Volti nella folla / Estratto

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Elisa Tramontin è nata a Belluno ma vive e lavora a Roma. Laureata in Lingue e Letterature Straniere a Bologna, dal 2005 collabora con diverse case editrici e si occupa di traduzione e sottotitolazione di film e documentari. Per laNuovafrontiera ha tradotto Mario Benedetti, Fernando Aramburu, Antonio Dal Masetto, Lucía Puenzo e Sergio Álvarez.

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na giovane donna vive a Città del Messico con due figli piccoli e un marito che forse la tradisce. Tra giocattoli dimenticati e calzini scompagnati, si sente mancare l’aria e inizia a scrivere “un romanzo silenzioso per non svegliare i bambini” in cui rievoca la sua giovinezza a New York, la vita spensierata e libera di quando si ubriacava di poesia e frequentava uomini eccentrici. Dalla sua penna però emerge con forza anche la figura di un poeta conosciuto tra gli scaffali della biblioteca dell’università, un artista romantico che ha sfiorato García Lorca, tradotto Emily Dickinson e applaudito Duke Ellington nei bar fumosi di Manhattan. Le presenze del passato come ombre sfuggenti s’incontrano e si spiano in un mondo all’apparenza sospeso mentre una domanda s’insinua: quante vite e quante morti ci sono in una sola esistenza?

«C’è in queste pagine, nella loro maestosa ironia, qualcosa che ricorda Saul Bellow e, soprattutto, il padre della nouvelle vague latina, Roberto Bolaño.» Livres Hebdo «Volti nella folla è un romanzo con una prosa esatta che echeggia di romanzi, saggi e movimenti di danza e che ha il passo circospetto e avvincente di chi sta cercando qualcosa.» Chiara Valerio, Il Sole 24 Ore «Magistrale.» The Paris Review ISBN 978-88-8373-295-9

ISBN 978-88-8373-295-9

€ 16,50

9 788883 732959

www.lanuovafrontiera.it

Luiselli Volti nella folla

Valeria Luiselli è nata nel 1983 a Città del Messico ma è cresciuta in Sudafrica. Ha collaborato con giornali e riviste come The New York Times, The New Yorker, Granta, McSweeney’s, Letras Libres, Etiqueta Negra e Internazionale. Con laNuovafrontiera, oltre a Volti nella folla, ha pubblicato Carte false.

Valeria Luiselli Volti nella folla romanzo

«Sapevo che non era molto sensato riporre alcun tipo di fiducia negli oggetti e che non appena ci abituiamo alla presenza silenziosa di una cosa, questa si rompe o sparisce. Anche i legami con le persone che mi circondavano erano segnati da questi due modi della temporaneità: rompersi o sparire.»



Valeria Luiselli Volti nella folla romanzo

Traduzione dallo spagnolo (Messico) di Elisa Tramontin


Della stessa autrice: Carte false

Titolo originale: Los ingrávidos © Valeria Luiselli, 2011 Obras by Gilberto Owen, © 1979, 1996. Reprinted by permission of Fondo de Cultura Económica. Personae by Ezra Pound, © 1926. Reprinted by permission of New Directions Publishing Corp. © La Nuova Frontiera 2015 Via Pietro Giannone, 10 - 00195 Roma ISBN 978-88-8373-295-9 La presente traducción fue realizada con sustento del Programa de Apoyo a la Traducción de Obras Mexicanas a Lenguas Extranjeras (ProTrad) La presente traduzione è stata realizzata con il sostegno del Programma di Aiuto alla Traduzione di Opere Messicane verso Lingue Straniere (ProTrad)

Illustrazione in copertina di Gaia Stella Progetto grafico di Flavio Dionisi www.lanuovafrontiera.it www.facebook.com/nuovafrontiera www.twitter.com/nuovafrontiera


Ad Ă lvaro



Attento! Se giochi ai fantasmi, puoi diventarlo anche tu. Anonimo, La Cabala



Il bambino mi sveglia: «Sai da dove vengono le zanzare, mamma?» «Da dove?» «Dalla doccia. Di giorno stanno nella doccia e di notte ci pungono.» * Tutto iniziò in un’altra città e in un’altra vita. Non posso scrivere quindi questa storia come vorrei, come se stessi ancora lì e fossi soltanto quell’altra persona. Faccio fatica a parlare di strade e di volti come se li stessi vedendo ancora ogni giorno. Non trovo i tempi verbali adatti. Ero giovane, avevo le gambe forti e magre. (Avrei voluto iniziare come finisce Festa mobile di Hemingway.) * In quella città vivevo da sola in un appartamento quasi vuoto. Dormivo poco. Mangiavo male e sempre le stesse cose. Vivevo una vita semplice, abitudinaria. Facevo letture e traduzioni per una piccola casa editrice specializzata nel Volti nella folla

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recupero di “perle straniere”. Nessuno le comprava perché erano destinate a una cultura insulare in cui la traduzione è guardata con sospetto. Ma mi piaceva il mio lavoro e per un periodo credo di averlo fatto bene. Il giovedì e il venerdì facevo ricerche in biblioteca, da lunedì a mercoledì andavo in ufficio. Era un luogo piacevole, accogliente e, per di più, si poteva fumare. Tutti i lunedì arrivavo presto e piena di entusiasmo, con un bicchiere colmo di caffè. Salutavo Minni, la segretaria, e poi il chief editor, che era l’unico editor ma era il chief. Si chiamava White. Mi sedevo alla scrivania, rollavo una sigaretta di tabacco e lavoravo fino a notte fonda. * In questa casa viviamo in due adulti, una neonata e un bambino medio. Diciamo che è il bambino medio perché sebbene sia il più grande dei due, lui insiste a dire che è ancora medio. E ha ragione. È il più grande, ma è piccolo, quindi è il medio. Qualche giorno fa, scendendo le scale, mio marito ha calpestato uno scheletro di dinosauro ed è successo un cataclisma. Pianti, urla, tremori: il dinosauro non era riparabile. «Adesso il T-Rex è inriparabile» diceva il bambino tra i singhiozzi. A volte ci sentiamo come due Gulliver paranoici che camminano eternamente in punta di piedi per non svegliare nessuno, per non calpestare nulla d’importante e fragile. * D’inverno imperversavano le bufere di vento. Ma mettevo le minigonne perché ero giovane. Ai miei amici scrivevo lettere in cui raccontavo delle mie passeggiate, delle mie gambe avvolte da calze grigie; del mio corpo infagottato in un cap10

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potto rosso dalle tasche profonde. Scrivevo lettere sul vento freddo che accarezzava quelle gambe e paragonavo l’aria gelida ai peli ispidi di un mento rasato male, come se l’aria e due gambe grigie che camminano per strada fossero materiale letterario. Quando si è vissuti da soli per tanto tempo, l’unico modo per appurare che si continua ad esistere è articolare le attività e le cose con una sintassi facilmente condivisibile: questa faccia, queste ossa che camminano, questa bocca, questa mano che scrive. Ora scrivo di notte, quando i due bambini dormono ed è lecito fumare, bere e far entrare la corrente d’aria. Prima scrivevo sempre, a qualsiasi ora, perché il mio corpo mi apparteneva. Le mie gambe erano lunghe, forti e magre. Era giusto offrirle: a chiunque, alla scrittura. * In quell’appartamento c’erano solo cinque mobili: letto, tavolo da pranzo, libreria, scrivania e sedia. La scrivania, la sedia e la libreria, in realtà, erano venute dopo. Quando mi ero trasferita lì, avevo trovato solo un letto e un tavolino pieghevole di alluminio. C’era anche una vasca incassata. Ma non so se considerarla un mobile. A poco a poco, lo spazio aveva cominciato a riempirsi, anche se erano sempre oggetti di passaggio. Durante il fine settimana i libri della biblioteca formavano una torre accanto al letto e sparivano il lunedì successivo, quando li portavo in casa editrice per schedarli. * Un romanzo silenzioso, per non svegliare i bambini. Volti nella folla

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* A volte compravo il vino, anche se la bottiglia non durava neanche una serata. Duravano un po’ di più il pane, la lattuga, i formaggi, il whisky e il caffè, in quest’ordine. E ancora un po’ di più l’olio e la salsa di soia. Ma le penne e gli accendini, per esempio, andavano e venivano come adolescenti cocciuti che s’impuntano a dimostrare la loro incontenibile determinazione e assoluta autonomia. Sapevo che non era molto sensato riporre alcun tipo di fiducia negli oggetti e che non appena ci abituiamo alla presenza silenziosa di una cosa, questa si rompe o sparisce. Anche i legami con le persone che mi circondavano erano segnati da questi due modi della temporaneità: rompersi o sparire. L’unica cosa che rimane di quel periodo sono gli echi di alcune conversazioni, una manciata di idee ricorrenti, poesie che mi piacevano e che leggevo e rileggevo fino a impararle a memoria. Tutto il resto è un’elaborazione posteriore. I miei ricordi di quella vita non possono contenere molto di più. Sono impalcature, strutture, case vuote. * In questa casa tanto grande non ho un posto dove scrivere. Sulla mia scrivania ci sono pannolini, macchinine, Transformers, biberon, sonagli, oggetti che ancora non riesco a decifrare. Cose minuscole occupano tutto lo spazio. Attraverso il salotto e mi siedo sul divano con il computer in grembo. Il bambino entra in salotto: «Che stai facendo, mamma?» «Scrivo.» «Scrivi un libro e basta?» 12

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«Scrivo e basta.» * Ai romanzi serve ampio respiro. Questo vogliono gli scrittori. Nessuno sa esattamente cosa significhi, ma tutti dicono: ampio respiro. Io ho una neonata e un bambino. Non mi lasciano respirare. Tutto ciò che scrivo è – deve essere – di scarso respiro. Ho poca aria. * «Anch’io scriverò un libro» mi dice il bambino mentre prepariamo la cena e aspettiamo che il papà torni dall’ufficio. Suo papà non ha un ufficio, ma ha molti appuntamenti di lavoro e a volte dice: “Vado in ufficio”. Il bambino dice che suo papà lavora al lavoratorio. La neonata non dice nulla, ma un giorno dirà pa-pà. Mio marito è un architetto. Sta progettando la stessa casa da quasi un anno ormai, senza sosta, con modifiche che sono, a mio parere, impercettibili. La casa verrà costruita a breve a Filadelfia, dove mio marito invierà i progetti definitivi. Nel frattempo, si accumulano sulla sua scrivania. A volte li sfoglio, fingendo interesse. Ma non è facile immaginare di che si tratta, è difficile visualizzare in tre dimensioni tutte quelle linee. Anche lui sfoglia le cose che scrivo io. «Come si intitolerà il tuo libro?» chiedo al bambino. «Papà torna sempre arrabbiato dal lavoratorio.» * In questa casa la luce salta. Bisogna cambiare i fusibili molVolti nella folla

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to spesso. Questa è una parola recentemente acquisita nel nostro vocabolario quotidiano. La luce salta e il bambino dice: «Si sono fusolati i fusibili.» Non credo che ci fossero fusibili in quell’appartamento, in quell’altra città. Non ho mai visto il contatore, non è mai saltata la luce, non ho mai cambiato una lampadina. Erano tutti neon: duravano per sempre. Uno studente cinese viveva nella finestra di fronte. Studiava fino a tardi sotto una luce fioca; anch’io leggevo fino a tardi. Alle tre di notte, con precisione orientale, spegneva la luce della stanza. Accendeva la luce del bagno e, quattro minuti dopo, la spegneva di nuovo. Non accendeva mai quella della camera. Faceva i suoi rituali intimi al buio. Mi piaceva fantasticare sul cinese: forse si spogliava per infilarsi sotto le lenzuola, forse si toccava, forse lo faceva sotto le coperte o in piedi vicino al letto; mi chiedevo come fosse la punta del pene di quel cinese; se pensasse a qualcosa o se osservasse me, che fantasticavo su di lui dalla mia cucina. Quando terminava la cerimonia notturna, spegnevo la luce e uscivo di casa. * Ci piace pensare che in questa casa ci sia un fantasma che ci accompagna e ci osserva. Non lo vediamo, ma crediamo che sia apparso qualche settimana dopo il nostro trasferimento. Io ero grassissima, ottavo mese di gravidanza. Praticamente non mi muovevo. Mi trascinavo come un leone marino sul pavimento di legno. Spacchettavo scatoloni di libri e li sistemavo in torri in ordine alfabetico. Mio marito e il bambino li riponevano nelle librerie appena verniciate. Il fantasma buttava giù le torri. Il bambino lo battezzò FacciaSìFacciaNo. «Perché FacciaSìFacciaNo?» 14

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«Perché ha una faccia e non ce l’ha, mamma.» Il fantasma apre e chiude le porte. Accende la stufa. È una casa con una stufa enorme e tante porte. Mio marito dice al bambino che il fantasma fa rimbalzare una pallina contro la parete, e il bambino si spaventa da morire e va subito a rannicchiarsi tra le braccia di suo padre, finché lui non giura che stava solo scherzando. A volte, mentre io scrivo, FacciaSìFacciaNo culla la bambina. Questa cosa non spaventa né me né lei, e sappiamo che non è uno scherzo. Lei è l’unica a vederlo veramente, sorride al vuoto con tutta la grazia di cui è capace. Sta per spuntarle un dente. * In questo quartiere il venditore di tamales passa alle otto di sera. Usciamo di corsa a comprare cinque, sei tamales dolci. Io non esco, ma gli fischio dalla porta di casa, infilandomi due dita in bocca, e mio marito corre fuori a raggiungerlo. Quando torna, mentre scarta i tamales, dice: «Ho sposato una donna che sa fischiare.» I vicini passano davanti alla nostra finestra, ci salutano. Anche se siamo appena arrivati, sono gentili con noi. Si conoscono tutti. La domenica mangiano insieme nel cortile. Ci invitano, ma noi non ci uniamo al banchetto; li salutiamo dalla finestra del salotto e auguriamo loro una buona domenica. È un insieme di case vecchie, tutte un po’ fatiscenti o sul punto di crollare. * Non conoscevo né parlavo con nessuno in quell’altro quartiere, in quell’altra città, anche se una volta avevo avuto una conversazione illuminante con il portiere di notte che lavoraVolti nella folla

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va nel palazzo e gli avevo dato ascolto. «Più notti trascorriamo altrove» aveva detto, «camere di hotel, letti in prestito, divani di sconosciuti, più ci conosciamo. Capiremmo molto di più della vita» continuava, «se solo ci guardassimo più spesso in specchi di bagni diversi, se ci lavassimo i capelli con lo shampoo di qualcun altro, o appoggiassimo la testa sui loro cuscini, di tanto in tanto.» Comunque, mi ero organizzata per tornare a casa solo per mangiare, farmi un bagno e leggere; quasi mai per passarci la notte. Non mi piaceva dormire da sola nel mio appartamento. Preferivo prestare la casa a conoscenti e cercare altre stanze, poltrone in prestito, letti altrui in cui trascorrere la notte. Distribuii copie delle mie chiavi a molta gente. In molti mi diedero copie delle loro. *

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Elisa Tramontin è nata a Belluno ma vive e lavora a Roma. Laureata in Lingue e Letterature Straniere a Bologna, dal 2005 collabora con diverse case editrici e si occupa di traduzione e sottotitolazione di film e documentari. Per laNuovafrontiera ha tradotto Mario Benedetti, Fernando Aramburu, Antonio Dal Masetto, Lucía Puenzo e Sergio Álvarez.

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na giovane donna vive a Città del Messico con due figli piccoli e un marito che forse la tradisce. Tra giocattoli dimenticati e calzini scompagnati, si sente mancare l’aria e inizia a scrivere “un romanzo silenzioso per non svegliare i bambini” in cui rievoca la sua giovinezza a New York, la vita spensierata e libera di quando si ubriacava di poesia e frequentava uomini eccentrici. Dalla sua penna però emerge con forza anche la figura di un poeta conosciuto tra gli scaffali della biblioteca dell’università, un artista romantico che ha sfiorato García Lorca, tradotto Emily Dickinson e applaudito Duke Ellington nei bar fumosi di Manhattan. Le presenze del passato come ombre sfuggenti s’incontrano e si spiano in un mondo all’apparenza sospeso mentre una domanda s’insinua: quante vite e quante morti ci sono in una sola esistenza?

«C’è in queste pagine, nella loro maestosa ironia, qualcosa che ricorda Saul Bellow e, soprattutto, il padre della nouvelle vague latina, Roberto Bolaño.» Livres Hebdo «Volti nella folla è un romanzo con una prosa esatta che echeggia di romanzi, saggi e movimenti di danza e che ha il passo circospetto e avvincente di chi sta cercando qualcosa.» Chiara Valerio, Il Sole 24 Ore «Magistrale.» The Paris Review ISBN 978-88-8373-295-9

ISBN 978-88-8373-295-9

€ 16,50

9 788883 732959

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Luiselli Volti nella folla

Valeria Luiselli è nata nel 1983 a Città del Messico ma è cresciuta in Sudafrica. Ha collaborato con giornali e riviste come The New York Times, The New Yorker, Granta, McSweeney’s, Letras Libres, Etiqueta Negra e Internazionale. Con laNuovafrontiera, oltre a Volti nella folla, ha pubblicato Carte false.

Valeria Luiselli Volti nella folla romanzo

«Sapevo che non era molto sensato riporre alcun tipo di fiducia negli oggetti e che non appena ci abituiamo alla presenza silenziosa di una cosa, questa si rompe o sparisce. Anche i legami con le persone che mi circondavano erano segnati da questi due modi della temporaneità: rompersi o sparire.»


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