Miti romani

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ISBN 978-88-9047-739-3

9 788890 477393


Š 2013 laNuovafrontiera ISBN: 978-88-9047-739-3 Stampato nel mese di settembre 2013 da Litograf Editor - Città di Castello (PG) www.lanuovafrontierajunior.it


Miti romani Raccontati da Carola

Susani con illustrazioni di Rita Petruccioli

laNuovafrontiera junior



Miti romani / INDICE Introduzione

Pag. 11

I. Le origini • Giano

Pag. 15

• Saturno e l’età dell’oro

Pag. 21

• La virtù di Pico

Pag. 27

• Ercole e Caco

Pag. 33

• Tagete

Pag. 39

II. La fondazione di Roma • Enea

Pag. 47

• La Sibilla Cumana

Pag. 57

• Romolo e Remo

Pag. 61

• Il ratto delle Sabine

Pag. 71

• Numa ed Egeria

Pag. 79

III. La virtus romana • Orazio Coclite

Pag. 91

• Muzio Scevola

Pag. 99

• Clelia

Pag. 107

Le oche del Campidoglio

Pag. 115

I luoghi del mito

Pag. 121



Introduzione

Le storie romane delle origini del mondo, di Roma, dei suoi cittadini sono complesse e misteriose, ce ne sono molte versioni. Mi sono fatta guidare da un bel libro, Miti romani di Licia Ferro e Maria Monteleone (edito da Einaudi). Ne ho approfittato per rileggere contenta Ovidio, Virgilio e un po’ di pagine di Ab Urbe condita (che vuol dire: Dalla fondazione di Roma) di Tito Livio: sono tre autori latini vissuti in età augustea. Ottaviano Augusto fu un imperatore molto amato, fece venir voglia ai Romani di raccontare la storia della loro città e i suoi miti. Ho letto qualche pagina di Dionigi di Alicarnasso. Di Plutarco, ho spulciato la Vita di Romolo e la Vita di Numa dalle Vite Parallele. Dionigi e Plutarco sono greci: Dionigi vive anche lui in età augustea, Plutarco invece scrive molto dopo e sembra quasi che tiri le fila di quello che hanno raccontato gli altri. Poi ho posato i libri, ho lasciato che lavorasse la memoria. Delle storie che mi sembravano più importanti, ho scelto le versioni che mi sembravano più belle e le ho raccontate. Carola Susani

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I. Le origini



Giano

rima dell’inizio. Prima dell’inizio? Strana storia. Sai immaginare qualcosa prima dell’inizio? Dicono i Romani che prima dell’inizio c’era il Caos. Ora, tu il caos lo conosci. Com’è la tua stanza dopo dieci ore di giochi ininterrotti, quando le lenzuola e i vecchi cappotti, le figurine, le barbie rotte, i materassi, i cuscini, le tele e i pennelli si sono mescolati fino al punto che pare impossibile ritrovino ciascuno il proprio posto? Ecco, così era il Caos. E in più le forze erano in lotta fra di loro. Che forze? Possiamo chiamarle Zam, Bing, Ban, Rot, Ruz; potete chiamarle anche voi come vi pare, perché a quel tempo (che tempo? non c’era neanche il tempo) non c’era ancora nessuno a dargli un nome. Fumo, colori, suoni: non era possibile distinguere una cosa dall’altra. C’era un frastuono da spaccare i timpani. Per fortuna nessuno aveva

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Giano

i timpani. Non c’era, in effetti, neanche un cane, neanche un ragnetto o un mezzo umano. Che noia doveva essere il Caos, se ci pensi. In compenso c’era un contrasto tra luci e ombre che avrebbe accecato un falco. Per fortuna nessuno aveva gli occhi e in tutto il Caos non c’era neanche un falco. Ma c’era un dio. Lui le orecchie le aveva. Pare ne avesse addirittura quattro, e quattro occhi, due per ogni faccia. Aveva una faccia davanti e una dietro, al posto della nuca: una faccia per il prima e una per il poi. Cioè, in effetti, non aveva nuca. Però che avesse due facce s’è detto più tardi. Allora non si può dire che aspetto avesse, possiamo immaginare fosse caotico, come tutto il resto. Lo chiamarono Giano. Giano, il dio delle porte, dell’inizio, dei passaggi: un dio portinaio, un dio portiere che parava bene ma lasciava passare qualche palla. Si mise in mezzo al Caos come un setaccio, o meglio, come uno stampo per il pongo, e passando attraverso lui iniziò il mondo: ogni cosa si ordinò e trovò il suo posto. L’aria leggera salì in alto, gli elementi pesanti caddero verso il basso, si addensarono e si attrassero. Le acque si misero a scivolare sulla superficie di questa novità che era la terra. I pesci presero a nuotare nelle nuove acque, gli uccelli sfrecciarono nel cielo che prima neanche c’era, gli dei si insediarono da qualche parte in alto, e sui prati e nei boschi scorrazzarono le bestie. Dagli e dagli si fece viva anche la gente. E non appena ci fu al mondo un po’ di

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Giano

movimento, Giano trovò il suo posto su una collina boscosa, quaggiù nel Lazio che ancora non aveva preso nome, ed era là quando gli abitanti delle origini impararono a rispettare gli dei e ad avere cura dei morti. Gli abitanti delle origini, gli Aborigeni, erano uguali a noi, né più né meno, anche se pare spuntassero da soli come gemme dalle querce, un po’ legnosi forse, pezzi di legno tali e quali a come – qualche millennio più in là – sarà Pinocchio. Giano, a cavalcioni della porta dell’inizio, li guardava: da un lato erano ancora teste di legno; dall’altro erano eleganti, saggi, persone di mondo. Sotto lo sguardo sornione dei suoi quattro occhi, la vita regolata ebbe inizio.

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Miti romani

Il colle dove Giano piantò le tende, e dove forse ancora puoi incontrarlo, i Romani lo chiamarono Gianicolo. Adesso è un giardino ben curato, da lassù si vede tutta Roma. Ci soffia un venticello antico, lo stesso vento che soffiava allora. Allora, però, il colle era selvaggio e tutt’attorno si stendevano boschi, e dentro i boschi, insieme ai cinghiali, alle lepri, alle ghiandaie, vivevano creature speciali. Alcune erano fanciulle, divinità minori protettrici della natura e delle fonti. Attorno a loro giravano tipi poco rassicuranti: umani dalla vita in su, dalla vita in giù caprini, i Fauni. Qualcuno anzi ha detto che erano loro, metà esseri umani metà bestie, gli autentici abitanti dell’inizio. Se si pensa alle origini, spesso viene in mente che eravamo così, un po’ umani e un po’ no, né carne né pesce. Dicono che la vita laggiù dentro i querceti fosse una corsa, i Fauni rumorosi inseguivano sbavando le fanciulle, che a volte ridevano, a volte proprio non ne voleva-

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Giano

no sapere, a volte si lasciavano acchiappare. Se si lasciavano acchiappare, di lì a poco vagiva una creatura. A questo stile di vita, Giano guardava sorridendo. Lo sapeva che non sarebbe durato per sempre, ma non era un orso, gli piaceva godere dello spirito dei tempi, così si mise anche lui a rincorrere fanciulle. Doveva essere simpatico, perché le ragazze ridevano, si nascondevano con lui nell’ombra dolce tra l’elleboro e la roverella. Con Camese, sul Gianicolo, il dio ebbe dei figli: il più famoso è Tiber, il dio del fiume, quel grande fiume biondo-verdastro che scorre sotto il colle. Con Venilia generò Canente, una fanciulla divina dal bellissimo canto. Con Giuturna mise al mondo Fons, dio delle fonti. I Romani erano fissati con le acque: cascate, laghi, pozzi, terme. Sembra che non facessero altro che bagnarsi: avevano capito che senz’acqua non c’è niente, né vita umana, né bestie, né piante. I pozzi, le fonti, persino le pozzanghere, dovunque ci fosse un ruscello o uno specchio d’acqua, là c’era pure la sua balia divina.

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NELLA STESSA COLLANA Re Art첫 e i cavalieri della Tavola Rotonda Le Mille e una Notte Miti greci da Crono ai figli di Zeus


ISBN 978-88-9047-739-3

9 788890 477393


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