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Participation exemption e società holding di Alberto Santi e Ignazio La Candia (in "il fisco" n. 47 del 19 dicembre 2005, pag. 1-7399) SOMMARIO: 1. La disciplina fiscale della participation exemption e le società holding - 2. La posizione dell'Amministrazione finanziaria: circolare del 16 marzo 2005, n. 10/E - 3. La tesi dell'Assonime: 3.1. Un caso pratico: holding italiana e paradisi fiscali - 4. Osservazioni conclusive.
1. La disciplina fiscale della participation exemption e le società holding Al fine di disincentivare l'allocazione dei capitali delle imprese italiane all'estero e di favorirne anche il rientro in Italia, l'art. 87, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) (1) dispone l'operatività del regime di esenzione della tassazione delle plusvalenze [cosiddetta participation exemption (2)], anche con riguardo alle partecipazioni che il contribuente detiene in una società holding, a condizione che l'attività da quest'ultima svolta consista unicamente, o quantomeno in misura prevalente (cosiddetta holding mista), nell'assunzione di partecipazioni in altre società. L'Amministrazione finanziaria (3) ha precisato che, per valutare la prevalenza o meno dell'attività svolta, è necessario mettere a confronto il valore corrente, e non quello contabile (4), delle partecipazioni detenute con quello dell'intero patrimonio sociale della società holding, considerando anche gli avviamenti positivi e negativi, pur se non iscritti (5). A tal fine è ammesso, se necessario, il ricorso a stime peritali (6). Il legislatore ha previsto che i requisiti relativi alla residenza fiscale (7) ed alla commercialità (8) [la cui sussistenza deve essere riscontrata ininterrottamente dall'inizio del terzo periodo d'imposta precedente il realizzo (9)] debbano essere verificati non in capo alla società holding, bensì con riferimento alle società da questa direttamente od indirettamente partecipate (10), nonché alle relative stabili organizzazioni (11). È, inoltre, richiesto che tali requisiti sussistano nei confronti delle partecipate che rappresentino la maggior parte del valore del patrimonio sociale della holding medesima (12). Ne deriva che quest'ultima potrebbe risiedere in un paradiso fiscale e, ciò nonostante, le partecipazioni in essa detenute godere, al momento della cessione, della participation exemption. In tali ipotesi, infatti, la società holding dovrebbe essere considerata trasparente, ossia fungere da "schermo" (13). Autorevole dottrina (14) ha, inoltre, evidenziato che, pur in mancanza
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di un espresso giudizio in merito da parte dell'Amministrazione finanziaria, la presunzione assoluta di commercialità in capo alle società quotate opera anche qualora queste siano partecipate da una società holding. L'Amministrazione finanziaria (15) ha chiarito che, nel caso in cui la partecipazione sia detenuta dalla società holding in altro soggetto della medesima natura (cosiddetta società subholding), "... occorrerà valutare anche le partecipazioni da quest'ultima possedute". Infatti, le società indirettamente partecipate devono riflettere pro quota i propri requisiti di commercialità e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello; a tal fine, non assume importanza alcuna il fatto che il valore della società operativa partecipata dalla subholding costituisca o meno la maggior parte del patrimonio sociale di quest'ultima (16). Rileviamo che, in caso di holding mista, ossia di società che, oltre ad esercitare in via prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni, svolge una propria attività di impresa commerciale, anche il patrimonio rappresentato da quest'ultima categoria deve essere computato ai fini dell'attribuzione o meno della qualifica di commercialità a valori correnti (17).
2. La posizione dell'Amministrazione finanziaria: circolare 2005, n. 10/E
del
16
marzo
L'Amministrazione finanziaria (18) ha, in seguito, ulteriormente precisato che, qualora per la società holding l'attività di assunzione di partecipazioni sia divenuta prevalente soltanto nel corso del triennio di riferimento, è necessario verificare l'esistenza dei requisiti della commercialità e della residenza anche direttamente in capo alla società (rectius: holding) sin dall'inizio del periodo temporale individuato dalla normativa. In altri termini, per l'Amministrazione finanziaria, i richiamati presupposti applicativi del regime esentativo devono sussistere, separatamente ed indipendentemente, nei confronti tanto della società holding quanto delle singole società da questa partecipate. Tale interpretazione non appare del tutto condivisibile. Si ponga, infatti, il caso di una società holding, già residente in paradiso fiscale, per la quale l'attività di assunzione delle partecipazioni divenga "irrilevante" nel corso dell'ultimo periodo d'imposta del triennio precedente il realizzo della plusvalenza. In tale ipotesi, con la perdita della "prevalenza", la residenza fiscale di tale società assume valenza anche con riferimento ai primi due periodi di imposta del periodo di osservazione, relativamente ai quali la stessa avrebbe dovuto essere del tutto ininfluente. Ciò pare in palese contrasto con lo spirito della norma e, più in generale, con la certezza del diritto.
3. La tesi dell'Assonime L'Assonime (19) ha fornito una
diversa
interpretazione
della
norma.
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Secondo l'Associazione, infatti, nel caso in cui una società acquisisca o perda la qualifica di holding, "parrebbe logico ritenere che ... vadano di volta in volta applicati i criteri previsti dalle norme in relazione alla natura assunta dalla società. Così ... riguardo alla società che nell'ultimo periodo del triennio ha perso i caratteri della holding, la verifica dei requisiti della commercialità e della residenza va operata, nel predetto periodo, esclusivamente sulla stessa società; per i precedenti periodi, viceversa, detti requisiti andranno verificati con le regole previste per le holding e cioè avendo riguardo alla situazione delle società partecipate dalla società holding". Facendo propria tale diversa chiave di lettura dell'art. 87 del Tuir, diviene necessaria una verifica dei requisiti della residenza fiscale e della commercialità, nel corso del triennio, rispettivamente in capo alla società holding ed alle singole società da questa partecipate, a seconda che la prima svolga o meno in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni. Pertanto, qualora una società goda della qualifica di holding unicamente nell'ultimo dei tre periodi di imposta anteriori al realizzo, il riscontro dei presupposti di cui sopra andrà operato su ciascuna società da questa partecipata per i primi due periodi di imposta del triennio e sulla società holding con riferimento all'ultimo. Appare evidente, del resto, che la soluzione prospettata da Assonime mal si concilia con le indicazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria. In tal modo, infatti, verrebbe avallata un'interpretazione della norma assai ampia, che legittimerebbe l'esenzione dal prelievo anche nel caso in cui la sussistenza dei requisiti menzionati non sia verificata, per l'intera durata del triennio, né in capo alla società holding né in capo alle sue singole società partecipate.
3.1. Un caso pratico: holding italiana e paradisi fiscali Si consideri ancora il caso di una società residente in Italia che acquisisca la qualifica di holding, ai sensi dell'art. 87, comma 5, del Tuir, soltanto nell'ultimo periodo di imposta del triennio e detenga, nel corso dell'intero arco temporale di riferimento, partecipazioni in una o più società residenti in paradisi fiscali. Nel corso dei primi due periodi di imposta del triennio precedente al realizzo, il socio della (futura) società holding potrà - cedendo la propria partecipazione ed in presenza degli altri requisiti richiesti dalla normativa - beneficiare del regime della participation exemption. La sua società partecipata, infatti, non possiede ancora i connotati per essere considerata una holding e, pertanto, non assume rilievo la residenza dei soggetti da questa a sua volta partecipati. La residenza fiscale dei soggetti partecipati dalla società holding, viceversa, rileva per l'ultimo periodo di imposta del triennio, con la conseguenza che il socio della holding, cedendo a tale data la partecipazione in questa detenuta, realizzerebbe plusvalenze che concorrono alla formazione della base imponibile. Ne deriva che qualora, nel corso del secondo periodo di imposta anteriore al realizzo, la società, che detiene partecipazioni in soggetti
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residenti in paradisi fiscali, avesse la certezza che nell'ultimo periodo di imposta si trasformerà in holding, potrebbe fare in modo che le proprie partecipate black list trasferiscano la propria residenza in un Paese a regime fiscale ordinario, consentendo, in tal modo, al proprio socio di beneficiare del regime della participation exemption. Va, comunque, osservato che l'Amministrazione finanziaria, ricorrendo i presupposti indicati dall'art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (20), potrebbe giudicare tali operazioni come elusive, disconoscendo, quindi, i vantaggi fiscali realizzati per il tramite delle stesse.
4. Osservazioni conclusive L'analisi della problematica prospettata, che ci auguriamo venga ulteriormente chiarita dall'Amministrazione finanziaria, costituisce l'occasione per qualche riflessione sulle recenti modifiche apportate al regime della participation exemption. Intendiamo riferirci all'iter di conversione in legge del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (21); in particolare, la legge di conversione del decreto-legge citato (L. 2 dicembre 2005, n. 248, pubblicata in S.O. n. 195/L alla G.U. n. 281 del 2 dicembre 2005, testo coordinato in "il fisco" n. 46/2005, fascicolo n. 2, pag. 7017), ha previsto un'ulteriore limitazione del regime di esenzione, così da ridurre la quota esente al 91 per cento e, a partire dal 2007, all'84 per cento. A noi pare che tale previsione si discosti sensibilmente dall'orientamento che il legislatore comunitario ha espresso in questi ultimi anni. Si pensi, ad esempio, che quest'ultimo, anche se in tema di dividendi progressiva [cosiddetta Direttiva madre-figlia (22)] ha operato una riduzione della soglia delle partecipazioni detenute nel capitale delle società figlie comunitarie dall'originario 25 per cento al 10 per cento, a decorrere dal 1° gennaio 2009. Di certo la riduzione in parola amplia (e non restringe) notevolmente la possibilità in capo alle società comunitarie, aventi i requisiti richiesti dalla Direttiva in parola, di percepire dividendi senza applicazione di alcuna ritenuta alla fonte e tassati esclusivamente per il 5 per cento del loro ammontare. Nel caso della participation exemption, a seguito dell'introduzione delle citate modifiche, verrebbero notevolmente ristretti (e non ampliati) i benefici derivanti dall'esenzione delle plusvalenze riconosciuti in capo ai contribuenti. Al riguardo, non va dimenticato lo stretto legame esistente tra esenzione sulle plusvalenze ed esenzione sui dividendi, dal momento che le prime rappresentano dividendi non distribuiti dalla società partecipata, ovvero futuri dividendi che la stessa distribuirà. Inoltre, a parere di chi scrive, la riduzione del regime di esenzione, oltre che non trovare alcun riscontro, se non nelle intenzioni, nelle analoghe previsioni degli altri Stati membri dell'Unione europea - ai quali il legislatore della riforma tributaria si ispira in modo esplicito - mal si concilierebbe con le stesse finalità perseguite dal regime in commento
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che, come noto, sono sia tecniche (esenzione delle plusvalenze su partecipazioni immobilizzate detenute da società di capitali) che macroeconomiche (rendere più dinamiche e appetibili le operazioni di riorganizzazione societaria nel nostro Paese). La sopra citata riduzione, tra l'altro non bilanciata (simmetricamente) da una corrispondente deducibilità delle minusvalenze su partecipazioni, certo non favorisce le "tanto attese" operazioni di rimpatrio delle e, in generale, le sopra citate operazioni di holding (23) riorganizzazione, nel cui ambito lo share deal costituisce un aspetto di fondamentale importanza (24).
Note: Si ringrazia per la fattiva collaborazione alla stesura di questo articolo il Dott. Matteo V. Barazetti dell'Ufficio Studi dello Studio Pirola, Pennuto, Zei & Associati di Milano. (1) Cfr. art. 87 del Tuir, rubricato "Plusvalenze esenti", introdotto dal legislatore della riforma fiscale con D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 "Riforma dell'imposizione sul reddito delle società, a norma dell'articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80". (2) Il regime della participation exemption prevede che, al verificarsi delle condizioni e dei requisiti previsti dalla norma, le plusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni, detenute dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società (Ires) in società residenti e non residenti, siano esenti da tassazione. Per un'analisi approfondita del regime in parola, cfr., in dottrina, G. Ferranti, Disciplina e ambito di applicazione della "Participation Exemption", in "Forum fiscale" n. 4/2005, pagg. 41 e seguenti; A. Taccani, La participation exemption, in "Rivista dei Dottori Commercialisti", Quaderni, "La nuova Imposta sul reddito delle società - Il parere dei tecnici", Atti del Convegno 7-14 giugno 2004 organizzato dalla Rivista dei Dottori Commercialisti in collaborazione con il CERTI - Università Bocconi, a cura di G. Marino, pagg. 3 e seguenti; P. Gariboldi-M. Starita, Il regime di esenzione delle plusvalenze nella riforma fiscale italiana, la cosiddetta participation exemption: considerazioni, in "il fisco" n. 11/2004, fascicolo n. 1, pagg. 1599 e seguenti; A. Stesuri, Il nuovo sistema di tassazione delle plusvalenze (participation exemption), in "La riforma della tassazione societaria - disciplina ed aspetti operativi", Milano, 2004, pagg. 63 e seguenti; F. Dezzani-L. Dezzani, Circolare n. 36/E del 4 agosto 2004: la participation exemption debutta in Italia, in "il fisco" n. 33/2004, fascicolo n. 1, pagg. 5109 e seguenti. (3) Cfr. circolare 4 agosto 2004, n. 36/E, rubricata "Circolari IRES/3. Il nuovo regime fiscale delle plusvalenze da realizzo delle partecipazioni - D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344", in "il fisco" n. 31/2004, fascicolo n. 2, pag. 4879. (4) Osserviamo che il criterio indicato dall'Amministrazione finanziaria in tale ipotesi differisce da quello previsto dalla disciplina UIC - Ufficio Italiano Cambi - (art. 113 del D.Lgs. del 1° settembre 1993, n. 385, così come integrato dal D.M. 6 luglio 1994, rubricato "Modalità di
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iscrizione dei soggetti che operano nel settore finanziario di cui agli articoli 106, 113 e 155, commi 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385"). Quest'ultima, infatti, richiede un ulteriore raffronto sui dati economici della società holding; in particolare, i proventi derivanti dall'attività di gestione delle partecipazioni devono superare il 50 per cento del totale dei ricavi e dei proventi del conto economico. (5) Al riguardo, l'Assonime, con la circolare del 6 luglio 2005, n. 38, rubricata "Imposte sui redditi - D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, recante 'Riforma dell'imposizione sul reddito delle società, a norma dell'articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80' - Nuovo regime delle plusvalenze esenti (cosiddetta participation exemption)", ha ritenuto che "per accertare la prevalenza dell'attività ci si potrebbe limitare a porre riferimento alle consistenze patrimoniali di fine esercizio di ognuno dei tre periodi d'imposta antecedenti la cessione nonché ... delle consistenze presenti all'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al periodo in cui avviene il realizzo ... Trattandosi, peraltro, di una holding, tale verifica dovrebbe essere condotta, come precisato, anche sulla situazione patrimoniale esistente al momento del realizzo delle partecipazioni ...". (6) Cfr. G. Ferranti, La participation exemption per le società holding, in "Corriere tributario" n. 39/2004, pagg. 3047 e seguenti. (7) Ai sensi dell'art. 87, comma 1, lettera c), del Tuir, affinché la società partecipante possa godere dell'esenzione in commento, è necessario che il soggetto partecipato sia residente in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario, ossia non ricompreso nella cosiddetta black list (cfr. decreto 21 novembre 2001 del Ministero dell'economia e delle finanze rubricato "Individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all'art. 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi (cd. 'black list')". Gli Stati o territori a regime fiscale privilegiato sono stati individuati in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (qualora questo si discosti di almeno il 30 per cento da quello medio italiano; cfr. Camera dei deputati, seduta del 4 ottobre 2000), della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti. Come chiarito dalla circolare del 16 novembre 2000, n. 207/E, rubricata "Collegato fiscale alla legge finanziaria 2000. Primi chiarimenti" (in banca dati "il fiscovideo"), una tassazione sensibilmente inferiore è riscontrabile con riferimento al livello delle aliquote delle imposte in un determinato Paese o territorio, ovvero avuto riguardo alle caratteristiche strutturali dei tributi, la cui applicazione comporta una tassazione inferiore in capo al contribuente. Ne deriva che possono essere considerati fiscalmente privilegiati Paesi che adottano regole di formazione della base imponibile notevolmente difformi da quelle italiane, con la conseguenza che la tassazione risulta di fatto sensibilmente inferiore; al riguardo, cfr., in dottrina, G. Maisto, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società estere soggette a regime fiscale in "Rivista di Diritto Tributario", 1991, I, pagg. 757 e privilegiato, seguenti; T. Di Tanno, La indeducibilità degli elementi negativi di reddito nei rapporti con residenti in paradisi fiscali individuati nel D.M. 24 aprile 1992, in "Bollettino Tributario" n. 18/1992, pagg. 1405 e seguenti. Al riguardo, osserviamo che, secondo l'OCSE (cfr. "The OECD's project on harmful tax practices: the 2004 progress report"), sono considerati
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paradisi fiscali gli Stati o territori che non consentono un adeguato scambio di informazioni fiscali e che non sono fiscalmente trasparenti, a prescindere dall'effettivo livello di tassazione da essi praticato; ad oggi, tali Stati sono la Liberia, il Liechtenstein, le Isole Marshall e il Principato di Monaco. Si ricorda, inoltre, che il requisito della residenza fiscale potrà essere derogato solo qualora, pur essendo la società partecipata residente in un Paese a regime fiscale privilegiato, il contribuente riesca a dimostrare, mediante l'esercizio dell'interpello di cui all'art. 167, comma 5, lettera b), del Tuir, rubricato "Disposizioni in materia di imprese estere controllate", che dalle partecipazioni non sia derivato, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. (8) Tali sono i soggetti che, ai sensi dell'art. 55 del Tuir, rubricato "Redditi d'impresa", esercitano: i) attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; ii) attività intermediaria nella circolazione dei beni; iii) attività di trasporto; iv) attività bancaria ed assicurativa; v) attività ausiliarie alle precedenti; vi) prestazioni di altri servizi (diversi da quelli rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 2195 del codice civile); vii) attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne; viii) attività agricole ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa. Su questo aspetto, cfr., in dottrina, G. Ferranti, L'ambito oggettivo della "participation exemption", in "Corriere tributario" n. 17/2004, pagg. 1303 e seguenti; G. Ferranti, Il requisito della commercialità per la participation exemption, in "Corriere tributario" n. 36/2004, pagg. 2811 e seguenti; A. Dodero, L'esercizio effettivo dell'impresa commerciale: criterio base per applicare la Pex alle partecipate, in "Guida alla riforma fiscale" n. 8/2004, pagg. 30 e seguenti. (9) Tale elemento è derogato qualora la società sia costituita da meno di tre anni; in questa ipotesi, infatti, sarà valutato il minor periodo intercorrente tra l'atto costitutivo ed il realizzo frutto della cessione delle partecipazioni. Tale interpretazione appare in linea con quanto previsto a proposito dei requisiti di cui all'art. 87, comma 1, lettere c) e d), del Tuir, nonostante sul punto l'Amministrazione finanziaria non si sia esplicitamente pronunciata (cfr., circolare n. 36/E del 2004, paragrafo 2.3.5 e paragrafo 2.3.6.4.1, in cui tale requisito temporale è previsto a proposito di operazioni di fusione). (10) Attenta dottrina - cfr. S. Capolupo, Operazioni straordinarie e participation exemption, in "il fisco" n. 12/2004, fascicolo n. 1, pagg. 1729 e seguenti - ha osservato che la formulazione della norma potrebbe favorire eventuali fenomeni elusivi, qualora, ad esempio, nell'ambito di un gruppo la società holding provveda all'iscrizione delle partecipazioni in una società subholding tra l'attivo circolante e quest'ultima inserisca nelle immobilizzazioni finanziarie le partecipazioni nella società operativa. (11) Cfr. P. Cappellini-R. Lugano, Le holding alla prova participation, in "Il Sole-24 Ore" del 6 agosto 2004. (12) Cfr. L. Gaiani, Participation exemption: azioni e quote di società
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holding, in "Informatore Pirola" n. 37/2004, pagg. 73 e seguenti. (13) Cfr. G. Ferranti, op. cit., pagg. 3047 e seguenti; R. Moro Visconti-C. Barbieri, Valutazione del patrimonio effettivo delle holdings e applicabilità della participation exemption, in "il fisco" n. 19/2004, fascicolo n. 1, pagg. 2863 e seguenti. (14) Cfr. G. Ferranti, La participation exemption per le società holding, op. cit., pag. 3050. (15) Cfr. circolare n. 36/E del 2004, citata. (16) Al riguardo, l'Assonime, nella circolare n. 38 del 2005 citata, ha osservato che, nella realtà, tale soluzione "... rischia di complicare eccessivamente il processo di verifica dei requisiti della commercialità per le cessioni di pacchetti partecipativi in gruppi o sotto-gruppi di società, disincentivandone la circolazione. È proprio questo l'aspetto che suscita le più forti perplessità poiché la posizione dell'Agenzia sembra porsi non del tutto in linea con gli obiettivi generali della riforma e con la volontà di creare un vantaggio competitivo per le holding italiane. Va, infatti, considerato che la tesi in rassegna comporta la necessità di effettuare una verifica su tutte le società partecipate attraverso una subholding; verifica, questa, difficilmente praticabile per i gruppi di una certa dimensione che, in genere, si caratterizzano per un notevole numero di partecipazioni, sia italiane che estere, detenute 'a grappoli', cioè proprio per il tramite di più società subholding intermedie delle quali potrebbe anche non possedersi il controllo"; cfr., in dottrina, G. Ferranti, Holding, verifica difficile, in "Il Sole-24 Ore" del 7 maggio 2004; G. Ferranti, La participation exemption per le società holding, op. cit., pag. 3049. (17) Cfr. circolare n. 36/E del 2004 citata, paragrafo 2.3.5 e, in dottrina, L. Dezzani-F. Dezzani, Circolare 36/E del 4 agosto 2004: participation exemption anche per le holding, in "il fisco" n. 35/2004, fascicolo n. 1, pagg. 5983 e seguenti; G. Ferranti, La participation exemption per le società holding, op. cit., pag. 3050. (18) Cfr. circolare 16 marzo 2005, n. 10/E, rubricata "Risposte fornite in occasione di incontri con la stampa specializzata", paragrafo 5.4, in "il fisco" n. 13/2005, fascicolo n. 2, pag. 1997. (19) Cfr. circolare n. 38/E del 2005 citata. (20) L'art. 37-bis, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dispone che "Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti". (21) Cfr. art. 5 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, rubricato "Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 230 del 3 ottobre 2005. Innanzitutto, osserviamo che le plusvalenze che beneficiano del regime della participation exemption continuano, anche a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge citato, ad essere considerate componenti esenti, e non invece escluse da tassazione, come previsto per i dividendi; ne consegue che i costi ad esse connessi restano indeducibili. L'Assonime, con la circolare del 7 ottobre 2005, n. 54, rubricata "Imposte dirette - Misure di contrasto all'evasione
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fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (decreto di accompagnamento alla legge Finanziaria per il 2006)", ha, in maniera condivisibile, ritenuto che "laddove si fosse voluto effettivamente equiparare il regime di 'detassazione' delle plusvalenze su partecipazioni 'esenti' con quello di esclusione da imposizione dei dividendi, sarebbe stato forse opportuno, per motivi di coerenza sistematica, riqualificare l''esenzione' da imposizione del 95 per cento di tali plusvalenze in una 'esclusione' dal concorso alla formazione del reddito; riqualificazione cui avrebbe dovuto fare seguito, coerentemente, anche l'abolizione del meccanismo del pro rata patrimoniale". (22) Il 22 dicembre 2003, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato la Direttiva n. 2003/123/CE che ha modificato la Direttiva n. 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi. In particolare, il regime fiscale dei dividendi previsto dalla Direttiva sarà esteso agli utili distribuiti da società figlie e percepiti da stabili organizzazioni situate in uno Stato membro, diverso da quello in cui è localizzata la società madre. Inoltre, la Società europea (SE) e la Società cooperativa europea (SCE) saranno incluse tra i soggetti beneficiari della Direttiva. Tutti gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva n. 2003/123/CE entro e non oltre il 1° gennaio 2005; per un'analisi delle modifiche introdotte, cfr., in dottrina, F. Bulgarelli, Le recenti modifiche alla Direttiva "madre-figlia" e la riforma tributaria italiana, in "Rassegna Tributaria" n. 1/2005, pagg. 115 e seguenti. (23) Al riguardo, osserviamo che l'Amministrazione finanziaria con la risoluzione del 12 agosto 2005, n. 123/E, rubricata "Istanza di interpello - Art. 11 della L. n. 212/2000 - Società X con sede in Olanda - Consolidato nazionale - Artt. 117 e 120 del Tuir" (in "il fisco" n. 33/2005, fascicolo n. 2, pag. 5181), ha chiarito che anche le società estere che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia possono esercitare, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalla normativa, in qualità di soggetto controllato, l'opzione per il consolidato fiscale nazionale; la società estera che trasferisce la propria residenza fiscale in Italia deve avere una forma giuridica equiparabile alle società di capitali italiane. (24) Per una lettura critica delle citate prospettive di riforma, cfr., in dottrina, R. Lupi, La "Pex" non ha bisogno di correzioni, in "Il Sole-24 Ore" del 20 agosto 2005; T. Di Tanno, Sacrifici eccessivi per i capital gain, in "Il Sole-24 Ore" del 26 agosto 2005; A. Manzitti, Una "Pex" limitata perde la sua utilità, in "Il Sole-24 Ore" del 2 settembre 2005; T. Di Tanno, Pex, le modifiche portano fuori rotta, in "Il Sole-24 Ore" del 3 novembre 2005.
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