Esterovestizione come vincere la presunzione di residenza

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Fiscalità internazionale *

Esterovestizione: come vincere la presunzione di residenza1 di Ignazio La Candia*

Premessa Il Decreto Legge n.223 del 4 luglio 2006 (Decreto Bersani), all’art.35, co.13, ha introdotto nel nostro ordinamento, a partire dal 2006, una presunzione legale relativa in base alla quale si presume esistente in Italia la sede dell’amministrazione di società formalmente costituite all’estero, ma nella sostanza amministrate e gestite da soggetti italiani. In particolare, sono stati introdotti nell’art.73 del Tuir i co.5-bis e 5-ter, i quali dispongono rispettivamente che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art.2359, co.1, c.c., nei soggetti di cui alle lett.a) e b) del co.1 se, in alternativa: ! sono controllati, anche sono amministrati da un Consiglio di indirettamente, ex art.2359, co.1, Amministrazione, o altro organo c.c., da soggetti residenti nel equivalente di gestione, composto in territorio dello Stato; prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato. Per il tramite di tale normativa, il Legislatore ha inserito, quindi, una presunzione relativa di residenza, ossia suscettibile di prova contraria, con la conseguenza che la società controllata estera - in sede di un eventuale contenzioso - dovrà dimostrare sulla base di un’analisi di tipo sostanziale di non essere fiscalmente residente nel nostro Paese. Per comodità, si riporta lo schema societario tipico contemplato dalla norma2: ALFA SPA

BETA Controllo diretto o indiretto (controllo passivo)

Società con sede in altro Stato UE

controllo diretto (controllo attivo) GAMMA SPA

Nel presente contributo analizzeremo le tematiche relative alla prova contraria ed, in particolare, gli elementi che il contribuente deve fornire per provare che la sede dell’amministrazione (il c.d. place of effective management) della società (nell’esempio proposto la società BETA) è all’estero, nonché la giurisprudenza elaborata in materia.

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Dottore commercialista e Revisore contabile – Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Si veda I. La Candia “Esterovestizione: le regole sulla presunzione di residenza della società”, in Bollettino dell’internazionalizzazione n.11/09, pag.15 e ss.. Per completezza si osserva che la presunzione di esterovestizione in commento opera anche quando la società estera BETA è gestita da un organo amministrativo composto in prevalenza da consiglieri residenti in Italia.

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Il regime della prova contraria Come osservato in precedenza, la normativa in commento prevede l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova3, con la conseguenza che, salvo prova contraria, nel caso che dovrà essere fornita dal contribuente, la sede dell’amministrazione della società estera si considera esistente nel territorio dello Stato, al ricorrere delle condizioni in precedenza commentate. L’Amministrazione Finanziaria deve provare la sussistenza dei presupposti delle due fattispecie presuntive, ma grava sulla società estera, destinataria della presunzione di esterovestizione, l’onere di fornire la prova dell’effettiva localizzazione all’estero della sede dell’amministrazione. Innanzitutto, va osservato che detta prova contraria non potrà essere fornita in sede di interpello, ma solamente in sede di accertamento. L’A.F. nella R.M. n.312/07, infatti, dopo aver chiarito che la verifica della sede effettiva dell’amministrazione di una società “investe complessi profili di fatto del reale rapporto di una società con un determinato territorio non valutabili in sede di interpello cd. ordinario o interpretativo”, ha ritenuto che la dimostrazione della prova contraria volta al superamento della presunzione, di cui al co.5-bis dell’art.73 del Tuir, potrà essere fornita solamente in sede di accertamento e non mediante interpello disapplicativo. Il contribuente per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede dell’amministrazione della società - nello schema precedente, la sede di BETA - non è in Italia, bensì all’estero: in altri termini, dovrà essere dimostrato che esistono elementi di fatto, situazioni, ovvero atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della società nello Stato estero. In pratica, il contribuente dovrà dimostrare l’effettiva sostanza e non artificiosità all’estero della società, attraverso, ad esempio, i seguenti ELEMENTI DI PROVA i CdA di Beta sono regolarmente tenuti all’estero; la maggioranza dei componenti del CdA di Beta risiede all’estero; Beta svolge attività di servizi a favore delle consociate, nonché un ruolo di azionista attivo presso le stesse; Beta possiede un’adeguata struttura di equity; i Country managers, ovvero il CFO locale di Beta, abbiano effettivi poteri di spesa. In altri termini, Beta deve dimostrare di avere una propria specializzazione in senso economico e strategico. Al riguardo, va detto che la Guardia di Finanza, nella Circolare n.1 del 29 dicembre 2008, ha ritenuto che alcuni degli elementi di prova che il contribuente dovrà fornire al fine di dimostrare che la sede dell’amministrazione della società è all’estero sono anche i seguenti: ELEMENTI DI PROVA il potere effettivo di gestione dei conti correnti bancari della società estera, nonché delle sue disponibilità finanziarie, deve essere esercitato da amministratori, ovvero soci esteri;

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Cfr., in dottrina, senza pretesa di esaustività, F.Batistoni Ferrara, “Processo tributario (riflessioni sulla prova)”, in Diritto e Pratica Tributaria, Parte I, 1983, pag.1620; G.Tinelli, “Prova (dir. trib.)”, in Enciclopedia Giuridica, XXV, Roma, 1991, pag.5; A.Berliri, “Processo tributario amministrativo”, Reggio Emilia, 1940, Vol. II, pag.67; G.A.Micheli, “Onere della prova”, Padova, 1966; V.Montesano, “Le prove atipiche nelle presunzioni e negli argomenti del giudice civile”, RDP, 1980; S.Patti, “Disposizioni generali”, COM. S.B., Padova, 1987; G.Verde, voce “Prova (diritto processuale civile)”, EdD, 1988; S.Patti, voce “Prova (diritto processuale civile”), E.G.I., 1991; M.Taruffo, “Onere della Prova”, D.CIV., 1995, pag.65; G.Verde, “La prova nel processo civile”, RPD, 1998, 1; AA.VV., a cura del Consiglio Superiore della Magistratura, “La prova nel processo civile”, Roma, 1999; F.Lazzaro, “Le prove extravaganti”, Milano, 2001.

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la provvista finanziaria del soggetto estero non deve provenire dal soggetto italiano; i contratti devono essere stipulati all’estero; il potere decisionale concernente gli aspetti fondamentali della gestione della società estera non deve essere affidato ad amministratori, ovvero soci, residenti in Italia. Ad avviso di chi scrive, tali elementi di prova sono per cosi dire “racchiusi” (o meglio contenuti) nella dimostrazione che Beta non rappresenti una costruzione di puro artificio, ma sia effettiva (nel senso che all’interno del gruppo svolga una propria funzione economia e strategica) e reale, ossia sia dotata di una struttura organizzativa4. In altri termini, al fine di superare la presunzione, Beta non deve essere una società fittizia che non esercita alcuna attività economica nello Stato estero di insediamento, ma deve avere sostanza economica, a nulla rilevando la circostanza che nello Stato estero la tassazione sia inferiore a quella dello Stato della società madre. Al riguardo, va anche osservato che la Corte di Giustizia nel par.37 della Sentenza Cadbury Schweppes5 ha chiarito che la costituzione di una società allo scopo di fruire di una legislazione più vantaggiosa o, più specificamente, dei vantaggi fiscali legalmente offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede non costituisce abuso della libertà di stabilimento6. Ritengo tale affermazione senz’altro condivisibile, anche alla luce di precedenti Sentenze della stessa Corte di Giustizia. Ad esempio, nel par.27 della Sentenza della Corte di Giustizia del marzo 1999, Causa C-212/97, Centros Ltd è stato chiarito il fatto che un cittadino di uno Stato membro, che desideri creare una società, scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri, non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Inoltre, nel par.96 della Sentenza della Corte di Giustizia del 30 settembre 2003, Causa C-167/2001, Inspire Art Ltd, è stato precisato che la circostanza in cui una società sia stata creata in uno Stato membro unicamente per fruire di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce un abuso e ciò anche qualora la società in questione svolga l’essenziale, se non il complesso, delle sue attività economiche nello Stato di stabilimento7. Del resto, la stessa Commissione delle Comunità Europee nella Comunicazione del 10 dicembre 2007, COM (2007) 785, ha ritenuto che “…Nella sentenza della causa Cadbury la Corte di giustizia ha sostenuto che l’insediamento di una società è da considerare effettivo quando, sulla base di elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, in particolare a livello della sua presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature, corrisponde ad una realtà economica, ossia una società reale che svolge attività economiche effettive e non una società “fantasma” o “schermo…”8.

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L’insediamento reale all’estero presuppone che la società estera disponga nel proprio Stato di insediamento di una struttura organizzativa (ad esempio, esistenza di locali, presenza di personale) adeguata idonea allo svolgimento della propria attività. Con tale caso giurisprudenziale, la Corte di Giustizia UE è stata invitata ad esaminare la compatibilità delle CFC rules (nella specie, quelle inglesi, contenute negli artt.747-756 e negli Allegati 24-26 della Legge inglese del 1988 sull’imposta sul Reddito delle Società) con il Diritto Comunitario e, in particolare, con le libertà di stabilimento e di circolazione di capitali. Per un commento a tale Sentenza, sia consentito il rinvio a P.Gariboldi, I.La Candia, V.Marraffa, “Sulla compatibilità della normativa CFC con le Convenzioni Internazionali e il Diritto Comunitario”, in Diritto e Pratica Tributaria n.3/07, pag.960 e ss.. Come disposto dall’art.43 del Trattato CE “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato Membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali, o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro…”. Cfr. anche la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 23 aprile 2008 (The Test Claimants) nella quale è stato chiarito che la costituzione di società partecipate residenti all’interno degli Stati membri debba corrispondere ad un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive (ovvero di una reale motivazione commerciale) nello stato membro di stabilimento. Cfr., in dottrina, R.Lupi, “Illegittimità delle regole CFC se rivolte a Paesi comunitari: punti fermi e sollecitazioni sulla sentenza Schweppes”, in Dialoghi di Diritto Tributario n.12/06, pagg.1589 e ss.; l’Autore dall’esame della Sentenza Cadbury Schweppes trae la condivisibile conclusione che le misure di contrasto debbano essere limitate alle ipotesi in cui la struttura è meramente di facciata, ovvero sia fittizia, mentre le attività effettive meritano la protezione del Trattato CE qualunque sia il loro grado di collegamento al territorio.

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Attività di direzione e coordinamento L’eventuale attività di direzione e coordinamento9 che Beta esercita su Gamma, ovvero l’attività di indirizzo gestionale esercitata dalla prima sulla seconda (attività che costituisce la prerogativa tipica del controllo societario disciplinato dall’art.2359 c.c.), non dovrebbe essere confusa con l’attività rilevante ai fini dell’individuazione della sede dell’amministrazione nel nostro Paese di Beta. Più precisamente, ad avviso di chi scrive, non si può configurare la collocazione della sede amministrativa di Beta presso Gamma Spa (società controllata italiana) soltanto perché tra le due società vi è uno stretto collegamento che riguarda essenzialmente il coordinamento delle rispettive attività e finalità nell’ambito del medesimo gruppo imprenditoriale. Partecipazione di controllo minoritaria detenuta da una holding non residente in una società italiana Come osservato in maniera condivisibile da Assonime nella Circolare n.67/0710, una società holding estera controllata o amministrata da soggetti residenti, titolare anche di partecipazioni di controllo in società estere, dovrebbe avere la possibilità di opporre, quale prova contraria, la circostanza che la parte prevalente del possesso partecipativo attiene a società estere o ad altri investimenti all’estero. Quindi, la partecipazione di controllo nella società italiana costituisce una parte solo residuale del suo patrimonio. In questo caso, infatti, a giudizio dell’Associazione, sarebbe ingiustificato e contrario al principio comunitario di proporzionalità pretendere che il contribuente sia tenuto a dimostrare la propria estraneità con il territorio dello Stato sotto altri profili, quando il rapporto partecipativo con l’Italia risulta obiettivamente marginale e non qualificante11. Analisi di alcuni casi giurisprudenziali CTR della Toscana, sentenza n.61 del 18 gennaio 2008 La particolare fattispecie analizzata dai Giudici toscani che è risultata favorevole al contribuente può essere così schematizzata. ITALIA NL Sub-holding olandese che detiene pacchetti di controllo di numerose società operative estere IT

ALFA

BETA

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di una società estera (olandese) - controllata da una società italiana - che deteneva numerose partecipazioni in soggetti esteri, tra cui una società italiana. Nel 2004 il Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza aveva proceduto alla redazione di un Processo Verbale di Costatazione nei confronti della società olandese (con sede ad Amsterdam), contestando la

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Cfr. artt.2497 e ss. c.c.. In particolare, il co.1 dell’art.2497 c.c. dispone che “Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Cfr. Circolare Assonime n.67 del 31 ottobre 2007, rubricata “Ires - Soggetti residenti - La presunzione di residenza in Italia per le società o enti esteri cc.dd. “esterovestiti”. Cfr. su tale aspetto, anche il Seminario Ifa/Ocse tenuto a Vienna del 2004 in cui sono state analizzate le tematiche relative al controllo e alla sede di direzione effettiva delle società.

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circostanza che tale società aveva in realtà la sede amministrativa presso la direzione generale della società controllata italiana. Tale assunto, fatto proprio anche dai Giudici di primo grado, muoveva, tra l’altro, dalla constatazione che: " nella sede della società controllata italiana Beta venivano impartite le istruzioni per il compimento di tutti gli atti di gestione ordinaria e straordinaria compresi i più minuti, come l’acquisto di attrezzature per l’ufficio; " il solo lavoratore dipendente in Olanda di Alfa non effettuava alcuna attività senza il preventivo assenso dall’Italia ed uno dei suoi compiti era quello di inviare in Italia gli atti societari per farli sottoscrivere, per essere poi rispediti in Olanda; " presenza maggioritaria (4 su 5) di persone fisiche residenti in Italia nell’organo direttivo-amministrativa di Alfa12; " ridotta rilevanza delle funzioni dell’amministratore residente in Olanda, tra l’altro appartenente alla sede olandese di uno studio legale internazionale. Era stato ritenuto, quindi, che la società italiana Beta esercitasse poteri di gestione su Alfa talmente penetranti, che quest’ultima era chiaramente soggetta alla società italiana senza alcuna autonomia. In particolare, i movimenti finanziari di Alfa (ad esempio, l’erogazione di finanziamenti, la distribuzione di dividendi, nonché il compimento di operazioni finanziarie intercompany) erano integralmente gestiti in Italia, al punto di ridurre “ (Alfa) ad una sorta di prestanome, un fermacarte che deve apporre il proprio sigillo ad operazioni già irreversibilmente concluse altrove”. La Commissione Regionale della Toscana, in merito all’esistenza della sede di direzione della società olandese in Alfa nel nostro Paese, ha preso le distanze dalle conclusioni raggiunte dai Giudici di primo grado, sostenendo, in particolare, che gli elementi presi in considerazione al fine di assoggettare la società olandese Alfa alla legge tributaria italiana non consentivano di accertare la residenza in Italia di tale società. In particolare, è stato chiarito che l’esistenza di un penetrante controllo di una società nei confronti di un’altra, e perciò l’assoggettamento della società controllata, costituisce fenomeno diverso dallo svolgimento di attività di gestione amministrativa della società controllata. In altri termini, non si può configurare la collocazione della sede amministrativa di una società presso di un’altra solamente perchè tra le due società vi è uno stretto collegamento che riguarda il coordinamento delle rispettive attività e finalità. Inoltre, è stato ritenuto che la prova documentale fornita dall’Ufficio, circa l’esistenza della sede amministrativa in Italia di Alfa, era estremamente ridotta e costituita solamente da sporadici documenti dai quali non è possibile dedurre la continuità di una gestione amministrativa di Alfa nel nostro Paese. Ne è conseguito, quindi, che il riferimento alla sede dell’attività amministrativa, per poter essere ritenuto rilevante ai fini dell’attrazione in Italia della sede dell’amministrazione del soggetto estero, deve essere caratterizzato da continuità, ossia deve derivare non da un singolo atto di gestione (quale può essere, ad esempio, l’erogazione di un finanziamento), ma da una pluralità di atti non occasionali. CTP di Belluno, sentenza n.174 del 14 gennaio 2008 Il caso di specie, sfavorevole al contribuente, riguardava un socio Srl Italia residente in Italia che deteneva il 100% in una sub-holding tedesca Gmbh localizzata in 12

A mio avviso, la presenza nel CdA della società estera della maggioranza di amministratori residenti in Italia dovrebbe essere del tutto ininfluente al fine di far presumere esistente nel nostro Paese la sede dell’amministrazione del soggetto estero; posto che, infatti, una persona fisica è considerata residente in Italia se sono ivi prevalenti i legami affettivi e familiari su quelli economici una società estera potrà essere assoggetta, per effetto della presunzione di esterovestizione, alla legge tributaria italiana in ragione di motivazioni di carattere extra-fiscale, rappresentati appunto dai legami affettivi e sociali. Al riguardo, contrariamente a quanto ritenuto dalla nostra A.F. (cfr., da ultimo, la R.M. n.242/08), forse sarebbe più aderente anche alla Costituzione una definizione di residenza fiscale delle persone fisiche che attribuisse importanza ai legami economici e non a quelli sociali ed affettivi.

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Germania che, a sua volta, per il tramite della società lussemburghese Lux Sa deteneva una partecipazione di controllo di una società per azioni italiana (Spa italiana), nonché una partecipazione di controllo in un’altra società.

SRL ITALIA

100% GMBH

LUX SA

>51% SPA ITALIA

>51%

ALTRO

Venendo agli aspetti rilevanti della Sentenza, secondo la ricostruzione operata dai Giudici di merito, la società tedesca GMBH era stata costituita esclusivamente per perseguire obiettivi di natura fiscale e, pertanto, doveva considerarsi di puro artificio. In realtà, era amministrata in Italia, dovendosi individuare nel nostro Paese la sede di direzione effettiva (c.d. place of effective management). Tale società non disponeva in Germania di un’idonea struttura organizzativa, era totalmente non operativa (e, in quanto tale, non soddisfava il c.d. business-activity test), non aveva alcuna autonomia finanziaria e patrimoniale ed era completamente subordinata alla direzione del socio italiano, nonché dell’amministratore residente in Italia. Inoltre, la società Lux Sa era stata costituita da Gmbh al solo fine fiscale di rivalutare in esenzione d’imposta (adeguando il valore contabile della partecipazione a quello reale) le partecipazioni detenute in Spa Italia e di beneficiare, all’atto della cessione delle stesse partecipazioni, del regime di Participation Exemption, tra l’altro all’epoca dei fatti non ancora introdotto nel nostro ordinamento. Nel caso di specie, quindi, è stato ritenuto che la società tedesca GMBH fosse esterovestita, in quanto riceveva e supinamente implementava le direttive dalla casa madre italiana, senza alcun apporto integrativo di tali direttive. Inoltre, era utilizzata come mero contenitore, preordinata all’unico scopo di trarre vantaggio dal regime di esenzione dei dividendi e delle plusvalenze previsti dall’ordinamento tedesco. A differenza del precedente caso giurisprudenziale analizzato, i Giudici di Belluno, pur nella consapevolezza che il fenomeno dell’interposizione fittizia del soggetto terzo13 sia ben diverso da quello dell’esterovestizione societaria, hanno ritenuto che questa venga effettuata il più delle volte mediante la costituzione all’estero (segnatamente nei Paesi che offrono migliori condizioni di convenienza fiscale) di società esclusivamente finanziarie con funzioni di holding o sub-holding di 13

In materia di esterovestizione societaria, si confronti, con riferimento all’interposizione fittizia di un soggetto, anche CTP di Firenze, sentenza n.108 del 13 luglio 2007; nel caso di specie, è stata attratta nel nostro Paese la sede dell’amministrazione di una società formalmente localizzata a San Marino controllata da società italiana tramite una subholding lussemburghese, dal momento che la società sammarinese è stata ritenuta di mera facciata. Cfr. in dottrina, per un commento a tale sentenza, G.Marino, M.Marzano, R.Lupi, “La residenza delle società e controllo tra schemi OCSE ed episodi giurisprudenziali interni” in Dialoghi di Diritto Tributario n.3/08, pagg.91 e ss..

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partecipazioni controllate, direttamente o indirettamente, da società residenti in Italia. In altri termini, viene introdotta, ad avviso di chi scrive, impropriamente, nella valutazione della presunta esterovestizione delle società anche una variabile di convenienza fiscale del tutto estranea al dato normativo (ossia al co.5-bis dell’art.73 del Tuir). La nozione di residenza nella disciplina convenzionale La disciplina italiana in tema di esterovestizione societaria va coordinata con quella convenzionale di residenza fiscale contenuta nell’art.4 del Modello Ocse di Convenzione contro le doppie imposizioni: quindi, posta la prevalenza della norma convenzionale su quella nazionale14, nei casi di doppia residenza15 bisogna far riferimento a quanto disposto da detto articolo. In particolare, il par.3 dell’art.4 del Modello Ocse16 dispone, che nei casi di doppia residenza, una persona giuridica è considerata residente soltanto nello Stato in cui si trova il place of effective management (sede della direzione effettiva)17 definito al par.24 del Commentario all’art.4, come il luogo in cui “the key management and commercial decisions that are necessary for conduct of the entity’s business as a whole are in substance made”. Innanzitutto va osservato che il criterio del place of effective management a cui si ispira la maggioranza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, al fine di individuare la residenza delle persone giuridiche, tende a privilegiare non già il luogo in cui concretamente si svolge l’attività d’impresa (rectius: il luogo in cu si produce il reddito), ma il luogo in cui si trovano le menti reali (real brains): ovvero la mente gestionale della società18. E’, comunque, opportuno osservare che l’Italia (così come, ad esempio, l’India), al fine di rendere la definizione convenzionale di residenza maggiormente in linea con la definizione interna, ha posto un’Osservazione al co.3 dell’art.4 del Modello Ocse di Convenzione contro le doppie imposizioni: è stato, infatti, previsto che al fine di individuare il place of effective management deve essere preso in considerazione anche il luogo in cui è esercitata l’attività principale e sostanziale dell’ente. Nella versione aggiornata del Commentario al Modello Ocse di Convenzione del 18 luglio 2008 è stato eliminato ogni riferimento al luogo in cui la persona o il gruppo di persone, che esercitano le funzioni di rango più elevato, assumono le sue decisioni. Nonché è stato inserito un nuovo paragrafo (il 24.1) che rimette alla procedura amichevole la soluzione dei casi di doppia imposizione, quale alternativa alla tie breaker rule fondata esclusivamente sul place of effective management. In particolare, al fine di risolvere i casi di doppia residenza, tale

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La nostra A.F. ha sempre affermato la prevalenza della norma internazionale su quella interna; cfr., ad esempio, la Nota del Ministero delle Finanze del 15 giugno 1983, n.8/765, la C.M. n.85/12/969/1977, la R.M. n.12/77, la C.M. n.85/12/969/1977, la R.M. n.12/1182/1978 e la R.M. n.12/1028/1980. Tali casi potrebbero verificarsi quando la società estera di cui si è attratta in Italia la residenza continua ad essere considerata residente nello Stato estero in virtù della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra i due Paesi. Il par.3 dell’art.4 del Modello Ocse di Convenzione contro le doppie imposizioni prevede che “Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated”. Cfr., in dottrina, K,Holmes, International Tax Policy and Double Tax Treaties, IBFD, 2009, pagg.125 e ss.. Cfr., in dottrina, J.F.Avery Jones, “Place of Effective Management as a Residence Tie-Breaker”, in Bulletin For International Fiscal Documentation, Volume 59, Number 1, January 2005, pagg.20 e ss.; E.Burgstaller - K.Haslinger, “Place of effective management as a tie-breaker-rule-concept, developments and prospects”, in Intertax, 2004, pagg.376 e ss.; C.Romano, “The Evolving Concept of “Place of Effective Management” as a Tie-breaker Rule under the OECD Model Convention and Italian Law”, in European Taxation, 2001, pagg.339 e ss.; G.Bizioli, “The evolution of the Concept of the Place of Management in Italian Case Law and Legislation: Interaction with tax treaties and EC Law”, in European Taxation, 2008, pagg.527 e ss.. Storicamente il collegamento della residenza al luogo dove si trova la mente gestionale della società viene fatto risalire ad alcune sentenze della House of Lords inglese e, in particolare, al caso giurisprudenziale De Beers (De Beers Consolidated Mines Ltd. V. Howe (1906). La fattispecie riguardava la nota società di estrazione dei diamanti che fu ritenuta residente nel Regno Unito dal momento che la maggior parte degli amministratori della società (9 su 16) risiedevano nel Regno Unito e che la maggior parte dei consigli di amministrazione erano tenuti a Londra; cfr., inoltre, sul tema, le Sentenze Swedish Central Rly. Co. Ltd. Thomson (1925), United Costruction Co. Ltd. V. Bullock (1960) e, in dottrina, J.Tiley, “Revenue Law, Butterworth”, Terza ed., Londra 1981, pagg.627 e ss..

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procedura amichevole potrà considerare, tra gli altri, il luogo in cui si svolge il Consiglio di Amministrazione, il luogo in cui si svolge il senior day-to-day management, il luogo in cui sono situati gli Headquarters, nonché il luogo della lex societatis19. Inoltre, la versione 2008 del Commentario all’art.4 (in particolare, il par.8.2) ha analizzato il rapporto esistente tra la perdita, da parte di una persona fisica o giuridica, della residenza in uno Stato a seguito dell’applicazione della tie breaker rule convenzionale e l’applicabilità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dallo Stato di cui il soggetto ha perso la residenza ai fini convenzionali (c.d. loser State) con Paesi terzi20. In tale situazione, il Modello Ocse di Convenzione prevede la non applicabilità delle Convenzioni stipulate dal loser State con Paesi terzi.

STATO A

STATO B

STATO TERZO

Una persona fisica/giuridica residente per norma interna in entrambi gli Stati (A e B) che ai fini convenzionali è considerata residente esclusivamente nello Stato B, non potrà beneficare delle Convenzioni stipulate dallo Stato A (loser) = Convenzione Bilaterale (DTT)

Tale previsione potrebbe trovare giustificazione nel fatto che si voglia evitare che un contribuente crei artificiosamente una doppia residenza, per poter poi beneficiare delle disposizioni delle Convenzioni internazionali a lui più favorevoli. In altri termini, il contribuente, creando una doppia residenza fittizia, potrebbe poter scegliere quale Convenzione applicare, situazione questa non auspicabile per l’Ocse. Compatibilità della norma sull’esterovestizione societaria con il Diritto Comunitario A giudizio della nostra A.F. - C.M. n.28/06, sotto il profilo della compatibilità comunitaria, la normativa in materia di esterovestizione è coerente con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia che nella Sentenza del 9 marzo 1999, Causa C-212/97, Centros Ltd, ha ritenuto che gli Stati membri sono liberi di determinare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello Stato. Inoltre, la possibilità di fornire la prova contraria garantisce una valutazione case by case e, dunque, la proporzionalità della norma rispetto al fine perseguito, necessario a mitigare la portata generale delle disposizioni antielusive. Ci pare, invece, che tale normativa sia in contrasto con il Diritto Comunitario21 perché: # è di ostacolo alla libertà di stabilimento22 delle società e alla libera circolazione delle persone, ovvero dei servizi23 (ad esempio, la norma 19

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Con riferimento a tale ultimo criterio, autorevole dottrina (cfr. G. Melis, La residenza fiscale delle società nell’Ires: giurisprudenza e normativa convenzionale, in Corr. Trib. n.45/08, pagg.3648 e ss.) ha ritenuto che “la soluzione accolta dall’Ocse lascia a dir poco perplessi. Essa costituisce un affastellato di criteri di natura affatto diversa, alcuni dei quali addirittura del tutto irrilevanti in chiave di collegamento tributario (si pensi alla lex societatis, ecc.)…Omissis”. Cfr., in dottrina, in senso critico, K.Van Raad, “2008 OECD Model: Operation and effect of Article 4(1) in dual residence issues under the updated commentary”, in Bulletin for International Taxation, 2009, pagg.187 e ss.. Al riguardo, va osservato che Commissione per l’esame della compatibilità comunitaria di norme e prassi tributarie italiane (ADC di Milano) ha presentato nel giugno 2009 alla Commissione Europea una denuncia di infrazione del Trattato CE in relazione all’esterovestizione societaria nella quale è stato ritenuto che tale normativa è incompatibile con il Diritto Comunitario. Con particolare riferimento alla libertà di stabilimento, cfr. anche le Sentenze della Corte di Giustizia del 10 luglio 1986, Causa C79/85, Segers, del 27 settembre 1988; Causa C-81/87, Daily Mail, del 5 novembre 2001; Causa C-208/00, Überseering e del 30 settembre 2003; Causa C-167/01, Inspire Art Ltd citata. Cfr., al riguardo, le Conclusioni dell’Avvocato Generale J.Kokott del 14 luglio 2005, C-265/04, nel caso Margaretha Bouanich; in particolare, nel par.71 di tali Conclusioni si legge…. “si desume che….l’una libertà non sopprime l’altra, bensì entrambe le libertà possono trovare applicazione al contempo”.

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dissuade a nominare membri dei Consigli di Amministrazione delle società estere italiani); # viola il precetto di proporzionalità24 nell’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Infatti, con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, va osservato che i criteri utilizzati dalla nostra A.F. per ritenere effettivamente residente all’estero la società, di cui si presume l’esterovestizione, sono talmente stringenti da creare serie difficoltà anche a chi è effettivamente radicato da un punto di vista commercialeimprenditoriale all’estero. Ne consegue che la soluzione al problema dell’esterovestizione societaria non dovrebbe ridursi ad una pura questione tecnica, in base alla quale al verificarsi di due presupposti, tra loro alternativi (in precedenza commentati), è attratta nel nostro Paese la sede dell’amministrazione del soggetto estero. Sarebbe probabilmente più logico considerare esterovestite solamente quelle società di puro artificio, di mera facciata, senza nessuna sostanza economica reale25, nonché considerare l’effettivo ruolo svolto dalla società estera all’interno del gruppo, privilegiando in tal modo un’analisi di tipo funzionale.

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Nell’ambito del Diritto Comunitario, il principio di proporzionalità viene fatto rientrare fra i principi generali; tale principio, infatti, deve essere inteso come espressione del principio di Stato di diritto (cfr., ad esempio, la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 luglio 1962, Mannesmann AG, c. Alta Autorità). In particolare, affinché una misura antielusiva possa essere ammessa come giustificazione ad eventuali restrizioni alle libertà comunitarie di stabilimento, nonché di circolazione dei capitali, questa non deve andare oltre quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo; cfr., al riguardo, le Sentenze della Corte di Giustizia Ue del 15 maggio 1997, Futura Participations SA and Singer, del 16 luglio 1998, ICI, del 21 novembre 2002, X e Y, C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant e del 12 settembre 2006; C- 196/04, Cadbury Schweppwe e Cadbury Schweppes Overseas citata. Ovviamente, nel caso di holding estera pura (ossia, limitate alla mera detenzione delle partecipazioni) andrebbero valorizzati, al fine della dimostrazione dell’effettivo radicamento all’estero della sede dell’amministrazione, non tanto la presenza di locali, dipendenti, ma ad esempio il ruolo di azionista attivo da questa svolto, nonché la funzione imprenditoriale, nonché strategica della holding stessa all’interno del gruppo.

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