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Aprile/Giugno 2011 n. 4/6 Rivista fondata nel 1899
Periodico religioso mensile - Anno 113 - V. Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino - Sped. abb. post. - Art. 2, comma 20/C, - Legge 662/96 - Filiale di Torino
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In copertina: San Giuseppe Cafasso
Il Santuario della Consolata Torino
sommario
Periodico religioso mensile Anno 113 - n. 4/6 Aprile/Giugno 2011 Spedizione in abbonamento postale Art. 2, comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Torino C.C. post. n. 264101 intestato a: Santuario Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino Tel. 011.483.61.11 - 011.483.61.00 Fax 011.483.61.20 rivistasantuario@laconsolata.org www.laconsolata.org Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche San Rocco 10095 Grugliasco (TO) Via Carlo Del Prete, 13 Tel. 011.783300 - Fax 011.7801253 info@artigrafichesanrocco.it Direttore responsabile: Marco Bonatti Autorizzazione del Tribunale Civile di Torino n. 379 del 22 febbraio 1949
Editoriale Mons. Marino Basso, Rettore del Santuario
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Udienza Generale di Benedetto XVI
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La poesia del mese di Rosy Bianchini di Martino
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Vita e messaggio di S. Giuseppe Cafasso di don Matteo Scarafia
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Predichini al popolo di don Giuseppe Cafasso
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SpiritualitĂ del Cafasso: al servizio di Dio, testimone del suo amore (prima parte) del diacono Oreste Longhi
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Festa della Consolata - Il programma
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Il perchĂŠ di un Convegno su San Giuseppe Cafasso di don Domenico Ricca
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Preghiera del carcerato
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Vita nel Santuario
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Mostra dedicata a San Giuseppe Cafasso
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Programma Pellegrinaggi 2011
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Editoriale
La festa della Madre di Dio, da noi venerata con il dolce titolo di Consolata, anche quest’anno ci giunge come un dono e come un invito. Come un dono perché, far festa insieme con la Madre del Risorto, ci fa assaporare il tempo pasquale accompagnato dalla sua presenza premurosa e materna; secondo, perché a Maria, Madre della Chiesa e Patrona della nostra Diocesi di Torino, sta a cuore che il cammino dei suoi figli sia segnato dall’impegno di essere discepoli del Signore. Il nostro Arcivescovo, Mons. Cesare Nosiglia, nel messaggio pasquale inviato a tutte le famiglie ci ha scritto così: “il giorno del Signore, la domenica, ci è dato proprio per ritrovare la fame e la sete più profonde che troppo spesso soffochiamo in noi e nelle persone che amiamo. Riprendiamoci la domenica come giorno santo da vivere in famiglia e nella comunità, nel dialogo, nella preghiera e nell’ascolto, nella lode e nella condivisione. Difendiamola anche nella società, perché non diventi un giorno come gli altri di prevalente evasione, di stressante shopping, di obbligato lavoro per tanti operatori del commercio, dell’industria e dei servizi, non rispettosi dei diritti fondamentali di ogni persona a dedicare la festa all’impegno religioso, al riposo, alla cura delle relazioni in casa, tra famiglie e con gli amici, al contatto ristoratore con la natura, al dono di sé nella solidarietà e fraternità verso gli anziani, i malati e chi è solo. Ritroviamo la strada che va dalle nostre case alla Chiesa e dalla Chiesa alle nostre case, per fare dell’Eucaristia il punto di arrivo e di partenza dei nostri vissuti, del nostro lavoro e dei nostri impegni quotidiani. Andiamo a Messa per celebrare, nella morte e risurrezione di Gesù, la vita che non muore e dà speranza a tutte le sue realtà, liete o tristi.” Alla intercessione della Consolata, in questa solennità che tutti ci raccoglie ai suoi piedi, chiediamo che quanto l’Arcivescovo ci invita a meditare diventi per tutti “Spirito e vita”. A tutti, in particolare per i malati, per le persone tribolate nel corpo e nello spirito, per le nostre famiglie, per chi maggiormente ha bisogno di essere ricordato, assicuro l’intercessione orante della Consolata. Mons. Marino Basso Rettore del Santuario
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SAN GIUSEPP UDIENZA GENERALE di BENEDETTO XVI
Piazza San Pietro MercoledĂŹ, 30 giugno 2010
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PPE CAFASSO Cari fratelli e sorelle, abbiamo da poco concluso l’Anno Sacerdotale: un tempo di grazia, che ha portato e porterà frutti preziosi alla Chiesa; un’opportunità per ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno risposto a questa particolare vocazione. Ci hanno accompagnato in questo cammino, come modelli e intercessori, il Santo Curato d’Ars ed altre figure di santi sacerdoti, vere luci nella storia della Chiesa. Oggi, come ho annunciato mercoledì scorso, vorrei ricordarne un’altra, che spicca sul gruppo dei “Santi sociali” nella Torino dell’Ottocento: si tratta di san Giuseppe Cafasso. Il suo ricordo appare doveroso perché proprio una settimana fa ricorreva il 150° anniversario della morte, avvenuta nel capoluogo piemontese il 23 giugno 1860, all’età di 49 anni. Inoltre, mi piace ricordare che il Papa Pio XI, il 1° novembre 1924, approvando i miracoli per la canonizzazione di san Giovanni Maria Vianney e pubblicando il decreto di autorizzazione per la beatificazione del Cafasso, accostò queste due figure di sacerdoti con le seguenti parole: “Non senza una speciale e benefica disposizione della Divina Bontà abbiamo assistito a questo sorgere sull’orizzonte della Chiesa cattolica di nuovi astri, il parroco d’Ars, ed il Venerabile Servo di Dio, Giuseppe Cafasso. Proprio queste due belle, care, provvidamente opportune figure ci si dovevano oggi presentare; piccola e umile, povera e semplice, ma altrettanto gloriosa la fi3
gura del parroco d’Ars, e l’altra bella, grande, complessa, ricca figura di sacerdote, maestro e formatore di sacerdoti, il Venerabile Giuseppe Cafasso”. Si tratta di circostanze che ci offrono l’occasione per conoscere il messaggio, vivo e attuale, che emerge dalla vita di questo santo. Egli non fu parroco come il curato d’Ars, ma fu soprattutto formatore di parroci e preti diocesani, anzi di preti santi, tra i quali san Giovanni Bosco. Non fondò, come gli altri santi sacerdoti dell’Ottocento piemontese, istituti religiosi, perché la sua “fondazione” fu la “scuola di vita e di santità sacerdotale” che realizzò, con l’esempio e l’insegnamento, nel “Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi” a Torino. Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese di san Giovanni Bosco, il 15 gennaio 1811. E’ il terzo di quattro figli. L’ultima, la sorella Marianna, sarà la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Nasce nella Piemonte ottocentesca caratterizzata da gravi problemi sociali, ma anche da tanti Santi che si impegnavano a porvi rimedio. Essi erano legati tra loro da un amore totale a Cristo e da una profonda carità verso i più poveri: la grazia del Signore sa diffondere e moltiplicare i semi di santità! Il Cafasso compì gli studi secondari e il biennio di filosofia nel Collegio di Chieri e, nel 1830, passò al Seminario teologico, dove, nel 1833, venne ordinato sacerdote. Quattro mesi
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più tardi fece il suo ingresso nel luogo che per lui resterà la fondamentale ed unica “tappa” della sua vita sacerdotale: il “Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi” a Torino. Entrato per perfezionarsi nella pastorale, qui egli mise a frutto le sue doti di direttore spirituale e il suo grande spirito di carità. Il Convitto, infatti, non era soltanto una scuola di teologia morale, dove i giovani preti, provenienti soprattutto dalla campagna, imparavano a confessare e a predicare, ma era anche una vera e propria scuola di vita sacerdotale, dove i presbiteri si formavano nella spiritualità di sant’Ignazio di Loyola e nella teologia morale e pastorale del grande Vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il tipo di prete che il Cafasso incontrò al Convitto e che egli stesso contribuì a rafforzare – soprattutto come Rettore - era quello del vero pastore con una ricca vita interiore e un profondo zelo nella cura pastorale: fedele alla preghiera, impegnato nella predicazione, nella catechesi, dedito alla celebrazione dell’Eucarestia e al ministero della Confessione, secondo il modello incarnato da san Carlo Borromeo, da san Francesco di Sales e promosso dal Concilio di Trento. Una felice espressione di san Giovanni Bosco, sintetizza il senso del lavoro educativo in quella Comunità: “al Convitto si imparava ad essere preti”. San Giuseppe Cafasso cercò di realizzare questo modello nella formazione dei giovani sacerdoti, affinché, a loro volta, diventassero formatori di altri preti, religiosi e laici, secondo una speciale ed efficace catena. Dalla sua cattedra di teologia morale educava ad essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato. Tre erano le virtù principali del Cafasso docente, come ricorda san Giovanni Bosco: calma, accortezza e prudenza. Per lui la verifi-
ca dell’insegnamento trasmesso era costituita dal ministero della confessione, alla quale egli stesso dedicava molte ore della giornata; a lui accorrevano vescovi, sacerdoti, religiosi, laici eminenti e gente semplice: a tutti sapeva offrire il tempo necessario. Di molti, poi, che divennero santi e fondatori di istituti religiosi, egli fu sapiente consigliere spirituale. Il suo insegnamento non era mai astratto, basato soltanto sui libri
che si utilizzavano in quel tempo, ma nasceva dall’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano acquisita nel lungo tempo trascorso in confessionale e nella direzione spirituale: la sua era una vera scuola di vita sacerdotale. Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime”. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, 4
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sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel
ministero pastorale. Il beato don Clemente Marchisio, fondatore delle Figlie di san Giuseppe, affermava: “Entrai in Convitto essendo un gran birichino e un capo sventato, senza sapere cosa volesse dire essere prete, e ne uscii affatto diverso, pienamente compreso della dignità del sacerdote”. Quanti sacerdoti furono da lui formati nel Convitto e poi seguiti spiritualmente! Tra questi – come ho già detto - emerge san Giovanni Bosco, che lo ebbe come direttore spirituale per ben 25 anni, dal 1835 al 1860: pri5
ma come chierico, poi come prete e infine come fondatore. Tutte le scelte fondamentali della vita di san Giovanni Bosco ebbero come consigliere e guida san Giuseppe Cafasso, ma in un modo ben preciso: il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo “a sua immagine e somiglianza” e don Bosco non copiò il Cafasso; lo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali - definendolo “modello di vita sacerdotale” -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell’intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispettò nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui. Cari amici, è questo un insegnamento prezioso per tutti coloro che sono impegnati nella formazione ed educazione delle giovani generazioni ed è anche un forte richiamo di quanto sia importante avere una guida spirituale nella propria vita, che aiuti a capire ciò che Dio vuole da noi. Con semplicità e profondità, il nostro Santo affermava: “Tutta la santità, la perfezione e il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volontà di Dio (…). Felici noi se giungessimo a versare così il nostro cuore dentro quello di Dio, unire talmente i nostri desideri, la nostra volontà alla sua da formare ed un cuore ed una volontà sola: volere quello che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze che vuole Lui e volere tutto ciò non per altro se non perché così vuole Iddio”. Ma un altro elemento caratterizza il ministero del nostro Santo: l’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui ori-
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gine era Dio stesso. La semplice presenza del Cafasso faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti. Nei primi tempi del suo ministero in mezzo ai carcerati, egli ricorreva spesso alle grandi predicazioni che arrivavano a coinvolgere quasi tutta la popolazione carceraria. Con il passare del tempo, privilegiò la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell’adesione alla Sua volontà, dell’utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l’incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita. I condannati a morte furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali. Egli accompagnò al patibolo, dopo averli confessati ed aver amministrato loro l’Eucaristia, 57 condannati a morte. Li accompagnava con profondo amore fino all’ultimo re-
spiro della loro esistenza terrena. Morì il 23 giugno 1860, dopo una vita offerta interamente al Signore e consumata per il prossimo. Il mio Predecessore, il venerabile servo di Dio Papa Pio XII, il 9 aprile 1948, lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l’Esortazione Apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale. Cari fratelli e sorelle, san Giuseppe Cafasso sia un richiamo per tutti ad intensificare il cammino verso la perfezione della vita cristiana, la santità; in particolare, ricordi ai sacerdoti l’importanza di dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione e alla direzione spirituale, e a tutti l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi. Ci aiuti l’intercessione della Beata Vergine Maria, di cui san Giuseppe Cafasso era devotissimo e che chiamava “la nostra cara Madre, la nostra consolazione, la nostra speranza”.
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La poesia del mese
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S. Giuseppe Cafasso: il Santo che amò i carcerati 15 gennaio 1811 - 15 gennaio 2011
Tua è la luce che irrompe dalle tenebre.
Rosy Bianchini di Martino
Quante volte il mio sguardo ha incontrato il Tuo. Nel silenzio Ti ho ascoltato E ho sentito il Bene che sgorga dal cuore e fluttua al di là della morte. Tuo il cielo che si stende nella polvere e dalla polvere l’ultimo degli uomini è venuto da lontano a porgerTi le sue mani. Non più legate da catene ma libere, se pur chiuse dalle barriere degli uomini. Ti ha implorato affinché Tu stringa la sua mano attraverso la notte della vita. Ha posato ai Tuoi piedi la luce della speranza perchè Tu illumini il lungo tempo del suo buio. Uomini senza Dio si sono abbandonati fra le Tue braccia tremanti e gli ultimi sono arrivati primi nelle braccia di quel Dio che non conosce colpe e tutti ama.
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VITA E MESSAGGIO DI S. GIUSEPPE
CAFASSO
Don Matteo Scarafia Vice Rettore del Santuario della Consolata
Il prete che verrà chiamato la “perla del clero italiano”, nacque da genitori molti poveri, che gli trasmettono però una grande ricchezza: quella della preghiera, della devozione, della santità. Si alzava volentieri fin da piccolo per servire Messa, era diligente nello studio del catechismo, amava conversare su argomenti religiosi con i compagni, ripetendo ciò che imparava in chiesa. Osservando queste sue tendenze, a 13 anni venne mandato dai genitori a studiare il latino a Chieri. Per un difetto alla spalla sinistra, spesso era oggetto di burla da parte dei compagni, ma lui sopportava pazientemente, cercando di calmare con le sue pacate parole, non sempre con successo. Nel 1826 chiese di entrare nel seminario di Torino ma, per mancanza di posto, dovette continuare gli studi filosofici nel Collegio Civico di Chieri e indossare, solo l’anno successivo, la veste talare, nella chiesa parrocchiale di Castelnuovo. Dopo aver studiato per due anni teologia nella casa del dotto prevosto D. Bartolomeo Dassano, nel 1830 ricevette a Torino la tonsura e gli ordini minori. Da quel momento poté godere di un beneficio comunale, il cui reddito devolveva in beneficenza ai poveri del paese. Per altri tre anni studiò teologia a Chieri, nella casa dei Padri dell’Oratorio dove mons. Chiaveroti, Arcivescovo di Torino, aveva aperto un seminario succursale per un centinaio di chierici. Di lui venne osservata una straordinaria osservanza dell’ordinario. Nel 1833, al termine del quinto anno di teologia, venne classificato ottimo per l’ordinazione sacerdotale. Quando la ricevette, a Torino, era persuaso che per ringraziare degnamente il Signore, gli sarebbe occorsa nientemeno che un’eternità. Novello prete, il Cafasso aveva fatto questo proposito di fronte al crocifisso: «Non voglio, non cerco, non desidero altro che farmi santo, e sarò il più felice degli uomini facendomi santo, 8
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presto santo, gran santo». Per abilitarsi nella Teologia morale, frequentò a Torino il Convitto Ecclesiastico, fondato e presieduto, presso la chiesa di san Francesco d’Assisi, dal teologo Luigi Guala (1775-1848), che insegnava la morale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, seguendo il probabilismo moderato, molto osteggiato da giansenisti e regalisti. Dopo tre anni, il Guala affidò al Cafasso il compito di “ripetitore”, perché era chiaro nell’esposizione, acuto nel penetrare le difficoltà e facile nello scioglierle. «Ho trovato un giovane che fa per me», disse egli un giorno, preoccupato per l’avvenire del suo centro di studi. Con l’aggravarsi del male, nel 1843 lo fece Direttore del Convitto e Maestro di Morale. Prima di morire, lo nominò suo erede universale e lo stabilì confessore permanente in San Francesco d’Assisi, con relativo beneficio. Il nostro santo divenne così il sapiente forgiato9
re di anime dalla cattedra, dal pulpito e dal confessionale. Le sue istruzioni ai convittori erano «piane e sugose» e le sue risposte «pronte e precise». Nell’insegnamento metteva sempre la massima cura, e né il mal di denti, che soffriva di continuo, né la tosse per il mal di cuore lo costrinsero ad un solo giorno di vacanza. Un pomeriggio, tornato stanco da Romano Canavese, dove aveva assistito due assassini condannati all’impiccagione, rispose al servitore che gli consigliava di riposare: «Mi riposerò nella tomba. Ora è tempo di lavorare per il Signore». La chiesa di san Francesco d’Assisi ebbe in lui un Rettore zelante e munifico. I torinesi la frequentavano volentieri perché la mattina, ad ogni ora, secondo le usanze del tempo, vi trovavano la Messa e la comodità di confessarsi. Su tutto egli vegliava con scrupolo, quasi con puntiglio: sulla pulizia del pavimento, degli altari, degli arredi sacri e dei banchi, sulla regolarità del servi-
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zio e specialmente sulla predicazione, che voleva ben preparata. Nelle sacre funzioni lasciava che fossero gli altri a comparire, mentre egli si univa ai convittori come uno di loro. Rimproverava ai preti quelle ambizioni che li portavano a scegliere i primi posti. Il Cafasso non riusciva a concepire un prete che non amasse il confessionale. Egli vi stava chiuso non meno di quattro ore al giorno perché, per lui, la prima e più gradita occupazione della giornata era quella di consolare i peccatori. Tre doti facevano di lui il confessore ideale: la scienza della materia, la brevità dell’esortazione e l’introspezione dei cuori. Ai penitenti consigliava la comunione frequente, l’uso delle giaculatorie, dell’acqua benedetta, del segno di croce e di piccole mortificazioni quotidiane. Attraverso il confessionale, il Cafasso divenne l’uomo di tutti. In Piemonte era chiamato «il consigliere generale». Anche la sua camera era diventata, senza sembrarlo, un ufficio di consulenza gratuita, pubblica e privata. Mons. Fransoni, Arcivescovo di Torino, lo aveva nominato esaminatore pro sinodale e membro di tutte le commissioni ecclesiastiche e andava sovente a consultarlo, come pure non meno di altri 22 vescovi, oltre a numerosi preti, religiosi, avvocati, militari, nobili e plebei, cattolici e carbonari. La Marchesa di Barolo lo chiamava «il patriarca dei preti». Senza infingimenti, egli rimproverava al clero l’attaccamento alle cose terrene, l’abitudine al gioco, la frequenza delle piazze, dei locali pubblici e degli spettacoli. Amava che il prete desse a tutti l’esempio di una vita di preghiera, «facendosi trovare in chiesa fuori orario e da solo, anche quando era tempo in cui poteva rilassarsi». Di lui erano tutti contenti, anche gli anticlericali. Difatti, asserivano: «Don Cafasso non ce l’ha con nessuno, soltanto con il peccato». Egli rifiutò la nomina a deputato. Pare lo si volesse anche fare “cavaliere”, ma non se ne fece nulla.
Anche se la prima impressione di chi lo vedeva gobbo ed emaciato era più da asceta che da oratore, quando iniziava a predicare «le sue parole piombavano nel cuore come un fulmine e toccavano così profondamente da portare al pianto, assicurava mons. Bertagna. Densi e fecondi furono anche i suoi scritti. I frutti abbondanti che raccoglieva nel suo ministero erano dovuti alla sua intensissima vita spirituale. Benché malaticcio, fu sempre mortificato, distaccato dai beni della terra. Suggeriva ai benestanti di dare il superfluo ai poveri, ed egli stesso consumava in elemosine quanto aveva di proprio e gran parte dell’eredità che Guala gli aveva lasciato. Molte persone facoltose gli portavano grosse somme di denaro, perché aiutasse le famiglie decadute, i poveri più vergognosi e i malati, che egli raggiungeva ad ogni ora anche nelle soffitte. La veste talare e i calzoni di lui erano forniti di tante tasche, per contenere monete di diverso taglio, che distribuiva ai mendicanti lungo le strade di Torino. Beneficiarono della sua inesauribile carità pure la stampa cattolica e tanti Istituti Religiosi. In una sola volta, fece mandare dalle cascine di Rivalba, ereditate, ben quaranta sacchi di grano al-
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la Piccola Casa della Divina Provvidenza. Ma chi beneficiò maggiormente dei suoi aiuti fu san Giovanni Bosco (1815-1888). Difatti, lo mise in Seminario, lo chiamò a sé in Convitto e gli affidò l’opera dei catechismi. Di lui e della sua opera divenne ispiratore, consigliere e protettore. A chi gli rimproverava il suo interessamento per quel prete «mungi-quattrini», diceva: «Ah! Se sapeste quanto pesa quel don Bosco! Lasciatelo fare. Fa un grandissimo bene a tutta la gioventù. Farà miracoli e tutto il mondo parlerà di lui». A Torino le classi più bisognose di assistenza in quel tempo erano i giovani, i poveri e i carcerati. Per gli operari, in genere muratori, e per gli spazzacamini valdostani, egli organizzò corsi di istruzione religiosa. I più miseri avevano da lui un vestito, ed erano spesati nel loro apprendistato. Più volte la settimana il santo visitava le quattro prigioni di Torino. I carcerati erano i suoi «amici prediletti», le sue «perle». Seduto sul loro stesso pagliericcio, li istruiva, faceva loro dolce violenza perché si confessassero, e li soccorreva con pane, frutta, denaro e tabacco. Al ritorno al Convitto, doveva cambiarsi da capo a piedi, a causa degli “acquisti” colà fatti di pulci e pidocchi, che chiamava «i guadagni del prete». Il Cafasso non abbandonava i carcerati soprattutto quando erano condotti al supplizio. Un giorno supplicò il Signore perché gli concedesse la conversione di quanti avrebbe accompagnato al Rondò della Forca. Sereno e forte, fu presente a 68 esecuzioni capitali, quando altri, come don Bosco, cadevano svenuti all’apparizione del primo giustiziato. Per questo suo pietoso ufficio veniva chiamato «il prete della forca». Il Cafasso, scrive don Bosco, «aveva il dono di mutare la disperazione in viva speranza e amor di Dio. Fossero giusti o peccatori, parlando con don Cafasso ognuno si sentiva in cuore il desiderio del Paradiso». Ai più scoraggiati diceva infatti: «Un palmo di paradiso aggiusta tutto e vale bene la pena di soffrire un poco per averlo». 11
Da parte sua, attesta ancora don Bosco, «viveva come uno che ha le valigie fatte e il passaporto pronto, in procinto di partire». Quando, vero «martire del confessionale», venne colto in chiesa da un brivido di freddo che lo inchiodò a letto per dodici giorni, esclamò: «Stavolta vado in Paradiso!». Al vecchio servitore che lo supplicava di non lasciarlo, rispondeva sorridendo: «Felice! Il Paradiso è un bel paese … » Don Bosco non si staccava dal suo letto, impietrito dal dolore. L’infermo ebbe la comunione tutte le mattine e il Viatico nel quarto giorno della malattia. Desiderava tanto rimanere solo, in intimità con il Signore. Morì il 23 giugno 1860, di sabato, come aveva desiderato per via della devozione che lo legava alla sua cara «Consolata», Maria madre di consolazione. Nel 1896 dal cimitero di Torino i suoi resti mortali vennero portati al Santuario della Consolata, dove, già dal 1870, il Convitto aveva trovato una nuova e più degna sede. Il Cafasso venne beatificato da Pio XI il 3 Maggio del 1925 e canonizzato da Pio XII il 22 Giugno 1947.
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PREDICHINI AL POPOLO Don Giuseppe Cafasso 1° Schema «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruito» (1Re 8,27). Miei cari fratelli, lo stupore di Salomone di fronte al mistero di un Dio che «abita sulla terra» contagi anche il nostro cuore, durante la celebrazione dei divini misteri. Lo stupore, infatti, costituisce il terreno più adatto da cui possono prodursi frutti di lode e di adorazione. La lode e l’adorazione non nascono di fronte al mistero della pura trascendenza di Dio. La trascendenza di Dio, infatti, non è reale per noi fino a quando il Signore non viene ad abitare in mezzo a noi, a vivere in noi. Una trascendenza pura nella vita presente progressivamente viene completamente ignorata: è il grande peccato dell’Occidente! Salomone vive il mistero della trascendenza divina: « Ecco, i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruito». Ma egli è ugualmente certo che in questa casa c’è il Nome del Signore: «Lì sarà il mio nome». Ma se Dio ci trascende, e noi abbiamo l’esperienza della sua trascendenza in quanto viene a dimorare in noi, allora la nostra vita è prima di tutto lode di Dio, adorazione della sua Gloria inaccessibile, e trova il suo compimento nel silenzio di quell’adorazione «in spirito e verità» di cui parla Gesù alla Samaritana. Miei cari fratelli, presi come siamo tutti dalle gravi ed incombenti attività, siamo esposti quotidianamente a non rispettare più nella nostra giornata il primato dell’adorazione, per cui finiamo per non riconoscere il primato di Dio. Solo l’esperienza dell’adorazione può far maturare in noi
la conoscenza più vera, aderente e coerente di quel mistero che suscitò nel cuore di Salomone lo stupore di cui è testimone la pagina biblica: Dio trascendente e tre volte santo in mezzo al suo popolo. L’adorazione è la sintesi vissuta, sperimentata, tra la sottomissione e l’unione, tra il riconoscimento dell’alterità di Dio e l’Alleanza, tra la servitù e l’amicizia. E’ così che Dio, il suo Regno, la sua Gloria, diventano progressivamente la misura della nostra vita e della nostra missione. «Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere […] Egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,19-21). Lo stupore di Salomone raggiunge nel cuore dei cristiani la sua pienezza, poiché il Vangelo annuncia in che modo «Dio abita sulla terra»: «E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio Unigenito, che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Lo stupore di Salomone nasceva dal confronto di due luoghi: il cieli dei cieli e la casa-tempio da lui costruita. Lo stupore cristiano nasce dal vedere uniti il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua fragile tenda (corpo) fra gli uomini, lo splendore della generazione divina e l’umiltà della generazione mariana. La fede della Chiesa ha tradotto questo immenso stupore al Concilio di Calcedonia con una espressione insuperabile: «una sola persona in due nature». Adamo aveva distrutto il tempio di Dio e la sua abitazione fra gli uomini; nella sua risurrezione, il nuovo Adamo ricostruisce l’indistruttibile tempio di Dio, poiché l’umanità trafitta e glorificata del Verbo incarnato è il luogo in cui noi andiamo al Padre. In essa ci accostiamo «alla città celeste 12
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del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli» (Eb 12,22-23). Miei cari fratelli, questa vicinanza di Cristo «al Dio giudice di tutti» è il mistero della Chiesa, il corpo mistico di Cristo, edificato nella morte e risurrezione del corpo fisico del Verbo fatto carne. «La Chiesa di fatto non ha altra vita, altra santità, che quella di Cristo; nell’atto della sua morte,
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essa non solo nasce, ma è. Quell’atto è, letteralmente, la vita di tutte le persone umane». Noi oggi, miei cari, celebriamo la festa della Chiesa locale, che è il corpo di Cristo, la Chiesa; lodiamo pieni di gratitudine il Padre per averci fatti entrare e rimanere nella sua casa che è la Chiesa; proviamo stupore ancora più grande di quello di Salomone nel vedere con gli occhi della fede che la Chiesa è il luogo santo in cui abita colui che i «cieli dei cieli non possono contenere».
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SPIRITUALITÀ DEL CAFASSO: AL SERVIZIO DI DIO, TESTIMONE DEL SUO AMORE PARTE PRIMA
Diacono Oreste Longhi Testo tratto dall’intervento alla giornata di formazione dell’Associazione di Volontariato “Amici della Consolata”
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San Giuseppe Cafasso e il suo
“Eccomi” Tra le tante realtà alle quali attingere per parlare della figura del Cafasso, ho scelto di iniziare da questa: il servizio. Il Cafasso ci insegna il servizio, la dedizione a Dio. È colui il quale ha saputo rispondere alla chiamata del Signore: “Eccomi”. La storia dell’Antico e del Nuovo Testamento è piena di “eccomi”e il Cafasso è un uomo che è stato capace di dire: “eccomi”, un eccomi totalizzante, non un eccomi a tempo limitato. Noi cristiani cattolici praticanti diciamo a volte: “o Signore, ti ringrazio che mi hai chiamato, ti sono grato per tutto ciò che mi consigli di fare però…” e quando mettiamo quel però, azzeriamo quel che è l’essenza della chiamata. Io voglio far del bene, però fammi incontrare mica tanti poveri … perché altrimenti non so come fare. Sì io voglio essere missionario, però mi raccomando … che ci sia sempre un buon materasso comodo, un cuscino morbido… Invece Cafasso non ha detto “però”. Ricevuta la chiamata è stata veramente la risposta totalizzante, una risposta senza riserve, una risposta costante. Citerò alcune frasi del santo nel modo in cui si parlava al suo tempo. Eccone una: “Io sono al mondo ma solo unicamente per servire Dio”. Amici vi piace? “io sono al mondo unicamente per servire Dio”, servire Dio nei fratelli ma sempre per servire Dio, perché il servizio ai fratelli è l’altra faccia della medaglia del servizio fatto a Dio che è amore, là dove mi manda, a chi mi manda. Stare con il Signore vuol dire diventare 15
non solo suo testimone, ma suo ostensorio. Quel Dio che mi ha chiamato, mi ha reso «sua immagine e somiglianza». Sappiamo che Dio è amore, perché lo dice san Giovanni nella Prima Lettera. Avete mai pensato a questo parallelo tra la prima pagina dell’Antico Testamento e una delle ultime del Nuovo Testamento? Nella Genesi leggiamo che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, e san Giovanni risponde: Dio è amore. Dunque Dio mi ha chiamato perché io sia l’espressione del suo amore, perché porti veramente questo «suo» amore. La volontà del Cafasso nel servizio dev’essere la verità nostra nel servizio, superando tutte le difficoltà. E povero Cafasso, di difficoltà ne ha superate moltissime perché come sempre succede, non tutti credevano in lui. Fisicamente non è che avesse proprio un aspetto di quelli che ti inducono a portarlo sulle copertine dei giornali … Per fortuna non c’era la televisione, perché poveretto non sarebbe andato mai né in televisione, né nelle copertine dei giornali, visto il suo stile di comportamento. Ma non importa. L’esempio che ci ha dato è stato: dire di sì nell’essere strumento di amore, superando ogni difficoltà, convinti che l’amore di Dio può essere benissimo portato a tutti gli uomini. Stabilirsi fuori del servizio di Dio non può che atrofizzarci e svilirci. Non abbiamo bisogno di fare commenti, sappiamo com’è ridotta la famiglia, sappiamo come è ridotta a società, l’ammi-
Città Città Nord Ovest Sud Est
non c’è Novena serale Unità Pastorali 1-12 Unità Pastorali 13-23 Unità Pastorali 24-35 Unità Pastorali 36-46 Unità Pastorali 47-60 non c’è Novena serale
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17.00
Vespro solenne – “Salve Regina”
La VIGILIA: domenica 19 giugno
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OGNI GIORNO della NOVENA Ore 6 S. Messa per le religiose (don L. Sibona) Ore 20.30 Rosario Ore 21 Eucaristia
Sabato 11/6 e Domenica 12/6 13/6 Lunedì Distretto Torino 14/6 Martedì Distretto Torino 15/6 Mercoledì Distretto Torino 16/6 Giovedì Distretto Torino 17/6 Venerdì Distretto Torino 18/6 Sabato
La NOVENA della CONSOLATA
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ñ ó DELLA CONSOLATA:
Vespro solenne – “Salve Regina” Celebrazione Eucaristica: Card. Severino Poletto Celebrazione Eucaristica
Congregazioni del Cottolengo Parrocchia di Sant’Agostino - Torino Seminario Maggiore Vescovo Ausiliare - Mons. Fiandino Celebrazione Eucaristica Presiede Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino Missionari della Consolata (nuovo Capitolo Generale) e Suore Missionarie della Consolata (nuovo Cap. Gen.) Vespro solenne Eucarestia: mons. Piero Delbosco, Provicario Generale Processione cittadina Eucarestia: don Franco Lotto, Rettore M. Ausiliatrice
Il percorso della Processione: Via della Consolata, Piazza Albarello, Via Bertola, Via S. Francesco d’Assisi, Via Milano, Porta Palazzo, Piazza E. Filiberto, Via Giulio, Piazza della Consolata.
20.30 23.00
17.00 18.15
16.00
6.00 7.00 8.00 9.30 11.00
La FESTA lunedì 20 giugno
17.00 18.15 19.30
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nistrazione, la politica. Non è più servizio per altri in conseguenza di un servizio promesso a Dio, è un servizio per me. Ma io, come cristiano, non devo servire gli altri in mia funzione, ma proponendomi, donandomi, sacrificandomi, devo io rendere il bene agli altri. Se non faccio così – dice il Cafasso – io sono atrofizzato nel mio essere cristiano ed umano. Vi cito nuovamente : “io sono al mondo per Dio, vi sono unicamente per Dio, vi sono totalmente per Dio” . Notate gli avverbi: unicamente, totalmente. L’espressione significa che sono uomo-persona quando sono al servizio di Dio, perché l’uomo essenzialmente – per sua stessa natura - deve servire il suo Dio, deve servire al suo Creatore essenzialmente, totalmente. Ciò vuol dire porre proprio come indirizzo della propria vita – pur nelle nostre debolezze, cadute, nei nostri cedimenti – il voler amare il prossimo come Dio mi ha amato, con pazienza ostinatamente, nonostante tutto, come colui che vuole amarmi e mi chiede personalmente: “ma lascia che io ti ami”. È qui la bellezza del nostro essere cristiani, non di chiedere a Dio “amami” ma sentirsi chiedere umilmente dal Signore: “permetti con quella libertà di cui Io ti ho dotato, che io ti possa amare come un Padre”. Questo progetto divino ce lo riconferma il capitolo 3 del Vangelo di
Marco, che è un itinerario essenziale per noi discepoli del Cristo. Leggiamo: «Ne costituì 12 perché stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,15). Amici, li costituì perché stessero con lui, perché il mandare a predicare vuol dire che queste persone debbono essere impregnate dell’amore di Dio, se è vero che io devo essere ostensorio, testimone dell’amore di Dio, di quest’amore devo essere impregnato, devo essere completo, convinto, assiduo. E quando ho assunto questa mia posizione, quando i discepoli assorbirono l’amore di Dio, allora Gesù li mandò anche a predicare. Questo è molto bello perché tante volte noi ci lasciamo trascinare dal fare: io devo fare, devo fare, devo fare, invece che dall’essere. L’orologio è necessario nella nostra vita, ma attenzione, dobbiamo usarlo con parsimonia. Allora devo essere impregnato di amore se voglio essere colui che diffonde l’amore. A questo proposito cosa dice il Cafasso? “Questo servizio è una verità non alta, non ascosa e sconosciuta, ma comune ed intesa da tutti nata con l’uomo stesso. Questo è il fine del re sul trono, questo è il fine del capitano che conduce le armate, questo è il fine dei contadini nei campi, dell’artigiano nella sua bottega, tutti 18
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in sostanza, nessuno eccettuato. Vecchi e giovani, ricchi e poveri, secolari ed ecclesiastici. Tutti siamo al mondo unicamente per questo fine: per servire Dio e tutti lavoriamo al vento se non abbiamo di mira questo nostro fine”. Io penso che se noi guardiamo a tante nostre azioni, a tante azioni delle nostre associazioni, direi anche con tutto il rispetto anche ad alcune azioni della Chiesa istituzionale stessa, si ha la sensazione che si batta l’aria, ma non ci si immetta in un amore profondo di Dio. Ed ancora dice il Cafasso: “Io sono sulla terra non altro che per servire Dio. Questo è il solo mio scopo quaggiù. Tutto il rimanente è un bel niente per me. Dio, la salute delle anime ecco l’affare che deve occupare, assorbire indistintamente tutti i miei giorni, anzi i movimenti del vivere mio. Io vi sono unicamente per Dio”. Per me è una riflessione profonda: ecco il “ben essere”. Il “ben-essere” è prima di muovermi, prima di fare, prima di cedere le mie azioni è essere in Dio, cioè innamorarmi del suo amore per essere trasmettitore di questo amore di Dio. Cito ancora: “Così noi se ci scostiamo dal nostro fine, diventiamo tanti strumenti inutili, tanti arnesi d’imbroglio in questa grande officina della terra, niente più”. Ci conforta un esame di coscienza: in alcune nostre parrocchie vediamo tanto agita19
re e poi l’esclamazione: ma ne valeva la pena? Non dare la colpa ali altri. Chiedi a te se, nel porre in essere questa o quell’attività, eri veramente segno dell’amore divino. Altrimenti se l’hai fatto tanto per fare (o per mettersi in mostra) senza prima essere con Gesù ed essere bene-facente, non puoi lamentati se il fare diventa inutile o controproducente. Penso che un esame di coscienza vada bene per tutti. Noi cattolici siamo un po’ faciloni. “Gli altri non vengono più in chiesa” … ma come li attiri? Come ti fai sentire? Il Signore non ci ha detto mettetevi su di una sedia e mettetevi a predicare, ci ha detto: andate. E questo «andare» vuol dire fare ciò che ha fatto Lui, che ha girato il paese, è entrato nelle case della gente. Se facciamo fiasco, dobbiamo dedurne che Dio conta più di noi e del nostro fare. E ancora: “servirlo costantemente”. Questa è un’abitudine che abbiamo persa, cioè siamo “bene-facenti” a seconda dei tempi. Sotto Natale tutti diventano buoni, si prende il telefono, si donano 2 Euro a fin di bene … ed ecco, ci si sente buoni … Dio è talmente misericordioso che capisce la mia buona volontà, certamente. Ma capisce anche la mia debolezza, le nostre lentezze e certamente non lascia che tutto finisca con la famosa battuta, che «l’inferno è pieno di buone intenzioni». Egli ci aiuterà ad essere costanti e fedeli, perseveranti e forti nel bene-fare. Da soli, difficilmente ce la potremo fare.
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Il perché di un CONVEGNO su
San Giuseppe Cafasso L’anno scorso i Cappellani del Carceri del Piemonte hanno chiuso il loro incontro regionale presieduto da Mons. Giorgio Caniato, Ispettore generale dei Cappellani delle Carceri d’Italia, con una celebrazione eucaristica alla Consolata e preghiera alla tomba di San Giuseppe Cafasso. Si celebravano i 150 anni della morte.
Il tema: mi pareva ovvio, l’attualita del suo insegnamento per i cappellani delle carceri, per la società e la Chiesa.. Le biografie descrivono don Cafasso “assiduo delle prigioni Senatorie, tanto da rimanervi fino a tarda notte, a volte tutta la notte. Portava sigari e tabacco da fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri; ma soprattutto portava alla conversione ladri e assassini efferati… Il «prete della forca» usava immensa misericordia, possedendo un’intuizione prodigiosa dei cuori, e trattava i suoi «santi impiccati» come «galantuomini», tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno da piegarsi e desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il buon Ladrone, crocefisso sul Calvario”.
Mi sembrava un’iniziativa incompiuta. Perché non proporre un Convegno sulla figura di questo grande santo torinese che tanto ha da insegnare a noi cappellani nelle carceri. Ci voleva un’occasione e quale? Riandando alla Sua biografia non ci sfuggì che nel 2011 ricorrevano i duecento anni dalla sua nascita a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo don Bosco) il giorno 15 gennaio 1811. Un assist perfetto, da non perdere. Abbiamo condiviso l’idea tra Cappellani del Piemonte, e grazie al contributo di tanti, in primis Il luogo del Convegno: il Santuario della del Rettore del Santuario della Consolata, l’abConsolata, dove riposano le sue spoglie e fu biamo tradotta in iniziativa concreta. Ci auguriaconfessore per tanti anni. Qui nel 1870 venne mo che sia per tanti una preziosa opportunità. trasferito il Convitto Ecclesiastico San FranceDon Domenico Ricca sco: Don Cafasso vi entrò nel 1834, prima come allievo, poi vice rettore e dal 1848 rettore. Cappellano Istituto Penale Minorile “Ferrante Aporti” di Torino Un’istituzione per la Diocesi di Torino, dove, a nome dei suoi confratelli del Piemonte come diceva don Bosco, “si imparava ad essere preti”. e Valle d’Aosta 20
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Basilica Santuario della Consolata TORINO
Cappellani delle Carceri Piemonte e Valle d’Aosta
SAN GIUSEPPE CAFASSO, (1811 – 1860)
SACERDOTE NELLE CARCERI Convegno presso il Santuario della Consolata - Torino Giovedì 23 giugno 2011 Ore 9,30
Saluto di benvenuto Mons. Marino BASSO - Rettore del Santuario Diocesano della Consolata (TO) Don Luigi USURINI Cappellano delle Carceri di Novara e delegato Regionale dei Cappellani
Ore 9,45
Introduzione al Convegno Don Domenico RICCA - Cappellano IPM “Ferrante Aporti” (Torino)
Ore 10 APPROFONDIMENTI o
San Giuseppe Cafasso: “Il santo dei preti, dei carcerati e dei condannati a morte”. Don Giuseppe TUNINETTI, docente di Storia della Chiesa contemporanea (Facoltà Teologica Italia settentrionale, Sezione di Torino)
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Come il Cappellano nelle Carceri rivive oggi l’insegnamento di San Giuseppe Cafasso. Il messaggio alla società e alla Chiesa don Piero STAVARENGO - Casa Circondariale Lorusso e Cutugno (Le Vallette – Torino)
Ore 11 Interventi delle autorità Mons. Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo di Torino Mons. Giorgio CANIATO, Ispettore generale dei Cappellani d’Italia Dott. Aldo FABOZZI, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Piemonte e Valle d’Aosta Dott. Antonio PAPPALARDO, Centro per la Giustizia Minorile per il Piemonte, Valle d’Aosta e la Liguria, Ore 12
Concelebrazione Eucaristica in Santuario Presieduta da S. Ecc. Mons. Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo di Torino Nel primo pomeriggio, visita all’Esposizione dedicata a san Giuseppe Cafasso, al 1° Piano del Convitto Ecclesiastico della Consolata.
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PREGHIERA DEL CARCERATO Al patrono delle carceri italiane: san Giuseppe Cafasso
Ha testimoniato con coraggio e verità che l’uomo è la via della Chiesa. E questa via l’ha percorsa, fino all’ultimo giorno della sua vita. Dal suo esempio sono giunti a noi reclusi i segni della speranza e dell’amore. Abbiamo imparato non solo ad essere più attenti all’intimo rapporto con il mistero divino, ma anche il dovere di portare con orgoglio nella vita quotidiana il contributo concreto, per un mondo fondato sui valori della fratellanza, della pace e dell’amore. Di san Giuseppe Cafasso resterà, per noi, lo sprone ad ispirare la nostra vita al suo insegnamento, all’esempio di dignità e all’indimenticabile forza d’animo che ha saputo e voluto donare ad ogni fratello nei momenti di dolore e di morte. Egli, infatti, fece del suo mandato sacerdotale un servizio interamente dedicato alla cura dei derelitti: dagli invalidi di guerra, agli orfani, ai prigionieri. San Cafasso recava sollievo nelle carceri e conforto negli ultimi istanti di vita dei condannati, accompagnandoli nel cammino senza ritorno verso la forca, facendosi portatore dell’amore di Cristo, che non conosce giudizio. Ci sentiamo rassicurati dalle parole che Egli ripeteva sovente nelle sue predicazioni, quasi dando a tutti un meraviglioso appuntamento: «Io dico che il Paradiso è per voi. Se avete peccato, chissà quante volte, non importa. C’è rimedio a tutto. Il Paradiso è anche per voi, è sicuro, è vicino». Noi, detenuti, della Casa di Reclusione di Augusta (SR), abbiamo pensato di donare a san Giuseppe Cafasso, qui nel Santuario della Consolata dove riposano i suoi resti mortali, un manufatto in ceramica, realizzato abilmente all’interno dell’Istituto dal nostro compagno artista, Stanislao Kowalski. Tale manufatto rappresenta due braccia, protese O glorioso san Giuseppe, umile in avanti, che sostengono una lampada, come seprete di Castelnuovo, che avesti gno di fratellanza, di apertura verso il prossimo, in Gesù Cristo una fede sempre di speranza fondata in Dio a cui tutto è possibile. C’è una catena adagiata ai polsi, ma è aperta, viva, che amasti con tanto ardore non è bloccata definitivamente. Per noi questo il Signore da essere sempre pronha un grande significato: possiamo continuare to a condividere e consolare gli sempre a credere nel nostro riscatto, nel nostro ultimi, ispiraci fiducia e slancio, fattivo reinserimento nella società di cui facciamo guidaci nel compimento di un veparte, e dalla quale nessuno deve essere escluso, ro rinnovamento interiore. perché non c’è vita così sbagliata, così distrutta, così prigioniera che non possa essere rinnovata Amen. dall’amore di Dio, che dice: «Ecco io faccio nuove tutte le cose». 22
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Vita nel
Visita alla Consolata Il cammino della comunità parrocchiale MARIA REGINA DELLE MISSONI alla scoperta o riscoperta delle testimonianze più significative delle nostre radici cristiane, continua. Accogliendo una felice proposta di una parrocchiana e amica, la signora Giusi Canavesio, abbiamo deciso di visitare il Santuario della Consolata. Molti di noi hanno accettato l’invito, nella convinzione di visitare una realtà molto amata ma comunque già nota. Ma quanto conosciuta? La visita è stata una scelta felice, ci ha in effetti offerto l’opportunità di riaprire i nostri cassetti della memoria, di riscoprire le radici, la storia, l’architettura di questo nostro Santuario, il più radicato nell’immaginario collettivo e nel cuore di noi torinesi. Grazie alla cortese e dotta guida della signora Luciana Colet e all’accoglienza affettuosa del sign. Marco, che ringraziamo entrambi di cuore, siamo entrati nel “mondo“ della Consolata perlustrandone le origini e il suo evolversi nel corso dei secoli. Quali dunque le origini del Santuario della Consolata? In breve sintesi cerchiamo di raccogliere, tra le
Santuario
ricche ed approfondite informazioni della signora Colet, alcune linee guida significative. Il Santuario affonda le sue origini, seconda attendibile documentazione reperita nei vari Cartari, all’inizio dell’anno 1100. Era infatti la Chiesa di S. Andrea e la tradizione ci dice che la Vergine stessa abbia indicato, in una visione premonitrice, il luogo dove avrebbe dovuto sorgere il Santuario stesso. Il culto religioso si diffuse con l’originario titolo di S. Maria della Consolazione e i monaci benedettini di S. Andrea vennero da sempre indicati quali custodi della cappella della Consolazione. Secondo la tradizione, tra il XII e il XIII secolo, il culto ebbe un ulteriore significativo incremento per il diffondersi della tradizione che inseriva la Consolata nel clima del miracolo, in virtù del ritrovamento prodigioso della Sua Immagine ad opera del “cieco di Briançon”, un giovane che, venuto a Torino, grazie all’intervento della Madonna, riacquistò prodigiosamente la vista. Questo personaggio chiave nella tradizione del culto della Consolata, di cui non si conosce il nome, tranne una presumibile appartenenza ad una famiglia savoiarda e il miracolo di cui fu protagonista, assumono un significato spirituale e religioso intimamente connesso con l’immagine della Consolata, tradizionalmente interpretata nel senso della “Vergine Consolatrice o della Consolazione”, Colei che accoglie e consola i fedeli. 24
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Il Santuario divenne da subito luogo deputato alla venerazione della Vergine. Ne è testimonianza l’immagine riprodotta nel famoso quadro della Consolata, che veneriamo anche oggi, e che trae la sua origine dall’icona bizantina della Vergine, detta dal greco “ ODIGITRIA cioè “colei che guida il cammino” dei fedeli alla salvezza, Gesù Cristo, appoggiato al suo braccio. Anche se alcune testimonianze fanno risalire ad epoca antecedente - coincidente con la venuta
architettonico è al contrario il risultato di interventi successivi che tuttavia si integrano armonicamente tra loro, tanto da apparir progettate e costruite in un unico momento. Fondamentali ai fini della trasformazione dell’antica Chiesa di S. Andrea nell’attuale Santuario furono, in ordine di tempo, gli interventi del Guarino Guarini, cui si deve la prima progettazione e ampliamento della chiesa originaria. In fase successiva (tra il 1720 e il 1740) Filippo Juvarra trasformò la zona del nuovo presbiterio, progettò l’altare maggiore che vediamo tuttora,
dei monaci benedettini in S. Andrea - l’origine del culto e dalla devozione alla Consolata, è comunque ormai tradizione consolidata che il cieco di Briançon e i monaci novalicesi siano certamente le fonti più significative della devozione. Le particolarità del Santuario di natura architettonica La costruzione che può apparire un “unicum”
collocato nella nicchia creata dallo sfondamento verso nord dell’esagono guariniano. La nuova area venne poi coperta da una cupola con l’inserimento dell’elemento architettonico della lanterna che diede maggiore luce a tutto la spazio interno e quindi una visione migliore dell’immagine della Madonna. L’ ultima e grandiosa fase di trasformazione e ampliamento fu opera infine dell’architetto Ceppi, che ricevette l’inca-
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rico dal beato Giuseppe Allamano, e successivamente dell’ing. Vandone di Cortemiglia, cui si deve in particolare l’inserimento dell’elemento architettonico della lanterna. In questa fase definitiva vennero costruite le quattro Cappelle ovali attorno all’esagono guariniano. A lato del Santuario si nota la Torre Campanaria, di stile romanico, che risale all’anno 900. La nostra visita sapientemente guidata ci ha consentito di appropriarci della ricchezza caratteristica del barocco e di apprezzare altresi l’area sacrestie, stupendamente arredate con sculture ed intarsi lignei, capolavori di artisti ed ebanisti settecenteschi, la cui eleganza e bellezza affascina il visitatore. In questa zona ed in particolare nelle seconda delle sacrestie minori, si può ammirare un piccolo altare , si tratta di un vero gioiello ligneo di fattura pregevole, attribuito alla scuola scultorea nordica, in particolare ad uno scultore tedesco. Nel corso della visita abbiamo visitato al primo piano del Santuario la mostra dedicata a S. Giuseppe Cafasso, emozionanti testimonianze della sua vita e delle sue opere. La Mostra è stata allestita in occasione del 150esimo della morte (1860-2010) e del 200esimo dalla nasci-
ta (1811-2011) di questo piccolo grande amico degli ultimi, consigliere e confessore della nobiltà del tempo, formatori di preti e di santi. Con fatica siamo anche saliti sulla Torre Campanaria romanica, inerpicandoci attraverso i suoi 159 scalini; entusiasmante il premio finale: l’inestimabile visione dei tetti del Quadrilatero Romano di Torino, la sua parte più antica e misteriosa della prima capitale d’Italia. Infine la nostra visita si è conclusa, in via del tutto eccezionale, con la discesa nei sotterranei, di recente aperti al pubblico grazie alla “Torino Sotterranea”. E’ stato un altro luogo affascinante e misterioso, che ha completato l’atmosfera di preghiera e di spiritualità che si respira in tutto il complesso. Al termine di un pomeriggio veramente ricco di notizie e di emozioni possiamo confermare che il Santuario della Consolata è ancora più radicato nei nostri cuori di abitanti di Torino, essendo il Santuario, secondo l’espressione di S. PIO X, “tutto per i torinesi”, pur rimanendo aperto a tutti e ammirato da turisti provenienti da ogni parte d’Italia, dalla Francia e occasionalmente da tutti gli altri. MP
Quando i bambini alla Consolata... Sabato di aprile, cielo limpido colorato di Maria con quel suo blu intenso ed avvolgente, la primavera che è quasi estate, più di cento i bimbi della prima confessione con alcune mamme e le catechiste. È l’anniversario della nascita di San Giuseppe Cafasso, il mio desiderio di sacerdote è che i più piccoli conoscessero questo gigante della fede e della misericordia, loro che si aprono alla fede ed incontreranno presto Gesù
nella riconciliazione. Ma, come sempre, sono loro, i bambini, ad insegnarmi qualche cosa, i bambini alla Consolata. Non è il chiasso che ti aspetti, entrano e si fanno abbracciare dal silenzio della preghiera, che qui è sedimentata in ogni pietra, in ogni stucco. Spii il loro sguardo che vola da una volta all’altra, da un quadro ad un crocifisso, da un ex voto ad un capitello dorato. Ti accorgi che si nutrono di bellezza, loro 26
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abituati al grigio moderno della periferia. Il marmo lucido gli parla dell’amore di chi custodisce questo luogo, ma anche di quell’amore che l’ha costruito nei secoli, ed ancora prima del prezzo di sangue del Salvatore e della sua santissima Madre. Chiedono, domandano, sottovoce. La curiosità di scoprire un mondo, di chi sente allargarsi il manto di Maria in un abbraccio che gli piace, che sa di buono, che profuma di quelle parole e promesse di cui le loro nonne ancora gli parlano. Salgono e scendono le scale, attraversano corridoi e portici, in una caccia al tesoro avventurosa tra i ricordi del passato e la fede 27
del presente: non si stancano, si fidano di chi li conduce con amore e professionalità. Si fidano della Chiesa che ha il volto sorridente dei volontari che raccontano la fede di un popolo. Dalla cima del campanile lo sguardo si perde nel futuro, all’orizzonte della nostre montagne che riconoscono perché anche da casa loro, a Beinasco, si vedono bene. Ma da bambino ci venivi anche tu alla Consolata, don? Sì Martina, e grazie a voi ci sono tornato proprio così, da bambino. Del resto una mamma non si può che incontrare tornando bambini. Don Luca Peyron
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ORARIO DI APERTURA SABA ATO 10 - 12,30 15 - 18,30 DOMENICA 15 - 18,30 Per visite di gruppo fuori orario FRQWDWWDUH OÂśXIILFLR DFFRJOLHQ]D GHO 6DQ QWXDULR tel. +39 011 483.6125 - accoglienza.turistiica@laconsolata.org
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20-26 Agosto 20 I M O NA S T E R I D E L L A B U C OV I NA La Bucovina, nel nord della Romania, 猫 una zona nota per gli VWXSHQGL VFHQDUL QDWXUDOL H SHU OD ULFFKH]]D VWRULFD HG DUWLVWLFD (路 patria di circa duemila monasteri, dichiarati patrimonio universale GDOO路8QHVFR 2FFDVLRQH XQLFD SHU DSSUH]]DUH O路DUWH H OD FXOWXUD GHOOD Chiesa Ortodossa. ITINERARIO : Cluj - Ciocanesti - Gura Humorului - Moldovita Sucevita - Putna - Bogdana - Cacica - Voronet - Suceava - Rasca Agapia - Piatra Neamt - Sighisoara - Brasov - Sibiu Organizzazione tecnica : Russia Cristiana (MI)
10-13 Settembre L O U R D E S - OA S I DI P R E G H I E R A Pellegrinaggio in BUS GT con soste a Nimes (andata) e Carcassonne (ritorno). Due giorni completi a disposizione per le funzioni alla Grotta di Massabielle. Visite facoltative a musei e casa di Bernadette Organizzazione tecnica: Viagginsieme (Rivoli)
25 Ottobre -1 Novembre T E R R A S A N TA : I S R A E L E Pellegrinaggio che prevede il deserto del Negev, Mar Morto e Gerico, Gerusalemme e Betlemme, la Galilea di Tiberiade e del Carmelo Organizzazione tecnica: Opera diocesana Pellegrinaggi (TO) Programma dettagliato e Iscrizioni : via Maria Adelaide 2, Torino sig.ra Marina 011 483.6125 - accoglienza.turistica@laconsolata.org
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Calendario liturgico 2011 Giugno 2011
vita in santuario
1 3 5 11 12 13 19 20 21 23 24 25 26 28 29
S. Giustino martire S. Carlo Lwanga e compagni Domenica dell’Ascensione S. Barnaba - Inizio novena Consolata Domenica di Pentecoste S. Antonio da Padova Domenica della SS. Trinità Vigilia della solennità della Consolata FESTA DELLA CONSOLATA – lunedì Patrona dell’Arcidiocesi di Torino S. Luigi Gonzaga S. Giuseppe Cafasso (1811-1860) Natività di S. Giovanni Battista festa patronale a Torino S. Massimo vescovo di Torino Santissimo Corpo e Sangue di Cristo S. Ireneo SS. Pietro e Paolo
Luglio 2011 1 2 3 4 10 11 16 17 23 24 25 29 31
SS. Cuore di Gesù Cuore Immacolato di Maria XIV Domenica del Tempo Ordinario Beato Piergiorgio Frassati (†1925) XV Domenica del Tempo Ordinario S. Benedetto, abate S. Maria del Monte Carmelo XVI Domenica – Tempo Ordinario S. Brigida di Svezia XVII Domenica del Tempo Ordinario S. Giacomo, apostolo Santa Marta XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Agosto 2011 1 4 6 7 8 10 11 14
S. Alfonso M. de’ Liguori S. Giovanni M. Vianney (Curato d’Ars) Trasfigurazione del Signore Gesù XIX Domenica del Tempo Ordinario S. Domenico di Guzman S. Lorenzo, diacono e martire S. Chiara d’Assisi XX Domenica del Tempo ordinario
15 20 21 22 24 27 28 29
Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria S. Bernardo, abate e dottore della Chiesa XXI Domenica del Tempo Ordinario Beata Vergine Maria Regina, memoria S. Bartolomeo, apostolo S. Monica XXII Domenica del Tempo Ordinario Martirio di S. Giovanni Battista
Orario delle celebrazioni in Santuario Giorni festivi - Sante Messe ore 7 - 8.30 - 10 - 11.30 16 (da ottobre a giugno) - 18.15 - 19.30 - ore 8: Celebrazione delle Lodi - ore 17: Vespro, Benedizione, Rosario
Giorni feriali - Sante Messe ore 6.30 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 18.15 - 19 (sospesa ad agosto e prefestivi) - ore 8 (settembre-giugno): Lodi-Messa in cripta (lun-ven) - ore 8.30 - 12 (settembre-giugno): Adorazione Eucaristica in cripta (lun-ven) - ore 17,30: Rosario e Vespro (Via Crucis nei Venerdì di Quaresima)
Ogni sabato - ore 10: Messa per gli iscritti alla Compagnia della Consolata, vivi e defunti - ore 12.30 - 17: Adorazione - Altare Maggiore - ore 17: Vespro e Rosario - ore 18.15: Messa festiva
Confessioni - Feriali: 6.30 - 12.15 / 15 - 19.15 - Festivi: 6.30 - 12.30 / 15 - 20
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ATTO DI AFFIDAMENTO A MARIA PER IL 150ESIMO DELL’UNITÀ D’ITALIA O Maria, Madre Tuttasanta, che hai dato alla luce il Re dell’eterna gloria e, dopo averlo seguito fedelmente fino al Calvario, hai atteso intrepida la sua risurrezione, rivolgi il tuo sguardo alla nostra amata Italia, che porta in sé la grande eredità dei santi Apostoli, dei Martiri, dei Pastori, delle beate Vergini e di tanti generosi discepoli del tuo Figlio. A te, o Maria, affidiamo la nostra Nazione, che ti riconosce e ti invoca come Madre. Guarda con benevolenza il popolo italiano: a te sono noti i suoi peccati e le sue virtù, le sue ricchezze e le sue miserie, le sue debolezze e i suoi gesti di bontà. Veglia sulle case e sulle famiglie, sui quartieri e sulle comunità, sulle scuole e gli ospedali, le industrie, gli uffici, i cantieri e tutte le molteplici espressioni dell’operosità quotidiana. Assisti i giovani, i disoccupati, i poveri, gli emarginati, che cercano uno spazio di vita e un soffio di speranza. Fa’ che non si estingua nelle nuove generazioni la fede trasmessa dai Padri; resti vivo e coerente il senso dell’onestà e della generosità, la concordia operosa, l’attenzione ai piccoli, agli anziani e agli ammalati, la premurosa apertura verso tutta l’umanità, che in ogni parte del mondo soffre e lotta, e spera verso un avvenire di giustizia e di pace. Intercedi per noi, o Vergine Maria, Madre dell’unità, insieme ai santi Patroni d’Italia: Francesco e Caterina da Siena, i santi della nostra Chiesa particolare: …, e tutti i testimoni del Vangelo, i cui nomi sono nel libro della vita. Risplenda sempre il volto del Padre sulla nostra Nazione, sulle nostre città, sui nostri paesi; la tua materna protezione, o Maria, ci accompagni ogni giorno, nel cammino del tempo, verso l’incontro finale con Cristo, nella Patria futura. Egli, risorto dai morti e asceso al cielo, nostro avvocato e mediatore, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen Attenzione. In caso di mancato recapito, rinviare all’Ufficio di Torino C.M.P. Nord per la restituzione al mittente, Rettore del Santuario della Consolata - Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino, che s’impegna a corrispondere la relativa tariffa.
Il Santuario della Consolata Via Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino E-mail: info@laconsolata.org
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