John Piper
Il sorriso nascosto di Dio Il frutto della sofferenza nella vita di John Bunyan, William Cowper e David Brainerd
ISBN 88-88747-95-8 Titolo originale: The Hidden Smile of God. The Fruit of Affliction in the Lives of John Bunyan, William Cowper and David Brainerd Per l’edizione inglese: © John Piper, 2001 Pubblicato dalla Crossway Books una suddivisione della Good News Publishers Wheaton, Illinois 60187, USA Per l’edizione italiana: © Alfa & Omega, 2011 Casella Postale 77 (via Leone XIII). 93100 Caltanissetta, IT e-mail: info@alfaeomega.org - www.alfaeomega.org Pubblicato con permesso concesso dalla Good News Publishers Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata Traduzione e adattamento: Antonella Galiero Impaginazione e copertina: Giovanni Marino Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione “Nuova Riveduta”
Indice
Prefazione................................................................................9 Ringraziamenti.......................................................................16 Introduzione Lì dove cresce il frutto della sofferenza................................19 1. «Basare la mia vita su Dio che è invisibile» Sofferenza e servizio nella vita di John Bunyan....................41 2. «Le nubi che temete così tanto Sono colme di misericordia» Squilibrio e spiritualità nella vita di William Cowper �������81 3. «Oh, che io possa non indugiare mai lungo il mio viaggio celeste!» Miseria e missione nella vita di David Brainerd................121 Conclusione Un appello a proseguire nella feconda scia dei cigni sofferenti..........................................................................157
Il sorriso nascosto di Dio
Noi pure, prima di essere tentati, pensiamo di poter camminare sulle acque; ma quando si alza il vento, cominciamo ad affondare […]. Eppure, non c’è davvero nulla di buono, in questo? In verità, non potremmo vivere senza un simile alternarsi della volontà divina. Saremmo ben grassi, se non avessimo i nostri giusti inverni. Si dice che in certi paesi gli alberi crescano senza produrre frutti, poiché lì l’inverno non arriva mai. John Bunyan, Seasonable Counsel: or Advice to Sufferers Mi parve di vedere con gli occhi dell’anima Gesù Cristo alla destra di Dio che rappresentava la mia rettitudine; cosicché, qualunque cosa io fossi o facessi, Dio non poteva dire di me «Gli manca la mia giustizia», poiché essa gli stava accanto… Ora le mie gambe erano sciolte dalle catene ed io ero liberato dai miei tormenti e dai miei ceppi. John Bunyan, Grazia che abbonda al maggior peccatore
18
Introduzione Lì dove cresce il frutto della sofferenza
Tre diversi generi di frutti Le sofferenze di John Bunyan ci hanno dato Il pellegrinaggio del cristiano. Le sofferenze di William Cowper ci hanno dato “There is a Fountain Filled with Blood” e “God Moves in a Mysterious Way”. E le sofferenze di David Brainerd ci hanno dato un diario che, una volta reso pubblico, ha mosso più missionari di qualunque altra opera del genere. Nella fornace della sofferenza è stato forgiato l’oro delle loro vite, che guida ed ispira a vivere da cristiani, adorare il Dio cristiano e diffondere il Vangelo cristiano. C’è una certa ironia, nei diversi frutti della loro sofferenza. La prigionia di Bunyan gli mostrò il sentiero del pellegrinaggio verso la libertà cristiana. La mente sofferente di Cowper produsse un balsamo per le anime tormentate. La disperazione dell’isolamento e della malattia di Brainerd influenzarono oltre ogni immaginazione le missioni di tutto il mondo. Ironia e incongruenza sono tutti strumenti di Dio. Egli ci sorprende con le sue imprevedibili connessioni. Pensiamo di saper fare qualcosa di grande, e Dio lo rende piccolo. Pensiamo che tutto ciò che abbiamo sia piccolo e debole, e Dio lo rende grande e forte. La sterile Sara dà la vita al figlio della promessa. I trecento uomini di Gedeone sconfiggono centomila Madianiti. La fionda nelle mani di un pastorello abbatte il gigante. Una vergine partorisce il Figlio di Dio. I cinque pani di un ragazzo nutrono migliaia di persone. Un abuso di giustizia, abietto opportunismo politico, e la criminale tortura su una macabra croce, diventano il fondamento per la salvezza del mondo. 19
Il sorriso nascosto di Dio
Questo è il modo in cui Dio opera – togliendo all’uomo ogni vanto per spostarlo su Dio stesso. «Non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio. […] “Chi si vanta, si vanti nel Signore”» (I Corinzi 1:26-29, 31). Non è sorprendente (I Pietro 4:12), pertanto, che la sofferenza abbia un suo posto nel disegno di Dio, in modi che a volte ci sconcertano e ci mettono alla prova fino all’estremo limite. Il fatto stesso di sconcertarci e metterci alla prova fa parte del disegno: «Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia pienamente l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti» (Giacomo 1:2-4).
Dio sceglie la sofferenza per i suoi figli? Eppure molti esitano alla parola disegno. La sofferenza sarebbe il disegno di Dio? Possiamo dire questo? O dovremmo dire che Dio lavora con quello che ha? In altre parole, Dio controlla e organizza gli affari del mondo, così che possiamo definire la sofferenza sua volontà e disegno? O non è vero, piuttosto, che egli organizza il mondo come un giocatore di scacchi, che non provoca le mosse del suo avversario, ma è sempre in grado di tenerle sotto controllo e trasformarle in bene? Dio mette la sofferenza nella vita dei suoi figli per un buon fine, o si limita a controbattere, lavorando sul dolore creato da altre forze? Tutti i cigni di questo libro rispondono a questa domanda col medesimo canto. Dio governa il mondo, e tutto ciò che in esso accade, con volontà e secondo un disegno, per il bene di coloro 20
Introduzione
che lo amano. Questa fu la lezione che Giobbe apprese dalle sue sofferenze: «Allora Giobbe rispose al Signore e disse: “Io riconosco che tu puoi tutto e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno”» (Giobbe 42:1-2). Satana può giocare il suo maligno ruolo nel dramma, e portarsi via i figli di Giobbe, e ricoprirlo di piaghe dalla testa ai piedi, ma Giobbe non concederà a Satana l’eminente ruolo di causa ultima di tutte le cose. Questo appartiene soltanto a Dio, anche se non riusciamo a comprenderlo interamente. Quando i dieci figli di Giobbe furono schiacciati a morte, egli «si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò dicendo: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore”» (Giobbe 1:20-21). Alla luce della sconcertante affermazione che è Dio ad aver preso i suoi figli, l’autore del libro risponde con una conferma: «In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa» (Giobbe 1:22). Allo stesso modo, quando il testo dice esplicitamente che «Satana […] colpì Giobbe di un’ulcera maligna», la risposta di Giobbe è: «Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?». E ancora l’autore approva la teologia di Giobbe con le parole «In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra» (Giobbe 2:7, 10). Questo è l’uniforme messaggio della Bibbia, sia che parliamo della sofferenza che viene dalla malattia1, che dalla ca1 Esodo 4:11: «Il Signore gli disse: “Chi ha fatto la bocca dell’uomo? Chi rende muto o sordo o veggente o cieco? Non sono io, il Signore?”»; Giovanni 9:2-3: «I suoi [di Gesù] discepoli lo interrogarono, dicendo: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Gesù rispose: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui”»; II Samuele 12:15: «Il Signore colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide, ed esso cadde gravemente ammalato»; Romani 8:20-21: «Perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta nella speranza». Vedi anche Giobbe 2:7, 10.
21
Il sorriso nascosto di Dio
lamità1, che dalla persecuzione2: «[Dio] compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà» (Efesini 1:11). Dio 1 Lamentazioni 3:32-33, 37-38: «Ma, se affligge, ha pure compassione, secondo la sua immensa bontà; poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli dell’uomo […]. Chi mai dice una cosa che si avveri, se il Signore non l’ha comandato? Il male e il bene non procedono forse dalla bocca dell’Altissimo?»; Amos 3:6: «Squilla forse la tromba in una città, senza che il popolo tremi? Piomba forse una sciagura sopra una città, senza che il Signore ne sia l’autore?»; Isaia 31:2: «Eppure, anch’egli è saggio; fa venire il male»; I Samuele 2:6-7: «Il Signore fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. Il Signore fa impoverire e fa arricchire, egli abbassa e innalza». 2 Atti 4:27-28: «Proprio in questa città, contro il tuo santo servitore Gesù, che tu hai unto, si sono radunati Erode e Ponzio Pilato, insieme con le nazioni e con tutto il popolo d’Israele, per fare tutte le cose che la tua volontà e il tuo consiglio avevano prestabilito che avvenissero»; II Corinzi 1:8-9: «Fratelli, non vogliamo che ignoriate riguardo all’afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati molto provati, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfino della vita. Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti»; II Timoteo 3:12: «Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati»; I Pietro 2:21: «Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme»; I Pietro 3:17: «Infatti è meglio che soffriate per aver fatto il bene, se tale è la volontà di Dio, che per aver fatto il male»; I Pietro 4:19: «Perciò anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio, affidino le anime loro al fedele Creatore, facendo il bene»; Ebrei 12:4-8, 11: «Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato, e avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli: “Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli” Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli. […] È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recar gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa».
22
Introduzione
ha uno scopo buono e saggio in tutto ciò che fa1. Dalla mattina alla sera, in mezzo a tutti gli avvenimenti della nostra vita, dovremmo dire: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro» (Giacomo 4:15). Perché? Perché Dio dice: «Il mio piano sussisterà, e metterò a effetto tutta la mia volontà» (Isaia 46:10). «Ci sono molti disegni nel cuore dell’uomo, ma il piano del Signore è quello che sussiste» (Proverbi 19:21). «Il cuore dell’uomo medita la sua via, ma il Signore dirige i suoi passi» (Proverbi 16:9). «Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro» (Matteo 10:29). «Il cuore del re, nella mano del Signore, è come un corso d’acqua; egli lo dirige dovunque gli piace» (Proverbi 21:1). «Si getta la sorte nel grembo, ma ogni decisione viene dal Signore» (Proverbi 16:33).
Voci discordanti Eppure ci sono quelli che non la pensano così. Ci sono liberali vecchio stile che dicono: «Io credo che il dolore e la sofferenza non siano mai la volontà di Dio per i suoi figli […]. Non posso credere che sia la volontà di Dio che qualcuno debba essere investito da un ubriaco, o che una giovane madre debba morire di leucemia, o che qualcuno nel fiorire della giovinezza debba fronteggiare la crescente impotenza dell’arteriosclerosi»2. 1 Per ulteriori dimostrazioni della sovranità di Dio in relazione alle nostre sofferenze, e relativamente a come la malattia, la calamità, e la persecuzione vengono trattate nelle Scritture, vedi John Piper, “La sofferenza: il sacrificio dell’edonismo cristiano”, in Desiderare Dio: meditazioni di un edonista cristiano, Mantova, Passaggio, 2003; Idem, “The Supremacy of God in Missions Through Suffering”, in Let the Nations Be Glad, Grand Rapids, Baker Book House,1993, pp. 71-114; Idem, “The Future Grace of Suffering”, in The Purifying Power of Living by Faith in Future Grace, Sisters, Multnomah Publishers, 1995, pp. 341-352. 2 William Barclay, A Spiritual Autobiography, Grand Rapids, Eerdmans, 1975, p. 44. Definisco Barclay un “liberare vecchio stile” perché la sua visione è simile a quella di coloro che riassumono il cristianesimo nei concetti
23
Il sorriso nascosto di Dio
E ci sono “teisti aperti”1 dei tempi moderni che dicono: «Dio di paternità di Dio, fratellanza tra gli uomini, ed etica dell’amore. Era un universalista (pp. 58-60), e per lui la croce di Cristo era essenzialmente una dimostrazione dell’amore di Dio, non una riparazione sostitutiva della pena richiesta dalla giustizia di Dio (pp. 51-53). Per quanto riguarda i dettagli legati alle dottrine, come la cristologia, il suo motto era: «Attenetevi strettamente a Cristo, e per il resto siate totalmente disimpegnati» (p. 97). 1 “Teismo aperto” (Open Theism) è un’espressione scelta da un gruppo di teologi per descrivere la loro visione di un Dio che non programma né conosce tutto del futuro, ma lascia “aperta” gran parte di esso. Egli, cioè, non lo programma né lo conosce prima del tempo. Così, ad esempio, un teista aperto dice: «Dio è onnisciente nel senso che conosce tutto ciò che può essere conosciuto, così come è onnipotente nel senso che può fare tutto ciò che può essere fatto. Ma le libere azioni non sono entità che possano essere conosciute prima del tempo. Esse, letteralmente, non esistono per essere conosciute» (Clark Pinnock, “God Limits His Knowledge”, Predestination and Free Will: Four Views of Divine Sovereignity and Freedom, Downers Grove, InterVarsity Press, 1986, p. 157). O ancora egli dice: «Le decisioni che ancora non abbiamo preso non esistono in nessun luogo perché Dio possa conoscerle» (Idem, “From Augustine to Arminius: A Pilgrimage in Theology”, in The Grace of God, The Will of Man: A Case for Arminianism, a cura di Idem, Grand Rapids Zondervan, 1989, p. 25). Un altro teista aperto la mette in questi termini: «Infatti, dire che Dio è ignorante delle future decisioni delle creature, è come dire che Dio è sordo al silenzio. Non ha senso, poiché prima di esistere tali decisioni non sono per Dio niente di cui essere ignorante» (Richard Rice, “Divine Forknowledge and Free-Will Theism”, in The Grace of God, The Will of Man, cit., p. 129). Un altro dice: «Nella visione cristiana Dio conosce tutto della realtà – tutto ciò che c’è da conoscere. Ma dare per scontato che egli conosca prima del tempo come ogni persona agirà liberamente, significa dare per scontato che la libera attività di ogni persona è già lì per essere conosciuta – persino prima che egli lo faccia liberamente! Ma non è così. Se ci è stata donata la libertà, noi creiamo la realtà delle nostre decisioni nel momento in cui le prendiamo. E finché non le prendiamo, esse non esistono. Così, almeno nella mia visione, non c’è semplicemente niente da conoscere finché noi stessi non creiamo qualcosa che possa essere conosciuto. Così Dio non può prevedere le decisioni buone o cattive delle persone che crea finché Egli non crea queste persone, e loro, a loro volta, non danno forma alle loro decisioni» (Gregory A. Boyd, Edward K. Boyd, Letters from a Skeptic, Colorado Springs, Chariot Victor Publishing, 1994, p. 30). Tra gli altri libri che illustrano questo
24
Introduzione
non ha uno scopo specifico per ogni singolo evento negativo […]. Quando un bambino di due mesi contrae un doloroso, incurabile cancro delle ossa, che implica sofferenza e morte, è un male inutile. L’Olocausto è un male inutile. Che una giovane donna sia violentata e fatta a pezzi, è un male inutile. L’incidente che causò la morte di mio fratello fu una tragedia. Dio non ha in mente uno specifico scopo per questi avvenimenti»1. «Quando un individuo infligge dolore ad un altro individuo, io non penso che possiamo andare cercando “la volontà di Dio” in un tale avvenimento […]. So che i cristiani spesso parlano della “volontà di Dio” nel mezzo di una tragedia causata da qualcun altro […]. Ma io credo che questo modo di pensare sia solo una pietosa menzogna»2. «Né Gesù, né i suoi discepoli pretesero punto di vista si vedano: The Openness of God: a Biblical Challenge to the Traditional Understanding of God, a cura di Clark Pinnock, Downers Grove, InterVarsity Press, 1994; e John Sanders, The God Who Risks: A Theology of Providence, Downers Grove, InterVarsity Press, 1998. Nella storia della chiesa, questo punto di vista non è mai stato adottato come parte di un’ortodossia da nessuna delle principali correnti cristiane. Thomas Oden, uno studioso wesleyano, tra gli altri, l’ha definita eresia: «Se i “riformisti” insistono sulla necessità di tenere aperti i confini dell’eresia ad ogni costo, allora bisognerà resistere loro con la carità. La fantasia che Dio sarebbe ignorante del futuro è un’eresia che deve essere respinta sulla base delle Scritture («Io annunzio la fine sin dal principio, molto tempo prima dico le cose non ancora avvenute» Isaia 46:10a; cfr. Giobbe 28; Salmi 90; Romani 8:29; Efesini 1), come è stato fatto nella storia dell’esegesi di passaggi rilevanti. La questione è stata ampiamente discussa dagli esegeti patristici già al tempo del Contro Celso di Origene» (The Real Reformers and the Traditionalists, in «Christianity today», 42 [9 febbraio 1998], p. 46). Per una critica approfondita ed avvincente del teismo aperto, raccomando soprattutto Bruce A. Ware, God’s Lesser Glory: The Diminished God of Open Theism, Wheaton, Crossway Books, 2000. 1 J. Sanders, The God Who Risks, cit., p. 262. 2 G. A. Boyd, Letters from a Skeptic, cit., pp. 46-47. In un’altra occasione egli afferma: «Debolezza, malattia, guerra, morte, dolore e lacrime non sono la volontà di Dio» (Idem, God at War: The Bible and Spiritual Conflict, Downers Grove, InterVarsity Press, 1997, p. 293).
25
Il sorriso nascosto di Dio
che ci dovesse essere una volontà divina dietro ogni evento della storia […]. La Bibbia non dà per scontato che, dietro ogni singolo male, ci sia una particolare volontà divina»1.
“Ma Dio lo fa a fin di bene” E poi c’è la Bibbia stessa, con la sua clamorosa rivendicazione di ogni male perpetrato contro il popolo di Dio: «Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso» (Genesi 50:20). Questo è ciò che Giuseppe disse ai suoi fratelli che avevano peccato contro di lui, vendendolo come schiavo e mentendo a loro padre Giacobbe. Ciò che egli dice non è solo che Dio ha trasformato questo male in bene dopo che si è verificato, ma che Dio lo “ha pensato” (lo stesso verbo usato per le intenzioni del fratelli) a fin di bene. Ciò è confermato in Genesi 45:7, dove Giuseppe dice: «Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra». Infatti, nei secoli successivi il popolo di Israele celebrò proprio la superiore volontà divina nelle traversie di Giuseppe, insieme con la convinzione che Dio avesse scelto di proposito di mandare quella carestia, che rese così necessaria la presenza di Giuseppe in Egitto; e ancora che Dio mise alla prova Giuseppe con difficili prove: Poi [Dio] chiamò la carestia nel paese e fece mancare il pane che li sostentava. Mandò davanti a loro un uomo, Giuseppe, che fu venduto come schiavo. Gli legarono i piedi con ceppi; fu oppresso con catene di ferro, finché si avverò quanto aveva predetto, e la parola del Signore gli rese giustizia. Salmi 105:16-19 1
26
Idem, God at War, cit., pp. 53, 166.
1 «Basare la mia vita su Dio che è invisibile» Sofferenza e servizio nella vita di John Bunyan
«Che tu sia benedetta, prigione, per essere stata parte della mia vita» Nel 1672, a Bedford, circa 80 chilometri a nord-ovest di Londra, John Bunyan veniva rilasciato dopo dodici anni di prigionia. Come è accaduto ad altri che, prima e dopo di lui, sono stati santificati dalla sofferenza, Bunyan trovò la prigione un dono al tempo stesso doloroso e fecondo. Egli avrebbe ben compreso le parole di Aleksandr Solzhenitsyn, un uomo che, trecento anni dopo, come Bunyan, trasformò la sua reclusione in un’opera d’arte esplosiva, destinata a cambiare il mondo. Dopo anni di prigionia in un gulag russo, uno dei “campi di lavoro correttivo” di Stalin, Solzhenitsyn scrisse: Mi fu concesso di portar via dai miei anni di prigione, sulla mia schiena piegata, che quasi si ruppe sotto il suo peso, la fondamentale esperienza che avevo appreso: come un essere umano diventa buono o cattivo. Nell’ebbrezza dei miei successi giovanili mi ero sentito infallibile, e per questo ero stato crudele. Ubriaco di potere, ero stato un assassino ed un oppressore. Nei miei momenti di maggior cattiveria, ero convinto di comportarmi bene, convinzione sostenuta metodicamente da adeguati argomenti. Fu solo quando giacqui lì, sul putrido pagliericcio della prigione, che sentii per la prima volta il bene muoversi dentro di me. Lentamente mi divenne chiaro, che la linea che separa il bene e il male non passa 41
Il sorriso nascosto di Dio
attraverso gli Stati, né tra le classi sociali, e nemmeno tra i partiti politici; passa proprio attraverso ogni singolo cuore umano, e tra tutti i cuori di tutti gli uomini. […] È per questo che, quando mi volto indietro e ripenso ai miei anni di prigionia, dico, suscitando a volte l’incredulità di chi mi sta intorno: «Che tu sia benedetta, prigione!» Io […] ho espiato abbastanza lì. Ma lì ho anche nutrito la mia anima, e per questo posso dire, senza esitazioni di sorta: «Che tu sia benedetta, prigione, per essere stata parte della mia vita!»1.
Come può un uomo benedire la prigionia? La vita ed il lavoro di Bunyan forniscono una risposta concreta a questa domanda. Sembra che Bunyan aggiornò la sua autobiografia spirituale, intitolata Grazia che abbonda al maggior peccatore subito prima della sua liberazione, all’età di quarantaquattro anni2. Egli guardò indietro, ripensò alle difficoltà degli ultimi dodici anni, e scrisse di come Dio lo avesse reso capace di sopravvivere, e persino di prosperare, nel carcere di Bedford. Il titolo di questo capitolo nasce proprio da un suo commento. Egli cita dal Nuovo Testamento, dove l’apostolo Paolo dice: «Avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti» (II Corinzi 1:9). Poi dice: Da questa scrittura fui indotto a considerare che, se volevo soffrire rettamente, dovevo prima emettere una condanna a morte contro tutto quello che può essere propriamente chiamato una
1 Aleksandr I. Solzenicyn, Arcipelago Gulag, 1918-1956, Milano, Mondadori, 1995, pp. 310-312. 2 In Grazia che abbonda al maggior peccatore, è detto che la prima parte di questa “autobiografia” fu scritta dopo che Bunyan era stato in prigione per circa cinque anni. Ma più avanti lo stesso Bunyan scrive: «Vi rimasi dodici anni interi, aspettando di vedere come Dio avrebbe permesso che questi uomini si comportassero con me» (J. Bunyan, Grazia che abbonda al maggior peccatore, cit., p. 152).
42
«Basare la mia vita su Dio che è invisibile»
cosa di questa vita, considerando me stesso, mia moglie, i miei figli, la mia salute, le miei gioie e tutto il resto come cose morte per me, e me stesso come cosa morta per loro. […] In secondo luogo, dovevo basare la mia vita su Dio che è invisibile; come disse Paolo in un altro passo; il modo per non venire meno consiste nel non mirare alle cose visibili, ma a quelle invisibili: le prime passano col tempo, le seconde invece durano in eterno»1.
Non ho trovato, negli scritti di Bunyan, nessun’altra frase che, più di questa, contenga la chiave per comprendere la sua vita: «Basare la mia vita su Dio che è invisibile». Egli imparò che, per soffrire bene, dobbiamo morire non solo al peccato, ma anche all’imperioso richiamo delle cose preziose ed innocenti, ivi comprese la famiglia e la libertà. Mentre era in prigione confessò, a proposito di sua moglie e dei suoi figli: «Ero estremamente attaccato a questi grandi doni del Cielo»2. Perciò dobbiamo imparare a “basare la vita su Dio che è invisibile”, non solo perché Dio è superiore ai piaceri peccaminosi, ma anche perché egli è superiore, allo stesso modo, a quelli santi. Dobbiamo considerare morta per noi, e noi per lei, qualunque altra cosa al mondo. Questo lo apprese dalla prigionia, mentre da Paolo apprese: «Non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6:14). La morte al mondo rappresentava la difficile ma inevitabile conseguenza della vita in Dio. Il mondo visibile morì per Bunyan. Egli imparò a basare la sua vita su “Dio che è invisibile”. Questo fu sempre l’ardente desiderio di Bunyan, la meta verso la quale tese tutta la sua vita, in modo sempre più spiccato, dal tempo della sua conversione, quand’era un giovane appena sposato, fino al giorno della sua morte, all’età di sessant’anni. 1 2
Ibid., p. 155 (corsivo aggiunto). Ibid., p. 156.
43
Il sorriso nascosto di Dio
Soffrire: normale ed essenziale Tutte le volte che ho letto gli scritti di Bunyan, ciò che mi ha colpito è stata soprattutto la sua sofferenza, ed il modo in cui ha reagito ad essa, il modo in cui la sofferenza ha influito sulla sua vita, e come potrebbe influire sulla nostra. Ognuno di noi affronta le questioni che gli si parano davanti portandosi dentro la propria storia e le proprie predisposizioni. Io mi sono avvicinato a John Bunyan con la crescente sensazione che la sofferenza sia un normale, utile ed essenziale elemento della vita cristiana e del mio ministero. Non solo essa ci disintossica dal mondo e c’insegna a basare la nostra vita su Dio, come dice II Corinzi 1:9, ma rende anche i ministri del Vangelo abili nel fortificare la chiesa1, ed aumenta l’efficacia dei missionari nel raggiungere le nazioni2 con il Vangelo della grazia di Dio. Nel modo in cui mi avvicino a Bunyan, sono influenzato sia da quello che vedo ogni giorno nel mondo intorno a me, sia da quello che ho letto nella Bibbia. Quando voi leggerete queste pagine, le cause della sofferenza umana saranno mutate, rispetto a quello che io vedo intorno a me adesso, mentre scrivo. Ma la realtà non cambierà – non fino a quando il mondo continuerà 1 «Ecco perché sopporto ogni cosa per amor degli eletti, affinché anch’essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna» (II Timoteo 2:10). «Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa» (Colossesi 1:24). 2 «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per servire di testimonianza davanti a loro e ai pagani» (Matteo 10:16-18, il corsivo è mio). «Quelli che erano stati dispersi per la persecuzione avvenuta a causa di Stefano, andarono sino in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, annunziando la Parola […] alcuni di loro […] si misero a parlare anche ai Greci, portando il lieto messaggio del Signore Gesù» (Atti 11:19-20, il corsivo è mio).
44
«Basare la mia vita su Dio che è invisibile»
ad esistere e la Parola di Gesù perdurerà. «Nel mondo avrete tribolazione» (Giovanni 16:33). «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (Matteo 10:16). Oggi ci sono nazioni in cui le chiese vengono bruciate, e giovani cristiani vengono uccisi da folle anti-cristiane. I cristiani vengono sistematicamente privati di tutto e ridotti in schiavitù. La Cina continua con la sua politica ufficiale di repressione della libertà religiosa e di reclusioni a lungo termine. L’India, con il suo miliardo di abitanti e la sua incredibile eterogeneità, trema per le tensioni tra le principali religioni, e per la violenza occasionale. Il numero stimato di cristiani che ogni anno subiscono un qualche genere di martirio, supera la nostra capacità di piangere quanto dovremmo1. Mentre scrivo, vedo le migliaia di persone uccise dal passaggio degli uragani e dai terremoti. Vedo le centinaia di persone massacrate in guerra. Vedo trentatré milioni di persone nel mondo contagiate da HIV, il virus che causa l’AIDS. Quasi sei milioni di persone vengono contagiate dal virus ogni anno (undici persone al minuto). Secondo una proiezione statistica, alla fine del 2000, gli orfani dell’AIDS avrebbero raggiunto i dieci milioni2. Più di seimila persone muoiono ogni giorno di AIDS. E poi, naturalmente, vedo la gente della mia stessa chiesa, che soffre di tubercolosi, lupus, malattie cardiache e cecità; per non parlare della miriade di sofferenze dell’anima, legate alle emozioni, alle relazioni umane, sofferenze alle quali questa gente preferirebbe in ogni momento la sana e pulita amputazione di un arto. E poi, quando mi sono avvicinato alla vita e alla sofferenza di Bunyan, ho visto nella Bibbia che «dobbiamo entrare nel regno 1 David Barrett, Todd M. Johnson, Annual Statistical Table on Global Mission: 1999, «International Bulletin of Missionary Research», 23, n. 1, p. 25, stimò in centosessantaquattromila il numero dei martiri cristiani nel 1999. 2 «Star Tribune», Minneapolis, 13 maggio 2000, p. A19.
45
Il sorriso nascosto di Dio
di Dio attraverso molte tribolazioni» (Atti 14:22); e la promessa di Gesù: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Giovanni 15:20); e l’avvertimento di Pietro: «Non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano» (I Pietro 4:12); e l’estremo realismo di Paolo, che noi che abbiamo «le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo» (Romani 8:23); ed il monito che «il nostro uomo esteriore si va disfacendo» (II Corinzi 4:16), e che l’intera creazione «è stata sottoposta alla vanità» (Romani 8:20). Quando guardo intorno a me, nel mondo e nella Parola di Dio, la mia sensazione è che ciò di cui abbiamo bisogno, è che Bunyan ci lasci gettare uno sguardo nel modo in cui ha sofferto e imparato a “basare la vita su Dio che è invisibile”. È quello che desidero per me e per la mia famiglia, per la chiesa che servo e per tutti coloro che leggono questo libro. Poiché nulla glorifica Dio maggiormente quanto il mantenere la nostra stabilità e la nostra gioia perfino quando perdiamo tutto, Dio stesso eccettuato. Quel giorno verrà per tutti noi, e faremmo bene a prepararci, e ad aiutare le persone che amiamo a prepararsi.
I tempi delle sequoie John Bunyan nacque a Elstow, circa un miglio a sud di Bedford, in Inghilterra, nel 1628, lo stesso anno nel quale William Laud divenne vescovo di Londra, durante il regno del re Carlo I. La relazione con il vescovo Laud è importante e va tenuta presente, perché non possiamo comprendere fino in fondo le sofferenze di Bunyan se non inquadrandole nel panorama più vasto del momento politico e religioso in cui visse. A quell’epoca era in corso un tremendo conflitto tra il Parlamento e la monarchia. Il vescovo Laud, insieme a Carlo I, si opponeva alla riforma della chiesa d’Inghilterra, auspicata dai puritani – pastori ed educatori che, tra il 1550 ed il 1700, aspi46
«Basare la mia vita su Dio che è invisibile»
ravano a vedere la chiesa d’Inghilterra “purificata” con la verità biblica ed il fuoco, e che James I. Packer definisce come sequoie della California nella foresta della cristianità1. Sia Laud che Carlo I spingevano per ricondurre tutta la chiesa d’Inghilterra all’ortodossia della Chiesa Alta, secondo le linee del Book of Common Prayer2 – un principio che contrastava con la coscienza di molti puritani. Oliver Cromwell – un campione puritano sulla scena politica – fu eletto in Parlamento nel 1640; nel 1642 si scatenò la guerra civile, che vide le forze leali al re contrapposte a quelle leali al Parlamento – ed alle riforme auspicate dai puritani. Nel 1645 il Parlamento prese il sopravvento sulla monarchia. Il vescovo Laud fu giustiziato il 10 gennaio di quello stesso anno, e fu abolito l’uso vincolante del Book of Common Prayer. Nel 1646 l’Assemblea di Westminster completò, per la dominante chiesa presbiteriana, la Confessione di Westminster. Il re Carlo I fu decapitato nel 1649, e suo figlio, Carlo II, si rifugiò sul continente. Cromwell guidò il nuovo Commonwealth fino alla 1 «Le sequoie della California mi fanno pensare ai puritani d’Inghilterra, un’altra stirpe di giganti che oggigiorno cominciano ad essere nuovamente apprezzati. Tra il 1550 e il 1700 anch’essi vissero una vita tranquilla, dove, spiritualmente parlando, ciò che contava erano una forte capacità di crescita e la resistenza al fuoco e alle tempeste. Come le sequoie attirano lo sguardo, poiché sovrastano gli altri alberi, così la matura santità e la stagionata forza d’animo dei grandi puritani brillano davanti a noi come un faro, sovrastando la maggioranza dei cristiani di tutti i tempi, e sicuramente di quest’epoca di schiacciante collettivismo urbano, dove i cristiani d’Occidente a volte si sentono, e spesso ne hanno l’aria, come formiche chiuse in un formicaio e pupazzi legati a un filo» (James I. Packer, A Quest for Godliness: The Puritan Vision of the Christian Life, Wheaton, Crossway Books,1990, pp. 11-12). Questo libro è un’eccellente e leggibilissima introduzione alla vita ed al pensiero di quella generazione di giganti della cristianità. 2 La High Church o “Chiesa Alta” rappresentava il ramo più conservatore della chiesa Anglicana, mentre il Book of Common Prayer è il testo che contiene il rituale della chiesa Anglicana (N.d.T.).
47
Il sorriso nascosto di Dio
sua morte, nel 1658. La sua maggiore preoccupazione fu la creazione di un governo stabile, con libertà religiosa per i puritani come John Bunyan e per gli altri. «Agli ebrei, scacciati dall’Inghilterra fin dal 1290, fu concesso di ritornare nel 1655»1. Dopo la morte di Cromwell, suo figlio Richard fu incapace di tenere insieme il governo. Crebbe il desiderio di stabilità sotto un nuovo re. Com’è mutevole il favore degli uomini! Il Parlamento si rivoltò contro i nonconformisti come John Bunyan e approvò una serie di atti che sfociarono in maggiori restrizioni per i predicatori puritani. Carlo II fu riportato in patria con quella che è nota come la Restaurazione della Monarchia, e proclamato re nel 1660, lo stesso anno in cui Bunyan fu imprigionato per aver predicato senza l’approvazione dello Stato.
Duemila pastori espulsi Nel 1662 fu approvato l’Atto di Uniformità, che imponeva, di nuovo, l’utilizzo del Book of Common Prayer e l’ordinazione episcopale. Nel mese di agosto dello stesso anno, duemila pastori puritani furono scacciati dalle loro chiese. Dodici anni dopo ci fu un positivo rivolgimento della situazione, con la “Dichiarazione di Indulgenza Religiosa”, che ebbe come effetto la liberazione di Bunyan, cui fu concesso di predicare, e di ricoprire il suo incarico come pastore ufficiale della chiesa nonconformista di Bedford. Ma la situazione politica rimase instabile fino al momento della sua morte, nel 1688, all’età di sessant’anni. Bunyan fu imprigionato ancora una volta, alla metà degli anni ‘70, e durante questa seconda prigionia scrisse Il pellegrinaggio del cristiano2. 1 “Cromwell, Oliver”, Microsoft® Encarta® 98 Encyclopedia © 1993-1997 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati. 2 Gli studiosi discordano circa il periodo in cui fu realmente scritto Il pellegrinaggio del cristiano. Alcuni concludono che fu scritto durante la prigionia degli anni 1660-1672 (Barry Horner, The Pilgrim’s Progress, North
48
«Basare la mia vita su Dio che è invisibile»
Questo è lo scenario in cui si sviluppò la sofferenza di John Bunyan, e dobbiamo stare attenti a non sopravvalutare, né sottovalutare, il terrore di quei giorni. Lo sopravvaluteremmo, se pensassimo che, nella prigione di Bedford, egli abbia subito delle torture fisiche. In realtà, alcuni carcerieri lo lasciavano uscire per vedere la sua famiglia o per fare qualche breve viaggio. Ma lo sottovaluteremmo se pensassimo che la sua vita non fu mai in pericolo. Ad esempio, durante le Sanguinarie Assise1 del 1685, nelle contee dell’Inghilterra occidentale furono condannate a morte più di trecento persone, che non avevano fatto niente di diverso da quanto Bunyan stesso aveva fatto come pastore nonconformista.
Prime angosce e paure Bunyan imparò il mestiere della lavorazione dei metalli, dello “stagnino” o “calderaio”2 da suo padre. Egli ricevette la tipica educazione dei poveri, imparò cioè a leggere e a scrivere, ma nulla di più. Non ebbe nessuna regolare educazione superiore, cosa che rende ancora più stupefacenti le sue opere e l’ascendente che seppe esercitare sulla gente. Già nell’adolescenza veBrunswick, 1997, p. xvii), ed altri che fu scritto durante la seconda prigionia del 1675 (John Brown, John Bunyan: His Life, Times, and Work, London, The Hulbert Publishing Co., 1928, p. 174). Ciò che sappiamo con certezza è che fu pubblicato per la prima volta nel 1678. 1 Il termine “Bloody Assizes” si riferisce, «nella storia d’Inghilterra [ai] processi condotti, nelle contee dell’Inghilterra occidentale, dal presidente di corte George Jeffreys, primo barone Jeffreys di Wem, e da quattro altri giudici, dopo il fallito tentativo di ribellione (giugno 1685) del duca di Monmouth, figlio illegittimo di re Carlo II, contro il suo cattolico zio re Giacomo II. Circa 320 persone furono impiccate, e più di 800 deportate alle Barbados; altre centinaia di persone furono multate, fustigate o imprigionate». Encyclopedia Britannica, alla voce “Bloody Assizes”, http://www.britannica.com/EBchecked/ topic/69954/Bloody-Assizes (consultato il 18/02/2011). 2 Questo è il termine che egli stesso usa per definire la sua attività nel suo testamento. J. Brown, John Bunyan, cit., p. 29. Si riferisce al riparare attrezzi con martello e fucina.
49
Il sorriso nascosto di Dio
diamo la sofferenza affacciarsi in maniera decisa nella sua vita. Nel 1644, quando aveva quindici anni, sua madre e sua sorella morirono a un mese di distanza l’una dall’altra. Sua sorella aveva solo tredici anni. Al dolore della perdita si aggiunse quello provocato dal fatto che suo padre si risposò dopo neanche un mese. Tutto questo mentre, a poche miglia di distanza, durante quello stesso sventurato mese, il re attaccava una chiesa a Leighton e “cominciava a colpire e ferire a destra e a manca”1. Più tardi, poi, in quello stesso autunno, quando Bunyan compì sedici anni, fu arruolato nell’esercito del Parlamento, e fu tenuto lontano da casa dal servizio militare per quasi due anni. Egli racconta che durante quegli anni visse momenti strazianti, come la volta in cui un uomo, che aveva preso il suo posto come sentinella, fu colpito alla testa da una palla di fucile e morì2. Durante questo periodo, Bunyan non era ancora divenuto un cristiano. Egli ci dice: «Avevo pochi eguali (specialmente considerando i miei anni […]) nel maledire, spergiurare, mentire e bestemmiare il santo nome di Dio. […] Finché non giunsi al matrimonio, io fui il capo banda di tutti i giovani che mi facevano compagnia in tutte le forme di vizio ed empietà»3.
Con sua moglie arrivarono libri preziosi Egli “cambiò il suo stato e si sposò” quando aveva venti o ventuno anni, ma non si conosce il nome di sua moglie. Ciò che sappiamo di lei è che era povera, ma aveva un padre devoto, che era morto lasciandole due libri, libri che la giovane portò con sé quando si sposò: The Plain Man’s Pathway to Heaven e The Practice of Piety4. Bunyan dice: «In questi due libri io ero Ibid., p. 42. Ibid., p. 45. 3 J. Bunyan, Grazia che abbonda al maggior peccatore, cit., pp. 30-31. 4 Entrambi questo libri sono stati resi disponibili [in inglese] negli ultimi anni: Arthur Dent, The Plain Man’s Pathway to Heaven, Morgano, Soli Deo 1 2
50
«Basare la mia vita su Dio che è invisibile»
solito leggere qualche volta con lei, ed in essi trovai anche alcune cose che mi risultarono piacevoli (ma a quel tempo non vi trovai alcun motivo di persuasione)»1. Ma il lavoro di Dio era cominciato. Egli stava irrimediabilmente traendo a sé il giovane Bunyan, ancora fresco di matrimonio. John e sua moglie ebbero quattro figli: Mary, Elizabeth, John e Thomas. Mary, la maggiore, nacque cieca. Questo non solo accrebbe il tremendo fardello che pesava sul suo cuore, nel prendersi cura di Mary e degli altri, ma rese anche il suo arresto, avvenuto quando Mary aveva dieci anni, un’angosciosa separazione2.
«La giustizia è nei cieli» Durante i primi cinque anni di matrimonio, ebbe luogo la profonda conversione di Bunyan al cristianesimo, ed alla vita della chiesa battista nonconformista di Bedford. Ad esercitare una notevole influenza su di lui, in quegli anni, fu John Gifford, il pastore di Bedford. Bunyan si trasferì con la sua famiglia da Elstow a Bedford, della cui chiesa divenne membro nel 1653, sebbene all’epoca non condivideva la sicurezza degli altri membri della comunità, circa la propria vocazione cristiana. Il pastore Gifford, egli scrive, era ben disposto a considerarlo un vero cristiano, «sia pure, penso, con scarso fondamento»3. È difficile determinare la data precisa della sua conversione, poiché nel raccontare quegli eventi in Grazia che abbonda al maggior peccatore egli di solito non cita né date né periodi. Ma ciò che è certo è che fu un processo lento e tormentato. Gloria, 1997, e Lewis Bayly, The Practice of Piety, Morgano, Soli Deo Gloria, 1994. Di questo secondo libro è reperibile una copia della traduzione in italiano del 1720 all’indirizzo: http://www.riforma.net/libri/praticapieta/index.htm 1 J. Bunyan, Grazia che abbonda al maggior peccatore, cit., p. 34. 2 Infra, p. 57. 3 J. Bunyan, Grazia che abbonda al maggior peccatore, cit., p. 58.
51