Il cuore del racconto il leone la strega e l'armadio

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GENE฀E.฀VEITH

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Il฀leone,฀la฀strega e฀l’armadio

Collana “Letture in casa”


ISBN 88-88747-34-6 Titolo originale: The Soul of The Lion, The Witch and The Wardrobe Per l’edizione inglese: © Gene Edward Veith, 2005 Pubblicato da Cook Comunications Minstries 4050 Lee Vance View, Colorado Springs Colorado, 80918, U.S.A. Per l’edizione italiana: © Alfa & Omega, 2006 C. P. 77, 93100 Caltanissetta, IT e-mail: info@alfaeomega.org - www.alfaeomega.org Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata Traduzione e adattamento: Mara sella, Antonella Galiero Revisione: Ivana Ferrari Impaginazione e copertina: Giovanni Marino Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione “Nuova Riveduta”


INDICE

Prefazione .................................................................. 7 Introduzione: sgattaiolare oltre i vigili draghi .............. 11

PARTE฀I฀-฀LA฀STORIA 1. Narnia: creazione e sub-creazione ................... 31 2. Figli di Adamo e figlie di Eva: la natura umana in due mondi ........................................ 45 3. La Strega Bianca: il regno del Diavolo ............. 57 4. Aslan: il Leone di Giuda .................................. 71 5. La Tavola di Pietra: sacrificio, redenzione, giustificazione ................................................... 93 6. La battaglia: la santificazione e lo Spirito Santo .............................................................. 111 7. Ritorno a casa: il viaggio spirituale ................ 121

PARTE฀II฀-฀LE฀GUERRE฀DEL฀FANTASY 8. Cristianesimo e fantasy .................................. 131 9. Il Leone e i Babbani ....................................... 159


10. Le serie anti-Lewis e anti-Narnia ................... 175 11. Il Leone e il Vegliardo .................................... 195 12. Conclusione: il Vangelo attraverso le storie .............................................................. 211 Guida per i lettori ................................................... 223 BibliograďŹ a delle opere citate pubblicate in italiano ... 237


INTRODUZIONE Sgattaiolare oltre i vigili draghi

l leone, la strega e l’armadio nasce, disse Lewis, da un’immagine che continuava a tormentarlo da quando aveva sedici anni: un fauno (un essere metà capra e metà uomo) in una foresta coperta di neve, con in mano un ombrello e tra le braccia dei pacchetti. Quando aveva circa quarant’anni, Lewis decise di scriverci una storia1. Altre immagini ribollivano e spumeggiavano, come diceva lui, nella sua mente: una regina su una slitta, un lampione nel bosco. Poi, disse, un leone si aggiunse al tutto; e fu allora che la storia cominciò a prendere forma. Lewis disse di aver cominciato con queste immagini della sua mente; ma, per farne una storia, aveva bisogno di una forma narrativa. Che tipo di storia poteva contenere un fauno, una regina, un lampione, e un leone? Una favola, naturalmente. Questo genere, a sua volta, ha le sue regole, che Lewis avrebbe dovuto seguire: lo stile avrebbe dovuto essere breve e conciso.

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CLIVE S. LEWIS, “Cominciò tutto con un’immagine”, in Altri mondi: saggi e racconti, a cura di WALTER HOOPER, trad. it. A. Miggiano, Alba, Paoline, 1969, p. 47. 1

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La favola ha anche tradizioni, che andavano seguite, eppure è molto flessibile, in grado di coprire un vasto territorio. Il vocabolario, però, sarebbe stato limitato. Cominciando a scrivere, Lewis disse, si innamorò dello stile della favola, apprezzandone le difficoltà come uno scultore apprezza la durezza della pietra1. Ma poi la storia acquistò uno scopo più ampio. Lewis era diventato cristiano da adulto. Per tutta la sua vita aveva avvertito un profondo desiderio, anche se non sapeva cosa desiderava. Dopo molto tempo conobbe il Dio che creò il mondo, che venne in quel mondo in carne e ossa come l’uomo-Dio Gesù Cristo, che ci salvò da Satana morendo per i nostri peccati, che risuscitò dai morti per darci una nuova, eterna vita per mezzo dello Spirito Santo. La fede cristiana soddisfece tutti i suoi desideri. Le verità bibliche erano stupefacenti, così stupendamente meravigliose che per un momento pensò che fossero troppo belle per essere vere. Soltanto quando smise di lottare contro Dio e cominciò a credere in Cristo si convinse che erano tutte vere. Non c’è niente di più meraviglioso delle verità del cristianesimo. Ma allora perché tanti pensano che siano noiose? Come mai gli stessi credenti a volte trattano la teologia come qualcosa di poco interessante, noioso, o poco importante? Come si può non essere elettrizzati dai misteri della Trinità, dell’incarnazione, del sacrificio, del regno dei cieli, della ricca, complessa e splendida visione della realtà che ci si spalanca davanti grazie alla visione cristiana del mondo? C. S. LEWIS, “A volte le fiabe esprimono meglio ciò che va detto”, in Altri mondi, cit., p. 42. 1

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Introduzione

Quando Lewis iniziò a scrivere la sua favola, era già un validissimo apologeta della fede cristiana. Parte dell’efficacia dei suoi scritti veniva dall’abilità nel dimostrare ai lettori che nel cristianesimo c’era più di quanto non credessero. In libri come Il cristianesimo così com’è, Lewis non solo presenta prove convincenti del fatto che il cristianesimo è vero, ma dimostra anche quanto possa essere ricca e piena la fede cristiana per coloro che l’hanno sempre data per scontata o non l’hanno mai presa sul serio. Lewis ricorda che, da bambino, veniva portato in chiesa; poi imparò la storia di Gesù. Ma allora come aveva potuto, si chiedeva, non comprendere la grandezza di ciò che Gesù era e di quello che aveva fatto per lui? Si rendeva conto che gli era stato detto come doveva sentirsi a proposito, ad esempio, delle sofferenze di Cristo. Eppure, proprio quel sentirsi in debito, pensava, può stroncare sul nascere una genuina risposta emotiva. Inoltre, gli era stato insegnato ad avvicinarsi alle storie della Bibbia con tanto rispetto, che avevano finito per diventare qualcosa di lontano dalla sua vita reale. Mentre Lewis era occupato a mettere insieme le immagini del fauno, della strega, del lampione e del leone per farne una favola, gli venne un’idea. Forse la sua storia avrebbe potuto superare i pregiudizi, le inibizioni, gli equivoci e le false convinzioni che spesso trattengono i bambini – e gli adulti – dall’avvicinarsi al messaggio cristiano. «Supponiamo che, trasportando tutte queste cose in un mondo immaginario, liberandole dalle vetrate colorate e dalle associazioni domenicali, si potesse farle apparire per la prima volta 13


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in tutta la loro potenza. Non si potrebbe, in questo modo, sgattaiolare oltre i vigili draghi?»1. In una lettera, arrivò a dire che «la versione in favola della Passione, ne Il leone, ecc., funziona […] perché – per quanto questo possa sembrare strano – riesce a evitare la devozione e il rispetto della gente»2. Di certo Lewis non era contrario alle vetrate colorate, alla scuola domenicale, al rispetto, o alla devozione. Il punto era che voleva presentare la storia cristiana in un modo nuovo, vivace, per superare le difese di coloro che pensano di aver già sentito tutto, che conoscono così bene le storie della Bibbia da non accorgersi più di quanto siano stupefacenti. Voleva presentare le verità spirituali in modo che potessero sgattaiolare oltre «i vigili draghi» che fanno loro la guardia. Il suo metodo era di forgiare le sue favole in una meravigliosa letteratura fantastica, che avesse come proprio significato centrale la realtà spirituale. Il leone, la strega e l’armadio fu pubblicato nel 1950. Lewis continuò a scrivere storie su quel mondo che aveva creato, fino a realizzare i sette titoli de Le cronache di Narnia. Ne sono stati venduti milioni e milioni di copie, e sono diventati i favoriti di bambini e adulti. E ora che Il leone, la strega e l’armadio è diventato un grande film, ancora più persone di ogni età saranno attratte verso quel mondo, il cui messaggio riuscirà certamente a sgattaiolare oltre i loro «draghi». Ibid., pp. 42-43. Da una lettera inedita, citata in DONALD E. GLOVER, C. S. Lewis: The Art of Enchantment, Athens, Ohio University Press, 1981, p. 131. 1

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Introduzione

Il battesimo dell’immaginazione Lewis diceva che un evento chiave nel suo percorso dall’ateismo alla fede fu l’aver comprato un libro che aveva catturato il suo sguardo nell’edicola di una stazione ferroviaria. Intitolato Le fate dell’ombra, era stato scritto, nell’Ottocento, dall’autore cristiano George MacDonald. Alcuni lettori, oggi, lo trovano interessante, mentre altri rimangono molto perplessi. Ma per Lewis quest’opera di fantasia ebbe un effetto drammatico: disse che leggere quel libro gli aveva offerto la fugace visione di qualcosa che andava oltre la stazione, e oltre la sua stessa vita, il senso di qualcosa di buono, misterioso e potente, e, senza sapere di che cosa si trattasse, ne sentì uno struggente desiderio. Più tardi, disse, si rese conto che quel libro gli aveva fatto sperimentare per la prima volta un senso di santità. Per usare le sue parole, grazie a Le fate dell’ombra la sua immaginazione fu “battezzata”1. Fu solo molti anni dopo che Lewis giunse a credere in Gesù quale Figlio di Dio, e a confidare in Cristo quale suo Salvatore. Questo accadde, in gran parte, grazie alla testimonianza del suo buon amico J. R. R. Tolkien, altro grande scrittore fantasy e autore de Il Signore degli Anelli; ma Lewis fu sempre convinto che leggere la favola di George MacDonald, che aveva preso in una stazione tanto tempo prima, avesse CLIVE S. LEWIS, Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita, trad. it. F. Marano, Milano, TEADUE, 1994, pp. 132-133. Si veda anche ELAINE TIXIER, “Imagination Baptized, or ‘Holiness’ in the Chronicles of Narnia”, in The Longing for a form, a cura di PETER J. SCHAKEL, Kent, Kent State University Press, 1977, pp. 136-158. 1

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avuto un ruolo fondamentale nel suo pellegrinaggio spirituale. Molti lettori potrebbero dire lo stesso de Il leone, la strega e l’armadio. I libri di Lewis hanno aiutato a condurre alla fede un grande numero di persone, e ne hanno aiutate anche di più a mantenere la propria fede e a crescere spiritualmente. Alcuni sostengono che i suoi testi apologetici (oltre a Il cristianesimo così com’è, titoli come Il problema della sofferenza, La mano nuda di Dio, God in the Dock) hanno influenzato moltissimo la loro vita, mentre altri citano l’influenza esercitata dalle sue opere di narrativa, tra cui il popolarissimo Le cronache di Narnia. Com’è possibile? Di certo il cristianesimo deve essere verità, non fantasia. La fede non è solo un qualche sentimento mistico interiore. È piuttosto un rapporto con Cristo, basato su ciò che lui fece per noi sulla croce, come rivelato nella parola di Dio. Cioè, la fede genuina si basa su qualcosa al di fuori di noi stessi. È extra nos, come dicono i teologi, ossia “al di fuori di sé stessi”. La fede è un legame tra l’oggettiva realtà di Cristo e ciò che lui compì per noi sul Calvario. La vera fede non riguarda soltanto qualcosa che abbiamo nella mente. Di certo un po’ di fantasy, qualche storia inventata che appaga la nostra immaginazione, non può avere niente a che fare con la fede. Infatti, far derivare le nostre credenze dalla fantasia è sicuramente pericoloso, una formula per l’idolatria piuttosto che la vera fede. È senz’altro vero che molti hanno una religione fantastica, una teologia costruita da loro stessi, immaginata per accordarsi ai loro desideri, ma che esiste 16


Introduzione

soltanto nella loro testa. Lewis stesso, forse più di ogni altro, combatté contro questo tipo di illusione e idolatria. Nella sua saggistica – e, oserei dire, anche nelle sue opere fantasy – il suo messaggio fu sempre che il cristianesimo non è semplicemente qualcosa che costruiamo per noi stessi, un qualche edificio interiore che ci fa sentire meglio. Piuttosto, insisté sempre e discusse per dimostrare che il cristianesimo è qualcosa di oggettivamente vero. Ed è per questo che la nostra immaginazione ha bisogno di essere battezzata. La parola “immaginazione” non significa soltanto inventarsi delle cose, né ha a che fare con l’essere creativi, come quando gente con velleità artistiche si inventa giustificazioni, cercando di impressionarci insistendo sulla propria grande “immaginazione”. Piuttosto, la parola “immaginazione” si riferisce a un potere che tutti abbiamo, che quasi sempre diamo per scontato, sebbene sia veramente straordinario. La nostra immaginazione è semplicemente la nostra stupefacente capacità di costruire immagini nella nostra mente. Io dico la parola “albero”, e voi riuscite a pensare a un albero. Dico “albero di Natale”, e voi riuscite a immaginarne uno con tutti i suoi colori, le decorazioni, le luci; potete persino immaginarne l’odore. Vi sarà anche facile richiamare alla mente tutti i ricordi (quella volta in cui, a sei anni, avete trovato il vostro giocattolo preferito sotto l’albero) e le associazioni personali legate all’albero di Natale (come vi manca quella casa, in cui potevate preparare l’albero al centro della stanza, tanto tempo fa, prima della morte, del divorzio o di qualche altro evento 17


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familiare, mentre la vostra immaginazione vi riporta tutti quei ricordi). Noi non pensiamo soltanto per idee o astrazioni; pensiamo anche con la nostra immaginazione. Cioè, pensiamo in immagini, in dettagli tangibili che coinvolgono i nostri sensi, anche se li stiamo soltanto vedendo con la mente. Il nostro linguaggio, per non parlare della letteratura, dipende dalle metafore. Usiamo metafore anche quando formuliamo pensieri astratti, come quando parliamo di “afferrare” un’idea (una metafora della mano che afferra qualcosa) o di “comprendere” un concetto (che viene semplicemente dalla parola latina che significa afferrare con la mano)1. Tra le capacità della nostra immaginazione c’è quella stupefacente abilità, che Dio ci ha dato, di richiamare esperienze dal passato. Questa si chiama memoria. (Pensate a un albero sul quale vi arrampicavate o intorno al quale eravate soliti giocare)2. Possiamo immaginare quello che faremo in futuro. (Pensate a come le foglie di quell’albero cambieranno colore in autunno, e a come poi le raccoglierete). Possiamo persino immaginare cose che non esistono, che sono solo 1 Per le idee di Lewis sulla metafora e sulle altre figure retoriche si veda KATH FILMER, “The Polemic Image: The Role of Metaphor and Symbol in the Fiction of C. S. Lewis”, in The Taste of the Pineapple: Essays on C. S. Lewis as Reader, Critic, and Imaginative Writer, a cura di BRUCE L. EDWARDS, Bowling Green, Bowling Green State University Popular Press, 1988, pp. 149165. 2 Gli antichi pensatori, quando parlavano delle facoltà della mente usavano la parola “memoria” per riferirsi alla maggior parte di ciò che noi chiamiamo immaginazione.

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Introduzione

creazioni della nostra mente. (Pensate a un albero; poi immaginatelo blu; poi a quadri). L’immaginazione ha bisogno di allenamento, proprio come l’intelletto. Quando leggiamo, esercitiamo la nostra immaginazione, figurandoci quello che accade mentre elaboriamo le parole dell’autore. Se si tratta della televisione e del cinema, qualcun altro ha immaginato la storia per noi, ma se le cose sono state fatte bene, allora le immagini e le reazioni possono entrare a far parte della nostra immaginazione. “Avere una grande immaginazione”, come si dice, è una funzione creativa (nel senso di “creare” qualcosa nella nostra mente, che si può applicare altrettanto bene agli affari, alla scienza, ai progetti pratici o all’arte). Una buona immaginazione (cioè la capacità di creare facilmente qualcosa nella mente) fa parte integrante delle nostra capacità mentali. È quindi importante esercitare la nostra immaginazione per rafforzare la nostra mente. Un modo di farlo è semplicemente leggere libri, cosa che può renderci più pronti, proprio come sollevare dei pesi ci rende fisicamente più forti. Però abbiamo un problema: mentre l’immaginazione è soltanto uno dei poteri che Dio ci ha dato (e funziona in modo così naturale e semplice che spesso non ci accorgiamo nemmeno di quanto sia strana e miracolosa), non dobbiamo dimenticare che siamo comunque creature corrotte, per cui tutti i nostri poteri, inclusa la capacità di ragionare e l’immaginazione, sono resi imperfetti e limitati dal peccato. Possiamo usare questo potere dell’immaginazione per fare progetti, risolvere problemi e sviluppare la nostra creatività. Possiamo usare l’immaginazione anche 19


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per sognare ad occhi aperti situazioni di lussuria, di odio, di vendetta, e per piangerci addosso autocommiserandoci. Le immagini che assimiliamo dall’esterno attraverso il cinema, la televisione, la radio, Internet, la musica, i libri e le riviste, possono allargare le nostre esperienze e le nostre riflessioni in modo positivo; ma a volte le immagini che questi mezzi creano nella nostra mente non ci aiutano, e riempiono la nostra mente di desideri peccaminosi e fantasie malvagie. E si tratta di un vero problema, perché Gesù stesso ci dice che il nostro peccato non consiste soltanto in ciò che facciamo, ma anche in ciò che pensiamo (Matteo 5:21-28). La Bibbia ci dice che poco prima del diluvio che distrusse tutta l’umanità, «il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo» (Genesi 6:5). Un altro problema a proposito della nostra immaginazione corrotta è la sua limitatezza. Molti non riescono a immaginare cosa sia la bontà, e ancor meno a emulare la virtù nelle loro azioni; per loro la bontà e il male sono mescolati assieme. Molte persone, soprattutto oggi, sono talmente condizionate dalla visione del mondo ristretta e materialistica dei nostri tempi, che non riescono a immaginare una qualsiasi realtà spirituale che vada oltre i loro sensi fisici. È per questo che le opere di fantasia valide – come Il leone, la strega e l’armadio – possono essere così utili per disciplinare la mente. Producono nella nostra mente immagini utili. Il fantasy di qualità ci trasmette immagini di bontà – virtù quali il coraggio e il sacrificio di sé – e le rende attraenti, facendone un modello 20


Introduzione

al quale aspirare. Il fantasy ha la tendenza a essere molto chiaro, quando si tratta di bene e male. È vero che in questo corrotto mondo reale le questioni morali sono spesso confuse e incerte. Nella vita reale non sempre sappiamo con certezza chi è il “buono” e chi il “cattivo”, quindi spesso ci capita di avere a che fare (come si suol dire) con i toni del grigio. Nei romanzi fantastici, però, il bianco e nero è ben definito e vivido, e il contrasto fra i colori è più evidente. Gli esperti hanno osservato che le storie – e in particolare le storie fantastiche come le favole – sono particolarmente efficaci nel trasmettere l’insegnamento di un comportamento virtuoso, più dei semplici precetti astratti e ben di più dei dilemmi morali della vita, intrinsecamente ambigui1. Dobbiamo essere in grado di immaginare distinzioni morali definite e nette, per poter navigare in un mondo moralmente confuso. I migliori romanzi possono anche aiutarci a formare la nostra coscienza, presentandoci il loro tema principale in modo tale da rendere attraente ciò che è buono; altrettanto importante, ce lo presentano in modo da rendere disgustoso ciò che è cattivo. Questo processo ribalta quella che tende a essere la regola nella nostra condizione corrotta. Nella nostra mente peccaminosa, tendiamo piuttosto a essere attratti da ciò che è cattivo, mentre a volte ciò che è buono ci WILLIAM K. KILPATRICK, Psycological Seduction, Nashville, Thomas Nelson, 1983, pp. 105-107. Si veda anche il suo libro, scritto in collaborazione con GREGORY WOLFE, SUZANNE WOLFE e ROBERT COLES, Books That Build Character: A Guide to Teaching Your Child Moral Values through Stories, New York, Simon & Schuster, 1994. 1

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ripugna. I cattivi romanzi fanno leva su questa tendenza, mettendo in ridicolo la virtù e presentando un cattivo comportamento come qualcosa da imitare. Ci fanno desiderare di fare noi stessi quelle cose cattive, anche solo nella nostra immaginazione, ma forse anche nella vita reale, se ne abbiamo la possibilità. I buoni romanzi, al contrario, ci aiutano a coltivare desideri compatibili con la virtù invece che col peccato. Si noti che il fantasy, per essere moralmente edificante, non deve ignorare il male, né offrire soltanto immagini positive. Ogni intreccio deve avere un conflitto. La bontà deve avere qualcosa da contrastare e sconfiggere. Una storia fatta solo di solare bontà può creare l’impressione che «tutto è bello [cioè buono] a modo suo» – una visione falsa e sentimentale della vita, che, nonostante la sua apparenza moraleggiante, non è certamente cristiana. Il miglior fantasy riconosce la realtà delle tenebre, e presenta il male in maniera repellente, come qualcosa che non vorremmo imitare, ma a cui desideriamo resistere. Romanzi fantasy come Il leone, la strega e l’armadio ci aiutano anche a immaginare un regno al di là dei limitati confini di questo mondo fin troppo solido, che tanto spesso sembra essere tutto quello che c’è, nient’altro che sudiciume senza significato né speranza. Il miglior fantasy ci offre indizi dell’esistenza di qualcosa, qualcosa di bello e ultraterreno, forse un assaggio della nostra vera dimora spirituale, un barlume di santità. È questo che Le fate dell’ombra fece per Lewis, battezzando la sua immaginazione. Nella nostra cultura attuale, incurante com’è di ogni realtà spirituale e morale, una buona immagi22


Introduzione

nazione – non solo una fervida immaginazione, ma un’immaginazione santa – può essere un mezzo di sopravvivenza spirituale. George Sayer, l’intimo amico di Lewis che più tardi divenne suo biografo, riferisce, a proposito dello scopo di Lewis ne Le cronache di Narnia: La sua idea, mi spiegò una volta, era di far sì che i bambini accettassero più facilmente il cristianesimo, quando più tardi l’avessero incontrato. Sperava che si sarebbero vagamente ricordati delle storie simili che avevano letto e amato anni prima. «Spero in una sorta di pre-battesimo dell’immaginazione dei bambini»1.

Cioè, Lewis voleva fare per i bambini quello che Le fate dell’ombra aveva fatto per lui, forgiare la loro immaginazione in tal modo che potessero riconoscere il cristianesimo quando ne avessero sentito parlare, nonostante l’eventuale interferenza dei «draghi».

La Bibbia e l’immaginazione Ovviamente, il regno spirituale ha a che fare con una realtà che non possiamo vedere (Ebrei 11:1). Per molti, le grandi idee del cristianesimo – fede, grazia, giustificazione, vita eterna – sono solo parole. Sono astrazioni, “grandi idee” che sono poco più che concetti, e non verità viventi. Come sanno bene gli insegnanti, GEORGE SAYER, Jack: C. S. Lewis and His Times, San Francisco, Harper and Row, 1988, p. 192. Questo tema è trattato anche in TERRY W. GLASPEY, Not a Tame Lion: The Spiritual Legacy of C. S. Lewis, Elkton, Highland Books, 1996, p. 85. 1

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il modo migliore di spiegare un concetto astratto è quello di riportarlo alla realtà, illustrando l’idea con elementi tangibili. Nella Bibbia, Dio si rivela a noi non solo attraverso affermazioni teologiche – sebbene ci siano anche quelle, come nelle lettere di Paolo – ma attraverso delle storie. La Bibbia consiste in gran parte di veri e propri racconti della storia: ciò che Dio fece quando creò l’universo; quello che accadde a Adamo ed Eva; le gesta di Abramo e dei suoi figli; il resoconto della schiavitù in Egitto e di come Dio liberò il suo popolo; le vittorie e i peccati dei giudici e dei re; i cicli ricorrenti di giudizio e redenzione, esilio e ritorno. Poi il Nuovo Testamento ci dà i Vangeli: quattro libri che raccontano la vita, la morte e la resurrezione di Cristo; segue il libro degli Atti – cioè le azioni – degli apostoli. Dopo le Epistole, un interludio di ispirate lettere alle chiese, contenenti riferimenti e contesti storici, viene il libro dell’Apocalisse, una descrizione degli ultimi giorni del mondo, con terribili immagini di tribolazione e di mostri, che culmina col trionfante ritorno di Cristo. Nell’ambito di questa narrativa storica (una esposizione degli avvenimenti in corso), la parola di Dio assume la forma di altri generi letterari, come la poesia nei Salmi e nei Profeti. La poesia è un genere letterario che comunica principalmente per mezzo di vivide immagini: «Il Signore è il mio pastore» (Salmi 23:1); «I fiumi battano le mani» (Salmi 98:8); «[La persona salda nella Parola del Signore] sarà come un albero piantato vicino a ruscelli» (Salmi 1:3). La poesia si rivolge e fa appello direttamente all’immaginazione 24


Introduzione

umana. Le poesie della Bibbia non fanno eccezione; al contrario, sono poesia del più alto livello. Le storie della Bibbia, pur se lette e assimilate dall’immaginazione, sono storia. La Bibbia è il capostipite delle storie vere. Alcuni potranno chiedersi se sia appropriato comunicare verità spirituali attraverso la narrativa (storie di eventi immaginati, non realmente accaduti). Ma la Bibbia è anche il primo esempio di narrativa. Abbiamo l’esempio di Gesù Cristo stesso, che non peccò mai, ma che spiegò il regno di Dio per mezzo di parabole. La parabola è una storia inventata che vuole illustrare un argomento ben preciso. Voglio sottolineare che le parabole, così come gli altri generi di narrativa, possono comunque essere vere: il significato è vero. Le circostanze che illustrano esistono solo nell’immaginazione – che è una sorta di esistenza reale – ma illustrano e rappresentano la verità nel mondo reale. Il fantasy può fare lo stesso (come vedremo ne Il leone la strega e l’armadio). Gesù disse che il regno di Dio è come un uomo che semina del buon seme nel suo campo, mentre il suo nemico vi semina gramigna; è come il seme di senape, come il lievito che la donna usa per fare il pane, come un tesoro sepolto in un campo, come un mercante che va in cerca di perle, come una rete gettata nel mare (tutto viene da un solo capitolo, Matteo 13). Gesù usa così tanto le parabole per insegnare alla gente che, secondo il vangelo di Marco, «Non parlava loro senza parabola» (Marco 4:34). Gesù e il suo impegno per conquistare la nostra salvezza sono essi stessi temi di una particolare specie di immaginario, portatore di un’idea, chiamato sim25


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bolo. Quando i figli di Israele nell’Antico Testamento uccidevano un agnello senza macchia e spargevano il suo sangue nel santuario come offerta riparatrice per i peccati del popolo, stavano drammatizzando e simbolizzando la redenzione operata da Gesù, «l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1:29). Il serpente di rame innalzato da Mosè per guarire il popolo dalla punizione conseguenza del loro peccato, simbolizza Cristo e il peccato che lui portava quando fu innalzato sulla croce (Giovanni 3:14). Cristo viene anche descritto come un ramo (Isaia 11:1), un germoglio (Geremia 23:5), una roccia (I Corinzi 10:4), una pietra angolare (I Pietro 2:7), uno scandalo (I Corinzi 1:23) e una porta (Giovanni 10:9). E, nello stesso capitolo dell’Apocalisse in cui Cristo è descritto come «un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato» (Apocalisse 5:6), egli viene anche raffigurato come un altro animale: «Ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto» (Apocalisse 5:5).

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CONCLUSIONE Il Vangelo attraverso le storie

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ewis scrisse diversi libri per dimostrare che il cristianesimo e i suoi insegnamenti sono veri. Il cristianesimo così com’è, Il problema della sofferenza, La mano nuda di Dio, e altri scritti dimostrano che ci sono buone ragioni per credere in Gesù Cristo. Anche se, strettamente parlando, è forse impossibile convincere qualcuno e portarlo alla fede attraverso il ragionamento – è lo Spirito Santo che deve operare – molti hanno detto che questi libri hanno avuto un ruolo importante nel dare forma alla loro fede e alle loro convinzioni cristiane. Le opere di Lewis sono spesso riuscite non solo a condurre la gente alla fede, ma anche a mantenere i credenti nella fede di fronte ad ogni opposizione. Ma non è solo la sua saggistica a riuscirci: anche la sua narrativa lo fa. Le opere di apologetica e teologia popolare di Lewis sono straordinariamente efficaci nel trasmettere le ve211


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rità del cristianesimo in modo persuasivo e attraente. Parlano a lettori riflessivi e intelligenti – una categoria che molte chiese, nel loro anti-intellettualismo, tragicamente ignorano – e a coloro che hanno una mentalità che esige logica e prove concrete, prima di accettare un credo. Ma anche la sua narrativa trasmette le verità del Vangelo in un modo persuasivo e attraente. Quello che la sua saggistica fa con la ragione, la sua narrativa lo fa con l’immaginazione. Le sue storie si rivolgono a un altro gruppo che alcune chiese – nella loro sospettosa indifferenza verso la bellezza e la creatività – spesso ignorano. (Molti, naturalmente, inclusi quelli che fin da bambini sono cresciuti nella chiesa, sono sia riflessivi che fantasiosi, e sono stati ignorati dalle loro chiese per entrambe queste ragioni). La narrativa di Lewis si rivolge anche a coloro la cui fede si consolida non attraverso un freddo razionalismo, ma attraverso il desiderio di mistero.

Evangelizzare la modernità All’epoca di Lewis il cristianesimo subì attacchi da molti fronti, una situazione che, ai giorni nostri, non è cambiata, ma che forse è addirittura peggiorata. I modernisti, eredi dell’età della Ragione, si rifiutano di credere in qualunque cosa che non possa essere provata con la logica e considerano il cristianesimo niente di più che un’irrazionale superstizione, una questione di interiorità, piuttosto che una verità su qualcosa che esiste nel mondo reale. Poiché le idee religiose non possono essere provate scientificamente 212


Conclusione

– «Mostrami Dio, gli assoluti morali, o il paradiso», dicono – si tratta di concetti che non si possono affermare come veri. Questa visione è stata quella dominante nelle università e fra gli intellettuali per più di un secolo. Gli studenti universitari la cui fede viene messa alla prova dai professori in questi termini, spesso, non sanno come rispondere. A volte, nel desiderio di essere “intellettualmente rispettabili” e spesso spinte anche dalla tentazione morale, le persone si arrendono a questo modo di pensare, smettono di andare in chiesa e abbandonano la propria fede. Lewis ha affrontato questi attacchi contro il cristianesimo sul loro stesso terreno: a coloro che vivono nell’età della Ragione ha dimostrato che il cristianesimo è ragionevole; a coloro che non prendono nulla sul serio, a meno che non possa essere dimostrato con la logica, ha dimostrato il cristianesimo con la logica. Non che esista una rigida prova logica delle convinzioni cristiane che possa essere valida per tutti. La mente umana è corrotta, come la volontà umana, e il peccato rende la gente «cieca» alle verità spirituali (Luca 6:39; II Corinzi 4:4). Inoltre, è lo Spirito Santo che porta le persone alla fede, come Gesù dà la vista ai ciechi, sia fisicamente, come fece in Giudea (Giovanni 9:25), che spiritualmente, come fece con John Newton, l’autore di “Amazing Grace”. Quello che Lewis fa, in libri come Il cristianesimo così com’è, non è tanto provare la fondatezza del cristianesimo, quanto rivolgersi alle menti logiche. Le sue spiegazioni dell’obbiettività della legge morale e della Trinità “funzionano”. Parla del cristianesimo 213


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in un modo che le persone riflessive possono capire, dimostrando che non solo può sostenere un profondo esame, ma anche che ha più senso delle filosofie escogitate dall’uomo, che le persone riflessive e intelligenti tendono a crearsi. Soprattutto chiarisce diverse questioni, come ad esempio nel passo ripreso dal professore ne Il leone, la strega e l’armadio, quando dice che Lucy deve aver mentito, essere diventata matta, o aver detto la verità su Narnia (p. 168). Quello che Lewis intende è, naturalmente, che quando Gesù disse di essere il Figlio di Dio, o era un bugiardo, o un pazzo, oppure era chi diceva di essere. Alcuni non credenti di oggi affermano che Gesù era un bugiardo, che gli autori del Nuovo Testamento non scrissero ciò che era veramente accaduto, ma lo inventarono, per le più diverse ragioni. (Ma, come fa notare Lewis da storico letterario, in un altro esempio di come continuava a contraddire con i fatti i critici del cristianesimo, se questi resoconti non sono mera storia, come suggerisce lo stile, devono essere una sorta di prosa narrativa, genere che non sarebbe stato inventato per altri millesettecento anni1). Eppure molti affermano ancora oggi che le storie della Bibbia sono inventate, anche se Lewis rende loro difficile farlo in maniera credibile. Altri non credenti affermano che Gesù era un pazzo, un profeta allucinato che immaginò che il mondo stesse per finire. Paradossalmente, questa è anche la posizione di molti teologi liberali all’interno della chiesa, un gruppo che Lewis mette regolarmente alla berlina. CLIVE S. LEWIS, Riflessioni cristiane, a cura di A. Colombo, Milano, Gribaudi, 1997, p. 108. 1

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Conclusione

Credere e confessare sinceramente che Gesù è il Figlio di Dio richiede una rivelazione da parte di Dio. Fu necessaria persino per Pietro, il discepolo di Gesù, uno che vide personalmente Gesù e i suoi miracoli in maniera empirica: Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?». Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?». Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli»1.

Quello che Lewis intende fare, ponendo queste tre alternative, è eliminare le idee confuse che tanto spesso intralciano qualsiasi verità, inclusa la verità divina. Egli spiega il credo cristiano – che spesso è così confuso da essere un facile bersaglio per gli scettici – con grande chiarezza, così che la sua vera grandezza risalta magnificamente. In altre parole, Lewis comunica efficacemente con i suoi contemporanei e con i nostri, particolarmente con le persone colte e riflessive che spesso non ricevono soddisfazione dalle chiese. Ciò che Lewis fa è presentare la verità di Cristo con le sue parole, con un lessico che i modernisti possono comprendere; una presentazione della Parola che lo Spirito Santo può usare per generare la fede nel cuore dei suoi lettori. 1

Matteo 16:13-17.

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Evangelizzare la post-modernità Per quanto Lewis riesca a comunicare la fede cristiana ai modernisti, con la loro fissazione sulla ragione umana, esiste un altro gruppo di individui che criticano il cristianesimo, una tendenza cominciata già ai suoi tempi, e propagatasi fino a diventare oggi dominante: i post-modernisti1. Costoro rifiutano le pretese di una ragione oggettiva, insistendo sul fatto che la verità non è altro che una costruzione individuale o culturale. «La verità è relativa», dicono. «Tutte le verità e i sistemi di significato sono, in realtà, invenzioni». Laddove i modernisti rifiutano il cristianesimo perché non può essere oggettivamente verificato, i postmodernisti rifiutano il cristianesimo perché è troppo oggettivo e insiste troppo sulla propria verità. «Il cristianesimo ha tutte queste dottrine oggettive sulle quali insiste», si lamentano i post-modernisti. «I cristiani dicono che la loro è la sola vera religione, che Gesù è la sola via per la salvezza. Perché non possono lasciare che ognuno scelga personalmente quello che va bene per lui? Perché non possono affermare che tutte le religioni sono ugualmente valide? La religione deve essere una scelta interiore, del tutto privata, qualcosa che consenta alla persona di crearsi il proprio significato. La religione personale di qualcuno può essere vera per lui, ma non può valere per tutti gli altri». È stato osservato che, se i modernisti reagiscono Per un’analisi più approfondita di questa visione del mondo si veda il mio libro Postmodern Times: A Christian Guide to Contemporary Thought and Culture, Wheaton, Crossway, 1994. 1

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Conclusione

meglio alla discussione, i post-modernisti reagiscono meglio alle storie. Un post-modernista convinto ritiene che praticamente qualsiasi cosa – anche una discussione – sia una storia “costruita”, ovvero, un’opera dell’immaginazione. Anche quelli che non sono post-modernisti convinti, ma hanno solo assorbito dalla cultura il proprio antirazionalismo, tendono a resistere ai ragionamenti, per quanto ben fondati, ma spesso rispondono bene alle storie1. Coloro che credono che la religione sia una costruzione personale possono pensare che tali credenze siano relative, ma sono spesso ben disposti a prestare ascolto alle convinzioni degli altri, soprattutto quando sono personalizzate, presentate come una storia personale. Proprio questo atteggiamento è, spesso, il punto su cui i cristiani possono far leva, sapendo che, se chi li ascolta è un post-modernista, reagirà meglio al racconto del modo in cui il narratore è giunto alla fede, e di ciò che Cristo ha fatto nella sua vita, piuttosto che a degli astratti ragionamenti. Eppure, può essere un’occasione per proclamare il Vangelo, per far conoscere la parola di Dio in un modo che lo Spirito Santo può usare per suscitare la fede anche nel cuore del più avido relativista (Romani 10:14-17). Ed è possibile, per chi è abituato a pensare in termini narrativi, raccontare storie vere; oppure raccontare storie inventate che, ciononostante, trasmettano la verità. Si veda, ad esempio, GRAHAM JOHNSTON, Preaching to a Postmodern World: A Guide to Reaching 21st Century Listeners, Grand Rapids, Baker, 2001. 1

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Proprio come le opere di saggistica di Lewis sono efficaci nel raggiungere i modernisti, mostrando loro ragioni valide per credere nella dottrina cristiana, le sue opere di narrativa sono efficaci nel raggiungere i post-modernisti, narrando loro la storia cristiana. Con la saggistica, Lewis si rivolge all’intelletto dei suoi lettori, trasmettendo loro la verità cristiana, e con la narrativa si rivolge all’immaginazione dei suoi lettori, trasmettendo loro la medesima verità cristiana. Le cronache di Narnia, la sua trilogia fantascientifica, Il grande divorzio e Le lettere di Berlicche mettono l’oggettiva dottrina cristiana in rapporto con la vita concreta e tangibile. Solleticano anche un’altra qualità dei post-modernisti: il gusto del mistero. I postmodernisti non solo non hanno bisogno di ragioni logiche per credere in qualcosa, ma in genere tendono a preferire religioni che non hanno ragioni logiche. È per questo che preferiscono la “spiritualità” alla “religione”, abbracciando il mistico piuttosto che il razionale. Questa tendenza può causare problemi ai postmodernisti, portandoli verso il culto dei dischi volanti e verso l’occultismo New Age. Coloro che non hanno il concetto della verità nella propria religione possono essere manipolati fino a credere in qualunque cosa che soddisfi i propri desideri e conferisca un significato personale alla propria vita. Un modo in cui il cristianesimo può rispondere a tutto ciò è recuperando la propria profonda “spiritualità” e i “misteri” della salvezza – l’incarnazione, il sacrificio, la resurrezione e la vita dei redenti – che nessuno può comprendere appieno con la sola ragione umana. E di certo non avremmo potuto inventarci 218


Conclusione

simili fulminanti verità. Piuttosto, vengono da qualcosa al di fuori di noi, per rivelazione dello Spirito Santo nella parola di Dio, che le pone in una categoria assolutamente differente sia dal modernismo, con la sua ragione, che dal post-modernismo con la sua anti-ragione. Il leone, la strega e l’armadio, come altre opere di Lewis, evoca questi misteri e riporta alla vita il vero mistero nascosto in insegnamenti che per molti sono diventati nient’altro che un’abitudine. Come abbiamo visto, racconta la storia di Dio in un modo che supera i «vigili draghi». Avevo l’abitudine di dare copie de Il cristianesimo così com’è ai miei amici non cristiani. Una volta il libro lasciò una profonda impressione (e a volte succede ancora, con alcune persone, con i modernisti e con coloro che fanno ancora uso della propria mente). Ma ultimamente mi sento frustrato, a furia di sentir dire quanto siano lieti che Lewis abbia la fede che ha, ma che essi hanno le proprie verità. La maniera logica in cui tratta il cristianesimo non li tocca. A persone di questo tipo, faccio leggere le opere di narrativa di Lewis, incluso Il leone, la strega e l’armadio.

L’attuale evangelismo degli atei È significativo che gli atei debbano ritoccare le loro argomentazioni proprio come devono fare i cristiani. In epoca modernista, i materialisti si schierarono decisamente contro ogni tipo di letteratura fantastica, castigando non solo i cristiani, ma anche i romantici – chiunque insistesse su un qualunque genere di idea219


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lismo o di mistificazione, ignorando in questo modo la dura, fredda realtà dei fatti, che sono l’unica realtà in un mondo disincantato e senza Dio. In passato, gli atei modernisti, materialisti e razionalisti non si sarebbero mai sognati di scrivere un’opera fantasy, una forma narrativa che disprezzavano; scrivevano, invece, deprimenti romanzi realistici. Rappresentavano gli idealisti romantici distrutti dall’indifferente determinismo della natura; rappresentavano persone di elevata moralità annientate dai loro veri istinti animali; rappresentavano ingenue popolazioni religiose che si “risvegliavano” alla reale assurdità della vita. Paradossalmente, mentre questo approccio sortì l’effetto desiderato, rivolgendosi alla “mente moderna”, alla fine del diciannovesimo e per quasi tutto il ventesimo secolo, quei romanzi – per quanto vengano a volte ancora scritti e letti, – appaiono troppo deprimenti per affascinare la gente di oggi. Soprattutto, è la loro visione del mondo ad apparire troppo deprimente. Ovviamente, il fatto che una visione del mondo sia deprimente non significa che non sia vera. Ma ai post-modernisti interessa poco la ragione, e quindi scelgono di credere in quello che li attrae, che “piace” o “non piace” loro. Per loro, il materialismo è semplicemente troppo squallido e preferirebbero abbracciare un qualunque tipo di paganesimo alla moda, o costruirsi la propria religione secondo i propri gusti e i propri personali desideri, piuttosto che accettare quella visione del mondo. È così che accade che un ateo come Philip Pullman scriva un’opera fantasy, in cui mistifica l’ateismo. 220


Conclusione

Come abbiamo visto, Pullman è completamente d’accordo con i vecchi materialisti, secondo i quali l’universo non è altro che polvere, ma egli la trasforma in polvere magica. È sempre la stessa vecchia polvere, ma egli aggiunge qualcosa che fa sembrare il materialismo così poco convincente agli occhi dei cristiani: la meraviglia per cui quella polvere è capace di evolversi in esseri umani, con tutto il bagaglio di coscienza, amore, moralità e ideali. I vecchi materialisti enfatizzavano il determinismo, l’idea secondo la quale noi tutti siamo controllati dalle inesorabili leggi della natura. Il romanziere Thomas Hardy rappresentava sempre i suoi personaggi in balia di forze – come i loro istinti animali – che non erano in grado di controllare. Il romanziere fantasy Philip Pullman, invece, sottolinea l’importanza della libertà. Per Hardy erano i cristiani a credere ingenuamente che gli esseri umani possedessero la libertà e la responsabilità morale che l’accompagna, una convinzione che cercò di screditare nei suoi romanzi. Per Pullman, invece, sono i cristiani a opporsi alla libertà, insistendo come fanno sulla responsabilità morale, mentre gli atei offrono la libertà di agire come si vuole (mentre, stranamente, insiste sulla responsabilità morale). Quindi anche i non credenti sono costretti a guadagnarsi gli accoliti con la narrativa. Naturalmente, molto più efficaci di Queste oscure materie sono le storie cinematografiche e televisive, storie di lussuria, fascino e edonismo, che sembrano sedurre l’intera cultura, trasformandola in una sorta di depravata mancanza di fede. E per quanto le mascherino di verosimiglianza, anche queste storie sono fantastiche. 221


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La storia cristiana In questa situazione, le storie cristiane sono ancora più importanti. In un certo senso, molto profondo, le forme stesse della narrativa e del fantasy appartengono ai cristiani. Come abbiamo visto, la letteratura fantastica – il grande fantasy e, se così si può dire, il vero fantasy – è un grande contributo della tradizione letteraria tipicamente cristiana. Inoltre, come ha dimostrato il grande critico letterario Northrop Frye, la narrativa ultima, la storia di tutte le storie, che contiene e rende possibile tutto il resto, è la Bibbia1. La trama della Bibbia contiene il principio assoluto (la creazione dell’universo), il conflitto (fra il peccato e la grazia), il punto cruciale (la venuta di Cristo), e il finale assoluto (la fine dei tempi); personifica la tragedia (la tragica caduta del peccato, le dolorose realtà della sofferenza, del giudizio e della croce) ma anche la commedia (il lieto fine della resurrezione e della seconda venuta di nostro Signore). Il Vangelo – la buona novella della salvezza per mezzo di Gesù Cristo – è il filo conduttore della Bibbia, un messaggio che non è soltanto per l’evangelizzazione dei non credenti, ma anche per la continua formazione dei credenti che si prendono a cuore questo Libro. E lo stesso si può dire di tutte le storie fondate sul Vangelo, inclusa quella sulla più grande magia di prima dell’alba dei tempi.

NORTHROP FRYE, Il grande codice: la Bibbia e la letteratura, trad. it. G. Rizzoni, Torino, Einaudi, 1996. 1

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