Santuario di Maria, casa della Parola

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Quaderni della Consolata / Spiritualità – 5

Santuario di Maria Casa della Parola Mons. Giuseppe Pollano


I testi sono stati forniti dall’autore stesso, che ringraziamo. Il testo dell’Inno Akathistos e la sua spiegazioni sono tratti dai testi del sito Internet del Vaticano. EDIZIONI LA CONSOLATA – Torino, giugno 2008 Santuario della Consolata, via Maria Adelaide 2, 10122 TORINO +39 011 483.6100 / info@laconsolata.org www.laconsolata.org / www.laconsolata.direttastreaming.tv

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PREMESSA Possiamo iniziare la nostra riflessione con qualche verso dell’Inno «Akáthistos», entrato nella liturgia della Chiesa greca dell’VIII secolo, e gioiello del culto mariano. In esso Maria è cantata come «Dimora del Verbo di Dio», «Albero dei frutti di luce che alimentano i fedeli», «Fede dei mendicanti di silenzio». Quale ritratto più completo? Questa è Maria, la Madre del Verbo, della quale disse s.Francesco di Sales: «Maria interviene all’unione della divinità con l’umanità, fa che Dio sia uomo e l’uomo sia Dio, con la sua sostanza concepisce, nutre e partorisce Dio nell’universo». Proprio questa è la creatura di cui oggi, più che mai, abbiamo bisogno. Siamo nel tempo in cui uno dei più angosciati atei del secolo XX, J.P.Sartre, fa dire a due protagonisti, in Morti senza sepoltura: «Parlerete, alla fine?» «Che cosa vuol che si dica?» «Non importa che cosa, purché faccia rumore». Ecco, è appunto questo rumore del nulla che ci assedia fino a soffocarci. Tolto Dio, la constatazione che siamo nulla, il tremendo Nada, nada, nada! di Hemingway, non ha tardato a caderci addosso, capito prima dagli uomini più fini e sensibili, poi da tutta la gente. E il chiasso, arma del diavolo, qualcuno ha detto, uccide in noi preghiera e pensiero, invadendo volgarmente le profondità dell’anima. Qui compare per noi, bellissima nel suo raccolto animo che trabocca di Parola: Maria. A lei bisogna tornare con ammirazione nuova, 1


come al «paradigma antropologico», dice S. De Fiores, ossia al tipo di essere umano che dobbiamo realizzare per evitare il tuffo nella barbarie spirituale e nella rovina storica. E dove la troviamo, Maria? Nella Chiesa intera, senza dubbio; nella sua liturgia e teologia, nella vita del Popolo di Dio; ma particolarmente nei suoi luoghi, ossia nei mille Santuari dove la sua presenza, sempre ancillare rispetto al Figlio e alla Trinità santissima, tuttavia con dolce umiltà è Signora. Signora perché Madre, e Madre del Figlio che è il Verbo, eterna Parola. Si compongono così in lei, nella considerazione della nostra fede, la piccolezza creaturale eletta a santità ecclesiale, dove Maria ci è sorella, e la sublimità sapienziale di Dio dove ci è madre. Riferirci a lei ci è dunque indispensabile. La formula «De Maria numquam satis», come compare nel Trattato della vera devozione a Maria di s.Luigi Grignon de Montfort, dov’egli afferma che «Maria non è stata ancora abbastanza lodata, esaltata, onorata, amata e servita», ci interpella. Lontanissimi da un’inaccettabile “adorazione” di lei, noi intendiamo lodarla e imitarla con suprema venerazione, e il suo Santuario è il luogo più indicato per esprimerlo; veniamo a lei proprio come «mendicanti di silenzio», sia nel senso che cerchiamo ristoro dalla parola umana spesso impazzita, sia, e ancor più, perché le chiediamo il silenzio che si fa ascolto, tutto fatto di cuore puro, nel quale può sbocciare «l’esile voce» del Verbo, destinata in realtà a divenirci luce, senso e padrona della vita. «La grande compassione di Maria e 2


la sua potente intercessione», come amava dire s. Alfonso, sono con noi. I

LA «VERGINE IN ASCOLTO» Paolo VI così ci ha richiamata Maria, nella Esortazione Apostolica Marialis Cultus (n.17), e tale titolo ci pare il più adatto per iniziare il discorso su lei e la Parola. Perché? Perché se Dio possiede, come è evidente da tutta la Rivelazione, il primato della Parola, e «in principio c’era il Verbo» (Gv.1,1), allora all’uomo tocca per natura sua la priorità del silenzio, perché egli nasce già come ascoltatore di Dio. E l’ascolto è in primo luogo silenzio. Diremmo meglio, è il Silenzio, volendo con ciò escludere tutti i silenzi umani, e sono molti, che non si aprono alla Parola di Dio che si esprime, chiama, comanda, coinvolge per amore. Sotto questo profilo la Vergine è decisamente esemplare, e si impone come modello di persona che tanto è pronta a farsi schiava della Parola divina, quanto è libera dalla schiavitù delle parole umane. Tale libertà è testimoniata dal suo cantico, in cui la protesta contro i pensieri dei superbi, l’alterigia dei potenti e l’egoismo dei ricchi fa spiccare con evidenza quanto Maria sia lontana dalle parole che reggono la quotidianità del mondo. E tale libertà subito ci provoca, perché noi ne siamo spesso molto poveri, assediati dalla parola di tutti, che sembra avere un’insolente precedenza sul nostro 3


stesso pensiero, e ci colonizza l’anima attraverso messaggi, pubblicità, propagande, stampe, libri, affidati alla gigantesca rete massmediatica che ci avvolge. Maria non è così: la vergine di Nazaret che riceve l’annuncio, possiamo pensarla senza forzature libera e tacita, perché da sempre la sua esperienza immacolata le ha rivelato che il vivere con Dio è in primo luogo un «essere-per-il-Silenzio», senza parola oziosa e nel più avveduto uso delle parole utili e necessarie in questo mondo. Maria sa che le parole puramente terrene, non vive nella grazia «si raffreddano immediatamente e impallidiscono come rose già colte», come insegnava Suso, e perciò non le dice. Ma che Silenzio pregno di Voce, il suo! Che ascolto traboccante! I santi l’hanno imparato bene. Ecco s.Giovanni della Croce, a proposito del medesimo tacere: «Ciò che più importa, per progredire, è far tacere dinanzi a questo grande Dio la nostra lingua e il nostro desiderio, perché il solo linguaggio che Egli ascolta è il silenzioso amore». E s.Vincenzo de’ Paoli, che non fu un eremita: «Serbare il silenzio non è altro che ascoltare Dio, allontanandosi, per meglio ascoltarlo, dalla confusione e dalla conversazione degli uomini». E ancora la beata Elisabetta della Trinità: «Mettiamo tutto a tacere, per non udire altro che Lui». L’elenco non finirebbe. È dunque dal Silenzio sacro che bisogna cominciare. Ma questo ci chiede allora di intentare un processo serissimo alla parola terrena, non certo per ucciderla, ma per purificarla e renderla capace di incontrare «la bellezza superiore di Dio», 4


come un poeta disse, e immergersi nella sua verità “come la goccia d’acqua dentro una botte di vino”, aggiungerebbe il mistico Taulero, ossia colorandosi di Dio. Basta aver detto queste poche parole per rendersi conto che il Silenzio divino non si acquista con uno schiocco di dita. Nulla anzi è così serio ed impegnativo per noi, trattandosi di passare dagli interlocutori umani all’Interlocutore che è Dio, dai linguaggi al Linguaggio, dalle reciprocità terrene alla Reciprocità assoluta. La moralità della nostra parola comincia proprio qui, dove essa, purificata nel Silenzio, diventa in primo luogo risposta alla Parola, iniziando il Dialogo che deve reggere poi tutta la vita. Maria fu in questo eccellente, splendeva perfetta nel suo a tu per tu con l’Eterno. Ma per noi è diverso: noi siamo ancora, con la nostra parola, in un duello che si svolge con alterne vicende, fra Uomo e parola: chi è il signore e padrone dell’altro? Guardando la Vergine, colma di Silenzio e di Parola con saggezza totale, dobbiamo in realtà, riguardo alla parola nostra, coglierne il sommo valore e il sommo rischio, e chiedere a lei, Madre del Verbo fatto uomo, di divenire veri discepoli di lui. Il sommo valore della parola non richiede dimostrazioni. Tutto si potrebbe dire, al riguardo, con poche sentenze: «La parola è civiltà», «La parola fa l’uomo libero», «La parola è comunione». Che cosa c’è di più vero? Di più intensamente umano? Dalla tenerezza fra madre e bimbo, alla solennità delle leggi, dal rigore della scienza agli slanci della poesia, dalle esattezze contrattuali alle dichiarazio5


ni di pace universale, la nostra parola ci sorregge in un umanesimo valido, e sfida le vicende per costruire una storia buona. Il sommo valore della parola non è in discussione, e il riconoscerlo ci affida una responsabilità che possiamo definire suprema. Parlare per far essere il bene, per produrre azione e mondo giusti, per effondere benevolenza e intesa: tutto ciò è benedizione di Dio; e perciò educarsi alla parola, non crescere nella chiacchiera, capire che la parola è «dono tremendo», e che non basta parlare perché si ha la lingua, «parole. parole, parole». Qui ci è maestra affascinante e consolante Maria, il cui volto è Silenzio così eloquente del misterioso «indicibile» di Dio. Neppure il sommo rischio della parola, purtroppo, richiede dimostrazioni. Perché essa, come noi stessi che la diciamo, può rovesciare la propria bontà, e diventare il «male ribelle», che si rivolta contro il nostro bene. Non occorre molta riflessione per concludere anche noi: «O parole, quanti delitti si commettono in vostro nome!». È così! Delitti materiali e morali, privati e pubblici, culturali e politici, nazionali e internazionali…Non c’è che l’uomo capace, con una sola parola, di destinare alla morte milioni di altri uomini. E ciò che è peggio, la parola incattivita diventa anche stracarica di passione, non la si domina più, ci domina: «Ho fatto a pezzi cuore e mente / per cadere in servitù di parole?» si domanda un poeta. Ma è domanda che ci interpella tutti, per una drastica revisione di vita. Si comprende perché Gesù ci ha messi in guardia riguardo alla falsa 6


profezia del mondo; essa è fatta di tutte le parole che ci illudono, seducono, spaventano e confondono in un carosello di idee senza pace; e se noi riapriamo il Vangelo e, in riva a questo gorgo, ripetiamo con Maria il suo cantico meraviglioso, non ci rendiamo invece conto di quanto esso ci consoli, colmo di verità felice?

II

SANTUARIO SEGNO DELLA IRRUZIONE DI DIO NELLA STORIA.

Questa definizione, straordinariamente forte, sta nel DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA, edito nel 2002 dalla Congregazione per il Culto Divino. Non si può, né si deve, sottostimarla; essa anzi stimola a nuovi sensi di responsabilità perché tocca precisamente la questione essenziale della vita umana in generale e di quella cristiana in specie, che sta nel realizzare la «vocazione alla comunione con Dio» (Conc.Vat.II, Chiesa e mondo,19); Dio infatti irrompe nella storia appunto per tale comunione, ed è chiaro che l’uomo deve a sua volta rispondergli con slancio proporzionato; se dunque il santuario è uno dei segni di tale mossa di Dio, esso diviene di per sé luogo privilegiato per questo incontro, e come tale va considerato. 7


Riconosciamo che tale valutazione del Santuario può non esserci consueta, parendoci perfino eccessiva, data la funzione talora accessoria ed occasionale che esso svolge nella vita del Popolo di Dio; è però evidente, nel documento della Congregazione, l’intenzione di un ritorno all’essenziale, su questo tema, e non si può che rallegrarsene, assumendo

- eventualmente in modo rin-

novato - l’impegno che esso comporta. La cosa assume rilievo speciale nel caso preciso della Parola di Dio, perché proprio la Parola è protagonista centrale della irruzione divina nella storia, rendendosi presente in mezzo a noi con l’incarnazione del Verbo, Gesù. Sarà dunque necessario operare gradatamente, ma senza indugio, affinché il Santuario acquisti sempre di più nella stima del Popolo di Dio la sua valenza teologica, rilevantissima: se esso è segno di Dio che irrompe, e primariamente irrompe come Parola, allora il Santuario è chiamato per natura sua a farsi Casa della Parola, ossia luogo che esiste per la Parola e in funzione della Parola; e questo attraverso la vigorosa accentuazione d’un suo servizio pastorale volto a divulgare, approfondire, assaporare la Parola, sia sotto forma di istruzione che di esperienza orante. Servizio preziosissimo che oggi, per di più, risulta spesso insufficiente per la scarsità di operatori e di strumenti. Nell’assumere in modo rinnovato questa funzione il Santuario deve allora più che mai favorire nel Popolo di Dio l’approccio al sacro, il quale richiede sempre, per natura sua, comportamenti ade8


guati alla duplice azione della fede: elevare alla Presenza divina, che non è quella terrena, e distaccare quindi dalla presenza terrena, che ci domina come esperienza ordinaria della vita e del mondo. Essendo chiaro che non basta varcare la soglia del Santuario per entrare nel Sacro, ogni accoglienza nel Santuario deve iniziare, da parte dei responsabili, con una concisa e però quanto mai efficace catechesi sul senso del luogo, sul Silenzio che vi si deve realizzare, sulla diversità reale fra il calpestare la strada e gli «atri sacri». Non si tratta, ovviamente, di formalità, ma d’aiuto necessario alla presa di coscienza secondo fede, senza cui il Santuario resterebbe semplicemente «visitato». L’elemento decisivo per tale «ambientazione» resta il passaggio dalla parola al Silenzio interiore. È dunque opportuna, riguardo al rapporto fra Santuario e Silenzio, qualche annotazione ulteriore. Si sa che ogni chiesa di per sé esige raccoglimento per la Presenza dominante del Dio eucaristico, e rispetto per coloro che vi pregano; ma tale necessità si fa estrema nel caso del Santuario per alcune ragioni: il dover favorire nei fedeli un’esperienza forte di incontro con Dio; il voler evitare che essi rimangano a livelli inferiori di attenzione, storica, estetica, turistica; il poter provocare, con i dovuti accorgimenti, un evento spirituale ben difficilmente possibile altrove. Chi gestisce il Santuario deve tenere ben presenti tali ragioni e sentirsene impegnato: il ricordo del Santuario non potrà mai ridursi, per chi vi accede, all’arte contemplata 9


o all’oggetto sacro acquistato; è l’interiorità che deve esserne arricchita, quel tocco di Spirito nelle profondità dell’anima che rende indimenticabile il momento vissuto, come bene scrisse un poeta: «E i tonfi / di tutta la metropoli / muoiono pronti. Silenzio sorge nel sole. / Spalancati guardiamo». Insegnare dunque il Silenzio è una sorta di pre-catechesi che, specialmente oggi nel mondo chiassificato, si impone al fine di non banalizzare, e dunque sprecare, l’occasione unica che il Santuario costituisce per tutti coloro che portano in cuore il sospiro: «O Dio, di te ha sete l’anima mia» (Salmo 63,2). Occorre rendersi conto di tale responsabilità morale, che, senza dubbio, carica di maggiore impegno chi ce l’ha, ma risponde esattamente alla richiesta ecclesiale sulla funzione mistica che il Santuario deve assumere nella condizione religiosa contemporanea. Si tratta perciò di tenere presenti, dei vari e successivi modi del silenzio che accede al Silenzio divino, almeno i primi, che devono essere esplicitamente richiesti ai fedeli; potrebbe darsi che molta gente non avesse mai neppur sentito impostare una questione del genere, ma ciò confermerebbe caso mai soltanto l’importanza della lezione. Il primo silenzio preparatorio al Silenzio, è ovviamente quello fisico, che elimina il rumore e la voce abituali nella solita esistenza; non si tratta però soltanto di ridurre i discorsi a brusio discreto, ma di farli semplicemente tacere come cosa da sgombrare. Non è, come si sa, operazione sempre agevole; comunque è necessaria. Dentro il 10


Santuario si è già nell’Evento della Parola che lì abita e dice; bisogna dunque guidare i fedeli al silenzio neotestamentario dell’attesa, presupposto necessario per lo sbocciare della Parola; chiaro che non si tratta di «stare zitti» in un silenzio puramente fisico, vuoto, ma del tacere che si dispone ad essere visitato e abitato da Dio. Tale primo silenzio della bocca richiede indispensabilmente il secondo, quello della mente, ben più penetrante nella persona, data la nostra abitudine di pensare, immaginare, ricordare senza tregua mentre viviamo. Ma la «purezza di cuore» tale silenzio lo esige. Per poter dire: «Nessuno ha mai parlato come lui», commento delle folle che ascoltavano Gesù, occorre interrompere il solito flusso dei discorsi interiori, tornare bambini la cui scienza «non è frutto di considerazioni e elucubrazioni di persone curiose», com’è detto nella Lettera a Diogneto. Qui l’aiuto di chi accoglie è prezioso, e normalmente necessario, e il suo ruolo sta nel provocare nei fedeli un silenzio inconsueto; non solo emotivo, che «tocchi il cuore» con la narrazione devota, ma subito referenziale prima a Dio, presente e creduto, poi all’ambiente intriso di religiosità vissuta. In questa introduzione i fedeli devono essere aiutati a percepire che non stanno esistendo per sé, né per scattar foto e neppure solo (sebbene ciò sia ovvio e più che legittimo) per i favori celesti; ma prima e di più per elevarsi a Dio, che li trascende mentre li accoglie, e vuole nutrirli in modo sostanzioso di sé, Verità e Vita, perché è proprio per questo che, 11


nelle sue intenzioni, essi sono lì. Chiaro che in tale sottile iniziazione, la mediazione di chi accoglie è essenziale, come carità e metodo; occorre perciò non affidarla solo ai sussidi mediatici, pure utili: il tramite interpersonale, nell’economia cristiana, resta

- dentro la

comunicazione - il vincolo sacro della comunione. Il Santuario può così assurgere, in piena coscienza, al suo compito fondamentale di «segno della irruzione di Dio», con fedeltà totale alla Parola e a tutti i mezzi per comunicarla, e senza riduzioni di impegno. Il confronto costante del suo stile con quel compito è doveroso, perché la tendenza a soddisfare la richiesta religiosa dei fedeli, spesso ambigua, rischia di scendere a livelli rituali alquanto esteriorizzati. La Chiesa è certo contraria al silenzio spirituale che isola e diventa rottura di comunione, cioè al «cattivo silenzio», ma è quanto mai desiderosa che non scompaia dalla sua liturgia - e il Santuario o è liturgico o non è - il denso Silenzio santo. Essa prescrisse, nel Vaticano II, che «per promuovere la partecipazione attiva si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, nonché le azioni, i gesti e l’atteggiamento del corpo», ma che «si osservi anche a tempo debito il silenzio sacro»: il riferimento al silenzio fu aggiunto al testo primitivo, che ne era privo; da ciò si prova la sua preziosità. Infatti siamo più inclini al simbolo che alla realtà interiore, alla ritualità che al mistero, e la vigilanza su tale punto nevralgico della pietà non può mai essere allentata. Guai se dovesse valere per noi, nel Santuario, il richiamo dell’allora card. 12


Ratzinger nel suo Rapporto sulla fede (1985): «Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa soprattutto “actio”, azione, e ha chiesto ai fedeli una “actuosa participatio”, una partecipazione attiva. È un concetto sacrosanto, che però nelle interpretazioni postconciliari ha subito una restrizione fatale. Sorse cioè l’impressione che si avesse una partecipazione attiva solo dove ci fosse un’attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani…Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella “actuosa participatio” anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l’ascolto interiore della Parola del Signore. Ora di questo silenzio non è restata traccia in certi riti». Dobbiamo riconoscere che un tale impoverimento, per tutti e per il Santuario in specie, sarebbe una vera e propria sventura pastorale, perché significherebbe ancora una volta - non la prima, purtroppo - che la praticità d’una esecuzione liturgica, alquanto cosificata, ha soppiantato l’essenza mistica dell’incontro con Dio.

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La Visitazione di Maria a Santa Elisabetta

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III

IL SANTUARIO E MARIA L’accostamento fra Santuario «segno della irruzione divina», e la Madre di Dio che - «infinitamente gioiosa» scrisse Péguy - di tale irruzione fu la sede reale accogliendo nel suo grembo il Verbo divino, è naturale e necessario. Nel Santuario dedicato a lei si ritrova infatti in modo speciale, come nel simbolo d’una realtà superiore, il messaggio totale della «irruzione» della Parola salvatrice, nella nostra faticosa storia terrena. L’entrare nel Santuario mariano accoglie nell’ambiente di Dio, come s’è ricordato, ma quest’ingresso misterioso non sarebbe completo, ci avverte la teologia, se non passasse anche per colei che ha reso possibile l’Incarnazione. A Maria poi non si va mai per trovare lei sola; si va per ripercorrere misticamente la via che il Verbo, facendosi Gesù «nato da donna» (Gal 4.4), scelse per venire a noi. Nel Santuario mariano noi alziamo dunque gli occhi per vedere questa creatura benedetta, e ci troviamo perfettamente collocati nel santo viaggio che ha congiunto Cielo e terra: Maria, alla quale, ha scritto Pio IX nella Enciclica Ineffabilis Deus sulla Immacolata, «Dio Padre aveva disposto di dare l’Unigenito suo Figlio - generato dal suo seno, uguale a se stesso e amato come se stesso - in modo tale che egli fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; poiché lo stesso Figlio aveva

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stabilito di renderla sua Madre in modo sostanziale». È a tale grandezza che il Santuario dedicato alla Vergine Madre ci conduce. È dunque con il senso d’una completezza di fede che si entra nel Santuario mariano, come luogo che riassume l’economia salvifica, perché lì la Chiesa pone - affinché sia particolarmente venerata la creatura che come nessun’altra «racconta» Dio in tutta la sua potenza d’amore. Maria «è l’Apocalisse della Trinità» scrisse un mariologo «rivelazione degli arcani divini, immagine palpitante della Triade, caratteristico cesello delle tre Persone»; infatti in lei, donna icona del mistero eterno, scopriamo il volto misericordioso del Padre che si china sulla umanità per salvarla, la purezza assoluta del Verbo, l’opera trasformante dello Spirito, tutti e tre crogiuolo di un solo amore che così si esprime; in lei ancora si rivela un «portento di nobiltà, grandezza e santità», così la pregava s.Bernardo, che non ha paragoni nella storia umana. E davanti a lei allora si è ricondotti alla grandezza totale del mistero divino, alla «gran Regina di tutto il creato, che ha fiaccato l’orgoglio di satana», come l’ammirava s.Giovanni Damasceno, e noi con lui possiamo contemplarla. Il Santuario mariano ci introduce a tutto ciò senza fatica, divenendo luogo teologico per eccellenza e, tutto all’opposto di ciò che parrebbe, ci fa scoprire - forse con nostra meraviglia - quanto Maria sia attuale: «come Maria» ha insegnato Paolo VI «possa essere assunta a specchio delle attese degli uomini del nostro tempo». Attualità preziosissima, senza la quale non ci sentiremmo di dare a lei più che 16


uno sguardo devoto, mentre così possiamo sentirci compresi in tutte le nostre aspirazioni.

Sotto questo profilo, e senza alcuna enfasi, il Santuario mariano diviene un luogo privilegiato della esistenza cristiana. Vi si trovano infatti armonizzati due aspetti entrambi necessari alla struttura della personalità cristiana, oggi in particolare: la costruzione del sé partendo dall’interiorità, e la sua pienezza nel trapasso dall’umano al divino supremo. Quanto al primo aspetto, esso, prima che essere religioso è semplicemente umano, e dunque universale: la nostra vita personale deve formarsi a poco a poco crescendo in profondità di anima; senza di questa non ci sono possibili riflessione, fermezza, decisione, fedeltà, insomma tutte le qualità tipiche della personalità matura; e siamo allora trascinati dalla vita vorticosa e sfuggente, «debole» e «liquida», come oggi si dice, che sfiora continuamente l’alienazione e i disturbi maniaco-depressivi. Ora quanti sono, a ben pensarci, i luoghi privati o pubblici dove sia ancora possibile curare l’interiorità di se stessi? Troppi sentono questa carenza, concludendo però tristemente con il poeta: «Eppure vano è ogni sforzo per salire in alto…Allora quello che io sono saluta con tristezza quello che potrei essere». Il Santuario religioso, se ben capito, è proprio chiamato a svolgere questo compito formativo e quasi terapeutico: non

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è a questo che tendono, senza aspirazione religiosa, le tecniche di meditazione oggi praticate per trovare un’«altra dimensione»? Il secondo aspetto, prettamente teologico, scende dall’alto e colma di «grazia e verità» (Gv 1,14) le profondità dell’anima. Qui appunto la marianità del Santuario aiuta in modo eccellente a risalire, grazie a Maria, fino al Verbo incarnato - è il «per Mariam ad Jesum» del Montfort - grazie al quale si sfocia nella Trinità viva, meta del nostro cammino creaturale. Senza questo compimento i tentativi di trascendenza restano insoddisfatti, come una scala a chiocciola piantata assurdamente in mezzo a un prato, e non riusciamo a giungere alle «sorgenti della vita». Ma nel Santuario mariano la via è aperta, e accessibile a tutti, proprio perché Dio in Maria «ha preso a prestito la carne di una donna cosciente e consenziente», scrisse Nicola Cabasilas, affinché ci fosse facilissimo riconoscere in lei proprio la nostra umanità, ormai aperta al divino. Richiamare l’attenzione sul Santuario di Maria come Casa della Parola, che è lo scopo di queste considerazioni, diviene allora quanto mai facile, e valido. Perché? Perché l’attualità di Maria, di cui si è detto, s’impone, se la ricordiamo, nell’attuale caos di parole umane, maestra di verità e vita nel dirci: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5); e l’attualità del Santuario anche, se lo interpretiamo e riproponiamo, nella superficialità dominante, come luogo privilegiato di Silenzio e profondità d’anima. Tutta la grandezza di Maria diventa allora per noi educativa e formatrice, nel momento in cui ella 18


ci propone, come Maestro, il Verbo che ci ha dato come Fratello; in tale offerta infatti la Madre completa a nostro favore il dono della Trinità, e ci istruisce sulla saggezza. E tutta la solennità del Santuario si riempie luce spirituale, perché esso diventa la cassa di risonanza più favorevole a tale «irruzione » sapienziale. Si tratta dunque di realizzare e conservare tale armonia. Ancora un aspetto forte c’è da rilevare, in questo incontro con Maria nel Santuario: è la natura peculiare ed inconfondibile dell’intercessione che ella esercita a nostro favore. Giovanni Paolo II l’ha messa bene in rilievo nella sua enciclica mariana Redemptoris Mater, affermando che «la mediazione di Maria è strettamente legata alla sua maternità, possiede un carattere specificamente materno, il quale la distingue da quella delle altre creature che, in vario modo sempre subordinato, partecipano all’unica mediazione di Cristo». Chiarificazione del massimo valore. In quanto madre, Maria è necessaria, mentre nessuno degli altri mediatori, pur preziosi, lo è; inoltre il suo legame di amore e grazia con l’intera Chiesa la rende veramente unica nella perfezione con cui si cura di noi, che apparteniamo a lei in Cristo, e siamo in qualche modo anche noi frutto del suo seno. La «Autrice del Benefattore degli uomini» e «Genitrice del Seminatore della nostra vita» - è ancora l’Inno «Akáthistos» ci accoglie nel suo Santuario con amore insorpassabile, che le deriva dalla pienezza del Cuore di Cristo suo Figlio.

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Tale primato teologico di Maria conferisce al suo Santuario non soltanto un fascino, ma un’efficacia particolare come luogo di grazia. Non possiamo infatti dimenticare che la Madre di Dio, assunta alla gloria del Figlio e con lui risorta, possiede anche la misteriosa capacità di presenza, nuova rispetto a quella della terra, che è propria della sua condizione celeste. Maria nel suo Santuario «è», e non soltanto nella sua icona, pur preziosa, suggestiva e venerata, ma con una presenza di relazione e di incontro realissimi; ella non è più corporalmente legata a un luogo e a un tempo, ed è, in modo per noi misterioso, «in certo senso contemporanea a tutte le epoche e cosmopolita a tutti gli ambiti geografici»; e in tal modo, scrisse l’allora card. Ratzinger «non risiede solo nel passato né solo nell’alto dei cieli, nell’intimità di Dio; ella è e rimane presente e attiva nell’attuale momento storico»; quindi nella vita quotidiana, quindi in modo privilegiato nel Santuario in cui realmente attende, accoglie e abbraccia maternamente noi, suoi figli. È dunque in maniera del tutto singolare che ella, nello Spirito e sotto la sua azione, quasi ci suggerisce la Parola che ci invita ad ascoltare; il Santuario è veramente Casa, anzi in certo modo grembo di verità che ci vitalizza. Siamo lontani qui dal santuario-museo, dal santuario-belvedere, e simili: la Presenza divina, intrinseca alla Parola, domina l’edificio, i suoi pregi e la sua storia, facendone veramente la «porta aperta nel cielo» (Ap 4,1) sulla quale ci attende la «Porta del cielo» viva e vera, perché madre di Colui che ha a sua 20


volta detto di sé: «Io sono la porta delle pecore» (Gv 10,7): fuga in alto che, di soglia in soglia, ci consente di elevarci all’Altissimo, dalla nostra bassezza creaturale. Santuario e Maria si saldano dunque, come cornice e quadro, e nella fede di credenti formano un tutt’uno che provoca inconfondibile cammino: «Vado in Santuario», diciamo; e intendiamo dire: «vado da Maria», frase che a sua volta significa, nella sua piena verità cattolica: «Vado a Colei che mi consegna il Signore Gesù, vado da Dio».

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IV

LA “CONSOLATA” Il Santuario della Vergine “Consolata” possiede, nell’insieme delle prerogative comuni a tutti i santuari, una luce particolare che gli deriva dal titolo che vi ha Maria. Al da là delle sue origini storiche, il nome “Consolata” ha assunto nei secoli una connotazione tipica, ed evoca la figura di un monte altissimo di cui un versante è già investito dal sole, e l’altro è ancora nell’ombra. In Maria il versante pieno di luce è il suo essere stata per prima avvolta, in modo insuperabile, dalla «irruzione di Dio», divenendo la creatura senza uguali, che «nella sua elevazione sublime sorpassa tutte le altre creature», canta s. Bernardo con mille altri; quella che la Chiesa ha elevato per sempre nel cielo della verità esaltandola con quattro dogmi: Verginità perpetua, Immacolatezza totale, Maternità divina, Assunzione gloriosa. Questo è il versante tutto sole, la “Consolata” da Dio. L’altro versante è quello che riceve le ombre della «valle di lacrime», cioè noi, viventi problematici, doloranti e mortali, il versante dove Maria diviene “Consolante”, e dalla sua bontà inesauribile riceviamo il dono della continua intercessione. Si deve riconosce che questo titolo è fascinoso, altissimo in Dio e vicinissimo a noi, quindi ponte di significati estremi, dall’abisso della sublimità a quello della miseria, senza interruzioni. Nel Santuario di Maria “Consolata” tutta la Parola può espandersi nella so22


norità della fede, dall’eccelso: «Il principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14), al pietosissimo: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Tutta la gamma della potenza di grazia, dalla più alta contemplazione al più umile soccorso, è presente qui nel mistero di questa divino-umana consolazione: e questo è senza dubbio un pregio singolare del titolo, che non a caso attira da sempre mente, cuore e coscienza dei fedeli. Santuario di Maria, Casa della parola: si possono concludere queste considerazioni con un indirizzo poetico a lei, fra i molti; versi che dicono la postmodernità bisognosa di luce divina, filtrata attraverso il cuore puro della Vergine predestinata:

«Corrono ancora / per fossi inorriditi / le grida / degli ammazza-popoli / e Cesare predica ai pugnali. Ma tu / Vergine mite / hai campi dolci nell’anima / e già Dio vi passeggia / dentro, toccante sole di gioia. / E levi / brezze di amore / e dono mormori / e il tuo volto / di prime creazioni si imporpora. Sciamerà ancora / nei tunnel della metropolitana / la nostra folla / col torace svuotato / ma tu / coi fiori di Palestina / già ami. Tu anemone limpido / che solo lo Spirito / di sue rugiade disseta. E scenderà l’Eterno / in tue ombre soavi / dove l’arpa di Davide / pacifica sussurra lodi / e tu / sarai suo sabato./ Tu Maria / riposo di chi lavorò i mondi».

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INNO AKATHISTOS È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos (Genitrice di Dio). Akathistos si chiama per antonomasia quest'inno liturgico del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco significa "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio. La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione. L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cristologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il mistero della Madre di Dio. Le DUE PARTI dell'inno a loro volta sono impercettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettuale - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 salutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dogmatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopo l'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclamazione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insieme e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione mater24


na di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore. La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo. La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24). L'Akathistos è una composizione davvero ispirata. Conserva un valore immenso:

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— a motivo del suo respiro storico-salvifico, che abbraccia tutto il progetto di Dio coinvolgendo la creazione e le creature, dalle origini all'ultimo termine, in vista della loro pienezza in Cristo; — a motivo delle fonti, le più pure: la Parola di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, sempre presente in modo esplicito o implicito; la dottrina definita dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), dai quali direttamente dipende; le esposizioni dottrinali dei più grandi Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali desume concetti e lapidarie asserzioni; — a motivo di una sapiente metodologia mistagogica, con la quale, assumendo le immagini più eloquenti dalla creazione e dalle Scritture, eleva passo passo la mente e la porta alle soglie del mistero contemplato e celebrato: quel mistero del Verbo incarnato e salvatore che, come afferma il Vaticano II, fa di Maria il luogo d'incontro e di riverbero dei massimi dati della fede (cf Lumen Gentium 65). Circa l'Autore, quasi tutta la tradizione manoscritta trasmette anonimo l'inno Akathistos. La versione latina redatta dal Vescovo Cristoforo di Venezia intorno all'anno 800, che tanto influsso esercitò sulla pietà del medioevo occidentale, porta il nome di Germano di Costantinopoli ( 733). Oggi però la critica scientifica propende ad attribuirne la composizione ad uno dei Padri di Calcedonia: in tal modo, questo testo venerando sarebbe il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa ancora indivisa delle origini, degno di essere assunto e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.

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INNO PARTE NARRATIVA

1. Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal Cielo per dir "Ave" alla Madre di Dio. Al suo incorporeo saluto vedendoti in Lei fatto uomo, Signore, in estasi stette, acclamando la Madre così:

Ave, per Te la gioia risplende; Ave, per Te il dolore s'estingue. Ave, salvezza di Adamo caduto; Ave, riscatto del pianto di Eva. Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto; Ave, Tu abisso profondo agli occhi degli Angeli. Ave, in Te fu elevato il trono del Re; Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene. Ave, o stella che il Sole precorri; Ave, o grembo del Dio che s'incarna. Ave, per Te si rinnova il creato; Ave, per Te il Creatore è bambino. Ave, Sposa non sposata!

2. Ben sapeva Maria d'esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva: «Il tuo singolare messaggio all'anima mia incomprensibile appare: da grembo di vergine un parto predici, esclamando:

Alleluia!» 3. Desiderava la Vergine di capire il mistero e al nunzio divino chiedeva: 27


«Potrà il verginale mio seno mai dare alla luce un bambino? Dimmelo!» E Quegli riverente acclamandola disse così:

Ave, Tu guida al superno consiglio; Ave, Tu prova d'arcano mistero. Ave, Tu il primo prodigio di Cristo; Ave, compendio di sue verità. Ave, o scala celeste che scese l'Eterno; Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo. Ave, dai cori degli Angeli cantato portento; Ave, dall'orde dei dèmoni esecrato flagello. Ave, la Luce ineffabile hai dato; Ave, Tu il «modo» a nessuno hai svelato. Ave, la scienza dei dotti trascendi; Ave, al cuor dei credenti risplendi. Ave, Sposa non sposata!

4. La Virtù dell'Altissimo adombrò e rese Madre la Vergine ignara di nozze: quel seno, fecondo dall'alto, divenne qual campo ubertoso per tutti, che vogliono coglier salvezza cantando così:

Alleluia! 5. Con in grembo il Signore premurosa Maria ascese e parlò a Elisabetta. Il piccolo in seno alla madre sentì il verginale saluto, esultò, e balzando di gioia 28


cantava alla Madre di Dio:

Ave, o tralcio di santo Germoglio; Ave, o ramo di Frutto illibato. Ave, coltivi il divino Cultore; Ave, dai vita all'Autor della vita. Ave, Tu campo che frutti ricchissime grazie; Ave, Tu mensa che porti pienezza di doni. Ave, un pascolo ameno Tu fai germogliare; Ave, un pronto rifugio prepari ai fedeli. Ave, di suppliche incenso gradito; Ave, perdono soave del mondo. Ave, clemenza di Dio verso l'uomo; Ave, fiducia dell'uomo con Dio. Ave, Sposa non sposata!

6. Con il cuore in tumulto fra pensieri contrari il savio Giuseppe ondeggiava: tutt'ora mirandoti intatta sospetta segreti sponsali, o illibata! Quando Madre ti seppe da Spirito Santo, esclamò:

Alleluia! 7. I pastori sentirono i concenti degli Angeli al Cristo disceso tra noi. Correndo a vedere il Pastore, lo mirano come agnellino innocente nutrirsi alla Vergine in seno, cui innalzano il canto:

Ave, o Madre all'Agnello Pastore, Ave, o recinto di gregge fedele. Ave, difendi da fiere maligne, Ave, Tu apri le porte del cielo. 29


Ave, per Te con la terra esultano i cieli, Ave, per Te con i cieli tripudia la terra. Ave, Tu sei degli Apostoli la voce perenne, Ave, dei Martiri sei l'indomito ardire. Ave, sostegno possente di fede, Ave, vessillo splendente di grazia. Ave, per Te fu spogliato l'inferno, Ave, per Te ci vestimmo di gloria. Ave, Vergine e Sposa!

8. Osservando la stella che guidava all'Eterno, ne seguirono i Magi il fulgore. Fu loro sicura lucerna andando a cercare il Possente, il Signore. Al Dio irraggiungibile giunti, l'acclaman beati:

Alleluia! 9. Contemplarono i Magi sulle braccia materne l'Artefice sommo dell'uomo. Sapendo ch'Egli era il Signore pur sotto l'aspetto di servo, premurosi gli porsero i doni, dicendo alla Madre beata:

Ave, o Madre dell'Astro perenne, Ave, o aurora di mistico giorno. Ave, fucine d'errori Tu spegni, Ave, splendendo conduci al Dio vero. Ave, l'odioso tiranno sbalzasti dal trono, Ave, Tu il Cristo ci doni clemente Signore. Ave, sei Tu che riscatti dai riti crudeli, Ave, sei Tu che ci salvi dall'opre di fuoco. Ave, Tu il culto distruggi del fuoco, Ave, Tu estingui la fiamma dei vizi. 30


Ave, Tu guida di scienza ai credenti, Ave, Tu gioia di tutte le genti. Ave, Vergine e Sposa!

10. Banditori di Dio diventarono i Magi sulla via del ritorno. Compirono il tuo vaticinio e Te predicavano, o Cristo, a tutti, noncuranti d'Erode, lo stolto, incapace a cantare:

Alleluia! 11. Irradiando all'Egitto lo splendore del vero, dell'errore scacciasti la tenebra: chĂŠ gli idoli allora, o Signore, fiaccati da forza divina caddero; e gli uomini, salvi, acclamavan la Madre di Dio:

Ave, riscossa del genere umano, Ave, disfatta del regno d'inferno. Ave, Tu inganno ed errore calpesti, Ave, degl'idoli sveli la frode. Ave, Tu mare che inghiotti il gran Faraone, Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita. Ave, colonna di fuoco che guidi nel buio, Ave, riparo del mondo piĂš ampio che nube. Ave, datrice di manna celeste, Ave, ministra di sante delizie. Ave, Tu mistica terra promessa, Ave, sorgente di latte e di miele. Ave, Vergine e Sposa!

12. Stava giĂ per lasciare questo mondo fallace 31


Simeone, ispirato vegliardo. Qual pargolo a lui fosti dato, ma in Te riconobbe il Signore perfetto, e ammirando stupito l'eterna sapienza esclamò:

Alleluia! PARTE TEMATICA

13. Di natura le leggi innovò il Creatore, apparendo tra noi, suoi figlioli: fiorito da grembo di Vergine, lo serba qual era da sempre, inviolato: e noi che ammiriamo il prodigio cantiamo alla Santa:

Ave, o fiore di vita illibata, Ave, corona di casto contegno. Ave, Tu mostri la sorte futura, Ave, Tu sveli la vita degli Angeli. Ave, magnifica pianta che nutri i fedeli, Ave, bell'albero ombroso che tutti ripari. Ave, Tu in grembo portasti la Guida agli erranti, Ave, Tu desti alla luce Chi affranca gli schiavi. Ave, Tu supplica al Giudice giusto, Ave, perdono per tutti i traviati. Ave, Tu veste ai nudati di grazia, Ave, Amore che vinci ogni brama. Ave, Vergine e Sposa!

14. Tale parto ammirando, ci stacchiamo dal mondo e al cielo volgiamo la mente. Apparve per questo fra noi, in umili umane sembianze l'Altissimo, 32


per condurre alla vetta coloro che lieti lo acclamano:

Alleluia! 15. Era tutto qui in terra, e di sé tutti i cieli riempiva il Dio Verbo infinito: non già uno scambio di luoghi, ma un dolce abbassarsi di Dio verso l'uomo fu nascer da Vergine, Madre che tutti acclamiamo:

Ave, Tu sede di Dio, l'Infinito, Ave, Tu porta di sacro mistero. Ave, dottrina insicura per gli empi, Ave, dei pii certissimo vanto. Ave, o trono più santo del trono cherubico, Ave, o seggio più bello del seggio serafico. Ave, o tu che congiungi opposte grandezze, Ave, Tu che sei in una e Vergine e Madre. Ave, per Te fu rimessa la colpa, Ave, per Te il paradiso fu aperto. Ave, o chiave del regno di Cristo, Ave, speranza di eterni tesori. Ave, Vergine e Sposa!

16. Si stupirono gli Angeli per l'evento sublime della tua Incarnazione divina: ché il Dio inaccessibile a tutti vedevano fatto accessibile, uomo, dimorare fra noi e da ognuno sentirsi acclamare:

Alleluia! 17. Gli oratori brillanti 33


come pesci son muti per Te, Genitrice di Dio: del tutto incapaci di dire il modo in cui Vergine e Madre Tu sei. Ma noi che ammiriamo il mistero cantiamo con fede:

Ave, sacrario d'eterna Sapienza, Ave, tesoro di sua Provvidenza. Ave, Tu i dotti riveli ignoranti, Ave, Tu ai retori imponi il silenzio. Ave, per Te sono stolti sottili dottori, Ave, per Te vengon meno autori di miti. Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame, Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti. Ave, ci innalzi da fonda ignoranza, Ave, per tutti sei faro di scienza. Ave, Tu barca di chi ama salvarsi, Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita. Ave, Vergine e Sposa!

18. Per salvare il creato, il Signore del mondo, volentieri discese quaggi첫. Qual Dio era nostro Pastore, ma volle apparire tra noi come Agnello: con l'umano attraeva gli umani, qual Dio l'acclamiamo:

Alleluia! 19. Tu difesa di vergini, Madre Vergine sei, e di quanti ricorrono a Te: che tale ti fece il Signore di tutta la terra e del cielo, o illibata, abitando il tuo grembo e invitando noi tutti a cantare: 34


Ave, colonna di sacra purezza, Ave, Tu porta d'eterna salvezza. Ave, inizio di nuova progenie, Ave, datrice di beni divini. Ave, Tu vita hai ridato ai nati nell'onta, Ave, hai reso saggezza ai privi di senno. Ave, o Tu che annientasti il gran seduttore, Ave, o Tu che dei casti ci doni l'autore. Ave, Tu grembo di nozze divine, Ave, che unisci i fedeli al Signore. Ave, di vergini alma nutrice, Ave, che l'anime porti allo Sposo. Ave, Vergine e Sposa!

20. Cede invero ogni canto che presuma eguagliare le tue innumerevoli grazie. Se pure ti offrissimo inni per quanti granelli di sabbia, Signore, mai pari saremmo ai tuoi doni che desti a chi canta:

Alleluia! 21. Come fiaccola ardente per che giace nell'ombre contempliamo la Vergine santa, che accese la luce divina e guida alla scienza di Dio tutti, splendendo alle menti e da ognuno è lodata col canto:

Ave, o raggio di Sole divino, Ave, o fascio di Luce perenne. Ave, rischiari qual lampo le menti, Ave, qual tuono i nemici spaventi. Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri, 35


Ave, Tu sei la sorgente dell'Acque abbondanti. Ave, in Te raffiguri l'antica piscina, Ave, le macchie detergi dei nostri peccati. Ave, o fonte che l'anime mondi, Ave, o coppa che versi letizia. Ave, o fragranza del crisma di Cristo, Ave, Tu vita del sacro banchetto. Ave, Vergine e Sposa!

22. Condonare volendo ogni debito antico, fra noi, il Redentore dell'uomo discese e abitò di persona: fra noi che avevamo perduto la grazia. Distrusse lo scritto del debito, e tutti l'acclamano:

Alleluia! 23. Inneggiando al tuo parto l'universo ti canta qual tempio vivente, o Regina! Ponendo in tuo grembo dimora Chi tutto in sua mano contiene, il Signore, tutta santa ti fece e gloriosa e ci insegna a lodarti:

Ave, o «tenda» del Verbo di Dio, Ave, più grande del «Santo dei Santi». Ave, Tu «Arca» da Spirito aurata, Ave, «tesoro» inesausto di vita. Ave, diadema prezioso dei santi sovrani, Ave, dei pii sacerdoti Tu nobile vanto. Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente, Ave, Tu sei per l'Impero qual forte muraglia. Ave, per Te innalziamo trofei, Ave, per Te cadon vinti i nemici. Ave, Tu farmaco delle mie membra, Ave, salvezza dell'anima mia. 36


Ave, Vergine e Sposa!

24. Grande ed inclita Madre, Genitrice del sommo fra i Santi, Santissimo Verbo, or degnati accogliere il canto! Preservaci da ogni sventura, tutti! Dal castigo che incombe Tu libera noi che gridiamo:

Alleluia!

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I N D I C E

PREMESSA ............................................................................................................................................. 1 LA «VERGINE IN ASCOLTO» .................................................................................................................. 3 SANTUARIO ........................................................................................................................................... 7 SEGNO DELLA IRRUZIONE DI DIO NELLA STORIA.................................................................................... 7

IL SANTUARIO E MARIA ...................................................................................................................... 15 LA “CONSOLATA” ............................................................................................................................... 22 INNO AKATHISTOS........................................................................................................................ 24

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