritages’ (Celts, Greeks and Romans) and ‘proximities’ (to Byzantium particularly) – cultural strata which have helped to give European civilisation its distinctive face. According to Cadot, the temporary exhibitions have served until now as a “European soap opera” designed to retrace the history of Europe in seven seasons, from the first attempts to struc-

ture a European space to the recent history of the European integration (Cadot 2010). The European history is composed of the following episodes: • “Les Grecs, les Celtes et les Romains” • “Byzance et la chrétienté” • “L’unité par la foi” • “Les Guerres de religion” • “L’unité par les Lumières” • “Les guerres idéologiques” • “L’unité par le projet (1945-…)” While the initiators of the Musée de l’Europe claimed to establish and develop a powerful framework to form the conscience of what unites Europeans, a significant epistemological debate questioned the techniques that were implemented in order to perform “an act of European citizenship”. In fact, by contributing to the construction of a history, the museum beside being a place of memory, becomes a prescribed place of the future, whose narration is eminently performative and teleological. The imagined community narrated in the Musée de l’Europe is therefore embedded in a new epistemological framework that imposes a socalled “pedagogy of origins” usually associated with the production of the national collective memory. The difficulty remains that such an ambitious realization must theoretically distance itself from the framework whose establishment accompanied that of the nation. The ambition of the Museum is to become the cultural link between Europe and the citizen, thereby attracting everyone keen to understand the past and future of European integration to visit the museum. Having observed the distant relationship of citizens with history (which is of little concern to them) and with Europe (which they know little about), the planning of the museum was designed as an attempt to reconcile citizens with their history and with Europe, without imposing on them an indigestible visit examining a thousand years of history all in one go.


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The first exhibition which was organised by the Musée de l’Europe was“The Belle Europe” - The Age Of The Universal Exhibitions, 1851-1913., which took place at the Royal Museums of Art and History in 2001.

religion ’, and who are not concerned with organising religions or beliefs into hierarchies, nor interested in their theological content, but instead who are examining the human experience of religion.

The Belle Europe exhibition was the cultural event of the Belgian presidency of the European Union in 2001. The exhibition space was designed as a succession of themed pavilions – true fragments of an imaginary universal exhibition – intended to embody the spirit of the Belle Époque centering on three main themes : the religion of progress (a true secular religion); the messianic fervour for the universal (the European model imposed on the rest of the world) ; and beauty in action (tension in art between the heritage of the Ancients and the breakthrough of the Moderns). Without evading the dark side of Europe in the 19th century – colonialism, poor living conditions of the working classes, mass emigration, etc. – the exhibition showed everything we owe to that selfsame Europe: hundreds of technical innovations, discoveries on which modern science rests, the aesthetic sources of our century, the transport revolution, the first social laws, fundamental liberties, democracy, and attempts to move beyond state conflicts. For, between 1871 and 1914, Europe experienced the longest period of peace in its history. It was not until 1989 that this record was beaten.

Through religious or everyday art objects, photos, films, personal accounts and art installations, the exhibition endeavoured to show what is universal about the religious experience in its questioning and anxieties, and particularly in its practices. The exhibition space was structured around various doors which showed the points of convergence between the religions (divinities, the beyond, passages, bodies, intercessors, etc) and, within these spaces, the abundance of diversity of expression.

The second temporary exhibition was “God(S), A User’s Guide.” - The Contemporary Religious Experience. The exhibition was presented in Brussels, at the Tour et Taxis building, between October 2006 and May 2007. The exhibition travelled to Québec (2010), Ottawa (2011), Paris and Barcelona. While The Belle Europe looked at the multiple facets of cultural unity in Europe, the second prefiguration exhibition, God(s), A User’s Guide. The Contemporary Religious Experience, examined the religious diversity of European towns today. The gaze cast over the phenomenon of religion is that of Westerners ‘ who have come out of

On 27 October 2007, 10 years after the project was launched, the exhibition launching the Museum of Europe – It’s our History ! 50 Years of European Adventure (E1)– was inaugurated at Tour & Taxis, as part of the celebrations marking 50 years since the Treaties of Rome were signed. This exhibition was meant to constitute the basis of the permanent collection of the museum. MUSEOGRAPHIC PROJECT The Museum of Europe has been organising several exhibitions, combining works by contemporary artists, the use of modern museum techniques (audiovisual, computer) and traditional formats (display cabinets, authentic objects, original documents), with the aim of arousing interactivity with visitors, who are placed at the heart of the spaces created through this process. However, according to Cadot, the Musée de l’Europe did not go very far in terms of interactive process, although interactive installations, often accompanied by multimedia formats, are not the rule in history museums. As in the Musée de l’Europe, there is an obvious contradiction between an appeal to interactivity and a highly controlled environment. Therefore, as in traditional national history museums, the Musée de l’Europe does not open a space for critical distance (Cadot 2010).


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The Museum will therefore house a permanent section and a variable section, rounded off by temporary exhibitions and a dedicated children’s space. The permanent space is divided into two selfsupporting sections : It’s our History !, an installation presenting the history of the European Union (unity by design) ; and the ‘ Map Room ’, a spectacular display of maps with a view to establishing the spatial and temporal landmarks in European unification. The Chronicle of Europe is the variable section of the space. It will be made up of seven temporary exhibitions presenting the chapters in European history developed by the scientific project. Other thematic temporary exhibitions are envisaged, to reflect current events or develop a subject that has been rapidly sketched elsewhere in the museum.

VISION OF EUROPE Placing itself among those recently opened history museums, which show the need for rewriting or reconstructing national and European memories in the light of new political agendas regarding the EU integration and enlargement, the Musée de l’Europe set out to move from the representation of a particular nation to the representation of a supranational entity: the European identity. Questioning the traditional museography framework previously attached to national histories, the scientific council of the Musée de l’Europe declared, from the very beginning, its intention to propose to the public something else than a juxtaposition of national narratives.

References • Cadot, Christine. 2013. “Europe’s History Museums: Houses of Doom?, Central Europa museums and the vanishing dream of a unified European memory”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 41. Milano: Politecnico di Milano. • De Jong, Steffi. 2011. “Is This Us? The Construction of European Woman/Man in the Exhibition It’s Our History”, in Culture Unbound, Vol. 3: 369–383. • www.expo-europe.be/


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PERMANENT INSTITUTIONS Heritage museum



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M3 Museum Europäischer Kulturen Berlin 1999

ORIGINS OF THE MUSEUM The Museum Europäischer Kulturen is one of fifteen National Museums in Berlin. The museum is dedicated to the study and presentation of lifeworlds and cultural contacts within Europe from the 18th century to the present day. It was founded in 1999 as the result of the merging of the former Museum of German Folklore with the European collections of the Ethnological Museum, located in Dahlem in southwestern Berlin. As Europe became more united, it was no longer appropriate to have two institutions, one with a nearly exclusive German ethnographic collection and another with an analogous collection from the rest of Europe. Then, towards the end of the 1980s, after the reunification of the two German states, the National Museums in West Berlin came up with the idea of “Europeanising” the Museum of German Folklore by merging it with the European Department of the Ethnological Museum. In the beginning, the curators argued about an appropriate profile and subject matter. This was strongly influenced by teaching and re-

search programmes of German universities, which had always strictly distinguished between “Völkerkunde” (ethnology, anthropology, study of peoples), on the one hand, and “Volkskunde” (German folklore, folk life, study of the people), on the other, each field governed by a centuryold academic tradition. Nonetheless, a slow change was taking place in the two disciplines: in order to expand their scientific scope, both had turned increasingly towards studying European cultures. This led to a convergence of the scientific approaches, and the foundation of the Museum of European Cultures was a reflection of this development. The Museum of European Cultures finally opened thirteen years ago with a pilot exhibition called “Fascination Picture: Cultural Contacts in Europe” (E7), which was on display for six years, based on the concept that the cultures of Europe did not develop independently of one another, and this was exemplified by different kinds of pictures and images.


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MUSEOLOGICAL AND MUSEOGRAPHIC PROJECT

ligiosity” in three rooms.

In the course of renovation of the historical building itself, starting in 2009, the staff of the Museum of European Cultures in Dahlem took the opportunity to implement a permanent exhibition space, covering 700 square metres.

ROOM 1: Encounters – Effects and consequences of culture contacts

As the older presentations of solely object groups like (textiles, ceramics, household utensils or the lifeworld of ethnic and national groups in Germany or Europe) seemed outdated, the curatorial group of the museum followed the development of a new museological concept: • present a cross-section of the varied museum collections documenting everyday life; • think systematically about collecting presentday objects, as the general theme should refer to actual discussions about society; • the concept had to be adapted to the difficult spatial situation of the historical building; • there was the challenge to raise Europe as an issue without defining in a few sentences what Europe is and where it ends; • develop a complex theme which reflected the profile of the museum: cultural contacts and cultural locations or identities in Europe had to be communicated in a simple and clearly structured way. The permanent exhibition which resulted is called “Cultural Contact – Living in Europe” and is made up of 13 thematic modules, separated respectively in content and design terms by a group of display cases: the “showcase landscape” themselves resemble “islands” (“themed islands”) and present objects, texts and media about a specific topic. The objects are not presented as if they were on a stage where they might become lost to sight; instead they are in the centre of the exhibition, contextualised by written texts and media. The exhibition presents forms and consequences of cultural contacts in a comparative manner: ethnographic objects and testimonies of cultural history from Europe, and also occasionally other continents, are introduced as physical evidence for the topics “Encounters”, “Borders” and “Re-

The topics of Trade, Travel, early Media and Migration are represented by an original gondola from Venice, 11 metres long acting as the “guiding object” of the exhibition. All of the topics presented here are directly or indirectly related to Venice, a city that, by virtue of its historic economic and political importance, has influenced the fate of Europe for over centuries’ time. The first “themed island” is linked to the effects of European Trade relations: objects made of silk and glass beads from various European regions. Trade in these goods was closely linked to Venice as of the twelfth century, before the sixteenth century and onwards when knowledge about their production, the establishment of factories and the distribution of the products spread to further regions and towns and effectuated the development of wide-ranging trading networks. In the second “themed island” are presented the outcomes of cultural contact by way of Travel. While travel had remained the reserve of the privileged classes in Europe until the eighteenth century, the urge to explore familiar and foreign worlds subsequently was characterised by the journeys of scholars, artists and scientists. From the mid-nineteenth century onwards travel became increasingly popular and financially affordable. The towns, islands and regions of Italy have meanwhile remained popular travel destinations in Europe to this day. The third “themed island” takes two examples to explain how indirect cultural contacts are abetted by early Media, which spread information and intercede between people: picture, movable type (1440), lithography (1800), theatre performances, as pieces of furniture, or as decorations. And the fourth and last “themed island” is centered on the topic of Migration, which has characterised humankind from the beginning of time as the classical form of culture contact, just as the European region has been defined by migratory movements for more than 3,000 years. Their effects and outcomes are recognis-


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able most clearly and sustainably in culinary and epicurean culture. Migrants and trade brought dishes, beverages and stimulants to Europe centuries ago that were still deemed exotic at the time. Today they are part of everyday culture or have become globalised.

typical culture – tangible and intangible.

ROOM 2: Borders – How Europeans “localize” their culture and how they are able to identify with a territory or place.

The seventh “themed island” shows selected photographs taken by a German artist named Sabine von Bassewitz, who has documented how groups present themselves in Germany. They dedicate themselves to the preservation of their cultural heritage, and also to living it. The rediscovery of rural life has been growing for some time now, occasionally attended by transfiguration or new invention. This can take on folkloristic and local features, when elements of a culture that are no longer known exactly are supposedly reconstructed and taken for real, and when the emotional attachment to one’s own culture gets out of hand.

When people from different cultural backgrounds meet, at least one of them has crossed geographical borders in the course of leaving his or her place of origin. This process is not always without conflict and often has negative consequences, particularly for the immigrant. Local, Regional, National and Supranational Sitings of Culture are introduced in the second room with various exemplary objects from European lifeworlds. Many people identify their culture with a location or region that they call their “home”. When they share this feeling with other people – often conveyed by a common language – they form a group, which differs from other groups or sets itself apart. Such demarcations, however, are not rigid, but permeable. They do not prevent people from coming into contact, who will instead be more likely to influence one another – thus a separation of the local from the regional or the regional from the national is impossible. Many people in Europe challenge “Europeanisation” and “Globalisation”, which entail a return to “one’s own” culture. These uncertainties are often politically exploited by suggesting that a space is congruent with a “homogenous culture”. But this falls short of the reality—where cultures can overlap, straddle spaces or be of a translocal nature (Bhabha 1994). Cultural attributes that are typical for a locale, region or nation nevertheless exist. The fifth “themed island” shows how varied and yet similar the Local Sitings of culture can be and have been in Europe: the objects drawn from the domains of clothing, clubs and societies, customs or marketing represent localities in Europe or are regarded as a typical expression of people’s self-identification with a place, and its

In the sixth “themed island”, masks and traditional costumes, amongst other items, are presented as symbols of the peoples’endeavour to preserve or establish their regional, ethnic or local identity.

The eight “themed island” puts on display ‘national personifications’ and visual portrayals of national stereotypes: populist politicians use stereotypes to ostracise alleged opponents in their own country or to cast slurs on other countries, as has become clearly evident in the dictatorships and wars within Europe. However, the most positive identification with a nation today, and more than ever before, occurs in sports, in particular the globally inclusive Olympic Games. Such competitions, their athletes and fans use symbols of the respective national colours or other colour combinations, such as in football, as a mark of national representation and that of their followers. If national cultures find hardly any reflection in quotidian things, the same surely also applies exponentially for a supranational European culture. An art installation made of recycled material by a Berlin fashion designer named Stephan Hann is shown in the ninth thematic island to scrutinise a Supranational Siting of culture. ROOM 3: Religiosity The third Room shows that there is indeed an awareness of a shared European history: the Christian religion with its connections to Juda-


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ism and Islam. This exhibition room explores how religions and traditions structure people’s lives. A mechanical Christmas Mountain from the German Erzgebirge (Ore Mountains), twelve metres long, can be seen in the twelfth and thirteenth themed island as an example. It is typical for this region and simultaneously an outcome of cultural syncretism with the combination of Catholic traditions from Bohemia with Protestant traditions from Saxony, whilst integrating the lifeworld of mining communities in the Erzgebirge (Ore Mountains) in Saxony. Hence, this Christmas Mountain at the end of the exhibition echoes the gondola at its beginning by signifying the numerous links between people in Europe, which distinguish this continent from others.

VISION OF EUROPE The permanent exhibition of the museum reveals that Europe, despite the diversity of its cultures and their “manifestations”, is vested with a cultural concord that distinguishes it from other continents, but also from individual national perspectives. On the one hand, culture encounters and commonalities have led to cultural changes and the development of hybrid global cultures or communities, and still does. On the other, it continually gives rise to questions regarding the identity of individuals and groups within Europe, who attempt to express their ties to their homeland, sometimes with their wish for segregation. The consequence of these apparently contradictory tendencies is the cultural diversity within the unity of Europe.

References • Tietmeyer, Elisabeth. 2013. “The Challenge of “Displaying Europe”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 6170. Milano: Politecnico di Milano. • Bhabha, Homi K. 2000. Die Verortung von Kultur. Tubingen: Stauffenburg Verlag. • www.smb.museum


IMG. 01-02 — Exhibit design of the permanent

exhibition Cultural Contact – Living in Europe.



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M4 Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée Marsiglia 2013

ORIGINI DEL MUSEO Nel 2013 all’ingresso del vecchio porto di Marsiglia, capitale Europea della Cultura in quell’anno, fu inaugurato un nuovo museo nazionale, il Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée (MuCEM). Il MuCEM nasce come museo dedicato alla conservazione, allo studio, alla presentazione e alla mediazione del patrimonio antropologico relativo all’area europea mediterranea, a partire dalle collezioni di origine internazionale e dalle ricerche volte a un approccio interdisciplinare riguardante le società nel loro complesso e nel loro trascorrere del tempo. La vocazione principale del museo è quella di un luogo di incontro e scambio, dove le mostre temporanee sono lo spunto di dibattiti su grandi temi sociali. Il MuCEM, punto di incontro di due sponde del Mediterraneo, è distribuito in tre siti per un totale di 44.000 m2. Il nuovo museo, costruito sul porto vecchio al molo J4, rappresenta il cuore del MuCEM. L’edificio è stato progettato da Rudy Ricciotti

ed è un cubo perfetto di 72 m di lato, al suo interno ospita, al primo livello, la “Galleria del Mediterraneo”, una galleria tematica dedicata alla peculiarità del mondo mediterraneo nella sua diversità e complessità; al secondo livello invece gli spazi sono più flessibili progettati per ospitare mostre temporanee. Incombente sopra il molo J4, il Fort Saint-Jean, un complesso militare integrante della storia di Marsiglia le cui fondamenta risalgono al tardo 12° secolo, fa oggi parte del Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée con uno spazio espositivo per mostre permanenti e temporanee di circa 1200 m2. Il forte è collegato al nuovo J4 da un ponte di 115m di lunghezza sul mare. La fortezza è circondata dal “giardino della migrazione”, progettato dall’agenzia APS che, sviluppandosi su 12.000 m2, ospita una collezione unica di piante mediterranee. Infine, un altro ponte della lunghezza di 70 m collega il forte alla piazza della chiesa di SaintCharles, nel quartiere Belle de Mai, dove il MuCEM dispone di un Centro di Conservazione e di risorse (CCR). Questo edificio di 13.000 m2 , più di 8.000 m2 di riserve, ospita le collezioni detenute dal museo, quasi 250.000


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oggetti, 130.000 dipinti, stampe, disegni, 450.000 fotografie, 100.000 pezzi tra libri, periodici e giornali, audio e archivi audiovisivi (raccolte ereditate dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e il Museo dell’Uomo). PROGETTO MUSEOLOGICO Affacciato su quel mare di cui celebra la storia e le culture, il MuCEM rappresenta un tributo originale al ruolo di millenario crocevia di rotte, traffici e commerci mediterranei svolto nei secoli da Marsiglia e che ha contribuito in maniera determinante alla formazione della città. Il Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée è la metafora di un grande museo dedicato alla società; l’etnografia è la sua disciplina fondatrice. La collezione permanente si articola su quattro grandi temi, denominati singularité: nella prima sezione, Naissance des Dieux, invention des agricultures, sono esposti utensili legati all’agricoltura, un antico sistema di macinazione, una capanna tipica degli antichi agricoltori, una vecchia imbarcazione a vela; la seconda, denominata Une ville sainte, trois révelations, è dedicata ai reliquiari e agli oggetti sacri delle religioni che si affacciano sul Mediterraneo; nella terza, Citoyennetés et droits de l’homme si raccontano usanze e stili di vita che, di volta in volta, si intrecciano e si richiamano; nella quarta, Au delà du monde connu si ritrovano opere d’arte contemporanee. Oltre alla mostra permanente, il museo ospita mostre temporanee, seminari, proiezioni di lungometraggi e documentari, e spettacoli che affrontano i principali problemi del Mediterraneo. Si tratta di una vera e propria città culturale, aperta al dibattito. I temi forndamentali sono: la memoria, le questioni della cultura di appartenenza, e le questioni intelletuali e artistiche. Il museo è essenzialmente un luogo per il cittadino, un luogo per condividere e scambiare, un luogo di discussione.

PROGETTO MUSEOGRAFICO La Goppion, The Art of Case Design, ha dato forma al progetto della galleria permanente, realizzandone l’intero allestimento tra cui le 77 vetrine che lo compongono. Con chiaro riferimento alla leggerezza, alla vulnerabilità e alla dimensione onirica del mare e delle vele che lo solcano, grandi veli semitrasparenti appesi a un sofisticato sistema di binari guidano il visitatore e lo conducono alla scoperta delle opere. Gli oggetti, caratterizzati da un’ampia eterogeneità, sono ospitati in grandi isole espositive realizzate in legno e corian e sormontate da leggere campane di vetro extrachiaro. Un’isola tutta particolare è rappresentata da Le Mur des Portraits e Le Banquet. Quest’ultimo è costituito da un alternarsi di vetrine e sedute che permettono al visitatore di sostare e ammirare il “muro” di busti antichi, sormontato da teste moderne. Ai reperti più preziosi è destinato il cabinet de curiosité, originale composizione di vetrine ad altissima tenuta, con controllo attivo dell’umidità relativa e della temperatura.

Il MuCEM concentra le sue iniziative internazionali nel punto di intersezione del Mediterraneo e mondi europei. Il suo scopo è quello di garantire una varietà di punti di vista diversi e di traiettorie storiche, e di non essere un museo della civiltà, ma delle civiltà, tenendo conto delle loro individualità ma anche dei loro aspetti comuni. Per il direttore scientifico delle collezioni, Zeev Gourarier, bisogna viverlo come un “museo di società e di idee”, che parla delle genti e dei fenomeni di società. “È un luogo inedito. È il primo museo al mondo dedicato alle culture del Mediterraneo, aperto a dibattiti senza tabù con salti tra passato e presente”, ha aggiunto Bruno Suzzarelli, presidente del MuCem. Per questo aspetto, parlando dell’unità nella diversità europea, sarebbe utile mantenere lo stesso approccio del MuCEM che fa convergere la molteplicità di culture prendendo come baricentro il Bacino del Mediterraneo.


References • Brenna, Mariella. 2013. “Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée”. In Mela Project: European Museums in the 21st Century: Setting the Framework, Vol. 1: 283-291. Milano: Politecnico di Milano. • Chevallier, Denis. 2008. “Collecter, exposer le contemporain au MUCEM.” In Ethnologie française 38, (4): 631–637. • Colardelle, Michel, 2002. Réinventer un musée: Le musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée à Marseille. Paris: Reunion des Musées Nationaux. • Segalen, Martine. 2005. Vie d’un musée 1937– 2005. Paris: Stock. • www.mucem.org

IMG. 01-02 — Allestimento della mostra permanente.



TEMPORARY ACTIONS Exhibitions


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E1 It’s Our History! Musée de l’Europe (M2) Brussels 2007-2008

“Is this us? Yes and no. It is the prototype of us. It is we Europeans as we ideally should be.” Steffi De Jong ORIGINS OF THE EXHIBITION It’s Our History was the major exhibition of the Musée de l’Europe, staged by the non-profit Organisation Musée de l’Europe, which marked the 50th anniversary of the Treaty of Rome. The exhibition, which has also been shown in the Centenary Hall building in Wroclaw, Poland, in 2009 as part of the 20th anniversary of free elections in Poland, can be counted amongst the concrete attempts at staging debate on and solving the question of what is common about European memory. Opening its doors on the 26th of October 2007, the exhibition was originally meant as the opening exhibition of a museum on European history in the unofficial capital of Europe, Brussels. This plan for a museum had to be put on hold, because of a lack of funds and difficulties in finding a permanent location.

has worked for the European institutions, and the political patronage of the Belgian minister of state Antoinette Spaak (daughter of one of the so-called founding fathers of the European Union, Paul-Henri Spaak), and of the Belgian minister of state and then vice-president of the European Commission, Karel Van Miert. The reasons for creating a museum on European history were presented as fourfold: • the founders of the museum wanted to write the ‘European history of Europe’ in opposition to the national histories shown in national history museums; • the museum was meant to be an antidote to Brussels bureaucracy and a perceived Eurofatigue;

However, the idea goes back to 1997 and was developed in a circle of academics and individuals with close links to the European institutions.

• the initiators of the museum, basing their project on Pierre Nora’s theory that we are now living in a society characterised by an ‘end of the tradition of memory’ (Nora 1996: 6), wanted to create ‘the place of memory that Europe needs’ (Musée de l’Europe 2007).

The project was realized under the initiative of the lawyer-economist Benoît Remiche, who

The goal of the museum would be to reintegrate


246 — Absorbing diversity

Europeans into their history, ultimately lead to a heightened awareness of European history and promote an active European citizenship.

tation of the Museum of Europe;

The main target groups were therefore defined as young people and people of the third age – in other words, those who have to be taught about ‘their’ past and introduced into a European memorial community and those for whom a visit to the museum will mean delving into their own memories and whose potentially antagonistic memories have to be streamlined into a European memory.

According to Cadot, with the exhibition I’ts Our History!, we are at the very heart of the debate between the heavy tendency of museographers to favour a linear history that avoids ruptures, discontinuities and heterogeneity, and a museum which could be an open space of representation, a place where voices can confront, communicate, and debate. Referring to Habermas, Cadot affirms: “(…) From the end of 1800 until the end of the 1970s, the narrative structure suggested by museographers was essentially a teleological vision that did not leave place for the uncontrolled wandering of the visitor, even in art museums. This controlled progression towards the resolution of the enigma, what Tony Bennett calls “the backtelling”, is supposed to show the linearity of historical experience and progress of the European integration” (Cadot 2010).

MUSEOLOGICAL AND MUSEOGRAPHIC PROJECT

The subject of It’s our history! was the history of European integration from 1945 to today. The exhibition was intended to make European citizens aware that – as the exhibition’s manifesto stated: “The History, with a capital H, of European construction is inextricable from our own personal history, that of each European citizen. It is not the reserve of those that govern us. We all shape it, as it shapes us, sometimes unbeknown to us. It’s our history!”. The exhibition combined three areas: • a historical area, whose linking thread is the history of European integration after the Second World War – “unity by design”; • an artistic area – works by contemporary artists placed throughout the exhibition which either question history, sum up the subject or point to the future; • an area called “small h” – the ‘ big ’ history is refracted in individual destinies, and the history of Europe can be read in the daily life of Europeans. The guiding lines were as follows : • an exhibition for the general public, which articulates the ‘ big ’ and ‘ small ’ history of the citizens of Europe; • an exhibition which aims to bring the citizens of Brussels, Belgium and Europe closer to the European project; • an exhibition that has to consolidate the repu-

• a temporary exhibition that closely prefigures the permanent space of the Museum.

In the exhibition becomes clear that the question of Europe’s origins remains inseparable from the representation of what Europe is today or of what it should be tomorrow. The institution of the historical museum itself is used in order to initiate the visitors to the historical logic that would permit one to visualize the enterprise of European unification throughout the rooms of the exhibition. In exhibiting the first elements of the future permanent display of a Musée de l’Europe, the exhibition C’est notre Histoire! did not break with the traditional and national framework which continues to guide, in most nations, the teleological narratives of political identities, materialized here in Founding Fathers’ artifacts, authorized voices of experts and guides, and linear narratives. It would be a challenge to develop another conception of a Musée de l’Europe, which can face the well-known critiques of the European integration process: lack of democracy, obscure treaties, elite and experts’ stranglehold on the European deliberative processes, forgotten voices of the people (Cadot 2010).


Absorbing diversity — 247

The exhibition guides the visitor through a path that confines him or her, for the first sequence of rooms, to the sarcophagus of European wars: in the first room are exhibited dozens of military ankle boots, hanging by strings as if an army were on the march; another room, entitled “1945: Europe, year 0” consists of a suspended floor above a mosaic of images presenting the ruins of a bombarded town. Then, the display of nylon stockings, the arrival of chewing gum, and the end of ration books intertwine ‘great events’ and ‘small’ daily European stories. The figures projected onto the walls of the room, in a cascade of white numbers, mark the generic end of the tragic episode of the Second World War and lead into the following room dedicated to the“European Revolution”. This “European revolution 1946-1951”, executed under the auspices of seven well-known and unavoidable “Fathers of Europe”, does not happen to contain the Cold War, which is presented in the largest room (“Divided Europe, 1951-1989”) displaying the decolonization, the downfall of dictators and communist regimes and, with a great number of objects, the advent of mass consumption. The fall of the Berlin Wall, musically evoked, acts as a transition between the Cold War and “the unification of Europe (1990-2007)”, in the last room. In the exhibition “It’s Our History!” the performative act is obvious: the chronology of Europe begins with a constitutive act represented by the peace of 1945 which introduces the visitor to a “European theodicy”: peace is instituted as the moral basis of the European community. The museographers clearly tried to provoke a common history of European identity by the creation of a common morality and sensitivity whose basis is peace (Cadot 2010). It’s our history!, as the poster of the exhibition states, is a “moving European exhibition”: all visitors can feel the rupture of tonality between the room “Europe, time 0” – small, closed, black – and the following room saved for the Fathers of Europe in bright and warm tones.

In the exhibition, interactive displays allow the audience to “act as citizens”. The first installation features the Baltic Way – the human chain formed in 1989 by citizens, from Tallinn to Vilnius – where visitors can join to others to recreate the path to freedom in putting their hands on electronic devices. The second installation features a “euro-barometer”, where the visitor is awarded a budget which he can allocate according to priority sets. One of the means that the Musée de l’Europe chose as an illustration of this supposed interrelation of History and history are video testimonies in which 27 European citizens (one from each European member state) tell their own life stories. The use of witnesses and of autobiographical accounts is used in the exhibition “It’s Our History!” both as didactic means - enabling identification and empathy in the visitor - and as a narrative strategy - proposing not just one clear interpretation of the history of Europe but many different opinions and, specifically, through 27 “authorized voices” projected on the wall. Then, a second room allowed us to get introduced to the witnesses, through individual biographies and testimonies which were supposed to reveal the European secret of each of them, presented, in the press kit, as “ordinary citizens, far from Brussels’ institutions, far from Founding Father’s figures, far from mediatized peoples, representing nothing else but themselves” (Cadot 2010). Here, the individual and national stories crossed over the European story. The visitor was intended to establish a direct and personal connection with the witness, discovering himself / herself as the subject of the exhibition at the contact point between national and European everyday experience. However, it appeared that many of the chosen witnesses were far from being ordinary citizens. Instead, they were juxtaposed national “guides”: the Estonian guide was a member of the Estonian Academy of Sciences; the Greek and Maltese guides were European civil servants; the Latvian guide had organized the Latvian part of the Baltic Way; the French and English guides had par-


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ticipated in joining of the French and English sections of the Channel Tunnel; the Polish guide was the director of the Solidarnosc Museum; the Slovak guide was a member of the European Parliament; the Slovenian guide was a museum curator and, by the way, also a former Minister of Culture! While the memorials and history museums enter more and more often into the witness era, the Musée de l’Europe’s “ordinary citizens” are far from being anonymous faces. In fact, they appear as an ideal European identity and citizenship,rather than being examples of a culturally rich and heteroglossic Europe.

VISION OF EUROPE

In It’s our history!, Europe’s supranational past is presented as a “unity of Destiny”, and, as the press kit stated, “the exhibition shows that this history concerns all Europeans, that it’s their history, their past and therefore their future”. However, through the video testimonies of 27 Europeans - which reminds to the genre of the ‘family picture’ - , an image of European civilisa-

tion and European integration is advanced that glosses over internal conflicts in Europe’s recent history, leads to the construction of a model European citizen and serves as a symbol for the slogan ‘unity in diversity’ in which Europe appears as more united than diverse. According to Steffi de Jong, this phenomenon of using interviews with witnesses of the past in museums in general (and in the “It’s our history!” exhibition in particular) serves to solve what she calls Europe’s memory problem. The importance of the interpretation of the past for the construction of a nation has by now become a truism in European politics and culture, reinterpreted as the importance of the creation of a feeling of belonging to the post-national community of the European Union (De Jong 2011). In conclusion, in the exhibition, Europe is represented through a teleological and deterministic path which starts with the section ‘1945 – Europe, year zero’ - where the Second World War appears as the founding myth of the European Union - and ends with the treaty of Rome - represented as the point of arrival of a long way towards an ever more united Europe.

References • Cadot, Christine. 2013. “Europe’s History Museums: Houses of Doom?, Central Europa museums and the vanishing dream of a unified European memory”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 41. Milano: Politecnico di Milano. • De Jong, Steffi. 2011. “Is This Us? The Construction of European Woman/Man in the Exhibition It’s Our History”, in Culture Unbound, Vol. 3: 369–383. • www.expo-europe.be/


IMG. 01 — Illustration of the 27 “ordinary citizens”. IMG. 02 — Suspended floor of the room “1945: Europe, year 0”.



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E2 Image of Europe Brussels 2004

“Beginning as a sparsely populated archipelago, the pivotal moments of early development – the age of the dinosaur, the Neanderthal, Ancient Greece, Rome – inhabit discreet islands. Arrows indicate the critical interactions with the outside world, particularly with Africa and Asia, that enriched Europe’s early civilizations. From there the history plots a cyclical alternation between ‘good’ and

‘bad’, idealism and zealotry, through the spread of Christianity, the emergence of modernity, the rise of colonialism and industrialization, nationalism, and eventually the catastrophic violence of the 20th century. Our current moment of uncertainty, affluence, and opportunity provides a provisional climax.”

ORIGINI DELL’ESPOSIZIONE

a journey through Europe’s unexplored territory», ma non tutti sono d’accordo. Piace, invece, l’idea di tenere la mostra, almeno per i primi tre mesi (luglio-settembre), nel Rond-Point Robert Schuman, una rotonda di una sessantina di metri di diametro sita di fronte al Berlaymont, per poi eventualmente spostarla proprio all’interno dell’edificio che ospita la Commissione, oppure al Justus Lipsius o ancora al Parlamento.

La mostra Image of Europe è il risultato di un progetto che è stato sviluppato da OMA/AMO nel 2004 e allestita per la prima volta sulla rotonda Rond-Point Robert Schuman a Bruxelles. La mostra è stata interamente finanziata dalla Presidenza Olandese e ufficialmente sostenuta dalla Commissione Europea. Prima dell’ottobre 2003 OMA è contatta dal Governo dei Paesi Bassi per «fare qualcosa» in vista del semestre di presidenza olandese (lugliodicembre 2004) usando come punto di partenza il lavoro svolto per Brussels, Capital of Europe. Tra novembre e dicembre si fa più chiara da parte della diplomazia olandese la proposta di organizzare una mostra basata sul lavoro di OMA. In particolare, si vuole migliorare la qualità dell’immagine comunicata ai visitatori, ai media e al pubblico belga, usando il materiale già prodotto, perché la mostra deve essere «leggera» nell’impegno economico e organizzativo. Nel febbraio del 2004 Koolhaas presenta la propria proposta alla presidenza olandese e ai policy advisors della Commissione Europea, suggerendo come titolo per l’evento «Maximum Europe,

OMA

Per il catalogo si contattano le maggiori testate giornalistiche europee («Le Monde», «Die Zeitung», «Financial Times», «De Volkskrant») e AMO produce alcuni mock up di studio del «The Guardian» e di «Le Monde». Ancora una volta, si considerano gadget come magliette o carte da gioco con il codice a barre o altre immagini dell’iconografia europea targata OMA. Per quanto riguarda il contenitore della mostra, ci sono diverse proposte, anche se non è ben chiaro di che tipo (probabilmente container), tra cui spicca, e fin da subito raccoglie consensi, il tendone da circo, immagine popolare, quindi adatta alla richiesta di rendere più attraente e vicino il linguaggio dell’UE, e più che adatta nella forma al sito scelto, una rotonda.


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Koolhaas organizza un incontro in cui coinvolge anche personalità esterne all’Unione Europea e all’Europa stessa, per intavolare un dibattito con lo scopo di lanciare la mostra e di raccogliere temi politici legati all’immagine dell’Europa e avrà come linea guida il tema del deficit iconografico. Al dibattito partecipano moltessime personalità, da intellettuali europei e scrittori sudamericani, capi di stato africani e studiosi cinesi, economisti statunitensi, artisti e persino calciatori.

panorami che tra quello esterno, sul cui retro è stampato altro materiale grafico, e il perimetro della tenda.

PROGETTO MUSEOLOGICO E MUSEOGRAFICO

• Heroism &Stealth (1946-1992)

Il programma della mostra, redatto in seguito al dibattito organizzato da AMO, nasce dalla volontà di analizzare, rappresentare e comunicare cosa sia realmente l’Europa e di cosa essa si occupi, attraverso l’analisi della triade pace-prosperità-democrazia.

• Visibility & Vulnerability (1992-2002)

S’inizia anche a definire il contenuto della mostra: un doppio panorama, inteso come strumento espositivo, sul quale è rappresentata la storia europea. Ma la mostra non si esaurisce con il doppio anello panoramico (di sessanta e ottanta metri di circonferenza). A questo, infatti, sono da aggiungere altri tre elementi: una statua dorata di Jean Monnet alta circa cinque metri, una sfera appesa al centro della tenda su cui sono continuamente proiettate notizie dai principali network televisivi mondiali e l’Acquis Communautaire, un libro di 80.000 pagine che raccoglie per la prima volta tutte insieme le leggi comunitarie. Al centro, inoltre, è collocata una tavola rotonda con delle sedie, perfetta immagine della burocrazia europea. I due panorami sono comunque gli elementi fondamentali della mostra: il più esterno è a tutta altezza, da terra fino a incontrare il tendone blu, mentre quello interno varia tra i due e i tre metri d’altezza e presenta un profilo irregolare che segue il contenuto rappresentato. Grazie a questa configurazione, il visitatore al centro del tendone percepisce il primo panorama (più basso) sovrapposto a quello più esterno. Due stretti corridoi permettono di circolare sia tra i due

Il panorama più esterno rappresenta la storia della costruzione dell’Unione Europea dal 1946 a un ipotetico post 2020. Su uno sfondo nero che diventa azzurro per terminare sui toni dell’arancione si susseguono, scanditi dagli anni, gli eventi che hanno portato alla creazione dell’UE. Più precisamente, questa scansione è definita dal riconoscimento di quattro periodi della storia:

• Threat & Opportunity (2002-2006) • New Down (2006-∞) Lo stile grafico è quello del fotomontaggio su cui si sovrappongono elementi grafici da fumetto, diagrammi, mappe, una serie di brevi testi raccolti in riquadri bianchi numerati e citazioni. La struttura di tutto il panorama segue uno schema riconoscibile: in basso, le foto dei vertici che hanno segnato le tappe fondamentali del processo di costruzione dell’Unione, e nella parte centrale, personaggi europei e mondiali, eventi immagini di folle, edifici e oggetti. Le linee dei grafici di gradimento medio dell’Unione, del prezzo del petrolio e del rapporto di cambio Euro-Dollaro si intersecano lungo la superficie, mentre dall’alto scendono palle di natale colorate con la bandiera corrispondente al paese che in un determinato momento ha pronunciato un «No» all’Unione. Stelle in stile fumetto marcano i momenti istituzionali topici degli ultimi cinquanta anni (Trattato di Roma, Trattato di Maastricht, introduzione dell’euro). Alla base del secondo panorama sono disposti venticinque collages corrispondenti ai venticinque stati membri dell’UE. Intorno, le parole dell’inno nazionale – i collages nazionali causano moltissime polemiche, data la ricchezza di stereotipi e l’estrema soggettività delle scelte di materiale operate dai ricercatori di OMA/ AMO. Sul retro del panorama, quindi nello spazio in cui avviene il primo impatto del visitatore con la mostra, sono montati una serie di


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poster propagandistici. Lo stile grafico è simile a quello dell’anello esterno, ma i testi sono più brevi e non sono inseriti elementi aggiuntivi. Infine, è predisposto un apparato cartaceo di due tipologie: una pubblicazione più corposa curata da AMO, intitolata History of Europe and the European Union e allegata a «Volume», e un piccolo Passport to Europe. Sulla prima, oltre ai due panorami, sono pubblicati gli interventi dei relatori al seminario tenutosi in concomitanza con l’inaugurazione, ci sono le tre comunicazioni di personalità esterne all’Unione Europea: il cinese Yan Xuetong, (direttore dell’International Institute of Strategic Studies dell’Università di Tsing Hua), l’indiano Sunil Khilnani (professore alla John Hopknins) e l’ex ministro australiano Gareth Evans (al momento alla guida dell’International Crisis Group); chiudono i lavori il presidente della Commissione, Prodi, e, per la presidenza olandese, Atzo Nicolaï. Il passaporto, invece, funge un po’ da catalogo della mostra; è in vendita all’interno del tendone attraverso una macchinetta delle merendine modificata al modico prezzo di 1 euro. Ha la forma e le dimensioni di un passaporto (solo pochi millimetri più largo), una copertina argentata con le stelle d’oro disposte a formare la mappa dell’Unione Europea e un piccolo codice a barre ‘europeo’ sul retro. Sulla seconda di copertina è citata la celebre frase di Tucidide sulla democrazia ateniese; alla pagina della fotografia e dei dati personali sono inserite le informazioni sull’indirizzo e gli orari d’apertura della mostra. All’interno sono presenti alcuni dei fotomontaggi, delle mappe e dei diagrammi frutto del lavoro sull’Europa intrapreso da OMA negli ultimi anni. La mostra, oltre alla critiche già citate, ha suscitato una gran numero di reazioni nella stampa europea e una qualche eco in quella mondiale (critiche, errori, date errate, fotografie non corrispondenti al fatto o al personaggio citato e nomi scritti in modo non corretto). La mostra ha generato anche una profonda discussione di carattere più accademico sul tema del branding e del rapporto che intercorre tra questo e le identità nazionali.

Quasi parallelamente alla mostra di Bruxelles, una seconda versione di The Image of Europe apre a Monaco nel 2005 nella Haus der Kunst. Il materiale esposto è lo stesso, ma qui i due panorami sulla storia europea sono srotolati e appesi lungo i muri di una grande sala di forma rettangolare, mentre in una secondo spazio espositivo i collage dei singoli paesi membri sono incorniciati in larghi telai dorati e appesi in serrata sequenza. Al centro della stessa sala è collocato la tavola circolare, senza poltrone (perdendo così ogni residua parvenza di funzionalità, che nella tenda di Bruxelles, invece, poteva ancora mantenere), sormontata dalla sfera su cui si proiettano le ultime notizie dal mondo. Poco a lato, sono appesi i poster modello Piano Marshall in un anello circolare. Infine, lo stesso Koolhaas modifica leggermente il punto di vista della mostra, che diviene esplicitamente un atto di propaganda per l’Europa. Nel maggio del 2005 una nuova versione di The Image of Europe è allestita nella hall della Centrale Bibliotheek (biblioteca centrale) di Rotterdam. Si tratta di un’ulteriore variante di quanto visto a Bruxelles e a Monaco di Baviera. O meglio, si tratta della ripresa dei due panorami concentrici di Bruxelles, ridotti però a dimensioni molto più contenute. I due panorami, inoltre, sono agganciati a una struttura metallica triangolare e pensati per ruotare grazie a un piccolo motore. Una mostra non è sufficiente per riavvicinare i cittadini europei alle proprie istituzioni in un momento particolarmente critico come quello che l’UE sta attraversando e, infatti, i cittadini francesi e olandesi esprimeranno il loro NO alla Costituzione europea rispettivamente il 30 maggio e l’1 giugno 2005. Con questa bocciatura, il processo d’integrazione europeo subisce un duro colpo, che verrà riassorbito, anche in termini giuridici, solo con l’approvazione del Trattato di Lisbona (13 dicembre 2007). Sul finire del semestre è anche inaugurata a Vienna la mostra Das Bild Europas – The Image of Europe (Helden Platz, 8 maggio – luglio 2006). Il format e il materiale esposto sono in parte gli stessi proposti a Bruxelles: un tendone da circo colorato seguendo il codice a barre dell’Unione


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e i due panorami all’interno. I pannelli sugli stati membri, gli elementi cioè che avevano causato più controversie, sono però rimossi e sostituiti dalla nuova 25x25 series elaborata dallo studio olandese STAR, che si assume anche il compito di correggere e aggiornare i panorami. Questi venticinque pannelli, che seguono lo stile grafico delle elaborazioni di OMA/AMO, propongono al visitatore una serie di tematiche della storia, del presente e del futuro europeo. VISIONE DI EUROPA In conclusione, un breve testo che riassume l’OMA-pensiero sull’Europa: “In 3000 years Europe has given us democracy and fascism. Not surprisingly, over the past fifty years it has been trying to reinvent itself. Instead of accepting its complex history as an alibi to excuse more turmoil and tragedy, it decided to reverse history. After World War II, visionary politicians created a new structure with new codes of behavior for the entire continent in a series of highly improvised

steps and arrangements. Because the operation was so radical, it could only take place by stealth; for the initial part of the EU’s existence, its ulterior motives could never be openly stated. Because of the complexity of the operation, the treaties and blueprints that defined the new Europe were hard to communicate. For the average European the EU is a parallel universe that coexists – inexplicably and unexplained – with the real word as we know it. Too often, this double life has been perceived as negative – as if the “blue territory” of Europe would take away our national identities, in fact the creation of a new Europe gives each of us new space to imagine ourselves. The EU perplexes, more than inspires… yet at 50, the EU has accomplished Schengen, the Euro, prosperity , and lasting peace. This exhibition celebrates an end to its inhibited iconography, its coming out. From now on the EU will be bold, explicit, popular…” (AMO 2004).

References • AMO. 2004. Passport to Europe. • Botti, Giaime. 2013. “La mostra The Image Of Europe”. In tesi di laurea Sconfinamenti. Il progetto europeo di Rem Koolhaas e i nuovi confini disciplinari dell’architettura, 35-59.Milano: Politecnico di Milano • www.oma.eu/projects/2004/image-of-europe • www.st-ar.nl/image-of-europe-2/


IMG. 01 — Allestimento del tendone di The Image of Europe sulla Rond-Point Robert Schuman a Bruxelles. IMG. 02 — Allestimento del tendone di The Image of Europe a Helden Platz a Vienna.



IMG. — Passport to Europe: catalogo della mostra The Image of Europe.



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E3 Everybody is a stranger somewhere Bonn 2003 - 2004

Dein Christus ein Jude dein Auto ein Japaner deine Pizza italienisch deine Demokratie griechisch dein Kaffee brasilianisch dein Urlaub türkisch deine Zahlen arabisch deine Schrift lateinisch. Dein Nachbar: nur ein Ausländer?

ORIGINS OF THE EXHIBITION

In 2003, the Haus der Geschichte of Bonn organised the travelling exhibition Everybody is a Stranger Somewhere as a joint effort between eight national and city museums – the Arbejdermuseet in Copenhagen, the Bijbelsmuseum in Amsterdam, the German Historical Museum in Berlin, the Helsinki City Museum in Helsinki, the National Historical Museum in Athens, the Swiss National Museum in Zurich and the Musée d’histoire de la Ville de Luxembourg in Luxembourg. The exhibition was mainly funded by the European Union.

museums (Pozzi 2013). The travelling exhibition highlights specific examples of migration from ancient times to the present day. Each of the eight partner’s museums presents topics illustrating the issue of being a foreigner in a foreign land. The entire exhibition shows that, in all sorts of circumstances, the permanent influx of new population’s groups leaving their previous homes and finding a new home in Europe is a continuous process – and has been like this for centuries.

MUSEOLOGICAL AND MUSEOGRAPHIC PROJECT

The “joint exhibition” investigated the experience of alienation prompted by migrations of different kinds, pointing out that, in ancient times as in the 20th century, the phenomenon of migration per se is multifaceted and predicated on the context.

Beginning with ancient times and followed by the Middle Ages, the spectrum broadens with discoveries of all kinds. The industrialisation of Europe has meant that larger numbers of people have emigrated and settled in a new land. Developments in transport made migration even easier.

Each of the eight participating institutions, in point of fact, contributed to the exhibition with topics that voiced internal issues of migration, revealing how analogous yet different they were from topics explored by the other

The exhibition focuses on the 19th and 20th centuries, in particular on the period from the end of the Second World War to the present day. Being a “foreigner” is shown to be part of everyday life down the ages. People move to a


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new place for professional reasons as well as for religious, political and social reasons. The museum project is implemented with the collaboration of several museums where the exhibition travels: • The Swiss National Museum is making a contribution to the history of Swiss mercenaries in foreign armies and Italian guest workers in Switzerland as well as, in collaboration with the German Historical Museum in Berlin, to the success story of Huguenot refugees from France. • The Haus der Geschichte museum in Bonn uses the example of the mediaeval Hanseatic League to illustrate international exchange and economic integration. • The Helsinki City Museum shows how the German architect Carl Ludwig Engel shaped the look of the Finnish capital. • The Workers’ Museum in Copenhagen commemorates Denmark’s journeymen, the “navers”. • The Biblical Museum in Amsterdam tells the story of the integration of the German, Claus von Amberg, as spouse of the Dutch queen Beatrix. • The suffering of the Greek citizens who were driven out of Asia Minor is portrayed by the National Historical Museum in Athens. All of the contributions raise questions on the ever present issue of asylum seekers. Excerpts from films such as “Escape to Paradise” by Nino Jacussos and radio programmes on experiences in foreign parts further contribute to the topicality of the theme.

different aspects of the same story, thus presenting the elements of a multilayered narrative that was left to the visitor to reconcile (without any teleological aim). But the communication does not only happen one way, as the exhibition includes devices for recording and broadcasting the visitors’ reflections that construct a digital archive of shared experiences (Pozzi 2013). Furthermore, with respect to the setup of the exhibition within the Haus der Geschichte, the chosen location for the show seems to reiterate the message implied in the exhibition title. Rather than being confined in a secluded space, the display-trunks take over the spacious foyer of the museum, becoming an obligatory point of passage for all the visitors that enter the building. In passing through the exhibition, we are reminded that, indeed, we all are “strangers” somewhere, and that what used to be “foreign” in the past is now often taken for granted. To propose this idea in the context of a museum of national history is all the more effective, as it compels us to ponder the critical and provisional meaning that the “nation” holds for us today. The joint exhibition supports national integration by appealing to the universal nature of human experiences. But what is more, it is pluralistic in its modes and contents, it unveils the precariousness of every social order, and it does not pursue any form of univocal consensus, as all representations are deployed through ideological divides.

The exhibition raises awareness that there have always been conflicts with foreigners in European society: everybody is a stranger somewhere.

To be sure, these features also constitute the basics for the envisioning of a zero-degree agonistic space in the sense proposed by political theorist Chantal Mouffe, but at a closer look the architectural transposition of this seems to fall short in materialising because of shortcomings in the exhibition mechanics (Pozzi 2013).

In museographical terms, the exhibition design tried to recapture the “humanistic” focus of the research by proposing a set of human-scale display stands in the shape of open boxes that remind us of open trunks — one of the most frequent visual metaphors in the representation of migration. Adopting various media and different languages, each half of the trunks portrayed

The stations for experience-sharing, in fact, are limited with respect to the spatial and conceptual extent of the exhibition, and being conceived as separate elements from the body of the exhibition, they do not allow controversies arising on part of the public to be fed back directly into the narrative. Despite its multivocality, the exhibition thus results didactic in character instead


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of participatory, as the agonistic model would rather suggest. In consideration of this, “Everybody is a Stranger Somewhere” does not quite seem to establish an “arena” for engaging with opposing voices as much as a “spectacle” of different positions, although a stronger effort on the part of the design may have likely answered the problem. What is lacking in interactive engagement, however, is compensated for in terms of reached audience, as the exhibition circulated even outside of the eight institutions that contributed to its realisation, and well after the proposed closing date of 2005. Appealing to emotions and raising awareness about the human experience of migration, “Everybody is a Stranger Somewhere” was able to reach different segments of the population—families, schoolchildren, established sectors of society, minorities, the young and the elderly—becoming one of the most successful projects supervised by the Haus der Geschichte.

VISION OF EUROPE

In the travelling exhibition was portrayed the human side of the migration-experience, which unites people all over Europe and throughout history. Labour migration, war and occupation as well as the dictates of conscience are the main reasons why people leave their homelands. In some sense, then, it could be maintained that the travelling exhibition Everybody is a Stranger Somewhere pursued the representation of unity in a context of diversity, which is one of the proper aspects of virtuous forms of pluralism (Pozzi 2013). The European continent owes its distinct profile to this diversity. What used to be “foreign” is now often taken for granted.

References • www.museumsmagazin.com/speicher/archiv/4-2003/ausstellung/fremder.php • www.culture-routes.lu/php/fo_index.php?lng=en&dest=bd_ ev_det&id=00001505 • www.hdg.de/bonn/ausstellungen/archiv/2003/jeder-ist-einfremder-fast-ueberall/ • www.tagesspiegel.de/kultur/heimat-ist-ueberall/473580. html • Pozzi, Clelia. 2013. “Haus der Geschichte der Bundesrepublik”. In Mela Project: European Museums in the 21st Century: Setting the Framework, Vol. 1: 29-31. Milano: Politecnico di Milano.



Absorbing diversity — 263

E4 Europe Meets the World Copenaghen 2012

ORIGINI DELL’ESPOSIZIONE

Nel dicembre 2006, il governo danese ha approvato una legge, conosciuta come il “Musem Act”, che costituisce una raccolta di regolamenti per i musei statali volta a promuovere le loro attività, la salvaguardia del patrimonio nazionale e garantendo interazioni internazionali. La normativa “identifica il Museo Nazionale di Danimarca come il museo del patrimonio culturale principale del paese, e lo reputa il responsabile nell’”illuminare” le culture danesi, il mondo, e la loro interdipendenza. In linea con questo riconoscimento, e in occasione del semestre di presidenza danese dell’Unione europea, nel gennaio 2012, il Museo Nazionale di Danimarca ha presentato la mostra, durata otto mesi Europe Meets the World. Ha così inizio l’esplorazione del rapporto che collega la nazione danese, l’Europa e il mondo nel corso del tempo. Con la mostra Europe Meets the World il Museo Nazionale della Danimarca si è posto una fondamentale ma semplice domanda: Che cosa possono dirci le nostre collezioni circa il rapporto tra l’Europa e il resto del mondo?

Con Europe Meets the World, il Museo Nazionale di Danimarca ha voluto dare un contributo al dibattito sociale sulla storia d’Europa con una mostra ispirata direttamente dalle collezioni presenti nel suo museo. La collezione del museo, infatti, è composta da manufatti che appartengono sia alla storia danese che a quella europea e mondiale, rispecchiando, attraverso la collezione stessa, la mission del museo che è volta a garantire l’accesso e la conoscenza del patrimonio culturale nazionale e internazionale. Figurano anche tra i principali obiettivi del museo l’educazione del pubblico circa l’interdipendenza di storia nazionale e mondiale, e la rappresentazione di una visione pluralistica della storia, in contrapposizione a un concetto di storia mono-direzionale e monovocale.


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PROGETTO MUSEOLOGICO E MUSEOGRAFICO

La mostra Europe Meets the World racconta 2500 anni di storia europea, dall’antichità greca ad oggi, attraverso una doppia prospettiva, dove uno sguardo interno allo sviluppo storico in Europa continentale è giustapposto ad un’esplorazione sugli incontri con l’Europa e con il resto del mondo. Questo obiettivo museologico trans-nazionale è perseguito attraverso una narrazione costruita esclusivamente con le esposizioni tratte dalla collezione del museo nazionale. La mostra si pone i seguenti interrogativi: può il prodotto di un museo nazionale veramente rappresentare e comprendere tutta la storia europea? Quale ruolo ha la nazione nella costruzione dell’identità sovranazionale europea? La mostra è composta da nove isole tematiche cronologicamente organizzate e incentrate su diversi aspetti della storia-democrazia europea / mondiale, il potere, la fede, la comunicazione e il conflitto, la scoperta, l’illuminismo, l’industrializzazione, la guerra, e i “confini fluidi”. La mostra è allestita in otto ambienti ellittici, seguiti da un nono spazio a forma di sfera. Ognuna di queste stanze è divisa in due parti, una metà che rappresenta la zona-Europa, e l’altra metà in rappresentanza della zona-mondo. I temi sono: • “The story begins” • “Superpower” • “Boundaries of belief ” • “Comunication and conflict” • “The round earth” • “World order” • “All that is solid melts into air” • “War” • “Fluid borders” Un aspetto che emerge immediatamente dalla dicotomia, zona-Europa e zona-mondo, e che risulta particolarmente efficace nella costruzione critica di un’identità europea, è che, man mano

che si procede attraverso confronti e contrasti tra le vicissitudini interne ed esterne all’Europa, la mostra consente allo spettatore la libertà di distillare il proprio messaggio storico. Inoltre, essendo codificata nel registro estetico della mostra mediante un sistema-colore arancione per la sezione europea, e verde per il mondo, questa dicotomia rende sempre più consapevole lo spettatore della sua posizione rispetto alla narrazione globale, consentendogli di ricostruire la sua posizione ideologica, via via che si muove attraverso la mostra. La distribuzione del contenuto narrativo sfrutta diversi media. Le pareti della tenda delle camere sono illuminate su entrambi i lati da proiezioni di immagini e testi che contribuiscono a far familiarizzare il visitatore con il tema esplorato in ogni sezione. All’interno delle camere ellittiche, oggetti fisici vengono visualizzati con etichette descrittive e testi interpretativi scritti in inglese e danese. Per quanto riguarda la disposizione degli oggetti, essi sono esposti o da soli o in gruppi a comporre sistemi di significato dettati dal focus tematico della camera. In altre parole, i manufatti per lo più servono come oggetti di scena per la narrazione, e raramente parlano per sé, e tanto meno parlano di Danimarca. Questo dovrebbe già suggerire il ruolo delle Stati nazionali nella costruzione della sovranazionale: per lasciare emergere l’Europa, le esigenze nazionali vengono messe a tacere in quanto tali, e ridistribuite come veicolo per la rappresentazione dell’entità sovranazionale. Inoltre, l’interattività gioca un ruolo importante nella mostra, a partire dal suono che è un elemento interattivo molto importante della mostra – per esempio sotto forma di sirena d’aria che suona nella stanza dedicata alla guerra – ma anche l’interazione fisica con i manufatti che diventa veicolo di comunicazione. Al di là di forme tradizionali di interazione sensoriale e fisica con i manufatti, l’interazione virtuale è presente in mostra. Il dominio virtuale è messao a disposizione dei visitatori attraverso i codici QR disseminati in tutte le camere, che forniscono ulteriori informazioni su alcuni oggetti quando scansionati con uno smartphone o tablet. Il contenuto aggiuntivo fornito dai codici QR si


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presenta sotto forma di brevi video di YouTube, dove i curatori chiariscono l’origine o il significato di un oggetto, e tracciano paragoni tra la storia e il presente, ampliando il contenuto della mostra. Ma il tipo di interattività incorporato nei codici QR non consiste solo di questa divulgazione di informazioni e storie. In tutto lo spazio, infatti, cinque codici QR grandi contrassegnati in blu chiedono al visitatore di partecipare al dibattito sociale intorno alla mostra attraverso il contributo di opinioni e idee. Per citare alcuni esempi, nella sala “democrazia” i visitatori sono invitati a decidere chi deve avere il diritto di votare alle elezioni europee; nella sala dedicata alla fede, la questione riguarda l’identificazione della religione primaria nell’UE; e nella sala “industrializzazione” sette pregiudizi nei confronti di un certo numero di nazionalità sono presentate agli spettatori per sollecitare le loro reazioni. Si stabilisce una relazione di sincronismo tra la mostra e la risposta del visitatore, in quanto quest’ultimo viene istantaneamente reimmessa nel database della mostra e visualizzato su smartphone degli utenti e sugli schermi alla fine del percorso espositivo. Confrontando la propria risposta a quelle di altre persone, il visitatore è ancora una volta in grado di situarsi all’interno della mostra, ma anche-e soprattutto-per misurare il suo livello di appartenenza alla comunità ritratta dei cittadini europei.

La sezione finale della mostra, intitolata “Confini fluidi”, esplora le questioni contemporanee riguardanti le migrazioni, la globalizzazione e la costruzione dell’identità europea. Qui dalla rappresentazione dell’Europa e delle sue relazioni con il resto del mondo, risulta chiara l’impossibilità di stabilire distinzioni nette tra un paese, i suoi dintorni, e la rete estesa di cui fa parte. Rispetto agli oggetti, come la mostra sembra suggerire, tutti i manufatti in mostra vengono percepiti tanto nazionali quanto europei. Come è emerso, infatti, oggi la nazione è arrivata al punto in cui non è sufficiente analizzare una categoria epistemologica per catturare le complesse dinamiche del nostro mondo. Ma la nazione può ancora operare come vettore: invece di chiedersi dove la nazione inizia e dove finisce, la questione può essere riformulata in termini di dove la nazione può portarci. Il Museo Nazionale di Danimarca, rappresentando l’Europa attraverso la propria collezione, ci mostra che l’Europa non è né un concetto lontano né astratto, ma che l’Europa è dentro di noi, rimanendo incisa nella nostra storia, nella nostra geografia e nella nostra società.

VISIONE D’EUROPA

References • Pozzi, Clelia. 2013. “Nationalmuseet”. In Mela Project: European Museums in the 21st Century: Setting the Framework, Vol. 1: 33-37. Milano: Politecnico di Milano. • Christensen, Lars K., Poul Grinder-Hansen, Esben Kjeldbæk, and Bodil Bundgaard Rasmussen. 2012. Europe Meets the World. Copenhagen: National Museum of Denmark.



IMG. 01-02 — Allestimento della mostra Europe Meets the World.



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E5 Europe, where everything began Paris 8th-9th May 2010

ORIGINS OF THE EXHIBITION

The exhibition Europe, where everything began was organised by the French Minister of Foreign Affairs Bernard Kouchner in partnership with the Ministry of Foreign and European Affairs and the European Commission. It was displayed during a weekend at the Salons de l’Horloge du Quai d’Orsay to commemorate the 60th Anniversary of the Schuman declaration, which was presented by French foreign minister Robert Schuman in that room on 9 May 1950. The declaration proposed the creation of a European Coal and Steel Community, which was the first of a series of supranational European institutions that would ultimately become today’s “European Union”. Sixty years ago that weekend, Robert Schuman, the French Foreign Affairs minister at the time, made a famous announcement, from the Salons de l’Horloge du Quai d’Orsay, that is seen as the founding moment of the European Union: “Europe will not be made all at once, or according to a single plan”, was Schuman’s message that day. His principal idea was to put an end to years

of conflict with Germany by combining the two countries’ coal and steel production and by founding the European Coal and Steel Community (ECSC). According to his idea, promoting industrial recovery led to make any future war materially impossible.

MUSEOLOGICAL AND MUSEOGRAPHIC PROJECT

Robert Schuman, as the classical historiography of the European integration usually does, stands in the exposition for one of the undisputed Founding Father of the European Union, to which a single exhibition‘s panel is dedicated. 10 thematic panels, which cover an area of 200 square meters, allow visitors to take a synthetic tour throughout the history of European integration and its many facets: the European institutions, citizenship, the common agricultural policy (CAP) in Europe for the rest of the world, territories and local economies. One panel is dedicated to the “pillar of European integration”, the Common Agricultural Policy (CAP), which enabled a better regulation of agricultural markets in order to ensure stable


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incomes for farmers, support priority to those who comply with the requirements of EU environmental , welfare of animals and plant protection, etc. Another panel deals with the development of common European rules and standards which, in terms of consumption, have led to better protect individuals (food safety, CE for toys and other consumer products, regulations around shopping on the internet ...). On each panel, boxes “Did you know” provides extensive information about the influence of European regulations on our daily lives. A scale model of an airplane of the Airbus Industrie stands for a symbol of European economic and industrial cooperation: the Airbus Industrie was born there fourty years from the merger of Aerospatiale (France) and Deutsche Airbus (Germany), quickly joined by the company Casa (Spain) and British Aerospace in 1979. The 10 panels are displayed on ten self-supporting aluminium structures. The themes of the panels are as follows:

VISION OF EUROPE

The exhibition falls under those examples of “western framing of history” (Cadot 2010), put on display officially to celebrate a common European memory; the commemorative exhibition remains in line with the EU founding members’ attempt to create an official historiography of the European Union, that signified 1945 as a unique historical tabula rasa in which the EU collective identity had to be rooted. The “time zero”, that EU founding members have chosen as the official beginning of the European construction, is underlined by the timeline which has been displayed at the Salons du Quai d’Orsay: several other French figures, after the two European Founding Fathers (namely Jean Monnet and Robert Schuman), illustrated the timeline, carefully selected for their capacity to highlight the positive role of the French State in the building of the EU (the panel ends by Nicolas Sarkozy’s face).

• Founding Fathers / Pères fondateurs • Single rea dedicated to exchange and travel / Espace unique pour échanger et voyager • At the heart of the territories and of the local economy / Au cœur des territoires et de l’économie locale • PAC • Rights of citizens / Droits des citoyens • Industry / Industrie • Common rules to act and to preserve / Des règles communes pour préserver et agir • Europe in the world / Europe dans le monde • Single currency • Institutions

References • Cadot, Christine. 2013. “Europe’s History Museums: Houses of Doom?, Central Europa museums and the vanishing dream of a unified European memory”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 41. Milano: Politecnico di Milano. • www.europa.eu/about-eu/basic-information/symbolseurope-day/schuman-declaration/index_en.htm


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IMG. 01-02 — The Salons de l’Horloge du Quai d’Orsay set up for the temporary exhibition.


IMG. 01 — Copertina del catalogo dell’esposizione-pilota Fascination picture: Cultural contacts in Europe.

References • Tietmeyer, Elisabeth. 2013. “The Challenge of “Displaying Europe”. In Mela Project: Placing Europe in the museum, 6170. Milano: Politecnico di Milano. • www.verein-museum-europaeischer-kulturen.de/faszination.htm • www.smb.museum/museen-und-einrichtungen/museumeuropaeischer-kulturen/ausstellungen/ausstellung-detail/ kulturkontakte-in-europa-faszination-bild.html


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E6 Fascination picture: Cultural contacts in Europe Berlino 1999-2005

ORIGINI DELL’ESPOSIZIONE

Il Museo delle Culture Europee di Berlino ha riaperto nel 1999 con una mostra-pilota, intitolata Fascination picture: Cultural contacts in Europe, esposizione durata sei anni. La mostra si basava sul concetto che le culture d’Europa non si sono sviluppate indipendentemente l’una dall’altra, ma che hanno alla base radici comuni. Esse, superando i confini nazionali e le barriere linguistiche, sono state influenzate l’una dall’altra dal confronto e dalla comunicazione dei popoli attraverso il commercio, i viaggi, le guerre e gli scontri. PROGETTO MUSEOLOGICO E MUSEOGRAFICO

L’obiettivo della mostra è quello di descrivere l’unità culturale contemporanea attraverso la diversità dell’Europa. Tutto questo è stato esemplificato attraverso l’utilizzo delle immagini. La mostra, infatti, è dedicata a immagini che fanno da collegamento tra le culture. La mostra è divisa in due grandi aree disposte su due piani del museo. La prima area espositiva offre una panoramica della crescente importanza

dello strumento delle immagini. Qui viene messo in mostra il “tesoro europeo”, sottolineando le somiglianze e le differenze tra le culture. Le immagini utilizzate nella mostra ritraggono i popoli nella vita quotidiana dal 15° secolo ad oggi. La seconda area espositiva è dedicata ai vari aspetti esemplari della ricezione delle immagini, riguardanti le religioni, l’Istruzione dei cittadini e le immagini personali dei migranti. Con il tema di “Cultural contacts” il Museo delle Culture Europee di Berlino si impegna in tuti gli anni successivi all’organizzazione di diverse mostre, accompagnate da pubblicazioni, numerosi corsi di formazione e una serie di eventi, tra cui quello annuale della “Giornata Europea della Cultura”. Inoltre tesse le fila per la formazione di una fitta rete di scambi tra il Museo e i suoi partner europei, per una maggiore interazione tra le collezioni europee ed extra-europee, proponendosi come luogo di incontri interculturali. Il Museo è infatti orientato all’istruzione, in qualità di osservatore dei processi sociali e interculturali del presente.



TEMPORARY ACTIONS Research projects



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R1 EuroVision: Museums Exhibiting Europe 2012

EuroVision: Museums Exhibiting Europe (EMEE) è un progetto di ricerca europeo destinato a musei nazionali e regionali. L’obiettivo principale è la definizione di un approccio innovativo interdisciplinare che conduca a reinterpretare gli oggetti museali nel contesto più ampio della storia europea e transnazionale. Il quadro teorico e le attività sono sviluppate e valutate da una rete internazionale e transettoriale che, grazie al supporto scientifico e disciplinare di esperti di didattica della storia, si avvale delle capacità creative dei musei e di esperti di settore. Il progetto viene presentato ai visitatori attraverso mostre temporanee denominate EuroVision Lab e contraddistinte dal motto: “One Object – Many Visions – EuroVisions”. EuroVision Lab è un laboratorio sperimentale che si svolge presso tutti le sedi partner. È caratterizzato da varie attività, tutte finalizzate ad attrarre il pubblico (mostre, rappresentazioni culturali), e tutte ispirate al concetto del ‘Cambiamento di Prospettiva / Change of Perspective’ (COP) per la europeizzazione dei musei regionali e nazionali. I COP intervengono sull’identità storica e culturale attraverso tre componenti.

COP 1: Reinterpretazione degli oggetti in un’ottica europea. Esperti e visitatori, come se stessero osservando attraverso lenti diverse, scopriranno che uno stesso oggetto può essere percepito in molti modi, anche legati al contesto. Il COP 1 ha lo scopo di incoraggiare i visitatori a partecipare attivamente alla reinterpretazione degli oggetti in un’ottica europea intrecciando prospettive locali, nazionali, transnazionali e globali. COP 2: Attivazione e partecipazione dei visitatori. Il COP 2 mette in pratica il cambiamento di prospettiva tra esperti e visitatori. Il museo sottopone a verifica strategie che conducono ad una interpretazione differente da quella storica tradizionale incoraggiando i visitatori a riflettere ed esprimere il proprio approccio ai contenuti del museo. Si inizia con lo stimolare i visitatori a presentare gli oggetti e si giunge fino a progettare una mostra sinestetica o a sostenere programmi culturali definiti dai visitatori o, addirittura, dai non visitatori. COP 3: Ampliamento delle prospettive.


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Il COP 3 si consegue attraverso un cambiamento di prospettiva che avviene grazie allo scambio internazionale e interdisciplinare di idee, professionalità e oggetti, con l’obiettivo di oltrepassare i confini di un approccio nazionale ed eurocentrico. A tal fine, verrà creata una rete europea composta da esperti e operatori museali. Inoltre, per il lavoro nei musei, sono stati sviluppati i cosiddetti COP toolkit: • Toolkit 1: Rendere l’Europa visibile (attraverso l’esplorazione di nuove prospettive) • Toolkit 2: Il museo come ‘arena sociale’ (attraverso l’integrazione delle diverse culture europee) • Toolkit 3: Bridging-the-gap (attraverso l’attivazione e la partecipazione) • Toolkit 4: Traduzione e trasformazione sinestetiche dei contenuti • Toolkit 5: Social web e interazione attraverso i media In aggiunta è previsto lo sviluppo di workshop

Change of Perspective e di moduli di studio per ulteriori scopi di formazione, che hanno lo scopo di attuare il concetto in pratica. Un concorso europeo avviato dalla EMEE offre ai giovani scenografi la possibilità di sviluppare idee creative per il cambiamento di prospettiva nei musei di storia. Il risultato previsto è quello di una mostra itinerante per stimolare i partner del progetto, così come i visitatori. EMEE ha quindi avviato una rete europea per l’europeizzazione dei musei, che mira a consolidare ed estendere il loro legame.

References • www.museums-exhibiting-europe.de/


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R2 ECE. East Coast Europe 2007

“One of the hypotheses that the project is based on is that Europe for many Europeans seems to be very difficult to grasp, because they do not perceive it, or cannot visualize it, as a space. [...] If you asked me right now to draw a map of the political union, would not be able to do this.” Markus Miessen

East Coast Europe is a project about the perceptions of contemporary European identity and its relation to spatial practices and international politics. It is a program of public conversations, interviews, a design project, and a book. The ECE project was commissioned and produced by the Consulate General of Republic of of Slovenia in New York City, during Slovenia’s Presidency of the Council of the EU in 2008, with support of the EUNIC Network New York and Delegation of the European Commission in New York. The ECE project is conceived by Katherine Carl and Srdjan Jovanović Weiss of the School of Missing Studies, who invited to collaborate on the project Markus Miessen and Zak Kyes. At the initial brainstorming, three points of inquiry were established: • Europe as a social project; • The question of borders; • Entering the project through questions rather than images. The aim of ECE was “to think about the perception of European identity through its own territo-

rial limits”. The title East Coast Europe is a word play: “Europe” stands for the central topic for investigation, while “East Coast” refers to two distinct edges of Europe, both real and imaginary—the geographical East Coast of the United States of America and the political “East Coast” of the European Union. The project invited leading figures in culture and politics from the two east coasts – of the United States of America, and of countries in the vicinity of the present European Union such as Albania, Bosnia and Herzegovina, Croatia, Georgia, Lebanon, Macedonia, Montenegro, Russia, Serbia, Turkey, and Ukraine – to comment on their perception of Europe today. East Coast Europe dives into the urgent details of a dense network of contemporary experience of the European Union’s extensive exchange of knowledge, people, and goods with the East Coast of the United States and also with its own eastern border. These two crisp north-south borderlines belie many geographic spatial complexities including the islands of Switzerland and the Western


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Balkans that now reside within the landmass of Europe but outside of the European Union. ECE investigates the cultural and political confluence between these two north-south borderlines, one geographic and one political. East Coast Europe is a research project which sets out to identify an eastern border of Europe. For the design of the resulting book and exhibition, Markus Miessen and Zak Kyes looked to the iconic vacation bumper sticker – developing one for the project itself and one for every country that could be linked to an eastern coast. Despite rigorous contributions by the likes of Marina Abramovic, Hans Ulrich Obrist and Taryn Simon, the book’s visual language flirts with the cheaply produced and pulpy, no-brow novels found at airports before a redeye budget flight. A special edition print took also part of a special installation, displayed by Markus Miessen and Zak Kyes, over a set of billboards facing the monumental socialist boulevard Karl-Marx-Allee in Berlin, as a preface to the main project in New York (May 2008). Here, Berlin’s Karl Marx Allee inscribes an imagined borderline of ‘East Coast Europe’. The manifestation took place on December 21, 2007 in Berlin on the roof of the Krome Gallery. What is this new transverse region through multiple time zones? What are its challenges and possibilities for social, political and spatial practices?

What is the future of international cultural practices in light of the expansion of the European Union? What are the changing prospects for intercultural collaboration between the players within the single entity of the European Union? What are the new emerging roles for cultural practices beyond European boundaries, like the East Coast of the United States and the “East Coast” of Europe towards Russia, the Middle East and Asia? What is the future of the cultural representation of European boundaries? What are cultural practices currently learning from this geopolitical expansion? What do we associate with Europe as a space? By questioning and furthering the notion of Eastern Europe through the overlap of voices from an imagined East Coast Europe and the East Coast of the United States, emerged that, especially in the US, there is still a very cliched perception of Eastern Europe. “We want to start a conversation about cultural and spatial perception of this, to my mind, currently most important part of the Union and how to deal with its expansion. One of the hypotheses that the project is based on is namely that Europe for many Europeans seems to be very difficult to grasp, because they do not perceive it, or cannot visualize it, as a space” (Miessen 2008).

References • Miessen, Markus. 2008. ECE. East Coast Europe. Berlin: Sternberg Press • www.zakgroup.co.uk/projects/view/east_coast_europe • www.studiomiessen.com/east-coast-europe/




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R3 The Violence of Participation 2007

“Il futuro dello Stato dipende, almeno in Europa, dalla consapevolezza che lo Stato del 20° secolo (lo Stato nazionale che incarna la sovranità interna ed esterna) non ha più alcun futuro” Erhard Eppler, Auslaufmodell Staat? (2005)

L’Europa è un luogo, uno spazio, o una comunità temporanea di interessi condivisi? The Violence of Partecipation è una raccolta di saggi, fumetti e altri scritti che fu pubblicato nel 2007 dall’architetto londinese e autore Markus Miessen.

L’architetto e scrittore londinese Markus Miessen pubblica questa raccolta di saggi, fumetti e altri scritti presentando il continente più densamente popolato del mondo come uno spazio politico in conflitto la cui identità deve essere negoziata continuamente.

Il libro segna un ampliamento dello spazio discorsivo, sottoforma di “tavola rotonda”, che Miessen ha prodotto come contributo alla Biennale di Lione 2007. Egli ha messo insieme un gruppo eterogeneo di interlocutori per condurre conversazioni su nozioni alternative di partecipazione, inconsistenza tra i concetti democratici, e che cosa significa vivere oggi in Europa.

Ovviamente, non c’è violenza diretta in questo progetto. La “violenza” può essere intesa come la forza delle emozioni, la passione, o la convinzione che ha coinvolto i partecipanti nella ricerca di “ricette forti” per l’idea di Europa. Ciò include anche la rottura con quelle rappresentazioni che sono più comunemente associate con la “immagine” dell’Europa.

Il progetto alla Biennale di Lione, che si presentava come una tavola rotonda divisa in compartimenti, invitava il pubblico a prendere uno dei 100 disegni di pre-produzione (100 percezioni spaziali individuali d’Europa) e si indagava quale potesse essere il ruolo dei partecipanti in uno spazio comune europeo, esplorando idee romantiche di casa, temporalità, esperienza spaziale memorizzata, e il reale, l’immaginato, o spazi immaginari che essi abitano. L’Europa è un luogo o uno spazio?

L’idea di una democrazia violenta in questo caso si è basata sull’atto di introdurre le persone al tavolo che non erano in precedenza state invitate a partecipare; ma non in modo romantico, non nel senso di una democrazia partecipativa che postula un’idea di inclusione. Questo non è un modello inclusivo di democrazia, ma un modello molto opportunista e coglie l’occasione di un momento di rottura all’interno di un dato sistema. Si tentò di includere l’idea della politica nello spazio alla Biennale, per affrontare a testa


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alta la domanda più fondamentale dell’Unione europea: cosa abbiamo in mente quando pensiamo all’Europa? Che tipo di spazio associamo all’Europa? The Violence of Partecipation si tratta di un progetto in corso, un progetto senza una fine, che non è alla ricerca di conclusioni, ma rappresenta piuttosto un campo di opinioni, una matrice di lettura diversa che, nel suo insieme, non può mai essere compresa appieno, in un unica narrazione facilmente digeribile.

References • www.archinect.com/features/article/74774/markus-miessen-on-participation • www.zakgroup.co.uk/projects/view/the_violence_of_participation • www.studiomiessen.com/the_violence_of_participation/



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R4 Europe (to the power of) n 2012

Il progetto Europe (to the power of ) n si basa sull’affermazione che una definizione rigorosa e univoca d’Europa - sia geograficamente che culturalmente - è impossibile. Tenendo conto che, nel corso dei secoli, l’Europa ha assunto svariate forme, e che è sempre stata caratterizzata da movimenti di persone con radici, esperienze, idee e atteggiamenti profondamente diversi, il progetto pone l’accento su un’Europa multistrato e molteplice. Infatti, non esiste una sola Europa, ma molte; queste sono interconnesse, si sovrappongono e si respingono entrando in conflitto. Non a caso il progetto viene espresso attraverso la notazione matematica Europe (to the power of ) n. L’approccio concettuale del progetto riguarda un’Europa pluralista, eterogenea, sfilacciata e piena di contraddizioni. In questa prospettiva l’Europa intrattiene rapporti difficili con gli altri, viene sfidata ed è in sfida con sé stessa. Essa non difende la sua identità e unità, ma, piuttosto, si apre alla diversità. Europe (to the power of ) n si interroga circa il ruolo delle arti nella creazione di una comunità. In contrasto con molti dibattiti relativi

alla concreta attuazione e la realizzazione dei programmi europei nel campo della politica e dell’economia, le espressioni del campo dell’arte consentono prospettive alternative. In questo senso l’arte può avviare una discussione sui potenziali valori comuni, su quello che potrebbe diventare l’Europa, sia nel presente che nel futuro. In altre parole, la forza dell’arte è quella di sfidare la percezione, di pensare e di agire, senza darci indicazioni specifiche. Questo non deve essere visto come una debolezza, ma più come un incitamento e un invito a prendere parte alla ricerca. Il progetto stimola a pensare criticamente l’Europa. Allo stesso tempo, esso è destinato a fornire una superficie di proiezione utopica per tutto ciò che l’Europa potrebbe potenzialmente essere. Il progetto mira a sollevare un dibattito sulle possibilità di una comunità europea eterogenea e molteplice. Esso promuove lo scambio di idee, opere d’arte, artisti, curatori, teorici, designer, tra le grandi e piccole città, le istituzioni,i musei, i centri culturali e d’arte, nonché i dipartimenti curatoriali presso le università e altri settori della società.


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Europe (to the power of ) n cerca di esplorare le possibilità di una identità europea, senza trasformarla in una sostanziale ed esclusiva. Per il progetto dieci curatori provenienti da Bruxelles, Istanbul, Londra, Łódź, Minsk, Novi Sad, Høvikodden / Oslo, San Sebastián e Taipei sono stati, prima di tutto, invitati a fare tre proposte su come affrontare l’oggetto Europa dal punto di vista delle arti. Le persone coinvolte in questo progetto e che hanno nel loro background la filosofia, architettura, arti visive, e la storia dell’arte, sono interessate alla politica, all’economia, alla genetica, e all’istruzione, sono, comunque, particolarmente interessata a sviluppare nuovi modelli di collaborazione. Trenta scenari, in rappresentanza di trenta diversi modi di pensare l’Europa, costituiscono il punto di partenza di un grande progetto per l’Europa. Questa serie di progetti artistici aprirà dibattiti circa le diverse possibilità dell’arte. Così, che cosa è uno scenario? Secondo la sua definizione generale, uno scenario è la rappresentazione di un possibile evento o situazione futura, inclusi i percorsi di sviluppo che conducono ad esso. La tecnica degli scenari è quindi usata come strumento per il processo decisionale. Secondo Hannah Kosow e Robert Gaßner, lo scenario sta “per l’idea di un possibile futuro e come tale indica implicitamente la possibilità di ulteriori futuri alternativi”. Gli scenari serviranno come prologo di Europe (to the power of ) n, costituiranno la base per l’esecuzione di prove su come affrontare un tema molto complesso come l’Europa attraverso l’arte e come potrebbe essere avviato un progetto di collaborazione con questo obiettivo. Alcune esposizioni itineranti hanno ampliato il progetto ad una dimensione europea e transeuropea: • “Asymmetric Europe”, curata da Miško Šuvaković, 2012: allestita nel Museo di Arte Contemporanea Vojvodina (MSUV) a Novi Sad, si compone di tre segmenti: un’installazione di opere d’arte da parte di ex artisti jugoslavi dalla Slovenia, Croazia e Serbi, e il web globale;

l’obiettivo di tutti e tre i segmenti è quello di presentare il progetto Europe (to the power of ) n in Serbia e mostrare le identità artistiche europee nel Sud-Est Europa. • “Cultural Freedom in Europe”, curata da Filip Luyckx nel 2013: una mostra d’arte in Europa all’interno del quartiere europeo di Bruxelles, in cui furono esposte opere di oltre trenta artisti provenienti da quindici paesi. La mostra affronta i fondamenti critici della mente europea e riflette sulla libertà culturale da varie prospettive. • Conferenza “Does Europe matter? in Europe? in China?”, organizzata da Jun Yang al Pavilion of Vitamin Creative Space in Beijing nel 2013. Durante il progetto Europe (to the power of ) n è sempre stato indispensabile guardare all’Europa dal di fuori, non solo da un punto di vista geografico remoto, ma anche da una prospettiva culturale diversa come quella cinese. Che cosa è l’Europa? Dove può essere collocato? Chi fa parte dell’Europa e chi non lo è? L’Europa è una costruzione geografica, storica o culturale? Esiste un’identità europea o c’è piuttosto una crisi di identità europea? Tutti questi temi e le discussioni che sono attualmente in corso in Europa vengono affrontati in maniera diversa non appena si guarda alla costruzione “Europa” da una prospettiva più lontana. Rispetto agli altri, il rapporto e il posizionamento dell’Europa in Cina sembra essere cruciale e più interessante in questo momento. La conferenza mira a creare un dialogo tra artisti, curatori del progetto e personalità provenienti dalla Cina e da Taiwan. • “The Europa Triangle”, curata da Kit Hammonds nel 2012: è una mostra collettiva su come ci immaginiamo l’Europa di oggi, esplorato attraverso il lavoro di dieci artisti e designer il cui lavoro si occupa di spazio pubblico e di attualità internazionale. • “West of East - An exhibition about Europe in 6 chapters”, curata da Lena Prents nel 2012: la mostra riflette sulla nozione di una semplice disposizione geografica che per secoli ha determinato la costruzione ideologica di un’Europa divisa.


References • www.europe-n.org • www.culturefund.eu/projects/europe-to-the-power-of-n


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R5 Inventing Europe 2011

Il programma EUROCORES Inventing Europe, ha creato una piattaforma per la ricerca transnazionale sul processo di integrazione europea. Esso utilizza la lente della storia della tecnologia per arrivare ad analizzare la storia della cultura dei processi di innovazione. Si tratta di una collaborazione tra storici e istituzioni culturali di tutta Europa. Insieme, queste collezioni nazionali formano una memoria collettiva trans-nazionale del patrimonio culturale europeo. L’obiettivo del sito è quello di attraversare i confini ed esplorare la storia, la cultura e la formazione dell’Europa.

collaborazioni, realizzando dei possibili percorsi. Questi tour costituiscono la base del sito. Ognuno di essi è un insieme di 4-6 piani, basati sugli oggetti e le immagini nelle collezioni dei partner e delle altre istituzioni culturali che partecipano al programma. Ogni tour delinea e rivela un aspetto della storia della tecnologia in Europa ed è stato ispirato dalla serie di sei libri Making Europe: Technology and Transformations 1850-2000. I sei temi delle mostre sono: • Daily Lives • Media

Osservando le tecnologie sviluppate a livello transnazionale e utilizzandole come prodotti culturali, questo programma di ricerca esplora quattro grandi aree, che sono:

• Knowledge Societies

• Building Europe through Infrastructures

• Governance

• Constructing European Ways of Knowing

Le visite raccolte all’interno di queste mostre permettono agli utenti di effettuare connessioni all’interno e tra le ricche e crescenti collezioni on line dei musei, degli archivi e delle biblioteche di tutta Europa e del mondo.

• Il consumo di Europa • L’Europa nel mondo globale I curatori hanno intrecciato oggetti, immagini e storie, attinti dalle collezioni dalle numerose

• Infrastructure • Globalizzazione

I curatori delle istituzioni partner e altri esper-


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ti sono stati invitati, oltre che a continuare la ricerca per espandere ed arricchire le sei mostre esistenti, a contribuire con le loro proposte alla realizzazione di nuovi tour, cercando quali nuovi collegamenti si possono fare e quali nuove connessioni si possono trovare nel complesso groviglio dell’Europa e degli sviluppi tecnologici.

References • www.inventingeurope.eu



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R6 Bureau Europa: Reading Europe 2013

Bureau Europa presenta mostre e altre attività nel campo dell’architettura e del design da una prospettiva sociale focalizzata principalmente sull‘Europa l’Euroregione. All’interno delle ricerche di Bureau Europa si colloca Reading Europe, un progetto a lungo termine, incentrato sull’archiviazione e l’interpretazione della varietà di sviluppi all’interno dell’architettura, dell’urbanistica e dell’architettura del paesaggio in Europa. Non è un archivio di architettura europea, ma del mondo dietro di esso: reti, idee, eventi, organizzazioni, istituzioni e avvenimenti che influenzano e sono influenzati da architettura europea, urbanistica e architettura del paesaggio.

References • www.bureau-europa.nl •www.reading-europe.eu


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R7 Europeana 2007

Europeana è una biblioteca digitale europea che riunisce contributi già digitalizzati da diverse istituzioni dei paesi membri dell’Unione Europea in 30 lingue. La sua dotazione dà libero accesso a libri, film, dipinti, giornali, archivi sonori, mappe, manoscritti ed archivi, provenienti dalle istituzioni culturali europee. Europeana è promossa dalla Commissione Europea e dai Ministeri della Cultura di 21 stati membri, unisce il patrimonio culturale europeo con l’innovazione tecnologica e mostra la storia culturale e scientifica europea online, in modo immediatamente fruibile per l’utente di oggi. I visitatori possono scoprire, condividere, riuti-

lizzare e prendere ispirazione dalla ricca diversità del patrimonio culturale e scientifico del continente europeo, inoltre, può contribuire alla digitalizzazione di documenti, fotografie e ricordi. Oggi sul sito sono disponibili oltre 14 milioni di opere digitalizzate. Le fotografie, le carte geografiche, i quadri, gli oggetti museali e le altre immagini digitalizzate costituiscono il 64% della collezione di Europeana. Il 34% è dedicato ai testi digitalizzati, che comprendono oltre 1,2 milioni di libri che possono essere visualizzati on-line e/o scaricati in versione integrale. I materiali audio e video rappresentano meno del 2% della collezione.

References • www.europeana.eu


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R8 USE. Uncertain States of Europe 2000

USE. Uncertain State of Europe è un programma di ricerca sull’Europa contemporanea. USE è un progetto che Multiplicity - un’agenzia di ricerca che riunisce studiosi, artisti e architetti, coordinati da Stefano Boeri, sul tema dell’osservazione della condizione urbana - ha avviato in occasione della mostra “Mutation”, organizzata a Bordeaux dal centro d’architettura “arc en rêve” nel novembre 2000. L’interdisciplinarità del progetto emerge da una molteplicità di voci, quelle di circa 70 persone tra architetti, fotografi, filmaker, artisti, geografi che, coordinati dal gruppo “Multiplicity”, vengono proiettati congiuntamente attorno allo stesso campo fenomenologico: lo spazio urbano. É proprio grazie alla somma di questi sguardi su un unico oggetto e alla natura “eclettica” delle osservazioni che ne scaturiscono, che USE riesce a offrire campioni indicativi della condizione urbana in Europa. Attraverso fotografie, mappe, interviste a un gruppo di “profeti” del destino europeo e ricognizioni in alcuni dei luoghi europei più proiettati nel futuro, questo ricerca propone l’immagine dell’Europa come di un immenso

caleidoscopio, che cambia di continuo grazie all’autorganizzazione dei suoi abitanti. Per autorganizzazione vengono intese le trasformazioni dello spazio europeo che sono prevalentemente l’esito di politiche gestite dai loro utenti. Una visione notturna dal satellite rappresenta oggi l’Europa come un’unica immensa città. Ma anche mappe e rilievi areofotogrammetrici ci confermano la straordinaria antropizzazione del continente europeo e la crescita dei territori di “città diffusa”. L’Europa è oggi una città policentrica che si estende su gran parte del continente, dotata di aree centrali e di zone periferiche, di “corridoi naturali”, di waterfront, di “terrain vagues”. Una città composta da nuclei urbani specializzati, ampie zone a bassa densità edilizia, aree più dense - contrassegnate dai centri di antica formazione - grandi radure naturali, zone costiere quasi completamente urbanizzate. Una megalopoli articolata in zone a diverso sviluppo, percorsa da una fitta rete di canali di traffico e innervata da un denso sistema di reti infrastrutturali e di servizio. Reti spesso invisibili che ospitano e orientano i flussi di comunicazioni, uomini, merci che scorrono tra i diversi nodi della città Europa. Carte e mappe più ravvici-


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nate ci parlano di questa immensa città continentale e in particolare di quattro sue caratteristiche: L’Europa è una città ad alta densità di persone e cose. L’Europa è una città composta da parti straniere. L’Europa è una città dove non si cancella mai nulla. L’Europa è una città dove sono in molti a decidere. Cosa è oggi l’Europa, quale sarà il suo futuro? Dove finisce il suo territorio? L’Europa è davvero ormai un’unica grande città? E questa città, spesso congestionata, male organizzata, piena di conflitti, ma incapace di creare muri e sbarramenti, può diventare forse oggi un modello di convivenza civile? A queste domande la ricerca di USE suggerisce una risposta inattesa: l’Europa non è un continente dai confini precisi, ma piuttosto un’unica immensa Città. Una Città che accoglie le differenze più estreme e le colloca entro alcuni caratteri dello spazio locale, sedimentati in secoli di storia. Lo spazio della Città Europa funziona ancora oggi come un “dispositivo” che filtra e organizza il movimento delle persone, delle merci, delle idee. Quello della Città Europa è, infatti, uno spazio abituato a inglobare paesaggi e tradizioni straniere, plasmato da una incessante trattativa tra i suoi molteplici protagonisti; uno spazio densissimo di costruzioni e di flussi, dove ogni novità non cancella l’esistente, ma vi si aggiunge come in un palinsesto. Infatti l’Europa ha, quasi consapevolmente, costituito, dal dopoguerra a oggi, le basi per una molteplice convivenza tra differenze culturali, etniche e religiose dei suoi cittadini. Convivenza nel senso di una relazione continua, a volte pacifica e a volte conflittuale, mai interrotta. In questo senso possiamo sostenere che l’Europa è un continente accogliente, capace di metabolizzare le culture esogene, forse proprio perchè la sua antica costituzione le ha permesso di confrontarsi con altre culture con un principio di identità forte, riconosciuto, anche se continuamente elaborato. “Questa capacità di inclusione, deriva dalla sua straordinaria densità – di uomini, di cose e di città – che ha favorito, e in un certo senso reso opportune, forme diverse di tolleranza, che ha svilup-

pato energie e culture di prossimità e di confronto con l’altro, che ha saputo integrare fortemente le diversità, fino quasi a dissolvere e rendere difficile ritrovarne le radici o ripercorrerne l’evoluzione fino alla genesi: l’Europa è il campo dove culture dello spazio differenti tra loro hanno trovato modo di rapportarsi e insediarsi nella densità del tessuto urbano e territoriale. L’altro, l’estraneo, lo straniero, se pure generando continuamente conflitti, è entrato spesso in sintonia con la dinamica sociale della trasformazione dell’Europa” (Boeri 2003: 24). La ricerca USE è stata presentata anche all’esposizione “Dentro la Città Europa”, nell’ambito della XX Esposizione Internazionale della Triennale di Milano organizzata nel gennaio 2002, a Bruxelles (2001), a Perth (2002) e a Tokyo (2001). Uno spazio della Mostra è stato allestito come una sorta di “lounge”, per consentire una pausa di riflessione, per sedersi, sfogliare e leggere alcune riflessioni scritte e visive sull’Europa che cambia. Sono presenti più di 300 autori, 150 testi (libri, riviste, cataloghi) di genere diverso per capire come sta cambiando l’Europa. Accanto alla lounge, una camera attrezzata con computer e monitor disposti su un grande tavolo consente di ascoltare la versione integrale delle “profezie” e di ospitare incontri e seminari. Utilizzando filmati (curati da Paolo Vari) e fotografie (di Gabriele Basilico e Francesco Jodice e di altri giovani fotografi europei), USE racconta su grandi schermi le “storie” di questi e altri luoghi dell’innovazione in Europa e ne propone un’interpretazione.

References • Boeri, Stefano. Bregani, Maddalena. 2003. Uncertain States of Europe: Multiplicity USE. Milano: Skira • www.multiplicity.it • www.triennale.it/en/exhibitions/




Part III Project: Absorbing Diversity


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WHICH MUSEUM FOR EUROPE?


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PUBLIC MUSEUM AND NATION-STATE IDENTITY

La nascita del museo pubblico si colloca alla fine del XVIII secolo quando, in seguito alla rivoluzione francese del 1789, venne proclamata la nascita dello stato-nazione nell’Europa occidentale. La rivoluzione, infatti, portò alla sostituzione dell’ordine aristocratico con una nuova concezione più orizzontale e democratica della società, composta da una collettività di eguali (Macdonald 2003: 1). Con l’apertura delle collezioni principesche venne reso pubblico ciò che era stato privato e aristocratico nel tentativo di portare la “cultura alta” alle masse e di costituire un “pubblico”; lo stato-nazione prevedeva che gli individui avrebbero dovuto vedere se stessi non solo come oggetti passivi dei mezzi di regolazione sociale, ma come membri partecipanti “liberi” e accomunati da un senso di identità nazionale (Benedict 1983). Ben presto i musei, insieme ad altre istituzioni pubbliche, vennero ad assumere il ruolo di espressioni “nazionali” di identità, collegati all’idea di “avere una storia” (Taylor 1989: 376); essi diventarono il luogo espressivo e di rappre-

sentanza della cultura pubblica, nel tentativo di incoraggiare le persone a immaginare se stesse come membri di uno stato-nazione (Macdonald 2003: 5). I musei attraverso le loro collezioni di oggetti e manufatti erano in grado di materializzare la cultura e l’identità stato-nazione, trasmettendola in maniera direttamente tangibile al popolo e generando un processo che Handler chiama “oggettivazione” della cultura (Handler 1988 : 14).

MUSEUM AND TRANSCULTURAL IDENTITY

Oggi i modelli di identità, delimitate e omogenee, che erano stati creati dallo stato-nazione alla fine del XVIII e XIX secolo, risultano incoerenti e vengono considerati dai teorici come una mera “identità narrativa” costruita dallo Stato (Macdonald 2003: 5). Quello a cui ora stiamo assistendo, invece, è un ritorno di tutto ciò che era stato “rimosso”, delle identità che non erano state riconosciute nel sistema statonazione in passato (Smith 1995). L’aumento del movimento globale e delle migrazioni, che consentono lo sviluppo e il mantenimento di identità non territorializzate, minacciano cos-


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tantemente la validità dello stato-nazione territorializzato (Castells 1997). Più in generale, l’aumento del movimento globale e dei mezzi di comunicazione moderni stanno trasformando la natura stessa di “identità”. A questo proposito, Anthony Giddens sostiene che le identità siano sempre più “scorporate” dal territorio e dalle strutture tradizionali della nazione o dell’etnia. Così gli individui, in un processo che Beck chiama “Individualisierung”, sono sempre più chiamati a prendere decisioni sulle proprie vite, autodefinendo la propria identità (Macdonald 2003: 6). Anche Sherry Turkle nei suoi studi, sostiene che le identità individuali centralizzate dello statonazione siano state sostituite da nuove identità che si sono formate attraverso la miscelazione e il dialogo interculturale, anziché attraverso la delimitazione di un confine. I Musei, proprio perché da sempre sono stati così coinvolti nel processo di identità culturale, rappresentano i luoghi più significativi in cui esaminare le trasformazioni dell’identità. Come alcuni critici hanno sottolineato, musealizzare l’identità postnazionale, transculturale o “ibrida” presuppone un rischio. Uno dei problemi che è stato identificato è che la nozione di ibridità sembra ipotizzare l’esistenza di culture “pure”, una visione che la maggior parte degli antropologi non condivide, in quanto porta a concettualizzare le culture non omogenee come intrinsecamente “potenzialmente conflittuali” (Caglar 1997: 176).

MIGRATION

MUSEUM

TO

REPRESENT

THE

TRANSCULTURAL IDENTITY IN EUROPE

“If the nation-state and the kind of ‘public’ with which it was associated are on the brink of obsolescence, then what future is there for museums?”(Macdonald 2003: 1) Mentre fino a qualche tempo fa, l’interesse dei musei era orientato alla raccolta e alla rappresentazione di oggetti di altri tempi e di altre culture e assolveva essenzialmente alla funzione di luogo di collezionismo, ora il museo ha acquisito un nuovo ruolo nella società diventando esso stesso

un oggetto di ricerca (Ames 1992: 44; Haas 1996: 7). Sharon Macdonald descrive i musei come luoghi culturali chiave del nostro tempo, come una sorta di lente attraverso cui leggere i comportamenti politici e sociali (Macdonald 1996: 2). Il dibattito culturale e politico attuale in Europa è rivolto soprattutto a questioni quali la mobilità, l’Unione Europea e in generale il processo di europeizzazione in corso, inteso come la formazione di un’identità comune. Il museo, da sempre luogo attivo di costruzione di identità e di proiezione verso il futuro, in risposta a questi temi ha cominciato ad assumere anche il ruolo di luogo di discussione per la società multiculturale che si sta sviluppando in Europa. La tipologia di museo che meglio descrive questo effetto di identità mutate è quello della migrazione (Baur 2009: 28). Sempre più spesso i musei in Europa, e in particolare all’interno dell’Unione europea, si confrontano con la migrazione come argomento da rappresentare, riconoscendo che, nei secoli, essa è stata coessenziale alle società europee, e che certamente continuerà ad esserlo (Poehls 2011: 340). Tuttavia, il tema della migrazione mette implicitamente in discussione alcuni principi tradizionali del lavoro museale, il quale storicamente è strettamente legato alla nozione di sedentarietà. Kerstin Poehls elenca tre aspetti intrinseci del tema della migrazione che mettono in discussione il modo in cui i musei hanno tradizionalmente operato; il primo aspetto riguarda la tendenza dell’argomento ad offuscare la nozione di Stati nazionali e conseguentemente di Europa, rivelando la natura del museo come di un’istituzione inventata proprio allo scopo di costruire un’idea di nazione come categoria di organizzazione del mondo (Poehls 2011: 338339). Il secondo aspetto riguarda invece la capacità della migrazione di mettere in crisi la nazione come quadro concettuale attraverso i criteri con cui vengono selezionati gli oggetti per le esposizioni museali. In contrasto con le domande


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che un museo tradizionalmente si pone nel posizionare gli oggetti all’interno dei sistemi di raccolta tradizionali - relative al luogo d’invenzione, di produzione, o di uso di un manufatto - altri aspetti, all’interno della rappresentazione della mobilità, diventano più rilevanti: cosa potrebbe rivelare un particolare oggetto sul moto delle idee, degli esseri umani, della conoscenza o dei conflitti? Che storia di migrazione o di mobilità giustifica la sua messa in mostra? Quindi il tema della migrazione sembra indirizzare le istituzioni museali a guardare agli oggetti come simboli piuttosto che come oggetti epistemici, cioè a cose che incarnano “ciò che è ancora sconosciuto” e che quindi tendono a suscitare nuove domande (cfr. Korff 2005 , Rheinberger 2006: 28). Questi due aspetti di conseguenza portano ad una più generale terza dimensione: non solo viene messa in discussione la nazione come paradigma storico del museo, ma anche il luogo e lo spazio a cui un certo museo e la sua mostra si riferiscono, che si tratti della città, della regione, della nazione o dell’Europa. Se le pratiche della mobilità sono state messe a fuoco, queste entità apparentemente ben definite sono indeterminate o chiedono almeno di essere ridefinite sotto nuovi auspici (Poehls 2011: 339).

THE MUSEALIZATION OF MIGRATION

Interrogandoci sul tema della migrazione nei musei, possiamo individuare una serie di concetti-guida, metafore visuali e paradigmi utili per la sua rappresentazione, intesa come la visualizzazione di una particolare interpretazione (Korff 1990: 22). Infatti, se da un lato il museo non può fare a meno di oggettivazioni, in quanto solo la fisicità consente l’osservabilità e la persistenza nel tempo, che sono costanti fondamentali del museo, dall’altro gli oggetti significano sempre sedimentazione e materializzazione, e quindi recano in sé il pericolo della fissazione di significati e della formazione di cliché (Korff 2005: 5-15). È possibile trovare oggetti che esprimono particolarmente bene la polivalenza e la mobilità? È possibile contrastare le immobilizzazioni nelle disposizioni di oggetti e stimolare

un’osservazione multidimensionale (Hein 2000: 180)? Un tema che spesso rientra nella rappresentazione della migrazione, è il viaggio, spesso simboleggiato attraverso l’esposizione di oggetti-chiave per visualizzare il movimento nello spazio. Tuttavia, se il concetto di viaggio implica una punto di partenza e uno di arrivo, quello della migrazione indica un movimento in cui né i luoghi di partenza né quelli di arrivo sono immutabili o sicuri, anzi, essa impone di vivere con lingue, storicità e identità soggette a costanti cambiamenti (Chambers 1996: 6). In quest’ottica non è il viaggio, inteso come spostamento fisico, l’oggetto di ricerca per rappresentare la migrazione, ma è più ciò che ne deriva, ovvero l’effetto della migrazione sull’uomo e sul suo patrimonio culturale che innesca un processo di ibridazione. A questo proposito, Caglar suggerisce di focalizzarsi sugli oggetti per comprendere e tracciare le relazioni delle pratiche interconnesse che li circondano: “Commodities, defined generically as the objects of consumption and exchange, carry not only economic but cultural value, and are thus the locus around which several value-creating precesses intersect” (Caglar 1997: 180). Dunque, una soluzione metodologica per “musealizzare” l’identità transculturale frutto della migrazione non è l’utilizzo di categorie geografiche o etniche, ma di oggetti, che vengono lasciati “parlare per sé”, e possono quindi rappresentare il punto di partenza e il corpo principale delle esposizioni. Gli oggetti personali dei migranti sono sempre stati più o meno presenti nelle esposizioni sulla migrazione; gli effetti personali, infatti, nella loro tridimensionalità, permettono una percezione multisensoriale fisica e simultanea della materialità della migrazione, e contemporaneamente comunicano emozioni primarie. Attraverso le loro qualità materiali, gli oggetti epistemici dovrebbero instaurare una sorta di dialogo con l’osservatore e favorire il suo avvicinamento al dibattito culturale e sociale sulla migrazione (Poehls 2011: 346).


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Questi “oggetti di migrazione” possono essere considerati come simboli o punti di partenza per raccontare storie che trasmettano l’importanza dell’oggetto in questione anche a terzi. Un altro tipo di oggetto inerente al tema del viaggio, al quale ricorrono molte mostre sulla migrazione, è la valigia, considerata da molti l’onnipresente simbolo della migrazione (Baur 2009: 29). Ne è stato fatto uso nell’esposizione intitolata “Crossing Munich” del 2009, dove un gruppo di bagagli venne assemblato a creare un’installazione che rievocava la forma architettonica della Stazione Centrale di Monaco, punto di sbarco di lavoratori immigrati negli anni ’60; e ancora nella mostra itinerante “C’est notre histoire” di Varsavia del 2009, dove le valigie sono state raggruppate per creare una gigante sfera che riprendeva la forma del globo. Un altro tema affrontato nella rappresentazione della migrazione, è il concetto di “confine”, che di per sé fa emergere una visione di migrazione non come un movimento indipendente e “indomabile”, ma determinato dalla politica degli stati nazionali (Baur 2009: 29). Considerando i margini come i centri di attività da cui ha origine il discorso politico (Bhabha 2000: 7), possiamo interpretarli come un campo di tensione che, nel momento in cui viene attraversato, genera una trasformazione identitaria. “È impossibile parlare delle migrazioni di esseri umani senza evocare i confini che altri esseri umani erigono. […] Il confine si inscrive in modo contrastante nel paesaggio: o si impone come una barriera spessa, o finge di sparire. Dà l’illusione di un mondo perfettamente organizzato in regioni e paesi. I confini, allo stesso tempo, raggruppano gli uomini e li separano. […] Le carte rispondono prima di tutto alla domanda “dove?” e permettono in seguito di capire “cosa”, cioè in quale modo le comunità umane producono il loro territorio” (Rekacewicz 2009). Sono molte, infatti, le mostre che, astenendosi spesso dall’uso di oggetti, ricorrono ad altri tipi di espedienti espositivi: le mappe. Fin dalla loro creazione, esse riflettono l’appropriazione dello spazio - e quindi l’onnipresenza storica delle migrazioni - raccontando storie su come il mondo

appare o come dovrebbe apparire (Poehls 2011: 341). Nell’ambito delle mostre sulla migrazione, le mappe generano un effetto peculiare: se da un lato fanno chiarezza sul fenomeno sociale della mobilità, dall’altro minano letteralmente il senso dei confini geopolitici, rendendo sfocati i confini nazionali ed europei. Inoltre le mappe nelle esposizioni sulla migrazione dirigono l’attenzione verso la questione di come i confini - in quanto “​​entità concettuali socialmente compiute” - generino la differenza che segnano (Green 2010: 261). Inoltre, una volta che le mappe sono state spogliate della loro connotazione oggettiva, smascherano l’illusione di neutralità del lavoro museale (Poehls 2011: 345). Se da un lato le mappe sono rappresentazioni analoghe della superficie geografica del mondo, dall’altro esse sono invece inevitabilmente astrazioni poiché sono il “risultato di selezione, omissione, isolamento, distanza e codificazione” (Corner 1999: 215). Il potenziale creativo delle mappe è stato largamente utilizzato sia all’interno dello spazio museale che dalle arti – per esempio, le mappe sono state utilizzate dai Situazionisti o dagli artisti del movimento Fluxus – come materiale e come genere per creare nuovi tipi di spazi, per stimolarne la percezione e per problematizzare la loro natura altamente costruita. Nel caso della Cité National de l’Histoire de l’immigration (CNHI), il visitatore si confronta con le mappe ancora prima di entrare alla mostra, o anche dell’esposizione temporanea “Projekt Migration” a Cologna nel 2005. MIGMAP, una cooperazione di artisti e scienziati sociali che partecipa al progetto di ricerca a Colonia, per esempio, si astiene completamente dalla geografia come base per mappare la migrazione. Questa cooperazione tra artisti fornisce soluzioni visuali al problema della mappatura della migrazione. Il team di etnografi e artisti mappa i protagonisti della migrazione, i discorsi, i luoghi e le decisioni politiche e utilizza un’estetica che ricorda le previsioni del meteo o le mappe della metropolitana (Spillmann 2007). Mostre temporanee e musei delle migrazioni navigano in questo campo controverso


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dell’europeizzazione, un campo ampio e un discorso complesso che vede numerosi partecipanti accanirsi tra di loro senza mai raggiungere un consenso. All’interno del dibattito sia storico che contemporaneo sulla migrazione in Europa, curatori, artisti e etnografi mirano a svelare come le decisioni geopolitiche sulle frontiere, le istituzioni politiche, i partiti politici, nonché gli esseri umani migranti costituiscono lo spazio discorsivo in cui la migrazione prende posto. In questi progetti, lo spazio di migrazione non appare come un’entità ben definita, ma piuttosto come un campo sfocato di attività in cui diversi interessi si incontrano e entrano in conflitto tra loro. La sua onnipresenza trasforma la migrazione in un “boundary object”, un concetto che significa letteralmente “oggetto di confine”, che in sociologia descrive le informazioni utilizzate in modo diverso da differenti comunità, e che potrebbe aiutare la comprensione di questo processo di scomposizione e ricomposizione di visioni differenti sul tema della migrazione. Boundary objects are “objects which are both plastic enough to adapt local needs and the constraints of the several parties employing them, yet robust enough to maintain a common identity across sites’ […] They have different meanings in different social worlds but their structure is common enough to more than one world to make them recognizable, a means of translation” (Star, Griesemer 1989).


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PROJECT


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MUSEOLOGICAL PROJECT

L’Europa che emerge dalla nostra ricerca è multiforme. Numerose europe – culturali, economiche e politiche – si sovrappongono come layer su un territorio che, nel tempo, ha modificato i suoi confini e che da sempre è stato considerato di difficile definizione fisica. L’Europa oggi rappresenta il frutto della migrazione e certamente continuerà ad esserlo. Essa ha portato i popoli ad entrare in contatto tra loro e ad avviare un processo di ibridazione culturale che ha generato lingue, religioni e culture diverse. Il risultato di oggi è la visione di un’Europa in cui le culture non si sono sviluppate indipendentemente l’una dall’altra, ma hanno generato culture pluralistiche e ibride, e che, avendo alla base radici comuni, possiamo riconoscere come cultura europea. L’obiettivo della ricerca è quello di descrivere un’entità sovranazionale, l’Europa, attraverso un museo delle migrazioni, una tipologia museale che, partendo da due categorie distinte e opposte – il museo e le migrazioni – è in grado di esprimere al meglio le identità europee in con-

tinua evoluzione e di mettere implicitamente in discussione alcuni principi tradizionali del lavoro museale, il quale storicamente è strettamente legato alla nozione di sedentarietà. Il museo sarà costituito da tre parti principali: un archivio e un centro di ricerca – che costituiranno la base permanente del Museo d’Europa –, e un’area espositiva itinerante, Absorbing Diversity, che ospiterà una collezione di oggetti destinata a modificarsi e arricchirsi durante i suoi viaggi. Absorbing Diversity, accompagnata da un centro di ricerca “satellite”, sarà coinvolta in una migrazione, che la orienterà, spostandosi tra i confini politici degli Stati nazionali europei, ad alimentare la sua collezione arricchendosi man mano che si immergerà in aree etno-culturali diverse. Immaginiamo un itinerario che ha origine in quello che viene definito “la culla della civiltà europea”, il bacino del Mediterraneo – per molti secoli il baricentro economico e culturale dell’Europa –, per poi spostarsi verso l’Europa continentale e spingendosi infine verso Est. Il “museo itinerante” approderà in quelle aree del continente che, pur inscrivendosi nel territorio


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geografico europeo, molto spesso oggi rimangono escluse dalla discussione attuale sulla definizione culturale di Europa, ma che per secoli, come la storia delle migrazioni racconta, hanno contribuito a plasmare la cultura europea. Attraverso la circolarità del tragitto, che si fonda su una considerazione dei margini come centri delle principali attività, si cercherà di descrivere l’unità culturale europea contemporanea attraverso la diversità stessa del continente. Il Museo d’Europa si asterrà dalla costruzione di un percorso narrativo lineare e teleologico, cercando di non imporre una memoria europea collettiva; infatti la narrazione si svilupperà su più livelli che il visitatore avrà la libertà di conciliare. I livelli narrativi sono tre e si intrecciano tra loro senza imporre un percorso obbligato: • storia delle migrazioni, rappresentata attraverso una timeline; • percorsi migratori che si sovrappongono all’evoluzione geopolitica del continente europeo, rappresentati attraverso le mappe; • l’Europa contemporanea attraverso l’utilizzo di oggetti. Come una pergamena che si dispiega lungo tutta la mostra, la timeline descrive in forma di racconto la storia delle migrazioni che hanno plasmato il continente. Questa è accompagnata parallelamente dagli eventi storici che hanno causato il movimento di popoli. La mappatura si compone di due layer: il primo viene utilizzato come strumento per mostrare la caleidoscopica mutazione dei confini politici del continente, mentre il secondo traccia gli spostamenti territoriali dei popoli, classificandoli secondo diverse tipologie migratorie.

Dalla combinazione di questi due livelli – timeline e mappe – affiora la visione dell’Europa contemporanea non come un’entità statica, ma come il risultato di un processo dinamico messo in moto da uno scambio di pensiero, di culture e di pratiche varie. Il terzo livello è costituito dai “[S]oggetti migranti”. Affinchè gli oggetti dei musei divengano i testimoni di una storia, è necessario che qualcuno li interroghi come se fossero persone, che parlano non soltanto attraverso la voce del curatore ma anche attraverso quelle di coloro che vi riconoscono le impronte della propria cultura. Gli oggetti calati nella mostra sono oggetti comuni e appartenenti alla nostra quotidianità che, personificandosi, si fanno migranti e raccontano la propria biografia attraverso flashback nel passato e ritorni nel presente. Gli oggetti in mostra, da protagonisti di una migrazione passiva, vengono “lasciati parlare”, diventando i testimoni diretti del processo d’ibridazione culturale, e dimostrando che gli oggetti della nostra quotidianità non sono immobili, ma viaggiano: provengono da un luogo e migrano in un altro, assorbono le storie culturali di coloro che li manipolano, cambiano di statuto e a volte di funzione, assorbono le diversità. Senza perdere il focus umanistico proprio del tema della migrazione nella rappresentazione museale, Absorbing Diversity vuole ricordare al visitatore che gli oggetti sono vettori di appartenenza e di affettività, e che essi, sin dall’origine delle civiltà, aprono alla dimensione del ricordo e contribuiscono a definire e ridiscutere le nostre identità.


MANIFESTO DEL MUSEO

OBJECTIVES

L’obiettivo del museo è quello di raccontare l’Europa attuale come luogo di ibridazione culturale, generata dal processo di migrazione che da sempre careatterizza il continente.

MUSEO D’EUROPA

ACTIVITIES

ARCHIVE

RESEARCH

ACTION

Digital-archive Inventory

Lectures Workshops Conferences Laboratories Seminars

ABSORBING DIVERSITY: Exhibition

travelling

permanent FEATURES

Always in progress Open to everyone

OBJECTS

History

Participative Dimension

Migrations intangible culture

Material Culture tangible culture



MANIFESTO Absorbing Diversity

ACTION

ABSORBING DIVERSITY – Travelling Exhibition: • si sviluppa su tre livelli di narrazione; • si astiene dalla costruzione di un percorso narrativo lineare e teleologico, non cerca di imporre una memoria collettiva, ma lascia al visitatore la possibilità di una libera interpretazione; • la timeline, le mappe e oggetti si intrecciano per raccontare l’Europa attuale come luogo di ibridazione culturale.

History

Migrations

Material Culture

NARRATIVES

tangible culture

intangible culture

Tools

Skills

STORYTELLING

Timeline

Mappe

[S]oggetti















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