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Indeducibilità dei costi sostenuti con fornitori indipendenti paradisi fiscali: alcune riflessioni di Ignazio La Candia (in "il fisco" n. 21 del 21 maggio 2007, pag. 1-3086)
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SOMMARIO: Premessa - 1. Dimostrazione delle circostanze esimenti - 2. Art. 110, comma 11, del Tuir e sanzioni applicabili - 3. Art. 110, comma 10, del Tuir e principio di non discriminazione: cenni - 4. Osservazioni conclusive.
Premessa Le recenti modifiche apportate dalla legge Finanziaria 2007 (1) alla disciplina in materia di spese e componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati (art. 110, comma 10, del Tuir, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) (2) costituiscono l'occasione per formulare alcune riflessioni sul tema, con particolare riferimento alle circostanze esimenti di cui al comma 11 dell'articolo citato, nonché all'aspetto sanzionatorio. La normativa introdotta nel nostro ordinamento dall'art. 11, comma 12, della L. 30 dicembre 1991, n. 413 (3), a decorrere dal 1° gennaio 1992, ha subito nel corso degli anni notevoli modifiche di carattere sostanziale soprattutto per effetto di quanto disposto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della L. 21 novembre 2000, n. 342 (4) - che, a mio avviso, hanno reso la stessa normativa sproporzionata rispetto all'obiettivo per il suo tramite perseguito, nonché di difficile applicazione, soprattutto per quanto concerne la dimostrazione delle circostanze esimenti (5).
1. Dimostrazione delle circostanze esimenti La disciplina in parola non trova applicazione qualora il soggetto residente fornisca la prova che il fornitore estero svolge prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione. Al fine della dimostrazione dell'effettivo esercizio dell'attività commerciale [come definita dall'art. 2195 del codice civile (6)] viene attribuito rilievo alla struttura organizzativa del soggetto fornitore estero e all'idoneità di questo allo svolgimento dell'attività principale. In altri termini, quello che conta è la presenza di una struttura organizzativa idonea allo svolgimento dell'attività principale prevista
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dall'oggetto sociale del soggetto fornitore estero, ovvero di attività che siano funzionali a quella principale. Con riferimento alla documentazione che il soggetto residente deve fornire al fine della dimostrazione della esimente in parola, utili indicazioni sono state fornite dalla Direzione regionale delle Entrate per il Piemonte nella Procedura del dicembre 2002 (in "il fisco" n. 30/2003, fascicolo n. 2, pag. 4717), nella quale è stato chiarito che, per dimostrare che il soggetto fornitore estero svolge un'attività commerciale effettiva, assumono rilevanza, ad esempio, l'iscrizione di quest'ultimo al locale Registro delle imprese, la copia delle delibere disciplinanti gli organi sociali e loro attività, la nomina degli amministratori e l'attribuzione dei relativi poteri, un prospetto descrittivo dell'attività esercitata, la copia del bilancio del soggetto estero, delle movimentazioni bancarie, la presenza di dipendenti, la disponibilità di locali ad uso civile o industriale, la stipula di contratti e utenze. In buona sostanza, viene richiesto al contribuente italiano di fornire documentazione analoga a quella richiesta al fine della dimostrazione del requisito della commercialità (7) nell'ambito della disciplina sulle imprese controllate estere - normativa CFC - di cui all'art. 167 del Tuir (8), con la sostanziale differenza che il fornitore estero con cui il costo è stato sostenuto, non legato al soggetto italiano da alcun rapporto di controllo, ovvero di collegamento (qualora, ovviamente, si faccia riferimento alla disciplina in materia di imprese collegate estere di cui all'art. 168 del Tuir), non è obbligato, di fatto, a fornire la documentazione richiesta. Il che, francamente, pone il contribuente italiano in una situazione di oggettiva difficoltà. Con riferimento alla seconda esimente, alternativa alla prima, ai fini della sua dimostrazione, l'Amministrazione finanziaria (9) ha dato, ad esempio, rilievo alla circostanza che i beni provenienti dal fornitore black list siano stati forniti ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato da analoghi fornitori, ovvero con un tempo di consegna ridotto rispetto a quello mediamente praticato da altri fornitori, aspetti questi che, benché assimilati dalla migliore dottrina alla verifica del requisito dell'inerenza (10) (11) delle spese sostenute, parrebbero sottintendere qualcosa di ulteriore e diverso (12). È di tutta evidenza, infatti, come la dimostrazione dell'effettivo interesse economico al compimento dell'operazione presuppone una valutazione dell'apprezzabilità economico-imprenditoriale dell'operazione medesima; in altri termini, l'Amministrazione finanziaria è chiamata a formulare un giudizio su quelli che sono i riflessi economico-aziendali delle operazioni d'impresa (rectius: sull'opportunità imprenditoriale dell'operazione), del tutto estranei alla vicenda tributaria (13). Peraltro, anche qualora ritenuta coincidente con il requisito dell'inerenza, la verifica dell'effettivo interesse economico al compimento di una determinata operazione non ha nulla a che vedere con l'opportunità, sotto il profilo imprenditoriale, delle scelte adottate. A mio avviso, bisognerebbe liberarsi dall'idea (propria della nostra Amministrazione finanziaria) che l'imprenditorialità sia ingrediente necessario dell'economicità; sono carenti di economicità le ragioni soltanto fiscali (rectius: le ragioni in cui il fattore fiscale è determinante, ancorché non esclusivo) e non quelle imprenditorialmente non convincenti,
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ovvero poco convincenti, per la nostra Amministrazione finanziaria (14). Qualche ulteriore riflessione con riferimento alla dimostrazione, da parte del soggetto acquirente italiano, della concreta esecuzione dell'operazione. Va, innanzi tutto, osservato che le importazioni di beni (essendo tali costi sostenuti con fornitori domiciliati fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea è di importazioni che deve parlarsi), qualora effettuate da operatori commerciali, devono essere dichiarate presso gli uffici doganali, mediante la presentazione dell'apposto documento amministrativo unico - cosiddetto "DAU" - che rimane in copia all'Agenzia delle Dogane (15). Le informazioni dichiarate all'atto dell'importazione sono memorizzate in una banca dati e possono altresì essere elaborate in modo da ottenere un elenco analitico, suddiviso per Paese di provenienza, degli acquisti effettuati da ciascun contribuente. In altri termini, l'Amministrazione finanziaria, anche a prescindere dalla dimostrazione, da parte del contribuente italiano, della concreta esecuzione dell'operazione, è perfettamente in grado di conoscere, in modo sistematico, gli acquisti di merci provenienti da soggetti fiscalmente domiciliati in paradisi fiscali non appartenenti all'Unione europea, con la conseguenza che la stessa ha perfetta conoscenza dell'ammontare dei costi sostenuti. Peraltro, come disposto dall'art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (16), norma attuativa dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'Amministrazione finanziaria, ovvero di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente (17). A me pare che la richiesta al contribuente di informazioni già in possesso dell'Amministrazione finanziaria, rappresentando una violazione del citato art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente, costituisce una disposizione costituzionalmente illegittima, essendo in contrasto con i precetti costituzionali sopra evidenziati; inoltre, posto che le scelte legislative devono rispettare i principi costituzionali di ragionevolezza e logicità, l'aver previsto, ai fini della disapplicazione della disciplina in commento, la dimostrazione, da parte del soggetto italiano, delle circostanze esimenti, come quelle in commento, rende il diritto eccessivamente difficile (18).
2. Art. 110, comma 11, del Tuir e sanzioni applicabili La legge Finanziaria 2007 ha introdotto una vera e propria sanatoria in tema di sanzioni applicabili, con la conseguenza che, a differenza di quanto previsto fino al 31 dicembre 2006, la mancata indicazione dei costi in parola in dichiarazione non ne preclude più la deducibilità sempreché, ovviamente, il contribuente sia in grado di dimostrare le circostanze esimenti di cui al comma 11 dell'art. 110 del Tuir (19). Vale la pena di ricordare che, fino al 31 dicembre 2006, la mancata indicazione dei costi in dichiarazione, anche qualora il contribuente fosse stato in grado di dimostrare le circostanze esimenti di cui si è detto,
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comportava la mancata deducibilità degli stessi. Il disconoscimento della deducibilità di costi effettivamente sostenuti, a seguito della loro mancata indicazione in dichiarazione, rappresentava un effetto notevolmente sproporzionato rispetto alla gravità dell'infrazione commessa, di tipo formale e non sostanziale. La legge Finanziaria 2007 ha sostanzialmente modificato il regime in parola; all'art. 110, comma 11, del Tuir è ora disposto che le spese e gli altri componenti negativi deducibili sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi. È stato, altresì, soppresso l'ultimo periodo del comma 11, ossia la norma che sanzionava con l'indeducibilità l'omessa separata indicazione nella dichiarazione dei relativi ammontari dedotti. Inoltre, all'art. 8, comma 3-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (20), è disposto che "Quando l'omissione o incompletezza riguarda l'indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all'articolo 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000". È stata quindi introdotta, nei casi di mancata indicazione dei costi in parola in dichiarazione, una sanzione amministrativa proporzionale e, comunque, non inferiore, ovvero superiore, agli ammontari in precedenza indicati. Tale sanzione si applica anche per le violazioni commesse prima del 1° gennaio 2007, sempre che il contribuente fornisca le prove richieste dalla normativa ai fini della deducibilità dei costi sostenuti; resta ferma, in tal caso (ossia nell'ipotesi della dimostrazione delle circostanze esimenti di cui si è detto), l'applicazione della sanzione in misura fissa, da euro 258 ad euro 2.065, prevista nei casi di inesattezza della dichiarazione dei redditi, di cui all'art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997. Al riguardo, l'Amministrazione finanziaria, a mezzo della circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E (21) - che ha formalizzato le risposte fornite in occasione di Telefisco 2007 - ha chiarito che, qualora la violazione sia stata contestata a seguito di accessi, ispezioni o verifiche, è applicabile solo la sanzione proporzionale introdotta dalla legge Finanziaria 2007, pari, come in precedenza osservato, al 10 per cento dei costi non indicati in dichiarazione, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000. Qualora, invece, il contribuente non abbia subito accessi, ispezioni o verifiche, egli potrà presentare dichiarazione integrativa, ai sensi dell'art. 2, comma 8, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (22); in tal caso, sarà applicata la sola sanzione in misura fissa prevista dal citato art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997 (sanzione compresa tra euro 258 ed euro 2.065). Questa recente interpretazione consolida l'orientamento espresso in materia dalla stessa Amministrazione finanziaria e già formalizzato nella risoluzione 17 gennaio 2006, n. 12/E (23). In altri termini, la presentazione, o meno, della dichiarazione integrativa è subordinata all'inizio di un'attività ispettiva. Tale posizione non può essere condivisa; innanzi tutto, vale la pena di
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ricordare che, da un punto di vista procedurale, la preclusione al compimento di determinati atti (quale, ad esempio, la presentazione di una dichiarazione integrativa) da parte del contribuente non può essere creata dall'Amministrazione finanziaria, bensì deve essere espressamente prevista ex lege. A ciò si aggiunga che la stessa Amministrazione, nella circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E (24), ha chiarito che, a differenza delle dichiarazioni integrative, il ravvedimento operoso - di cui all'art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (25) - è precluso se sono iniziati accessi, ispezioni, verifiche, ovvero altre attività amministrative di accertamento. Tale principio è stato accolto anche in alcune recenti pronunce giurisprudenziali (26), nelle quali è stato osservato che gli accessi, ovvero le verifiche, sono correlati solamente al ravvedimento operoso. Al di fuori di questi casi, non opera nessuna preclusione alla presentazione della dichiarazione integrativa, anche qualora siano iniziati accessi, ispezioni, ovvero verifiche. A livello normativo, quindi, nessun elemento ostativo è posto all'emendabilità della dichiarazione e, pertanto, l'inizio di una (eventuale) attività ispettiva non deve impedire l'integrazione della dichiarazione originaria. Del resto, ogni interpretazione del sistema legislativo che neghi la rettificabilità della dichiarazione da parte del contribuente finirebbe per sfociare nel risultato di sottoporre detto contribuente ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito e, al contempo, si rivelerebbe difficilmente compatibile con il principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all'art. 53 della Costituzione, e della correttezza oggettiva dell'azione amministrativa (27). La dichiarazione dei redditi è un atto (rectius: dichiarazione di scienza) (28) ritrattabile e, quindi, emendabile, a prescindere dal fatto che sia iniziata, o meno, un'attività ispettiva, a condizione che, ovviamente, si riferisca a rapporti tributari non ancora divenuti definitivi (29).
3. Art. 110, comma 10, del Tuir e principio di non discriminazione: cenni Come disposto dall'art. 24, comma 4, del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni (30), gli interessi, canoni ed altre spese pagati da un'impresa di uno Stato contraente ad un residente dell'altro Stato contraente sono deducibili, ai fini della determinazione degli utili imponibili di detta impresa, nelle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero stati pagati da un residente del primo Stato (31). Tale previsione, il cui fine è quello di evitare che un soggetto residente in uno Stato contraente venga, di fatto, discriminato rispetto ad un residente di un altro Stato contraente, per operazioni poste in essere in quest'ultimo Stato, è inserita nelle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate con alcuni Paesi, non appartenenti all'Unione europea, inclusi nella black list ministeriale che, con riferimento all'art. 110, comma 10, del Tuir, ha individuato gli Stati e territori, non appartenenti all'Unione europea, aventi un regime fiscale privilegiato (32). Ne costituiscono esempio i Trattati stipulati dal nostro Paese con la
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Corea del Sud, l'Ecuador, gli Emirati Arabi Uniti, nonché la Svizzera. In particolare, con riferimento a tale ultimo Paese, incluso nella black list ministeriale limitatamente alle società holding ausiliarie e di domicilio (33), il comma 3 dell'art. 25 della relativa Convenzione contro le doppie imposizioni (34) dispone che le spese pagate da un'impresa di uno Stato contraente (società italiana) ad un residente dell'altro Stato contraente (fornitore indipendente svizzero) sono deducibili, ai fini della determinazione degli utili imponibili di detta impresa, nelle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagati ad un residente del primo Stato (ossia, ad un fornitore italiano). È innegabile, quindi, che, con riferimento agli acquisiti che un'impresa italiana effettua nei confronti di fornitori indipendenti domiciliati fiscalmente in Stati non appartenenti all'Unione europea con cui è stata stipulata apposita Convenzione per evitare la doppia imposizione che contiene una clausola di non discriminazione come quella in esame, si pone un evidente problema di compatibilità con le disposizioni convenzionali e, in particolare, con il principio di non discriminazione in queste statuito (35). Ne consegue che, in questi casi, la normativa in commento non deve trovare applicazione; spiace rilevare come ad oggi, a quanto è dato sapere, tale problematica - e, più in generale, l'aspetto della compatibilità delle norme antiabuso nazionali con le disposizioni convenzionali - non è stata analizzata dai giudici nazionali (36). A me pare che una siffatta differenza di trattamento, a seconda della residenza del fornitore estero, non sia motivata né dalla necessità di preservare la coerenza del nostro sistema fiscale né dall'esigenza dell'efficacia dei controlli fiscali; quest'ultima, infatti, non può giustificare il fatto che il nostro Paese assoggetti i costi in parola a condizioni di deducibilità diverse a seconda che siano sostenuti con fornitori nazionali, ovvero esteri. Inoltre, va osservato che, in alcune Convenzioni internazionali stipulate da alcuni Paesi (37), è espressamente previsto che eventuali clausole di non discriminazione in esse previste non pregiudicano, comunque, l'applicazione di disposizioni antiabuso nazionali il cui fine sia quello di prevenire fenomeni di frode, ovvero l'evasione fiscale.
4. Osservazioni conclusive Il comma 11 dell'art. 110 del Tuir, oltre che violare precetti costituzionali, rende il diritto eccessivamente difficile, soprattutto per quanto riguarda la dimostrazione delle circostanze esimenti. Posto che avrebbe senso ricondurre l'applicazione di tale normativa all'interno dei gruppi d'impresa, questa dovrebbe essere, comunque, modificata, soprattutto per quanto concerne l'applicazione delle circostanze esimenti che, come in precedenza osservato, richiedono la dimostrazione, nonché valutazione, di elementi in alcuni casi difficilmente acquisibili dal soggetto italiano, estranei alla vicenda tributaria che, per loro natura, si collocano nell'ambito dell'economia aziendale. La normativa, anche tenuto conto di quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE (38), dovrebbe trovare applicazione solamente in presenza di
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costruzioni puramente artificiali in cui le ragioni fiscali, ancorché non esclusive, sono determinanti (39). Al riguardo, mi auspico che gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia UE non vengano più trascurati, perché è (e sarà) sempre maggiore l'influenza che le sentenze da questa elaborate eserciteranno sulle singole legislazioni nazionali (40), nonché sul diritto convenzionale (41). Inoltre, la normativa in esame non dovrebbe trovare applicazione nei casi in cui il ricorso al fornitore estero, ancorché domiciliato in un paradiso fiscale non appartenente all'Unione europea, rappresenti una necessità legata all'assetto operativo, o meglio organizzativo-funzionale, del soggetto residente, circostanza questa riconosciuta, anche se in altri contesti, valida dalla nostra Amministrazione finanziaria, al fine della non applicazione della normativa sulle imprese controllate estere (42). Ad esempio, la dimostrazione della deducibilità del costo non dovrebbe essere richiesta per il tramite delle circostanze esimenti di cui si è detto, qualora l'importazione di prodotti, ovvero principi attivi, da tali Paesi non derivi da valutazioni di carattere fiscale ma rappresenti una necessità inderogabile (rectius: indispensabile) del soggetto italiano, al fine dell'espletamento della funzione produttiva di quest'ultimo.
Note: Ignazio La Candia è componente della Commissione Fiscalità Internazionale dell'Ordine dei Dottori commercialisti di Milano. Si ringrazia per la fattiva collaborazione alla stesura di questo articolo il Dott. Vito Marraffa dell'Ufficio Studi dello Studio Pirola, Pennuto, Zei & Associati di Milano. (1) Cfr. L. 27 dicembre 2006, n. 296, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 244/L alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2006, n. 299. La legge Finanziaria 2007, costituita da un unico articolo di 1.364 commi, più di 350 provvedimenti di attuazione ai quali rimanda, ha normato, non sempre in un'ottica di sviluppo per le imprese, ogni aspetto della vita di queste, limitando fortemente le loro possibilità di scelta. Vale la pena di ricordare che l'adozione di provvedimenti in ambito fiscale - in alcuni casi, passibili di cesura anche davanti alle istituzioni comunitarie - non dovrebbe essere unicamente preordinata al soddisfacimento di esigenze di gettito; spiace rilevare come, purtroppo, di recente sempre più spesso l'emergenza di carattere finanziario abbia creato non pochi elementi di tensione tra imprese e Amministrazione finanziaria, compromettendo, nei rapporti tra Fisco e contribuenti, il rispetto di quei principi di certezza del diritto, correttezza, trasparenza, collaborazione, affidamento e buona fede, statuiti nel cosiddetto Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), ormai sistematicamente disattesi dai provvedimenti normativi di fine 2006, nonché dalla legge Finanziaria 2007. Le norme tributarie devono essere compatibili e coerenti con il contenuto di detto Statuto; cfr. Corte di Cassazione, sentenza del 10 dicembre 2002, n. 17576 (in "il fisco" n. 1/2003, fascicolo n. 1, pag. 137) e, con particolare riferimento all'importanza della certezza del diritto e
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dell'affidamento, sentenze del 6 ottobre 2006, n. 21513 (in "il fisco" n. 40/2006, fascicolo n. 1, pag. 6281) e del 30 novembre 2006, n. 25506 (in "il fisco" n. 47/2006, fascicolo n. 1, pag. 7313). Cfr., anche, G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente nella quinquennale esperienza giurisprudenziale, in "Diritto e Pratica Tributaria" n. 5/2005, pagg. 1007 e seguenti; D. Stevanato, Tutela dell'affidamento e limiti all'accertamento del tributo, commento a Cass. n. 17576/2002, in "Rassegna Tributaria" n. 2/2003, pagg. 815 e seguenti; C. Glendi, Sezioni Unite della Cassazione e legislatore "pro Fisco" (a proposito di edificabilità dei suoli ai fini impositivi), in "GT, Rivista di Giurisprudenza Tributaria" n. 1/2007, pagg. 5 e seguenti; M. Beghin, Il concetto di "area fabbricabile" tra "ius aedificandi" e prelievo fiscale, in "Corriere Tributario" n. 4/2007, pagg. 315 e seguenti. (2) Gli Stati o territori a regime fiscale privilegiato sono stati individuati in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti. Come chiarito dalla circolare 16 novembre 2000, n. 207/E - rubricata "Collegato fiscale alla legge Finanziaria 2000. Primi chiarimenti" - una tassazione sensibilmente inferiore è riscontrabile con riferimento al livello delle aliquote delle imposte in un determinato Paese o territorio, ovvero avuto riguardo alle caratteristiche strutturali dei tributi, la cui applicazione comporta una tassazione inferiore in capo al contribuente. Ne deriva che possono essere considerati fiscalmente privilegiati Paesi che adottano regole di formazione della base imponibile notevolmente difformi da quelle italiane, con la conseguenza che la tassazione risulta di fatto sensibilmente inferiore. Il Comitato per gli Affari Fiscali dell'OCSE ha pubblicato, in data 25 settembre 2006, un Rapporto (2006 Update on Progress in Member Countries) sui risultati raggiunti nell'eliminazione dei regimi fiscali dannosi. Tale Rapporto segue i precedenti del 2004 (The 2004 Progress Report) e del 2001 (The 2001 Progress Report) e aggiorna la valutazione sui regimi fiscali agevolativi che furono indicati come potenzialmente dannosi nel Rapporto del 2000 (Towards Global Tax Cooperation). Particolare ottimismo su quanto fin qui svolto può essere percepito dal commento sul Rapporto 2006 del Presidente del Comitato Affari Fiscali dell'OCSE, Paolo Ciocca, il quale ha affermato che "this Report … shows that we are making real progress in addressing harmful tax practices. Further work is required to fully implement the standards we have set so that national tax laws in countries large and small can be fairly and effectively enforced. I look forward to more rapid progress in this area". Nel Paragrafo 16 del Rapporto 2006 Update on Progress in Member Countries, viene osservato che "The Committee considers that this part of the project has fully achieved its initial aims and that the mandate given by the Council on dealing with harmful preferential tax regimes in Member Countries has therefore been met. Future work in this area will focus on monitoring any continuing and newly introduced preferential tax regimes identified by member countries. This process permits any member country to request a review of any newly introduced preferential tax regime. It also permits any member country to request a review of any existing preferential tax regime to the extent it considers that the nature of the regime or the
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extent and manner of its use have changed in ways that may make it harmful under the criteria established in the 1998 Report". (3) Cfr. L. 30 dicembre 1991, n. 413, rubricata "Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale". In particolare, il comma 12 dell'art. 11 (che ha aggiunto il comma 7-bis all'art. 76 del Tuir) disponeva che "… Non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile …". Veniva considerato privilegiato il regime fiscale dello Stato o territorio estero che escludeva da imposte sul reddito i redditi conseguiti dalle società estere controllate, ovvero che sottoponeva i redditi da queste conseguiti ad imposizione in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi della stessa natura. Ai sensi del comma 12 dell'articolo citato, il contribuente poteva dedurre i costi in parola a condizione che fosse dimostrato che: i) le società estere svolgevano prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero: ii) che le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed avevano avuto concreta esecuzione. (4) Cfr. L. 21 novembre 2000, n. 342, rubricata "Misure in materia fiscale". Il comma 8, lettera b), dell'art. 1 (che ha sostituito il comma 7-bis dell'art. 76 del Tuir) disponeva che "… Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti". Il comma 7-ter dell'art. 76 del Tuir [come sostituito dall'art. 1, comma 8, lettera b), della L. n. 342/2000] disponeva che "Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscono la prova che le imprese estere svolgono principalmente un'attività industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese nel quale hanno sede. L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 7-bis è comunque
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subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti". L'attuale formulazione della norma ha eliminato, ai fini della verifica dello svolgimento di un'attività commerciale effettiva del soggetto estero, il riferimento al mercato del Paese nel quale ha sede, nonché reinserito, tra le circostanze esimenti, l'effettivo interesse economico e la concreta esecuzione delle operazioni. Cfr. circolare 13 maggio 2002, n. 40/E (in "il fisco" n. 21/2002, fascicolo n. 2, pag. 3156), rubricata "L. 28 dicembre 2001, n. 448 (Finanziaria 2002). Primi chiarimenti. Disposizioni riguardanti le imprese" e, per un'analisi delle modifiche che hanno interessato la disposizione normativa in commento, M. Valdonio, Spese derivanti da operazioni con soggetti residenti in stati e territori a regime fiscale privilegiato, circostanze, esimenti, in "Rivista di Diritto Tributario", 2003, Parte IV, pagg. 33 e seguenti. (5) Cfr. G. Maisto, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società estere soggette a regime fiscale privilegiato, in "Rivista di Diritto Tributario", 1991, I, pagg. 757 e seguenti; T. Di Tanno, La indeducibilità degli elementi negativi di reddito nei rapporti con residenti in paradisi fiscali individuati nel D.M. 24 aprile 1992, in "Bollettino Tributario" n. 18/1992, pagg. 1405 e seguenti; R. Cordeiro Guerra, Prime osservazioni sul regime fiscale delle operazioni concluse con società domiciliate in Paesi o territori a bassa fiscalità", in "Rivista di Diritto Tributario", 1992, Parte I, pagg. 277 e seguenti. (6) Cfr. art. 2195 del codice civile, rubricato "Imprenditori soggetti a registrazione", il quale dispone che "Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti. Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano". (7) Al fine della dimostrazione del requisito della commercialità nell'ambito della disciplina sulle imprese controllate estere, assume rilievo la circostanza che la società, ovvero l'ente, non residente svolga un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede [lettera a) del comma 5 dell'art. 167 del Tuir). (8) Cfr. art. 167 del Tuir, rubricato "Disposizioni in materia di imprese estere controllate". Per un'analisi comparata delle normative CFC, cfr. Rapporto OCSE, Studies in Taxation of Foreign Source Income, Controlled Foreign Companies Legislation, OECD, 1996; D. Sandler, Tax Treaties and Controlled Foreign Company Legislation, Kluwer Law International, 1998; R. Fontana, The Uncertain Future of CFC Regimes in the Member States of the European Union, "European Taxation" n. 6/2006, pagg. 259 e seguenti e, in particolare, Parte I. (9) Cfr. risoluzione 16 marzo 2004, n. 46/E (in "il fisco" n. 14/2004, fascicolo n. 2, pag. 2083), rubricata "Istanza di interpello ai sensi
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dell'art. 11, comma 13, della L. 30 dicembre 1991, n. 413. Art. 110, comma 11, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - Deducibilità di costi derivanti da operazioni con società avente sede in Mauritius". Si ricorda che Mauritius è uno Stato inserito nella black list ministeriale di cui al D.M. 23 gennaio 2002 limitatamente alle società certificate che si occupano di servizi all'export, all'espansione industriale, alla gestione turistica, nonché alle costruzioni industriali e cliniche e che sono soggette a Corporate Tax in misura ridotta, alle Offshore Companies e alle International Companies. Nel caso di specie, la fornitura a prezzi scontati (i prezzi praticati dal fornitore estero risultavano mediamente inferiori di oltre il 30 per cento di quelli praticati da altri fornitori italiani) è stata ritenuta indice di effettivo interesse economico. (10) Sul principio dell'inerenza, cfr. G. Tinelli, Il reddito d'impresa nel diritto tributario, Milano, 1991, pagg. 246 e seguenti. Il principio in parola, esplicitato nel comma 5 dell'art. 109 del Tuir, rubricato "Norme generali sui componenti del reddito d'impresa", implica che tali componenti negativi siano in un rapporto di stretta correlazione (rectius: rapporto di causa ed effetto) con l'attività produttiva dell'impresa; l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che l'inerenza non è legata ai ricavi ma 158/E, all'attività d'impresa (cfr. risoluzione 28 ottobre 1998, n. rubricata "Applicazione del principio generale di inerenza sancito dall'art. 75 del Tuir - Deducibilità dei rimborsi spese elargiti agli atleti ai sensi della L. 25 marzo 1986, n. 80, dei proventi commerciali conseguiti da associazioni sportive dilettantistiche non riconosciute ai sensi dell'art. 36 del codice civile - Quesito della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Lega nazionale Dilettanti" e risoluzione 12 febbraio 1985, n. 9/1603, rubricata "Irpef - Reddito d'impresa - Contributi erogati ad aziende autonome di soggiorno"). (11) Cfr. G. Maisto, op. cit., pag. 764; A. Manzitti, Nuove norme contro l'abuso dei "paradisi fiscali", in "Le Società" n. 1/1992, pag. 16; S. Mayr, Anche l'Italia avrà una legge contro le cosiddette "società-oasi" estere, in "Corriere tributario" n. 43/1991, pag. 3192. Tuttavia, Maisto, pur ritenendo che alla locuzione interesse economico non potesse essere attribuito un significato alternativo "e cioè diverso, o molto diverso, dall'inerenza", già nel 1991, avanzava il "legittimo sospetto che l'ambiguità dell'espressione (effettivo interesse economico) incoraggi [incoraggiasse, n.d.A.] l'Amministrazione ad avventurarsi in valutazioni di natura imprenditoriale. Mi riferisco all'ipotesi in cui l'interesse economico fosse fatto coincidere con l'opportunità (imprenditoriale) di effettuare una determinata operazione: indagini e valutazioni non accessibili all'amministrazione finanziaria", cfr. op. cit., pag. 764. (12) Cfr. F. Gallo, Prime osservazioni su alcune recenti norme antielusione, in "Diritto e Pratica Tributaria", 1992, Parte I, pagg. 1761 e seguenti; R. Cordeiro Guerra, op. cit.; in particolare, Cordeiro Guerra, a pag. 306 dell'articolo citato, ha ritenuto che "nel contesto di riferimento … l'effettività sembra alludere alla necessità che il negozio non sia posto in essere solo al fine di ottenere un vantaggio fiscale, ma risponda altresì ad un effettivo (e diverso) interesse economico: interesse da valutare naturalmente in via astratta e preventiva e senza pretendere di arrivare addirittura a sindacare il merito della scelta economica imprenditoriale". (13) Tale circostanza, del resto, è stata anche confermata
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dall'Amministrazione finanziaria nella circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E (in "il fisco" n. 4/2007, fascicolo n. 2, pag. 535), rubricata "D.L. n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286 - Primi chiarimenti", emanata a commento delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 262/2006; il D.L. n. 262/2006, introducendo nell'art. 110 del Tuir il nuovo comma 12-bis, ha previsto che le disposizioni in materia di indeducibilità dei costi sostenuti con fornitori indipendenti domiciliati fiscalmente in paradisi fiscali non appartenenti all'Unione europea si applicano anche in relazione alle prestazioni di servizi rese da professionisti domiciliati in tali Stati o territori. In particolare, è stato chiarito che "la valutazione dell'effettivo interesse a ricevere la prestazione professionale deve interessare l'apprezzabilità economico-imprenditoriale complessiva della stessa. Questo requisito può evincersi dalla specificità o unicità della prestazione professionale con riferimento a particolari esigenze dell'impresa più che dalla entità del compenso". (14) Cfr. Commissione tributaria di I grado di Modena, 14 dicembre 1995, n. 22. (15) Il Documento Amministrativo Unico (DAU), adottato a livello comunitario nel 1988, è l'apposito formulario utilizzato per la redazione delle Dichiarazioni doganali; si compone di 8 esemplari (gli esemplari 6 e 8 sono relativi alla Dichiarazione di immissione in libera pratica/importazione). Il Regolamento (CE) 18 dicembre 2003, n. 2286/2003, rubricato "recante modifica del regolamento (CEE) n. 2454/93 che fissa talune disposizioni d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario", ha stabilito nuove modalità di compilazione del DAU, entrate in vigore il 1° gennaio 2007. L'Agenzia delle Dogane ha fornito chiarimenti sulla compilazione dei formulari per le dichiarazioni doganali a mezzo della circolare dell'11 dicembre 2006, n. 45/D, rubricata "Regolamento (CE) n. 2286/2003 della Commissione del 18 dicembre 2003. Istruzioni nazionali per la stampa, l'uso e la compilazione dei formulari per le dichiarazioni doganali". (16) L'art. 6 della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), rubricato "Conoscenza degli atti e semplificazione" dispone che "1. L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari. 2. L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito. 3. L'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che
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i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione siano messi a diposizione del contribuente in tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli. 4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa. 5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma". (17) Cfr. sentenza della Corte di Cassazione, Sezione tributaria, del 5 ottobre 2001, n. 12284. (18) Cfr. sentenze della Corte Costituzionale del 21 aprile 2000, n. 14 (in "il fisco" n. 20/2000, pag. 6695) e del 9 luglio 2002, n. 332 (in "il fisco" n. 31/2002, fascicolo n. 1, pag. 5050). (19) Cfr. A. Zoccali, Deducibilità dei costi black list: un'ipotesi ricostruttiva, in "Fiscalità Internazionale", marzo-aprile 2007, pagg. 99 e seguenti. (20) Cfr. D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, rubricato "Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662". In particolare, l'art. 8 è rubricato "Violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni". (21) Cfr. circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E (in "il fisco" n. 8/2007, fascicolo n. 2, pag. 1088), rubricata "Profili interpretativi emersi nel corso di incontri con la stampa specializzata tenuti nel mese di gennaio 2007" e, in particolare, il punto 12.6 in cui è stato osservato che "la modifica normativa [ossia, la modifica del regime sanzionatorio, n.d.A.] fa riferimento a due fattispecie diverse, non essendo, ovviamente, possibile ipotizzare l'applicazione di due sanzioni della medesima specie ad una condotta che viola un'unica disposizione". (22) Cfr. D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rubricato "Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662". In particolare, l'art. 2 è rubricato "Termine per la
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presentazione della dichiarazione in materia di imposte sui redditi e di I.R.A.P.". (23) Cfr. risoluzione 17 gennaio 2006, n. 12/E (in "il fisco" n. 5/2006, fascicolo n. 2, pag. 768), rubricata "Art. 110, commi 10 ed 11, del testo unico delle imposte sui redditi. Emendabilità della dichiarazione del contribuente". Al riguardo, osservo che, a seguito di un'interrogazione parlamentare presentata dall'On. Maurizio Leo il 15 novembre 2005, n. 5-04959, l'allora Sottosegretario del Ministero dell'economa e delle finanze, Daniele Molgora, aveva ritenuto, a mio avviso in maniera non condivisibile, che, nel caso in cui fosse già iniziata un'attività di ispezione o di verifica, non era possibile presentare alcuna dichiarazione integrativa. (24) Cfr. circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E (in "il fisco" n. 5/2002, fascicolo n. 2, pag. 680), rubricata "D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 'Regolamento recante modifiche al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, nonché disposizioni per la semplificazione e razionalizzazione di adempimenti tributari'". (25) Cfr. D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, rubricato "Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662". (26) Cfr., ad esempio, la sentenza 5 luglio 2006, n. 77, della Commissione tributaria provinciale di Treviso (in "il fisco" n. 45/2006, fascicolo n. 1, pag. 7047) nella quale è stato chiarito che "Il contribuente è legittimato all'integrazione della dichiarazione presentata ai fini delle imposte sul reddito - secondo le modalità previste dall'art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 - laddove sia incorso in errori ed omissioni di natura formale e non sostanziale, i quali non rechino pregiudizio alle ragioni dell'Erario. Nel caso di specie, non rilevano gli accessi, ispezioni e verifiche effettuati da parte della polizia tributaria la cui natura preclusiva è riservata all'operatività ed efficacia del differente istituto del 'ravvedimento operoso', disciplinato dall'art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 …". (27) Cfr. sentenze della Corte di Cassazione 25 ottobre 2002, n. 15063 (in "il fisco" n. 40/2002, fascicolo n. 2, pag. 5699) e 6 dicembre 2002, n. 17394 (in "il fisco" n. 48/2002, fascicolo n. 1, pag. 7706). In particolare, nella prima delle sentenze citate, è stato osservato che "È, in linea di principio, consentito al contribuente di ritrattare ed emendare la dichiarazione dei redditi affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, ove dall'errore derivi l'assoggettamento del dichiarante ad oneri tributari diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; tale dichiarazione costituisce un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria …". (28) Senza pretesa di esaustività, segnalo alcune considerazioni formulate, sul punto, da autorevole dottrina; A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, pag. 384, ha ritenuto che "vi è da tempo concordia
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in dottrina nel ritenere che la dichiarazione tributaria costituisca una dichiarazione di scienza"; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 1999, pag. 419, il quale ha ritenuto che "le affermazioni che limitano la ritrattabilità della dichiarazione tributaria si pongono in contrasto con l'orientamento manifestato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, secondo le quali la dichiarazione dei redditi ha contenuto e funzione di manifestazione di scienza (è un mero atto) e non può avere efficacia dispositiva"; E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2002, pag. 291, il quale ha osservato che "la giurisprudenza pratica può quasi unanimemente affermare che la dichiarazione dei redditi, in considerazione del carattere dell'obbligazione legale, non ha altra natura che quella di dichiarazione di scienza, cioè della semplice esposizione dei fatti, suscettibile di costituire il presupposto dell'obbligazione tributaria, e non di manifestazione di volontà consistente nell'accettazione del debito tributario o nell'impegno al pagamento stesso"; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2004, pag. 39, il quale ha ritenuto che "le dichiarazioni tributarie debbono considerarsi aventi natura (non confessoria, ma) di 'dichiarazione di scienza', in quanto privi di contenuti effettivamente dispositivi ed unicamente volti alla partecipazione o comunicazione di fatti fiscalmente rilevanti". (29) Al riguardo, mi pare significativo l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, Sezione tributaria, nella sentenza 28 febbraio-20 giugno 2002, n. 8972, e in "Rivista di Diritto Tributario", 2002, Parte II, pagg. 723 e seguenti, con nota di R. Baggio, nella quale è stato chiarito che il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, anche dopo la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione e tale rettifica, se fondata, deve essere presa in considerazione dall'ufficio ai fini della liquidazione dell'imposta dovuta. (30) Cfr. art. 24 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, rubricato "Non discriminazione". (31) Sulla natura e sulla portata del principio di non discriminazione, cfr. P. Pistone, La non discriminazione anche nel settore dell'imposizione diretta: intervento della Corte di Giustizia, in "Diritto e Pratica Tributaria", 1995, pagg. 1489 e seguenti; P. Adonnino, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari tra Paesi membri secondo le norme della CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in "Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze", 1993, pagg. 63 e seguenti; L. Daniele, Il divieto di discriminazione fiscale nella giurisprudenza comunitaria (1980-1987), Problematiche del diritto delle Comunità europee, a cura di Tizzano, Roma, 1992, pagg. 949 e seguenti; E. Vanoni, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, in "Opere giuridiche", Vol. I, Milano, 1961, pagg. 96 e seguenti; M. Terra-H.L. Wattel, European Tax Law, Deventer, 1997; G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 1995; A. Tizzano, Sul divieto di discriminazioni fiscali nella CEE, in "Foro Italiano", IV, 1976, 318 e seguenti. (32) Cfr. decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 23 gennaio 2002. (33) Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 23 gennaio 2002, all'art. 3, comma 1, n. 13), ha incluso tra questi la Svizzera, con riferimento alle società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliare e di domicilio.
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(34) Tale Convenzione è stata ratificata in Italia con L. 23 dicembre 1978, n. 943, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 12 febbraio 1979, n. 42. (35) Sul tema della compatibilità tra norme antiabuso di diritto interno e disposizioni convenzionali, cfr. B.J. Arnold, Tax Treaties and Tax Avoidance: The 2003 Revisions to the Commentary to the OECD Model, "Bullettin for International Fiscal Documentation", giugno 2004, pagg. 244 e seguenti; S.V. Weeghel, The Improper Use of Tax Treaties, Deventer, Kluwer, 1998; G. Maisto, Tax Treaties and Domestic Law, EC and International Tax Law Series, Volume II, "International Bureau of Fiscal Documentation (IBFD)", 2006; S. Douma, The Three Ds of Direct Tax Jurisdiction: Disparity, Discrimination and Double Taxation, "European Taxation", novembre 2006, pagg. 522 e seguenti. (36) Per precedenti giurisprudenziali esteri, anche se con riferimento alla compatibilità delle normative CFC con le disposizioni convenzionali, cfr. Conseil d'Etat, sentenza 28 giugno 2002, causa Société Schneider Electric (Francia), Court of Appeal, sentenza 25 luglio 1999, causa Bricom Holdings Limited (Gran Bretagna), Administrative Supreme Court, sentenza del 20 marzo 2002, causa A Oyj ABP (Finlandia). (37) Cfr., ad esempio, Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dagli Stati Uniti e dal Canada; per un'analisi comparata, cfr. P. Valente, Controlled Foreign Companies (CFC), Ed. "Il Sole-24 Ore", 2001, pagg. 13 e 14. (38) Cfr. sentenze della Corte di Giustizia UE Cadbury Schweppes, C-196/04 del 12 settembre 2006 (in "il fisco" n. 36/2006, fascicolo n. 2, pag. 5502), Halifax plc, C-255/02 del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, C-524/04 del 12 dicembre 2006, e Rainer-J. Roels-O. Thommes-E. Tomsett-H. Hurk-G. Weening, ECJ Restricts Scope of CFC Legislation, "Intertax", Volume 34, n. 12/2006, pagg. 636 e seguenti; F. Vanistendael, Halifax and Cadbury Schweppes: one single European theory of abuse in tax law?, "EC Tax Review", n. 4/2006, pagg. 193 e seguenti. Con particolare riferimento alla non discriminazione, cfr. sentenza della Corte di Giustizia UE del 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Bent Vestergaard A/S e, in particolare, i punti 22 e seguenti. (39) Cfr. P. Pistone, L'elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisazioni terminologiche della Corte di Giustizia Europea in tema di IVA, in "Rivista di Diritto Tributario" n. 1/2007, Parte IV, e, in particolare, pagg. 22 e 23. L'Autore ha ritenuto che nel corso dell'ultimo decennio la Corte di Giustizia ha costantemente affermato che l'elusione fiscale potesse verificarsi soltanto in presenza di costruzioni puramente artificali. Inoltre, "la sentenza Halifax … si distacca da questo schema e configura l'abuso [del diritto, n.d.A.] non in funzione di costruzioni puramente artificiali, quanto piuttosto nel fatto che … le operazioni poste in essere procurino un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe in contrasto all'obiettivo perseguito dalle suddette disposizioni. In altri termini, già quando le ragioni fiscali sono determinanti - ancorché non esclusive - rispetto all'operazione prescelta dal contribuente è possibile per il diritto comunitario configurare l'elusione, dunque l'abuso di forme giuridiche". Con riferimento alla nascita della teoria dell'abuso del diritto, cfr. Josserand, De l'esprit des droits ed de leur relativité. Théorie de l'abus de droit, Parigi, 1927,
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pagg. 83 e seguenti e P.M. Tabellini, L'elusione della norma tributaria, in "Teoria e Pratica del Diritto", Giuffrè, Milano, 2007. (40) Cfr. G. Maisto, Le interrelazioni tra "diritto tributario comunitario" e "diritto tributario internazionale", in "Rivista di Diritto Tributario" n. 11/2006, Parte I, pagg. 865 e seguenti; P. Pistone, The Impact of Community Law on Tax Treaties, Deventer, 2002, pagg. 1191 e seguenti; A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, pag. 95. In particolare, Maisto osserva che "Esiste, infine, un ultimo profilo di contatto tra diritto comunitario e diritto tributario internazionale interno (di recente esteso a tutto il diritto tributario interno), che si estrinseca in quella che la nostra Corte di Cassazione ha in una circostanza definito forza 'espansiva' del diritto comunitario, perché i principi sviluppati in seno a tale ordinamento trascendono i confini delle materie disciplinate dal legislatore comunitario, e filtrano il sistema nel suo complesso. In materie diverse dal diritto tributario, ad esempio, un'autorevole dottrina [G. Alpa, G. Strozzi e, in materia tributaria, A. Fedele, n.d.A.] ha rilevato la presenza (in Italia ed in altri Stati membri) di … un effetto di trascinamento dei principi comunitari al di là dei confini loro propri: essi finiscono per incidere su rapporti che sarebbero, estranei, per loro natura, alla loro influenza"; cfr. op. cit., pag. 877 e note (46) e (47) di pag. 877. (41) Cfr. le recenti modifiche proposte l'8 dicembre 2006 dall'OCSE, nel Rapporto The Tax Treaty Treatment of Services: Proposed Commentary change, al Commentario all'art. 17 - "Artisti e Sportivi" - del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, a mio avviso da relazionarsi anche alle recenti sentenze della Corte di Giustizia UE del 3 ottobre 2006, caso C-290/04, FKP Scorpio Konzertproduktionen GmbH v. Finanzamt HamburgEimsbüttel, del 12 giugno 2003, causa C-234/01, Arnoud Gerritse v. Finanzamt Neukölln-Nord (in "il fisco" n. 35/2003, fascicolo n. 1, pag. 5562) e del 15 febbraio 2007, C-345/04, Centro Equestre da Lerizia Grande Lda v. Bundesamt der Finanzen; cfr. D. Molenaar-H. Grams, Scorpio and the Netherlands: Major Changes in Artiste and Sportsman Taxation in the European Union, "European Taxation", febbraio 2007, pagg. 63 e seguenti. In tema di artisti e sportivi, per quanto attiene al nostro ordinamento, cfr. la risoluzione 15 gennaio 1996, n. 15/E, rubricata "Imposte sui redditi - Convenzioni internazionali - Doppie imposizioni - Convenzione italo-cinese - Redditi conseguiti da artisti e sportivi - Trattamento - Art. 17 della L. 31 ottobre 1986, n. 376 - Art. 20, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - Art. 25, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600", la risoluzione 16 giugno 1980, n. 12/191, rubricata "Redditi di lavoro autonomo - Redditi derivanti da prestazioni artistiche - Prodotti in Italia da non residenti - Artt. 25 e 75 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600", nonché la risoluzione 26 novembre 1981, n. 12/062, rubricata "Convenzione italo-svizzera ed italo-tedesca per evitare le doppie imposizioni - Trattamento tributario dei compensi corrisposti a scacchisti non residenti - Artt. 25, 30 e 75 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - Art. 41 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601". (42) In particolare, la normativa sulle imprese controllate estere non trova applicazione anche qualora il soggetto controllante residente sia in grado di dimostrare che dalla detenzione delle partecipazioni non sia stato conseguito l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. In altri termini, al fine
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dell'applicazione dell'esimente in parola, si deve dimostrare di subire una congrua tassazione (di gruppo) all'estero. L'Amministrazione finanziaria, con risoluzione del 28 marzo 2007, n. 63/E (in "il fisco" n. 14/2007, fascicolo n. 2, pag. 1980), rubricata "Istanza di interpello - Art. 167, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917", ha chiarito, a mio avviso in maniera non del tutto condivisibile, che, affinché possa aversi tassazione congrua all'estero, l'imposta applicata sull'utile della CFC, nonché su quello della (eventuale) società controllata intermedia non residente in un Paese black list, deve essere almeno pari, per ciascun anno, al 27 per cento dell'utile lordo conseguito dalla CFC medesima, con un livello di tassazione, pertanto, pari all'aliquota minima prevista per la tassazione separata in Italia del reddito delle CFC. Cfr. A. Felicioni, CFC, la disapplicazione è più facile, in "Italia Oggi" del 30 marzo 2007, pag. 38.
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