Poelela magazine n6

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ANNO IV N째 006/2014 20 marzo 2014

POELELAMAGAZINE

MOZAMBICO Spiagge incontaminate, terra di boa gente


POELELAMAGAZINE 20 marzo 2014

INDICE

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ALLA SCOPERTA DI ILHA

pag. 5

NERA D’EBANO

pag. 15

di Francesca Guazzo.

di Elena Del Becaro.

Non chiamatela semplicemente “isola di Mozambico”, come fosse una tra le tante isole: Ilha è “Ilha”, ed è così che i mozambicani vogliono che la si chiami. La storia che racchiude questa piccola isola è incredibile.

Un gruppo di uomini siede su sgangherati sedili d'automobile. Per terra, accanto a loro, ben protetti dalle cassette per gli attrezzi si trovano gli strumenti del loro lavoro: scalpelli, coltelli, pietre, lime.

LA CAPULANA

pag. 29

SLOW FOOD A MAPUTO

pag. 36

di Nunzio De Nigris.

di Kurz.

“Capulana” è il nome che viene dato in Mozambico ai teli colorati che ogni donna possiede. Pare che la loro introduzione nel paese sia relativamente recente, eppure senza le capulane il volto del Mozambico non sarebbe lo stesso.

Sostenere la produzione locale, mettendo insieme piccoli coltivatori e consumatori è l’obiettivo dell’iniziativa realizzata nella capitale del Mozambico dalla ong GVC e dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità onlus.

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INDICE

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IL MATRIMONIO DI MADALA pag. NUVOLA

pag. 43

L’intensità di emozioni che l’Africa riesce a stimolare lascia il viaggiatore privo riferimenti. Il ritorno alla normalità è burrascoso, la realtà cerca di farsi largo tra sogni e ricordi...

POELELA MAGAZINE Numero 6 Anno IV marzo 2014 Direttore Nunzio De Nigris Capo Redattore Laura Giampaolo

di Antonella Silvestri.

IL SAMATENJE DI SADJUNGIRA I parte

di Gianni Bauce.

pag. 46

- “ S e n h o r, l ’ e l i c o t t e r o è rosso.”- dice Roberto il guardiaparco. -“Lo so …”- mormora l’uomo pensieroso mentre osserva le larghe bande color porpora dipinte sulla grossa libellula d’acciaio.

RICORDI D’AFRICA... MOZAMBICO

pag. 55

Una duna di sabbia bianca, imponente, sorge dal mare. N i e n t ’ a l t ro a l l ’ o r i z z o n t e . Questa è la prima visione di Bazaruto, l’isola più grande dell’Archipelago di Bazaruto,

Hanno partecipato a questo numero Gianni Bauce, Elena Del Becaro, Nunzio De Nigris, Laura Giampaolo, Mira Gianturco, Francesca Guazzo, Stefano Pesarelli Antonella Silvestri, Stefano Zecca Fotografie di Gianni Bauce, Elena Del Becaro, Nunzio De Nigris, Mira Gianturco, Francesca Guazzo, Stefano Pesarelli, Antonella Silvestri,

In copertina

di Stefano Zecca.

RUBRICHE

EDITORIALE

pag. 4

WILDLIFE AROUND THE LAKE

pag. 44

CAMMINANDO INSIEME

pag. 49

LE RICETTE DI ARMINDA

pag. 59

PORTFOLIO di Francesca Guazzo

pag. 60

Ilha de Mocambique Stefano Pesarelli

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editoriale

di Nunzio De Nigris

Dopo mesi di incertezze e cielo nuvoloso il nuovo anno è arrivato con venti di pace e di ottimismo. Dopo alcuni mesi di scontri armati nel centro del Mozambico, finalmente il partito di governo FRELIMO e quello di opposizione RENAMO hanno deciso di risedersi al tavolo del dialogo per trovare un accordo comune. Questa è una gran bella notizia per tutti, compresi i viaggiatori che stanno programmando un viaggio in Mozambico. Visitare questo paese sarà una scoperta inattesa: il trionfo della natura, l’architettura portoghese, la cultura e la tradizione di un popolo ospitale ed accogliente. Giramondo vicini e lontani è tempo di preparare la valigia e partire!

Sono lieto di segnalare che il documentario sul Parco Nazionale Niassa “Creature spirituali”, parteciperà al 37° International Film Festival Wildlife in Missoula , Montana USA che si svolgerà dal 12 al 19 aprile 2014. La “Fauna selvatica” è Il tema di questa edizione che vuole essere anche celebrativa della prima Giornata Mondiale della fauna selvatica, il 3 marzo. Ci uniamo alle celebrazioni col nuovo numero del nostro magazine. Happy World Wildlife Day a tutti e... buona lettura!

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Alla scoperta dell’Isola di Mozambico, Ilha de Mozambique di Francesca Guazzo

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Foto di Francesca Guazzo

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Alla scoperta dell’Isola di Mozambico, Ilha de Mozambique Non chiamatela semplicemente “isola di Mozambico”, come fosse una tra le tante isole:

Foto di Francesca Guazzo

Ilha è “Ilha”, ed è così che i mozambicani vogliono che la si chiami. La storia che racchiude questa piccola isola è incredibile. Basti pensare che “Ilha de Moçambique” è l’Isola da cui nacque il nome “Mozambico”: quando Vasco de Gama approdò sull’isola nel 1498,

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parlò con il signore dell’Isola che si faceva chiamare “Mussa Bin Biki” o “Mussa Al ambiki”. Sulle mappe, da quel momento, l’Isola divenne “ Ilha de Moussambiki” da cui derivò “Ilha de Moçambique”. Da quel momento la sua storia si impose nel Paese in modo esponenziale, al punto di diventarne la prima capitale. Ogni volta che torno a Ilha de Moçambique è un’emozione inaspettata. Patrimonio dell’Umanità protetto dall’UNESCO, prima capitale del Mozambico,

terra di scrittori ed esploratori, ospita gelosamente la prima chiesa costruita in una regione sub-sahariana. In questo piccolissimo lembo di terra convivono 15,000 persone di culture e credi differenti; musulmani, cristiani e induisti dividono e condividono con saggezza i propri spazi culturali. Potrei scrivere per ore ed ore senza mai completare le ragioni del fascino di Ilha. Prendere coscienza di dove ci si trova, attraversare il ponte che la collega alla terraferma è fondamentale per scoprire ogni angolo della sua grande storia, ogni

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singolo dettaglio per farsi rapire da questo incantevole luogo.

decadenza dei palazzi è semplicemente dovuta al tempo ed alla salsedine.

Da dove partire?

L’altissima densità di popolazione ha contribuito a questa lenta trasformazione e lo splendore di un tempo è ben visibile nelle residenze signorili, negli uffici amministrativi, nelle chiese e in quel gioiello di architettura che è la Fortezza di S. Sebastiao.

Dalla parola “tempo” che qui scorre lento e immutabile; occorre averne perché Ilha abbia il tempo di rapirvi, di rallentare i vostri ritmi in un’altalena di stupore e passione, di prendersi gioco delle vostre sicurezze e di incidere il suo animo nella vostra memoria. La guerra non ha mai toccato Ilha perché nessuno dei due eserciti ha mai azzardato attraversare il ponte per paura di rimanere braccato ed essere sconfitto, per cui la

Prima regola: lasciare nello zaino la mappa, infilarsi le mani in tasca e perdersi. Su questa piccola isola perdersi fisicamente sarà quasi impossibile, ma abbandonarsi

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mentalmente agli stimoli che ogni singolo dettaglio provocherà sarà la vostra droga quotidiana. Ilha si compone di due grandi aree che internamente sono molto omogenee e dividono il territorio in modo uguale: la Città di Pietra, zona costruita in pietra e calce durante il lungo periodo coloniale portoghese e la Città Macuti, zona in cui vive la maggior parte della popolazione locale nelle tipiche capanne dal tetto in paglia detto appunto macuti.

Foto di Francesca Guazzo

Data la posizione geografica strategica, Ilha è servita come rifugio durante la guerra a numerose popolazioni della vicina località di Lumbo e di alcuni distretti circostanti come quello di Mossuril e Monapo. Queste migrazioni forzate hanno fatto aumentare la pressione demografica e lo sfruttamento a cui è sottoposto il mare

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hanno creato danni al territorio. Da notare che le risorse ittiche sono la fonte principale, se non unica, di sopravvivenza per la maggior parte della popolazione. Dopo la fine del conflitto armato nel 1992 ci fu un ritorno verso le zone di origine da parte dei rifugiati, ma il problema del sovraffollamento rimane grande. Nel 1991 Ilha è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Universale dell’Umanità; i criteri secondo i quali venne inserita sono due:

Foto di Francesca Guazzo

“La città e le fortificazioni sono un esempio eccezionale di un'architettura in cui tradizioni locali, influenze Portoghesi, Indiane ed Arabe sono tutte intrecciate”

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Alla scoperta dell’Isola di Mozambico, Ilha de Mozambique, Francesca Guazzo “L'isola di Mozambico è stata testimone importante nello sviluppo di itinerari tra Europa Occidentale ed Oriente”

Tratto da Mozambico, un Nuovo Antico Paese Edizioni Polaris

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ECO TOURISM IN

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MOZAMBICO & SUD AFRICA 2014 www.lagoapoelela.com info@lagoapoelela.com

www.lagoapoelela.com Inhambane Region, Inharrime Province info: info@lagoapoelela.com La Kru Investimentos, Societade Unipessoal Limitada. Sede Legale Maputo - Districto 1 Barrio Central.

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Miguel Valinge, scultura, particolare

Foto di Elena Del Becaro

Nera d'ebano. La scultura dei Makonde del Mozambico di Elena del Becaro www.giornirubati.it

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La scultura dei Makonde del Mozambico Un gruppo di uomini siede su sgangherati sedili d'automobile. Per terra, accanto a loro, ben protetti dalle cassette per gli attrezzi si trovano gli strumenti del loro lavoro: scalpelli, coltelli, pietre, lime. Una rapida serie di colpi ben assestati sullo scalpello affinano metodicamente un pezzo di legno, per il momento ancora privo di un significato. Poi, a fianco: Scultore al Museu all'improvviso succede qualcosa: come un golem, quel legno si anima. National de Arte di Maputo in basso: Daniel Nampoka al Si intravede una struttura e quello che prima era un pezzo anonimo, lavoro nelle mani di questi uomini prende vita: spunta un naso, poi una zampa d'insetto, forse dei denti o uno sguardo allucinato: è il legno stesso a Foto di Elena Del Becaro

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suggerirlo con le sue torsioni e nodi. L'artista lo legge, lo comprende e tira fuori la forma che già contiene in sé. Siamo nel giardino del Museu Nacional de Arte di Maputo e quello a cui abbiamo appena assistito è un frammento del processo creativo della grande scultura makonde. I Makonde sono un gruppo etnico diffuso fra il sud-est della Tanzania e il nord del Mozambico. Una piccola percentuale risiede oggi anche in Kenya, ma le loro origini si collocano con tutta probabilità nei dintorni del lago di Nyassa, sugli altipiani di Newala e

Mueda circondati da fitte boscaglie, delimitati dai fiumi e dal mare. La Tanzania ha stimato col censimento 2001 della popolazione la presenza di 1.140.000 Makonde sul territorio di propria giurisdizione, mentre un'indagine meno recente del Mozambico, nel 1997, ha conteggiato nel paese 233.358 persone appartenenti a quest'etnia. Stiamo parlando dunque di un gruppo molto forte con una presenza ramificata al di qua e al di là del confine fra i due stati. Ma quel che caratterizza i Makonde è senz'altro la spiccata identità culturale ravvisabile nella produzione di vasellame, nella raffinate pettinature, nella

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lavorazione di scatole, tamburi, altri oggetti d'uso e nella ricercatezza decorativa dei tatuaggi scarificati. Dall'altra parte stiamo parlando dal popolo che per primo ha iniziato negli anni Sessanta la rivoluzione che ha

traghettato l'intero paese fuori dall'epoca coloniale. Un popolo di esperti cacciatori e fieri guerrieri, organizzati in clan ed insofferenti alle autoritĂ .

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a fianco: Daniel Nampoka, scultura Foto di Elena Del Becaro in basso: Reinata Sadimba, scultura, particolare Foto di Elena Del Becaro

Tipici dei Makonde sono i riti di passaggio all'età puberale, fra cui la danza Mapiko, che prevedeva l’uso di particolari maschere a elmo che evocavano la presenza degli spiriti durante la festa. L'abilità sviluppata nel forgiare gli elmi e poi gli strumenti di uso quotidiano o rituale ha fatto sì che proprio fra queste genti germogliasse nel tempo una tradizione scultorea celebre il tutto il mondo.

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Miguel Valinge, opera in lavorazione di Miguel Valinge

Foto di Elena Del Becaro

Anche se la fase antica dell'arte makonde è stata trascurata dagli storici che le prediligono piuttosto il linguaggio figurativo del Niger e del Congo è interessante sottolineare già nella prima produzione la presenza di temi forti ricorrenti. Uno su tutti, la “grande madre”. Cuore e specchio di una società a discendenza matrilineare, la figura femminile è effigiata con particolare attenzione mimetica nel volto, restituito coi

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suoi segni caratterizzanti, quali tatuaggi, scarificazioni e piattello labiale. Tipici di quest'epoca sono anche l'uso di legno chiaro e tenero, da lavorare col coltello e l'uso di pigmenti colorati. Bisogna attendere quindi l'inizio del periodo coloniale per assistere, a seguito delle richieste dei commercianti coloniali e dei missionari, all'introduzione del legno di ebano come essenza quasi esclusiva per la scultura. Un legno che per la sua durezza richiede l'abbandono del coltello a favore dello scalpello. Nel contempo, il tratto si affina, la policromia viene abbandonata mentre la capacità espressiva si potenzia e si precisa. Con l'esplosione del Movimento di Liberazione del Mozambico (1964), l'arte makonde assurge a linguaggio di lotta. Ed è lo stesso Frelimo a foraggiare gli artisti affinché esprimano i valori della rivolta e la partecipazione corale al movimento. Proprio in questo periodo si affermano due nuove tipologie scultoree, codificate dagli artisti Roberto Yacobo Sangwani e Samaki Likankoa, Mozambicani emigrati in Tanzania, che segnano l'avvio dell'era moderna della scultura makonde. Si tratta dei generi chiamati rispettivamente Ujamaa e Shetani. Nel primo tipo, laddove si imponeva la centralità della figura femminile, emerge la visione del clan, unico, compatto e indivisibile in cui corpi e volti si fondono in un'esplicita dichiarazione di conplementarità. In alto, a coronamento di un movimento vorticoso che sembra condurre lo sguardo dell'osservatore dalla base fino all'apice della figura, si trova spesso il busto di un antenato. La realizzazione avviene

mediante lavorazione ad alto rilievo di un nucleo cilindrico compatto oppure traforato. Quasi a bilanciare questa rappresentazione della struttura sociale dell'universo makonde, si trova la la seconda categoria, lo Shetani, che esprime il regno delle forze trascendenti e degli spiriti. In questo caso, partendo dall'osservazione di figure umane, animali o vegetali, lo scultore plasma creature mostruose dalla grande forza espressiva: domina il ritmo, il controllo sapiente della dinamica fra le forme e la capacità di passare dalla mimesi all'astrazione. In realtà la critica è arrivata a codificare ben otto differenti stili della plastica makonde, creati da svariati scultori nel tentativo di differenziare e rendere unica la propria poetica. Tuttavia se la schematizzazione aiuta senz'altro a far chiarezza in un primo sguardo, nella realtà i generi spesso si mescolano in una rappresentazione fluida, allegorica del continuo mutare dell'esistenza. Col passare degli anni gli artisti hanno preso coscienza di sé e delle proprie capacità espressive. Aspirano dunque ad emanciparsi da una definizione di genere e ad inserirsi in un dialogo sull'arte dal respiro internazionale. Non bisogna però cadere nell'errore di considerare questo salto in avanti una rottura con la tradizione. I valori rappresentati attingono sempre al vasto bacino della cultura di appartenenza, ma l'artista rivendica ora con forza la propria originalità e individualità stilistica, al di là di facili e riduttive categorizzazioni. Negli ultimi decenni sono quindi emerse personalità trainanti, in grado di

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POELELAMAGAZINE 20 marzo 2014 Matias Ntundo, danza Mapiko, xilografia, 1982. Foto di Elena Del Becaro

attirare l'attenzione mondiale sull'intero fenomeno della scultura makonde. Il linguaggio figurativo ha continuato ad evolversi e, grazie agli artisti George Lilanga, Reinata Sadimba e Matias Ntundo, l'estetica makonde si è arricchita di tecniche e materiali inediti quali, rispettivamente, la pittura, la ceramica e la xilografia.

nell'Esposizione Universale di Osaka in Giappone, nel 1970. Diversamente, in un Mozambico martoriato dalle guerre bisognerà attendere fino al 1988. In quell'anno il governo sceglie un gruppo di scultori e li invita a Maputo per produrre opere da esporre l'anno successivo a Parigi nella mostra Art Makonde, Tradition et Modernité.

É così che nel 1970 giunge il primo riconoscimento ufficiale dell'alta qualità artistica delle opere makonde, quando il governo della Tanzania chiama un gruppo di artisti di quest'etnia a rappresentare il paese

Oggi si potrebbe dire che l'arte makonde stia andando incontro a una fase manieristica, ma è bene sottolineare che, accanto ad alcune produzioni un po' stanche e ripetitive, è possibile ancora riconoscere personalità in

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Reinata Sadimba, scultura. Foto di Elena Del Becaro grado di rimescolare le carte con originalità e di stare al passo con le migliori proposte del Contemporaneo. Nei vari mercati e bazar del Paese si trovano molte imitazioni della scultura makonde spesso dirette ai turisti. Ma in alcuni luoghi privilegiati, accanto a lavori di carattere più “seriale”, si possono riconoscere opere interessanti e spiccatamente personali. Per esempio, nella capitale, al BazArt del Centro

Culturale Franco-Mozambicano o, come si è visto, nel giardino del Museu National de Arte dove gli scultori hanno allestito un piccolo shop per i visitatori. Io, un po' emozionata per la vista degli artisti al lavoro, consigliata dagli esperti del luogo, proprio qui ho fatto la mia scelta e adesso un grottesco Shetani mi saluta al mio ingresso in casa. E chissà che non scacci via qualche presenza malvagia.

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Foto di Elena Del Becaro

Per approfondire: Maria Camilla De Palma, Gianfranco Gandolfo, Mozambico: scultura moderna Makonde, Genova, 1992, cat. della mostra. Alda Costa, Gianfranco Gandolfo, Arte Makonde, caminhos recentes, Maputo, 1999, cat. della mostra.

http://www.vezianoarmandi.it/res/site180/ res110641_Arte_Scultura_Makonde.pdf http://www.pacebenemondo.it/main_route/ storia&arte/Arte%20Makonde%2025.04.10/Arte %20Makonde%2025.04.10.htm

Gianfranco Gandolfo, Reinata Sadimba, Kapicua edizioni, Maputo, 2012 Gianfranco Gandolfo, Matias Ntundo, gravuras, Kapicua edizioni, Maputo, 2010 h t t p : / / w w w. t a n z a n i a n - a r t . d e / s e r v i c e / t h e makonde-by-prof-e-jengo.html

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POELELAMAGAZINE 20 marzo 2014 Ilha de Mocambique Foto di Stefano Pesarelli

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La Capulana di Nunzio De Nigris

“Capulanaâ€? è il nome che viene dato in Mozambico ai teli colorati che ogni donna possiede. Pare che la loro introduzione nel paese sia relativamente recente, circa due secoli, eppure senza le capulane il volto del Mozambico (e della maggior parte dei paesi africani) non sarebbe lo stesso.

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Nelle zone rurali o nei quartieri periferici della capitale, la capulana, avvolta intorno ai fianchi, è l’abbigliamento tradizionale di ogni donna che si rispetti. Viene utilizzata per portare un bimbo sulla schiena alla maniera africana o come telo aggiuntivo viene di solito adoperato per garantire ulteriore protezione ai neonati quando fa più fresco (esiste anche l’inverno africano!). Viene anche utilizzato dalle venditrici ambulanti sopra il marciapiede per potervi esporre la propria merce, a fine giornata, la si arrotola, formando un cerchio che, adagiato sulla testa, aiuta a trasportare facilmente sino a casa la cesta con gli articoli rimasti invenduti.

Foto di Nunzio De Nigris

Una capulana in più fa sempre comodo, se fa fresco o tira vento, può essere avvolta intorno alle spalle per scaldarsi; se c’è da aspettare a lungo, per esempio in attesa di una visita medica, la si stende per terra

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per sedercisi sopra senza sporcarsi; se si viene sorpresi da un’acquazzone tropicale, può rimpiazzare i vestiti fradici che si indossano. Una capulana può sostituire, alla bisogna, lenzuola, tovaglie, tende e, se necessario, pure l’asciugamano. In assenza di toilettes pubbliche, avvolgere una capulana intorno ai fianchi è un ottimo modo per ripararsi da sguardi indiscreti mentre si fa pipì al lato della strada. Questi sono gli usi della capulana “semplice”, ossia del telo rettangolare basico. La dimensione della capulana è standard, un

metro e quindici di altezza per un metro e ottanta di lunghezza, ma colori e fantasie sono praticamente infiniti. Tuttavia, è evidente che con ago, filo, e fantasia, i possibili usi si estendono ulteriormente. Innanzitutto ci sono i vestiti tradizionali, spesso elegantissimi, composti da gonna, blusa e copricapo, tutti dello stesso tessuto o con due fantasie a contrasto. Molte stampe sono tipiche di una particolare zona o paese, e basta un’occhiata per indovinarne la provenienza. Sopra questi tessuti, vengono riprodotti gli elementi della vita quotidiana di una donna,

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come le cipolle o i peperoni, oppure motivi astratti (spirali, rombi, ecc.). Le capulane vengono scelte anche in occasioni di feste o riti per indicare l’appartenenza ad un gruppo. Non mancano le capulane commemorative, come quelle che ricordano l’indipendenza o i leader politici più popolari, o altri avvenimenti importanti (i 90 anni di Nelson Mandela, l’oro olimpico di Lurdes Mutola - probabilmente la più famosa atleta mozambicana, che vinse l’oro negli 800 metri alle olimpiadi di Sydney del 2000).

interessante giro d’affari legato a tutto ciò che si può realizzare con le capulane: gonne, canotte, vestitini, pantaloni, borsette, ma anche accessori come orecchini, collane e bracciali o ancora scatole porta bijoux. La capulana è un prodotto incredibilmente versatile ed alquanto economico, a seconda della qualità. E’ un ottimo regalo per le donne che grazie al proprio estro sapranno farne un buon uso .

Più di recente, la presenza di molti espatriati (e soprattutto di espatriate) ha favorito un

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POELELAMAGAZINE 20 marzo 2014 Ilha de Mocambique Foto di Nunzio De Nigris

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Slow Food a Maputo Il primo mercato della terra in Africa di Kurz Sostenere la produzione locale, mettendo insieme piccoli coltivatori e consumatori: è l’obiettivo dell’iniziativa realizzata nella capitale del Mozambico dalla ong GVC e dalla Fondazione Slow Food per la Il primo mercato della terra a Biodiversità onlus, Inaugurata sabato 2 novembre 2013. Maputo. Per la prima volta in Africa, si svolge a Maputo (Feima, Jardim do Parque dos Continuadores, Av. Martires da Machava) il Mercato della Foto di Nunzio De Nigris Terra, organizzato nella capitale del Mozambico dalla ong bolognese GVC e dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità.

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Il Mercato della Terra non è un mercato qualunque: è un format creato nel 2005 da Slow Food e realizzato in diverse città del mondo (dall’Austria all’India, da Israele agli Stati Uniti). I Mercati della Terra sono luoghi dove si preservano la biodiversità e la cultura alimentare locali e si promuove la stagionalità, mettendo direttamente in contatto piccoli produttori e consumatori. “Il Mercato della Terra rappresenta un’attività innovativa per la realtà mozambicana, coerente con la missione e il lavoro che GVC sta sostenendo in Africa, anche in paesi come il Burundi e il Burkina Faso, per promuovere la

sostenibilità ambientale – dice la presidente di GVC Patrizia Santillo –. Favorire i piccoli produttori attraverso il sostegno a una produzione di qualità e l’accesso al mercato vuol dire non solo aumentare il loro reddito, ma aiutare l’intera comunità e migliorare la vita di tutti, connettendo lo sviluppo con la sovranità alimentare e il rispetto ambientale”. "L'apertura del primo Mercato della Terra in Africa è un risultato straordinario, che è frutto dell'esperienza e del lavoro di Slow Food in 25 Paesi africani e rappresenta il raggiungimento di un obiettivo complicato da realizzare anche nel Nord del mondo: le regole che i produttori

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devono osservare sulla qualità dei prodotti, la stagionalità, la distanza dei luoghi di produzione, l'equità sociale sono stringenti” aggiunge Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biovidersità. "È inoltre la testimonianza della vitalità e della ricchezza della produzione alimentare tradizionale in quest'area". A cadenza mensile, il Mercato della Terra di Maputo porterà nei giardini del Parque dos Continuadores piccoli coltivatori e produttori della provincia mozambicana. In vendita solo prodotti "buoni, puliti e giusti", cioè locali, di stagione e con prezzi equi per chi vende e per

chi compra: ci saranno verdura, frutta, pesce fresco, riso e anche succhi di frutta, confetture e le bajias, le tipiche frittelle di legumi del Mozambico. Per favorire lo scambio di buone pratiche, nei prossimi mesi è in programma una missione in Italia, al Mercato della terra di Bologna, da parte del responsabile del Mercato della terra di Maputo. Il Mercato della terra di Maputo nasce da una collaborazione tra l'ong GVC e Slow Food, nell’ambito di un più ampio progetto di promozione dell’agricoltura sostenibile, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e condotto da GVC con il supporto dell’Unione

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nazionale dei contadini mozambicani Unac, l’ong Essor e l’associazione Convivium Muteko-Waho.

GVC GVC - Gruppo di Volontariato Civile è una organizzazione non governativa laica e indipendente, nata a Bologna nel 1971. Sin dalla fondazione opera per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni nei Paesi in via di sviluppo attraverso progetti di cooperazione internazionale e azioni di pace e solidarietà. Gvc è presente in 24 Paesi di Asia, Africa sub-sahariana, Vicino e Medio Oriente,

America Latina e Europa, con interventi nel settore della salute, dell’educazione, della nutrizione, dello sviluppo socio-economico e rurale e della ricostruzione post emergenze, realizzati da 70 cooperanti italiani e da 3.500 operatori locali. Oltre ai progetti di cooperazione internazionale, GVC promuove azioni di advocacy, campagne di informazione e sensibilizzazione sulle problematiche dello sviluppo, in collegamento con il territorio italiano, europeo e dei Paesi in cui è presente.

SLOW FOOD Slow Food è un’organizzazione internazionale

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che si impegna affinché tutti possano conoscere e apprezzare il buon cibo: buono per chi si nutre, per chi coltiva e per l'ambiente. Associazione no profit, lavora per far crescere nelle persone la consapevolezza che le nostre scelte in materia di alimentazione condizionano tutto il sistema. Per Slow Food il cibo di qualità è un diritto di tutti e, conseguentemente, ciascuno di noi ha la responsabilità di salvaguardare il patrimonio di biodiversità, cultura e saperi tramandati che rende l'atto di nutrirsi uno dei piaceri fondamentali dell'esistenza. Grazie ai suoi progetti e alla rete di comunità del cibo di Terra

Madre, Slow Food coinvolge milioni di persone in 150 Paesi. Si ringrazia la GVC per le informazioni e il materiale inviatici.

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NUVOLA di Antonella Silvestri Ho lasciato l’isola Ora Pensieri e fatti tenteranno di cristallizzarmi le ali Ho ritoccato terra Ora Nel diafano sogno della realtà E sono nuvola

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wildlife around the lake Wildlife around the lake. Prendendo spunto dalla ricchissima fauna e flora presente nei dintorni del lago Poelela, proveremo a conoscere meglio le singole specie presenti in questa area naturale ancora intatta.

La Ghiandaia petto lilla

Coracias caudatus (Linnaeus 1766) Classe: Aves Ordine: Coraciformes Famiglia: Coracidae Genere: Coracias Specie: Coracias caudatus Ghiandaia marina pettolilla (Coracias caudatus) La colorazione delle piume degli uccelli è data, a parte rare eccezioni, da una combinazione biochimica di due gruppi di pigmenti (carotenoidi e melanina) e dal fenomeno fisico della riflessione della luce

sulla cheratina, la proteina che è il principale costituente delle piume. In genere i pigmenti donano i colori rossi, gialli e arancioni al piumaggio, mentre la cheratina devia la luce verso l’azzurro ed il verde. Nella ghiandaia marina pettolilla, molto comune in tutta l’Africa Subsahariana, pigmenti e cheratina si combinano: il risultato è una gioia per gli occhi. La Coracias caudatus deve il suo nome scientifico per l’appartenenza all’ordine dei Coraciformes (dal greco kórax (corvo) e dal latino -formis (a forma di)) somiglianza ai corvi e per la sua lunga coda (caudatus). Il suo nome in inglese, Lilac-breasted Roller invece deriva dalle acrobatiche picchiate del maschio, che durante la stagione riproduttiva, si esibisce per attirare la femmina.

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wild life around the lake Purtroppo, come per altre specie, la ghiandaia marina pettolilla è entrata a far parte della IUCN Red List per le specie in via di estinzione e, anche se classificata come LC (rischio minimo), il suo habitat e la sua sopravvivenza sono sempre più a rischio. © Stefano Pesarelli

Guide on Safari Foto di Nunzio De Nigris

AFRICA, EVERYDAY ON THE WILD SIDE.

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Il Samatenje di Sadjungira prima parte Liberamente tratto da una vicenda raccontatami da Vasco Galante di Gianni Bauce tratto da “SOZINHO, Viaggio in Mozambico” Ed. POLARIS

Foto di Gianni Bauce

-“Senhor, l’elicottero è rosso.”- dice Roberto il guardiaparco. -“Lo so …”- mormora l’uomo pensieroso mentre osserva le larghe bande color porpora dipinte sulla grossa libellula d’acciaio. Sa bene che sulla montagna è bandito il rosso, colore di sventura, e che la gente lassù osserva e rispetta le antiche tradizioni. Non sarà un buon biglietto da visita, riflette amaramente, ma quello è l’unico mezzo disponibile e l’uomo non ha tempo da perdere. -“Andiamo!”- esclama. E’ un capo ed è abituato a prendere decisioni.

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Il rombo del rotore riecheggia nella valle, mentre sotto il velivolo distese di foresta e campi coltivati scivolano via veloci. Oltre le cime degli alberi sulle pendici della montagna, il villaggio appare all’improvviso, capanne di legno e paglia, uno spiazzo polveroso, capre che corrono via spaventate, cani che abbaiano e figure umane impietrite ad osservare la macchina volante che si avvicina. L’elicottero rallenta, si libra nell’aria e ruota lentamente su se stesso mentre il pilota valuta la zona di atterraggio, poi con incredibile grazia per un simile mostro metallico, la grande libellula d’acciaio si posa nel mezzo dello spiazzo. La gente fugge al riparo nel turbinio di polvere, foglie e detriti vegetali che avvolge ogni cosa, l’ululato dei rotori diminuisce, le pale rallentano, il portellone si apre e l’uomo balza agilmente a terra. Corre curvo in avanti, uscendo dal turbine delle grosse pale d’acciaio che come gigantesche spade volteggiano minacciose nell’aria. Dietro di lui altri uomini seguono, vomitati dal ventre della libellula d’acciaio. Timidamente, la gente del villaggio inizia ad uscire all’aperto mentre la polvere si deposita a terra con lentezza svelando forme e colori. Un mormorio di malcontento si leva dalla moltitudine, un vecchio malfermo si fa largo tra la folla e inveisce agitando il suo bastone contro la macchina volante. L’uomo dell’elicottero non comprende una parola, ma conosce perfettamente i motivi di tanta indignazione. Afferra il braccio di Roberto il guardia-parco, che parla la lingua locale e lo trascina avanti chiedendogli di tradurre. Si

scusa con la comunità per il colore inopportuno dell’elicottero e assicura che non c’era alcuna intenzione di offendere. Il vecchio ascolta, brontola qualcosa poi se ne va con lo stesso passo incerto col quale era arrivato. Gli animi si placano, ora si può parlare. Nei pressi del villaggio, qui nell’area di Sadjungira, vive un uomo al quale si attribuiscono poteri sovrannaturali, egli può far piovere o far seccare la terra e conosce cose che gli altri uomini non sanno, ha una grande influenza sulla gente della montagna che a lui si rivolge per domandare consigli e previsioni. E’ il capo spirituale della comunità, è il Samatenje. L’uomo dell’elicottero conosce bene il prestigio del Samatenje e si è recato fin quassù proprio per incontrarlo. Ha un progetto ambizioso, far ritornare la montagna alle antiche tradizioni e salvarla in questo modo dalla deforestazione e lo farà attraverso il turismo responsabile, la cui attività d o v r à s o s t i t u i re g r a d u a l m e n t e q u e l l a dell’agricoltura e del taglio della legna. Tuttavia è un concetto troppo difficile da spiegare alla gente della montagna ed è per questo che ha bisogno di qualcuno in grado di comprendere i suoi disegni ed allo stesso tempo di convincere la comunità. Qualcuno intelligente, saggio e con molta influenza. Qualcuno come il Samatenje. L’uomo dell’elicottero chiede di essere condotto da lui. Inizia una lunga trattativa e quando sembra sul punto di ottenere aiuto accade qualcosa di imprevisto.

...continua nel prossimo numero.

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camminando insieme TESTIMONIANZE DAI PROGETTI DI SVILUPPO E COOPERAZIONE TRA ITALIA E MOZAMBICO Questa rubrica, Ideata da Maddalena Parolin e Isacco Rama, è dedicata alla presentazione delle iniziative di cooperazione tra Italia e Mozambico e alle relazioni solidali tra i due paesi. Sono decine le organizzazioni che operano coinvolgendo volontari e professionisti in progetti di sviluppo dal nord al sud del Mozambico, progetti diversi per ambito, dimensioni, caratteristiche, ma tutti accomunati dal desiderio di impegnarsi in un paese giovane ed ancora fragile in tutte le componenti dell'indice di sviluppo

Il programma DREAM in Mozambico Nella regione di Gaza si moltiplicano gli sforzi contro l’HIV di Mira Gianturco

Foto di Mira Gianturco

In un paese come il Mozambico, in pace da oltre 20 anni e in rapida crescita economica, l’infezione da HIV rappresenta ancora uno dei maggiori freni allo sviluppo. Di fronte ad un carico di HIV tra i più alti al

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mondo, crescono gli sforzi del governo per contenere l’infezione; al suo fianco diverse associazioni, tra esse DREAM, programma della Comunità di Sant’Egidio per la lotta all’HIV/AIDS, che per primo ha portato l’eccellenza delle cure nel paese attraverso una rete di 10 centri di salute in diverse aree del paese, che offrono alle persone sieropositive la terapia antiretrovirale, ma anche il monitoraggio di laboratorio, una supplementazione nutrizionale quando necessario, il sostegno psicosociale attraverso l’assistenza domiciliare. DREAM, insieme al ministero della salute mozambicano, sta

implementando un piano di prevenzione materno-infantile dell’infezione da HIV nella regione di Gaza, una delle più colpite del Mozambico. Secondo i dati divulgati dal “Conselho Nacional de Combate à Sida” (CNCS), in Mozambico il 15% delle donne in gravidanza con un’età tra i 15 e i 19 anni vivono con il virus dell’HIV, e possono quindi trasmettere il virus ai loro figli. Secondo l’UNICEF ogni giorno in Mozambico nascono 85 bambini con HIV, e metà di loro in assenza di cure adeguate è destinata a morire entro il secondo anno di vita. Ma questa tragedia si può evitare. Da

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almeno un decennio è stato dimostrato come i farmaci antiretrovirali, somministrati durante la gravidanza, il parto e il periodo dell’allattamento, sono in grado di prevenire il passaggio del virus dalla madre al bambino; tra le donne sieropositive correttamente trattate, meno del 2% trasmette il virus al bambino. In occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS del 2012, il quotidiano d’informazione mozambicana, “Noticias”, riportava la notizia di 10.000 bambini sieronegativi nati da madre HIV+ dal 2002 ad oggi, nell’ambito del programma DREAM in Mozambico. DREAM ha da sempre puntato sulla terapia antiretrovirale a tutte le donne in gravidanza, rispondendo non solo alla domanda sul futuro dell’Africa - far nascere generazioni libere dal virus- ma anche alla drammatica domanda sulla vita di tante madri: terapia antiretrovirale

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vuol dire infatti non solo far nascere bambini sani, ma anche salvare la vita di tante donne e quindi l’estensione a tutto il paese di accesso alle terapie antiretrovirali, a cui ora arriva solo il 51% delle donne HIV positive mozambicane. Un punto focale nella strategia di lotta all’HIV/ AIDS del Mozambico, Una delle aree più colpite dall’epidemia da HIV è proprio la provincia di Gaza, a causa della vicinanza con il Sudafrica e lo Zimbabwe, paesi ad alto tasso di infezione, dove lavorano molti uomini della provincia. Per questo il Ministero della Salute vuole espandere i servizi di prevenzione materno infantile proprio in quest’area. Nella provincia di Gaza, DREAM è attivo dal 2003 nell’ospedale di Chokwe, gestito dalle Figlie della Carità, area che a febbraio dello scorso anno è stata colpita da una terribile alluvione. Anche l’ospedale

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è stato danneggiato, ma soprattutto è stato per mesi il rifugio degli sfollati e ha svolto una preziosa opera di assistenza alla popolazione. Dal marzo 2013 inoltre DREAM ha cominciato a effettuare la prevenzione madre bambino dell’HIV nel centro di salute pubblico di Macia e nel centro di salute pubblico di Chicumbane, due centri rurali molto popolati. Qui si è cominciato ad offrire alle donne in gravidanza e sieropositive la triterapia per tutta la vita, secondo le nuove linee guida nazionali, e la diagnosi precoce per il bambino. Nonostante le molte difficoltà, dovuta alla scarsità di personale rispetto al numero delle pazienti, agli spazi limitati, alle difficoltà di garantire un continuo rifornimento di farmaci, le donne hanno risposto con grande entusiasmo. Vedendo i primi risultati in termini di salute propria e del bambino, cresce la fiducia nel trattamento e nel personale medicosanitario. Sono le donne stesse a incoraggiare le nuove arrivate ad

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affrontare la dura diagnosi di HIV, ma con un messaggio positivo: è possibile vivere bene e avere un figlio sano. Si sono creati gruppi di sostegno di donne che si incontrano periodicamente per condividere le proprie esperienze. Molto apprezzato è stato il lavoro organizzativo dello staff che ha permesso di evitare le rotture di stock nella fornitura di farmaci. Sono già quasi trecento le donne che hanno iniziato la terapia antiretrovirale in questi due centri dal mese di marzo, già i primi bambini sono nati in buona salute; tutto ciò è incoraggiante e fa ben sperare per il futuro del Mozambico dove non nascano più bambini con il virus dell’HIV!

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Ricordi d’Africa...Mozambico di Stefano Zecca

Per uno come me che dell’Africa aveva solo l’esperienza del Marocco, pensare di arrivare in una terra così a sud di questo continente, suscitava quasi il dubbio che non potessi essere all’altezza. Foto di Nunzio De Nigris

Potessi cioè non essere in grado di rapportarmi ad un tipo di vita probabilmente diverso dal mio “stile europeo”.

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Sciocchezze che si sono sgretolate come polvere, quando giunto a Maputo ho potuto assaporare quella piacevole sensazione che si prova quando non ci si sente fuori posto. E’ stato l’inizio di un viaggio dove ho capito che avrei abbandonato quello stile europeo, per muovermi con passi nuovi. Ogni luogo visitato, ogni pezzo di territorio attraversato, ogni spiaggia dove mi sono abbandonato hanno rappresentato una scoperta geografica e storica ma soprattutto un incessante ritrovamento di un me stesso che pensavo aver perduto. Maputo con la sua incredibile storia di rivoluzione tra costruzioni coloniali ed edifici moderni; l’arcipelago di Bazaruto con le sue spiagge bianche e una barriera corallina che osservi rapito come se stessi

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assistendo ad un film, dove i colori della fauna sottomarina sono i protagonisti indiscussi; Tofo e il suo mare dove si aggira lo squalo balena, visto da tanti ma da altri no, rendendolo quasi un’elettrizzante leggenda della zona; i pescatori nelle loro piccole barche tra le onde di un mare spesso severo; Inharrime e tanti altri villaggi, dove i mercati pulsano di una vita che va aldilà del semplice vendere e comprare ma dove avverti uno scambio continuo tra sguardi, volti, sorrisi e intese che superano il denaro;

E il lago Poelela, grande come un mare e con la sua spiaggia bianchissima sulla quale lasciarsi ipnotizzare dal tramonto di un sole che hai sempre sognato, mentre il silenzio intorno ti fa capire quale pace stavi cercando. Lo stesso lago e la stessa spiaggia da dove una notte ho guardato sbalordito le stelle così vicine che mi sembrava volessero cadermi addosso, ed una luna così intensa e a v v o l g e n t e d a f a r m i s p e r a re c h e m i inghiottisse, per poter fermare quel momento così unico.

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le ricette di Arminda Questa rubrica propone le ricette mozambicane preparate da Arminda la cuoca del Sunset Restaurant, Lagoa Poelela Resort.

Galinha à Zambeziana Pollo

Preparazione:

Questo piatto é tipico della provincia di

Preparazione del latte di cocco Grattugiate la noce di cocco dopo aver tolto la scorza scura legnosa e impastatela con due litri di acqua tiepida aggiunta poco a poco. Strizzate la polpa di cocco e filtrate il liquido così ottenuto attraverso un setaccio.

Zambesia. Il pollo (frango o galinha), è sicuramente uno dei piatti preferiti dai mozambicani. Chi si ferma a Maputo per qualche giorno non può certo rinunciare al piacere di gustare questa pietanza in uno dei tanti ristorantini della Feira Popular oppure al Piri Piri nell’Avenida 25 de Junho. Le alte palme da cocco che caratterizzano il paesaggio della provincia di Zambezia forniscono quindi l’ingrediente principale della cucina locale. Un piatto così popolare non poteva mancare tra le specialità di Arminda.

Ingredienti per 4 persone:

Preparazione del pollo Pulite e sgrassate i polii, lavateli e lasciateli scolare. Schiacciate in un mortaio l’aglio, il piri piri e il sale. Ponete i polli in un vassoio e conditeli con l’aglio e il sale triturato a cui avete unito le foglie di alloro lasciate intere. Versate la metà del latte di cocco sui polli e lasciate riposare per una mezz’ora. Unite il resto del latte di cocco all’olio, lo utilizzerete durante la cottura al forno. Fate grigliare lentamente i polli nel forno in un tegame antiaderente irrigando un po’ per volta con il latte di cocco e l’olio fino alla loro completa cottura (un’ora circa). Buon appetito!

2 polli da 1 kg cad. 1 cocco 6 spicchi d’aglio 2 foglie di alloro 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva 2 lt di acqua peri-peri q.b. sale q.b.

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"Honeymoon" Immagini di Francesca Guazzo Questo viaggio virtuale è un regalo per coloro che sognano il proprio matrimonio o viaggio di nozze in luoghi esotici dalle magiche atmosfere.

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