Indice
1. Il cuore dell’uomo - un covo di malvagità
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2. Verità sublime
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3. La dottrina dell’elezione
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4. Il vaso inesauribile
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Appendice
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Capitolo 1 _______________ IL CUORE DELL’UOMO - UN COVO DI MALVAGITÀ Un sermone predicato il 27 gennaio 1867 da c.h. spurgeon al Metropolitan Tabernacle di Newington, Londra “Dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (Matteo 15:19)
Introduzione Non si può mai ripeterlo abbastanza: il vero culto si rende nel cuore. L’uomo tende costantemente a dimenticare che “Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Giovanni 4:24). L’idolatria è la manifestazione più ignobile di questa vile tendenza. Invece di adorare ed amare in spirito e verità Colui che è invisibile l’uomo si inginocchia davanti a idoli di legno e di pietra, offre loro incenso e afferma: “Tu sei il mio dio”. E anche quando l’idolatria non raggiunge queste forme estreme, ne assume altre parimenti inaccettabili agli occhi di Dio. Giustificandosi di non riuscire ad adorare Dio solo in spirito, senza l’assistenza di oggetti esteriori, l’uomo introduce nel culto il suo idolo e gratifica la sua natura depravata con un’adorazione profana e formale. Dio esige un’adorazione spirituale, e gli uomini gliene offrono una materiale. Dio chiede loro il cuore, ed essi si rivolgono a Lui solo con le labbra. Dio vuole i loro pensieri, le loro menti, ed essi gli rispondono con paramenti, vesti sacre e candele. E anche quando sono indotti a disfarsi dei loro spregevoli manu
fatti, si attaccano a qualsiasi altra cosa piuttosto che dare a Dio l’amore intimo del cuore, sottomettere a Lui il loro intelletto e porre tutte le loro facoltà al servizio dell’Altissimo. Non importa quanto penosa sarà la mortificazione, dura la penitenza e prolungata l’astinenza: sono disposti a soffrire qualsiasi cosa piuttosto che prostrarsi davanti all’Eterno, confessare il proprio peccato e affidarsi come fanciulli all’unico Salvatore. Oggi come in passato, le sentinelle del popolo di Dio debbono insistere sulla natura spirituale dell’adorazione. Il paganesimo, infatti, non è estinto: è cambiato nella forma, ma è rimasto immutato nella sostanza. Oggi si parla dell’idolatria come se questa fosse morta con l’antica Atene e sepolta sotto i colli della Roma Imperiale. In realtà, l’idolatria è viva e vegeta anche nella nostra epoca. Lo vediamo, ad esempio, nel Movimento di Oxford , che ha inquinato il vero culto cristiano, sostituendo con simboli ed emblemi la sublime verità che Dio deve essere adorato in spirito ed unicamente sulla base del sacrificio espiatorio del suo Unigenito Figlio. Questa mattina farò del tutto per attrarre la vostra attenzione lontano da ciò che è esteriore. È al cuore dell’uomo che vi chiedo di rivolgere lo sguardo, anzi al vostro stesso cuore, alla vostra stessa natura, credenti o non credenti che siate. Il testo di Matteo, infatti, è come una lente di ingrandimento con la quale ognuno può ispezionare se stesso: non la faccia, ma il cuore, la propria natura morale, l’intimo della propria persona. In questo brano il peccato che si nasconde nel cuore viene portato alla luce, anatomizzato e descritto da Colui che non può mentire o ingannare. Per cominciare, osserveremo quanto umiliante sia la dottrina insegnata nel testo; poi, utilizzeremo il resto del tempo per considerare altre dottrine correlate ad esso. Anche chiamato Trattarianismo o Puseyismo, il movimento si sviluppò a partire dal 1834, all’interno dell’Università di Oxford, ad opera dei due teologi John Henry Newman e Edwar Pusey. Fu la versione anglicana della diretta discendenza apostolica sostenuta dalla gerarchia ecclesiastica cattolico-romana.
I. L’umiliante verità Il Signore ci confronta con un’umiliante verità. Ci dice senza mezzi termini che dal nostro cuore procede ogni sorta di malvagità. Non sceglie le forme di peccato più leggere, ma le peggiori: “adulteri, omicidi, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni”. Egli lancia contro la natura umana una pesantissima accusa. Non addolcisce la pillola, non smussa gli angoli, ma sceglie alcune delle peggiori forme di malvagità, affermando che esse hanno tutte origine nel cuore umano. Alcune persone credono che i peccati siano atti commessi involontariamente; il Signore invece dichiara che essi procedono dal cuore. Altri considerano i peccati dei meri errori di giudizio, commessi perché si fraintendono le intenzioni degli altri; il Signore invece afferma che essi non hanno origine negli equivoci innocenti della mente, ma negli impulsi abietti del cuore. Ci dice chiaramente che questi frutti velenosi non scaturiscono dai margini della nostra natura, ma dal suo profondo: che la concupiscenza non ha origine dall’occhio, ma dall’animo depravato; che l’omicidio non è commesso in primo luogo dalla mano che colpisce rabbiosa, ma dal cuore odioso e ingovernabile; che il furto non si commette per un’improvvisa tentazione, ma per l’avidità presente nel cuore umano. Tutte le malvagità menzionate da Gesù provengono dal “cuore”, ovvero dall’epicentro della natura umana. Il “cuore”, infatti, rappresenta la sede dell’io umano, l’uomo nel senso più profondo del termine, il nucleo da dove partono tutte le sue operazioni intellettive e morali. Cosicché queste ultime possono essere rappresentate come tanti canali che partono dalla sede centrale e poi si diramano per tutta la città. Il Salvatore, dunque, punta il dito contro la sede stessa del nostro essere e afferma: “Il male sgorga da lì!” Come un medico esperto, mette la sua mano sul cuore del paziente e dice: “La malattia sta qui!” Il morbo del peccato non nasce dalla nostra mente, dalla nostra mano o dal nostro piede, ma dal nostro cuore. La ‘sacca del veleno’ si trova al centro della
nostra natura e di conseguenza tutte le nostre facoltà sono avvelenate. Di solito noi utilizziamo il termine “cuore” per indicare i sentimenti, i desideri, le passioni che animano l’essere umano: di fatti, è da queste che scaturiscono i nostri crimini. Per quale motivo l’uomo trasgredisce le leggi di Dio? Perché non ama il suo Creatore con tutto il suo cuore, la sua anima e la sua forza. Per quale ragione l’uomo fa cose malvagie? Perché non ama ciò che è giusto, retto e vero, ma ciò che è ingiusto, illecito e falso. Vedete, alla fine si arriva sempre al medesimo punto. Sia che interpretiamo “cuore” come il centro della natura umana, sia che lo interpretiamo come la sede degli affetti e dei sentimenti, arriviamo comunque allo stesso risultato: l’uomo è corrotto nel profondo della sua natura. Per usare le parole di Dio: “I disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua fanciullezza” (Genesi 8:21); “Tutto il capo è malato, tutto il cuore langue” (Isaia 1:5); “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente malato” (Geremia 17:9). Consideriamoli, quindi, questi frutti abominevoli, e consideriamoli con senso di umiliazione. Cristo parla di “pensieri malvagi”. In genere non si dà molto peso ai pensieri. Dio invece gliene dà, perché Egli in primo luogo non giudica l’azione materiale, quella che si vede esteriormente, ma la motivazione interiore che l’ha istigata. L’essenza del peccato è nel pensiero malvagio tanto quanto nell’atto malvagio. Infatti, se vogliamo comprendere il male che sta alla base dell’agire umano, dobbiamo guardare al motivo che lo determina, il che ci porta immediatamente nella sfera dei pensieri. Quindi, lungi dall’essere meno malvagi delle azioni, i cattivi pensieri rappresentano il luogo dove si annida il principio del peccato umano. A volte si sente dire: “Non si può essere condannati per dei pensieri malvagi”. È vero a livello umano, ma non davanti a Dio. A meno che la persona non si ravveda, infatti, essa sarà condannata da Dio anche a motivo dei suoi pensieri. Anche se questi non si sono trasformati in azioni, la loro colpa resta. Se delle persone venissero segregate in celle, in modo da non poter fisicamente commettere i crimini che si agitano nella loro natura, davanti a Dio sarebbero comunque peccatrici; se ne avessero avuto l’oppor10
tunità, avrebbero certamente messo in atto quello che i loro cuori desideravano. Un cavallo selvaggio non può dirsi domato perché le fasce gli impediscono di scalciare e ridurre a pezzettini il calesse; allo stesso modo l’uomo non è migliore perché dei freni postigli dalla Provvidenza gli impediscono di fare quello che vorrebbe. La natura dell’uomo, pur imprigionata tra le sbarre della legge o frenata dalla paura della punizione, rimane comunque corrotta. Qualora venisse liberata, metterebbe subito in atto i suoi loschi propositi. Persone che non hanno mai commesso adulterio, possono comunque averlo pensato, e quindi commesso nei loro pensieri, perché “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5:28). Persone che non hanno mai avuto il coraggio di rubare realmente qualcosa, nondimeno hanno concupito migliaia di volte cose di appartenenza altrui. E chi non ha bestemmiato Dio con le proprie labbra, lo ha maledetto migliaia di volte nel proprio cuore. Questi pensieri corrotti ci mostrano cosa c’è dentro di noi; perché se non fossero nel nostro cuore, non salirebbero nella mente. Cristo poi parla di “omicidi”, vale a dire, secondo il principio evangelico (Matteo 5:21-22), ogni forma ingiustificata di rabbia. Queste ebollizioni rabbiose che abbiamo dentro, per le quali desideriamo il male di certe persone, o addirittura la loro morte, sono poste nella stessa categoria degli omicidi. Questi, infatti, scaturiscono dai sentimenti di odio che si agitano dentro di noi. Se nel cuore umano non ci fosse il fuoco dell’odio, la tentazione di uccidere non farebbe divampare la fiamma; in altri termini, se gli uomini amassero il prossimo come se stessi, non ucciderebbero i propri simili. A monte dei crimini umani, quindi, ci sono queste convulsioni interiori. Mentre siede accanto al fuoco, l’uomo uccide il suo prossimo con il pensiero; mentre è in casa, scaglia frecce di odio contro i propri simili. L’essere umano è vile. Gesù prosegue il triste inventario con gli “adulteri”. Perché l’uomo commette questi terribili tradimenti? Perché gli dà piacere. Ne gode, per questo li pratica. Se il bue beve l’acqua è perché ha sete; se l’uomo rincorre i vizi, è perché li desidera. E chi non ha ancora 11
di fatto commesso adulterio, ma lo ha pensato nella mente, davanti a Dio è come se lo avesse già commesso. I “furti, anche questi vengono dal cuore. Non è forse perché viviamo in funzione di noi stessi che siamo avidi, concupiamo e infine rubiamo? E le “false testimonianze”, che cosa sono queste se non le menzogne di una persona che pensa solo a se stessa e non ama né Dio né il prossimo? La lista termina con le “maldicenze”. E da dove possono provenire queste, se non da un cuore odioso che prova piacere nel far del male al proprio prossimo? A monte di tutti questi atti malvagi c’è il cuore dell’uomo. Se questo infatti fosse puro e retto, non ci sarebbero omicidi, adulteri, furti e maldicenze. Se Dio fosse il primo e più grande amore dell’uomo, questi peccati non sarebbero commessi. Ma il cuore umano è malvagio, ed ecco il risultato. Notate che il Signore non cerca di dimostrare che tutte queste malvagità provengono dal cuore dell’uomo. Si limita ad affermarlo, perché il fatto è evidente. Se vedete un serpente venir fuori da un buco, è evidente che prima era lì dentro. La scorsa estate notai delle vespe che facevano avanti e indietro da un mucchio di rami secchi caduti nel mio giardino. Non ci volle molto per capire che là sotto avevano fatto il loro nido. Tutti, credo, avrebbero dedotto la stessa cosa. Lo stesso vale per l’uomo. Se vediamo che da lui fuoriescono continuamente le vespe del peccato, dobbiamo dedurre che il peccato è annidato dentro di lui. Se vedete una sorgente dalla quale sgorga acqua fresca, non concluderete che ci deve essere da qualche parte una riserva d’acqua che l’alimenta? Quando vediamo che gli uomini commettono omicidi, adulteri e furti, non è difficile capire che tutte queste cose sono già dentro di loro; e siccome tutti gli esseri umani, chi più chi meno, commettono malvagità, non possiamo che dedurre che in ogni uomo c’è un grande ‘deposito’ da dove procede ogni cattiva azione. Se vi fosse bisogno di qualche prova a sostegno di questa fondamentale verità, farei le seguenti osservazioni. Nessuno ha bisogno che gli si insegni a peccare. Sono necessarie scuole di virtù, ma non scuole di vizio. I pensieri malvagi verranno spontaneamente nelle menti dei vostri figli. Giovani che non hanno mai visto commettere 12
un furto, ragazzi cresciuti in ambienti onesti, si renderanno colpevoli di furti fin da tenera età. Mentire, dire falsa testimonianza, sono cose così comuni che forse è impossibile trovare una lingua che non abbia mai mentito. È colpa di un’educazione sbagliata? No, l’uomo è così per natura. Mentire é una cosa talmente naturale, che anche una persona che fin dalla nascita non ha sentito altro che dire sempre e solo la verità, alla fine mente. I figli mentono, gli adulti mentono, la gente ama raccontare storie maliziose, vere o false che siano, con un’avidità che lascia allibiti. Non è una questione di educazione, ma di depravazione interiore. Ci sono persone che inventano bugie infamanti sul conto del prossimo, ben sapendo che non devono affatto preoccuparsi di elaborarle troppo, perché basterà raccontarne una al primo passante, dopo di che la cosa si diffonderà ovunque, acquisendo dettagli sempre più falsi e ingiuriosi. Per contro, il più piccolo frammento di verità, che avrebbe fatto onore al carattere di una persona, sarà ignorato e dimenticato, fin quando, nel giorno del giudizio, Dio lo farà riemerge dall’oblio della storia. No, non c’è bisogno di educare l’uomo a peccare. Non appena il piccolo coccodrillo lascia il suo uovo, inizia a comportarsi istintivamente come il suo genitore, mordendo il ramoscello che ha rotto l’uovo da cui è uscito. Il serpente non è nemmeno nato che già incomincia a stare in agguato e a sibilare. Il cucciolo della tigre può essere nutrito e addomesticato nel tuo salotto, ma progressivamente svilupperà sete di sangue, come se fosse cresciuto nella foresta. Lo stesso vale per l’uomo. Pecca con la stessa naturalezza con cui la tigre va a caccia di sangue e il serpente produce veleno. Il peccato è nella sua natura e corrompe la sua anima. Ancora peggio: gli uomini peccano in ogni circostanza e condizione. Si è sentito dire di tutto, riguardo alle popolazioni non civilizzate. Si sosteneva, ad esempio, che l’uomo selvaggio vivesse nell’innocenza e fosse talmente religioso da vedere Dio in ogni nuvola e in ogni soffio di vento. Quando invece gli esploratori entrarono in contatto con queste culture, si trovarono davanti ad una umanità degenerata. Gli stessi filosofi che ne avevano ipotizzato un modello da imitare, cambiarono idea, ed ora affermano che le popolazio13
ni selvagge sono l’anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia! Ecco che cosa diventa la natura umana non civilizzata. Lontana dalle convenzioni e dai condizionamenti sociali, fuori dalle regole dell’economia e del commercio, il bambino viene tirato su nudo. Oh, quant’è bello! Ma lasciate che coloro che lo ammirano ci vivano insieme per un po’ di tempo e vedrete come cambieranno idea! Il carattere delle popolazioni non civilizzate è in genere così degradato da non poter essere descritto senza urtare sensibilità morali. Ma se queste popolazioni venissero civilizzate, cambierebbero veramente? No. La più alta civiltà dell’antichità fu quella greca. Eppure gli storici hanno dimostrato che anche i migliori filosofi greci, come Socrate e Solone, praticavano vizi indicibili. In tempi moderni è stato ampiamente dimostrato che né l’ignoranza né la cultura sono in grado di risolvere il problema del peccato nell’uomo. Il selvaggio impara a peccare senza libri; il civilizzato fa altrettanto nonostante tutto il suo bagaglio culturale. Una delle popolazioni più colte dei tempi moderni è quella Indù. Ma qual è il carattere morale degli Indù? Chi è stato tra di loro non ha il coraggio di raccontare tutto quello che ha visto. I missionari ci informano sottovoce che quello che hanno visto accadere nei templi induisti – dove comunque i devoti si fanno più scrupoli morali, ritenendo di essere davanti ai loro dèi – è talmente osceno che è degradante il solo pensarvi. “Sì”, mi direte, “alcuni popoli sono immorali, a prescindere dal grado della loro cultura; ma le civiltà cristiane?” Non capisco la domanda. Le cosiddette ‘nazioni cristiane’ non sono essenzialmente diverse dalle altre. Una persona religiosa non è migliore di una senza religione, a meno che la sua fede non sia vera, cambi il suo cuore e trasformi la sua vita. Se non è rinnovato dalla grazia di Dio, il cuore sotto il cappotto di un ‘cristiano’ è immondo tanto quanto quello sotto la pelle di pecora di un boscimano! Educate pure un bambino nell’osservanza esteriore di tutto quello che prevede la fede cristiana, fatelo crescere in ogni cosa secondo gli insegnamenti più retti: se lo Spirito Santo non interviene per donargli un cuore nuovo e uno spirito di rettitudine, da quel bambino 14
emergerà il peccato che ha dentro, per quanto possiate cercare di impedirlo. Anzi, è notorio che alcune persone cresciute nel rigore puritano sono poi vissute nel modo più degenerato, mentre altri si sono conformati, divenendo membri ipocriti di una religione della quale ignorano la potenza rigenerante. È necessario quindi “nascere di nuovo” (Giovanni 3:7), in mezzo alle capanne dei selvaggi come in questa nostra congregazione, negli oscuri luoghi del vizio come negli illuminati luoghi di culto. Puoi lavare la vecchia natura, puoi pulirla, puoi piegarla, frenarla, imbrigliarla, ma resterà sempre una natura corrotta, incapace di capire le verità spirituali del vangelo (1 Corinzi 2:14). Puoi prendere un uomo e incatenarlo, come fecero con l’indemoniato gadareno (Marco 5:4); puoi cercare di domarlo, addomesticarlo; ma quando verrà fuori lo spirito della malvagità, egli spezzerà i ceppi della moralità e correrà da un peccato all’altro, dietro i viscidi eccessi delle sue passioni carnali oppure dietro gli altrettanto viscidi eccessi dell’ipocrisia e del formalismo. Tutto ciò conferma questa ineluttabile verità: l’uomo pecca in ogni luogo e in ogni forma. Ancor peggio: l’uomo pecca anche dopo aver compreso il danno prodotto dal peccato. Come la falena va verso la candela anche dopo essersi scottata le ali, così l’uomo si getta nel peccato anche dopo averne visto le tristi conseguenze. Se abbandona un peccato, ne prende su un altro, proprio come il malato febbricitante descritto da Dr. Isaac Watts: Non mi dà alcun sollievo, Cambiare posizione, ma tenermi il dolore. L’uomo fa così. Non appena un alcolizzato smette di bere, ecco che si inorgoglisce e si sente migliore degli altri. Se pure riesci a farlo conformare ad una moralità esteriore, quanto lo hai veramente cambiato se l’inclinazione al male gli resta nel cuore? Gli avrai reso un beneficio davanti alla società umana, ma non davanti a Dio. È stato ucciso un uomo a Holborn Hill questa settimana, e ho letto che sul corpo non sono state trovate ferite. È stato schiacciato tra un omnibus e un carretto. Tutte le lesioni erano interne, eppure 15
è morto come se fosse stato accoltellato con mille pugnalate. L’uomo muore per il peccato interiore. Per un tempo questo può anche rimanere nascosto, ma l’uomo in definitiva muore per ciò che ha dentro. Molte persone muoiono di emorragia interna, anche se esteriormente non vi è nessuna ferita visibile all’occhio umano. E tu, che ora mi ascolti, puoi finire all’inferno vestito con l’elegante abito della buona reputazione oppure con gli stracci della più sfrontata immoralità. Se nel profondo del tuo cuore non ti arrendi a Dio, Egli non ti accoglierà, perché non guarda solo le azioni esteriori, ma la condizione del tuo cuore, per vedere se è sincero verso di Lui: “Perché l’Eterno non vede come vede l’uomo; l’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore” (I Samuele 16:7). Per concludere questo spaventoso atto d’accusa contro l’umanità, consideriamo anche che l’uomo pecca non perché è carente nell’intelletto, ma perché è depravato nell’animo. Quando un uomo pecca per errore, non sa di aver peccato, e pensa magari di aver fatto del bene; quando però si accorge del suo errore, si pente davanti a Dio di ciò che ha fatto. Questo, però, l’uomo non lo fa spontaneamente. L’uomo non rigenerato dallo Spirito di Dio, quando si accorge di aver peccato, di solito ne prova ulteriore piacere; proprio come l’apostolo Paolo, quando afferma che non avrebbe conosciuto la concupiscenza se la legge non gli avesse detto: “Non concupire” (Romani 7:7). La natura corrotta dell’uomo ama i frutti proibiti. Alcune persone lavorano la domenica proprio perchè Dio ha proibito di farlo. Alcuni ragazzi svogliati, che fanno del lunedì il loro giorno di riposo, si oppongono con tutte le forze al concetto del riposo domenicale. È strano come gli uomini da una parte vogliano limitare ad alcuni ciò che Dio ha stabilito per tutti e dall’altra aprire a tutti ciò che Dio ha stabilito per alcuni. Non appena insegni ad un bambino che una certa cosa non si deve fare, anche se non aveva mai pensato di farla, ora che gliel’hai vietata la vuole fare! Questa è la nostra natura: “Venuto il comandamento”, dice l’apostolo, “il peccato prese vita e io morii” (Romani 7:9). Il problema non sta nella Legge di Dio, ma dentro di noi! Se si getta acqua fredda sulla calce viva si produce immediatamente calore: questo non deriva 16
dall’acqua, ma dalla calce. Il comandamento di Dio – “Non fare questo”; “Non commettere quest’altro” – porta l’uomo a peccare, il che mostra l’indice della depravazione umana. A questo punto, qualcuno certamente obietterà: “Io non sono così; non mi piace sentir parlare dell’uomo in questi termini”. Perché, pensi che a me faccia piacere? A me non piace guardare l’immondizia, come non piace a te. “Sì, ma, diversamente da te, io credo che la natura umana sia fondamentalmente buona”. Credilo, se vuoi. Per quanto ci riguarda, noi ascolteremo la Parola di Dio, la quale dice l’esatto contrario! Inoltre, sappiamo per dolorosa esperienza personale che le cose stanno così. Il Signore ci preserva da molti peccati esteriori, è vero, ma dobbiamo confessare che dentro di noi, a volte, ci sono sentimenti e pensieri terribili. E riconoscendo la nostra colpevolezza, riconosciamo altresì che questa non è soltanto la nostra condizione, ma quella dell’intero genere umano. Davanti a Dio, siamo tutti colpevoli. Non c’è nessuno giusto, né Ebreo né Gentile, siamo tutti dominati dal peccato: “Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno” (Romani 3:9-12)
II. Le verità correlate Adesso occupiamoci di alcune verità che sono connesse con questo dato di fatto così umiliante. Innanzitutto, la verità di ciò che il Signore dice sulla natura del nostro cuore, cioè che è un covo dal quale proviene ogni sorta di malvagità, chiama in causa la dottrina biblica della caduta dell’umanità in Adamo. Se il nostro stato corrisponde a quello descritto da Cristo, è inconcepibile che Dio ci abbia creati così. Un Essere puro e santo crea esseri puri e santi. Come dice Giobbe: “Chi può trarre una cosa pura da un’impura? Nessuno!” (Giobbe 14:4). Invertendo la domanda, possiamo dire: “Come può una cosa impura venir fuori da una pura?” Dio è perfettamente santo e in origine creò un’umanità santa. Non avrebbe potuto creare un’umanità depravata, perché Egli non può agire contrariamente 17