Il Dio prodigo

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Il Dio prodigo



prodigo <prò–di–go> agg. e s.m. 1. Che spende o dona senza misura. 2. estens. Dispensatore generoso.



La parabola Luca 15:1–3, 11–32

Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. 2 Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. 3 Ed egli [Gesù] disse loro questa parabola... 1

[Gesù] Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane di loro disse al padre: ‘Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta’. Ed egli divise fra loro i beni.

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Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. 16 Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. 17 Allora, rientrato in sé, disse: ‘Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza 13

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e io qui muoio di fame! 18 Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi servi’. Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 E il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’.

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Ma il padre disse ai suoi servi: ‘Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato’. E si misero a fare gran festa. 22

Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò cosa succedesse.

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Quello gli disse: ‘È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo’.

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Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose a suo padre: ‘Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un 28

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capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato’. Il padre gli disse: ‘Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato’”. 31

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Capitolo 1

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CHI ERANO GLI ASCOLTATORI DI GESÙ? “Tutti si avvicinavano a lui per ascoltarlo”.

Due categorie di persone Molti tendono a interpretare questa parabola alla luce del distacco e del ritorno del fratello minore (il “figlio prodigo”) rischiando, così, di non coglierne l’effettivo messaggio. I fratelli/figli, infatti, sono due: ciascuno di essi, a modo suo, è lontano da Dio/dal padre e cerca l’ingresso nel regno dei cieli in modo differente. È fondamentale rilevare il contesto storico in cui l’autore colloca gli insegnamenti di Gesù. Nei primi due versetti del cap. 15 l’evangelista Luca riferisce che ad ascoltare Gesù si erano radunati due gruppi di persone. In primo luogo si parla di pubblicani 1 e di peccatori: questa categoria di persone trova il suo alter ego nella figura del fratello minore. Al contrario degli Ebrei osservanti, costoro non si attenevano né all’etica né alle norme di purezza cerimoniale stabilite dalla Scrittura: al pari del loro omologo della parabola, costoro vivevano dissolutamente. Come il “figlio prodigo”, anch’essi erano partiti per 1. Funzionari incaricati dal governo romano di riscuotere le imposte e i diritti di dogana; i pubblicani di origine ebraica erano particolarmente disprezzati dai loro connazionali.

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un paese lontano, allontanandosi dalla tradizione etica delle loro famiglie e alienandosi la rispettabilità sociale. Il secondo gruppo di ascoltatori era costituito da farisei 2 e scribi 3, nella parabola rappresentati allegoricamente dal fratello maggiore. Costoro erano legati alla morale tradizionale alla quale erano stati educati, osservavano la Scrittura e si dedicavano con costanza al culto e alla preghiera. Senza spreco di parole Luca ci mostra la differente reazione di ciascun gruppo di ascoltatori alle parole di Gesù. È la stessa perifrasi progressiva del verbo greco tradotto con l’imperfetto “si avvicinavano” a rivelare come tra i seguaci del ministero di Gesù fossero in costante aumento i “fratelli minori”. Tale fenomeno sconcertava e indisponeva i moralisti e gli osservanti, di cui Luca così riassume le proteste: “Costui accoglie i peccatori e mangia [addirittura] con loro” (nell’antico Oriente sedersi e mangiare con qualcuno era considerato un gesto di accoglienza). “Come osa Gesù tendere la mano ai peccatori?”, si domandavano, “Quella è gente che non viene mai ai nostri culti! Perché si interessa tanto agli insegnamenti di Gesù? Non è possibile che egli insegni la vera dottrina come facciamo noi. Di certo costui dice loro soltanto quello che vogliono sentirsi dire!” A chi è dunque diretta questa parabola di Gesù? A quest’ultima categoria di persone, in risposta all’atteggiamento degli scribi e dei farisei. Il racconto allegorico dei due figli getta uno sguardo introspettivo nell’animo 2. Il farisaismo era un movimento religioso e politico di grande influenza, molto legato alle leggi e alle tradizioni ebraiche. 3. Gli scribi erano uomini eruditi oppure dottori della legge incaricati della trascrizione, dell’insegnamento e dell’esegesi della stessa.

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del figlio maggiore e culmina in un energico invito a cambiare rotta. Da secoli l’insegnamento e l’esegesi (nella chiesa come nei programmi di educazione religiosa) di questa parabola puntano quasi esclusivamente sulla magnanimità con cui il padre riaccoglie il giovane figlio pentito (alcuni commentatori preferirebbero, infatti, il titolo “la parabola del padre misericordioso”). La prima volta che udii questa parabola immaginai fiumi di lacrime sgorgare dagli occhi di quanti avevano ascoltato Gesù parlare di come Dio li avrebbe sempre amati e riaccolti a braccia aperte nonostante le loro malefatte. Con tale interpretazione, però, si rischia di scadere nel sentimentalismo. Questa parabola non è rivolta ai peccatori ribelli bensì agli individui religiosi che si attengono meticolosamente alla Bibbia. Gesù non denuncia tanto l’immoralità degli infedeli quanto piuttosto il moralismo dei fedeli. A questi ultimi egli desidera mostrare come l’ottusità, la grettezza e l’auto–giustificazione siano deleterie per le loro anime e per la vita spirituale di chi li circonda. Pertanto è errato dedurre che Gesù racconti questa parabola al solo scopo di rassicurare i “fratelli minori” circa l’amore incondizionato del Padre. E, udendola, gli ascoltatori originari non si sciolsero affatto in lacrime bensì rimasero allibiti, offesi e indignati. Gesù non mira a darci un contentino ma a demolire le nostre categorie mettendo in discussione molti preconcetti riguardo a Dio, al peccato e alla salvezza. La parabola rivela gli effetti devastanti dell’egocentrismo del fratello minore ma condanna, altresì, recisamente l’atteggiamento moralistico del maggiore. Gesù afferma che sia i disinvolti sia i timorati sono spiritualmente perduti: le loro strade sono entrambe senza sbocco e qual11


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siasi mezzo esperito dall’uomo per avvicinarsi a Dio è inadeguato. Gesù sì, religione no I “fratelli maggiori” e i “fratelli minori” ci sono ancora oggi e vivono nella nostra società e, sovente, nelle nostre stesse famiglie. Solitamente il fratello maggiore è quello che tende a compiacere i genitori, il più giudizioso, il più rispettoso delle regole di casa. Il minore tende a essere ribelle, indipendente e a ricercare la compagnia e l’ammirazione dei suoi pari. Una volta cresciuto, il primo accetta un impiego regolare e va ad abitare vicino a papà e mamma, mentre il più giovane sceglierà di andarsene a vivere nel quartiere bohémien di tendenza di una grande città, possibilmente lontano dai genitori. Ultimamente queste naturali diversità temperamentali sono andate accentuandosi. Nei primi anni del XIX secolo l’industrializzazione ha dato origine a una classe media, la borghesia, la quale cercava di legittimarsi aderendo a un’etica di duro lavoro e integrità morale. In controtendenza a quelle che venivano percepite come ipocrisia e pedanteria borghesi sorsero intere comunità anticonformiste di artisti e intellettuali. Il movimento bohémien nasce nel 1840 nella Parigi di Henri Murger; ne ritroviamo lo spirito nella Scapigliatura italiana, nel Bloomsbury Group londinese, nella beat generation del Greenwich Village di New York e negli odierni gruppi rock alternativi di tutto il mondo. Questo movimento fa dell’anticonformismo e dell’indipendenza personale la propria bandiera. E, fino a un certo punto, è con questa inclinazione e con questa stessa forza conflittuale che nella nostra so12


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cietà si consumano i cosiddetti “scontri di civiltà”. Oggi sono sempre più numerosi coloro che si autodefiniscono non religiosi o addirittura antireligiosi e impugnano l’estrema complessità e insindacabilità delle questioni morali, diffidando di qualsiasi figura o istituzione pretenda (o dia l’impressione) di esercitare un’autorità morale sull’esistenza altrui. Nonostante la diffusione di questa mentalità secolarizzata (o forse proprio a causa della stessa) si registra attualmente un’impennata di movimenti religiosi conservatori e ortodossi. Allarmati da quella che viene percepita come un’invasione di relativismo morale, molti si organizzano per “riappropriarsi dei valori” e guardano senza troppo entusiasmo ai “fratelli minori”... proprio come facevano i farisei. Da che parte sta Gesù? Ne Il Signore degli Anelli, ai due hobbit che gli chiedono come intenda schierarsi, il vecchio Barbalbero risponde: “Io non sono dalla parte di nessuno perché nessuno è del tutto dalla mia parte (...) Ci sono però, beninteso, casi in cui io sono del tutto dalla parte opposta, cose che io avverso...”4. Nella parabola la risposta di Gesù suona abbastanza simile: egli non sta né dalla parte degli irreligiosi né da quella dei religiosi, però avversa il moralismo religioso come una condizione spirituale particolarmente deleteria. Per quanto oggi si stenti a crederlo, originariamente il cristianesimo non era considerato una religione bensì piuttosto una non–religione. Immaginiamo quale sarebbe potuto essere un possibile dialogo tra i primi cristiani e chi volesse informarsi sul loro credo. “Dov’è il vostro tempio?” I cristiani avrebbero risposto di non avere un tempio. “Ma come fate? E i vostri sacerdoti dove mini4. J.R.R. Tolkien, Le due torri, Milano, Rusconi, 1993, cap. 4, p. 79.

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strano?” Al che i cristiani avrebbe risposto di non avere sacerdoti. “Ma... ma...”, avrebbero balbettato, interdetti, gli interlocutori, “dove li offrite i sacrifici per propiziarvi i vostri dèi?” “Noi non facciamo più sacrifici”, avrebbero replicato i cristiani. Gesù era il tempio che poneva fine a tutti i templi, il sacerdote che poneva fine a tutti i sacerdoti e il sacrificio che poneva fine a tutti i sacrifici5. Non si era mai sentito niente del genere... I Romani bollarono dunque i cristiani come “atei”6 perché quanto costoro andavano proclamando circa la realtà spirituale era singolare e non classificabile tra le altre religioni del mondo. E questa parabola dimostra come avessero perfettamente ragione a definirli tali... A noi che viviamo nel bel mezzo di guerre culturali non dovrebbe sfuggire l’ironia di tutto questo; per gran parte della nostra società, infatti, il cristianesimo è una religione: una religione improntata al moralismo! L’unica alternativa alla religione consiste nel pluralismo secolarizzato. Inizialmente, tuttavia, le cose non stavano così. Il cristianesimo era riconosciuto come un tertium quid, una terza via, qualcosa di completamente “altro”. Importante è notare come, in genere, i religiosi e gli osservanti si sentissero offesi dalle parole di Gesù proprio laddove quanti erano estranei a pratiche religiose e morali ne erano intrigati, affascinati. Ne abbiamo la conferma in tutti gli episodi neotestamentari della vita di Gesù. Ogni qualvolta Gesù viene a confronto con un religioso e una persona discriminata per questioni sessuali (p. es. Luca 7:36–50), razziali (p. es. Giovanni 3–4) 5. Dialogo ispirato da un aneddoto tratto da un sermone di Richard Lucas (chiesa anglicana St Helen’s Bishopsgate di Londra, Regno Unito). 6. Come, ad esempio, riportato da Giustino Martire (100–162), Prima apologia dei cristiani, 4–12 in Giustino, Le apologie, Roma, Città Nuova, 2001.

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o politiche (p. es. Luca 19), è quest’ultima a dimostrarsi in sintonia con lui, cosa che non accade al “fratello maggiore”. Ai rispettabili capi religiosi Gesù ripete: “...i pubblicani e le prostitute entreranno prima di voi nel regno di Dio” (Matteo 21:31). Mentre offendeva i professanti e i conservatori del suo tempo, l’insegnamento di Gesù attirava automaticamente gli irreligiosi. Eppure, in genere, le chiese di oggi non sortiscono un tale effetto. Gli emarginati, che Gesù attirava a sé, non provano alcun interesse per le nostre chiese moderne (neppure per le più progressiste) le quali tendono, invece, a richiamare conservatori e moralisti. I dissoluti, gli spregiudicati, i perduti e gli esclusi se ne tengono alla larga. Questo può significare soltanto una cosa: se la predica del nostro pastore e la pratica dei membri della chiesa non hanno su queste persone lo stesso effetto che aveva Gesù, è probabile che non stiamo portando lo stesso messaggio di Gesù. Se non attirano i “fratelli minori”, forse le nostre chiese sono frequentate da molti più “fratelli maggiori” di quanto ci piacerebbe pensare.

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