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Paolo Sacchi
Un eroe ringrazia la Consolata
Lino Ferracin
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Gli ex voto che adornano la Basilica della Consolata raccontano quasi tutti storie individuali, di gruppo o di famiglia, alcuni rivivono storie nella storia della Città, pensiamo agli ex voto legati alla prima guerra mondiale o quelli della seconda con i terribili bombardamenti, uno solo però ricorda l'importanza per la Città del gesto di un uomo, ispirato e sorretto dalla Consolata, che con il suo coraggio ha preservato la vita di centinaia di persone ed evitato la distruzione di un borgo intero di Torino. È il gesto di Paolo Sacchi, un eroe che, di fronte a un pericolo estremo, ha trovato dentro di sé la forza di fermarsi invece di fuggire e di affrontare l'imminente nuova esplosione salvando se stesso e molti tra compagni di lavoro e cittadini inermi. Tutto comincia il 26 aprile dell'anno 1852, nel quartiere di Borgo Dora vicino al cimitero di San Pietro in Vincoli tra Porta Palazzo e la Dora dove sorgeva la Regia Fabbrica delle Polveri. Questo importante centro di produzione di polvere da sparo e da mina, voluto dal Duca Emanuele Filiberto nel 1580 per non più dipendere dalle forniture estere, occupava un'area di circa 52.400 m², sfruttava con 13 mulini l'energia di due canali e comprendeva edici vari per le diverse fasi di preparazione e stoccaggio della polvere da sparo o da mina, oltre ad un magazzino che in quei giorni custodiva circa 40.000 chilogrammi di polvere da sparo all'interno di 800 barili. Verso le 11.45 di quel lunedì 26 aprile gli operai della polveriera cominciavano a fermare il lavoro e ad uscire dallo stabilimento per la sosta di mezzogiorno, quando in un laboratorio dello stabilimento una scintilla generata in una botte ternaria, una macchina dove si mescolavano i diversi componenti della polvere da sparo, provocò la prima esplosione in due granitoi, cilindri di bronzo concentrici per ridurre in grani la polvere da sparo, poi in un deposito di duemila chilogrammi ed immediatamente dopo di tremila chili di polvere in uno stenditoio, locale dove su tavolacci si stendeva il materiale umido da essiccare. Lo scoppio che ne seguì provocò il crollo di murature, di tetti e di materiali e soprattutto la morte di una ventina di lavoranti ancora dentro all'edicio. Un secondo scoppio si produsse subito dopo in due magazzini attigui facendo esplodere circa 12.000 Kg. di polvere. Uno scoppio ancor più forte del primo che provocò la distruzione delle abitazioni più vicine ed ingenti danni alle altre più discoste, edici abitati da circa 24.000 persone, in gran parte di povere condizioni, che in quella Torino in espansione si arrangiavano come potevano. Un terzo scoppio di 1500 Kg portò altre vittime, danni e paura nelle zone vicine alla Fabbrica. Ma il pericolo più grave stava maturando a causa della caduta di un muro che separava i locali già devastati da un magazzino nel quale erano in deposito 40 tonnellate di polvere essiccata distribuita in 800 botti pronte per il collaudo e per la spedizione ma non ancora sigillate. Nello stenditoio che ormai bruciava, dove diversi operai erano rimasti uccisi, altri solo feriti o gettati a terra dallo scoppio, il nostro Paolo Sacchi, benché ferito, ebbe la prontezza di spirito di guardarsi attorno e di accorgersi che, nell'ambiente dove erano pronti i barili, una coperta inammata era volata accanto a quelli e minacciava di provocare un ultimo spaventoso scoppio. Nella lucidità di quel momento facendosi coraggio e invocando: «Consolata proteggimi», il Sacchi si gettò dentro il magazzino, raccolse la coperta in amme e nonostante il terzo scoppio lo gettasse nuovamente a terra la portò all'aperto. L'ex voto appeso nel corridoio dei confessionali rivive proprio il momento in cui il Sacchi con il volto sconvolto ma rivolto alla Vergine esce da una porta con la coperta in amme tra le mani. Così ricostruisce l'e-
▲ , ex voto del 1852 che reca in basso a sinistra la scritta: «Il furiere Sacchi» «Il furiere Sacchi pose questo segno di riconoscenza alla Vergine SS. che gli diè difesa e coraggio nello scoppio della polveriera di Borgo avvenuto il dì 26 aprile 1852», corridoio degli ex voto del Santuario della Consolata (fotograa di Andrea Aloi)
pisodio il ministro Alfonso Lamarmora nella sua relazione al re Vittorio Emanuele II: «Benché ferito, riavutosi dalla scossa ricevuta, si accorse che il magazzino principale non era ancora scoppiato, ma vide nel tempo stesso quanto imminente fosse il pericolo; imperocché le tegole del tetto si erano smosse per la maggior parte ed erano cadute lasciando scoperto quasi completamente il magazzino; pezzi di traliccio accesi erano stati lanciati nell'interno di questo; i barili di polvere nera erano tutti senza coperchio, come si usa tenerli per facilitare l'estrazione dei campioni nelle collaudazioni» . 1 I primi a giungere e ad attivarsi per limitare i danni sono gli operai non coinvolti negli scoppi che insieme al Sacchi si danno a svuotare il magazzino delle botti ripiene di polvere ed a spegnere i vari incendi. In attesa dell'arrivo dei pompieri con l'acqua, ci si arrangia come si può e qui un episodio che fa sorridere e che coinvolge Don Bosco, sì il Santo, che accorso dal vicino oratorio si vuole prodigare nei soccorsi, viene però fermato dalla sorveglianza ma il Sacchi gli prende dalle mani il suo tricorno, il cappello da prete, e lo usa come primo recipiente per gettare acqua sugli incendi residui. Al primo scoppio Don Bosco era in una sala del convento di San Domenico dove portava a termine i preparativi per una lotteria organizzata per raccogliere fondi per la nuova chiesa dell'Oratorio in Valdocco. Allo scoppio il Santo corse verso l'Oratorio, distante non più di 500 metri dalla Fabbrica, preoccupato per i suoi ragazzi che fortunatamente trovò sani e al sicuro e corse allora per dare una mano dove il disastro era avvenuto. Poté solo assistere un operaio ferito a morte ma il suo berretto da prete divenne strumento per bagnare le coperte che ricoprivano i barili di polvere. Paolo Sacchi confermò più volte negli anni questo episodio. I soccorsi arrivarono presto organizzati dal Duca di Genova, comandante dell'Arma dell'Artiglieria, accorso tra i primissimi. Con lui arrivarono i ministri D'Azeglio e Lamarmora; il Re stesso, udito da Moncalieri lo scoppio e, saputane per telegrafo la causa, montato a cavallo si era precipitato sul luogo del disastro. Alle 15 ogni pericolo era sotto controllo. I feriti gravi furono 16 mentre il numero dei morti arrivò a 23. Le case attorno alla polveriera furono in gran par-
▲ Ex voto per grazia ricevuta del 26 aprile 1852 di Sapatti custodito nel Santuario della Consolata (fotograa di Andrea Aloi)
te scoperchiate o incendiate obbligando il Comune ad allontanarne gli abitanti che furono ricoverati in ospedali e in alberghi. Danni importanti ebbe il cimitero di San Pietro in Vincoli connante con l'edicio sinistrato dallo scoppio. Nessun danno si ebbe nel Santuario della Consolata, nessun vetro della cupola fu infranto, mentre i vetri dell'annesso Convento andarono in frantumi. Nel Santuario, al momento dello scoppio, il Santissimo era appena stato esposto e ci si preparava a dare la benedizione quando al fortissimo rumore uno dei due sacerdoti ebbe un moto di paura e fece per fuggire ma l'altro, un certo don Sa, prete spagnolo, lo trattenne gridandogli: «Che temete? Il Padrone è lì…» e subito intonò il accompaTantum ergo gnato dai fedeli tornati ad inginocchiarsi. All'Oratorio di Valdocco una trave cadde a pochi metri dalla casetta di Don Bosco che per l'onda d'urto ebbe seri danni alla muratura e agli inssi, mentre la nuova chiesa di San Francesco, non ancora consacrata e ancora priva di tutti i serramenti non patì danneggiamenti. Nessun ferito soprattutto, perché i giovani ed i presenti si erano raccolti un poco distante in un prato dove col tempo sarebbe stata edicata la Basilica di Maria Ausiliatrice. Al Cottolengo, di cui alcuni edici distavano meno di 80 metri dalla polveriera, e che in quei giorni ospitava all'incirca 1300 tra suore, malati ed orfani, nessuno ebbe ferite; il softto di un’infermeria di giovani malate crollò schiacciando ogni cosa ma fortunatamente tutte erano già fuori; una massa incandescente attraversò la cappella delle Taidine sorando la suora che dirigeva le preghiere senza colpirla; l'infermeria delle suore con 30 ammalate fu sconquassata ma senza danni alle ricoverate, così come nel reparto degli infanti. Danni gravissimi subirono anche gli edici dell'Istituto del Rifugio, fondato nel 1823 dalla Marchesa Giulia Falletti di Barolo, appena più in là del Cottolengo rispetto alla polveriera: softti crollati, muri abbattuti, inferriate e vetri divelti, tantissima paura ma nessun ferito o danno a persone; e come molte testimonianze confermarono nessuna statua o quadro della Consolata, presenti nei vari locali, caddero o si rovinarono. In ricordo del fatto e in ringraziamento alla Consolata protettrice fu eretto un altarino con un quadro della Consolata avente come base d’appoggio pietre, rottami e pezzi di inferriate cadute sull'Istituto. Oggi parte di quei materiali sono il basamento di una statua alla Consolata in uno dei cortili dell'Istituto. Il boato dello scoppio percorse tutta la città e moltissimi furono gli edici con i vetri infranti. «In un momento di forti tensioni sociali tra progressisti e conservatori, in Torino si diffusero voci incontrollate: si temeva
che qualcuno avesse fatto saltare la sede del Parlamento Subalpino nel Palazzo Carignano o, addirittura che l'esplosione avesse colpito il Palazzo Reale» . 2 Come visivamente ben testimonia il secondo ex voto presente nel Santuario, relativo allo scoppio della polveriera, un elemento è comune alle testimonianze dell'epoca: la quantità di oggetti, travi, vetri, metalli precipitati dal cielo; così rappresentano i fatti il quadro nella chiesa di San Gioacchino, una litograa della Collezione Simeon, nell'Archivio di Torino, o ancora il quadro nella portineria del Cottolengo.
Biograa
Paolo Sacchi era nato a Voghera il 28 maggio 1807 da genitori contadini. Chiamato a vent'anni alla leva militare fu aggregato alla ferma di otto anni nel Corpo Reale di Artiglieria. In quel corpo rimase per 25 anni giungendo al grado di sergente e, per meriti speciali, a quello di furiere: era questo il grado del sottufciale più anziano della compagnia, o del reparto, incaricato dei servizi di contabilità.
Uomo di grande fede e devozione alla Consolata, si recava ogni mattina nel Santuario per una breve preghiera e ogni volta che partecipava alla Santa Messa amava servire all'altare. Il suo gesto eroico nell'episodio dello scoppio della polveriera portò il Sacchi all'attenzione della pubblica opinione confermata dagli onori e dalle ricompense deliberate dal Consiglio comunale, dalla Guardia Nazionale e dal Governo. Su proposta del sindaco cav. Giorgio Bellono fu deliberato all'unanimità che al sergente polverista Sacchi Paolo fosse conferito il diritto di cittadinanza torinese; che il suo nome, ancora lui vivente, fosse imposto ad una delle vie della città (primo e unico caso in Torino); che fosse acconsentita a favore del sig. Sacchi sull'erario comunale un'annua pensione di L. 1200 con decorrenza 26 aprile. L'assemblea deliberò inoltre nel civico palazzo fosse apposta una lapide a memoria dell'episodio, del Sacchi e degli altri valorosi che si erano distinti nello spegnimento dell'incendio alla polveriera. In occasione di una festa in suo onore nella sua Voghera, che gli aveva dedicato un busto nel palazzo comunale e intitolata una via, così Paolo Sacchi ricordava (in dialetto) quanto accaduto: «Che volete che io vi dica? Io ero un semplice contadino come voi; la patria mi ha chiamato e mi ha elevato, perché sono vogherese. Del resto, è la Consolata che mi ha ispirato, ed io non ho fatto che il mio dovere» 3 . Andato in pensione dopo i tragici avvenimenti, Paolo Sacchi condusse una vita ritirata a Torino. «… i vecchi d'anni e d'idee negli ultimi suoi anni salutavano con rispetto il Sacchi e lo additavano ai giovanetti, incontrandolo sotto i portici di piazza Vittorio, passeggiata da lui preferita ad ogni altra. Meglio ancora conoscevano e ammiravano il Sacchi i frequentatori del Santuario della Consolata, dove il bel vecchio dai baf brizzolati e tagliati alla militare e col nastrino azzurro della medaglia al valore, si recava, secondo l'antica sua abitudine a sentire ed a servire la S. Messa, ed era d'inappuntabile esattezza alla visita del sabato, gloriandosi di prestar servizio d'onore alla diletta sua Madonna. Paolo Filippo Sacchi morì il 21 maggio 1884, in età di 77 anni » e la sua tomba è tuttora nel Campo Primitivo del 4 Cimitero Monumentale di Torino.
1
S F , [sic] , in TERAFINO IORIO Nel centenario dello scoppio della polveriera di Borgo Dora 25 aprile 1852 orino. Rivista mensile del la Città e , Torino febbraio 1952, p. 26. Citato in P ed E M , , Il Punto, del Piemonte Il Risorgimento nelle vie di TorinoIERGIUSEPPE MANUELE ENIETTI Torino 2010, p. 178. 2 M , , p. 178ENIETTI op. cit. 3 IV (1902), n. 4 Aprile 1902, p. 61. La Consolata 4 Ivi, pp. 61 - 62.