TRANSFER PRICING E DICHIARAZIONE INFEDELE. ALCUNE CONSIDERAZIONI. IGNAZIO LA CANDIA* Dottore Commercialista in Milano Premessa Scopo del presente contributo è analizzare la tematica della possibile rilevanza penale della disciplina dei prezzi di trasferimento: a tal fine, si ritiene utile sin da subito evidenziare che, indipendentemente dal fatto che si propenda per la rilevanza1 o, all’opposto, per l’irrilevanza, delle condotte di transfer pricing, l’attualità del tema affrontato in questo lavoro (così come l’inevitabilità per gli operatori della materia di prenderne atto e di affrontarlo) non può in alcun modo essere trascurata, considerato che di norma nelle verifiche della Guardia di Finanza e/o dell’Agenzia delle Entrate relative alle operazioni di transfer pricing ciò che potrebbero essere contestato è il reato di infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 (“il Decreto”), con la conseguente comunicazione della notizia di reato all’Autorità Giudiziaria2. Del resto, in termini generali, non sembra possibile negare la riconducibilità delle violazioni in tema di prezzi di trasferimento tra le fattispecie penalmente rilevanti, stante l’idoneità di tali comportamenti a cagionare un danno reale ed effettivo per l’Erario per mezzo dell’indicazione in dichiarazione di maggiori costi, ovvero di minori ricavi, condotta atta a sottrarre materia imponibile allo Stato italiano. Semmai, in tale ottica, sarà necessario verificare, nel caso concreto, la sussistenza del dolo specifico nella condotta tenuta da parte del contribuente, ossia la sua intenzionalità di evadere le imposte dovute, nonché tenere in debita considerazione l’insita natura valutativa ed estimativa del processo di fissazione dei prezzi di trasferimento. In altri termini, a mio avviso la disciplina del transfer pricing non dovrebbe essere per se (a priori) considerata irrilevante ai fini penali sulla base di una sua ermeneutica inconciliabilità con il diritto penal-tributario, quanto piuttosto andrebbe verificata caso per caso la sussistenza di tutti gli elementi che qualificano una determinata fattispecie come penalmente rilevante.
Il reato di infedele dichiarazione quale fattispecie delittuosa rilevante
Appurata, per le ragioni sopra brevemente esposte, la possibile rilevanza penale della disciplina dei prezzi di trasferimento, si tratta di stabilire a quale tra le fattispecie indicate dal Decreto sia possibile ricondurre il fenomeno del transfer pricing: in particolare, si tratta di stabilire se lo scostamento tra il * L’Autore desidera ringraziare il Dottor Matteo V. Barazetti per la preziosa e fattiva collaborazione alla stesura del presente articolo, nonché per i validi spunti argomentativi forniti. 1
La tesi della rilevanza penale del transfer pricing è stata da alcuni giustificata anche sulla base di una lettura a contrario degli articoli 7 e 16
del D.Lgs. n. 74/2000. 2
Cfr. CM 16 aprile 2010, n. 20/E, nella quale sono sintetizzate le linee-guida a cui gli uffici sono chiamati ad attenersi nell’attività accertativa
riguardante i cc.dd. grandi contribuenti. Cfr. anche la Circolare della GdF n. 1/2008 e la C.M. 4 agosto 2000, 154/E.
valore normale e il prezzo effettivamente praticato, in cui si traduce la violazione della norma in tema di prezzi di trasferimento (comma 7 dell’art. 110 TUIR), sia riconducibile alle fattispecie del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), ovvero di dichiarazione infedele (art. 4). Nel caso del transfer pricing, le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 3 del Decreto non rilevano in alcun modo; queste, infatti, sono caratterizzate dalla presenza dell’elemento qualificante della “fraudolenza” della condotta posta in essere dal contribuente. In altri termini, i reati in esame sono contraddistinti o dal riscontro di artifici che si traducono nella predisposizione di documentazione (fatture, altri documenti) attestante il compimento di operazioni inesistenti (art. 2), ovvero dalla volontà di fornire, attraverso l’utilizzo di mezzi fraudolenti, una falsa rappresentazione dei dati indicati nelle scritture contabili, al fine di ostacolare il corretto svolgimento delle attività accertative (art. 3). Appare di tutta evidenza come nel caso della disciplina dei prezzi di trasferimento la violazione della norma rilevante si ha a seguito del mero scostamento tra il valore normale e il prezzo effettivamente praticato, nel contesto di operazioni realmente poste in essere a fronte di corrispettivi effettivamente pagati, e perciò ci si deve collocare al di fuori delle ipotesi di fraudolenza. Ne consegue logicamente che le violazioni in tema di transfer pricing potranno essere eventualmente inquadrate esclusivamente nella fattispecie delittuosa di infedele dichiarazione, di cui all’art. 4 del Decreto: ai sensi di tale norma, tale reato si configura allorquando, al di fuori dei casi di falsa rappresentazione contabile o dell’impiego di altri mezzi fraudolenti, il contribuente al fine di evadere le imposte (la norma richiede quindi il dolo specifico intenzionale!) indichi, nelle dichiarazioni annuali dei redditi o quella ai fini Iva, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, ovvero elementi passivi fittizi, a condizione che siano congiuntamente superate le due specifiche soglie di punibilità previste dalla disposizione in esame3. Risulta pertanto di estrema importanza qualificare l’effettiva portata del concetto di fittizietà degli elementi passivi ai sensi dell’art. 4 del Decreto, posto che la nozione di fittizia deve caratterizzare un componente negativo di reddito affinché diventi rilevante ex art. 44. Sul tema la dottrina ha formulato tesi in aperta contrapposizione le une con le altre. Infatti, partendo dal presupposto che la nozione di fittizietà ai fini dell’art. 4 presuppone l’assenza dell’elemento della fraudolenza e dell’artificiosità del comportamento del contribuente e che il suo significato tende ad 3
Dispone l’articolo 4: “Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni (Euro 103.291,38) b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, e' superiore a lire quattro miliardi (Euro 2.065.827,60)”. 4
Osserva PERINI (La riforma del diritto penale tributario. Questioni applicative (a cura) di SANTORIELLO, Torino, 2001, 23): “tale definizione
[ossia quella degli elementi passivi fittizi] schiude tuttavia le porte a quello che potrebbe addirittura essere il principale punctum dolens dell’intera riforma: l’interpretazione del vago concetto di “fittizietà”……”
essere fatto coincidere con quello di mendacità (falsità), la dottrina ha elaborato due distinte teorie: la prima, con la quale si concorda, che sostiene l’inesistenza tout court degli elementi passivi fittizi, la seconda che ritiene fittizi i soli elementi passivi indeducibili. In altri termini, il problema è stabilire se il termine “fittizietà” (in tale ambito) vada riferito esclusivamente a quegli elementi passivi che non esistono in natura, ossia quei costi che non sono mai venuti ad esistenza; oppure, se nel concetto di fittizietà debbano rientrare anche le rilevazioni contabili che rappresentano costi effettivamente sostenuti dal contribuente, ma non riconoscibili in sede tributaria, ovvero non riconoscibili nella misura indicata in dichiarazione o per quell’esercizio contabile5. Alcuni Autori (CARACCIOLI)6 sostengono che la nozione di fittizietà degli elementi passivi deve essere intesa come inesistenza degli stessi: sarebbero quindi fittizi solamente quegli elementi passivi materialmente inesistenti, rispetto ai quali cioè non è possibile trovare alcun riscontro effettivo nella realtà. Tale tesi, tuttavia, è stata fortemente criticata, in quanto giudicata troppo restrittiva, non tenendo in debita considerazione, ad esempio, l’elemento delle valutazioni estimative, né tantomeno delle rilevazioni contabili poste in essere dal contribuente in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, elementi la cui importanza appare innegabile proprio in ragione del corretto inquadramento della fattispecie delittuosa di infedele dichiarazione. Proprio al fine di correggere l’interpretazione troppo rigida della norma sopra esposta, altri Autori (TINTI, PERINI7), applicando definizioni proprie della normativa fiscale, e trasponendo nel comparto del diritto penaltributario concetti quali l’inerenza e la competenza8, hanno sostenuto una lettura “espansiva” della disposizione in esame, ritenendo che gli elementi passivi devono essere considerati fittizi anche qualora indeducibili. Tale orientamento apparirebbe per i suoi sostenitori l’unico ammissibile, in quanto qualsiasi differente lettura della norma comporterebbe l’assunzione di una definizione di fittizietà estremamente limitata; questo indirizzo è stato del resto anche fatto proprio dalla Guardia di Finanza che, ad esempio, nella Circolare 14 aprile 2000, n. 114000, ha rilevato che, in prima analisi, gli elementi passivi fittizi si intendono costituiti dalle componenti negative “non vere”, “non inerenti”, “non spettanti”, o “insussistenti nella realtà”, che risultino dichiarate in misura superiore a quella effettivamente sostenuta o a quella ammissibile in detrazione9.
5
Tale interpretazione sembrerebbe avvalorata tra l’altro anche da una certa lettura del comma 1 dell’articolo 7 del Decreto il quale
attribuisce esplicito rilievo alle violazioni dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza. 6
Cfr., CARACCIOLI, Passivi fittizi senza margini interpretativi, in Il Sole 24Ore, 1° aprile 2000, il quale afferma che “fittizio equivale a
inesistente, ossia inventato, oggettivamente non riscontrabile nella realtà…I due concetti di “fittizietà” e di “inesistenza” sono ritenuti coincidenti”. Cfr. anche ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, (a cura di) CONTI, Vol. I, I reati societari, bancari, di lavoro e previdenza, XI Ed., 1999, 219 ss.. 7
Cfr. PERINI, Il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in Diritto penale e processo, n. 9/2000, 1262 ss.; ID; La
riforma del diritto penale tributario. Questioni applicative, op. cit. 8
Non concordano con tale impostazione, TRAVERSI, GENNAI, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000.
9
Tale orientamento è stato confermato anche dall’Agenzia delle Entrate (C.M. 4 agosto 2000, n. 154/E), la quale ha riconosciuto che, “secondo
una interpretazione restrittiva, la nozione di "elementi passivi fittizi" dovrebbe ricomprendere le sole componenti negative inesistenti. Tuttavia, è da porre in rilievo che il successivo art. 7 del decreto legislativo in commento attribuisce rilievo alle violazioni dei criteri di determinazione
Anche l’orientamento fondato sulla nozione di indeducibilità è stato oggetto di critiche10
11:
l’applicazione nell’ambito della materia penale di definizioni proprie del diritto tributario, oltre a ledere il principio dell’autonomia dei due distinti sistemi giuridici, non trova riscontro nel dato letterale della norma. Se il Legislatore della disciplina penal-tributaria, infatti, avesse riconosciuto la coincidenza della fittizietà con l’indeducibilità degli elementi passivi lo avrebbe fatto espressamente ed in modo inequivoco, utilizzando, appunto, la locuzione “elementi passivi indeducibili”; proprio il fatto che il Legislatore abbia utilizzato un altro e ben diverso termine (fittizi) sarebbe la prima e miglior riprova che “indeducibilità” non deve essere interpretata automaticamente quale “fittizietà”. Del resto, proprio l’impossibilità di qualificare un costo fittizio come semplicemente indeducibile è stato uno degli elementi che sembra aver portato la scarsa giurisprudenza esistente in materia a negare, nei casi di specie, che la disciplina dei prezzi di trasferimento integrasse gli estremi del reato di infedele dichiarazione ex art. 4. Ci si riferisce in particolare alla Sentenza del Tribunale di Milano 21 settembre 2006, ma soprattutto a quella emessa dal Tribunale di Pinerolo il 5 aprile 200812, nella quale i Giudici hanno avuto l’occasione di pronunciarsi in merito ad un caso di transfer pricing rispetto al quale i verificatori avevano contestato le note di variazione, con riferimento nello specifico ai costi per servizi e licenze commerciali non deducibili e ad elementi negativi di reddito contabilizzati nei conti di mastro, quali oneri diversi di gestione e spese per servizi. I verificatori si erano limitati a ritenere che i componenti negativi di reddito citati, emergenti dalle note di variazione, non potessero essere considerati deducibili ai fini fiscali. I Giudici penali, dal canto loro, evidenziando che le prestazioni di servizi a cui quei costi si riferivano erano state realmente effettuate dalla casa madre, nonché l’esistenza di contratti sottostanti ai servizi prestati e di una transfer pricing policy, adottata negli esercizi precedenti a quello della contestazione, hanno affermato il condivisibile principio secondo cui la pretesa indeducibilità di determinati elementi passivi non può dar luogo automaticamente ad una fittizietà penalmente rilevante, escludendo, di conseguenza, nel caso di specie, la rilevanza penale del comportamento adottato dal contribuente.
dell'esercizio di competenza…Se ne inferisce la possibile rilevanza, quali elementi passivi fittizi, delle componenti negative "non competenti", qualora siano rilevate nelle scritture contabili in assenza di "metodi costanti di impostazione contabile". 10
Cfr. DASSANO, La dichiarazione fraudolenta tra autonomia di disciplina e regole di contesto, (a cura di) C. SANTORIELLO, La riforma del
diritto penale tributario, Questioni applicative, 2001, 131 ss.. 11
Come sostenuto da TRAVERSI, GENNAI, (I nuovi delitti tributari, Milano, 2000, 214), i costi realmente sostenuti, per quanto indeducibili
sulla scorta della legislazione fiscale, non possono costituire elementi passivi fittizi ai fini della configurabilità del reato di infedele dichiarazione, innanzitutto in ragione del significato letterale del termine “fittizi” (da intendersi, cioè, come finti, simulati, falsi), in secondo luogo per il fatto che il diritto penale ha natura prettamente realistica (privilegiando quindi il dato sostanziale piuttosto che quello formale) ed infine perché la punibilità di tale fattispecie è circoscritta dal dolo specifico di evasione (cfr, sul punto, anche G. PUOTI, F. SIMONELLI, I reati tributari, 2008, 97 ss.). Del resto, qualora si propendesse per la coincidenza della fittizietà con l’indeducibilità non potrebbero trascurarsi le gravi conseguenze di carattere penale in una materia (quale quella della corretta imputazione temporale dei costi) estremamente tecnica ed opinabile, caratterizzata il più delle volte da comportamenti colposi e non certo dolosi del contribuente. 12
Per un commento alla sentenza citata, cfr. CARACCIOLI, Sull’inesistenza di reato di fronte alla contestazione del transfer pricing nei rapporti
internazionali e dei prezzi di vendita in operazioni infragruppo, in RDT, n. 11/2008, Parte III, 140 ss..
Ne consegue, pertanto, che a mio avviso l’unica interpretazione idonea ad evitare “distorsioni” e conseguenze pregiudizievoli per i soggetti coinvolti sia quella di ancorare la nozione di fittizietà utilizzato nell’articolo 4 a quello di mendacità, ovvero di falsità degli elementi passivi indicati in dichiarazione dal contribuente. In tal modo, ciò che rileverebbe in sede penale sarebbe il puro mendacio dichiarativo, finalizzato a rappresentare una situazione reddituale non risponde al vero. Detto in altri termini, la mendacità dei costi non dovrà emergere da fatture o documenti per operazioni inesistenti, né essere il frutto della loro utilizzazione (in tal caso, si verserebbe nel ben più grave reato di fraudolenza); essa, pertanto, deve tradursi nella mera (falsa) indicazione di costi in dichiarazione. Abbracciando tale teoria, il Giudice penale, dovrebbe accertare l’effettività del costo (ossia che il costo sia stato realmente sostenuto dal contribuente che lo ha esposto in dichiarazione) e che detto costo sia inerente all’attività economica dallo stesso esercitata, senza alcun rinvio ai criteri ed ai limiti che la normativa fiscale fissa in tema di deducibilità dei costi. Non va del resto dimenticato che, per quanto la condotta del contribuente potrebbe essere ricondotta alla fattispecie del reato di infedele dichiarazione e pur in presenza di tutte le condizioni che la norma sancisce per la sua applicabilità, il Legislatore della disciplina penal-tributaria ha previsto, all’art. 7 del Decreto, specifiche esimenti in presenza delle quali la fattispecie delittuosa non troverebbe applicazione. Ciò in ragione della complessità e dell’inevitabile elemento valutativo connessi all’applicazione della disciplina fiscale in generale e, per quanto riguarda l’oggetto del presente contributo, della fissazione dei prezzi di trasferimento in particolare. Nello specifico, l’art. 7 dispone che, ai fini penali, si possono individuare due fattispecie di esclusione della punibilità: le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile e le valutazioni estimative (ossia, operazioni di stima che richiedono una determinazione soggettiva in termini quantitativo/monetari), quando i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio (comma 1); in ogni caso, le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% di quelle corrette (comma 2). Appare evidente come proprio in relazione alla disciplina del transfer pricing, caratterizzata da uno spiccato elemento estimativo e valutativo, il contribuente potrà scongiurare eventuali conseguenze di natura penale proprio facendo leva sulle esimenti previste dall’art. 7. A tal fine, sarà quindi necessario che le imprese applichino una particolare diligenza ed attenzione non solamente nell’individuazione dei prezzi di trasferimento intercompany, ma che sia fornita una indicazione in Nota Integrativa dei criteri13 utilizzati per la loro fissazione14, senza che ciò, ovviamente, comporti l’evidenziazione di
13
Ad avviso di CARACCIOLI, è rara l’indicazione nella Nota Integrativa dei criteri utilizzati per la fissazione dei prezzi di trasferimento, non
“essendovi ancora sufficiente contezza del valore “liberatorio” di tale cautela” (Cfr. Sull’inesistenza di reato di fronte alla contestazione del transfer pricing nei rapporti internazionali e dei prezzi di vendita in operazioni infragruppo, op. cit., 143). 14
Cfr. CARACCIOLI, Transfer pricing con reato, Il Sole 24Ore, 27 novembre 2006, 35, il quale osserva che “ nel caso di superamento della
franchigia, per poter andare indenni da responsabilità penale si devono indicare nel bilancio i “criteri concretamente applicati””; CARACCIOLI, P.
informazioni vitali per un’impresa. A mio avviso, dovrebbe essere sufficiente l’indicazione dei soli criteri impiegati (quali, ad esempio, prezzo di rivendita, confronto del prezzo), senza essere necessaria l’indicazione effettiva del mark-up15, anche se ovviamente sembra irragionevole pensare che l’esimente dalla punibilità possa essere estesa fino al punto di ricomprendere anche criteri “assolutamente fantasiosi per il solo fatto di essere stati ostenti in nota integrativa”16. Detto in altri termini, l’elemento essenziale del dolo specifico richiesto per la punibilità del reato di infedele dichiarazione dovrebbe venir meno nella circostanza in cui gli amministratori della società si siano premurati di spiegare nella Nota Integrativa, anche se con esposizioni di carattere sintetico e riassuntivo, i metodi valutativi adottati, “in tal modo “mettendo nelle mani” dei verificatori tutti gli elementi per ricostruire le valutazioni medesime, e quindi nulla nascondere di rilevante in merito a tali procedure”17. L’auspicio è che questo possa, a maggior ragione, valere anche nel caso di predisposizione di idonea documentazione, secondo le prescrizioni fornite nel recente Provvedimento varato dall’Agenzia delle Entrate il 29 settembre 2010.
VALENTE, Sul transfer pricing cresce il rischio penal–tributario, Il Sole 24Ore, 6 febbraio 2006, 30. Sul tema, anche G. BERSANI (Il nuovo diritto tributario penale, Atti del Convegno organizzato dal CSM a Roma in data 10-12 settembre 2001). 15
Cfr., CARACCIOLI, GIARDA, LANZI, Procedura penale tributaria, Padova, 2001; FALSITTA, CARACCIOLI, Le “valutazioni estimative” della
riforma penal-tributaria tra violazioni costituzionali ed ambiguità lessicali, in Fisco, 2000, 10012 ss. 16
Tale condivisibile affermazione è di TRAVERSI, GENNAI, op. cit. 247.
17
Cfr. CARACCIOLI, Sull’inesistenza di reato di fronte alla contestazione del transfer pricing nei rapporti internazionali e dei prezzi di vendita in
operazioni infragruppo, op. cit., 143 ss.