Foto Archivio Redazione, Anno 2017
Disclaimer non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.
Alcuni testi o immagini inserite sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d’autore, comunicarlo via email.
Si Ringrazia:
Hanno Collaborato:
Angelica Spagnolo Bruno Forcignanò
Per sfogliare tutte le edizioni e le pubblicazioni online contatta la nostra redazione e il nostro team cercherà di soddisfare le tue esigenze.
REDAZIONE
Direttore: Alessio Marenaci
in questa edizione
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT
Alessandro Spedicato, Andrea Vergallo Francesco Marco Liaci, Gabriele Conte, Giovanni Guida, Giulia Leo, Raffaele Letizia.
PER INFORMAZIONI///COLLABORAZIONI SEGUICI SU segreteria.redazionelacomune.sc@gmail.com > www.lacomune.altervista.org < fiyw
stiamo lavorando per voi... I vol. CHIESA S.MARIA DELLE GRAZIE
S Da pagina 20 SPECIALE SPORT
di Alessandro Spedicato g
Care lettrici e cari lettori ,
Il nostro ennesimo viaggio letterario ci porterà a vivere un excursus attraverso una delle stagioni più colorate degli anni: la Primavera. Questo periodo, si sa, porta con sé pace e armonia, tripudio di colori e di profumi che si elevano nell’aria e nel cielo limpido, quasi a volerci obbligare a guardare col naso all’insù ciò che ci circonda. Sono tanti gli elementi caratteristici della Primavera, ma soprattutto elementi basilari con cui quotidianamente abbiamo a che a fare. Un primo pensiero a cui possiamo rifarci è quello di rinascita, o meglio, di ritorno: un ritorno alle origini.
È vero: rinascita e ritorno non sono due termini strettamente collegabili, ma sicuramente nel ciclo quotidiano la Primavera rappresenta, oltre che rinascita, il ritorno alla vita “congelata” dell’inverno precedente. E a proposito di guardare in cielo, noteremo sicuramente il ritorno delle rondini, il volatile per antonomasia rappresentativo di questa stagione che con le sue danze nell’aria fa incantare molti.
Il ritorno alla vita è anche rappresentato da nuovi cicli che uniscono passato e presente con l’obiettivo di edificare un futuro degno per la cittadinanza, fatto di svago, divertimento e lealtà: troveremo, in questo numero, due articoli inerenti al rifacimento degli impianti sportivi del nostro paese quale rinascita del polo sportivo nostrano. Dalle note sportive saremo indirizzati, quasi con fare di freschezza, verso alcuni degli oggetti-simbolo del nostro paese che spesso, anche per abitudine, non vengono considerate: le fontane cittadine e l’acqua come origine di tutto.
Infine un ritorno alle tradizioni contadine come l’antica mietitura del grano, al tempo molto in voga nelle nostre campagne, fino a giungere alle origini religiose con i festeggiamenti dei Santi del periodo quali Santa Rita da Cascia e Sant’Antonio di Padova.
Il nostro viaggio inizia da qui: dalle origini, origini ormai smarrite o disabituate dalla frenesia giornaliera, ma che rappresentano il vanto e il decoro del nostro territorio.
Buona lettura!
GENTES n.5 MaggioGiugno 4 EDITORIALE
5
Rondini Tra musicalità e simbologia
Ascolta qui
Aremu Rindineddha Aremu rindeneddha-mu a putte ‘stei pu’stazzi pea talassa se guaddhi me to kalò ccerò.
Aspro vastà to petto mavre vastà tes ale stavrì kulor de mare ce i cuta is dio anittì.
Casimmeno ambrò ‘si talassa ivò se canonò lio asconnese, lio calei lio, nghizzi to nerò.
Aremu pea paissia peu topu echi diavemmena pu en’echi ghenomena ti foddea isù.
An ‘ssera ti diaviche apu ciartea ‘ssema ca possa pramata ‘sena su rrotò-nna mu pì.
Chissà rondinella, chissà mia rondinella da dove stai arrivando quale mare hai attraversato con questo bel tempo.
Bianco hai il petto nere hai le ali il dorso color del mare e la coda in due hai divisa.
Seduto vicino al mare io ti guardo un po’ ti levi, un po’ ti abbassi un po’ sfiori l’acqua.
Chissà quali paesi quali luoghi hai attraversato dove hai costruito il nido tuo.
Se avessi saputo che passavi vicino alla mia terra quante cose ti chiederei di dirmi.
GENTES n.5 MaggioGiugno 6
“ ”
”
“
Rondini. Colonna sonora dei mesi estivi, sono piccoli uccelli migratori che ogni anno, attraversano migliaia di chilometri di cielo, da un continente all’altro, da una stagione all’altra.
Quando tornano in Europa segnano l’arrivo della primavera. In particolare nelle nostre terre salentine si iniziano ad avvistare già intorno le prime settimane di aprile e vi rimarranno fino alla prima metà inoltrata di ottobre. Nell’immaginario collettivo le rondini sono sempre rimaste affascinanti, accompagnando con se simboli e suggestioni.
Rappresentano innanzitutto il ritorno. La cosa più straordinaria è che ritornano al loro nido. Lo riconoscono e lo riordinano perché possa accogliere la nuova nidiata. Questo rende le rondini l’emblema del ritorno alle origini. Non importa quanto piccole siano, qualunque sia la distanza ma in un certo senso ricordano sempre la strada per tornare a casa. La prima cosa che noi uomini facciamo è assimilarci a loro. Le rondini ci offrono: una mappa per il ritorno, l’opportunità di ritrovare il nostro nido, di prenderci dimora. La vita può costringerci a molte migrazioni ma la nostra natura si realizza tornando a casa. E non c’è modo migliore per tornare a casa che partire dall’accettare quello che c’è oggi, nella nostra casa. Non è
quello che ci sarà per sempre: proprio per questo vale la pena di riconoscerlo ed accettarlo. Questo semplice atto ci fa tornare a casa.
Lo sapeva chi ci ha preceduto e Arimu
Rindineddhra è l’espressione tipica salentina della nostalgia di casa. Nella sua costruzione non sembra a primo impatto un canto popolare ma piuttosto un testo d’autore. Nasce nella grecìa salentina e una volta entrato nel repertorio folkloristico, senz’altro anche per la sua oggettiva bellezza, uscì dal Salento e catturò notorietà; nel 1963 lo ritroviamo addirittura nella colonna sonora di un documentario storico di Corrado Sofia, Le rondinelle del Salento, facente parte di un ciclo intitolato “Puglia magica”. L’autore guarda il mare e ad un tratto resta incantato da una rondine che volteggia nel cielo e sul mare. Inizia così a chiedersi da dove provenisse, quali paesi ha visitato e poi viene assalito da una sorta di profonda nostalgia. Secondo alcuni è un canto di emigrazione, soprattutto ravvedendo la similitudine del poeta con la rondine, ma in realtà il testo ha tutt’altra origine e significato emozionale. Il testo è di Giuseppe Aprile. Secondo le scarne testimonianze, aveva l’aspetto ed il comportamento del gentiluomo e, per tutta la sua vita, a Calimera
GENTES n.5 MaggioGiugno 7
fu “L’Ingegnere” per antonomasia e addirittura gli è stata anche dedicata una via cittadina.
Aremu rindineddha era stata probabilmente scritta dal suo autore nei suoi anni universitari torinesi, lontanissimo da casa: il canto nostalgico, la lamentazione di uno studente che ripensa al paese e alla famiglia. Lo si vede bene anche in base all’ultima strofa della versione originale, che contiene una sorta di “risposta” del padre della persona lontana che esegue la lamentazione. La maledizione del padre a “tutti gli studi e a tutti i libri” è chiara e, quindi, la poesia non ha nulla a che fare con l’emigrazione in senso stretto, l’emigrazione per lavoro e per povertà.
O rondine, ci rondini lu mare
O rondine, ci rondini lu mare
Vieni chiù qua, nainì nainà
Vieni chiù qua e te dicu do’ parole
Do’ parole
Vieni chiù qua e te dicu do’ parole
Cu tte la tiru ‘na pinna te l’ale
Cu tte la tiru ‘na pinna te l’ale
‘Na lettera li faccio, nainì nainà
‘Na lettera li faccio a la mi’ amore
A la mi’ amore
‘Na lettera li faccio a la mi’ amore
Portala bella, bella sutta a l’ale
Portala bella, bella sutta a l’ale
Cu nu se scassa ‘stu, nainì nainà
Cu nu se scassa ‘stu scrittu te d’amore
Scrittu te d’amore
Cu nu se scassa ‘stu scrittu te d’amore
E quannu arriva addhai nu’ nne l’hai dare
E quannu arriva addhai nu’ nne l’hai dare
Si nu te duna, nainì nainà
Si nu te duna la sincer’amore
La sincer’amore
Si nu te duna la sincer’amore
Tutt’altro: la famiglia di Giuseppe Aprile doveva senz’altro appartenere, per potersi permettere degli studi universitari di un figlio a Torino, alla classe borghese abbiente, una famiglia di notabili calimeresi. Con la messa in musica della poesia dell’Ingegnere, però, interviene la popolarizzazione; e ogni popolarizzazione comporta anche un mutamento di prospettiva e di percezione. Continuando a scorrere il repertorio musicale popolare la rondine, non solo è simbolo di ritorno, nostalgia di casa ed emigrazione ma anche è allegoria dei primi amori.
In “Pizzicarella” ascoltiamo:
O rondine, se voli sul mare
O rondine, se voli sul mare
Vieni qua, nainì nainà
Vieni qua che ti dico due parole
Due parole
Vieni qua che ti dico due parole
Ti prendo una penna dalle ali
Ti prendo una penna dalle ali
E la uso per scrivere una lettera, nainì nainà
E la uso per scrivere una lettera al mio amore
Al mio amore
E la uso per scrivere una lettera al mio amore
Portala per bene sotto alle ali
Portala per bene sotto alle ali
Che non si sciupi il mio, nainì nainà
Che non si sciupi il mio scritto d’amore
Scritto d’amore
Che non si sciupi il mio scritto d’amore
E quando arrivi a destinazione non dargliela
E quando arrivi a destinazione non dargliela
Se non ti dona, nainì nainà
Se non ti dona il sincero amore
Il sincero amore
Se non ti dona il sincero amore
GENTES n.5 MaggioGiugno 8
”
“
“ ”
Sostanzialmente Pizzicarella si presenza come una canzone d’amore, in cui è notevole il soprannome assegnato a una ragazza che ha due doti evidenti, corrispondenti a due diversi aspetti del complesso campo semantico coperto dal “pizzico”: la camminata che sembra una danza. Il motivo popolare della ron dine come messaggera d’amore, i cui ultimi due distici sono gli stessi intona ti a conclusione della succitata pizzica degli Ucci del 1978.
Il volatile esprime la lontananza della persona amata: personaggio tradizio nale della drammaturgia lirica del “mal d’amore”.
Il canto generalmente designato come La rondinella è diffuso in quasi tutt’Italia, da Torino a Venezia a Palermo , e anche altrove.
GENTES n.5 MaggioGiugno
Ascolta qui
di Angelica Spagnolo g
Santa Rita da Cascia
Vita, Miracoli e devozione a San Cesario di Lecce
GENTES n.5 MaggioGiugno 10
TRADIZIONI
Santa Rita, al tempo, conosciuta solo come Margherita Lotti, nasce a Roccaporena nel 1381. Fin da bambina la sua educazione scolastica e religiosa, si svilupperà nella vicina città di Cascia, nell’ordine religioso degli Agostiniani. Proprio qui apprende la devozione verso i suoi santi protettori: Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino (che, al tempo di Rita era ancora beato).
Come da “usanza” arriva anche per Rita il momento di sposarsi. L’uomo che si innamora di lei è Paolo di Ferdinando di Mancino. Nel loro felice matrimonio Rita aiuterà suo marito a vivere una vita più cristiana: è questo il suo dono dell’amore incondizionato che prova per lui. Dalla loro unione nasceranno due figli maschi: Giangiacomo e Paolo Maria. E dopo la nascita dei bambini, si sposteranno nella cittadina di Mulinaccio. Proprio in questa città, intorno al 1406 accadrà un evento tragico: Paolo viene assassinato. Rita non ha la possibilità di fare nulla, se non nascondere ai suoi figli la camicia insanguinata del padre, per non indurli alla vendetta personale perdonando l’assassino e il suo atroce gesto che costerà il risentimento della famiglia del marito ucciso. Rita tormentata dal timore che i figli possano cercare vendetta chiede incessantemente, tramite la perpetua preghiera, al Signore che i suoi figli non si macchino di simili atrocità e allontanino da loro il desiderio di vendetta. Perderà anche i figli a causa di una grave malattia: l’unico suo conforto è pensare che le anime dei figli siano salve e lontane dalla dannazione eterna. Dopo questi eventi tragici, che segnarono la sua giovane vita, comincia una vita più intensa e profonda di preghiera. Rimasta sola, tra il 1406/1407 decide di consacrarsi a Cristo e alla giovane età di 36 anni chiede alle monache agostiniane di essere accolta nel monastero di Santa Maria Maddalena di Cascia. Purtroppo la sua richiesta verrà rifiutata, perché le suore temevano che con il suo ingresso avrebbe messo a repentaglio la sicurezza e la stabilità del loro
Biografia
monastero. Solo dopo tanti ostacoli, riesce ad entrare in monastero ricevendo l’abito e seguendo la Regola di S. Agostino: la contemplazione, la preghiera e la penitenza saranno le coordinate della sua nuova vita in monastero. Qui si distinguerà come una Religiosa umile e preservante nella preghiera, “lavoratrice” responsabile e con una grande capacità nel fare frequenti digiuni e penitenze personali. Tutta la sua virtù e le sue attività verranno conosciute fuori dal monastero: in particolare, sono ricordate, la dedizione alla vita di preghiera profonda, la visita agli anziani, la cura degli ammalati e l’assistenza ai bisognosi.
Il Venerdì Santo del 1432, Santa Rita si trovava in un momento di profonda preghiera davanti al Crocifisso desiderando di partecipare ai dolori di Gesù: così avvenne il grandioso prodigio. Santa Rita fu trafitta in fronte da una delle spine della corona di spine che fino alla sua morte sarà impressa sul suo volto. Nell’ultimo periodo della sua vita, la Santa si ammala. In lei è ancora vivo il ricordo del marito e dei figli. Alla fine del suo pellegrinaggio terreno ad una sua parente, che era venuta a trovarla, chiede di passare nel suo orto di Roccaporena e cogliere una rosa e due fichi come conferma della salvezza delle anime dei suoi cari. È un gennaio nevoso e freddo. La parente si reca all’orto e sorprendentemente trova le due rose e i due fichi richiesti, che coglie e porta a Rita. Le sue preghiere sono state esaudite: il marito, morto assassinato e i due figli, morti per una grave malattia, sono stati accolti da Dio in Paradiso. Rita, incontra il Signore nella notte tra il 21 e il 22 maggio del 1457. Le campane del suo Monastero suonarono richiamando l’attenzione dei cittadini, che dal quel momento la venereranno come la Santa protettrice dalla peste, proprio perché si dedicò soprattutto alla cura degli appestati senza mai contrarre questa pericolosa malattia. Così, Santa Rita, si ricorda come la santa dei casi impossibili.
GENTES n.5 MaggioGiugno 11
Miracoli
Nella vita di Rita due sono gli episodi di alcuni prodigi straordinari che hanno interessato in modo straordinario la vita della Santa.
Il primo quando era ancora ancora neonata, mentre riposava nella sua culla, delle api entrano ed escono dalla sua bocca senza pungerla. Lì vicino c’era un contadino che si ferì alla mano con la falce, perdendo molto sangue. Nel passare vicino alla piccola Rita, l’uomo spaventato per la presenza delle api cerca di allontanarle, ma nel ritirare la mano a sé, si accorge che straordinariamente è stato guarito.
Un secondo episodio, quello della vite ormai secca. Si racconta che la madre badessa di Rita, per provare l’umiltà della suora le abbia comandato di innaffiare quotidianamente quella pianta. La Santa obbedisce senza indugi e la pianta inizia a essere rigogliosa da cui uscirà poi l’uva per il vino.
Dopo la sua nascita al cielo, molti sono gli eventi che portarono la sua canonizzazione. In particolare per il profumo che emanava il corpo della santa, accertato dalla testimonianza delle persone presenti. Non c’è nessuna spiegazione scientifica che spiega la forte permanenza del profumo di rose. Un altro miracolo della santa, fu la guarigione di una bambina, che rischiò di perdere la vista. I genitori disperati, rivolsero le loro preghiere a Santa Rita, mandarono la bambina presso il suo monastero, e dopo qualche mese di permanenza la bambina non ebbe più nessun problema alla vista.
13
La figura di Santa Rita è di un fascino sconvolgente, tanto da risultare inspiegabile, talvolta, la sua universale popolarità. Difatti è una delle sante più popolari e amate in Italia e nel mondo. Fu proclamata beata nel 1627 sotto il pontificato di Urbano VII e fu canonizzata da Leone XIII durante il Giubileo e precisamente il 24 maggio del 1900.
A San Cesario di Lecce la devozione, da sempre è particolarmente sentita e coltivata nella rettoria dell’Addolorata. Proprio nel 1942 al titolo originario della Confraternita dell’Addolorata, per forte desiderio degli appartenenti al sodalizio, si aggiunge, con il decreto del vescovo della diocesi di Lecce, Mons. Alberto Costa, quello di Santa Rita.
All’interno della chiesa, in quell’anno con la donazione dei coniugi Benedetto Abatianni e Maria Liaci i confratelli fecero erigere un nuovo altare che potesse rendere maggior gloria alla santa dei casi impossibili.
Devozione
Ben presto infatti arrivò nel 1943 un altorilievo in cartapesta, commissionato dalla famiglia Gelormini poi restaurato nel 1982, che rappresenta Santa Rita in preghiera secondo lo schema tradizionale. La donna è in ginocchio nei pressi di un piccolo altare che contempla l’immagine del Cristo Crocifisso tra due candele mentre è attorniata da turbini di innumerevoli cherubini e putti. Un Angelo di più grandi dimensioni discende dal cielo e si accinge a posare sulla testa della Santa la corona di Spine, dalla quale resterà impressa sulla sua fronte una delle spine. In basso a destra si legge la firma “Arte Sacra Cav. P. Indino Lecce”, artista cartapestaio che ne ha curato il restauro.
Protagonista dei riti legati alla sua festa liturgica è il simulacro in cartapesta realizzato da Salvatore Sacquegna negli ultimi anni del Quarantennio. La statua, racchiusa durante l’anno in un armadio a vetri, si eleva tra le nubi in aria, e sembra distaccarsi dalla base volando.
GENTES n.5 MaggioGiugno 14
L’ampio panneggio dell’abito di Santa Rita è realisticamente mosso dal vento, che iconograficamente rappresenta il soffio dello Spirito Santo. Il volto è assorto in estasi e reca sul sopracciglio una lieve ferita, ricordo della piaga della sacra spina.
Ogni anno, con l’intronizzazione del simulacro su un artistico Tosello, il paese ritorna a vivere quella antica devozione, quando tutto il mondo era immerso nella Seconda Guerra Mondiale, tanto che si racconta anche la presenza di ex voto donati dai fedeli per ringraziare Santa Rita della sua protezione in quel forte periodo di crisi.
Al termine della novena, nella vigilia della festa, memori della perdita dei figli di Santa Rita e della figura della Mater Dolorosa, la comunità cittadina si riunisce in preghiera ricordando i “Figli in cielo”, giovani che hanno perso prematuramente la vita in tragiche circostanze.
Nel giorno della festa, la mattinata è caratterizzata dalla Supplica a Santa Rita e la benedizione delle rose, nel quale tradizionalmente tutte le donne si
recano alla rettoria per questa ricorrenza. Questo rito ricorda un particolare episodio della vita della santa: si dice che, sul letto di morte, Santa Rita abbia chiesto a sua cugina una rosa del giardino dei suoi genitori. Era inverno. Tuttavia una bella rosa fu trovata sull’arbusto indicato dalla santa. Da allora Santa Rita è stata sempre associata alle rose. Queste costituiscono i “sacramentali” dai quali vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali cioè consistono in sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di santificare le varie circostanze della vita.
Nel pomeriggio del 22 maggio, oggi come allora, si snoda la processione per le vie del paese con la celebrazione della Messa nella Chiesa Madre. Alla fine della celebrazione la statua fa ritorno nella sua rettoria. Spesso capitava, soprattutto in passato, che al rientro della processione del pomeriggio tante donne cercavano, anche in modo quasi violento, di accaparrarsi le ultime rose rimaste con la speranza di portarle in casa o ai propri cari ammalati.
GENTES n.5 MaggioGiugno 15
fOntane pUbBliCHe D a l l e p r i m e
all’acqua in casa per tutti a san Cesario
GENTES n.5 MaggioGiugno 16 STORIE di
g
Bruno Forcignanò
Circa un secolo fa nel nostro paese veniva inaugurata la prima fontana pubblica dell’Acquedotto Pugliese, detta popolarmente “Te San Giuanne”, perché antistante la chiesetta di San Giovanni in Via Caponic, rifornita dalla condotta che dal torrino nella campagne di Cavallino portava l’acqua a San Cesario e Lequile.
Nella sede attuale degli uffici comunali in Via Angelo Russo è esposto un ingrandimento di una vecchia foto di questa fontana attorniata da popolani, soprattutto donne, dal caratteristico aspetto e abbigliamento del tempo. La didascalia la fa risalire al 1924 ma sicuramente si tratta di una data errata in quanto l’acquedotto entra in funzione soltanto a Lecce nel 1927 e dal 1931 nei comuni della provincia. Col tempo furono attivate altre 10 fontane spar se nel paese;
attualmente ne sopravvivono solo due che danno acqua, ma ormai inutilizzate, quella di San Giovanni e quella di Sant’Elia, quest’ultima appena visibile tra le macchine parcheggiate tutt’intorno. La tipica colonnina dell’acquedotto pugliese è ancora presente vicino la chiesa di San Rocco ma è senza acqua da anni.
Sono scomparse le altre fontane, che ormai ricordano solo gli anziani, da quella in Piazza XX Settembre a quella del Calvario, di Via Mazzini, Via Leone, alle due alle estremità di Via Matteotti. Una volta esisteva pure una fontana in via Angelo Russo: fu la prima ad essere tolta già negli anni ‘50 del secolo scorso, anche perché, essendo collocata in una zona centrale e vicino all’ex scuola elementare, era occasione di giochi con l’ac qua di giovani e ragazzi. All’inizio degli anni ‘60 fu attivata l’ultima fontana,
GENTES n.5 MaggioGiugno 17
attivata l’ultima fontana, che ebbe però vita breve, vicino alla scuola elementare Saponaro, in una zona allora di forte espansione abitativa, con l’apertura di nuove strade e la costruzione delle case. Anche nel nostro paese l’arrivo dell’acquedotto fu una vera e propria rivoluzione che col passare del tempo avrebbe cambiato usi e qualità della vita. In precedenza l’acqua era attinta da pozzi poco profondi disseminati in corti e cortili e anche all’interno di alcune case private, alimentati da falde superficiali, a volte di scarsa consistenza, specialmente in estate. Alcune abitazioni di maggiore prestigio avevano anche la cisterna per raccogliere e conservare l’acqua piovana.
L’acqua dei pozzi veniva “tirata” mediante secchi legati a corde, versata in appositi recipienti e trasportata nelle case. Con la comparsa delle fontane i pozzi venivano man mano abbandonati e si andava a prendere l’acqua delle fontane. Erano generalmente donne e ragazzi a portarsi appresso “le menze”, attendere il proprio turno per riempirle e poi trasportarle a piedi alle case, dove l’acqua veniva riposta in appositi recipienti, “le ozze”.
Il cambio definitivo di abitudini si è avuto solo col tempo, a partire dagli anni ‘60 quando la rete idrica e fognante è stata estesa a tutto il paese e tutti hanno potuto avere comodamente l’acqua in casa.
Una mappatura delle nostre fontane
Funzionanti o esistenti
Via Caponic (vicino la chiesa di San Giovanni)
Via Dante (vicino la chiesa di San Rocco)
Via Sant’Elia (nel piazzale vicino la chiesa)
Fontane non più esistenti
Calvario (in fondo a via Dante)
Via Ferrovia/Matteotti (angolo)
La Giurdana (Via Marconi/Verdi)
Via Matteotti/Via Vitt. Em.III (angolo)
Via Mazzini/ Sacri cuori
Piazza XX settembre
Via Saponaro vicino la scuola elementare
Via Umberto I/Leone XIII (angolo)
GENTES n.5 MaggioGiugno 18
SPECIALE SPORT
LAVORI IN t ra rinascita Il Polo Sportivo
Il Palazzetto dello Sport: verso l’ attesa rinascita
Sito nei pressi del campo sportivo comunale Vincenzo Zanchi, il palazzetto dello sport di San Cesario Di Lecce nasce verso la fine degli anni 70 e inizi anni 80 e prevedeva l’attività di gioco dello svolgimento come la Pallavolo e Basket.
Il suo utilizzo è durato solo per qualche anno, erano presenti delle associazioni sportive locali sia di basket che di pallavolo. Esse svolgevano regolarmente dei campionati di categorie, per grandi e giovani. Con la scomparsa di queste associazioni, successivamente è stato abbandonato del tutto, sia nella cura della struttura, sia all’utilizzo per varie dimostrazioni sportive cadendo ben presto in stato di pericoloso degrado e soprattutto oggetto anche di vandalismo. Dopo tanti anni, finalmente sono stati avviati i lavori di ristrutturazione e di adeguamento all’intera struttura che sarà sicuramente modernizzata
di Raffaele Letizia g
e pronta per ricevere tutte quelle persone e tutti quei cittadini, magari non solo di San Cesario che vorranno praticare un sano sport e una bella attività motoria.
Si tratta di un progetto di rigenerazione e riqualificazione dell’impianto polivalente alla periferia del paese, realizzabile grazie ad un finanziamento pubblico di Sport & Periferie di €.700.000,00 ed ottenuto anche grazie alla Convenzione del Comune con la Evó Real Fitness quale soggetto promotore.
GENTES n.5 MaggioGiugno 20 SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT
Sportivo di San Cesario
IN CORSO e degrado
Così dichiara Mauro Liaci di Evó Real Fitness: “Ci siamo. Dopo tre anni di attesa siamo felici di confermare l’inizio dei lavori della nuova casa EVÓ. La costruzione della nuova sede di Evó è ora una realtà concreta, non solo un progetto simbolico. Il palazzetto di San Cesario sta prendendo nuova vita e numerosi progetti sono in cantiere. Siamo veramente emozionati pensando alla varietà di attività che si potranno realizzare al suo interno- ha poi continuato -Come rappresentanti di Evó, abbiamo un progetto preciso e stiamo lanciando un’iniziativa significativa per reintegrare nel nostro comune squadre di basket e pallavolo complete di settori e relative divisioni giovanili. Inoltre ci proponiamo di elevare al massimo livello le disci-
GENTES n.5 MaggioGiugno 21 SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT
pline che già pratichiamo, come il Powerlifting, la pesistica olimpica, l’allenamento funzionale e il fitness. Soprattutto abbiamo in mente di creare un punto di riferimento per il benessere psico-fisico mettendo assieme tutto quello che lo sport porta con sé integrando tutti gli aspetti benefici, quali uno stile di vita equilibrato, una corretta alimentazione, la cura estetica e la competizione sportiva”. Il palazzetto dello sport al centro di un progetto sportivo è sempre un fatto
molto positivo anche per un aspetto sociale quale motivo di aggregazione per tutti.
Un ultimo appello è quello di rendere questo luogo uno spazio partecipato, non solo con le attività sportive che si proporranno in futuro, ma anche con le idee dei cittadini. Conclude Liaci infatti: “Adesso tocca a voi darci consigli ed esprimerci le vostre esigenze”
GENTES n.5 MaggioGiugno 22
GENTES n.5 MaggioGiugno 23
Immagini in 3D del progetto dei lavori riguardanti il futuro palazzetto dello sport
GENTES n.5 MaggioGiugno 24
GENTES n.5 MaggioGiugno 25
Campi da Tennis: un nuovo futuro di
IN STATO DI ABBANDONO...
Non molti sanno che tra le campagne, con vista tramonto nelle belle giornate e panorami totalmente dipinti con le secolari masserie, sorgevano due campi da tennis - adibiti anche a campetti da calcio a cinque dalle vecchie scuole calcio del paese- e i rispettivi spogliatoi. Campi vecchio stile, in cemento, ma poco importa la composizione del terreno di gioco quanto più la pericolosità e il rischio che incombeva su di essi e su chi vi si recava: tralasciando l’ingresso dalla porticina sita nel campo sportivo adiacente, il cancello dal quale si entrava, chiuso ovviamente per motivi di sicurezza, veniva spesso sostituito dal muro che lo sorregge, muro quasi decaduto e che, al passaggio tra la stradina e lo stabile, separava solo il manto erboso delle campagne profondo all’incirca due metri. La recinzione dei campi, totalmente danneggiata e arrugginita, se non assente, era mina vagante per chi, inconsapelvomente, si urtava con il rischio di procurarsi tagli. I rovi, poi, sempre frequenti, ingombravano lo spazio di gioco, come gli alberi che circondano il perimetro dei campi, quasi “a tù per tù” con il giocatore e, infine, l’unico separee tra i campi e i dirupi delle campagne limitrofe dato da un muretto alto all’incirca un metro. Gli spogliatoi, infine, già chiusi dalle prorie recinzioni, versavano in un degrado totale dove la natura e gli animali, oltre che la mano dell’uomo, hanno fatto da habitat naturale.
Alessandro Spedicato g
“DALLA MORTE ALLA VITA”
È del 06 Aprile un post sui social del Sindaco, Avv. Giuseppe Dsitante, che con gioia annunciava il rifacimento di questa struttura: con il bando “Sport e periferie 2022” del costo di circa €500.000 quest’area dimenticata e sconosciuta sarà dotata, e donata, di vita nuova e propria. “saranno realizzati due campi da padel, di cui uno con copertura – scrive il primo cittadino sui social – seguiti dalla demolizione dei vecchi spogliatoi e dei due campetti e delle recinzioni”.
Poi ancora: “Sarà costruito un campo polivalente di basket/pallavolo, un nuovo blocco con gli spogliatoi dotati di: primo soccorso, deposito attrezzi, vano tecnico e bagni pubblici. Saranno inoltre aggiunti due tavoli con sedute dotati di scacchiera incorporata per il gioco della dama e degli scacchi per gli amanti degli sport di strategia. Installazione di un tavolo per il gioco del ping-pong, la realizzazione della pista ciclabile che collegherà Via Tevere, già in corso di progettazione e infine la sistemazione dell’area esterna annessa alle nuove realizzazioni.”
Con queste parole il Sindaco ha lasciato buon auspicio verso tutti coloro che praticano e vivono di agonismo e di sportività, per far sì che il paese abbia fonte di ritrovo per i giovani per un momento di condivisione, gioco, spensieratezza e, perché no, creazioni di squadre con il marchio “Made in San Cesario” per ogni singola disciplina in futuro, si spera, non tanto lontano e che porti ottimi risultati tra giovani e non.
GENTES n.5 MaggioGiugno 27
Piscina Comunale: stile libero (di mercato)
Dopo quasi due anni di amministrazione Distante, rimane sul banco la questione della piscina comunale. Il nocciolo del problema si racchiude proprio nell’aggettivo che accompagna questo tema: “comunale”
Il pubblico, che prova ad assolvere a un compito al quale è chiamato a rispondere il mercato, è destinato a fallire. L’esempio lampante lo offre la struttura del nuovo centro sportivo polivalente che verrà inaugurata proprio di fronte alla struttura dell’ormai abbandonata piscina comunale, che è tornata ad avere una prospettiva grazie all’investimento privato che permetterà di ridare dignità a un complesso abbandonato
per troppo tempo.Quindi, cosa fare con la piscina comunale?
Far parlare gli operatori del mercato, abbandonare qualsiasi velleità di operazioni pubbliche e non spostare un ulteriore centesimo su un progetto destinato ad essere esclusivamente un buco di bilancio.
Ripetere quindi il modello sperimentato con il centro sportivo e valutare anzitutto se esiste effettivamente una domanda di mercato. Ricordiamoci che il nostro centro abitato dista una manciata di chilometri dal capoluogo dove sorgono un numero rilevante di tali strutture, con una realtà concorrenziale già folta. Se dovesse però esistere una domanda in grado di sostenere l’inve-
SPECIALE SPORT
SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT
SPAZIO GENERAZIONE RECUPERO
estimento, si creino le condizioni per poter operare. Si creino tavoli di ascolto tra l’amministrazione e le imprese eventualmente interessate, per creare un percorso burocratico ad hoc che snellisca le procedure e si preveda un programma di sconto dei vari oneri per permettere un abbattimento dei costi per l’impresa.
Dopodiché, però, il soggetto pubblico dovrà restare fuori da ogni questione, senza cadere nella tentazione di finanziare il servizio o di interferire con l’attività dei privati (con richieste clientelari o pretese di interferenze sulla gestione dell’impresa) e soprattutto senza avanzare velleità sui prezzi del servizio, sui quali sarà il mercato a fissare le condi-
zioni. Raccontare di un progetto pubblico a prezzi sociali, con un servizio qualitativo e continuativo, equivale a mentire. Equivale a negare anni di tentativi fallimentari e, soprattutto, a celare i costi spropositati per le finanze pubbliche.
Non si cada nella tentazione di assecondare i facili istinti populisti, promettendo la riapertura a tutti i costi della struttura, si abbia invece il coraggio di fare politica con la P maiuscola e si valorizzi il tessuto imprenditoriale del nostro territorio.
SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT SPORT
di Francesco Marco Liaci g
Mietitura del Grano
TRA ATTUALI E ANTICHI SAPERI
La mietitura del grano è sempre stata l’evento più atteso e impegnativo dell’anno nella vita dei contadini, svolgendosi tra giugno e luglio quando le spighe dorate sono pronte per la raccolta. Durante l’estate, la raccolta, trebbiatura e battitura del grano coinvolgeva molte persone, con famiglie intere che collaboravano. Ogni persona aveva un ruolo: uomini, donne e bambini. Le donne, ad esempio, segnavano il campo prima dell’arrivo dei macchinisti della trebbia. La mietitura manuale era affidata a mani esperte nell’uso della falce, protette da anelli di alluminio per evitare tagli. Dopo, le spighe falciate venivano raccolte e legate in covoni dai ragazzi, poi disposti verticalmente per asciugare. Prima dell’avvento della trebbiatrice, il grano veniva battuto sull’aia, una superficie di mattoni, con l’aiuto di buoi bendati per evitare che mangiassero le spighe, o battuto manualmente con pali snodati. Questa meticolosa cura del lavoro agricolo era fondamentale nel passato. era molto importante la collaborazione fra tutti coloro che mietevano il grano per un raccolto fruttuoso.
Simbolismo del Grano
Il grano ha una simbologia millenaria e comunemente rappresenta il ciclo delle rinascite, proprio per il suo passaggio sepolto nella terra e poi cresce sopra la terra, rappresenta l’analogia dell’anima dall’ombra alla luce. Il chicco che dorme nel buio della terra, durante la stagione fredda, dà origine ad una piantina nuova, occorrono, non a caso, nove mesi perché il frutto maturi e possa esser immagazzinato nella stagione calda.
È anche il simbolo della fecondità, soprattutto nella cultura della Grecia antica, la dea Demetra era la dea del raccolto, rappresentata proprio cinta da una corona di spighe. Ancora, il ciclo dalla morte alla vita evocato da questo cereale, viene ripreso anche nella cultura dell’antico Egitto, nell’immagine di Osiride, dio dei cereali e della morte. Ancora in alcuni paesi del continente europeo si crede che lo Spirito del Grano si incarni in diversi animali, tra cui si trovano: il cane, il cavallo, il gatto, la lepre.
30 LUOGHI
A conclusione della mietitura le ultime spighe o l’ultimo covone prendono il nome dell’animale e rimane tale per tutto il corso dell’anno.
Nella Bibbia, specialmente nell’Antico Testamento, l’offerta del sangue era unita a quella del pane, con la presentazione al tempio del primo covone raccolto, in segno di gratitudine verso la divinità per un raccolto abbondante. Nel Nuovo Testamento, il grano, simbolo del dio che soffre, assume un ruolo centrale nella fede cristiana. Cristo, nelle sue parabole, lo cita spesso, e in un contesto più antropologico, il grano viene associato al Corpo di Cristo attraverso il pane azzimo, consumato quotidianamente nelle case. Il grano diventa così parte integrante della vita comunitaria della Chiesa, presente in tutte le sue fasi. A Pasqua, adorna il sepolcro di Cristo; le piantine cresciute al buio, gialle per la mancanza di clorofilla, evocano il corpo pallido di Gesù nel sepolcro. A Pasqua, il grano, battuto e spogliato, serve a preparare dolci, simboleggiando Cristo flagellato e spogliato, che con il suo sacrificio porta la salvezza all’umanità.
Tradizionalmente, con il primo grano mietuto e le prime farine si preparava il “pane di Sant’Antonio”, distribuito il 13 giugno, giorno della festa. Nella rettoria di San Salvatore, origine del culto esterno di Sant’Antonio, si può vedere la statua del Santo che distribuisce il pane. In passato, i panini di cartapesta nella cesta del Santo di Padova venivano sostituiti con pane reale, a simboleggiare l’atto di carità compiuto dal Santo.
Attualità
Oggi, nonostante la società si allontani sempre di più dalle radici agricole, nel Salento numerosi paesi celebrano ancora l’importanza del grano. Un esempio è la frazione di Merine che, giunta alla sua 28esima edizione, festeggia la “Sagra te lu ranu” nel mese di luglio.
A San Cesario, l’associazione Ausapieti da sette anni preserva e diffonde il valore della vita agricola, enfatizzando in particolare la raccolta del grano. Questa associazione insegna alle nuove generazioni il processo di trasformazione dei chicchi di grano in uno degli alimenti più amati e onnipresenti sulle tavole delle famiglie. Tra le varie iniziative proposte dall’associazione, spicca la festa della mietitura che si tiene ogni anno a luglio, coinvolgendo tutti i membri dell’Ausapieti in una campagna nei pressi di San Cesario di Lecce.
31
IL CITTADINO di Sara Marzo g
GENTES n.5 MaggioGiugno 32
Andare e tornare a c a s a radici forti e ali leggere
“Girai girai girai ma megghiu de casa mia nu truai questo è il detto che mia madre mi dice spesso riguardo la mia partenza e il mio ritorno alla radici, nella mia terra natia, nel mio paese,a casa, San Cesario di Lecce.
Nell’ormai lontano 2005 ero una studentessa all’Università del Salen to, frequentavo da pendolare e vivevo ancora a casa dei miei, ma ave vo iniziato a conoscere la vita universitaria e sviluppare una profon da sete di sapere. Grazie a una mia compagna di corso che aveva vissuto in Francia, scopri per caso l’esistenza della borsa di studio Era smus che ti permetteva di studiare all’estero. Ascoltare la mia ami ca e la sua testimonianza della vita francese mi aveva entusiasma to e incoraggiato a candidarmi per richiedere la stessa borsa di studio. All’improvviso l’idea di lasciare i confini conosciuti del mio paese in cui avevo vissuto per vent’anni della mia vita mi sembrava inevitabile, tutto mi stava stretto, volevo scoprire il mondo, l’Europa, mettermi in gioco e uscire di casa. Niente mi spaventava a tal punto da fermarmi, neanche non sapere la lingua o cavermela da sola. E fu così che iniziò la mia avventura, 9 mesi di Erasmus a Lille in Francia a studiare, un’ esperienza indimenticabile che mi ha aperto il cuore, la mente e gli occhi sulla vita e su quanto ancora c’è da conoscere, altre lingue, altre culture, altre persone, altre avventure da vivere. E poi dopo pochi mesi a casa,mi laureai e via di nuovo per un’altra esperienza di tirocinio all’estero, questa volta a Creta, in Grecia, sempre finanziata da fondi europei, e poi studiare a Perugia, città universitaria internazionale, e infine fare uno stage a Granada, in Andalusia, per me il Salento della Spagna. Quanti ricordi e quante cose nuove ho imparato, ma soprattutto quanti nuovi amici, preziosissimi compagni di viaggio. Sommando i mesi, sono stata via dalla mia terra per 5 anni, ogni esperienza a modo suo è stata un momento di crescita interiore e di sviluppo di competenze.
Vivere lontano dalla famiglia e dalla propria regione ha i suoi vantaggi, come l’indipendenza e fare una vita nuova senza che nessuno ti conosca, ma anche vuol dire fare i conti a volte con la nostalgia canaglia delle persone care, delle tradizioni, del cibo, dei paesaggi di mare e campagne, del nostro clima, a volte persino del dialetto. Quelle rare volte in cui mi capitava di ascoltare l’accento salentino voleva dire prendere una boccata d’aria fresca e per un istante tornare a casa e condividere qualche frammento di salentinità. Per me era in qualche modo conoscersi senza conoscersi, o meglio riconoscersi, sapere che ci si può capire a un livello più profondo, quello che i Sud Sound System nelle loro canzoni definiscono come “le ratici ca tieni”.
Per me stare lontano ha significato soprattutto allargare gli orizzonti, vedere tutto in modo relativo, da altri punti di vista, non per forza giusti o sbagliati, solo diversi o a volte incredibilmente uguali, ma ha voluto dire anche apprezzare di più quello da cui sono, in qualche modo, scappata. Infatti nel 2011, dopo lo stage in Spagna, neolaureata, sono rientrata in Salento e ho avuto davanti a me il vuoto, dovevo decidere dove fermarmi e dove provare
GENTES n.5 MaggioGiugno 33
a farmi una vita, cercare un lavoro, iniziare a costruire qualcosa. Ero anche un po’ stanca di ricominciare sempre da zero e sentivo il bisogno di stare più vicina alla famiglia e al mio primo nipotino, quindi mi sono detta:
“se devo ricominciare da qualche parte vediamo se posso farlo anche qui in Salento, portando nella mia terra tutto quello che ho imparato”.
Quindi poco a poco, ho iniziato a conoscere persone che come me erano tornate a casa dopo esperienze internazionali e volevano dare una possibilità a questa terra, darsi una possibilità, crederci e non scappare, ma restare. E il fato mi ha fatto incontrare altre giovani donne che come me erano nella stessa situazione, tornate con voglia di mettersi in gioco, creare opportunità, creare un ponte tra Salento ed Europa. E nel 2012 nacque così VulcanicaMente, associazione di promozione sociale che crea opportunità di crescita e apprendimento a partire dalle giovani generazioni, sia a livello locale che internazionale. In questi 12 anni l’associazione ha coinvolto migliaia di persone, creando occasioni di scambio culturale ed intergenerazionale.
Oggi guardando indietro mi rendo conto che la scommessa di restare e vedere come va è stata azzeccata. Mi sono sempre chiesta “Se tutti se ne vanno chi rimane qui e cambia le cose?”. Mio nonno mi diceva sempre che bisogna avere radici forti e ali leggere per volare, quindi è importante avere un nido a cui tornare in volo piazzato su un albero con forti radici ben impiantate nel mio caro paese.
Ora ogni giorno vedo San Cesario con occhi da viaggiatrice e allo stesso tempo da persona locale e talvolta mi meraviglio ancora di più attraverso gli occhi nuovi di chi viene qui per la prima volta per un’esperienza europea.
Quindi che dire, partite, tornate e se ve la sentite restate! Questo sogno del sud migliore ha bisogno di essere sognato da più sognatori che lo realizza-
GENTES n.5 MaggioGiugno
GENTES n.5 MaggioGiugno 35