Il sermone sul monte 2 cap 1

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INDICE Prefazione 1 Vivere una vita retta 2 Come pregare 3 Il digiuno 4 Pregate così… 5 Pregare significa adorare 6 Pregare significa supplicare 7 Tesori in terra e in cielo 8 Dio o Mammona 9 La ripugnante schiavitù del peccato 10 Non siate in ansia 11 Uccelli e fiori 12 Poca fede 13 Accrescere la fede 14 L’ansia: le sue cause e i suoi rimedi 15 Non giudicate 16 La pagliuzza e la trave 17 Giudizio spirituale e discernimento 18 Cercate e troverete 19 La regola d’oro 20 La porta stretta 21 La via angusta 22 I falsi profeti 23 L’albero e il frutto 24 La falsa pace 25 Ipocrisia inconscia 26 I sintomi dell’autoinganno 27 I due uomini e le due case 28 Sulla roccia o sulla sabbia? 29 Le verifiche della fede 30 Conclusione

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Capitolo 1

VIVERE UNA VITA RETTA  Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non far sonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. (Matteo 6:1-4)

Il nostro studio del Sermone sul Monte è cominciato con la divisio-

ne e l’analisi dei suoi contenuti. Abbiamo visto che con il capitolo sei inizia una nuova sezione. La prima sezione (Mat 5:3-12) contiene le Beatitudini, le quali definiscono che cosa significhi essere un cristiano; la seconda (5:13-16) descrive il cristiano nella sua relazione con il mondo; la terza (5:17-48) tratta della relazione del cristiano con la legge di Dio, spiega la reale natura di tale legge confrontandola con il falso insegnamento dei farisei, terminando con l’importante esortazione dell’ultimo versetto: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ora giungiamo ad una sezione del tutto nuova, che percorre l’intero capitolo sei. In questa sezione troviamo quello che potremmo considerare il ritratto del cristiano che vive la sua vita nel mondo, alla presenza di Dio, sottomesso al Signore e in totale dipendenza da Lui. Leggete il capitolo sei e troverete continui riferimenti a Dio Padre. In precedenza abbiamo osservato il carattere del cristiano, come questi debba comportarsi nella società e ciò che Dio richiede da lui. Qui, invece, abbiamo la descrizione del cristiano che vive 9

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nel mondo; e la cosa importante, continuamente rimarcata, è che il cristiano fa ogni cosa conscio della presenza di Dio. In altre parole, questa sezione descrive i cristiani come figli di Dio, in relazione al loro Padre, mentre compiono questo lungo pellegrinaggio che chiamiamo vita. Il capitolo considera la nostra esistenza nel suo insieme, esaminandola sotto due aspetti principali. È importante notarlo perché, in fin dei conti, la vita di un cristiano si compone di questi due aspetti. Il primo è affrontato e sviluppato dal v. 1 al v. 18; il secondo dal v. 19 alla fine del capitolo. Il primo riguarda ciò che potremmo definire la vita spirituale, la cura e il nutrimento dell’anima, il rapporto con Dio, l’adorazione di Dio, dunque tutto ciò che riguarda la nostra relazione personale con il Signore. Naturalmente, questo non è l’unico aspetto della vita cristiana, ma serve a ricordarci che i cristiani non appartengono al mondo, ma sono figli di Dio e cittadini di un regno invisibile. Su questa terra noi non siamo altro che viandanti, persone di passaggio; a differenza dei non credenti, non apparteniamo al mondo, non siamo persone mondane, ma abbiamo un rapporto vero e personale con Dio, e camminiamo con Lui. Viviamo però nel mondo, e anche se non gli apparteniamo, esso ci coinvolge e in molti modi ci influenza. D’altronde, dobbiamo viverci. La seconda immagine, quindi, riguarda il cristiano e la sua vita in generale, in quanto anch’egli è soggetto ai “lacci e alle frecce di una sorte oltraggiosa”1. Anch’egli ha bisogno di mangiare e bere, di vestirsi e stare al coperto; se ha una famiglia propria, anch’egli deve curarsi del proprio coniuge, crescere dei figli e quindi affrontare gli affanni della vita. Il capitolo 6, quindi, si divide essenzialmente in due parti: una concernente aspetti fondamentalmente spirituali, l’altra aspetti pratici. Ambedue sono trattati dal Signore e in modo dettagliato. In altre parole, è di vitale importanza per il cristiano avere istruzioni su entrambi questi aspetti, perché siano assolutamente chiari. Non c’è Dal Macbeth di Shakespeare.

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errore più grande del pensare che, nel momento in cui uno si converte e diventa credente, tutti i suoi problemi sono risolti e tutte le sue difficoltà finite. La vita cristiana è piena di difficoltà, tentazioni e trappole. Ecco perché abbiamo bisogno delle Scritture. Gli insegnamenti specifici datici dal Signore nella sua Parola non sarebbero necessari se non fosse per i problemi che abbondano nella vita del cristiano, come ben rilevano scrittori di grande spiritualità, come John Bunyan. Associate all’esperienza cristiana e alla nostra vita nel mondo, ci sono cose che possono farci inciampare. Se analizziamo la nostra esperienza personale o leggiamo biografie di persone credenti, noteremo che molti hanno affrontato difficoltà, a volte fino a perdere la gioia della vita cristiana, e questo per aver trascurato uno dei due aspetti dei quali si parla in questo capitolo. Come vedremo, alcuni vengono meno nell’aspetto spirituale della loro vita, mentre altri negli aspetti pratici. Il fatto è che entrambi questi aspetti vanno valutati, e qui, nel testo che stiamo esaminando, il Signore li tratta ambedue e in maniera molto dettagliata. È bene capire fin da subito che questo sesto capitolo del vangelo di Matteo è molto profondo; anzi, potremmo definirlo gravoso. A volte penso che sia uno dei capitoli più inquietanti della Bibbia. Va a fondo, scandaglia, analizza e ci pone come davanti ad uno specchio, obbligandoci al confronto. Non c’è capitolo che più deliberatamente di questo ci causi umiliazione e mortificazione. Ma sia ringraziato Dio per avercelo dato! Il cristiano dovrebbe essere sempre desideroso di conoscere se stesso; nessun altro vuole farlo seriamente. L’essere umano, per natura, pensa di conoscere se stesso, rivelando proprio in questo il suo problema fondamentale: evita di analizzarsi radicalmente, perché la conoscenza di se stessi è la più dolorosa che si possa acquisire. Questo capitolo ci mette di fronte a noi stessi e ci consente di vederci per ciò che siamo in realtà. E grazie a Dio per questo, perché soltanto quando ci vediamo per ciò che realmente siamo che ci sentiamo spinti a volgerci a Cristo e a cercare la pienezza dello Spirito di Dio. Soltanto Lui può estinguere nel cristiano i residui dell’egoismo e tutto ciò che tende a rovinare la vita cristiana. 11

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Qui, come nel capitolo precedente, il Signore trasmette il suo insegnamento mettendolo in contrasto con quello dei farisei. Ricorderete che il primo riferimento a questo contrasto fu quando il Signore disse: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Mat 5:20). Il contrasto, qui, riguardava i principi che dovrebbero regolare la vita del cristiano. Nel nostro brano, invece, l’enfasi non è tanto sui principi quanto sulla vita pratica, la quale include il rapporto con Dio e l’intero atteggiamento spirituale della persona. Arrivati a questa prima sezione, ci rendiamo conto che il versetto 1 funge da introduzione al messaggio contenuto nei versetti 2-18. È straordinario vedere la perfetta struttura del Sermone. Chi ha orecchio musicale e sa come analizzare le sinfonie, noterà che qui c’è qualcosa di ancora più sorprendente. Stabilito il tema, c’è l’analisi; dopodiché, vengono sviluppati i temi e le sezioni particolari (i cosiddetti leit-motiv); infine si tirano le somme e tutto è raccolto in un unico esposto. Il Signore, qui, usa un metodo di questo tipo. Nel primo versetto espone il principio generale che governa la vita spirituale del cristiano, dopodiché fornisce tre illustrazioni di tale principio parlando di elemosina, preghiera e digiuno. Queste cose, in definitiva, costituiscono l’insieme della vita cristiana. Se analizziamo quest’ultima, infatti, vediamo che essa consiste di questi tre aspetti: (1) le elemosine, ovvero l’aiuto da prestare al prossimo; (2) la vita di preghiera e il contatto con Dio; (3) la mortificazione del peccato. Dobbiamo ancora una volta rilevare che questi sono soltanto degli esempi che il Signore utilizza per chiarire il principio generale, esattamente come fece al capitolo 5, nella sua esposizione della legge. Il principio fondamentale è esposto nel versetto 1 del capitolo 6. A questo punto, non c’è alcun dubbio che quelle versioni della Scrittura che traducono: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini”2, sono migliori di quelle che traducono: “Guardatevi dal fare la vostra elemosina davanti agli uomini”3. La discre Versione Luzzi e Nuova Diodati. Versione Diodati e Nuova Diodati.

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panza deriva da una differenza testuale nei manoscritti. Indubbiamente, la prima versione è la migliore, come d’altronde sostengono pressoché tutti i critici competenti: il termine giusto è “giustizia”, non “elemosina”. Fare l’elemosina è qualcosa di specifico, mentre il proposito del Signore, in questo primo versetto, è di stabilire un principio generale. La parola “giustizia” governa i tre aspetti del giusto vivere descritti nei versetti seguenti (v. 2-18). Considereremo in primo luogo la giustizia in sé, dopo di che passeremo a considerarne le sue varie manifestazioni. Il principio generale è: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti, non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli”. Valutiamo ora questo argomento attraverso vari principi sussidiari. Il primo concerne l’equilibrio della vita cristiana. La vita cristiana è sempre una questione di equilibrio, di padronanza di sé. È una vita che a volte appare contraddittoria, perché ingloba aspetti apparentemente incompatibili. Leggendo il Sermone sul Monte, troviamo questa ingiunzione: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mat 5:16). Ora invece leggiamo: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli”. Una persona potrebbe chiedersi: “Ma allora, che cosa devo fare? Se devo fare tutto senza farmi vedere, se devo pregare nella mia stanza con tanto di porta chiusa, se devo ungermi il viso e lavarmi per nascondere che non sto digiunando, come possono sapere gli altri che sto aiutando il prossimo, pregando e digiunando? Come possono vedere questa luce che brilla dentro di me?” Ovviamente, la contraddizione è solo apparente. Notate la prima affermazione: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. Non c’è contraddizione: siamo chiamati a fare ambedue le cose contemporaneamente. Il cristiano è tenuto a vivere in modo tale che chi lo guarda e nota la qualità della sua vita, sia portato a glorificare Dio; allo stesso tempo, il cristiano deve sempre 13

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ricordare che l’intento del suo operare non è di attirare l’attenzione su di sé ed essere ammirato dagli altri. Trovare questo equilibrio non è facile; difatti il cristiano tende ad andare da un estremo all’altro: a volte è plateale, persino esibizionista; altre volte è inibito, addirittura recluso. Se scorrete la storia della chiesa cristiana attraverso i secoli, troverete sempre questo grande contrasto: da una parte cristiani che hanno teso ad ostentare la loro spiritualità, dall’altra cristiani talmente timorosi del proprio orgoglio che hanno finito per segregarsi dal mondo. Ambedue questi estremi, però, sono da evitare. La vita cristiana deve essere vissuta con attenzione e cautela, e se la viviamo in modo corretto, guidati dallo Spirito Santo, troveremo il giusto equilibrio. È ovvio che, se prendiamo queste cose meramente come regole da attuare, sbaglieremo e cadremo in uno dei due estremi. Se invece comprendiamo che quello che conta è lo spirito, allora ci salveremo da eventuali errori. Non dimentichiamolo mai: il cristiano deve attirare l’attenzione delle persone, ma non su di sé. Lo capiremo meglio a mano a mano che proseguiremo nel nostro studio. Il secondo principio è che la scelta definitiva si riduce sempre a questo: o compiacere se stessi o compiacere Dio. Ciò potrà sembrare molto elementare, ma proprio per questo bisogna enfatizzarlo. “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro”. Si potrebbe pensare, quindi, che la scelta sia tra il compiacere le persone o il compiacere Dio. Non sono d’accordo. Sostengo, invece, che la scelta definitiva sia tra il compiacere se stessi o il compiacere Dio. La differenza è sottile, ma importante. In ultima analisi, il motivo per cui vogliamo compiacere gli altri è per compiacere noi stessi. Vogliamo compiacerli, infatti, non perché li amiamo, ma perché essi pensino bene di noi; in altre parole, cerchiamo la nostra gratificazione. Sta qui la sottigliezza del peccato. Ciò che sembra altruistico, può essere in realtá una forma molto subdola di egoismo. Come mostra il Signore, l’uomo naturale desidera essere approvato dai propri simili più di quanto desideri essere approvato da Dio, e per questo si preoccupa di avere una buona opinione di se stesso. In ultima analisi, o compiaciamo noi stessi o compiaciamo Dio. È una questione seria, ma nel momento in cui 14

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cominciamo ad analizzare noi stessi e i motivi della nostra condotta, concorderemo con questa conclusione. Consideriamo ora il prossimo principio, forse il più importante di tutti: la cosa più importante della vita è la nostra relazione con Dio. Uno dovrebbe quasi scusarsi per un’affermazione così scontata, eppure credo che la causa principale di tutti i nostri fallimenti sia proprio questa: ci dimentichiamo proprio della nostra relazione con Dio! Dovremmo renderci conto che l’obiettivo primario nella vita è compiacere Dio, Lui soltanto, in ogni momento e in ogni cosa. Se il nostro fine è questo, non sbaglieremo. Qui, naturalmente, vediamo la singolare caratteristica della vita del nostro Signore Gesù Cristo. C’è forse nella sua vita qualcosa che emerge più chiaramente del fatto che visse interamente per Dio? Giunse a dire che le parole che predicava non provenivano da Lui, ma dal Padre, e che le opere che compiva gli erano comandate dal Padre. Tutta la sua vita fu dedita a glorificare Dio. Non pensò mai a se stesso, non fece mai nulla per se stesso, non impose mai se stesso. Di Lui i profeti avevano predetto: “Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante” (Isa 42:3). Non alzò mai la voce. In un certo senso sembrava come se non volesse essere visto, come se volesse nascondersi. Ovviamente, Egli “non poté restare nascosto” (Mar 7:24), eppure sembrava che volesse esserlo. Privo di qualsiasi atteggiamento esibizionistico, visse sempre, interamente ed esclusivamente, per la gloria di Dio. Ripeteva continuamente: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Giov 6:38). E aggiungeva: “Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (5:44). “Il vostro problema – diceva Egli in effetti – è che vi preoccupate di ciò che pensano gli altri. Se vi preoccupaste unicamente della gloria e dell’onore di Dio, tutto sarebbe diverso”. A questo riguardo, la seconda cosa che dobbiamo ricordare è che noi siamo sempre alla presenza di Dio, sempre sotto il suo sguardo. Egli vede ogni nostra azione, ogni nostro pensiero. Infatti, se sei una persona cui piace avere dei testi biblici visibili sul tuo tavolo di lavoro o sulle pareti di casa, non ce n’è uno migliore di questo: “Tu 15

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sei il Dio che mi vede” (Gen 16:13). Dio è ovunque. “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini”. Perché? “Altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli”. Dio vede ogni cosa. Egli conosce il tuo cuore, gli uomini no. Puoi ingannare loro e persuaderli che sei una persona giusta e altruista, ma Dio conosce il tuo cuore. “Voi – disse il Signore ai farisei – vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio” (Lc 16:15). Questo è ovviamente un principio fondamentale, che riguarda tutti gli aspetti della nostra vita. A volte penso che il modo migliore per vivere una vita realmente consacrata al Signore sia proprio ricordare costantemente questa verità. La mattina, quando ci svegliamo, dovremmo ricordarci che siamo alla presenza di Dio. Non sarebbe sbagliato, prima di affrontare la giornata, dirsi: “Durante tutto questo giorno, qualsiasi cosa io faccia, dica, provi, pensi o immagini, sarà vista da Dio. Egli è con me, vede e sa ogni cosa”. Non c’è nulla che Dio non conosca perfettamente. “Tu sei il Dio che mi vede”! Se pensassimo e agissimo sempre così, la nostra vita sarebbe letteralmente rivoluzionata. Tanti libri scritti sulla vita devozionale concentrano l’attenzione su questo aspetto. Ricordate quel famoso libretto La Pratica della presenza di Dio, scritto dal Fratello Lawrence4? Non vi raccomando il libro, ma il principio che vi è sottolineato. Se vogliamo vivere una vita cristiana piena, dobbiamo imparare a disciplinarci, a parlare a noi stessi. È fondamentale rendersi conto di essere sempre alla presenza di Dio. Egli vede tutto, sa tutto, e noi non possiamo assolutamente sfuggire al suo sguardo. Gli autori dei Salmi lo sapevano benissimo, tant’è che a volte lo invocavano dicendo: “Dove potrei fuggire lontano dalla tua presenza?” (Sal 139:7). Non posso sfuggirti. Tu sei sempre presente. “Se stendo il mio letto nello Sceol… se prendo le ali dell’alba e vado a dimorare all’estremità del mare… anche là la tua mano mi guiderà e la tua destra mi afferrerà” (v. Al secolo, Nicholas Herman (ca.1605-1691).

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9-10). Non possiamo nasconderci da Dio. Se solo ce ne ricordassimo, svanirebbero l’ipocrisia, l’adulazione e la superbia. Il fatto che non possiamo nasconderci da Dio è un principio cardinale. Riguardo alla scelta tra il compiacere noi stessi e il compiacere Dio, dobbiamo sempre tenere presente che Dio sa tutto su di noi: “Tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto” (Eb 4:13). Egli conosce i sentimenti e i pensieri del cuore, e ci scruta nel profondo, fino alle midolla, dividendo l’anima dallo spirito (Eb 4:12). Non c’è nulla che sia nascosto al suo sguardo. Dobbiamo partire da questo presupposto. Se tutti lo mettessimo in pratica, ne scaturirebbe una rivoluzione. Sono certo che avrebbe subito inizio un risveglio, con profondi cambiamenti nella vita della chiesa e dei singoli credenti. Pensate alle finzioni, alle mistificazioni, a tutte le cose indegne che ci sono dentro ognuno di noi. Se solo ci rendessimo conto che Dio vede tutto, che è consapevole di tutto, che prende nota di tutto! Questo è l’insegnamento della Scrittura, il suo modo di predicare la santità! Non ci offre una meravigliosa esperienza che risolva tutti i nostri problemi. Piuttosto ci fa capire che siamo continuamente alla presenza di Dio! La consapevolezza di questa verità, infatti, ci rende ancor più consapevoli del nostro bisogno di Cristo, della croce, sollecitandoci a pregare perché Dio ci riempia del suo Spirito Santo. Il principio seguente, quello concernente le ricompense o i premi, è motivo di perplessitá in molti credenti. Il Signore, però, ci insegna che desiderare la sua ricompensa è assolutamente legittimo: “… altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mat 6:1). Se fai ciò che è giusto, “il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (v. 4). Oggi non se ne parla più così tanto, ma agli inizi del XX secolo era comune l’insegnamento secondo cui la vita cristiana va vissuta non tanto per ricevere una futura ricompensa da parte di Dio, ma per ció che é in se stessa; è talmente stupenda di per sé, che dovremmo viverla non perché desideriamo il paradiso o abbiamo paura dell’inferno, ma in modo assolutamente disinteressato e altruista. Nel trasmettere questo insegnamento spesso si utilizzavano delle storie: come quella di un 17

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uomo che camminava lungo una strada, con un secchio d’acqua in una mano e un secchio di fuoco nell’altra; qualcuno gli chiese che cosa intendesse fare con quei due secchi, e l’uomo rispose che stava andando a bruciare il cielo con il fuoco e a spegnere l’inferno con l’acqua; non gli importava né dell’uno né dell’altro. Questo, però, non è l’insegnamento del Nuovo Testamento, il quale dichiara giusto e buono il desiderio di vedere il Sommo Bene, cioè Dio: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mat 5:8). È un desiderio legittimo, un’ambizione giusta. Di Cristo ci è detto che, “per la gioia che gli era posta dinanzi, sopportò la croce, disprezzando l’infamia” (Eb 12:2). E di Mosè ci è detto che fece quello che fece, perché aveva messo l’occhio sulla “ricompensa” (Eb 11:26) – era lungimirante. Per quale motivo i credenti descritti in Ebrei 11 vissero delle vite così consacrate a Dio? Ecco la risposta: perché intravidero cose distanti e cercarono la “città che ha le vere fondamenta” (Eb 11:10), fissando il loro sguardo su quel fondamentale obiettivo. Tenere presente la ricompensa futura è legittimo. Il Nuovo Testamento ci incoraggia a rifletterci, ricordandoci che ci sarà un giudizio. Alcuni saranno colpiti con molti colpi, altri con p ochi (Lc 12:4748). Ogni opera umana sarà giudicata, per appurarne la natura (I Cor 3:11-15). Tutto ciò che facciamo sarà giudicato: “Noi tutti, infatti, dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male” (II Cor 5:10). Quindi, dovremmo essere interessati alla ricompensa che riceveremo da Dio! Non c’è nulla di male in questo, purché si desideri la ricompensa della santità, della vita eterna presso Dio. La seconda cosa importante è questa: Dio non ricompensa le persone che cercano ricompense dagli uomini. É un principio tanto solenne quanto perentorio: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli”. Se operate per essere ricompensati dagli uomini, non sarete ricompensati da Dio. Mettiamola così: se un predicatore si preoccupa di ciò che la gente pensa della sua predicazione, forse otterrá la loro adulazione, 18

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ma da Dio non avrá nulla. È un principio assoluto. Se cerchi ricompense umane, non ne avrai da Dio. Alla luce di questo principio, analizza la tua vita e considera tutto ciò che hai fatto di buono nel passato. Quanto ti resta che possa essere ricompensato da Dio? Questi sono i principi che riguardano l’affermazione generale. Ora, come conseguenza di tali principi, consideriamo brevemente ciò che il Signore dice riguardo al fare elemosina. Fare elemosina significa aiutare persone che sono nel bisogno, offrendo loro denaro, tempo ed altre cose che possano alleviare le loro necessitá. Tuttavia, Cristo ci dice essenzialmente che c’è un modo giusto e un modo sbagliato di fare elemosina. Il modo sbagliato consiste nel fare del bene al prossimo per essere notati dagli altri: “Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te” (Mat 6:2). Non che le persone facessero letteralmente suonare delle trombe, ma l’illustrazione rende chiaro il concetto. L’atteggiamento con cui operavano equivaleva ad avere un trombettiere che le precedeva e ne proclamava la bontá: “Guardate e ammirate le opere compiute da queste persone pie!” É sbagliato proclamare le proprie opere, attirando l’attenzione su di queste. Si potrebbero fare tanti esempi, ma ne basta uno. Ricordo una signora che si sentiva chiamata da Dio a iniziare una certa opera e ad attuarla “per fede”, come si suol dire. Non ci dovevano essere né collette né richieste di fondi. Questa signora decise d’inaugurare l’opera con una predicazione che ebbi il privilegio di portare. A metà incontro, quando fu il momento degli annunci, questa donna, per dieci minuti, parlò alla congregazione di come questa opera dovesse essere portata avanti per fede, senza alcuna colletta, di come lei non credesse nelle collette, e così via. Di fatto, fece il più efficace appello per raccogliere fondi che io avessi mai sentito! Non voglio dire che questa persona fosse disonesta; anzi sono sicurissimo che non lo fosse. Di certo, tuttavia, era molto apprensiva, e quando si è apprensivi, si fanno facilmente questo genere di cose, anche in maniera inconscia. È un modo di dire le cose senza dirle esplicitamente. La cosa é molto subdola! Come un predicatore itinerante che dice: “Non sono il tipo che si mette a contare e sbandierare il numero dei convertiti; tuttavia, 19

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il Signore dev’essere glorificato, e se non si pubblica il numero delle conversioni, come si può dare gloria a Dio?” Oppure: “Non mi piacciono quei lunghi resoconti che si fanno durante le riunioni annuali; se però Dio deve essere glorificato, come si può fare altrimenti?” Vedete la sottigliezza? Non è sempre necessario che qualcuno “suoni la tromba” in maniera evidente; quando ci esaminiamo con onestà, costatiamo che ci sono modi molto subdoli con i quali otteniamo gli stessi risultati. Questo quindi è il modo sbagliato di fare opere di bene, e i risultati sono questi: “Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno” (Mat 6:2). La gente ti elogia: “Quello che fai è stupendo, straordinario, meraviglioso!” Ecco la ricompensa: gli apprezzamenti delle persone, il tuo nome sui giornali, gli articoli sulle riviste, il gran chiacchierio sulla tua bontà, e infine un bel necrologio! Se questo è ciò che volevi, sarà tutto quello che otterrai. Da Dio non avrai nulla. Quanto dovremmo commiserare questo tipo di persone! Quanto dovremmo pregare per loro! Qual è il modo giusto per aiutare il prossimo? Eccolo: “Quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Mat 6:3). In altre parole, non dire agli altri ciò che stai facendo, in alcun modo. Questo é ovvio. Meno ovvio, invece, è il seguente principio: non dirlo neanche a te stesso! Alcuni trovano facile non parlare agli altri delle opere di bene che compiono; in fondo, la persona che pubblicizza se stessa é alquanto patetica. Piú difficile invece è non inorgoglirsi perché non si è così. Puoi anche essere una persona che non promuove se stessa, ma se questo ti porta a ringraziare Dio perché tu sei migliore degli altri, allora ti comporti come un fariseo. Cosí, infatti, pregava il fariseo: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano” (Lc 18:11). Come potete vedere, il Signore non si limita a dire che non dobbiamo far suonare le trombe per annunciare al mondo le nostre buone opere; dice altresì che non dobbiamo inorgoglirci parlandone a noi stessi. La tua mano sinistra non deve sapere quello che fa la destra. In altri 20

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termini, avendo compiuto opere di bene in segreto, non bisogna poi prendere in mano il proprio diario e scrivervi: “Bene, ho fatto questo, questo e questo… Naturalmente, non l’ho detto a nessuno”. Non l’avrai detto a nessuno, però ti sei auto-celebrato! Il Signore, qui, ci dice in effetti: “Non tenete questo tipo di diari nella vostra vita spirituale; non tenete il conto dei profitti e delle perdite; dimenticatevi di tutto! Agite perché siete animati da Dio e guidati dallo Spirito Santo, e poi scordatevi tutto”. Come possiamo riuscire a vivere con questo spirito? C’è solo un modo: amando Dio cosí tanto da non aver tempo per pensare a noi stessi! Fin quando ci concentreremo su noi stessi, non riusciremo mai a liberarci del nostro egocentrismo. Il solo modo è di essere così presi dall’amore da non avere tempo per pensare a noi stessi. In altre parole, se vogliamo veramente obbedire questo insegnamento, dobbiamo guardare al Cristo che morì morente sul Calvario e pensare alla sua vita, a tutto ciò che dovette sopportare e soffrire per amore di noi. E qual è il risultato di tutto ció? Il risultato é meraviglioso. Dice in essenza il Signore: “Non tenere tu il conto, perché lo terrà Dio. Egli vede e prende nota di ogni cosa, e un giorno ti ricompenserà apertamente”. Quanto siamo sciocchi a tenere il conto delle nostre opere, senza pensare che, così facendo, non otterremo alcuna ricompensa da Dio. Se però dimentichiamo tutto e agiamo unicamente per amore di Dio, un giorno scopriremo che Egli ha tenuto il conto. Nulla di quello che avremo fatto sarà dimenticato, persino le cose più piccole. Vi ricordate ciò che il Signore disse nel capitolo 25 di Matteo? “Ebbi sete e mi deste da bere; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli dissero: “Signore, quando mai ti abbiamo visto assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto in prigione e siamo venuti a trovarti?” Ma il Signore rispose loro: “Voi non lo ricordate, ma lo avete fatto; è stato tutto scritto nel mio Libro”. Egli tiene i libri mastri, quindi la contabilità dobbiamo lasciarla a Lui. È come se dicesse: “Hai fatto tutto in segreto, ma io ti ricompenserò apertamente”. Anche al presente, se vuole, può ricompensarti pubblicamente, davanti a tutti; ma un giorno, com’è vero che Egli vive, lo farà; quando i segreti di tutti gli uomini saranno rivelati, il 21

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Il sermone sul monte

grande Libro sarà aperto e il verdetto finale sarà emesso davanti al mondo intero. Ogni dettaglio di quanto hai fatto per la gloria di Dio sarà rivelato e ti sará dato credito, onore e gloria (Rom 2:10). Egli ti ricompenserà apertamente e ti dirà: “Va bene, servo buono e fedele… entra nella gioia del tuo Signore!” (Mat 25:21). Dunque, fissiamo lo sguardo sull’obiettivo finale, ricordandoci che gli occhi di Dio sono sempre su di noi, che noi viviamo sempre nella sua presenza. Possa questo pensiero spronarci a vivere per compiacere Lui e Lui soltanto.

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Il sermone sul monte_Libro.indb 22

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