Quadrimestrale di filosofia pratica - www.lachiavedisophia.com
N.5 Anno III | Feb - Mag 2018
INTERVISTA A VITO MANCUSO
La filosofia non si può imparare ma si deve vivere
SISTEMI VIVENTI
dossier
LE DIMENSIONI DELL ABITARE La vita umana si svolge all’interno di una pluralità di luoghi: il nostro abitarli mette in relazione lo spazio fisico concreto con la sua dimensione intangibile.
Geografie degli spazi e della psiche. Con Vittorio Lingiardi, Arper, Cù Design, Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco LUOGHI TEATRI DI VITA
Intervengono Mario Botta, Master U-rise Iuav, Gianluca Ligi, Giovanni Hänninen, Carla Danani
N. 5 Anno III | Feb - Mag 2018 Autorizzazione del Tribunale di Treviso N. 244/17 Reg. Stampa ISSN 2531-954X Prezzo: 8,00 € PROPRIETARIO La Chiave di Sophia DIRETTORE RESPONSABILE Elisa Giraud DIRETTORE EDITORIALE Elena Casagrande CAPOREDATTORE Giorgia Favero
EDITORE Incipit Editore S.r.l. Via Asolo 12, 31015, Conegliano, TV editore@incipiteditore.it
STAMPA PressUp Via Catone 6 00192 Roma Printed in Italy
REDAZIONE Alessandro Basso Federica Bonisiol Giacomo Dall’Ava Alvise Gasparini Luca Mauceri Sara Roggi Anna Tieppo Alessandro Tonon
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PROGETTO GRAFICO Elena Casagrande
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COPERTINA di Laura Pittaccio
CONTATTI www.lachiavedisophia.com info@lachiavedisophia.com
SOMMARIO
Feb - Mag 2018 - N. 5
SPECIALE Filosofia e armonia La filosofia non si può imparare ma si deve vivere. Intervista a Vito Mancuso
74 RUBRICHE Filosofia per bambini Foreste spettinate, lettere in valigia
70
Viaggio filosofico nei primi incontri del laboratorio Parole in valigia
di La valigia del filosofo Philovintage “Una tiepida palude di tempo”
72
4
di Anna Tieppo
6
L’urgenza di un’arte per comunicare il sapere
di Matteo Villa
74
8
L’arte di essere grati Rieducarsi alla gratitudine per un maggior benessere personale e relazionale
La filosofia non si può imparare ma si deve vivere. Intervista a Vito Mancuso
di Alessandro Tonon
di Alessandro Tonon & Elena Casagrande
79
Raccontare il trapianto d’organi attraverso il corpo di un altro
10
Sfidare gli automatismi della mente Uno sguardo all’arte di René Magritte tra filosofia orientale e occidentale
di Giorgia Favero
di Sara Roggi Selezionati per voi Libri di Sonia Cominassi Film di Alvise Wollner Libri Junior di Federica Bonisiol
Nel buio, una luce di speranza
La retorica della scienza
di David Casagrande
Bioeticamente Voci e silenzi della vulnerabilità
3
Il porto sepolto di Ungaretti: una voce di conforto
Schizzi da La Nausée di Jean-Paul Sartre
Intervista Filosofia e armonia
Editoriale di Elisa Giraud
82
8
SOMMARIO
LE DIMENSIONI DELL’ABITARE Per un’antropologia della casa di Gianluca Ligi
14
Riscrivere lo spazio: il decostruttivismo 17 e la progettualità architettonica di Greta Esposito L’accadere dei luoghi tra fisicità e significati di Carla Danani Melbourne: dramma di famiglia in un interno di Alvise Wollner
20
22
Lo spazio come territorio di memoria 24 Intervista a Mario Botta di Giorgia Favero Una famiglia allargata 29 Dialogo sulla (possibile!) convivenza costruttiva tra Italia e Africa di Antonio Calò & Alvise Gasparini Another Brick in the Wall di Giacomo Mininni
32
Casa: rappresentazione fisica di un’idea 34 di Alessandro Basso Lo spazio come sistema vivente 36 La relazione tra uomo e oggetto manifesta una particolare visione del mondo di Marco Benvegnù - Arper
In viaggio nei mindscapes di Vittorio Lingiardi
39
Abitazioni tra ieri e oggi di Luca Sperandio
42
Cittadini del mondo di Francesca Capano
44
Sul Genius Loci di Alvise Gasparini
46
49 Disegnare l’interiorità Un dialogo sulle frontiere disciplinari e personali tra psicologia e architettura di Tito Sartori & Carla Palù Un abitante, abitato di Martina Basciano
52
Ritratti ambientati di Giovanni Hänninen
54
Abitanti di un paesaggio culturale 58 Il connubio uomo e natura come patrimonio vivente della comunità di Consorzio Conegliano Valdobbiadene DOCG Spazi in cerca di attori, attori in cerca di spazi 60 Le sfide della rigenerazione urbana in una prospettiva di innovazione sociale di Adriano Cancellieri - Master U-Rise Iuav Abitare il mondo avendo un mondo di Matteo Montagner
62
La casa come teatro di vita di Abitami
64
Sottopelle di Lisa De Chirico
66
INFINITE DIMENSIONI
EDITORIALE
di Elisa Giraud
In questo numero si riflette sulle dimensioni dell’abitare. Tale parola (o meglio verbo) porta già in sé, intrinseche, due dimensioni che ci spiega il vocabolario: da un lato come verbo transitivo dal significato di avere come dimora, dall’altro tenere, nutrire nel proprio animo. Dunque l’abitare può concernere una dimensione esteriore ma anche una interiore e si potrebbe dire che la dimensione è completa quando le contempla entrambe: ecco perché la rivista si propone di mettere in luce la relazione tra la dimensione materiale di un luogo e la sua intangibilità. Da qui il titolo del dossier, facendo riferimento a un luogo che è anche una o più dimensioni, uno stato, un modo d’essere o di percepire un determinato ambiente, un vivere, un relazionarsi o condividere un certo contesto; un abitare che diventa lo specchio di un’individualità, di una comunità o di una realtà in generale. A determinare e descrivere un luogo infatti possono concorrere la storia, l’arte, la cultura, le persone, la parola, le abitudini, la politica e pertanto lo si può declinare in termini identitari, sociali, estetici e così via. Se per definire le dimensioni dell’abitare si deve parlare allora di spazi, questi comprendono quello fisico ma anche quello mentale e spirituale. A tal proposito propongo di riflettere anche sulla parola fralluogo inventata da Michela Serra nel suo libro Ognuno potrebbe (2015): «La mia opinione – scrive Serra – è che ognuno dovrebbe fare un passo indietro. Da tutti i punti di vista. Anche fisicamente. Darsi un poco di spazio e, dandoselo, darne anche a chi gli sta intorno. Come c’è un frattempo tra un’azione e l’altra, così dovrebbe esserci un fralluogo tra una persona e l’altra. E come il frattempo così il fralluogo serve a dare fiato. Un passo indietro e una parola in meno». Una parola che suscita quindi una considerazione sul rispetto dell’abitare di ciascuno di noi per evitare di dare per scontata anche una delle attività che più ci caratterizzano in quanto uomini. La sfera dell’abitare dunque appare molto più vasta di quella del semplice alloggio, dell’abitazione in senso stretto: i luoghi dove l’uomo abita, dove ha sede, dove ha il proprio posto sono più numerosi di quelli che solitamente contempliamo. Anche la parola luogo del resto porta intrinseche le due dimensioni: porzione di spazio idealmente o materialmente delimitata. Con questo numero della rivista vogliamo indagare i luoghi dell’abitare umano, gli spazi all’interno dei quali si svolge la vita dell’uomo, poiché si vive una casa ma anche un paesaggio, una nazione, un mondo, un modo d’essere, una stanza, un contesto, la nostra propria persona. Una gamma dimensionale questa che, potenzialmente, non ha confini.
4 LA CHIAVE DI SOPHIA | ANNA TIEPPO
NEL BUIO, UNA LUCE DI SPERANZA Il porto sepolto di Ungaretti: una voce di conforto
di Anna Tieppo
U
na lacrima che scorre, un volto insonne, un dolore che lacera: siamo noi, difronte ad alcune difficili prove esistenziali, mentre cerchiamo una strada che ci permetta di emergere dalla condizione in cui ci troviamo, una via d’uscita che, passo dopo passo, ci conduca alla luce del sole. Il cammino però ci sembra erto, talvolta siamo scoraggiati, pensiamo che gli altri non riescano a comprendere la nostra condizione e spesso preferiamo isolarci dentro noi stessi. Simili strazianti sentimenti deve averli provati anche Giuseppe Ungaretti durante l’esperienza al fronte, quando, come ricorda in un’intervista, «Ci furono combattimenti duri, non era per noi un fatto straordinario. Ciò che era straordinario, in quel periodo, era che ogni tanto i soldati potevano usufruire di licenze per recarsi dove volevano»1. Fu proprio questa esperienza, a cui il poeta aveva inizialmente partecipato con fervido interventismo, a far nascere le poesie più toccanti di Il porto sepolto (1916). Qui Ungaretti esamina la sua peculiare condizione di soldato, riflettendo sulla propria vicenda di «uomo di pena», che vive come una fragile foglia, pronta a cadere dall’albero per un
lieve soffio di vento. «In agguato in queste budella di macerie ore e ore»2 scrive in Pellegrinaggio, mentre teme di diventare lui stesso parte dei lacerti di muro, delle carcasse che vede al suolo. Il buio sembra avvolgere le cose, il confine tra vita e morte è sempre più precario per chi si trova a dover affrontare le sparatorie al fronte. Il poeta non si dà per vinto, non lascia sprofondare il proprio lettore all’interno di un buco nero dal quale non potrà mai più uscire. Il porto sepolto apre a una chiave di speranza, a un lume che, pur labile, rimane acceso e ci permette di chiudere la lettura con una rimanenza di fiducia.
L’UOMO, NEL DOLORE, NON PERCEPISCE SOLTANTO LA COMUNIONE CON GLI ALTRI ESSERI, MA ANCHE CON L’INTERO CREATO. Di che cosa si tratta? Come possono poesie così crude lasciare un forte senso di vita, che quasi prevarica quello di morte? La realtà, sembra dire Ungaretti, nelle atrocità più impensabili, nel dolore più agghiacciante, fa emergere dei
LA CHIAVE DI SOPHIA | FEB - MAG 2018 5
sentimenti profondamente buoni, quali la fratellanza, la comunione con il creato, l’apprezzamento dell’esistenza stessa. «Di che reggimento siete, Fratelli?» chiedeva l’io poetico in uno dei suoi più noti componimenti, ricordando quella precaria vita comune che caratterizza i soldati, anche quelli delle linee nemiche. In fondo, nessuno di loro è diverso dal suo vicino di trincea, tutti con la medesima paura, tutti con una viscerale voglia di sopravvivere. Pur nel buio, o forse si potrebbe dire, proprio nel buio, nasce la luce della condivisione che, talvolta, tendiamo a soffocare nella nostra vita, dimenticando ciò che ci rende umani. Ecco dunque che l’essere parte di qualcosa di più grande allevia il dolore, espelle ciò che è superficiale, lasciando solo i sentimenti importanti. Di fatto Ungaretti amplierà nella sua poesia questo sentimento positivo: l’uomo, nel dolore, non percepisce soltanto la comunione con gli altri esseri, ma anche con l’intero creato; si riconosce «una docile fibra dell’universo», si sente «ubriaco di universo», parte integrante della natura, oltre che dei suoi simili. Questa emozione lo rende più consapevole di sé, lo fa star bene perché gli palesa il
senso della vita e con esso anche quello del dolore. Una vita che il soldato sente sempre più preziosa, che custodisce gelosamente come il gioiello più bello. «Nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore; / non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita» afferma il poeta in Veglia, dopo aver condiviso la nottata con un compagno massacrato al suo fianco. Quest’ultimo è forse l’insegnamento più importante che ci lascia il nostro poeta ermetico: vivere è già di per sé un grande dono; avere la possibilità di assaporare la quotidianità anche nelle sue delusioni o nelle contraddizioni è un privilegio che spesso diamo per scontato, ma che potrebbe esserci sottratto da un momento all’altro. Non lasciamo dunque che le tenebre avvolgano la nostra vita, nemmeno nei momenti più duri, ma cerchiamo di coltivare la luce della speranza e lasciamoci attraversare anche noi dal calore del sole, da quel «tiepido manto di lind’oro»3 tanto caro a Ungaretti. 1
G. Ungaretti, E. Montale, S. Quasimodo, Tutte le opere, a cura di G. Spagnoletti, Mondadori, Milano 1972, p. 14. 2 G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Mondadori, Milano 2013, p. 23. 3 Ivi, p. 21.