FERRANDINO: TORNERA’ A GIRARE LA RUOTA?
INTERPORTO: GROSSI DUBBI Anno 41° N° 3 - 1 Marzo 2016 - Euro 2,50
Rivista mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda fondata nel 1975 - Seconda edizione
JURI IMERI
Foto by Enrico Appiani
Candidato del Centro Destra
ERIK MOLTENI
Candidato del Centro Sinistra
Miracol si grida La rievocazione storica e le novità
IL GRUPPO SPORTIVO AVIS
TREVIGLIO VINTAGE 2016
Un piccolo esercito silenzioso
Partita la macchina organizzativa
1 Marzo 2016 - la tribuna - 1
l’Editoriale
RESIDENZA RADAELLI
Gli occhiali di Erik Molteni e la cravatta di Juri Imeri
VIA LOCATELLI - TREVIGLIO www.residenzaradaelli.it
di Roberto Fabbrucci
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Con la candidatura del Centro Destra si completa il quadro elettorale per la competizione di Giugno. Una campagna che vedrà “la tribuna”, così come le altre testate, tirata per la giacchetta, dove ognuno cercherà di trasformare scelte giornalistiche o tecniche in partigianerie, ma siamo pronti!
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on la presentazione di Juri Imeri candidato sindaco di Treviglio, possiamo dire che la campagna elettorale è iniziata, infatti, l’ex maggioranza di Centro Destra, monca di Forza Italia, non si era ancora espressa. Una presentazione non prevista e che ha preso alla sprovvista tutti, “la tribuna” compresa, avvertita ventiquattro ore prima, quindi costretta a rivedere l’impaginazione della rivista già pronta. Un fatto che ha modificato in parte questo numero, ma che diventa l’occasione per ragionare un po’ sul
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&
mestiere di giornalista e sulla percezione dell’obiettività. Parliamo del giornalista, personaggio molto simile agli allenatori del calcio, un mestiere che in Italia sanno fare tutti, soprattutto se la firma in tribunale, ovvero la responsabilità, non è la loro. Il giornalista, secondo costoro, deve essere coraggioso, sagace, critico, pungente e non guardare in faccia a nessuno... Sempre che questo nessuno non sia un loro amico, altrimenti diventi un giornalista di parte, o addirittura un prezzolato. Rammento, a tal proposito, la battaglia contro l’inquinamento delle industrie chimiche fatta da “la tribuna” tra il ’75 e l’85. Appena affrontammo i riversamenti nei fossi e in falda di solventi e vernici degli artigiani del mobile, il giornale ed io fummo additati come amici della Farchemia e del titolare Martino Finotto, «Impegnati a distrarre l’opinione pubblica». Chiaramente, volenti o nolenti, saremo trascinati nella campagna elettorale e dobbiamo prepararci ad
affrontare gli “allenatori” del Bar dello Sport, sapendo che appena saremo in edicola si metteranno in cattedra con il ditino alzato ad insegnarci il mestiere, magari partendo dai due ritratti in copertina. Per esempio, a proposito di obiettività: mettere Erik Molteni vestito casual e con gli occhiali allegri, mentre Juri Imeri appare vestito della domenica, è corretto? Ancora, parlare dei retroscena del Pd e non di quelli dell’ex Pdl è corretto? Vediamo la questione dal punto di vista opposto: mettere in copertina Erik Molteni con giacca e cravatta, scovando a fatica una foto di un matrimonio dove è stato costretto ad indossarla, mentre proporre una foto di Imeri casual, anche quando si sta parlando di lui e presente ad una manifestazione istituzionale, sarebbe corretto? Erik è un ragazzo allegro, si veste così e si fa fotografare così, Juri Imeri, se va in un auditorium o ad una presentazione, si mette la cravatta, non ci piove. Oppure, sarebbe corretto inventarsi un’inchiesta sui retroscena del centro destra per fare a pari con quelli del Pd, quando nessuno ha mai sentito parlare di candidati in competizione con Imeri o conflitti tra gruppi e correnti? Questo tanto per chiarire che l’obiettività non è una scienza. Esiste l’onestà intellettuale, il coraggio di dire le proprie opinioni, di non guardare in faccia a nessuno, soprattutto alle persone a cui ti senti vicino per motivi di amicizia o per legami ideali. L’obiettività cosa è se l’uomo che pensa di esercitarla non è indipendente, onesto nel giudizio e forte delle sue sacrosante opinioni di uomo libero? Dal primo numero del 1975, ma anche dal n° 1 della nuova edizione del 1° Gennaio del 2015, ho scritto e lasciato scrivere quello che mi/ci pareva giusto, non guardando in faccia a nessuno, di destra o di sinistra. Le critiche de “la tribuna” sono arrivate forti e chiare sempre, tanto che le proposte contenute sono diventate parte delle discussioni politiche e ora dei programmi elettorali. Così continuerò a fare per lo spazio di vita che mi sarà concesso, non permettendo mai a nessuno, dicasi nessuno, di tirarmi per la giacchetta.
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Foto di Enrico Appiani
il Sommario
“la tribuna” Autorizzazione Tribunale di Bergamo n° 23 dell’8 Agosto 2003 Anno 41° - Seconda edizione, anno 2° n° 3 - 1 Marzo 2016 Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Amministratore Unico Marco Daniele Ferri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci Coordinamento: Daniela Regonesi Redazione: Daniela Invernizzi, Daria Locatelli, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Lucietta Zanda Collaborano Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Juri Brollini, Hana Budišová, Marco Carminati, Domenico Durante, Fabio Erri, Beppe Facchetti, Federico Fumagalli, Paolo Furia, Daria Locatelli, Gabriella Locatelli Serio, Silvia Martelli, Elio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Chiara Severgnini, Stefano Pini, Tienno Pini, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Romano Zacchetti, Ezio Zanenga Social Media Manager Daria Locatelli Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani, Luca Cesni (Foto Attualità), Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni Laura Borghi, Giulio Ferri, Mirella Mandelli, Ugo Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Antonio Solivari Stampa: Laboratorio Grafico - via dell’Artigianato 48 Pagazzano (BG) - 0363 814652
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06 – 07 “Interporto strategico, forse sì, anzi no” (Daniela Regonesi); “La logica è quella del paesello” (Città dell’Adda). “A volte si fa peccato, ma s’indovina” (Roberto Fabbrucci) 08 – 09 “Imeri: continuità con la Giunta uscente” (Ivan Scelsa) 10 – 11 “Il dietro le quinte di una candidatura” (Giorgio Vailati); “Siparietto dopo il voto per Erik”. 12 – 13 “Beppe Facchetti: oggi la politica è un mondo a parte” (Carmen Taborelli) 14 – 15 “Se Alfredo Ferri fosse stato sindaco”, una sua lettera del 1996 16 – 17 “Donata auto di servizio alla polizia” (Daniela Invernizzi). “Caravaggio: una nuova tangenziale” (Ivan Scelsa) 18 – 19 “La Primavera del Fai sboccia a Rivolta”; “Fai: un appello ai giovani” (Daniela Regonesi) 20 – 21 “Ferrandino: tornerà a girare la ruota?” (Cristina Signorelli). “L’acqua: rete di connessione ecologica” (Daniela Regonesi) 22 – 23 “Sette minuti e arrivi in piazza” (Ivan Scelsa); “Due nuovi centri antiviolenza” (Daniela Invernizzi) 24 – 25 “Il 5 e 6 Marzo torna Miracol si grida” (Daniela Invernizzi). “Il Cardinale Scola sarà a Treviglio” (Carmen Taborelli) 26 – 27 “Allarme arrivano i francesi” (Elio Massimino), “Il Tè al Musei di martedì 16 Marzo” (Amici del Chiostro) 28 – 29 “Già al lavoro per la nuova edizione” (Ivan Scelsa), “Io amo Treviglio” (Daniela Invernizzi) 30 – 31 “Dentro la macchina da presa”. “Gli Amici della Vespa”; “Le novità del Gruppo Meucci” (Ivan Scelsa) 32 – 33 “Giorgio Gaber e il pienone all’Ariston” (Daniela Invernizzi) 34 – 35 “Quando la malattia diventa letteratura”. “Nasce
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Alumni Simone Weil”. “Apprezzatissimo il concerto di San Valentino al Tnt” (Daniela Invernizzi). “Silver: esco tutti i giorni”; “Treviglio: il rock a teatro con gli S.O.S.” (Daria Locatelli). “L’organista Paolo Oreni tra i premiati” (Silvia Bianchera Bettinelli) “Il fantastico delle cose che non ti aspetti” (Daniela Regonesi) “Digitale: in pensione le vecchie lastre” (Daniela Invernizzi). “Il Rotary e le Domeniche della Salute” (Cristina Signorelli). “Scienza e coscienza” (Angelo Sghirlanzoni) “Corriamo e...Siamo felici!”. “Chi vuol essere lieto corra” (Daniela Regonesi) “Da una giungla all’altra” (Daniela Regonesi) “Coop: tra storia e innovazione” (Daria Locatelli). “Ristorante Al Santuario” (Cristina Signorelli) “Il salva Banche o Bail-in”; “Le nuove norme per le banche in crisi” (Cristina Signorelli) “Oasi, una sosta golosa” (Cristina Signorelli) “La Colombo Filippetti di Casirate” (Lucietta Zanda) “I tabacù e il trinciato marciapiede...” (Roberto Fabbrucci) “Le lettere della lontananza” (Carmen Taborelli) “Nel 1992 arriva il maestro Costi” (Romano Zacchetti) “Il piccolo popolo che sconfisse Stalin” (Marco Facchetti) “Roberto Corti, uno dei grand trevigliesi” (Domenico Durante) “Pietro Cattaneo, tipografo ciclista” (Ezio Zanenga). “Quando l’azienda diventa sponsor” (Giovanni Ferrari) Lettere al Direttore. “Un efficace aiuto per evitare le estrazioni” (Studio Dentistico Azzola) La Vignetta di Juri Brollini
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il Commento
Urbanistica/L’argomento che scalda la Lega e il Pd
Interporto strategico, forse sì, anzi no...
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Vidalengo Nuovo porto di Fiume (Rijeka)
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A volte si fa peccato, ma s’indovina
di Daniela Regonesi 00.000 Interporto: mq 1.0
I pareri dei politici in merito al centro di interscambio modale che dovrebbe sorgere tra Caravaggio e Treviglio, ma qualcuno pensa a Cortenuova, ultima idea dopo Montello e Zingonia. E se invece fosse altro, per esempio solo un Pip?
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ono 800.000 mq a Caravaggio più 265.000 a Treviglio: ecco i numeri dell’interporto - previsto nel Ptcp del 2004, recepito a Caravaggio dal Prg del 2005 e dal Pgt del 2013 - divrebbe vedere la luce nel nostro territorio. Cosa ne pensano al riguardo i nostri politici? Abbiamo raccolto i loro diversi pareri, a partire da un punto fermo: si tratta di un intervento necessario. Si esprime così, infatti, Matteo Rossi (Pd), presidente della Provincia: «Il punto di partenza è la necessità di avere un interporto sul territorio provinciale, su questo non ci piove. La mia posizione non è contro, è decisamente favorevole a questa infrastruttura. Se è vero che ci sono, e non ho ombra di dubbio, degli interlocutori privati interessati, per me questa è una cosa positiva per la bergamasca». Gli fa eco Gabriele Riva (Pd), presidente dell’Assemblea dei Sindaci e primo cittadino di Arzago d’Adda: «L’interporto è un’opera strategica per la provincia di Bergamo; sicuramente l’infrastruttura serve, come serve lo scalo merci». Sul dove e come realizzarlo, però, le posizioni si dividono. Per il titolare di via Tasso «la programmazione di questi anni avrebbe dovuto tenere in considerazione anche l’area di Cortenuova e ingaggiare un’interlocuzione con i privati interessati proponendo entrambe le aree, che hanno dei vantaggi sostanzialmente simili e che a Cortenuova vedono, fra l’altro, un’area già urbanizzata». Mentre il suo predecessore, nonché candidato sindaco per la Lega Nord a Caravaggio, Ettore Pirovano, sottolinea come «gli investitori vogliono realizzarlo perché hanno visto che ci sono tutte le infrastrutture ferroviarie e automobilistiche, ci sono già tutte le tangenziali e le rotonde, c’è il terreno predisposto ed è il punto centrale del nord Italia. E non vogliono neanche un centesimo pubblico, hanno deciso che Caravaggio è il posto giusto per fare un centro di interscambio modale». Anche per Juri Imeri - candidato a primo cittadino di Treviglio per la Lega Nord e parte del Centro Destra - l’interporto «sicuramente accentuerebbe l’importanza del nostro territorio nel settore dei trasporti. A livello occupazionale, economico e di valorizzazione del territorio sicuramente ha degli aspetti positivi. A livello di consumo di suolo e di impatto ambientale certamente ha degli impatti, sulla carta,
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più negativi: si tratta di trovare una mediazione. La cosa importante è non fare una valutazione sui principi, ma una valutazione di merito. Meglio esserci e poi poter dire di no, fare delle modifiche, richiedere delle compensazioni per il territorio (così come è stato fatto con BreBeMi per gli altri comuni tranne che a Treviglio) piuttosto che dire no a priori. Che ci sia gente che vuole investire parecchi milioni di euro qui è, comunque, un segnale importante». È una questione da governare anche per Giuseppe D’Acchioli, candidato sindaco con la lista civica Treviglio nostra: «ritengo che sia una opportunità per Treviglio e Caravaggio e ancor di più per tutta l’area che è necessario rappresentare. Il territorio ne verrebbe a beneficiare. Io capisco le opposizioni. Però se la questione si governa, per il territorio è un’occasione di produzione, di lavoro, di dare risposte che da anni si attendono. È importante anche andare a mitigarne l’impatto». «La mia posizione - ribatte Erik Molteni, candidato a Treviglio per il Pd - è quella già espressa dalla Provincia: l’area è ritenuta non idonea per il troppo forte impatto ambientale, in un territorio che ha già dato tanto. Riteniamo più adatta l’area delle ex Acciaierie di Cortenuova, perché già riconvertita e quindi l’impatto ambientale è già stato assorbito. Porterà nuovi posti di lavoro sul territorio ed è un’opportunità strate-
La logica è quella del paesello
Interporto o aspettative tra il locale e il privatistico?
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l problema degli interporti è un tema che appartiene alla pianificazione generale del territorio e andrebbe affrontato a livello di macro aree, quanto meno a livello regionale, ma non a scala inferiore. Nel nord Italia questo tema è stato affrontato dall’Emilia e dal Piemonte che hanno individuato alcune localizzazioni dove concentrare
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gica perché darà la possibilità di dialogare con il quadrante scalo merci di Verona e del Brennero». Riva concorda che «Se serve per un impatto minore sul territorio bergamasco, allora la possibilità di farlo su un’area già urbanizzata, senza rubare ulteriore terreno all’agricoltura né ridurre la qualità della vita nel nostro territorio, l’ipotesi ex Acciaierie è più lungimirante. Con la A35 che ormai collega Romano e Treviglio-Caravaggio in 10 minuti di macchina non si capisce perché debba essere un problema pensare all’interporto a Cortenuova. Il vantaggio sarebbe per tutto il territorio della Bassa, non di un solo comune». A porre l’attenzione sul suo Comune, ed in particolare sui concittadini caravaggini, è Augusto Baruffi, assessore ai Servizi alla persona e candidato con la sua lista civica sostenuta da Forza Italia: «la prima cosa è chiedere ai cittadini se lo vogliono o meno. Si farà il referendum ed ognuno dirà la sua, perché se tocco il territorio e gli “cambio faccia” per sempre devo sentire chi vi abita. La mia opinione di cittadino, come amante del mio paese, è che l’interporto è un grosso strutture di vasta dimensione ben servite da rete ferroviaria ed autostradale. Questo criterio deriva dal principio di tenere sempre più separati i camion dalle auto e dalle aree residenziali. La Lombardia non lo ha fatto e non lo sta facendo, pensando che il problema sia meno importante di quanto non apparisse in passato. Ma è solo diminuita temporaneamente la quantità di merci circolante per via della crisi economica. I valichi svizzeri che porteranno la merce dal nord Europa solo su rotaia stanno per essere ultimati. In assenza di pianificazione regionale i Comuni si sono lanciati a strutturare proprie aree di piccola dimensione, attirati dal gettito degli oneri e dell’ICI/IMU. In questo modo il territo-
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investimento che porta via parecchia terra, porta lavoro ma anche problemi». Gli ribatte Pirovano: «Stiamo lavorando a questo progetto dal 2001, dopo che abbiamo ricevuto nel 1998 i tecnici dell’Alta velocità. Ci sono stati otto anni di tempo per tutti i cittadini per fare le osservazioni e controbattere che non lo volevano. Non l’ha fatto nessuno, neanche quelli che allora erano al governo con me». Ma c’è anche una voce fuori dal coro. È quella di Ivan Legramandi, consigliere comunale della lista civica La tua Caravaggio: «nel 2011 ho eseguito una serie di analisi e presentato delle osservazioni in sede di adozione del Pgt, perché l’interporto risulta inserito nel Ptcp nel 2005, ma non ho mai trovato riferimenti sovraprovinciali: era un consumo di suolo inutile. Un’iniziativa del genere dovrebbe essere corredata da studi, anche economici, sulla sua utilità. Deve esserci un’analisi costi benefici, perché tantissimi interporti sono stati realizzati ma, di fatto, sono inutilizzati o sottoutilizzati: si rischia di fare una grossa colata di cemento senza risultati in termini rio è sempre più intasato di camion, il traffico è rallentato, l’aria inquinata ed il risultato molto negativo. In assenza della Regione, anche la Provincia di Bergamo partorisce risoluzioni improvvisate e frutto di emergenze che sorgono nel tempo. Abbiamo visto in passato la proposta di sostenere il polo di Zingonia con un interporto e più recentemente l’ipotesi di Montello ed ora di Cortenuova , dopo il fallimento del Centro Commerciale Acciaierie. L’ipotesi di Vidalengo, inserita nel PTCP provinciale del 2004 in base ad argomentazioni di carattere generale, ora rivive su aspettative tra il locale ed il privatistico e quindi al di fuori della pianificazione territoriale di ampio respiro che dovrebbe governare questi processi. Città dell’Adda
Sopra l’area prevista per l’Interporto/Piano Insediamenti Produttivi tra Vidalengo e Treviglio. Un milione di mq, 140 campi di calcio di San Siro. Accanto l’ex Presidente della Provincia Ettore Pirovano, sotto il suo successore Matteo Rossi (Pd)
di ritorni occupazionali. Poi, in realtà, a Caravaggio c’è tutto un aspetto tecnico ferroviario che deve essere affrontato: lì vicino c’è sì la linea storica, ma non è automatico il passaggio dalla linea ai binari a servizio dell’interporto. L’interporto, per definizione, è un qualcosa che coinvolge RFI e la Regione, ma anche oltre, perché è un interesse che non è solo legato al comune di Caravaggio o alla Provincia, devono essere coinvolti attori ed Enti che permettono lo scambio di merci su scala molto più ampia. Se fosse realizzato a Cortenuova, l’utilità sarebbe da dimostrare anche in questo caso, ma avrebbe il vantaggio di consumare molto meno terreno agricolo. Obiettivi e motivazioni valide, comunque, non sono riscontrati da nessuna parte». L’interporto, questo sconosciuto.
’interporto, come nei film di Harry Potter, appare, scompare e ritorna: prima a Montello, dopo un po’ di anni a Zingonia, quando Ettore Pirovano è Presidente della Provincia compare stranamente nella sua città, Caravaggio. Poi al suo posto in Provincia ci va Matteo Rossi (Pd), allora lo si localizza a Cortenuova, dove il sindaco è Pd. Che combinazione. Io che di queste cose non so nulla, quando ho visto che tutta la stampa seria ne parlava un giorno sì e uno no, ho drizzato le orecchie e iniziato a telefonare a quanti con gli interporti ci lavorano. Così mi sono fatto un’idea... da ignorante. Le merci partono a Ovest da Genova e a Est da Trieste, porto in crisi per la concorrenza di quello croato di Fiume (Rijeka), che lo scorso anno ha completato il Rijeka Gateway Project, quindi esteso e rafforzato le infrastrutture di stoccaggio e trasporto. Se ne deduce che parte dei container - da qualche tempo e non solo per la crisi generale - non percorrono più la strada ferrata Trieste-Milano. Detto questo, è stato fatto un calcolo delle merci che transitano ora sulla nostra ferrovia, misurato le necessità reali per capire se veramente ha senso mangiarsi un milione di mq (47 campi di San Siro) di terreno agricolo? Poi sono tutti davvero d’accordo, comprese le Ferrovia e la Regione, come si dice? Insomma, a molti vengono i dubbi, si pensa che dietro la favola dell’Interporto si nasconda un Pip (Piano Insediamenti Produttivi), come se di Pip non ce ne fossero abbastanza e i capannoni da vendere e affittare pure. Benissimo, ma perché allora non si parla chiaro? il direttore
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Politica/Il Centro Destra presenta il candidato
Imeri: «Continuità con la Giunta uscente» di Ivan Scelsa
Silente per mesi, la maggioranza che ha retto il Comune ultimamente, convoca una conferenza stampa in dodici ore e presenta il suo candidato. Apertura a Forza Italia ma totale esclusione al gruppo cittadino guidato da Pignatelli
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n sabato di sole in piazza Garibaldi di Treviglio: all’ex Upim –luogo simbolo per la giunta uscente di Centro Destra al governo della Città- si presenta la nuova coalizione per le imminenti elezioni amministrative. Ricordiamolo: nel 2009 la coalizione che appoggiava il Sindaco dimissionario Giuseppe Pezzoni comprendeva anche Forza Italia, poi fuoriuscita in corso di mandato. A tal proposito, i partecipanti alla conferenza non nascondono l’amarezza e la delusione per quell’esodo inaspettato, ognuno di loro ponendo l’accento su un aspetto in particolare, pur senza chiudere le porte al dialogo. Oggi, al suo posto, troviamo Fratelli d’Italia, l’unica delle presenti che con la Lega Nord abbia una rappresentanza nazionale e che governi due Regioni, la Lombardia e la Puglia. Ma facciamo un passo alla volta. Tra il pubblico c’è anche lui, l’ex Sindaco, in silenzio, attento e partecipe. Dribbla con il garbo e pacatezza ogni tentativo della stampa di avere una dichiarazione circa il suo futuro nella compagine. Nulla. Erano in tanti ad aspettarsi una sua dichiarazione. Ancor di più quelli che pensavano sarebbe stato il Vice Sindaco della Città l’alfiere in grado di garantire continuità e coerenza al progetto intrapreso nel quinquennio di governo per raggiungere lo scacco matto elettorale. E le attese non sono state deluse. Accanto a Juri Imeri ci sono Andrea Cologno, capogruppo della lista
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civica Io Treviglio, Basilio Mangano della lista Con Mangano per Treviglio, Valentina Tugnoli, presidente del Circolo Fratelli d’Italia di Treviglio e Francesco Giussani, capogruppo per la Lega Nord. Ad aprire la conferenza è Andrea Cologno, con un richiamo neanche troppo velato alle ultime notizie circa un presunto ammanco nel bilancio comunale che, smentito categoricamente, lascia subito spazio alla soddisfazione per l’ottima percentuale di realizzazione del programma elettorale. “Partecipare per vincere” è l’imperativo utilizzato e ripreso in nome della continuità e della coerenza a cui fanno eco le pa-
servizio fotografico di Enrico Appiani
TREVIGLIO | RESIDENZA MARCONI – Classe B Al tavolo della presidenza Valentina Tugnoli e Francesco Giussani, sopra da sinistra Andrea Cologno, Basilio Mangano e il candidato sindaco Juri Imeri che, nella foto in basso, riceve l’applauso all’annuncio della candidatura
role dell’agguerrito Basilio Mangano. Parla più di tutti l’Assessore ai lavori pubblici, non nascondendo una certa commozione nell’intraprendere la nuova avventura per un percorso importante per la città. Ringrazia Pezzoni, lo fa ripetutamente, in nome dell’efficacia della sua azione politica ed amministrativa. Parla di valori come la lealtà e di ‘politica del fare’. Snocciola un intero mandato alla guida della Città: dalla riqualificazione del centro storico con il rifacimento di via Verga e Sant’Agostino, alla ritrovata piazza Garibaldi e al Museo Verticale. E ancora: la circonvallazione illuminata e la videosorveglianza, il progetto imminente per piazza Setti e l’impegno con i cittadini per rispettare il programma di mandato. L’accento va anche sull’attenzione alla viabilità, ai parcheggi e alle piste ciclopedonali che pongono Treviglio al vertice delle classifiche nazionali dei Comuni adoperatisi in tal senso. E ai lavori per migliori servizi nel quartiere Ovest, anche un accenno al progetto per la frazione Geromina. “Dati che vanno ben oltre le strumenta-
lizzazioni -dice Mangano- a cui vanno sommati anche l’attenzione per il patrimonio comunale e la ristrutturazione degli alloggi popolari (con due milioni di euro di investimenti, di cui uno finanziato dalla Regione) ed il leasing in costruendo per la riqualificazione dell’ex Tribunale di piazza Insurrezione.” La giovane ed entusiasta Valentina Tugnoli, volto nuovo della coalizione, parla di una condivisione di metodo e contenuti nel supporto al candidato sindaco Juri Imeri: lo fa con semplicità, in nome dello stesso ‘spirito del fare’ e di servizio alla cittadinanza che più volte viene citato e che sembra essere per tutti il vero filo conduttore. Il desiderio è quello di interpretare “la buona politica valorizzando storia e tradizioni locali anche con il confronto con gli altri competitor per il bene di Treviglio.” C’è poi la soddisfazione di Francesco Giussani nel presentare un candidato sindaco della Lega Nord. È evidente: trasuda da ogni sua parola. D’altronde lo era anche Giuseppe Pezzoni e bissare l’obiettivo rappresenterebbe un innegabile successo per il partito. L’ultima parola spetta a lui, al candidato sindaco trentatreenne Juri Imeri. Fermo, tutt’altro che intimorito, esprime la soddisfazione ed il senso di responsabilità derivante dal compito affidatogli del quale -lo sottolinea, sente la forza del supporto degli alleati e dell’esperienza maturata nella giunta uscente al fianco di Pezzoni. “Le idee messe in campo sono tutte per una Treviglio sempre più viva, attenta alla sicurezza stradale e ‘valorizzata’, senza spirito reverenziale o il timore di dover dire di no a qualcuno” - ci tiene a sottolineare. “Per il programma elettorale bisognerà attendere la metà di marzo, fino ad allora la coalizione lascerà aperte le porte al dialogo con la cittadinanza per raccoglierne spunti e suggerimenti utili alla crescita. Una campagna elettorale basata sui ‘ faremo’ non possiamo permettercela, conosciamo la macchina amministrativa e l’impegno di tutti è per un programma realizzabile, di basso profilo e soprattutto credibile. Treviglio è bella, è la Città più bella della provincia e l’amministrazione dovrà necessariamente valorizzare questi aspetti.”
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1 Marzo 2016 - la tribuna - 9
L’Eco di Bergamo/La lettera e la fidanzata
Politica/Le difficoltà di una scelta
Il “dietro le quinte” di una candidatura di Giorgio Vailati
Il Pd trevigliese si era proposto di individuare una personalità esterna al partito. Invece si sono accesi scontri al “calor bianco” finiti con l’inaspettata unanimità sulla candidatura Molteni
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10 - la tribuna - 1 Marzo 2016
a vicenda che ha portato il PD di Treviglio a scegliere Erik Molteni come candidato Sindaco alle elezioni di giugno, durata da ottobre a fine gennaio, è stata tormentata, come in parte è comprensibile per quello che al momento è il primo partito della città, anche se i vari passaggi che hanno portato alla scelta del segretario sono stati spesso faticosi da comprendere. Sta di fatto che, dall’iniziale candidatura di tre diversi esponenti – oltre a Molteni, l’avvocato Laura Rossoni, appoggiata dai renziani, e Alberto Vertova, appoggiato dalla sinistra – si è infine arrivati ad una quasi unanimità per Molteni. Come è stato possibile questo “miracolo”? Cerchiamo di interpretare il documento fatto passare dai renziani e che ha consentito l’accordo, cosa di per sé assai anomala, perché di solito un documento lo presenta la maggioranza, o al limite il segretario provinciale se deve mediare, mentre il Sindaco di Arzago Gabriele Riva ha trascorso lunghe ore nel direttivo del Circolo senza mai prendere posizioni precise. L’anomalia si comprenderà meglio scorrendo il testo, che ha praticamente chiuso il candidato Molteni, novello Gulliver, dentro alcune maglie molto strette. Innanzitutto, le premesse, davvero imbarazzanti, perché il documento dice testualmente che si prende atto “delle azioni svolte in questi mesi per l’individuazione di una candidatura a Sindaco della città, e considerato che l’azione svolta dalla segreteria provinciale per portare al voto un non iscritto con autorevole capacità di estendere il consenso e vincere le difficili elezioni del 2016, non ha trovato l’unanime consenso preventivo di tutto il Circolo”. Come a dire: non siamo riusciti a trovare nulla di meglio, per la miopia del Circolo (erano stati interpellati personaggi vari, come il primario Claudio Crescini e il manager milanese della Caritas Giambattista Armelloni) e quindi scegliamo l’unico che c’è, tant’è che subito dopo si aggiunge: “prima di procedere alla votazione sull’unico candidato attualmente disponibile”.
tribuna.tv A questa premessa, non lusinghiera per il candidato e per il segretario provinciale che non è riuscito a convincere nessuno, fanno seguito le condizioni politiche dell’accordo “per le quali chiede al segretario provinciale di esercitare un ruolo di garanzia”. Meglio non fidarsi, insomma, tanto più che subito dopo partono i “paletti”, primo dei quali “la contrarietà a qualsiasi forma di intesa con il centrodestra, sia per il primo che per l’eventuale secondo turno, ritenendo che l’esperimento che ha prodotto l’elezione del Presidente della Provincia nel 2014 non sia ripetibile nelle sedi comunali, pena una confusione di linea, che sarebbe a solo beneficio delle forze populiste in campo”. Perché mai dire questa cosa con questa enfasi, visto che dovrebbe essere ovvio che il centrosinistra non può accordarsi col centrodestra? Evidentemente, perché qualcuno ha sentito puzza di bruciato nelle frequentazioni tra il segretario-candidato e il leader del centrodestra bergamasco, il brignanese Alessandro Sorte, e ancor più per i gossip sui segreti intenti del candidato di Forza Italia Gianluca Pignatelli di chiedere al PD i voti al ballottaggio contro la formazione dei leghisti e dei pezzoniani. E, tanto che c’era, il documento ha preso le distanze dal Presidente della Pro-
La grande questione che spacca sia il Centro Sinistra che Centro Destra è legata ai timori di taciti accordi tra il Pd “bersaniano” di Erik Molteni e Alessandro Sorte, patron di Forza Italia Treviglio
vincia Matteo Rossi, sospettato di essere il patron di Molteni. Ma non è finita. Quando più avanti si chiedono accordi nel centrosinistra, si mette il dito su una piaga, e cioè che Sel aveva chiesto di non candidare il segretario del partito, perché scomodo in quanto tale per un movimento oggi all’opposizione. Per questo, il documento parla di “attuale diffidenza verso candidature troppo marcatamente di partito”. Tornando all’interno, altri paletti: “Conduzione pluralista della campagna elettorale. Proroga del ruolo di garanzia dei tre iscritti che lo hanno svolto in questi mesi dopo la sospensione del segretario in carica”, con tanti saluti al vicesegretario Bonfichi e all’organo di segreteria, e ancora un “finalmente” per auspicare che partito e gruppo consiliare viaggino d’accordo (non come in passato, insomma). E ancora: un’ipoteca innanzitutto “sull’assetto futuro del PD di Treviglio e sulla formazione delle liste”. E qui, la penultima cattiveria: “privilegiando scelte meritocratiche, non familistiche”. Cosa significa “non familistiche”? Questo è davvero un mistero che possono conoscere solo gli addetti ai lavori e non riusciamo a fare ipotesi rassicuranti. A questo punto, era pronto il gran finale: “integrale rinnovamento del gruppo consiliare”, ma qui qualcuno si è ribellato, ottenendo che il concetto fosse attenuato da una “tendenza” verso questo obiettivo. Comprensibile che la capogruppo Ariella Borghi alla fine, solitaria, abbia negato il voto a quello che all’inizio, tre anni fa, era pur stato il suo pupillo, e che l’ex vicesindaco Francesco Lingiardi non abbia votato il documento. Ma alla fine, i paletti sono rimasti, e così il candidato è passato, per la soddisfazione dello stratega renziano, Stefano Sonzogni. Indubbiamente, chi come Molteni ha attraversato una prova del genere senza scomporsi, ha le carte in regola per sgominare gli avversari. Sorte permettendo.
Siparietto dopo il voto per Erik
Il candidato sindaco del Pd e la sua fidanzata esprimono due voti, il 20% dei votanti, ...e L’Eco di Bergamo lo rileva
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entile direttore, desideriamo con la presente segnalarle un episodio di pessimo giornalismo che non rende onore al prestigio e alla serietà della testata che lei dirige, né rende giustizia alla professionalità delle tante persone che vi collaborano. Nel numero odierno de L’Eco di Bergamo, nella sezione Provincia, l’articolo firmato dalla giornalista Benedetta Ravizza riporta dettagli ufficiosi, non verificati né confermati, in merito alle votazioni all’interno del Partito Democratico di Treviglio per la scelta del candidato sindaco. Che colpisce è la sottolineatura su uno dei membri del Coordinamento, “fidanzata”, come dice la giornalista, di uno dei candidati. Tralasciando l’inopportuna incursione nella vita privata del soggetto in questione, più di competenza di rotocalchi di cronaca rosa che del più importante quotidiano della Provincia, appare sconcertante il retropensiero malcelato in questa precisazione buttata lì con nonchalance: una buona metà del genere umano (tra cui la stessa giornalista…) giace in misero stato di minorità – per dirla alla Simone de Beauvoir – e è non capace di giudizio autonomo, ma opera in quanto fidanzata di, moglie di, amante di. Fiumi di inchiostro e fiumi di sangue sono stati versati per contrastare questi avvilenti stereotipi. Eppure dalla forse ingenua necessità della Ravizza di porre
l’accento su questo particolare, dal suo zelo di infarcire il pezzo di informazioni spacciando pettegolezzi per chiavi interpretative fondamentali, emerge come ancora la sensibilità a questi temi abbia scarsamente permeato gli schemi di ragionamento collettivi. Siamo così lontani dal giorno in cui le donne saranno considerate pari agli uomini in termini di diritti, dignità intellettuale, responsabilità, ruoli e autonomia decisionale? Ringraziandola per la cortese attenzione, cogliamo l’occasione per porgerle distinti saluti. Adele Matilde Tura (seguono 14 firme)
La risposta del direttore de L’Eco di Bergamo
Gentili Signore e Signori, grazie per avermi segnalato l’articolo e la vostra preoccupazione che il prestigio del giornale sia in pericolo. Vorrei tranquillizzarvi, ho letto il resoconto incriminato e lo trovo del tutto legittimo e professionale. Attraverso informazioni inconfutabili e qualche retroscena di colore (diceva Montanelli “noi non possiamo servire bistecche senza sale”) trasmette al lettore la verità: una difficoltà oggettiva che le anime del Pd di Treviglio trovano nell’esprimere un candidato sindaco. Non attribuirei al passaggio della “fidanzata” implicazioni sociali o addirittura grottesche volontà oscurantiste sulla parità di genere. Lasciamo Simone de Beauvoir al Café de Flore con Sartre a discettare di esistenzialismo. È semplicemente un effetto contabile: se il 20% dei voti di un candidato risulta essere la somma del suo e di quello della fidanzata, questo è un problema. Per la verità non ci vedo altro. Treviglio è una città importante e il Pd il primo partito italiano e del territorio; stare al centro dei riflettori è una meravigliosa fatica. Il più cordiale dei saluti, Giorgio Gandola Direttore L’Eco di Bergamo
1 Marzo 2016 - la tribuna - 11
Treviglio/Personaggi
2016-03 bozza 1
Oggi la politica è un mondo a parte di Carmen Taborelli
Sfiducia al massimo, consensi al minimo. «Riavvicinarsi alla politica con rispetto e premiare i migliori»: il pensiero, quasi una ricetta, dell’ex deputato Beppe Facchetti, già responsabile nazionale della politica economica del Pli
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S
econdo l’istituto Demos, che opera nell’ambito della ricerca politica e sociale, gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica e dai partiti. Lo scetticismo è imperante. La fiducia nei partiti è scesa ai minimi storici. A preoccupare è anche la celerità nella perdita dei consensi. Infatti, sempre secondo Demos, la credibilità nei partiti si è addirittura dimezzata nell’ultimo quinquennio. È un po’ come dire che i partiti sono in caduta libera. Meglio allora le liste civiche? Che dire poi dell’assenza di ricambio generazionale, che in Italia resta uno dei dati più allarmanti degli ultimi decenni? Assistiamo inoltre a personaggi che invecchiano seduti sugli scranni delle istituzioni, e ad altri che si improvvisano a ricoprire ruoli politico-amministrativi dopo aver mandato in vacanza dignità e rispetto per i cittadini. C’è spazio per la speranza? Per capire le ragioni di tanto malessere ho posto alcuni interrogativi al docente universitario ed ex deputato trevigliese Beppe Facchetti, che, con molta disponibilità, ha risposto così. Il 55% tra i giovani-adulti ritiene che la democrazia, per funzionare bene, non abbia più bisogno dei partiti. Perché tanta sfiducia? «Il discorso sarebbe lungo e affonda in un clima culturale e mediatico che ha generalizzato i difetti e i comportamenti di quelli che della politica hanno profittato. La sfiducia nei partiti è particolarmente acuta nei giovani. È un problema gravissimo, perché la democrazia si alimenta solo con la partecipazione, senza la quale si cade nella personalizzazione e nella sola capacità di star bene in TV, il grande male degli ultimi vent’anni. Si è avviata una spirale sempre più preoccupante: semplificando e volgarizzando tutto - secondo lo schema delle risse televisive - i migliori si sono ritratti, lasciando spazio alle terze file, la cui qualità assai precaria ha motivato ulteriore sfiducia. Così non se ne esce. Un tempo i Consigli Comunali erano un luogo alto di dibattito e di rappresentanza. Oggi, ridotti nella composizione e limitati nei poteri, sono un luogo sconosciuto popolato da sconosciuti. L’acritica condanna della cosiddetta Prima Repubblica ha aperto la strada ad una pessima Seconda Repubblica e sembra impossibile costruire la Terza, quella che recuperi i valori del passato e li adegui
12 - la tribuna - 1 Marzo 2016
(Classe A – 20,15 kWh/m2a) Un olio su tela di Beppe Facchetti realizzato per “la tribuna” dalla pittrice Mariella Mandelli. Sopra gli attivisti del Comitato contro Piazza Setti, un’alleanza trasversale, un po’ il segno delle stravaganza della Seconda Repubblica: Pd, Fi, M5S e altri di destra e sinistra
alla modernità». Sono le liste civiche il futuro? L’elettore tende a preferire chi si pone al servizio della città senza vincoli ideologici e partitici. Beppe Facchetti è stato eletto nel 1983, a 39 anni, deputato al Parlamento (IX legislatura). Consigliere comunale e Assessore alla Cultura a Treviglio (1984/1986), candidato Presidente e capogruppo della Margherita in Consiglio Provinciale (2004/2005). Ha ricoperto cariche di vertice in Eni (membro giunta esecutiva, 1990/1992), in ASM Brescia (vicepresidente, 2005/2007), in Sacis RAI (vicepresidente, 1982/1983). È oggi vicepresidente di Confindustria Intellect, federazione delle associazioni dei servizi alle imprese. Presiede una società di comunicazione di Roma e insegna Comunicazione Integrata all’Università statale di Milano. È editorialista di politica economica de L’Eco di Bergamo.
«Le liste civiche ci sono sempre state, ma erano l’arricchimento che la società civile portava alla politica. Ora che i partiti sono talvolta disposti a non presentare il simbolo, pur di sopravvivere, queste liste sembrano a volte un espediente o addirittura un alibi. E per di più la migliore società civile si ritrae, tenendosi alla larga. È comunque sbagliato pensare che l’assenza di vincoli ideologici e partitici sia di per sé un merito. Talvolta si combattono le ideologie per mascherare solo la mancanza di idee». Chi s’improvvisa “candidato” a ricoprire un ruolo istituzionale è da guardare con sospetto e preoccupazione? «L’improvvisazione è diventata la cifra decisiva, ma come fai a fare il Sindaco, il parlamentare o addirittura il Ministro (salvo tu sia un tecnico e si è visto che i risultati non sono straordinari…), se non hai mai frequentato neppure un giorno un Consiglio Comunale? La politica è un mestiere difficilissimo. Devi conoscerne i meccanismi e devi soprattutto capire lo stato d’animo, la mentalità, le attese, le volontà dei cittadini, delle categorie, delle età. Oggi è il contrario: il candidato non ascolta mai, vince chi sa solo farsi ascoltare. È cosi che vince il populismo». Essere all’opposizione vuol dire mettersi sempre e soltanto di traverso? Le logiche di partito prevalgono sull’onestà intellettuale? Come evitare lo spettacolo penoso del consigliere che abbandona l’aula pur di non votare a favore di una proposta che
oggettivamente è buona, utile, vantaggiosa per la città? «Dire motivatamente di no, rende più nobili i sì che sono talvolta necessari e giusti. Il ruolo dell’opposizione è il più bello che ci sia in politica. Se non lo si capisce non si è adatti ad essere maggioranza. L’opposizione richiede più e non meno preparazione, dedizione, conoscenza delle cose. Occorre una passione speciale e, in un clima in cui si pretende tutto e subito, non è facile capirlo». Il Consiglio comunale come una riproposizione in piccolo del modello parlamentare nazionale? «Se il confronto è sulle idee, perché no? La democrazia rappresentativa è una conquista ottenuta dopo secoli di lotte. Prima di disprezzarla e sostituirla con il click di pochi iniziati, pensiamoci bene. Vale per tutti i livelli e non è una grande idea quella di abolire non le Province ma i consiglieri provinciali, non il Senato ma i senatori». Anche nella nostra città ci sono persone che “siedono” in Consiglio Comunale da molti anni, impedendo, di fatto, il ricambio generazionale. Come superare questa eccessiva “affezione”? «Premesso che tutto dovrebbe dipendere dagli elettori, il ricambio in verità c’è stato, drasticamente e spesso in peggio. Quello generazionale è addirittura fisiologico (come la presenza sempre più numerosa di donne, meglio se senza quote rosa), ma occorre che maturi nell’elettore la capacità di giudicare. La democrazia è bella proprio perché l’eletto deve essere sempre sotto esame». Dott. Facchetti, dopo la diagnosi, quale la cura? «Forse sono stato fin qui troppo pessimista, e vorrei quindi dire qualcosa di positivo. La democrazia dipende dall’impegno di tutti. Cominciando dal livello amministrativo, dove è rimasto il voto di preferenza, basterebbe guardare un po’ più attentamente dentro le liste e premiare non solo i più visibili, ma i migliori. E riavvicinarsi alla politica con rispetto, perché politico è ciascuno di noi, non una casta».
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1 Marzo 2016 - la tribuna - 13
Una lettera del 1996 a “la tribuna”
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T I N T E G G I AT U R E PITTURE DECORATIVE
Referente Medico Struttura: Dott. Stanislao Aloisi (Medico Chirurgo) Supervisore discipline non EBM: Dott. Michele Tumiati (Medico Chirurgo) Referente Discipline Integrate: Simona Ardemagni (Tecnico di laboratorio analisi / Naturopata) Convenzione tecnico-scientifica con l’ambulatorio di Medicina di Base: Dott. Armando Pecis
Se Alfredo Ferri fosse stato sindaco Carmen Taborelli chiese al Presidente della Crat come avrebbe amministrato Treviglio. Rispose con buon senso e visione politica
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14 - la tribuna - 1 Marzo 2016
entile Signora Taborelli, in un recente colloquio Lei mi aveva chiesto una breve intervista per la Tribuna sul tema “Se fossi Sindaco”. Le avevo assicurato una risposta con un appunto scritto perché ritengo la questione molto seria che, quindi, esige risposte conseguenti e non frutto di improvvisazioni o di passatempo. Le ho già accennato che per fare il Sindaco occorrono particolari predisposizioni, che non ho, e una buona preparazione che altrettanto mi manca. Quindi alla Sua domanda non rispondo. Su quanto farei, essendo lontana da me l’idea, mi limito ad esprimerLe quanto, a mio avviso, dovrebbe fare un futuro Sindaco, sempreché venga eletto un nuovo Sindaco, non avendo certamente nulla da suggerire al Sindaco attuale: anzitutto continuare nella attenta politica di commisurazione dei mezzi disponibili in relazione alle cose da farsi per avere un bilancio attivo, creare risorse ed accantonamenti per continuare a far fronte ai progetti in corso e assicurare un futuro alla città. Quindi portare a termine il già importante ed impegnativo programma che l’attuale Amministrazione non potrà che lasciare in parte ai successo-
ri, non potendosi realizzare il tutto in tempi brevi (mi riferisco in particolare ai progetti “mercato ortofrutticolo”, “ex-distretto”, “Upim e piazza centrale”, “piano centro storico”. Sul “mercato ortofrutticolo” consiglierei un ripensamento. Sarebbe buona cosa non costruirvi nulla, ma trasformare l’area in un piccolo parco (con garages sotterranei) a servizio, in particolare, degli abitanti della zona est e sud chiuse nel centro storico, così come è stato fatto nell’area dell’ex-ospedale. Non sarà certo una operazione “economica” ma una operazione volta al futuro, non alla ricerca di un guadagno per l’oggi che si dovrebbe comunque pagare in modo pesante in termini di traffico e congestione per la costruzione di nuovi complessi edilizi destinati a soffocare un anello di circonvallazione già eccessi vamente carico. Questa area appare l’unica rimasta adatta alla creazione di una cintura di verde attorno al Centro Storico. I nostri nipoti ce ne sarebbero certamente grati. Contemporaneamente alla attuazione delle opere già programmate occorrerà con tinuare a pensare agli anziani. In aggiunta al Centro Sociale (ex-distretto) è ormai urgente pensare ad una nuova “Casa Albergo”. Quella vecchia, come sappiamo, ormai non svolge più le funzioni primarie per le quali era stata creata ma è diven tata ospedale per lunghe degenze. La nuova “Casa Albergo” dovrebbe riproporsi
le funzioni originarie, utilizzare come appoggio per le lunghe degenze la casa attuale, e avere una ubicazione la più centrale possibile per permettere agli ospiti, liberi di muoversi, di non perdere i contatti con la Comunità. Andrebbe attuata la politica degli insediamenti produttivi rivolta possibilmente ad aziende a carattere locale, di qualità avanzata e meno di quantità, destinate a conservare qui le loro radici, non ricercando l’insediamento di aziende “anonime”, con centri di gestione lontani, facili a trasferire altrove o peggio a cessare la loro attività in relazione alle loro scelte economiche, magari anche opportune. A Treviglio tali comportamenti, uno è molto recente e ben noto, hanno lasciato strascichi penosi in troppe famiglie. L’edilizia economica popolare e quella cooperativa oggi sono in grave stasi. Costo e scarsità delle aree, peso degli oneri pubblici, bilanci familiari che cominciano a farsi difficili hanno posto un fermo allo sviluppo e l’Amministrazione Pubblica dovrà farsene carico per la sua parte. Una attenzione ai problemi della “Gera d’Adda” cioè a tutto il circostante territorio data la nostra centralità e i comuni interessi della zona. L’elenco dei problemi è certamente ancora molto più lungo ma ne limito l’elencazione a quelli che ritengo prioritari. I mezzi disponibili, se si considera l’attuale indirizzo della politica del governo, non saranno certo abbondanti per il prossimo futuro né tali da permettere ulteriori impegni. Se si vorranno attuare i nuovi programmi i Trevigliesi dovranno darvi anche una più diretta collaborazione. È certamente possibile avviare la raccolta di fondi attraverso l’emissione di obbligazioni. A Treviglio i mezzi disponibili sono abbondanti (basta osservare il numero delle imprese bancarie che vengono continuamente ad installarsi). Occorrerà creare la necessaria “cultura alla partecipazione”, che oggi si ritiene attuata con la sola critica e la contestazione. Con molti cordiali saluti. Alfredo Ferri Treviglio, 12/12/1996
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Treviglio/Comitati spontanei
Infrastrutture
Donata un’auto di servizio alla polizia
Caravaggio: una nuova tangenziale
di Daniela Invernizzi
Dopo aver raccolto 140 mila euro per acquistare due nuove ambulanze alla Cri, il Comitato capeggiato da Enrico Bresciani a raccolto altri fondi e fatto nuove donazioni. L’ultima è una vettura per il Commissariato di Treviglio
I
l Comitato per Treviglio ha raggiunto un altro importante obiettivo: l’acquisto e la consegna di un autovettura da donare al locale commissariato di Pubblica Sicurezza. La donazione è stata possibile grazie a una proficua campagna di raccolta fondi, iniziata nel 2013, che ha portato all’acquisto di due nuove autoambulanze attrezzate per la Croce Rossa Treviglio, nonché alla realizzazione di altri progetti come l’acquisto di divise e tute per i volontari della Cri, di materiale didattico per una scuola in Africa e di aiuto per la casa famiglia di via Portaluppi. Durante la cerimonia di consegna ufficiale dell’auto, avvenuta venerdì 19 febbraio presso la Concessionaria Quadri, alla presenza della stampa locale e dei componenti del Comitato, Laura Crippa, Lino Ronchi e Roberto Fabbrucci, il presidente del comitato Enrico Bresciani ha descritto come è nata l’idea: «Per caso, discorrendo con il dott. Franco Bonacina, abbiamo rimesso in moto la “macchina” del Comitato e della Fondazione Cassa rurale, raccogliendo abbastanza denaro da comprare, grazie alla generosità di imprese e cittadini trevigliesi, un’automobile. L’amico Marcello Quadri, titolare della Concessionaria, ha poi fatto il resto, praticando un cospicuo sconto sul prezzo della vettura». La vettura sarà utilizzata per i servizi in
16 - la tribuna - 1 Marzo 2016
borghese contro furti e rapine, ha specificato il Commissario Angelo Lino Murtas, intervenuto alla cerimonia, durante la quale gli sono state consegnate personalmente le chiavi dell’auto. Murtas ha ringraziato il comitato e tutta la cittadinanza per l’affetto e l’attenzione dimostrate, ribadendo che l’auto sarà molto utile durante le ricognizioni notturne di vigilanza. «Il comitato è pronto a rimboccarsi di nuovo le maniche per servire la comunità in caso di bisogno- ha ribadito il presidente e i cittadini posso stare tranquilli circa la destinazione del loro denaro. Tutte le donazioni vengono versate infatti su un apposito conto, gestito direttamente e esclusivamente dalla Fondazione, voce Comitato, che garantisce la correttezza di tutte le operazioni».
di Ivan Scelsa
Ora sarà più facile arrivare dalla BreBeMi alla Rivoltana, alleggerendo il traffico su Caravaggio
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a tangenziale ovest di Caravaggio: cinque chilometri che collegano la SP 185 ‘Rivoltana’ all’ingresso autostradale della A35, sulla ex statale 11, di fatto nata per snellire il traffico nei tratti urbani di Treviglio e Caravaggio (si spera soprattutto quello dei mezzi pesanti). All’inaugurazione erano presenti tutti: da Alessandro Sorte, Assessore regionale alle infrastrutture all’Assessore regionale all’ambiente energia e sviluppo sostenibile Claudia Maria Terzi e, ovviamente, i sindaci e gli amministratori degli enti locali interessati nella realizzazione dell’opera. Un progetto da 16 milioni di euro realizzato dalla Provincia di Bergamo che ha previsto lungo il suo percorso la realizzazione di 6 rotatorie in corrispondenza di alcune arterie provinciali e comunali, oltre ad un sottopasso in corrispondenza della linea ferroviaria che collega Treviglio a Cremona. Realizzati anche i passaggi ciclopedonali in corrispondenza dei tratti stradali più trafficati. «Un territorio che ha fatto un salto di qualità sin dalla partenza del progetto BreBeMi - dice l’Assessore Terzi - Un grande esempio del gioco di squadra portato a termine, al di sopra delle divisioni e dei contrasti politici». Analogo aspetto sottolineato dal Presidente della Provincia Matteo Rossi.
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Tesori della Gera d’Adda da “ri-scoprire”
La Primavera del Fai sboccia a Rivolta di Daniela Regonesi
Centro Acustico Bergamasco
Presentiamo la proposta annuale del Fondo Ambiente Italiano, impegnato a difendere, valorizzare e far conoscere le bellezze storiche, artistiche e naturali. Anche con l’aiuto di giovani guide: gli studenti
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itroviamo con piacere le professoresse Antonella Annoni Bacchetta, capo delegazione Fai di Treviglio e Gabriella Blini, delegata con incarico per Fai Scuola, per fare il punto della situazione di questi ultimi dodici mesi e per parlare dei programmi futuri. Sul numero di marzo 2015 vi avevamo anticipato quali dimore e siti sarebbero stati aperti e visitabili a Treviglio nelle Giornate Fai di Primavera: ebbene il successo dell‘edizione primaverile e, soprattutto, l’entusiasmo con cui gli studenti dell’I.i.s. Archimede e dell’I.s.i.s Zenale e Butinone si sono preparati ed hanno guidato i visitatori, hanno avuto seguito nelle Mattinate Fai per le scuole. I ragazzi che già avevano fatto da guide e accompagnatori, nel novembre scorso hanno replicato l’esperienza a favore dei compagni di istituto o di altre scuole, permettendo loro di conoscere più approfonditamente il Museo Explorazione e il Polittico di San Martino. «Scegliamo di proporre l’iniziativa agli alunni delle classi intermedie, in modo tale da non disperdere l’investimento formativo e per dare continuità al progetto, che si rivela positivo sia per il coinvolgimento del-
le classi - anche di chi è meno dotato - sia perché i ragazzi si “buttano” e si mettono in gioco» mi spiega la signora Blini. Proposta analoga, quest’anno, è stata presentata alle scuole secondarie di primo grado di Rivolta d’Adda, meta delle aperture di questo mese con il tema Testimonianze di arte e di vita nella campagna lombarda. «L’idea del coinvolgimento delle scuole - mi illustra la signora Bacchetta - è utile perché i ragazzi conoscono il territorio dove vivono e ne scoprono le bellezze, che dappertutto ci sono, ma vanno valorizzate e fatte conoscere; inoltre gli studenti acquisiscono sicurezza e maggiore autonomia e migliorano nell’esposizione orale. Gli “aspiranti ciceroni” sono gratificati: non ci sono voti né graduatorie, nessun timore di giudizio, molta serenità. Non ultimo sono un tramite prezioso per il coinvolgimento anche dei genitori, che con loro imparano a guardare ed osservare il territorio con occhio diverso». L’invito dell’associazione è stato accolto con molto interesse dall’Amministrazione comunale di Rivolta, che si è messa a disposizione - sotto la guida dell’assessore Elisabetta Nava - affinché il pubblico, sabato 19
Non aspettiamo il mese della PREVENZIONE DELL’UDITO il CENTRO ACUSTICO BERGAMASCO offre una serie di vantaggi da non perdere.
e domenica 20, possa scoprire ed ammirare la Basilica di Santa Maria e San Sigismondo (costruita nell’XI secolo in stile romanico), la chiesa di Santa Maria Immacolata (la cui struttura è tipica della tradizione gotica lombarda), l’Oratorio del Paladino (risalente alla seconda metà del 1400) e il fontanile. Rivolta d’Adda fa parte dei 24 Comuni del cremasco riuniti nel Distretto della bellezza, progetto di qualità per l’attrattività del territorio approvato da Regione Lombardia, nell’ambito del Bando DAT (Distretti dell’Attrattività). A coronamento delle giornate domenica
Rivolta - Sabato 19 e domenica 20 Marzo, visite guidate alla Basilica di Santa Maria e San Sigismondo, chiesa di Santa Maria Immacolata, l’Oratorio del Paladino e il fontanile
20 marzo alle ore 17.30, presso la Chiesa di Santa Maria Immacolata, è in programma il Concerto dell’Orchestra Giovanile di Flauti di Treviglio, diretti dai Maestri Maria Cristina Volonterio e Fabio Barnaba. Bel segnale di collaborazione oltre i confini amministrativi e di adesione al motto che contraddistingue Fai Scuola: “Si protegge ciò che si ama, si ama ciò che si conosce”.
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Fai: un appello ai giovani
a delegazione Fai di Treviglio conta 11 delegati e circa 400 iscritti, con una crescita dell’11% rispetto allo scorso anno. Nata nel 2005 come distaccamento da Bergamo - con cui collabora ancora molto proficuamente - conta sull’appoggio e la cooperazione di tante realtà locali, come le scuole, la Pro Loco ed il Museo Explorazione. È aperta a tutti e, in particolare, lancia un appello auspicando che presto si riesca a costituire anche a Treviglio un gruppo FAI Giovani. Si cercano ragazzi, tra i 18 e i 40 anni, che mettano a disposizione in modo volontario tempo, formazione e professionalità, per realizzare eventi e progetti che si trasformino in momenti di convivialità e di riflessione sulla cultura e sull’ambiente. Già presenti in numerose città italiane - il più vicino a noi è a Berga-
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Siamo presenti anche a Romano di Lombardia presso:
mo - i Gruppi coinvolgono le Università e le associazioni di giovani professionisti, per creare una rete nazionale che condivida la mission del FAI, ossia tutelare e valorizzare
il patrimonio artistico e naturale italiano, educare e sensibilizzare la collettività, vigilare e intervenire sul territorio. d. r.
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Gera d’Adda/Ambiente
Calvenzano/La storia di un mulino e una ruota
L’acqua: rete di connessione ecologica di Daniela Regonesi
Ferrandino: tornerà a girare la ruota? di Cristina Signorelli
Demolito l’antico mulino per far posto all’autostrada, la ruota doveva essere ricollocata per continuare a girare, sia come attrazione che per mantenere un ricordo della storia e delle tradizioni, invece giace abbandonata e arrugginita
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osto al confine fra Treviglio e Calvenzano, il Ferrandino è stato demolito un paio di anni fa, subendo la stessa sorte di altre testimonianze della nostra terra, per lasciar spazio alla costruzione delle nuove infrastrutture, nel caso la Bre.Be.Mi e il tracciato ferroviario per l’alta velocità Tav, insediamenti che in questi anni hanno radicalmente modificato la fisionomia del territorio. Per i pochi che non lo sapessero, il Ferrandino era un antico edificio, con annesso mulino, costruito dalla Comunità Trevigliese nel XIV secolo, avamposto di Treviglio e presidio delle acque irrigue, acquistato in seguito dalla famiglia Ferrandi, da cui il nome, che ne fece per decenni la fortuna. Passato quasi indenne attraverso secoli di storia più o meno tormentata, è infine ripreso dalla famiglia Gusmini, che ne era la proprietaria, quindi sacrificato in nome del progresso. Considerati i benefici economici e sociali che il potenziamento dei collegamenti ferroviario e stradale costituiscono per tutta l’area trevigliese, pareva un buon compromesso l’impegno a recuperare la ruota del Ferrandino e darle una nuova collocazione, così come aveva proposto ed ottenuto l’ex sindaco Luigi Minuti, consigliere comunale di oppo-
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sizione al momento in cui fece l’interrogazione in Consiglio nel 2012. In prima istanza l’Amministrazione Comunale di Treviglio aveva accettato di salvare l’antica ruota trasferendola in via Cavallotti, solo in seguito il progetto è variato decidendo di collocarla nel parco - con annesso laghetto artificiale - che avrebbe dovuto nascere a pochi metri da dove era
Un progetto per affiancare l’attività di pianificazione dei 29 comuni della pianura, fornendo linee guida che orientino l’urbanistica
stato edificato il mulino Ferrandino. Peccato che ancora oggi, dopo diversi anni, la ruota del mulino giaccia, come testimonia la fotografia che pubblichiamo, abbandonata tra gli sterpi lungo la nuova pista ciclabile fra Treviglio e Calvenzano nell’indifferenza quasi generale della popolazione. Abbiamo, infatti, interrogato alcuni cittadini che seppur ricordando chiaramente, ma non sempre, l’antica costruzione hanno sprecato ben poche parole al riguardo, come Andrea: «Peccato, ma ormai è andato distrutto»; o Anna: «Sì, mi ricordo del Ferrandino, ma non c’è più?»; altri, invece, come Luisa hanno data una lettura diversa: «Il Ferrandì? Certo che lo ricordo e penso che avrebbero dovuto tenere in piedi l’intera costruzione, magari adibendola a museo fotografico della nostra storia, la ruota da sola invece non significa molto », o anche Giuliano: «La ruota lasciata a marcire è un grande ammasso di ferro, è doveroso ripristinarla in qualunque modo per non perdere la sua testimonianza di un tempo passato».
Alcune imagini del “Ferrandino” e della ruota del mulino scattate da Francesca Monzio Compagnoni e Andrea Donghi
Dare valore alle memorie della propria storia è fondamentale per mantenere un’identità culturale e sociale e quindi costruire il futuro della comunità, per questo è importante che le amministrazioni locali sappiano valorizzare quei progetti che il singolo cittadino non può da solo attuare. Non risulta ad oggi variato l’impegno del Comune di Treviglio, come ci conferma anche Fabio Ferla, attuale sindaco di Calvenzano, nonché familiare dei Gusmini che hanno deciso di donare la ruota affinché mantenesse l’originaria posizione: «Il futuro della ruota: essere allocata nel corso d’acqua creato all’uopo e tornare a girare sul confine tra le due località»; ciononostante le svariate tonnellate di ferro dell’antica ruota sono ridotte ad un misero ammasso di ruggine che deteriora il paesaggio e svilisce il valore della nostra storia.
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i sono cose semplici e basilari che riescono a unire, superare confini e persino far cooperare. Una di queste è l’acqua e in particolare quella delle nostre rogge. C’è un filo fluido che è stato posto al centro di un progetto presentato dai comuni di Treviglio (nella veste di capofila), Ciserano e Arzago, in partnership con Legambiente Lombardia onlus: Rogge - L’acqua come rete di connessione ecologica del territorio agricolo della Bassa Bergamasca. La proposta ha ottenuto il finanziamento (pari a circa il 60% del costo complessivo) da parte di Fondazione Cariplo che, con il Bando Connessione ecologica dell’Area Ambiente, chiuso nel giugno del 2014, aveva come obiettivo “contribuire al potenziamento del patrimonio naturalistico attraverso la realizzazione, lo sviluppo e il potenziamento di corridoi ecologici terrestri e fluviali che possano mettere in collegamento aree naturalistiche importanti per il mantenimento della biodiversità”. Il corridoio ecologico è uno spazio di territorio naturale composto da un adeguato insieme di habitat, tra di loro interconnessi, che permettono lo spostamento della fauna e lo scambio genetico tra le specie vegetali e, conseguentemente, l’aumento della molteplicità di organismi presenti. «Treviglio - mi spiega Marzio Marzorati, vice presidente di Legambiente Lombardia e responsabile del progetto - si pone al centro del territorio compreso tra il Parco Adda Nord e quello del Serio, un’area prevalentemente agricola dove le nuove infrastrutture hanno lacerato il tessuto esistente. Le rogge, che nel passato hanno disegnato il paesaggio, sono oggi elementi fondamentali per ricostituire la rete ecologica nazionale». I professionisti incaricati per la redazione dello studio di fattibilità sono Massimo Bernardelli, architetto, l’agronomo Anna Mazzoleni, e Simone Ciocca, faunista. Legambiente si occupa di partecipazione,
coordinamento e comunicazione, mentre il Distretto Agricolo della Bassa Bergamasca è coinvolto nella valutazione agronomica del territorio. L’obiettivo è quello di affiancare l’attività di pianificazione, esaminando i PGT (Piano Governo Territorio) dei 29 comuni dell’area interessata dal progetto, fornendo linee guida che orientino la pianificazione locale verso la connessione ecologica. L’intervento si articola in tre fasi: 1) studio generale con analisi bibliografica e messa a sistema delle informazioni; 2) verifica sul territorio delle analisi effettuate; 3) individuazione degli interventi di connessione ecologica, per dare indicazioni di progetto e indirizzare le pianificazioni. Allo stato attuale si è conclusa la prima fase: è stato elaborato un primo studio, che verrà inviato ai portatori di interesse. «Gli aspetti positivi di questo progetto prosegue Marzorati - sono diversi: innanzitutto offre uno strumento sovraterritoriale, un servizio alla collettività. In seconda battuta mette in evidenza un patrimonio comune e crea un collegamento tra i comuni, su-
perando le singole gestioni. Infine, permette di riscoprire identità culturale e bellezza di un territorio che sono patrimonio di chi lo abita. In questo quadro territoriale è importante il mantenimento del tessuto agricolo, già perduto abbondantemente in maniera superficiale con la costruzione di case e capannoni rimasti vuoti». Il progetto sarà ultimato entro la prossima estate ed un suo vantaggio ulteriore potrebbe essere, indirettamente, la creazione di nuove occasioni di sviluppo a livello locale, coinvolgendo i settori agricolo, enogastronomico e del turismo. Gli scopi sono arditi e presuppongono la condivisione con gli attori locali e la capacità di coinvolgere tutti i portatori di interesse, per ottenerne il sostegno su obiettivi e azioni, partendo dalla conoscenza dei valori ambientali e delle potenzialità di un territorio. Ma siamo fiduciosi che in questo caso le acque chete (delle nostre rogge) non faranno crollare ma costruiranno ponti.
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Sportello donne
Sette minuti e arrivi in piazza
Due nuovi centri antiviolenza
Foto di Enrico Appiani
Servizi/La navetta gratuita
di Ivan Scelsa
Attivato un servizio bus per agevolare i pedoni e chi parcheggia all’esterno della circonvallazione
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Foto di Enrico Appiani
e da una parte la lunga assenza di piogge di questo inverno ha reso meno caotica la percorrenza della Circonvallazione interna della Città, dall’altro ha peggiorato la qualità dell’aria, con serie ripercussioni sulla salute di noi tutti. Nel contempo, la chiusura del parcheggio pubblico di piazza Setti, per un periodo stimato di almeno 18 mesi, rappresenta un ulteriore ostacolo alla fruibilità del centro storico e della mobilità cittadina. Ci verrebbe da dire che, quasi come un’equazione, la nascita di un servizio di bus navetta che colleghi le aree esterne al centro sia l’occasione per liberarsi contemporaneamente del traffico, dallo stress da parcheggio e dell’inquinamento. E tutto gratuita-
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mente! Attivo dal lunedì al sabato dalle 07:45 alle 20:15 (sono esclusi i giorni festivi), Ti porto in centro è il servizio di trasporto pubblico che consente di evitare il traffico utilizzando un comodo mezzo di trasporto che dai parcheggi più esterni della Città (che con l’occasione divengono i capolinea) consente di raggiungere il centro in soli 7 minuti. Due i percorsi: dal PalaFacchetti al Cimitero (Linea Verde) e, seguendo un altro itinerario (Linea Rossa) dal Cimitero al PalaFacchetti. Entrambe le linee hanno una durata di percorrenza di circa 15 minuti, con la possibilità di fruire di una delle 20 fermate (opportunamente indicate e facilmente riconoscibili) poste lungo la circonvallazione esterna, interna e nel centro storico. Un progetto di Treviglio Futura – Società di Trasformazione Urbana che in questi mesi è stato ampiamente pubblicizzato, non solo mediante l’affissione di apposite informazioni, ma anche con flyers e volantini distribuiti nelle attività commerciali trevigliesi in cui sono meglio indicati orari, fermate e percorsi tramite l’ausilio di una mappa pieghevole. Ti porto in centro, una soluzione per arrivare nel cuore di Treviglio in tutta comodità, senza perdere tempo in mezzo al traffico o alla ricerca di un parcheggio.
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al mese di febbraio sono stati aperti sul nostro territorio due nuovi sportelli antiviolenza, che si vanno ad aggiungere a quelli già operativi a Treviglio e Rivolta d’Adda. I nuovi sportelli, gestiti dalla Cooperativa Sirio di Treviglio, ubicati all’interno delle case comunali di Brignano e Castel Rozzone, sono facilmente accessibili e offrono un servizio di prima consulenza sociale e psicologica, volta a dare maggiore consapevolezza alle donne rispetto alla situazione critica nella quale versano. L’accesso è gratuito, libero o su appuntamento, chiamando il numero 0363/301773. Nel comune di Brignano lo sportello è aperto il primo e terzo lunedì del mese, mentre a Castel Rozzone il secondo e quarto giovedì del mese; in entrambi i Comuni dalle 10 alle 13. È garantita la massima riservatezza. Inoltre sta per cominciare un percorso formativo rivolto alle donne che desiderano offrire il proprio aiuto attraverso l’operatrice dell’accoglienza, una figura volontaria che mette a disposizione la propria sensibilità per dare supporto e aiuto, affiancata delle operatrici del Centro Antiviolenza. Il percorso ha come obiettivo quello di fornire gli strumenti e permettere l’acquisizione di competenze nella rilevazione dei bisogni delle donne che chiedono aiuto. Il corso rivolto a donne maggiorenni, senza vincoli di residenza, inizia il 2 marzo 2016; durerà per 4 incontri a cadenza settimanale e si terrà presso la Sala Consiliare del Comune di Brignano Gera D’Adda, via Vittorio Emanuele II 36/a dalle 20.30 alle 22.30. Daniela Invernizzi
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La festa di Treviglio e la sfilata storica
Visita Pastorale il 5 Marzo
Servizio fotografico di Enrico Appiani
Il cardinale Scola sarà a Treviglio di Carmen Taborelli
Il 5 e 6 Marzo torna “Miracol si grida” di Daniela Invernizzi
Un appuntamento ormai irrinunciabile per i trevigliesi, sempre più conosciuto anche da chi non risiede in città e approfitta di questo appuntamento per apprezzare il nostro centro storico, fare un tuffo nelle tradizioni e nella storia
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on può mancare anche quest’anno, in occasione della festa della Madonna delle Lacrime, la rievocazione storica Miracol si grida, giunta alla sua XVI° edizione. Un appuntamento ormai irrinunciabile per i trevigliesi, sempre più conosciuto anche da chi non risiede in città e approfitta di questo appuntamento per apprezzare il nostro centro storico e fare un tuffo nel passato. Organizzato
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dalla Pro Loco, l’evento si arricchisce ogni anno di più, con appuntamenti diversificati e “spalmati” nel tempo e nello spazio ad esso concesso, ovvero la due giorni di sabato 5 e domenica 6 marzo. Come è noto, Miracol si grida è la rievocazione di un fatto storico avvenuto a Treviglio il 28 febbraio 1522, quando la Madonna salvò Treviglio dalla furia dei soldati francesi guidati dal general Lautrec, e lo fece facendo sgorgare le lacrime dall’af-
Inaugurerà la visita decanale, poi mons. Michele Elli incontrerà le realtà parrocchiali per precisare, insieme, i passi del comune cammino ecclesiale
fresco della Vergine, dipinto sul muro della chiesa di Sant’Agostino inducendo così il generale a risparmiare la città. La rievocazione storica con: l’arrivo dei soldati francesi; i tentativi del capitano Bernardino Visconti e di monsignor Serbelloni, per convincere Lautrec a non mettere Treviglio a ferro e fuoco; la paura del popolo, al quale non resta che rifugiarsi nelle chiese a pregare; il grido di “miracolo, miracolo!”, che riversa tutti per le strade; la constatazione del generale francese di essere di fronte a un evento miracoloso; e infine, il gesto simbolico della deposizione dell’elmo e della spada davanti all’immagine della Madonna, in segno di rispetto. Tutti questi emozionanti passaggi saranno riproposti dal vivo nella giornata di domenica, grazie ai cittadini che interpreteranno un centinaio di nobili, quaranta popolani, dame e cavalieri, i quattro consoli, i personaggi di Barnabò e Serbelloni, il generale Lautrec. I cortei partiranno alle ore 15 dalle quattro porte della città: Porta Zeduro (via Roma), Porta Torre (via Galliari), Porta Nuova (via San Martino) e Porta Filagno (via Sangalli); convergeranno in piazza Insurrezione, dove avverrà la prima parte dello spettacolo; dalla
via Massimo D’Azeglio arriverà il generale Lautrec con i suoi soldati e qui si terranno gli incontri con il capitano Barnabò, con i consoli, con il vicario episcopale; tutti cercheranno di intercedere per la salvezza della città, ma inutilmente, fino a che arriveranno i popolani gridando al miracolo. Al suono delle campane tutti i figuranti si dirigeranno, attraverso via Matteotti, in piazza Garibaldi, dove sarà rappresentata la scena finale dell’incontro del generale Lautrec con il dipinto della Madonna. Al termine della rappresentazione storica, si esibiranno le dame viscontee di Pandino e gli sbandieratori di Urgnano. In seguito, i figuranti sfileranno di nuovo per le vie della città. A corollario della manifestazione, nel pomeriggio di sabato potremo assistere ad alcuni duelli medievali in piazza Garibaldi, dove verranno allestite, per la giornata di domenica, le ricostruzioni delle botteghe degli antichi mestieri. Anche il ristorante Mate partecipa attivamente all’evento proponendo due tipi di menu, quello della contadina e quello del console. Come sempre si confida nella clemenza del tempo, ma in caso di pioggia la manifestazione si terrà il week end successivo.
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arà il cardinale Angelo Scola ad avviare ufficialmente la Visita Pastorale nel decanato di Treviglio. La cerimonia inaugurale è fissata per sabato 5 marzo, alle ore 21, nella chiesa di San Pietro Apostolo, nella zona nord della città. Si tratta di un momento assembleare in cui tutti i fedeli potranno incontrare e dialogare con il proprio Pastore. L’appuntamento trevigliese s’inserisce e costituisce un segmento della visita pastorale all’intera diocesi ambrosiana voluta dal cardinale stesso e che, iniziata l’8 settembre 2015, si concluderà a maggio 2017. A cinque anni dal proprio ministero episcopale, incominciato il 9 settembre 2011, il cardinale intende considerare il cammino ecclesiale fatto in questo lasso di tempo, valutarne i risultati, individuare gli aspetti rimasti incompiuti e programmare eventuali cambiamenti, così come lo stesso Scola ha puntualizzato nel decreto di indizione della visita pastorale: «Riconosco come un dovere ineludibile per il pastore diocesano quello di compiere una seria e fruttuosa verifica di come la comunità diocesana ha accolto quello che è stato proposto dal magistero del Vescovo, aprendo le singole comunità cristiane al riconoscimento e all’assunzione dei passi ulteriori che sono ora richiesti». Spetterà poi al vicario episcopale, monsignor Michele Elli effettuare concretamente la visita; lo farà incontrando le realtà parrocchiali per intessere relazioni più dirette, in atteggiamento di reciproca accoglienza, di apertura e disponibilità al dialogo. «Verrò ha preannunciato mons. Elli - per incontrarvi, incoraggiare, precisare insieme i passi da fare per essere sempre più fedeli a Gesù. Vi chiedo di prepararvi con gioia e alla gioia della visita pastorale». La gioia che, secondo chi scrive, attiene alla vita spirituale. In particolare alla vita di chi, come la Chiesa, ha, per missione, gli stessi gusti e la stessa passione del suo Fondatore: ossia la passione per l’uomo, ogni uomo, specie il più debole, chiamata com’è ad amarlo nella sua interezza e nel contesto sociale ed epocale in cui vive e opera.
In questo momento di feconda riflessione tesa a orientare il cammino futuro, forse varrebbe anche la pena di riandare al primo grande concilio ecumenico iniziato nel 1962 da Giovanni XXIII e portato a termine, nel 1965, da Paolo VI. Riandare per capire, cinquant’anni dopo, quanto e cosa è stato recepito del Concilio Vaticano II, quanto è rimasto incompiuto, che cosa si può e si deve cambiare.
Il Decanato di Treviglio è uno dei 73 della diocesi
Comprende nove parrocchie, di cui cinque di Treviglio. Le restanti quattro corrispondono ai territori dei comuni di Canonica d’Adda, Castel Rozzone, Fara Gera d’Adda e Pontirolo Nuovo. Le parrocchie trevigliesi e quella di Castel Rozzone sono riunite nella comunità pastorale Madonna delle Lacrime, presieduta dal decano monsignor Giovanni Buga, con il titolo di prevosto. Il decanato, che comprende una popolazione di circa 50.000 fedeli, confina a nord con la diocesi di Bergamo e a sud-est con quella di Cremona. Assieme ai decanati di Trezzo d’Adda e di Monza, quello trevigliese è uno dei pochi
decanati ad adottare il rito romano, nonostante i tentativi del cardinale Carlo Borromeo di estendere il rito ambrosiano all’intera arcidiocesi, che attualmente comprende 1.104 parrocchie. La suddivisione delle parrocchie in decanati e in zone pastorali (oggi, sono sette) risale all’episcopato di Giovanni Colombo, e venne deliberata in seno al 46° sinodo diocesano del 21 maggio 1972.
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Visita al Museo/Un artista al mese
Il Generale Lautrec e il contesto storico
Due opere di Costantin Meunier a cura degli Amici del Chiostro
La scultura “Il Forgiatore” realizzata nel 1890 e il bassorilievo “Il minatore” datato inizio secolo, il 1901
di Elio Massimino
Il 28 febbraio 1522 i Consoli di Treviglio si inginocchiano davanti al generale Lautrec: l’Italia si spegne ed è la fine del Rinascimento
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a “Rievocazione storica” di quanto è accaduto a Treviglio il 28 febbraio del 1522 è incentrata sul miracolo delle lacrime della Madonna, ma tutti gli eventi di quella giornata hanno importanza storica perché esprimono bene cosa stava accadendo in quegli anni, non solo in Gera d’Adda ma nell’Italia intera. La rappresentazione inizia con i consoli che, dopo l’allarme lanciato dal campanile, vanno incontro scalzi e tremebondi al generale francese Lautrec per scongiurarlo di non saccheggiare la città. Treviglio, solo otto anni prima, aveva sofferto un devastante saccheggio da parte dei Veneziani, e quei consoli avevano smarrito la fierezza con cui i loro antenati avevano difeso la libertà ai tempi del Barbarossa e poi, nella prima metà del 1200, contro suo nipote Federico II di Svevia. La versione popolare racconta che tutti i Comuni lombardi si erano stretti intorno al Carroccio, ma in realtà erano divisi, chi contro e chi a favore dell’imperatore, tutti però combattevano per la libertà e quelli che sostenevano le truppe imperiali, lo facevano perché temevano più l’oppressione di un grande Comune vicino (come Milano) che il potere di un imperatore lontano. Ma poi
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Foto di Enrico Appiani
Michelangelo Buonarroti: a destra il Giudizio Universale (1508-1512), al centro la Pietà Rondanini (1552-1564 circa), a sinistra la Crocifissione di San Pietro (particolare, 1545-1550). Sotto i Consoli di Treviglio che si inchinano davanti al Generale Lautrec
politici a cui si sommarono quelli dovuti alla Riforma protestante, iniziata qualche anno prima del nostro miracolo. Un maturo Michelangelo Buonarroti, molto interessato ai grandi temi della Riforma, è il protagonista del passaggio alla nuova stagione artistica del Manierismo. Sappiamo che dialogava molto con Vittoria Colonna, coltissima aristocratica sensibile alle tesi luterane e con il cardinale inglese Reginald Pole, che tentò inutilmente di orientare il Concilio di Trento verso un’apertura al mondo protestante. La più attenta critica riconosce in varie opere del maestro il suo travaglio interiore sulla necessità di riforma della Chiesa. Non pochi cardinali volevano distruggere il suo Giudizio Universale, non tanto per le nudità (che comunque non osarono ricoprire fin quando egli fu in vita), ma soprattutto per la vibrante ira divina che esprime l’opera, che temevano riguardasse la Chiesa del tempo. E poi c’è quel terribile sguardo di rimprovero del San Pietro in croce, affrescato certo non a caso nella cappella privata del Papa, la Cappella Paolina. Il discorso sarebbe lungo e riguarderebbe anche altre opere, ad esempio si ritiene autorevolmente (D’Averio, Strinati e altri storici dell’arte) che la Pietà Rondanini sia stata lasciata incompleta intenzionalmente per esprimere un messaggio. È davvero la Madonna che regge il Cristo o è forse un pavido Nicodemo/ Michelangelo che nasconde di giorno i suoi autentici sentimenti religiosi? Non molti anni dopo il nostro Miracol sarebbe iniziata la stagione della Controriforma e il secolo si sarebbe concluso con il rogo di Giordano Bruno. Sarebbe poi seguito il processo a Galileo Galiei. L’Italia si spegneva (Indro Montanelli, cit.), la cristianità si divideva e di lì a qualche anno (1527) la stessa Roma sarebbe stata saccheggiata. Quel 28 febbraio 1522 la Madonna aveva molti buoni motivi per piangere.
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Foto di Tino Belloli
va esclusivamente al Signore che poi lo trasmetteva ai discendenti come sua proprietà privata e, così, il senso di appartenenza dei cittadini al Comune non si era esteso alla Signoria, che veniva subita come necessaria, ma nulla di più. Pertanto, per un qualsiasi comune lombardo era relativamente indifferente appartenere a Milano o a Venezia e poi alla Francia o alla Spagna, importava solo non dover pagare troppe tasse e avere garantiti l’ordine e la pace. Il Guicciardini ha spiegato lo spirito di quei tempi con il suo “Franza o Spagna purché se magna”. Per di più i Signori sostituirono le gloriose milizie popolari con mercenari guidati da spregiudicati Capitani di ventura, che cambiavano padrone per denaro. Pertanto in quei secoli, a differenza del resto d’Europa, la nostra gente non ha sviluppato il senso dello stato e i suoi orizzonti sociali sono rimasti ristretti all’interno del proprio comune. È una caratteristica nazionale, diciamocelo, che in parte sopravvive ai nostri giorni. Nel Sud Italia, dove non c’è stata l’esperienza comunale, è andata anche peggio, perché il senso di appartenenza si è fermato alla famiglia, con tutte le degenerazioni in termini di “familismo a-morale” che conosciamo. Gli italiani smisero così di combattere per la propria terra fino al Risorgimento, e l’invasore di turno i m ma ncabil mente sarebbe stato accolto in ginocchio o con applausi. Il francese Carlo VIII chiamato da Ludovico il Moro, attraversò tutta l’Italia con il suo esercito, raccogliendo ovunque grandi onori e alla fine entrò a Napoli tra le acclamazioni della popolazione. Finiva così il Rinascimento, l’arte e la cultura infatti non potevano non risentire di questi sconvolgimenti
l’incarico di illustrare le parti relative alle miniere e al lavoro nelle fabbriche in Belgio per il libro di Camille Lemonnier Viaggio intorno al mondo, che la sua arte incontrò il mondo del lavoro e ne uscì fortemente influenzata. Dal 1885 tornò ad occuparsi di scultura e anche in questo ambito la rappresentazione del mondo del lavoro ebbe una parte importante nella sua produzione. Tra il 1889 a il 1899 realizzò, tra le altre, opere importanti come L’impastatore, Il forgiatore, La falciatrice, La gleba, L’impastatore alla fornace e il Monumento al lavoro. Quest’ultima, lasciata incompiuto dal Meunier (venne infatti terminata nel 1931, dopo la morte dell’artista), fu sicuramente la sua opera più importante. Si tratta di un gruppo molto complesso, che fu poi acquistato dalle Gallerie di Stato di Bruxelles e comprende 4 bassorilievi (l’industria, la miniera, la raccolta e il porto), 4 statue in bronzo (il seminatore, il fabbro, il minatore, l’antenato) e un gruppo sempre in bronzo, la maternità.
Foto di Tino Belloli
Allarme arrivano i francesi
sopraggiunse l’età delle Signorie, che vide il coagularsi dei comuni minori intorno a quelli più potenti. Nascevano così nella penisola piccoli stati spesso in guerra tra loro, ma che avrebbero goduto dalla seconda metà del ‘400 e fino ai primi del ‘500 di un periodo di pace e di splendore economico e artistico. Fioriva infatti il Rinascimento e mercanti e finanzieri italiani, fiorentini in particolare, dominavano i mercati europei. Questo magico equilibrio si interruppe nel 1492 con la morte di Lorenzo il Magnifico, il quale era stato un grande mediatore tra i potenti italiani. Poco dopo, infatti, il milanese Ludovico il Moro avrebbe chiamato i francesi per sostenerlo contro il regno di Napoli, secondo il canovaccio che sarebbe durato altri tre secoli, “cioè chiamare in proprio aiuto contro altri italiani un padrone straniero” (Indro Montanelli, Storia d’Italia). Personalmente dubito che il crollo delle Signorie sia dipeso solo dalle loro dimensioni, relativamente ristrette rispetto a quelle delle grandi monarchie europee che si contendevano l’Italia. Esse erano comunque potenti e ricche, ma avevano un intrinseco elemento di debolezza che derivava, a mio parere, dalla loro natura autoritaria, che contrastava con quella (relativamente) democratica che avevano avuto i comuni. Al loro interno il potere appartene-
’Arte non è un mondo a sé, distante dal resto della società. Gli artisti, anzi, vivono pienamente il loro tempo e sono, spesso, espressione delle più profonde inquietudini che li circondano. Constantin Meunier, scultore e pittore nato in Belgio nel 1831 e qui morto nel 1905, ne è un chiaro esempio. Il museo civico di Treviglio possiede ben due opere di questo artista, entrambe facenti parte del lascito Della Torre: la scultura in bronzo Il forgiatore (1890) e il bassorilievo Il minatore (1901). Si tratta di opere che testimoniano il lavoro “sociale” di Meunier. Il bassorilievo in bronzo è un frammento di un’opera molto più grande, il Monumento al lavoro. Rappresenta il ritorno a casa di un minatore a fine giornata. L’uomo è rappresentato mentre cammina sostenendo sulla spalla uno strumento di scavo, probabilmente una picozza. Sullo sfondo si intravede una periferia industriale. Il forgiatore è invece la copia ridotta realizzata nel 1890 dal modello creato nel 1886 in occasione della Biennale di Venezia. Meunier fu infatti molto amato in Italia (tra l’altro, espose alla Biennale di Venezia e gli fu dedicata una ricca esposizione a Milano): a lui veniva unanimemente riconosciuta la capacità di rappresentare l’epica del lavoro contemporaneo, in una dimensione che coniugava i due poli dell’eroismo e della tragedia, con una compostezza e monumentalità che rinnovavano in senso classicista la scultura coeva e allo stesso tempo davano un significato metaforico alle scene di vita quotidiana rappresentate. L’interpretazione che i contemporanei davano della sua arte era di “socialismo umanitario”: egli sembrava uno scultore “figlio del popolo, che colla fame combatte”, le cui opere “parlano alle genti delle fatiche, dei dolori e delle speranze degli umili più che cento discorsi di demagoghi fannulloni” (Esposizione illustrata, 1906). Meunier non aveva da subito caratterizzato la propria produzione in tal senso: la sua prima opera fu un gesso, La Ghirlanda, esposta al salone di Bruxelles nel 1851. Subito dopo si diede alla pittura e dal 1857 si dedicò a questa arte, eseguendo una serie di dipinti sulla vita dei monaci trappisti e episodi della guerra contadina in Germania. Fu nel 1880, quando gli venne affidato
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Curiosando riguardo “Treviglio Vintage” 2016
Foto di Roberto Fabbrucci
che già lo scorso autunno iniziavano a programmare quella di quest’anno. Treviglio Vintage, però, non è solo un raduno automobilistico: è un insieme di ricercate combinazioni di oggetti e ricordi che nella fase di preparazione, vengono disposti sul tavolo di un’immaginaria, enorme cucina, insieme a centinaia di idee che poi vengono cotte (e di cui sono onorato di essere uno degli chef) ed assaggiate. Sia chiaro: solo i piatti più riusciti trovano poi il posto sulla tavola nei giorni dell’evento. Ma nemmeno la macchina organizzativa più collaudata potrebbe realizzare la magia del Vintage senza tutti gli appassionati che ne prendono parte attiva. Qualsiasi siano i tesori che espongono (radio, telefoni, abiti, giocattoli) o l’attività che preparano, queste persone sono animate solo da grande e sincera passione, senza alcuna volontà di emergere l’uno sull’altro, ma con il solo obbiettivo di rendere speciale queste giornate, dove le passioni e i ricordi prendono forma regalando alla Città e ai suoi visitatori uno straordinario tuffo del passato». Ivan Blini, vulcanica risorsa di idee, ci tiene a sottolineare come a parlare dei Treviglio Vintage a qualche mese dalla data non sia facile per i tanti tasselli che ancora devono essere messi al proprio posto e, ovviamente, per non anticipare quanto è nelle intenzioni del Comitato. «Vorrei condividere ancora una volta – dice Blini - le emozioni che, a distanza di tre anni, mi trovo a vivere, ...chi l’avrebbe detto che da un tentativo di incontro per conoscersi fra concittadini con passioni riposte nei cassetti dei ricordi, nei garage o negli scaffali polverosi (di così tanta gente che neppu-
Già al lavoro per la nuova l’edizione di Ivan Scelsa
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iunto ormai alla sua terza edizione, il programma di Treviglio Vintage va sempre più arricchendosi di iniziative e manifestazioni. Dopo la pausa estiva, infatti, le sinergie di Enti ed Associazioni impegnate nell’organizzazione si sono notevolmente rafforzate per dare alla Città un evento ancora più strutturato. È nato
quindi un Comitato organizzatore che lega un gruppo di persone animate da instancabile spirito d’iniziativa e vulcaniche idee che, ne siamo certi, renderanno l’edizione 2016 ancor più fruibile ed affascinante. Treviglio Vintage, nata da un’idea di Ivan Blini, nel 2014 ha da subito raccolto l’adesione e la collaborazione di tanti trevigliesi. Flavio Nava, ad esempio, ci racconta del suo approccio al Vintage, di quando uno sconosciuto si presentò alla porta della sede del Club Automoto Storiche Treviglio - di cui è Presidente - srotolando sulla scrivania una mappa del centro della Città. «Dopo l’iniziale scetticismo, cominciammo a parlare di allestimenti, oggetti, postazioni, auto e moto. Alle prime diffidenti rimostranze (il tempo era pochissimo ed era necessario avere un’avviata macchina organizzativa…) dopo solo venti minuti il gruppo
di lavoro del Club era già a schiena curva su quella mappa per capire quale contributo si sarebbe potuto dare per la buona riuscita. Il risultato positivo raggiunto con la prima edizione del 2014 penso sia ancora ben impresso nella memoria di tutti e l’entusiasmo generatosi ha portato poi il gruppo di lavoro del Club Automoto Storiche Treviglio e di Associazione CinemAlfa, uniti come spesso accade per gestire eventi sul territorio, ad una preparazione ancora più curata, con attenzione ai particolari per la realizzazione della parte motoristica dell’edizione seguente. L’evento del 2015 purtroppo, nonostante gli sforzi ed il successo dell’apertura, viene ricordato per il maltempo che ha imperversato nella giornata domenicale, bagnando gli allestimenti ed i veicoli, ma senza riuscire a spegnere l’entusiasmo degli organizzatori,
«Io amo Treviglio» di Daniela Invernizzi
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Foto di Enrico Appiani
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marcord Treviglio 2- Usànse e tradissiù è il secondo volume che Arturo Prandina ha voluto dedicare alla Treviglio degli anni ‘50 e ‘60. Un tuffo nel passato che non è solo nostalgico, ma che risponde alla voglia di preservare la memoria storica anche delle più piccole cose, che costituiscono appunto le usanze e le tradizioni della nostra comunità. Alla presentazione del libro, lo scorso 13 febbraio, le persone rimaste in piedi, nell’auditorium della Cassa Rurale di Treviglio, erano tantissime. A testimoniare non solo l’affetto dei concittadini verso l’autore, ma anche l’interesse verso un libro che parla di noi, di come eravamo, come parlavamo, che luoghi frequentavamo. Il testo è dunque una fotografia, o meglio, una serie di istantanee della Treviglio di quegli anni, un periodo in cui in tutta Italia
ancora si palpava con mano la miseria, ma già si respirava un’aria nuova; aria di libertà innanzitutto, dopo lo scempio della guerra, e di miglioramento delle condizioni di vita, e fiducia in un futuro tutto da inventare. E dunque, nella cornice di un Italia da ricostruire, ecco la “piccola storia” di Arturo e della sua famiglia e con essa quella della comunità in cui vive, fatta di luoghi significativi, di
riti collettivi, di personaggi carismatici, di modi di dire e di essere. Grazie alle lettere, alle testimonianze, alle fotografie raccolte, Prandina ricostruisce la storia della Treviglio di quegli anni, coinvolgendo, proprio grazie agli episodi raccontati e ai personaggi descritti, gran parte dei cittadini trevigliesi, alcuni dei quali, ancora in ottima salute, sono accorsi alla presentazione del volume a
rendere testimonianza. «Un libro che ha un valore morale - spiega Erminio Gennaro, storico di Treviglio e del suo dialetto - che tiene compagnia a tante persone, che permette una sosta in una società che corre». Mai come nell’ultimo secolo ci sono stati così grandi cambiamenti nel modo di vivere in questa parte di mondo. Alcuni oggetti, ancora in uso pochi anni fa, oggi sono completamente desueti e a volte non ne ricordiamo nemmeno il nome. «Ecco perché è importante restituire la memoria storica di persone, luoghi e cose che non ci sono più - ricorda ancora Gennaro - se non c’è memoria non c’è cultura e se non c’è cultura non c’è civiltà». Anche in questo secondo volume troviamo alcuni personaggi particolari, non famosi, ma cari alla comunità trevigliese e che sarebbero stati destinati all’oblio: il Perèt e i suoi famosi discorsi davanti al monumento di Garibaldi, per esempio, o Morino il campanèr. La maggior parte di loro avevano un soprannome, una storia e molti li ricordano con affetto. L’uso dei soprannomi non era certo un esclusiva trevigliese, ma anzi un’abitudine di quegli anni in cui, come racconta l’autore, si era in effetti più poveri, magari più ignoranti, ma ci si salutava tutti; e tutti,
re immaginavamo), si potesse arrivare ad un evento, una realtà che ha cambiato il volto di una città. Ma ancora più importante e bello è il fatto che della manifestazione iniziale, quasi da carbonari, con il suo innovativo format di diffusione e condivisione in ogni possibile luogo (sia esso una via, una piazza, un negozio, un cortile o palazzo) abbia gettato il seme per un nuovo modo di concepire gli eventi a Treviglio, facendo nascere amicizie, sinergie e stima reciproca, al di là di qualsiasi barriera politica o di pensiero. Degno di nota il riscoprire la passione comune per la storia attraverso gli oggetti, la cultura, lo sport, lo spettacolo e la gente che fanno di una città una comunità con ricordi da ri-vivere insieme. Raccontare e ricordare, con l’ambizione di fare del Treviglio Vintage un evento da imitare: il libro di storia da sfogliare in 3D… In tutta una città».
almeno all’apparenza, sembravano più felici… I giochi! I giochi li inventavano per strada i ragazzini, o arrivavano da storiche fabbriche come l’Atlantic, mitico produttore di soldatini. Prandina non dimentica di citare anche altre aziende che nascevano in quegli anni e che davano lavoro a tanta gente, come la Same, la Spica, la Baslini. E ancora, la rincorsa al titolo di ragiunier: mai come
Alle parole di Nava e Blini fanno eco quelle di Gabriele Anghinoni, Presidente dell’Associazione Botteghe Città di Treviglio: «È partito con l’idea di qualche motocicletta esposta in via Galliari, poi è stato un crescendo di idee e di emozioni! “Sei di Treviglio se ricordi...” con Ivan, Maurizio, Francesco, Massimiliano e la regia di Maddalena: della prima edizione ricordo le vie piene di visitatori già di prima mattina, con la gente che si congratulava per l’iniziativa. Altrettanto è stata la seconda edizione che, oltre al successo, ha amalgamato il team. Da “cassetto dei ricordi”è diventato un evento che ha coinvolto tutti, cittadini, amministrazione comunale e commercianti, questi ultimi fondamentale motore delle passate edizioni. Per il futuro spero che questa bellissima manifestazione divenga un appuntamento fisso, irrinunciabile per tutta Treviglio». in quel periodo ci fu la voglia di riscatto sociale che passava attraverso l’acquisizione del mitico pezzo di carta. E difatti, proprio i ragazzi dell’Oberdan, ancora oggi scuola “produttrice di ragionieri”, sono raccontati in questo libro; un libro nel quale moltissimi di noi, grazie anche alle numerose fotografie, possono ritrovare un pezzo della loro famiglia Non manca la politica, con lo strapotere della Dc di quegli anni, la nascita delle compagnie dialettali, le partite di pallone e i tornei fra i bar, luoghi importanti di aggregazione, e che segnavano un’appartenenza precisa. E poi ancora la partenza del Giro d’Italia dallo stabilimento Bianchi e molte, molte altre storie curiose. Che ti fanno sorridere, o versare una lacrimuccia, perché Prandina non è solo un abile raccoglitore (un “recuperante”, lo ha definito Amanzio Possenti, direttore de il Popolo Cattolico); ma anche un ottimo narratore, capace di coinvolgere anche chi quell’epoca non l’ha vissuta, perché non era ancora nato. «Io amo Treviglio», è la frase con cui l’autore ha chiuso la giornata di presentazione, mentre quella con cui apre il libro è dedicata a un cognato speciale, Alberto Zoccoli, Bubu per tutti. O almeno, per tutti i trevigliesi.
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Treviglio Vintage/I gruppi si preparano
Dentro la macchina da presa Rivedere volti e veicoli noti mentre si guarda un film al cinema, una fiction o un videoclip musicale
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all’autunno del 2011 sul palcoscenico cinematografico nazionale brilla una nuova stella, una di quelle che non ti aspetti, che arriva all’improvviso e diventa protagonista del red carpet con l’innovazione del suo progetto associativo e la disponibilità dei soci che ne fanno parte. Associazione CinemAlfa nasce dalla comune passione di alcuni cultori del marchio automobilistico che più di tutti rappresenta i cambiamenti di costume della nostra società, le mode, la passione ed il made in Italy: Alfa Romeo. In fondo basta ricordare le pellicole che hanno fatto la Storia della cinematografia per scorgerne una: “8 e mezzo”
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e “Giulietta degli Spiriti” di Federico Fellini, “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, “Roma a mano armata” di Umberto Lenzi, capolavoro indiscusso del genere “poliziottesco” anni Settanta. CinemAlfa è l’ambizioso progetto di riunire gli appassionati di automobilismo e cinematografia in un club unico nel suo genere, che fa della sua atipicità un elemento distintivo nell’offerta associativa rivolta agli amanti dell’auto d’epoca. I collezionisti hanno la possibilità di rendere la propria vettura protagonista di una pellicola, di una fiction televisiva, di un videoclip musicale. Da “Era Santo, era uomo”, la fiction Rai dedicata alla passione per la montagna di Papa Giovanni Paolo II, al lungometraggio “Antonia” per la regia di Ferdinando Cito Filomarino (nipote del celeberrimo Luchino Visconti), da “Torno indietro e cambio la mia vita” con Raul Bova, al videoclip musicale “Anche se fuori è inverno” per la cantante Deborah Iurato. E ancora: “Sostanze”, il videoclip prodotto in collaborazione con il gruppo bergamasco Letifica, la pellicola “Malìa” del giovane regista milanese Andrea Cleopatria ed il recente documentario sul vivere italiano, realizzato per un’importante emittente statunitense, ed il documentario “Eurocrime” del regista statunitense Mike Malloy dedicato al poliziesco. Sono solo alcune delle pellicole in cui soci e vetture del sodalizio sono stati
A destra: Brescia, il backstage del documentario “Vivere italiano” per gli Stati Uniti. Sopra un’immagine dal backstage del film “Antonia”.
impegnati. Più recentemente, lo scorso mese di ottobre, hanno contribuito anche alla realizzazione di due importantissimi spot pubblicitari trasmessi sulle reti nazionali, naturale prosecuzione di un’attenzione all’immagine e ad un proficuo rapporto di collaborazione con le maggiori case di produzione, anche in occasione delle anteprime nazionali. Ma CinemAlfa non è solo sul set. All’interno della sede di Pontirolo Nuovo, oltre ad una dozzina di veicoli d’epoca, è fruibile anche un Centro Studi per chi vuole approfondire la propria cultura cine-automobilistica con una crescente biblioteca suddivisa in due diverse aree di interesse (quella automobilistica e quella cinematografica, appunto) messa a disposizione di tutti gli associati. Visitare la sede in occasione di un incontro dei soci nel fine settimana è un vero tuffo nel passato, tra i ricordi che riaffiorano alla mente solleticati da un’Alfa Romeo d’epoca o da una locandina cinematografica, da un’insegna luminosa o una vecchia, silenziosa, macchina da presa. g. v. A sinistra un’Alfa 75 nel teatro di posa per il film di prossima uscita “Malìa”. Sotto alcuni soci di CinemAlfa con l’attore Giorgio Pasotti in Trentino sul set della fiction “Era Santo, era Uomo”.
Gli Amici della Vespa
Nati da un gruppo in Facebook, ora sono parte importante del Club Automoto Storiche Treviglio.
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on è possibile definire come monomodello la nuova sezione del Club Automoto Storiche Treviglio dedicata agli Amici della Vespa. Il gruppo, nato su Facebook come veicolo aggregativo per gli appassionati del ciclomotore che ha fatto la storia motorizzando con la 500 il nostro Paese, ha col tempo richiamato a sé una tale schiera di estimatori del modello di Pontedera che, all’interno del club trevigliese, si è alacremente lavorato per gettare le basi organizzative per accogliere il neonato gruppo. Già da tempo, infatti, a Treviglio e dintorni sono nati spontanei incontri e raduni tra Vespisti che, fino a questo momento, non erano formalmente costituiti e riconosciuti. Con questo progetto, però, gli appassionati della creatura di Corradino
d’Ascanio avranno un importante punto di riferimento ed una sede operativa in cui ritrovarsi e programmare le attività. La creazione di un comitato esecutivo con autonomia organizzativa e decisionale, confluito nella preesistente struttura, consente di operare in sinergia con il Direttivo stesso del sodalizio, mantenendo libera da vincoli la capacità decisionale. Anche il sito del club (www.automotostorichetreviglio.it) è stato aggiornato con un apposito spazio dedicato, e le attività per l’anno 2016 saranno ricche di iniziative volte a far conoscere la nuova, emergente realtà. In merito alla nascita della nuova sezione, il Presidente del Cast Flavio Nava ha tenuto a precisare come la nascita di Amici della Vespa «non è nulla di diverso e non al posto di…» ma qualcosa in più che viene offerto ai soci appassionati del modello, con un’attività mirata e specifica per soddisfare al meglio le esigenze di questa categoria, che ha bisogno di eventi su misura e di uno spirito di appartenenza specifico. Nel contempo, anche Roberto Cattaneo e Marco Zavatti, fondatori del gruppo sul social, sottolineano l’importanza di poter confluire in una realtà consolidata del territorio, proprio all’insegna della comune passione per i veicoli storici. Ivan Scelsa
Le novità del Gruppo Meucci di Ivan Scelsa
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icuro protagonista per la terza edizione di Treviglio Vintage anche il Gruppo Meucci Treviglio, che proporrà un’interessante esposizione dedicata alla telefonia pubblica, allora parte integrante della quotidianità in una società a cui erano totalmente sconosciute l’evoluzione e le opportunità fornite dell’odierna comunicazione mobile e multimediale. Formato da 17 membri tra Soci fondatori, ordinari ed onorari, ne fanno parte ed esporranno a Treviglio Vintage i propri gioielli, i collezionisti Ferruccio Ghilardi e Graziella Bonasegale di Treviglio, Martino Canali di San Pellegrino, Silvano Moneta di Saronno, Celso Ranghetti di Treviglio e Decio Galbiati di Piazza Brembana. Parlando con il Presidente Gianni Cortesi possiamo dare in anteprima le novità per l’edizione 2016. «Promuoveremo la presenza di esemplari telefonici che richiamino le pellicole cinematografiche e le rappresentazioni musicali che hanno avuto come protagonista il telefono. L’intenzione – prosegue Cortesi - è quella di creare nei negozi delle vie del centro un’esposizione itinerante che richiami questo tema. In un locale appositamente allestito, poi, coinvolgeremo i visitatori in dimostrazioni pratiche su come venivano effettuate le telefonate dal 1900 al 1970». Ricordiamo come l’Associazione, come da statuto, ha lo scopo di sostenere e diffondere la cultura e le varie trasformazioni delle telecomunicazioni. In tal senso, dobbiamo darne atto, l’impegno profuso dai suoi soci è sempre stato costante, anche nelle scuole, proprio per coinvolgere le nuove generazioni.
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Un’idea per “Treviglio Vintage” 2016
Giorgio Gaber e quel pienone all’Ariston di Daniela Invernizzi
Un tuffo nella storia del cinema e del teatro a Treviglio; Gianantonio Signorelli e il direttore de “la tribuna” insieme per proporre un’iniziativa: mettere in mostra manifesti e locandine dell’epopea del Circolo Artistico Trevigliese
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ianantonio Signorelli è “figlio d’arte”, come si suol dire. Già suo padre, Enrico, e prima di lui il nonno Antonio, avevano lo show nel sangue; o meglio, la voglia di far divertire gli altri attraverso la magia dello spettacolo. Il nonno, a fine Ottocento, con la proiezione di lanterne magiche; il padre, all’inizio del Novecento, portando il cinema muto nelle cascine trevigliesi. È proprio lui a consegnare il primo cinema a Treviglio, lo storico Centrale in piazza Garibaldi (accanto al Teatro Sociale e accanto ai Bacchetta) prima e il cinema Nuovo in via dei Mille poi; fino al Teatro Comunale, di nuovo in piazza Garibaldi, inaugurato in epoca fascista per sostituire il Sociale. È di questo che parliamo con il figlio Gianantonio, una mattina, nella taverna della sua casa in centro a Treviglio, dove custodisce dei veri e propri reperti della storia del cinema e del teatro. L’occasione è quella di cercare, insieme al nostro direttore Roberto Fabbrucci, materiale interessante da proporre ai trevigliesi, magari in una mostra o in una manifestazione, come potrebbe essere Treviglio Vintage. Ed è proprio “sfogliando” manifesti e fotografie che vengono fuori storie interessanti. Sull’onda dei ricordi, parlando di un periodo di cui i nostri due furono indiscussi protagonisti, vengo a sapere dell’attività del Cat (Circolo Artistico trevigliese), il
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primo sodalizio culturale capace, soprattutto negli anni fra il 1964 e il 1972, ma anche oltre, di promuovere nella nostra città progetti ambiziosi. Il Circolo contava oltre 400 iscritti, anche se il “direttivo” era formato da un piccolo gruppo (Marco Facchetti, Battista Mombrini, Dario Maiolo, Luciano Pescali, Marcello Casirati, Gigi Ferrari, Gabriele Bellagente), di cui faceva parte anche il nostro direttore. Questo gruppo molto attivo, che aveva già
A sinistra: Gianantonio Signorelli, sopra il Cinema Ariston, sotto ina locandine di una stagione teatrale del Circolo Artistico Trevigliese
usato gli spazi del Filodrammatici e addirittura il capannone della Sai per gli spettacoli, pensò di sfruttare il Teatro Comunale anche quando ormai era diventato praticamente inagibile (venne chiuso in modo definitivo nel 1965). Organizzarono, negli spazi del fuayer del teatro, mostre di pittura e scultura, usando anche occasionalmente il teatro vero e proprio per spettacoli teatrali. E non erano spettacolini di poco conto, ma di spessore nazionale, grazie alla collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, allora diretto da Paolo Grassi e già cuore pulsante della cultura teatrale del Paese. A fare da trait d’union tra il Comune e il Circolo, poi tra il Circolo e il Piccolo Teatro, fu chiamato Gigi Ferrari, un giovanissimo architetto, amante della musica e diplomato al conservatorio. Questo permise a Treviglio di avere l’opportunità di ospitare spettacoli d’avanguardia e di livello nazionale; in sostanza le “prime” si svolgevano nella nostra città, poi affrontavano i teatri di Milano, Firenze, Mantova o Genova. Fu la prima esperienza, forse l’unica, di decentramento teatrale programmato. La voglia di fare cultura in quegli anni era davvero forte e la risposta dei trevigliesi altrettanto entusiasta, se si pensa che, come dicevamo, gli spettacoli si tenevano in condizioni davvero disagiate (Fabbrucci ne ricorda uno in cui l’attore dovette stare quasi nudo sul palco per quasi tutta la rappresentazione, alla fine della quale si beccò una bella polmonite). Insomma, l’attività presso il Comunale stava proseguendo in condizioni difficili ma con grande successo, quando un giorno, durante alcuni lavori, un fortuito colpo di benna alle fondamenta (Signorelli e Fabbrucci sorridono con ironia) rese del tutto inagibile il Teatro. Lo sta-
bile venne ceduto a una nuova proprietà, la Vittoria Assicurazioni, mentre l’Amministrazione Comunale promise di realizzarne un altro; cosa avvenuta solo cinquant’anni dopo, con il TNT! Insomma, Treviglio era rimasta senza teatro (c’era il Filodrammatici, ma era troppo piccolo). Nel frattempo era nato il Cinema Ariston in via Matteotti e i Signorelli, che amavano il teatro non meno del cinema, s’impegnarono per realizzarlo all’interno dell’Ariston stesso per rispondere alle richieste dei giovani organizzatori. «Si pensò di costruire un palco all’interno della sala dell’Ariston - racconta Gianantonio - una cosa spartana, con i tubolari e le assi sopra (opera di Agostino Melli e dei suoi operai), un palco come quello “volante” che si realizzava per le esibizioni del coro Icat. Dietro il palco c’era lo schermo del cinema. Non c’era nient’altro, niente quinte, ovviamente, niente buca, camerini, nemmeno il sipario. Eppure fu una stagione di grandi successi». Mi mostra il programma di una rassegna teatrale del ‘76 (Teatro per noi) alla quale partecipò nientemeno che Giorgio Gaber. Seicento persone, un successone, sempre gra-
zie a Gigi Ferrari e alla Commissione Cultura di cui Fabbrucci faceva parte, che in quegli anni si sostituì al Cat che si era ormai sciolto. I due sono un fiume in piena, e i ricordi si susseguono senza soluzione di continuità. Raccontano che qualche anno prima, nel settembre del ’73, era avvenuto il golpe militare in Cile e in quegli anni, così politicizzati, non si parlava d’altro. In quel periodo Fabbrucci rappresentava in Commissione Cultura e Biblioteca il Partito Socialista, ai ferri corti con quello comunista dopo la scissione del Psi; ma con la sua consueta faccia tosta, il nostro direttore si recò in viale Partigiano, alla sede del Pci trevigliese dove incontrò il sindacalista della Cgil Giuseppe Bresciani, al quale propose – visto il dramma cileno - di organizzare qualcosa insieme in segno di solidarietà verso quel popolo. Grazie ai contatti della Cgil e alla loro mediazione, portarono a Treviglio gli Inti-Illimani (un gruppo vocale e strumentale cileno nato nell’ambito del movimento della Nueva Canción Chilena e tuttora attivo), all’epoca semi sconosciuti e che ebbero così la loro prima apparizione pubblica in Italia proprio a Treviglio, al cinema Ariston. Fu una grande emozione, il pubblico partecipò numeroso, sull’onda emotiva degli even-
A sinistra Giorgio Gaber, accanto e sopra depliant e locandina di una stagione teatrale della Commissione Cultura. Sotto il Giornale di Bergamo dedicato alla demolizione del Teatro Comunale
ti internazionali, ed apprezzò le sonorità strane e affascinanti del gruppo cileno, costretto all’esilio in Italia dal regime di Pinochet. L’Ariston era diventato il fulcro degli eventi cinematografici e teatrali della città. Poi, come tutte le cose, anche quelle belle, quella stagione d’oro finì. L’Ariston chiuse nel 1986, dopo che la crisi del cinema aveva costretto Signorelli a rimodernare anche il Cinema Nuovo (aperto nel 1969 in via Mulazzani) trasformandolo in un cinema a due sale. Nel frattempo era terminata ormai l’attività del Circolo Artistico, con l’abbandono, per motivi diversi, di coloro che l’avevano reso grande. «Il Circolo Artistico trevigliese è stata l’unica esperienza di coordinamento culturale a Treviglio - ricorda Fabbrucci - dopodiché, nonostante gli appelli da più parti, non si è più riusciti a realizzarlo. Ancora oggi continuano gli eventi in contemporanea, come se fossimo una metropoli, con grande disappunto dei cittadini, costretti a scegliere fra uno spettacolo e l’altro». Un problema che il nostro giornale non finirà mai di puntualizzare. Servirebbe la volontà di individuare un referente in grado di “tirare le fila” di tutte le attività culturali, con l’unico scopo di valorizzarne una per una e al meglio. Nel frattempo ci restano i ricordi, grazie anche a personaggi come Gianantonio Signorelli, che non solo ha portato o ospitato lo spettacolo a Treviglio (e per il quale, tre anni fa, ha ottenuto il riconoscimento del San Martino d’Oro); ma conserva, nella sua casa, centinaia di manifesti di film, prime teatrali, fotografie, che sarebbe bello, come si diceva, condividere con i trevigliesi, magari all’interno di una manifestazione ad hoc come potrebbe essere Treviglio Vintage. Servono gli spazi, e la volontà di farlo. Crediamo che le sensibilità in grado di recepire questo messaggio non manchino. I trevigliesi si meritano questo tuffo nella storia del cinema e del teatro di cui la città ha potuto godere negli ultimi 100 anni.
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Editoria
Eventi/Musica lirica
Una nuova associazione
Quando la malattia diventa letteratura
Il volume verrà presentato il 10 Marzo alle 18 presso lo Spazio Eventi - Sala Terrazza, di via Palestro a Milano
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i sono molti modi per parlare di patologie mediche e non tutti sono accessibili a noi comuni mortali. Il metodo scelto da Angelo Sghirlanzoni, noto neurologo e autore di diverse pubblicazioni medico-scientifiche, con questo volume, è originale e accattivante. In Prognosis of Neurological Diseases (Springer-Verlag, Dicembre 2015) si spazia infatti dalla letteratura alla neurologia con disinvoltura ma con cognizione di causa, alla ricerca di casi clinici interessanti nei romanzi più famosi, di cui gli stessi autori hanno voluto essere divulgatori. «Molte sindromi neurologiche, per tragicità o bizzarria, hanno travalicato i confini della neurologia per entrare a far parte della letteratura - spiega Sghirlanzoni - la più classica è la “locked-in”, una condizione in cui il malato, cosciente, è impedito a darne prova perché ha il cervello “incarcerato” in un corpo paralizzato. L’unica possibile comunicazione è limitata ai movimenti oculari. La prima descrizione della “locked-in” (Alessandro Dumas in Il Conte di Montecristo, 1846) è stata ripresa nel 1867 da Émile Zola in “Thérèse Raquin”. La descrizione neurologica, di Darolles, è del 1875. Esemplari, tra le altre, sono anche le rappresentazioni della “Afasia del poliglotta” nella novella “La toccatina” di Luigi Pirandello e della sindrome di “Gilles de la Tourette” tratteggiata da Leone Tolstoj in “Anna Karenina”. Gabriel García Márquez in “Cent’anni di solitudine” delinea invece l’Insonnia familiare fatale, malattia del gruppo cui appartiene quella della “mucca pazza”». Sghirlanzoni presenterà il volume il prossimo 10 marzo alle 18 presso lo Spazio Eventi - Sala Terrazza, di via Palestro 2 a Milano, in una conferenza dal titolo Arte, letteratura e prognosi in neurologia. d. i.
34 - la tribuna - 1 Marzo 2016
Nasce “Alumni Liceo Simone Weil” di Daniela Invernizzi
La neonata associazione culturale presieduta dalla professoressa Monica Bussini, è nata su incipit di un gruppo di insegnanti. L’obiettivo è culturale e si prefigge di sostenere e far conoscere meglio il liceo anche attraverso gli ex “alumni”
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reviglio ha una nuova associazione culturale: si chiama Alumni liceo Simone Weil e raggruppa al suo interno i diplomati e i professori del liceo classico, linguistico e artistico statale della nostra città. Il comitato promotore, composto da tre professori (Monica Bussini, Gianbattista Scrivanti e Corinna Bellini) ci pensava ormai da tempo, convinto della necessità di fare qualcosa per un rilancio in grande stile dei tre licei, alle prese da tempo con un calo degli iscritti, imputabile a diversi fattori e, non ultimo, allaa scarsa considerazione data all’istituto in anni recenti. È chiaro che un lavoro del genere deve essere compito della dirigenza e di chi opera fattivamente all’interno dell’Istituto; ma si è pensato che un’associazione, composta da chi, nel tempo, si è formato e cresciuto all’interno del Weil, potesse dare una mano per realizzare progetti in grado di aiutare i nuovi studenti e fare cultura sul territorio. A tal proposito molti trevigliesi potrebbero chiedersi se la nostra città avesse davvero bisogno di un altro sodalizio culturale: la risposta è sì, se questa non si limita ad autoincensarsi o a guardarsi l’ombelico, ma opera appunto con azioni mirate, volte, come dicevamo, ad aiutare chi sta studiando oggi e vuole diventare una testa pensante domani. L’associazione si è già riunita nel mese di gennaio per redigere lo Statuto e formare il direttivo; dopodiché ci
sono stati altri due incontri, nel mese di febbraio, per decidere le iniziative da intraprendere nel breve periodo e con un’assemblea generale per il tesseramento. Quest’ultima si è svolta lo scorso 20 febbraio nell’auditorium della BCC, in un incontro durante il quale il prof. Franco Gallo ha tenuto una lezione sul valore degli studi classici e molti ex alunni hanno portato la loro storia di studenti prima e di professionisti poi. La presidente Monica Bussini ha evidenziato quali sono le finalità dell’associazione: «Promuovere iniziative di recupero della cultura locale, a partire da
quello della memoria storica del liceo stesso; un lavoro che inizia fin da ora, in vista delle celebrazioni per i 40 anni di “indipendenza” dal liceo Sarpi di Bergamo, dal quale era nato come distaccamento. Pur rimanendo un’associazione a sè stante rispetto all’Istituto scolastico, essa si prefigge di promuovere iniziative volte a valorizzare gli studenti più meritevoli e di organizzare corsi di orientamento professionale, contando anche sull’esperienza e la professionalità degli “ex”». L’associazione è composta dai soci ordinari (diplomati dal 1978 in poi); soci esterni (diplomati prima del ’78 ed ex docenti); soci neo diplomati (ultimo anno); soci onorari (il dirigente scolastico ed eventuali altre personalità meritevoli). Il Direttivo invece è formato da sette membri che rappresentano tutte e tre le componenti liceali. Anche l’età degli iscritti è molto variegata: si va dagli ormai ultra “anta” ai neo diplomati, che d’ora in avanti avranno per l’anno successivo al diploma la tessera gratuita dell’associazione. È bello constatare che sono proprio loro i più entusiasti e si sono già dati da fare per far conoscere l’associazione attraverso Facebook (Alumni Weiliani, gruppo chiuso al quale può iscriversi solo chi può far parte dell’associazione; e Alumni Liceo Simone Weil, pagina aperta). Tra i prossimi eventi, l’organizzazione di un “Weil day”, aperto a tutti, volto a far conoscere la figura e le opere della filosofa e scrittrice francese, alla quale nel 1984 è stato intitolato l’allora singolo liceo classico, dopo il distaccamento, qualche anno prima, dal Sarpi di Bergamo. Nome fortemente voluto dalla dirigente di allora, la compianta professoressa Caterina Merisi, non senza suscitare qualche polemica in città. Infine una curiosità: il nome “Alumni” (plurale del latino alumnus) non è un vezzo, ma è comunemente usato per indicare un ex alunno diplomato in una determinata scuola o università; anche se, stranamente, è molto più utilizzato all’estero che in Italia.
Apprezzatissimo il concerto di San Valentino al Tnt
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a voce cristallina del soprano Gabriella Locatelli Serio e le note magiche del pianoforte di Maria Grazia Gazzola sono state le indiscusse protagoniste del concerto lirico “San Valentino in musica”, tenutosi al TNT di piazza Garibaldi a Treviglio lo scorso 13 febbraio. Il teatro “che non perdona”, per la sua acustica perfetta, in grado di rilevare anche la più piccola sbavatura, ha accolto con grande piacere questo duo di altissimo livello; artiste affermate in Italia e all’estero, che dal 2008 si esibiscono stabilmente insieme, regalando ogni volta emozioni sempre nuove. Gabriella Locatelli Serio ha fatto rivivere le eroine che per amore si sono date, annullate, sacrificate: dalla Giulietta di Bellini, alla Louise di Charpentier, dalla Violetta della Traviata alla Norma di Bellini, con interpretazioni sempre di grande impatto emotivo, che hanno lasciato il pubblico senza fiato. L’accompagnamento impeccabile di Maria Grazia Gazzola, che ha regalato al pubblico anche
una stupenda “Sonata al chiaro di luna” e la “Patetica” di Beethoven, ha reso davvero magica l’atmosfera del teatro. Lunghissimo il curriculum di entrambe le nostre artiste, seppur ancora molto giovani. Qui basterà ricordare che Gabriella Locatelli Serio si è diplomata con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio Donizetti di Bergamo, sotto la guida della maestra Silvia Bianchera, grande assente ma promotrice dell’evento insieme all’associazione culturale Malala e alla società di telefonia e connettività Qcom di Treviglio. Gabriella ha vinto numerosi concorsi nazionali e internazionali e collabora con il Teatro alla Scala, il Teatro Donizetti e molti altri teatri europei. Maria Grazia Gazzola, enfant prodige del pianoforte, si è formata a Bergamo sotto la direzione del maestro Carlo Pestalozza e ha approfondito la sua ricerca musicale a Vienna e Salisburgo. Anche Maria Grazia vanta numerosi premi in Italia e all’estero. Attualmente è titolare della cattedra di “musica da camera” presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia. Una sintesi del concerto è visibile sul sito internet www.tribunatv.tv d. i. Sotto lo sponsor Fabio Erri, della Qcom, presentato da Roberto Fabbrucci che ha introdotto il concerto parlando dell’acustica del Tnt, accanto Daniela Invernizzi che ha condottao la serata
A sinistra Simone Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese il cui nome fu imposto al Liceo dalla preside Caterina Merisi
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Treviglio/San Martino d’Oro
Gera d’Adda/Giovani talenti
Silver: “Esco tutti i giorni” di Daria Locatelli
Ironia, leggerezza e libertà nelle parole e nelle note del nuovo singolo di Silver. Il cantautore orobico racconta a modo suo un aspetto dell’amore nel vissuto quotidiano
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i intitola Esco tutti i giorni il nuovo singolo di Silvio Barbieri, in arte Silver. Il cantautore di Fara Olivana, iniziato alla musica dal padre a suon di Beatles e Bob Dylan, raccoglierà nel prossimo album in uscita ad aprile alcuni brani che segnano le tappe del proprio percorso artistico. Un viaggio incominciato fin
da bambino con la vittoria della rassegna canora della sua città, passando per Milano, Crema e raggiungendo la semifinale del talent X-Factor di RaiDue nel 2009. Sono molte le iniziative e le manifestazioni di rilievo nazionale cui Silver ha preso parte: lo vediamo nelle fila della Nazionale Cantanti, in coppia con Mal nel cast di Domenica In, tra i promotori di Emilia nel cuore, alla conduzione di SilverPool o al RoxyBar ospite di Red Ronnie. Silver ha macinato molti chilometri dalla sua città natale e collezionato numerose esperienze, senza mai perdere la consapevolezza di quello che significa essere professionisti nella musica: «il mio consiglio ai giovani è quello di unire la gavetta dei live nei locali all’indispensabile esperienza che si deve fare in studio di registrazione. È solo lavorando fin da subito a stretto contatto con le figure professionali che collaborano nella produzione musicale che si può accrescere il proprio bagaglio di competenze». Un bagaglio che Silver ha portato con sé ed accresciuto sia sui palchi che nella scrittura dei brani in cui si racconta: «io libero me stesso nella scrittura. Noi siamo l’esperienza che viviamo e scrivo dell’esperienza che vivo». Nelle canzoni - come Se mi freghi un respiro, Tre gocce, Questo amore - le emozioni vengono descritte con note, parole e colori che l’autore tesse in piena libertà: «sono aperto ad ascoltarmi», aggiunge. Lo scorso febbraio ha segnato l’uscita del nuovo singolo Esco tutti i giorni, un brano composto da Silver in collaborazione con Paolo Battaglino e che mantiene la nuova linea artistica inaugurata da Questo amore. Quello che viene raccontato con testi e musica è la dinamica della separazione in amore vissuta nel quotidiano. L’apparente agognata libertà raggiunta a seguito dell’abbandono, nonostante gli autoinganni e i convincimenti messi in atto per sollevare l’animo della de-
L’organista Paolo Oreni tra i premiati di Silvia Bianchera Bettinelli
Con Fausto Ferrari, Marta Zoboli e l’Atletica Estrada, il giovane musicista, rinomato in tutt’Europa, è stato tra i prescelti per benemerenza. Il primo ringraziamento alle istituzioni che gli hanno permesso di studiare all’estero
lusione subita, si rivela non desiderata nella realtà. Il tutto descritto con l’ironia e l’autoironia che contraddistinguono il cantante. Nel videoclip (regia di Francesco Dardari e riprese di Marco Dardari), girato a Cento, la giocosità del brano viene amplificata, come dimostra la scena della caduta di Silver, mantenuta volontariamente nel montaggio finale. «La realizzazione del videoclip - descrive - rispecchia molto la canzone. Il giorno delle riprese si è rivelato difficoltoso, a causa di pioggia e vento che rendevano il lavoro ostico e influivano anche sul mio stato d’animo. Le persone che erano intorno a me, però, hanno contribuito a risollevare sia la situazione che il mio stesso mood. Il divertimento ha preso il posto del malumore e questo crescendo di emozioni è stato trasmesso nel video». La stessa evoluzione emotiva che viene raccontata nel brano, un parallelismo che fa trasparire la genuinità di quanto il cantautore racconta: frammenti di vita e situazioni che toccano ciascuno di noi, esperienze del quotidiano che vengono riproposte in suoni e parole che raggiungono chi ascolta, con quella leggerezza caratteristica di chi è libero di ascoltarsi, proprio come Silver.
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a alcuni anni non vedo Paolo Oreni. Mi capitava di incontrarlo spesso a Milano, in stazione Centrale, in partenza per una delle sue tournée all’estero. Presso quei Paesi, cioè, in cui la tradizione dell’arte organistica è nobilmente mantenuta, perché vista come una forma di civiltà e tradizione, che affonda le sue radici nei Grandi Autori di area fiamminga o sassone, Bach in primis. Ho avuto invece l’occasione, nel 2013, di trascorrere alcuni giorni con la moglie di Paolo, la bravissima (e altrettanto bella) Patrizia Salvini, cui la tribuna ha di recente dedicato una lunga intervista, in quanto pianista e componente la Giuria del Concorso Pianistico Internazionale Bruno Bettinelli di Treviglio. Leggendo il curriculum del giovane Paolo, si è indotti a pensare che prima in Lussemburgo, Belgio, Austria e, infine, in Germania egli abbia appreso le arti del concertismo, ma le cose non sono proprio così. Quando egli si presentò dal grande Jean Guillou, in Lussemburgo, il Maestro poté constatare che il ragazzo era già in possesso di quegli “arnesi” che si apprendono solo in giovanissima età (dopodiché sarebbe troppo tardi per qualsiasi musicista) e cioè, nel caso di Paolo: perfetta padronanza della tecnica strumentale, conoscenza sopraffina dell’Armonia e del
Contrappunto e l’arte, molto apprezzata nei paesi di lingua tedesca, dell’Improvvisazione. Tutto ciò, questo giovane trevigliese, lo deve al Maestro Giovanni Walter Zaramella, l’indimenticato e indimenticabile docente d’Organo - per alcuni decenni - presso il Conservatorio di Bergamo. Una così granitica preparazione unita al talento innato di Paolo hanno fatto il resto. Nelle Scuole Organistiche di Alto perfezionamento del Nord Europa, i celebri docenti che vi operano sono perfettamente al corrente della triste situazione della musica sacra nelle nostre Chiese, la cui tradizione organistica è lasciata a qualche eroico parroco: si preferisce sentire voci di ragazzi stonati che si accompagnano con chitarre anch’esse stonate. Per questo, le importanti gratificazioni che Paolo ha ricevuto in tanti anni di carriera, tra cui un premio del Ministero della Cultura del Lussemburgo, piuttosto che la vittoria come esecutore di molti premi internazionali, acquistano per lui, ma anche per noi italiani, un significato ancor più forte ed esaltante. Quando ho saputo del premio di Benemerenza Civica che la sua amatissima Treviglio gli avrebbe assegnato il 29 febbraio, l’ho contattato telefonicamente ed ho riascoltato la stessa voce gentile ed educata di un ragazzo schivo e timido, mi è parso, per un momento, di rivederlo, sempre sorridente e affettuoso, sullo scalone del Con-
Alcuni scatti che ritraggono l’organista trevigliese Paolo Oreni, in basso con la moglie Patriza Salvini, eccezionale pianista
servatorio in Città Alta a fianco del Maestro Zaramella. Sorpreso ed emozionato Oreni si è dichiarato «…più che onorato di ricevere questo premio dalla mia città, l’amata Treviglio, che mi ha aiutato attraverso delle borse di studio erogate dello stesso Comune e da alcune banche cittadine, a studiare all’estero e intraprendere la mia strada di musicista errante». Poi, riguardo al Maestro, Paolo sottolinea «…di ricordare sempre con grande gioia i viaggi in treno con Zaramella, dove mi raccontavate aneddoti straordinari della vostra carriera, ovvero anche di lei signora Bianchera, sperando segretamente, un giorno, di poter fare altrettanto». Si dice che i trevigliesi abbiano un carattere duro, “selvatico”, ma ciononostante la città sa premiare i suoi figli che portano con onore il nome di Treviglio nel mondo. Paolo Oreni, assieme a Fausto Ferrari, Marta Zoboli e Atletica Estrada, son stati scelti per il San Martino d’oro 2016, simbolo di eccellenza civica.
Treviglio: il rock a teatro con gli S.O.S.
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l 28 gennaio scorso il Teatro Filodrammatici di Treviglio ha aperto le porte al rock travolgente degli S.O.S. Save Our Souls. Lo spettacolo è stato una festa della musica originale, e i presenti sono stati protagonisti del potere delle note e delle parole del repertorio eseguito dalla band orobica. Gli S.O.S. hanno scelto la splendida cornice del teatro e una città familiare per la tappa zero del tour 2016 #nonmifermare. Sul palco si sono avvicendati molti dei musicisti che hanno contribuito a creare la storia ventennale del gruppo, sempre capitanato dal frontman Marco “Bruco” Ferri (autore e voce): Cristian Rocco (chitar-
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ra), Milly Fanzaga (batteria), Simone Trevisàn (chitarra), Nicola Mazzucconi (basso), Sandro Allario (tastiere), Giordano Bruno (chitarra) e Paolo Legramandi (basso). Le canzoni che hanno “salvato le anime rock”, perfino a 10.000 km di distanza lo scorso anno a Shanghai, sono state fatte risuonare a casa, da sempre la base per il continuo viaggio degli S.O.S. d. l.
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Personaggi/L’Arte di Cesare Calvi
COME LAVORIAMO
«Il fantastico delle cose che non ti aspetti» di Daniela Regonesi
A margine della personale tenutasi lo scorso mese, incontriamo Cesare Calvi, apprezzato pittore trevigliese, originale ed eclettico. «Un pittore che ha tecnica, “mano” e sensibilità» dice Beatrice Resmini, curatrice della mostra
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i è conclusa con successo la mostra In Itinere, allestita presso la Sala Crociera del Museo Civico di Treviglio, dedicata alla corposa produzione dell’artista Cesare Calvi. Il commento ricorrente, tra i visitatori è stato: “ci voleva!”. Era necessaria una personale così ricca e completa, che testimoniasse 50 anni di attività artistica dedicati ad esplo-
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rare colori, materiali e tecniche. L’esposizione è stata “una grande festa di bellezza”, per usare le parole di Riccardo Riganti, direttore del museo, che definisce l’artista autodidatta “poliedrico, multicolore e incantato”. Non si può dargli torto: basta osservare le sue opere o sentirlo raccontare di come, semplicemente, abbia dato forma al «fantastico delle cose che non ti aspetti», come lo scoprire una maschera, un volto, in una benna fotografata nel cantiere di piazza Garibaldi. «Perché - come spiega Beatrice Resmini, curatrice del museo e progettista dell’esposizione insieme al suo direttore - «Calvi non possiede solo la tecnica, “la mano”, ma anche l’occhio, la sensibilità: trae spunto dall’osservazione, dal riconoscimento delle potenzialità espressive di singole cose (un cartellone strappato, un ferro arrugginito, per esempio). Pertanto i suoi non sono cicli conclusi, lavora per tematiche (i totem, i nodi, le maternità, ecc.), in cui ogni aspetto è potenzialmente creativo e quindi non può ritenersi esaurito. A livello teorico e tematico lascia aperte diverse porte». Da qui il titolo della mostra poiché, dice l’artista, «il mio è un cammino legato a stati d’animo e avvenimenti della vita, dopodiché mi chiedo come affrontare la materia». I primi soggetti sono stati i ragazzi del
A sinistra il pittore Cesare Calvi durante la mostra nel Museo Civico e altri scatti di Enrico Appiani
cortile, le sorelle, il papà. Le opere a cui è più legato sono i paesaggi del periodo giovanile, «sicuramente - rileva - caratterizzati da un lirismo che non ho più raggiunto. Ho rappresentato il verde del nostro territorio, di una campagna che sopravvive in stretta misura sul costruito, ma che ho anche riscoperto, ad esempio, nel 2012 quando ho dovuto trascorrere due mesi nel reparto di cardiologia e, quando riuscivo, acquarellavo gli scorci che vedevo dalla finestra». Ha sperimentato la pirografia colorata, complice il lavoro presso laboratori artigianali del mobile d’arte e, a distanza di tanti anni, continua a giocare - nel senso più alto del termine - con i materiali e con i temi, che evolvono e si rincorrono in forme e sostanze nuove: così come i contadini pugliesi disegnati dal vero si trasformano negli “oranti” (dalle caratteristiche braccia alzate al cielo) fino a prendere le forme astratte dei totem. Anche nelle ope-
re realizzate in “materiale estroflesso” (spesso sculture e installazioni che con luci ed ambientazioni particolari danno luogo a fotografie cariche di suggestione) è possibile leggere delle figure che si intersecano e, quindi, di nuovo gli oranti. Altro tema caro all’artista è quello dei “nodi”, opere tridimensionali che «sono la vita stessa, le tensioni, ciò che abbiamo dentro e va liberato. Ma anche in essi si possono riconoscere delle figure». Come le maternità, ora realistiche ora astratte, le maschere e i tanti arlecchini, declinati in acrilici, sculture e steli. È grato, Calvi, per questa esposizione che, inizialmente, doveva limitarsi ad illustrare i suoi ultimi lavori (le macerie): «il critico è utile per capire il proprio lavoro, elaborarlo e ripartire da capo». E dietro un sorriso furbo e soddisfatto, l’artista, giustamente, non mi svela né a quale materiale né da quale input ripartirà il suo lavoro. Di sicuro il suo sguardo ha già intravisto il fantastico ed è all’opera per farlo emergere, con risultati di cui si potrà dire molte cose, tranne che annoino.
Il tè al Museo di martedì 16 Marzo Incontro con Gloria Ferro, volontaria e storica dell’arte
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ome nasce una collezione d’arte? Quali sono i criteri che spingono un collezionista ad acquistare un’opera anziché un’altra? A queste ed altre domande relative alle collezioni d’arte risponderà il Tè al museo organizzato dall’Associazione Amici del Chiostro-Onlus nel mese di Marzo. Della Torre collezionista è infatti il titolo dell’incontro, che sarà curato da Gloria Ferro, volontaria dell’associazione e storica dell’Arte. Partendo dalla figura
STUDIO
PROGETTAZIONE
RENDERING
CONSEGNA
POST-VENDITA
Alcune volontarie del direttivo de “Gli Amici del chiostro”
del fondatore del museo cittadino, Ferro parlerà della formazione delle collezioni d’arte in Italia. L’appuntamento è per martedì 15 Marzo a partire dalle 16, all’interno del Museo civico Ernesto e Teresa Della Torre.
www.maxinterniedesign.it 1 Marzo 2016 - la tribuna - 39
Ospedale/Radiologia Treviglio/Una serie di iniziative
Digitale: in pensione le vecchie lastre
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al 1° febbraio di quest’anno l’azienda Socio Sanitaria Territoriale Bergamo Ovest è diventata “film less”, si è cioè convertita definitivamente al digitale. Una rivoluzione iniziata dieci anni or sono, quando l’ospedale di Treviglio fu tra le primissime aziende ospedaliere ad utilizzare il digitale, grazie all’utilizzo del sistema “RIS PACS”, in grado di fornire un’ottima qualità delle immagini e la sicura conservazione delle stesse su cd. In questi anni però ci sono state alcune resistenze, o meglio rallentamenti nell’adeguamento di alcune categorie di medici al nuovo sistema, con la conseguenza che per molto tempo ancora si è andati avanti con una sorta di doppio sistema. «Ora finalmente è possibile mandare in pensione la vecchia pellicola - ha spiegato il dottor Lodovico Gilardoni (nella foto), capo dipartimento diagnostica - che ormai è diventata meno efficace e antieconomica». Da febbraio quindi tutti i servizi di Radiologia forniscono i referti esclusivamente su cd e non sarà possibile avere la stampa degli esami radiologici su pellicola, nemmeno a pagamento. d. i.
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Il Rotary e le Domeniche della Salute di Cristina Signorelli
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l Rotary Club Treviglio e Pianura Bergamasca è l’organizzatore del progetto Le Domeniche della Salute che si propone di promuovere l’informazione sanitaria delle più comuni patologie e indirizzare i cittadini ad una corretta prevenzione delle stesse. Il Club di Treviglio fin dal suo esordio, avvenuto quasi quarant’anni fa, ha dimostrato particolare sensibilità al tema della salute, come ricorda l’attuale Presidente, Giuseppe Facchetti: «Il primo grande service di Rotary International, Polioplus, è partito proprio da Treviglio ad opera del socio fondatore Sergio Mulitsch che ha organizzato l’invio dei primi grandi quantitativi di vaccini antipolio nelle Filippine. Ci eravamo attivati con lo scopo di debellare la polio nel mondo e ci siamo quasi riusciti, poiché recentemente solo in Pakistan e in Afghanistan si sono presentati dei casi di malattia». Ristretto ad un ambito più locale, ma non meno rilevante, sarà il service Le Domeniche della Salute del quale è responsabile Martina Di Rubbo, medico ginecologo, che afferma: «In accordo con il motto del presidente del Rotary International, K.R. Ravindran, che recita ‘Siate dono nel mondo’, noi soci vogliamo mettere a servizio del territorio la nostra professionalità donando noi stessi e il nostro lavoro». Il progetto, patrocinato dall’Ospedale di Treviglio (ASST Bergamo Ovest), si articola in tre domeniche durante le quali, in piazza Manara a Treviglio, verrà allestita una postazione dotata di strumenti diagnostici ed informativi - un grande camper affiancato da gazebo e stand - presso la quale, insieme alla dottoressa
Martina Di Rubbo, che sarà presente in tutte le tre giornate, i medici e il personale qualificato accoglieranno i cittadini per offrire un’informazione medica corretta e la visita del paziente con lo specialista. Sarà data inoltre la possibilità di effettuare alcuni esami diagnostici, quali per esempio il pap test, lo screening glicemico ed altri. La presenza di un mediatore culturale e l’accesso ad un percorso facilitato di approfondimento diagnostico presso l’ospedale di Treviglio completano l’iniziativa che sarà certamente di grande utilità ed interesse per la popolazione. Durante il convegno tenutosi il 6 febbraio al teatro TNT a Treviglio, organizzato da Rotary Club Treviglio e Pianura Bergamasca per presentare in dettaglio il progetto, i medici specialisti che vi hanno partecipato hanno approfondito le tematiche di informazione e prevenzione relative alle loro aree di competenza. In particolare il dottor Gianni Baudino, medico ginecologo, responsabile della Ginecologia all’Ospedale di Crema, riferendosi al tema di domenica 14 febbraio - giornata dedicata alla ginecologia ed urologia, ha posto in evidenza come, nel corso degli anni, una maggiore conoscenza degli strumenti di diagnosi precoce da parte delle donne e il loro corretto uso abbiano aumentato le possibilità di sopravvivenza in casi di tumore, diminuendo spesso i costi sociali ed economici legati a talune patologie. Il dottor Antonio Bossi, medico diabetologo, responsabile della Diabetologia, e il col-
Medicina & Dintorni
A sinistra un momento dell’incontro al Tnt organizzato dal Rotary: a destra uno dei relatori, il dott. Antonio Bossi, sotto Sergio Mulitsch con Albert Sabin, inventore vaccino poliomelite
lega dottor Emilio Galli, medico nefrologo, responsabile della Nefrologia, che lavorano entrambi presso l’Ospedale di Treviglio, hanno presentato interessanti relazioni sui temi attinenti la domenica 13 marzo – giornata dedicata alle malattie cardiovascolari e al diabete. Durante il convegno il dottor Bossi ha sottolineato la disinformazione che, ancora oggi riguarda una malattia sociale come è il diabete, e il numero di persone che ne sono colpite senza esserne neppure a conoscenza, stimato in un valore quasi pari a quelle dichiarate affette. Ha inoltre rimarcato, supportato in questo dal dottor Galli che sarà presente in piazza il 13 marzo, l’importanza di una dieta sana - la famosa piramide mediterranea degli alimenti - e dell’attività fisica fatta con regolarità e in misura adeguata alle proprie capacità personali, così da adottare uno stile di vita sano che è la migliore prevenzione alla malattia. Domenica 10 aprile – giornata dedicata ai problemi dell’occhio e della vista si informeranno i cittadini circa le malattie dell’occhio. La dottoressa Carmen Viganò, presente al convegno, ha sottolineato che molte problematiche a livello oculare possono insorgere anche a seguito di altre malattie come il diabete. A completamento del programma verranno organizzati due eventi sportivi sul territorio, come ci dice Di Rubbo: «Per attuare il progetto di mantenersi in forma e quindi in buona salute, nonché con l’obiettivo di raccogliere fondi per il progetto, organizzeremo un Torneo di Tennis presso il Circolo di Treviglio e una Biciclettata della Salute per i castelli lungo l’Adda». Tutti i medici presenti al convegno hanno condiviso e apprezzato l’importanza dell’iniziativa che esce dall’ambito ospedaliero per portare nella piazza, più vicino alla gente, gli specialisti e le strumentazioni adeguate a fare una corretta informazione sanitaria. L’auspicio è che i cittadini se ne avvalgano, consapevoli che l’attenzione alla loro salute si compone anche di piccole e semplici regole da applicare quotidianamente.
Scienza e coscienza di Angelo Sghirlanzoni
La coscienza può essere parzialmente presente anche nelle persone in stato vegetativo
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a coscienza è come un oceano, i suoi diversi stadi sono i mari che noi delimitiamo in modo arbitrario per orientarci. Anche il coma, lo stato vegetativo, quello di coscienza minima sono divisioni artificiali per capire dove si colloca una persona in uno stato che va dalla coscienza completa alla completa inconsapevolezza o “coma”. Questa condizione è caratterizzata dall’incapacità di svegliarsi e dalla mancata coscienza di sé e dell’ambiente circostante. In pratica, si “dorme” sempre. Alcuni pazienti comatosi possono aprire gli occhi, mantenendo la capacità di alternare il sonno alla veglia. Si trovano in quello che viene definito “stato vegetativo”, comunque una condizione in cui le persone sono, per definizione, inconsce e non partecipi. Nel 2006 il gruppo del neuro-scienziato inglese Richard Owen [Science. 2006; 313(5792):1402] con la “risonanza magnetica nucleare funzionale” (fMRI), un esame che rende visibili le aree del cervello in attività, ha dimostrato che una ragazza di 23 anni in “stato vegetativo” (incosciente per definizione) era in grado di immaginare di giocare a tennis o di ripercorrere le stanze della sua casa. La sua attività cerebrale era simile a quella delle persone normali. Nel 2010, lo stesso comportamento è stato osservato in persone del tutto inconsce [N Engl J Med. 2010; 362(7): 579-89]. Questi studi possono cambiare in modo
radicale la valutazione sull’effettiva coscienza delle persone in “coma” o in “stato vegetativo”. La questione della persistenza di una partecipazione cosciente nello stato vegetativo ha un impatto che va ben oltre la medicina. Mette in discussione l’etica dei nostri atteggiamenti e la stessa definizione di che cosa sono la vita e la morte cerebrale. La fMRI, rivelando un qualche grado di consapevolezza in persone che sono incapaci di manifestarla, può, magari non sempre e senza certezze, svolgere un ruolo cruciale nel rilevare tracce di pensiero in pazienti apparentemente non coscienti. Tra la coscienza piena dell’uomo normale e il coma ci sono infiniti gradi, “mari”. Ci sono condizioni in cui non si capisce nulla, altre in cui si capisce e lo si può dimostrare, altre ancora in cui la nostra comprensione rimane “chiusa dentro”, senza possibilità di comunicarla ad altri. Nei fatti, la differenza tra una persona considerata “non cosciente” e una “cosciente”, è basata sulla incapacità della prima di segnalare la propria “consapevolezza”, con una risposta agli stimoli che sia volontaria, finalizzata e replicabile. Ma sembra evidente che in certe condizioni si può essere coscienti, ma impossibilitati a darne prova. Secondo Massimo Borrelli (nella foto), primario di Rianimazione a Treviglio, l’applicazione della fMRI nel “coma” porta a diagnosi e prognosi più precise. Va però ribadita la validità dei criteri [Jama 1968;205:337] che discriminano in modo “certo” tra condizioni di danno cerebrale con attività di tronco encefalico conservate, come nello stato vegetativo persistente (vita) e il danno cerebrale senza attività di tronco encefalico che definisce la “morte cerebrale”.
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Treviglio/Sport e salute
Allevamento San Francesco
Allevamento - Pensione cani aperta tutto l’anno - Toelettatura Addestramento: corso base cuccioli, corso avanzato cani adulti
Corriamo e... Siamo felici! di Daniela Regonesi
Alla scoperta del mondo dei runners, con una guida d’eccezione: il Gruppo Sportivo Avis Treviglio “Gigi Brusaferri”
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n piccolo esercito silenzioso, determinato e, qualche volta, affannato, popola le nostre vie in ogni ora e in ogni stagione, con una netta crescita a partire dal periodo primaverile. Sono i runners, gli amanti della corsa. Ne incontro una piccola ma significativa rappresentanza in una delle loro “basi”: presso il negozio Olimpique 2 Sport di Treviglio, specializzato nell’offerta di prodotti per la corsa, trovo Milena Brusaferri, Pierangela Ramponi e Lucia Dozio (rispettivamente presidente, vice presidente e responsabile Fidal del Gruppo Sportivo Avis Treviglio “Gigi Brusaferri”), oltre che i padroni di casa Renzo Bonora e Stefano Brivio. «Il Gruppo Sportivo Avis Treviglio nasce nel 1974: in coincidenza con le domeniche ecologiche imposte dall’Austerity - mi racconta Milena - volevamo fare qualcosa per far camminare le persone. Nasce dunque tra i volontari dell’Avis (Associazione Volontari Italiani del Sangue) ma è un gruppo aperto a chiunque. Il messaggio dell’importanza della donazione viene portato avanti comunque. La nostra sede è da sempre in piazza del mercato, presso quella dell’associazione: siamo fortunati, ci troviamo un gran bene lì». E da lì partono le tante iniziative del gruppo (vedi box): «la prima che abbiamo promosso è la Marcia Autunnale - prosegue la presidente - che dal 2004 si chiama “StraTreviglio”. Dalle camminate iniziali una quindicina di anni fa siamo passati al
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tesseramento Fidal (Federazione Italiana di Atletica Leggera): si è rivelata una buona scelta, perché in questi anni la passione per la corsa è cresciuta molto, dilaga. Il settore competitivo si è sviluppato molto ma siamo amici, un gruppo che funziona bene: organizziamo diverse iniziative per aggregare gli iscritti, come la gita sociale, che abbina una camminata ad un pranzo». La società porta il nome del fratello di Milena, Gigi Brusaferri: quando è venuto a mancare è stato deciso di intitolargli la società di cui è stato presidente per 30 anni, «un mitico presidente», sintetizza Lucia in tre parole cariche di affetto e gratitudine. Il gruppo, che registra buoni risultati, conta circa 330 iscritti (dei quali circa 200 tesserati Fidal), dai 18 anni agli 80 inoltrati, segno che riscontra un positivo coinvolgimento di tutte le fasce d’età. Pierangela mi spiega che qualunque entrata registrata dall’associazione, una volta coperte le spese organizzative, va in beneficenza: «abbiamo adottato a distanza due
bambini, uno in Brasile e uno in Mozambico, e appoggiamo varie iniziative a scopo benefico». A questo punto, la curiosità ha la meglio sulla mia pigrizia e dò voce ad un interrogativo che spesso mi pongo, soprattutto quando incrocio qualche runner che non si lascia spaventare dal freddo, dal caldo, dalla pioggia o dalla nebbia: perché correte? Cosa vi dà la corsa? Mi risponde Pierangela, schietta e cristallina: «Fa stare bene. Io ho cominciato dopo i 50 anni, periodo in cui per la donna possono presentarsi alcuni disturbi o fastidi di salute. Piuttosto che prendere le pastiglie ho deciso che fosse meglio correre». Interviene Renzo: «il benessere dato dalla corsa è spiegabile biochimicamente, perché correre fa produrre all’organismo Beta endorfine (sostanze chimiche prodotte dal cervello e dotate di una potente attività analgesica ed eccitante, ndr). La corsa è più invasiva di altri sport, ma dà un grande rilascio di endorfine, con effetti simili a quelli
Chi vuol esser lieto... Corra!
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ono tante le iniziative che vedono la partecipazione e la promozione del G. S. Avis Treviglio Gigi Brusaferri. Innanzitutto la Stratreviglio, corsa amatoriale che si svolge la prima domenica di novembre, con percorsi di 7, 15, 21 e 30 km. Un’altra iniziativa è la Staffetta 3 X 3 per Treì, gara in memoria di Gigi Brusaferri in cui squadre di tre atleti compiono tre giri del circuito di 850 metri. «Quest’anno si terrà nel pomeriggio di sabato 9 aprile. È importante perché coinvolge anche i ragazzini, che danno sempre un riscontro positivo in termini di partecipazione, impegno ed entusiasmo. Per il 10 giugno, invece, è organizzato, grazie alla preziosa collaborazione del comune, il “Fosso Bergamasco”, gara molto coinvolgente e partecipata. Ci teniamo a ringraziare la polizia locale per il prezioso appoggio» dice la presidente. Ogni anno il gruppo organizza una trasferta all’estero di due o tre giorni (nel
2015 a Budapest) per partecipare ad un evento podistico internazionale. Durante questa mini-vacanza, che di solito registra una quarantina di partecipanti, si corre e si visita la città che ospita la manifestazione, divertendosi in compagnia. Il 21 aprile prossimo, in collaborazione con Olimpique 2 Sport, farà tappa a Treviglio la Mizuno Runlife, un progetto di social running gratuito e aperto a tutti, nato lo scorso anno allo scopo di unire sport e benessere, per portare a tutti l’opportunità di correre, socializzare e migliorare la propria salute, in un fiume di maglie fluo che si snoderà per le vie del centro. d. r.
dell’oppio ma senza le sue controindicazioni, per questo si dice che i runners siano “drogati di corsa”. È comprovato che la corsa, apportatrice di freschezza, benessere e brillantezza generale, è uno dei migliori antidepressivi». «Da non sottovalutare, poi – aggiunge Lucia - i posti che vediamo: siamo felici di fare da tanti anni gli stessi bellissimi percorsi quattro volte la settimana». E Milena conferma: «anche le camminate della domenica mattina permettono di scoprire tante bellezze del territorio. La corsa fa bene a mente, spirito e corpo». Renzo prosegue: «è uno sport pesante ma accessibilissimo: non necessita di prenotazioni, spogliatoi, grandi attrezzature. Infili le scarpe e bruci il triplo delle calorie rispetto che a nuotare. Un’ora di corsa equivale a tre di nuoto e a due di ciclismo». Oltre al benessere fisico e mentale, Lucia ricorda il lato umano di questo sport: «la corsa è anche amicizia, la «sofferenza» ci unisce. Tiri fuori il lato puro che hai in te, non puoi mentire. Mentre corriamo siamo tutti uguali, indipendentemente dal lavoro che facciamo o dal titolo di studio che possediamo. È molto aggregante. E nel nostro gruppo siamo una sorta di famiglia». C’è persino chi si è organizzato per ritrovarsi e correre insieme prima che faccia giorno: «‹Alba Run 5.45’ è il nome scelto da Renzo, per un’iniziativa nata lo scorso anno - mi spiega Stefano - aperta a tutti, per fare aggregazione e trovarsi insieme (l’importante è svegliarsi!). Abbiamo fatto quattro o cinque uscite con una cinquantina di persone: appuntamento davanti al negozio alle 5.45, corsa o camminata, colazione insieme e alle 7 tutti a lavorare. Complice l’arrivo della primavera torneremo a proporla». Promettendo che sarò più clemente nei confronti dei runners che incrocerò a faticare giù dai marciapiedi - li evitano perché alcuni sono letteralmente impraticabili, pieni di escrementi canini e pericolosi perché sconnessi e pieni di foglie - chiedo quindi come sia Treviglio addormentata, immaginando che Alba Run regali una prospettiva conosciuta a pochi. Il coro è unanime e sorridente: «È molto affascinante, soprattutto il Bosco dei Castagni, dove fanno capolino lepri e scoiattoli». Quante cose ci sono dietro il passo cadenzato di un runner!
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Personaggi/Giovani trevigliesi nel mondo
Da una giungla all’altra di Daniela Regonesi
Facciamo conoscenza con Roberta Aralla, un esempio di bella gioventù, orgogliosamente esportato e aperto al mondo
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on so di preciso dove risieda l’istinto, se più vicino al cuore, alla mente o alla pancia, ma credo che in Roberta Aralla sia una sorta di potente navigatore, la cui direzione non è semplicemente “via dall’Italia”. La sua meta non è univoca, l’obiettivo non è né la fama né l’ambizione, quanto piuttosto, come lei stessa mi ha spiegato, «sperimentare, mettermi alla prova, confrontarmi con persone diverse per arricchirmi a livelli più elaborati». Roberta è una giovane trevigliese che, in una manciata di anni, ha maturato all’estero una serie di esperienze che sarebbe riduttivo relegare al solo ambito degli studi. La sua prima partenza è quasi casuale, legata ad un incontro fortuito con Padre Fulgenzio Cortesi che, nell’estate tra la quarta e la quinta superiore, la accoglie in Tanzania per un’esperienza di volontariato con gli orfani de Il villaggio della Gioia. Affrontare a diciotto anni la prima esperienza all’estero, da sola, le permette di dire «non ho più paura». Durante gli studi universitari frequenta un semestre a Berlino, con il programma Erasmus: «ho sperimentato l’estero e ne sono rimasta estasiata. Stravolgere la mia vita cambiando Paese, lingua, cultura, dimensione della città, distanze, è stato uno shock molto positivo. Avevo ventuno anni, quindi è stata dura, ma trovare casa e vivere con ragazzi tedeschi, trovare un mio spazio nella città mi ha ripagata e spinto ad essere positiva».
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Tant’è che torna in Italia giusto per discutere la tesi, poi comincia il suo “anno sabbatico”, lavorando in un laboratorio prima nove mesi a Berlino, poi altri tre a Londra, ma la capitale inglese è “forse troppo grande”, pertanto sceglie di continuare a studiare le neuroscienze a Göttingen, città tedesca universitaria, molto internazionale e che offre vari background culturali. Per la tesi della laurea specialistica è in Madagascar, ad effettuare test sul comportamento dei lemuri dalla fronte rossa, ma è solo il primo assaggio di giungla, l’inizio di quella che lei chiama «fase selvaggia». Infatti, qualche mese dopo, è nella foresta pluviale peruviana con il compito di osservare e localizzare le specie animali ed il loro habitat. È il sogno di bambina che diventa realtà, e poco importa se bisogna bere acqua del fiume e dormire in una capanna, se si passa dalla Germania del «rispetto delle regole ferree, ma che sconta maggior individualismo e minor spontaneità, al selvaggio incontaminato», se parti come biologa ma, alla fine, fai la mediatrice culturale tra popolazione locale e governo per la conservazione delle aree naturali. Da gennaio 2015 Roberta sta seguendo il dottorato in una cittadina tedesca un po’ meno internazionale, Oldenburg, il mese scorso è stata in California per presentare i primi risul-
tati del progetto ad una conferenza internazionale, mentre da maggio a novembre studierà a New York. In questo vortice di cambi di residenza, porta con sé diverse cose: alcuni valori, come la tolleranza ed il rispetto; un po’ di Treviglio, che è la sua «palestra per confrontarsi con le diversità e le difficoltà; la positività, il piacere di stare insieme; un’idea di comunità, di aiutarsi a vicenda, e la disciplina, imparata a scuola, indispensabile per raggiungere un obiettivo». Roberta è chiara nel descriversi: «ho maturato una sorta di dipendenza da nuove esperienze all’estero. Sai che all’inizio dovrai sacrificare qualcosa, ma la gratificazione cresce e ne vorresti sempre. Il mio desiderio era salire una scala di difficoltà e accogliere una sfida più grande, perché c’è maggior soddisfazione nel riuscire. La Germania è vicina all’Italia, ma non ne conosciamo quasi niente, io stessa avevo tanti pregiudizi. Mi ha guidato l’interesse per una cultura diversa anche se vicina, ma ora sono io l’immigrata. La discriminazione diminuisce, però si sente, anche se vivo in un ambiente accademico. Oldenburg è conservatrice, è avvertito negativamente il problema dei rifugiati: non padroneggiare bene la lingua può chiuderti molte porte in faccia». Le ombre della vecchia e civilizzata Europa, che si contrappongono alla luce dell’accoglienza e della condivisione, trovati invece nel clima familiare del selvaggio villaggio di Buen Jesus de Paz dove la signora peruviana che la ospitava, alla sua partenza, le ha raccomandato di stare attenta a quello che fa e a come lo fa, perché ora ha un’altra famiglia che si preoccupa per lei. Nell’impervia foresta Roberta si è resa conto che «abbiamo dimenticato troppo. Il materiale viene messo davanti a tutto. La giungla mi ha permesso di riavvicinarmi a ritmi più umani. L’evoluzione naturale non è al passo con il progresso. I bisogni del corpo e della mente sono più legati a quelli naturali. La vita nella foresta è molto impegna-
Sopra bimbi al bagno, accanto immagini inviate da Roberta Aralla e sotto ritratta con una scimmietta
tiva, ci sono molti pericoli, ma ti permette di sentirti di nuovo parte di un sistema più grande. Riconosci la potenza delle leggi della natura, sulle quali non abbiamo controllo: ciò da un lato sicuramente spaventa, ma al tempo stesso rilassa, perché non sono chiamata a intervenire, non è mia responsabilità. Lì è puro istinto. Lo riscopri. Il più naturale ed animalesco: usi sensi e capacità dei quali in città non c’è più bisogno». Le scelte e i cambi di direzione di Roberta, indubbiamente, sono possibili grazie alla facilità di spostamento odierna, ed il suo bisogno di muoversi quaranta anni fa non sarebbe stato assecondabile allo stesso modo, ma, quindi, rientra nella categoria dei “cervelli in fuga”? Lascio a lei la risposta: «quando se ne parla mi sento in qualche modo presa in causa, anche se non mi identifico per niente in questa definizione. Il concetto di “ fuga” suona come una scelta vile e negativa, che non si addice per nulla alle motivazioni che mi hanno spinta ad uscire dall´Italia e a rimanere all´estero. Per molto tempo ho vissuto un conflitto in cui sentivo di “tradire” il mio Paese, che fino a quel momento mi aveva offerto tanto, tutto. Non riuscivo a non sentirmi in colpa per aver voltato le spalle a chi mi aveva accudito e sostenuto fino a quel momento: la famiglia, l´Italia. Ora, però, io, come moltissimi altri giovani, mi trovo immersa in un contesto globale ed internazionale, che non conosce confini geografici, linguistici, culturali. L´espansione, la libertà e il proiettare sogni e ambizioni su scala mondiale sono una sfida pari a quella che hanno tutti coloro che, per svariati motivi, restano nel loro Paese. La mia fortuna è l´essere uscita dall´Italia per scelta, non per necessità, e questo rende ovviamente tutto molto più facile. La libertà di andarsene, per cercare di costruirsi il proprio futuro, dovrebbe essere vista come un diritto e non come una colpa dell’individuo. E, comunque, anche se il cervello è fuggito, il cuore è rimasto!». All’indomani della scoperta delle onde gravitazionali dovremmo evitare di incasellare i nostri brillanti ricercatori in categorie spaziotempo limitanti e, più semplicemente, essere orgogliosi di loro. Ovunque si trovino.
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Pianura/Imprese cooperative
Treviglio/Le Aziende informano
Coop: tra storia e innovazione di Daria Locatelli
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i è svolta il 23 gennaio scorso l’Assemblea di Confcooperative Bergamo, l’unione del movimento cooperativo che rispecchia una realtà importante dell’economia della provincia. Confcooperative Bergamo - che ha visto riconferma alla guida il Presidente Giuseppe Guerini, alla vice presidenza il di Marco Daniele Ferri e Omar Piazza, la nomina di Massimo Monzani e Carlo Mangoni, nonché l’elezione del nuovo consiglio composto da 33 membri - rappresenta 308 imprese del territorio, che raggruppano oltre 74mila soci e 660 milioni di euro di fatturato, con più di 8.400 lavoratori impiegati. La Pianura risulta uno dei maggiori bacini di provenienza della cooperazione bergamasca, registrando tra le associate a Confcooperative ben 78 realtà aventi sede a Treviglio e nella Gera d’Adda. Risulta quindi importante conoscere più da vicino una forma di impresa che accomuna molte attività economiche del territorio, iniziando con un focus su tre aziende locali che afferiscono a settori completamente diversi, ma accomunate dallo spirito della cooperazione. La Latteria Sociale di Calvenzano (latteriacalvenzano.it), che oggi conta 20 soci, è ormai prossima al centenario di attività, un lavoro ininterrotto nel garantire servizi e prodotti di alto livello, mantenendosi sempre al passo con i tempi, se non addirittura anticipandoli. «La cooperativa - afferma il Presidente Ernestino Gusmini - è stata fondata nel 1922 su iniziativa di alcuni allevatori di Calvenzano e dei paesi limitrofi, che hanno creato l’impresa nell’intento di trasformare in modo associato il latte proveniente dai singoli soci e di commercializzare il formaggio prodotto». I servizi che la cooperativa ha
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sviluppato nel corso del tempo e offerto ai membri della stessa ruguardano anche ciò che incide sul miglioramento della conduzione della singola azienda, come l’acquisto collettivo di sementi o l’inserimento - già dalla fine degli anni ’70 - della fecondazione artificiale anche nei piccoli allevamenti degli associati. Nel 2002 è stato, inoltre, costruito un essiccatoio di cereali per garantire una qualità costante degli alimenti per bovini. Un’ulteriore innovazione introdotta dalla cooperativa già 50 anni fa è la vendita a “chilometro zero”: nel negozio a Calvenzano (completamente rinnovato da due anni) è, infatti, possibile acquistare i prodotti frutto del lavoro dei soci: formaggi freschi (come taleggio e quartirolo), latticini, insaccati (derivanti dalla macellazione interna alla cooperativa), carne, nonché generi alimentari provenienti da altre imprese. «La Latteria Sociale di Calvenzano è presente da tanto tempo - aggiunge Gusmini - e da sempre è attenta alle esigenze del consumatore che sa chi ha prodotto l’alimento e chi lo vende, potendo godere di un ottimo rapporto qualità-prezzo». È a Treviglio che ha sede la cooperativa sociale Insieme (coopinsieme.org) che, costituita nel 1979, ha come obiettivo quello di offrire possibilità lavorative a disabili. La quotidianità ed il benessere psico-fisico dei 24 occupati attualmente nella realtà di Insieme, che oggi conta 138 soci, sono oggetto dell’attenzione di sessanta volontari che organizzano per loro attività sia lavorative che ricreative. Durante la gior-
Sopra la Latteria Sociale, sotto una foto di gruppo della coop. Insieme, nella pagina destra due immagini della 9coop
nata vengono svolte mansioni manuali di assemblaggio meccanico e plastico per varie aziende operanti sul territorio, ma il coinvolgimento dei ragazzi non si ferma all’aspetto lavorativo. Si estende, infatti, ad attività che concorrono a stimolare quanto più possibile la loro espressione personale e relazionale: canto, disegno, recitazione, gestione del verde. Sono molteplici, per esempio, gli spettacoli teatrali che hanno visto protagonisti gli ospiti della cooperativa, registrando un migliaio di spettatori e replicati in più live. Oltre l’arcobaleno, Tutti insieme per Pinocchio e Il lago dei cigni sono alcune delle rappresentazioni che intendono far emergere la volontà di superare la disabilità e realizzare i propri sogni. «Il nostro impegno quotidiano - sottolinea il Presidente Armando Ambivero - è quello di aiutare i ragazzi a liberarsi dai fili che il destino ha dato loro e, come per Pinocchio, fare in modo che, abbandonate le costrizioni, siano in grado di raggiungere i loro obiettivi al pari di tutti gli altri». Una quotidianità creativa e impegnata quella della cooperativa, che viene descritta da Ambivero come «una favola che continua ad essere realtà». L’inizio di maggio vedrà l’apertura a Romano di Lombardia di un nuovo poliambulatorio ad opera della cooperativa sociale 9coop (9coop.it), che, spiega
il Presidente Gianluca Solitro «nasce dall’idea di un team d’infermieri con lunga esperienza in vari ambiti professionali, che spaziano dall’area critica, a quella geriatrico-riabilitativa, nonché alla medicina del lavoro e si occupa della gestione diretta di Sala Operatoria, Terapia Intensiva, Unità Coronarica». La cooperazione è insita nella realtà di 9coop, il cui obiettivo è quello di creare rete e sinergia tra diversi professionisti, al fine di offrire «servizi di altissima qualità accessibili a tutti - prosegue Solitro - come avverrà nella nuova struttura di Romano, ove saranno utilizzati macchinari di ultima generazione». L’impegno di 9coop si estende al sociale con il progetto Oltre l’ostacolo, un contenitore di iniziative volte a profondere la competenza degli operatori in molteplici realtà: corsi di formazione nelle scuole inerenti la disostruzione delle vie aeree e la rianimazione cardio-polmonare, o l’organizzazione di manifestazioni sportive benefiche, come Un canestro per la vita (in questa occasione è stato donato alla squadra Oniria Basket di Urgnano un defibrillatore regalato al municipio di Comun Nuovo, sede degli allenamenti, ove 9coop, in collaborazione con Humanitas, organizzerà corsi di Public Access Defibrillation). Con Uno sguardo verso il futuro la cooperativa rende internazionale il suo impegno nel sociale, per dare il proprio contributo assistenziale e professionale negli ospedali e orfanatrofi nei paesi del mondo con situazioni di altissima criticità.
Ristorante Al Santuario
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ituato in uno degli scorci più belli e caratteristici di Treviglio, nei pressi del santuario della Madonna delle Lacrime: il Ristorante Ai Santi – Il Santuario accoglie i suoi ospiti in un ambiente curato ed elegante, dove il patron Marco Piazzalunga esprime in cucina le sue doti culinarie per soddisfare anche i palati più esigenti. Marco, che proviene da generazioni di ristoratori, ricorda che fin da piccolissimo ha sperimentato nella trattoria materna ogni lavoro legato a questa attività, completando la sua formazione professionale con gli studi e, quindi, con tanta esperienza fatta in Italia e all’estero anche in ristoranti blasonati. «La migliore scuola è stata quella dei ristoranti che avevano sede nei grandi alberghi, dove le brigate di cucina perfettamente organizzate costituivano un formidabile campo scuola per apprendere dal più umile al più complesso dei compiti, e i direttori di sala completavano l’istruzione di noi giovani con abilità straordinarie». Nel 2008 lo chef Piazzalunga apre questo locale a Treviglio dove sperimenta prevalentemente una cucina circolare, che così descrive brevemente: «Ogni piatto fornisce una serie di sensazioni di gusto ed olfattive che, spaziando tra i contrari, riportano poi all’inizio, come per esempio il circolo caldo-freddo-caldo». Apparentemente complessa, è un tipo di cucina che i clienti sanno apprezzare sperimentando un nuovo percorso del gusto; tuttavia non mancano proposte più tradizionali, tra cui anche la pizza. Ma il punto di forza del ristorante Al Santuario è costituito dall’ampia e flessibile offerta che Marco, insieme al suo staff, fornisce in occasione della celebrazione di particolari eventi. Infatti dal battesimo al matrimonio, passando attraverso compleanni, cresime e comunioni, tutti quei momenti speciali nella vita delle
famiglie, che spesso si desidera celebrare insieme ai parenti ed agli amici più cari, in questo ristorante vengono festeggiati con la massima cura ed attenzione, garantendo sia l’assistenza di personale altamente qualificato e interamente dedicato al gruppo, seppur piccolo, che gli spazi totalmente predisposti ed esclusivi. I locali interni sono organizzati in due ampie sale, delle quali una posta al piano superiore; inoltre, nella bella stagione si può godere di uno splendido giardino di oltre 500 mq (vedi foto), contornato da un antico e scenografico muro di pietra e ravvivato da una moltitudine di fiori, ove intrattenersi piacevolmente con i propri ospiti. Da quest’anno Marco propone una novità ai clienti che vogliono celebrare una ricorrenza speciale: infatti, ha introdotto una nuova “location” a Fara Gera d’Adda, un grande parco con un bel laghetto di acqua sorgiva (foto in basso), nato come fattoria didattica, dove oggi si possono allestire banchetti per gruppi molto ristretti di persone, fino a grandi eventi che ospitano oltre 500 invitati, interamente supportati dall’efficiente servizio di catering del ristorante. Saper interpretare le esigenze del cliente e fornirgli le soluzioni più adeguate per ambientazione, menù, servizio e, non ultima, la variabile prezzo, sempre adeguata ad elevati standard di servizio, eppur competitiva, ha fatto il successo dell’iniziativa di Marco; e, nel contempo, ha stimolato la ricerca di sempre nuove proposte, come il servizio di catering, che nella sua versatilità si rivolge ad un pubblico molto vasto, sempre nel rispetto di tradizione, serietà e alta qualità dei prodotti. Insomma, la miglior professionalità nella ristorazione. Cristina Signorelli
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Treviglio/Un incontro con Fabrizio Crespi
Il salva Banche o Bail-in di Cristina Signorelli
Un convegno di Fineco Bank sul sistema bancario italiano e il “Bell-In”: tra nuove regole e bussines
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rmai da alcuni mesi sentiamo parlare di “bail-in”, termine giunto agli onori della cronaca per le note vicende riguardanti il tracollo di alcune piccole banche italiane, che hanno travolto i piccoli investitori privati che vi avevano affidato i loro capitali. Tralascian-
Le nuove norme per le banche in crisi
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urante il convegno “Il sistema bancario italiano all’alba del Bail-in: tra nuove regole e trasformazioni dei modelli di business” promosso e organizzato dalla filiale di Treviglio di Finec Bank, il prof. Fabrizio Crespi ha spiegato che la riforma europea delle regole di gestione delle crisi bancarie è finalizzata a garantire la risoluzione interna (bail-in) nello sventurato, ma non remoto caso, in cui una banca sia in crisi e quindi ad evitare l’intervento statale (dei contribuenti) se non in ultima istanza; tutto ciò al fine di «mantenere la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali degli
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do i casi di cronaca rimane la domanda: che cosa è il bail-in e come impatta sul sistema creditizio italiano? Una esauriente risposta è stata data dal prof. Fabrizio Crespi (Università Cattolica di Milano e Università di Cagliari) durante il convegno “Il sistema bancario italiano all’alba del Bail-in: tra nuove regole e trasformazioni dei modelli di business” organizzato il 9 febbraio, presso il ristorante San Martino a Treviglio dalla filiale trevigliese di Fineco Bank. «Siamo presenti sul territorio da poco tempo, ma vogliamo contribuire fin da ora a divulgare i temi di carattere economico e finanziario, dando voce e spazio agli esperti che possono spiegare i meccanismi regolatori del mercato finanziario e le nuove normative che lo governano» dice Lino Majolo, Manager di zona presente negli uffici Fineco di Treviglio e Cassano d’Adda. L’ufficio di Treviglio è stato aperto a novembre dello scorso anno; Fineco interpreta un nuovo modo di fare banca, in sostanza si differenzia da quella tradizionale perché sostituisce la classica attività di sportello con la enti creditizi e delle imprese di investimento e a ridurre al minimo l’impatto sul sistema finanziario e sull’economia reale di un eventuale loro dissesto». La riforma si articola in tre distinte fasi: la pianificazione, l’intervento precoce e la risoluzione. La “pianificazione” deve essere adottata da tutte le banche o dalle autorità di vigilanza e consiste nella predisposizione di misure da adottare tempestivamente in caso di peggioramento della situazione finanziaria. La seconda fase, “intervento precoce”, si innesca quando un ente creditizio è in dissesto e consiste nell’adottare le misure di risanamento (aumento del patrimonio, richiesta del sostegno della capogruppo, ristrutturazione del debito, ecc…) per evitare che il peggioramento della situazione finanziaria dell’ente sia tale da non lasciare alternative all’attivazione degli strumenti di risoluzione. Nel caso queste iniziative
banca multicanale: un servizio che, attraverso un telefono fisso, un computer, un tablet o uno smartphone, permette al Cliente di ricevere informazioni (conti correnti, conto titoli, carte di credito ecc...) e di effettuare operazioni che fino a poco tempo fa potevano essere effettuate esclusivamente presso un’agenzia bancaria, dove bisognava recarsi personalmente. Il trend tecnologico, come sottolineato anche dal prof. Fabrizio Crespi, prevede un uso sempre maggiore dei canali distributivi bancari alternativi allo sportello, presso il quale ci si recherà sempre meno, incrementando l’uso di cellulari, computer e tablet. Il ritardo in Italia rispetto a molti paesi europei è ancora marcato, ma in linea con una minor diffusione della rete internet, ma comunque in costante riassorbimento. A fronte di un mercato in così rapida evoluzione, sul quale si affacciano nuovi competitors, le banche sono spinte ad innovarsi migliorando la loro produttività. La chiusura di molti sportelli bancari, come si è registrata negli ultimi anni, seppur non abbia grande inci-
denza percentuale (circa il 3%), indica una tendenza ad un migliore efficienza del sistema e soprattutto ad una riduzione dei costi (personale, locazioni, ecc…). Nel contesto attuale Fineco opera con un modello di business orientato alla gestione del risparmio, trattando prevalentemente con una clientela composta da persone fisiche, alle quali offre un servizio di consulenza agli investimenti puntuale e dedicato; assicurando al cliente il riferimento di “personal financial advisor” con il quale dialogare stabilmente nel tempo. Inoltre, come sottolineato dal Prof. Fabrizio Crespi, le nuove norme introdotte a gennaio 2016 hanno mostrato una certa fragilità del sistema bancario, ma soprattutto hanno reso noto che le banche possono fallire, trascinando con sé i propri investitori; è quindi importante scegliere l’istituto finanziario adeguato valutandone gli indicatori fondamentali, oltre a considerare che banche, come Fineco, assicurano una solidità finanziaria e di rendimento intrinseche al modello di business. non siano sufficienti a risolvere la crisi, si attiva la terza fase,“risoluzione”, applicando l’insieme degli strumenti volti alla riorganizzazione e ristrutturazione della banca. Le Autorità di Risoluzione hanno a disposizione diversi strumenti di intervento tra cui il bail-in che consiste “nel potere di svalutare, convertire o cancellare azioni e strumenti di capitale di una banca in risoluzione”. L’obiettivo principale è la ricapitalizzazione della banca, allo scopo di consentire a quest’ultima di continuare ad operare, nella logica che gli azionisti e i creditori dell’ente, con diverse priorità (e talune esclusioni), debbano per primi subire le perdite. Nella peggiore ipotesi in cui neppure la risoluzione abbia sortito effetti positivi si dovrà ricorrere al Fondo di risoluzione o, ancor oltre, agli strumenti di stabilizzazione pubblica per evitare eventuali crisi sistemiche c. s.
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S.P.A.
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Gera d’Adda/Eccellenze gastronomiche
Oasi, una sosta golosa
Candida Pellizzoli con il marito Colombano Mariani gestisce l’Oasi a Badalasco, frazione di Fara Gera d’Adda
di Cristina Signorelli
Il percorso de “la tribuna” alla ricerca del prodotto enogastronomico di qualità prosegue con un’azienda della frazione Badalasco
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O O T T R R O PO T TII P O O R R T T N N E E C C IIN N EVIG R T I D ETTA V A N A L
LIO
IL NUOVO SERVIZIO CHE COLLEGA I PARCHEGGI AL CENTRO DELLA CITTÀ O DUE LINEE DI COMODITÀ
NON USARE L’AUTO PIÙ PARCHEGGI MENO TRAFFICO MENO INQUINAMENTO
el precedente numero de “la tribuna” abbiamo parlato con Chicco Crippa della Condotta di Slow Food, mostrando che molte realtà locali meritano particolare attenzione e plauso per l’eccellenza dei loro prodotti. Questi produttori e piccoli artigiani sono stati inclusi nella guida Fare la spesa con Slow Food poiché ne rispettano appieno i criteri di selezione; per quanto concerne il cioccolato, per esempio, deve essere eseguita almeno la miscelazione dei pani di cacao, non devono essere utilizzati aromi di sintesi e non può essere usato altro grasso che il burro di cacao. Sono ammessi solo gelatieri che producono esclusivamente con ingredienti naturali e freschi, eccetto che per pochi semilavorati, e non sono consentiti gli usi di coloranti, basi pronte, aromi e conservanti. Alcuni dei produttori ammessi già sono stati ospitati sulle nostre pagine, mentre da questo numero iniziamo con due aziende che propongono i frutti più dolci del loro lavoro, oggi la Gelateria Oasi e nel prossimo numero la Pasticceria Paolo Riva.
La Gelateria Oasi
L’incontro con Candida Pelizzoli presenta subito una sfida: riuscire a conte-
nere in poche righe la varietà di prodotti ed idee che mi propone, così decidiamo di limitare ai gelati l’argomento della nostra conversazione, escludendo il cioccolato e le molte altre proposte, delle quali si occupa il marito Colombano Mariani insieme alla figlia Alessandra. Candida torna da subito con il pensiero al 17 maggio 1987 alle ore 17 di cui dice: «per i superstiziosi una vera sfida alla malasorte», la data in cui ha inaugurato la sua gelateria, una piccola “Oasi” - da cui il nome ancora attuale - nell’isolata frazione di Badalasco, 80 mq prestati dal padre nei quali avviare un sogno più che una vera e propria attività. «I locali erano vuoti, io ero giovane e volevo sperimentare un lavoro che mi desse la soddisfazione di poter creare qualcosa a mio piacimento; il gelato era nelle mie corde e così sono partita per quest’avventura. All’inizio mia sorella Carla mi ha seguito ed aiutato, in seguito l’ha sostituita al mio fianco mio marito, che ha lasciato la sua professione per dedicarsi completamente
alla nostra attività». La piccola gelateria di paese si è ben presto affermata in tutta la zona, e nel tempo si è ampliata adeguando i locali all’offerta sempre più variegata di prodotti che spaziano dal gelato, al cioccolato ed alle bevande, concepite da Colombano in tante diverse soluzioni, dalle più classiche alle più innovative e fantasiose usando anche il gelato, al quale si dedica totalmente Candida, oggi presidente dell’associazione Maestri della Gelateria Italiana e docente della Scuola Italiana di Gelateria di Perugia. Candida fin dall’inizio ha messo in gioco, oltre che una grande tenacia, i valori in cui credeva tradotti nel gelato: materie prime freschissime selezionate in zona, un procedimento di lavorazione tradizionale, seppur sempre adeguato alle nuove tecnologie, e lo spirito d’avventura che la porta a provare continuamente nuovi abbinamenti e gusti, come per esempio il gelato alle more e carote viola, ai pomodorini e lamponi, oppure l’ultimo nato: il gelato al caprino bergamasco, senza dimenticare i sorbetti al vino del periodo natalizio. «Da anni - conclude Candida - noi, Maestri della Gelateria Italiana, lavoriamo sul profilo nutrizionale del gelato per renderlo un alimento funzionale, secondo i dettati della Commissione Europea. In particolare la riduzione del 20% degli zuccheri, sostituiti con le fibre, dimostra che la padronanza della tecnica garantisce un prodotto più sano senza nulla togliere al gusto, e contemporaneamente indica nuovi scenari al settore dell’autentica gelateria tradizionale».
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50 - la tribuna - 1 Marzo 2016 NEI NEGOZI DI TREVIGLIO
EFFET
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Storia/Eccellenze industriali A sinistra la prima gita aziendale, accanto il cav. Marcello Colombo in un’immagine giovanile. A destra una vecchia foto con il personale
La Colombo Filippetti di Casirate di Lucietta Zanda Nel numero scorso de “la tribuna”, ci eravamo occupati di Eugenio Minini, figura di spicco negli anni ’50-‘60 per la sua significativa presenza come socio nell’azienda Colombo Filippetti spa durante i ventitré anni di permanenza. Ci sembrava giusto quindi, in questo numero, dare a quell’articolo continuità parlando di questa Società che dal ‘46 - anno della fondazione - continua a valorizzare il nostro territorio con il suo alto contributo di qualità e innovazione tecnologica
L
a fabbrica, in mezzo al verde nella zona industriale di Casirate, è davvero grande; infatti occupa una superficie di 40.0000 mq. di cui 15.000
coperti. Entri nel vasto e accogliente atrio e stai bene: l’ambiente è moderno, piacevole l’insieme di grigi e rossi scuri dell’arredamento. Una vecchia sfolgorante motocicletta rossa è subito esposta in vetrina, a testimoniare le prime componenti camme sulla quale venivano montate; la contrasta un dipinto astratto a parete dai colori forti, quasi a rimarcare la continuità tra la prima produzione dell’azienda e il grande processo evolutivo subito dalla stessa nel corso degli anni. Verso il fondo si trova il vasto showroom nel quale è esposta sia la vecchia e produzione della società che quella più recente, poi su per scale, si trovano i vasti uffici open-space, con la grande vetrata sull’enorme sala macchine. Mi riceve l’ingegner Gianfranco Colombo, per gli amici “Gian”, che, lasciatolo ragazzo in qualità di giocatore nella locale Stefanoni Basket, ritrovo ora come manager
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di questa grande azienda, nel ruolo di presidente e direttore generale della parte tecnica. È molto affabile e ha il sorriso più gioviale d’Italia. Mi spiega che la Colombo Filippetti (C&F), produce camme e meccanismi a camme, da applicare alle macchine onde trasformare il moto continuo dei motori in movimenti predefiniti utili al funzionamento dei macchinari stessi. C&F, attraverso questa produzione, è in grado di soddisfare le varie richieste di automazione di tutti i settori industriali: dalle piccole camme, alle grandi montate sui motori marini. Oltre al cav. Marcello Colombo - mitico fondatore ormai anziano e non più operativo - la guida dell’azienda è affiancata dai due giovani nipoti Stefano, direttore generale, e Fabrizio Colombo, direttore acquisti, figli dell’indimenticato fratello di Gianfranco, Pier, altra colonna portante della società, scomparso purtroppo prematuramente alcuni anni fa. Mi incuriosisce sempre come nasce un’azienda e, soprattutto, quali sono stati i momenti decisivi a decretarne il successo. Lo chiedo pertanto a Gian, che ricorda così con tenerezza con quanta fatica papà Marcello
l’avviò nel 1946. Erano gli anni del dopoguerra, quando tutta l’Italia era da ricostruire e l’economia ruotava ancora attorno ai generi di prima necessità; Marcello - dopo aver frequentato i corsi di formazione a Milano alla Breda - vuole produrre qualcosa in proprio e si chiede cosa, oltre al cibo, gli italiani consumino regolarmente. La risposta gli arriva in un attimo: le pentole per cucinare, ecco cosa comprano sempre! E lui di conseguenza apre un’officina di produzione di stampi per fabbricare pentole di ferro e alluminio. I soldi sono pochi, ma è tenace, geniale e lungimirante. Reperisce uno scantinato - che somiglia più alle segrete di un castello - proprio sotto la Parrocchia di Casirate e lo attrezza con un tornio, una piallatrice e qualche altro utensile indispensabile, acquistato con l’aiuto in denaro di sua zia Gina, titolare di una merceria lì a Casirate. Il negozio è piccolo e ci lavora anche la moglie Angela la quale, deceduta la zia, lo rileva continuando a sostenere economicamente, con quell’esigua ma fondamentale attività, anche quella del marito, a cui servono continui investimenti. La ditta parte col nome non troppo fantasioso di “Colombo attrezzature” ma tiene! Nel ’51 Marcello si trova un socio, Bruno
Filippetti, che resterà con lui fino al’56, lasciando poi a suo ricordo il nome definitivo dell’azienda. Insieme percepiscono al volo l’importanza che, in quei primi anni ’50 ha la nuova produzione industriale; la gente lavora anche lontano da casa e ha bisogno di mezzi per spostarsi comprese le donne per le quali si affaccia finalmente la possibilità di entrare a loro volta nel mondo del lavoro. I due soci allargano quindi la produzione degli stampi per le pentole alle componenti motociclistiche, in particolare freni e mozzi per le ruote. Durante questa fase si imbattono per la prima volta nella “camma”, un componente fondamentale per il cambio sequenziale, evidenziando loro la necessità di progettare macchine appositamente studiate per la produzione di queste parti meccaniche che fino ad allora venivano progettate solo all’estero. Nel ’51 - se lo ricorderà chi in quegli anni ha vissuto - inizia la produzione dei primi motorini “Cicala”, che venivano montati sul robusto telaio della bicicletta “Taurea”, ottenendone così un ciclomotore usato, per la sua praticità, soprattutto dalle donne per recarsi al lavoro. E Gian ricorda pure il simpatico slogan pubblicitario di quei tempi: “Non fatica e non pedala chi adopera Cicala”. Parte in questo modo la produzione di fresatrici e rettifiche per la produzione delle camme. Nel frattempo, entrano ed escono altri validissimi soci ad implementare l’azienda, tra cui Giancarlo Sonzogni ed Eugenio Minini; più avanti nel tempo, quando Giancarlo se ne va per mettersi in proprio, nella compagine entra anche la sorella Amalia. È in quegli anni che la C&F progetta, produce e commercializza il traforo elettrico, che sostituisce l’archetto fino ad allora in uso presso gli specializzati artigiani di mobili maggiolino, particolarmente presenti nella zona di Treviglio, e che presto si sarebbe diffuso in tutto il mondo. «Con gli anni ’60 l’uso delle camme esplode con l’avvento dell’automazione industriale - spiega Gian - in particolar modo applicate ai lettori e ai perforatori di schede per i primi computer di allora, o alle macchine tessili ad alta velocità produttiva. Il boom economico e l’espansione produttiva favoriva inoltre la forte domanda di automazione di allora, portando a continui e cospicui investimenti. Si progettano camme sempre più sofisticate e personalizzate alle singole esigenze del cliente, fino ad arrivare negli anni ’70 a standardizzarne la produzione per poterla adeguare alle sempre più crescenti richieste del mercato in espansione». Negli anni ‘70, dopo la laurea in ingegneria, i due fratelli Gian e Pier si sposano rispettivamente con Ornella Musolino e Silvana Bertola ed entrano in azienda. Il primo nel ’79, dopo aver acquisito in Germania ulterioNella pagina accanto il capofamiglia Marcello Colombo con i due figli, Pier Colombo a sinistra e Gian Colombo a destra. Qui accanto lo stesso Gian al centro con i due nipoti figli di Pier, Stefano a destra e Fabrizio a sinistra
ri competenze tecniche e di marketing specifiche nella società tedesca che rappresentava la C&F; Pier nell’81, dopo una brillante carriera come dirigente amministrativo presso la grande filiale di Milano di una multinazionale svedese. Il ritiro di Eugenio Minini dall’azienda, la morte di Amalia Sonzogni e la grave malattia del padre, decreteranno in seguito l’ingresso ufficiale nella conduzione della C&F dei due fratelli che avevano rilevato nel frattempo le quote azionarie degli altri soci. Insieme sono imbattibili e insieme intendono perseguire - come obiettivo da sempre primario - quel processo di miglioramento continuo e innovazione tecnologica di tutte le attività necessarie a mantenere l’azienda in una stabile posizione di leader sul mercato. E, sempre insieme, si espandono iniziando a costruire nell’’85 l’attuale polo aziendale fuori Casirate ed estendendo la loro produzione sul mercato globale di Europa, USA ed Estremo Oriente. Le due profonde crisi economiche del 2002 e del 2009 portano Pier e Gian alla decisione di trovare un partner collaborativo, col quale consolidare ulteriormente la loro presenza commerciale sui mercati, allargando ulteriormente la produzione. Questa scelta
fortemente voluta sia dai due fratelli che dai due figli neolaureati di Pier già presenti in azienda, porterà così alla fusione con l’industria Bettinelli di Bagnolo Cremasco, dando vita alla INMAN: holding proprietaria delle due società che danno così lavoro a trecento persone. Ma Pier non potrà continuare a condividere col fratello i successi imprenditoriali della famiglia: ci lascia nel 2013, dopo aver lottato contro un male che lo stroncherà, ma che lo ha visto ai posti di combattimento in azienda quasi fino alla fine, stringendo i denti. Gian ricorda il fratello per la sua tenacia e la grande capacità imprenditoriale, con la profonda amarezza che Pier non sia riuscito a cogliere pienamente il grande e stabile risultato ottenuto grazie a tutti gli sforzi fatti insieme. Gli chiedo se vi sono stati dei momenti di particolare difficoltà nel corso di questi anni: «sì certo, la grande crisi del 2001 dopo il crollo delle Torri Gemelle. La conseguente globalizzazione ha spostato la produzione dei beni industriali in Oriente inserendosi pesantemente sul mercato mondiale. Tutte le aziende non strutturate ad affrontare il mercato globale ne hanno risentito in modo grave. Nel 2009 poi c’è stata un’ulteriore crisi del sistema finanziario ed economico, spingendo la Colombo Filippetti a trovare sempre nuove soluzioni tecniche e di marketing per rimanere competitivi sui mercati, come ad esempio la creazione di INMAN». E poi ci sono sogni ancora da realizzare. Gian ha due giovani figli che stanno ancora completando il loro corso di studi e facendo già esperienza presso altre realtà commerciali. Nutre qualche ovvia aspettativa nei loro confronti, ma preferisce non appesantire i discorsi lasciando che Ruggero e Sofia prendano le opportune decisioni, quando si riterranno pronti a farlo. E nell’augurare a tutta la famiglia Colombo che il loro impegno di tutti questi anni possa mantenere l’azienda nella stabilità della posizione ottenuta, vorrei rassicurare Gian che il fratello Pier, ovunque possa essere, continuerà a modo suo a seguire sia l’impresa in cui tanto di sé ha investito, sia chi continuerà a portarla avanti nel tempo verso nuovi successi.
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Treviglio/Storie minime del ‘900
I tabacù e il trinciato marciapiede... di Roberto Fabbrucci
La grande pesa per carretti e camion della Montecatini, i reparti per i fosfati, le ossa, la colla e la mensa con la gavetta degli operai. Qualcuno “nasava” tabacco, altri si facevano le sigarette usando il “trinciato marciapiede”, altri lo mescolavano con tabacco buono
A
noi familiari raramente era consentito di entrare all’interno della Montecatini e non la girai mai interamente, ricordo però che qualcosa avevo visto: il reparto dei fosfati di mio padre, i depositi delle ossa che erano accanto, poi i capannoni della colla nella parte sud e gli uffici amministrativi della direzione verso via Calvenzano. Ricordo anche di aver fatto un bagno all’interno di enormi cisterne di legno tonde e piene di acqua calda; erano usate per trattare le ossa ad alte temperature e quel giorno erano state lavate e rilavate, quindi riempite d’acqua calda per il nostro bagno. Cisterne tanto grandi da poterci nuotare. Qualche tempo più tardi papà recuperò una vasca da bagno vera e la fece installare in casa, ma non essendoci posto nella toilette, situata nel mezzanino tra il piano terreno e le camere da letto, decise di disporla nello spazio che mamma usava come lavanderia, stenditoio e stireria quando la temperatura esterna era troppo rigida e non poteva accedere all’altro lavatoio, più ampio e funzionale. Installata la vasca metallica smaltata, di sabato dalla fabbrica arrivavano amici di papà con secchi d’acqua calda, che gettavano nella vasca fino a riempirla per metà, così noi fratelli potevamo essere lavati dalla mamma più comodamente che nella conca o nel ma-
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stello, che di solito si dovevano collocare in cucina, unico luogo dove c’era una stufa. Papà, invece, da quando avevano installato le docce in fabbrica, anziché trafficare e sporcare casa con tutta quella polvere dei fosfati, preferiva lavarsi alla Montecatini. Gli ingressi dello stabilimento erano due: il portone con enormi ante di legno, più vicino al sottopasso ferroviario e adibito all’ingresso esclusivo dei vagoni; poi quello principale, in lamiera di ferro accanto agli uffici. Appena entrati, si passava su di una pedana metallica che copriva tutta l’area del portico: era il piano della pesa per i carri e i camion.
Dipendenti davanti alla Montecatini il 1° Maggio del 1947. Il portone a sinistra era l’ingresso ferroviario, poco più a sinistra la discesa per il sottopasso verso via Redipuglia. Il piccolino seduto a sinistra è l’autore di questo articolo, Roberto Fabbrucci, dietro il padre Bruno in cravatta e abito grigio
Il portinaio, che aveva una larga finestrella orizzontale per controllare, faceva porre il veicolo, lo pesava e compilava un modulo. All’uscita faceva la stessa cosa, ricavando il peso netto del materiale portato o prelevato in fabbrica. Era lì che lavoravano Giuseppe Marani e Paolino Penati, quest’ultimo figlio di una nostra vicina, Geltrude Gelli, un’anziana signora che, ricordo, aveva l’abitudine di “nasare” il tabacco, cosa in voga ai suoi tempi. Aveva un’apposita scatoletta metallica dalla quale estraeva una “presa” e se le infilava nelle narici, non sempre con successo completo. Magrissima e piccolina, la signora Gelli somigliava molto a una vecchietta che vedevamo oltre la ferrovia, anche lei sempre vestita di nero, con i capelli tirati e raccolti sulla nuca, ma con l’abitudine di raccogliere mozziconi delle sigarette dalle quali estraeva il tabacco, lo asciugava al sole e poi lo insacchettava per donarlo a qualche parente. Era A sinistra uno scorcio tra via Curletti e via Redipuglia ripreso dal campanile negli anni ‘70. Qusi tutto il blocco di sinistra è la Montecatini, oggi sostituita da capannoni artigianali. Sullo sfondo Calvenzano
Sopra i dirigenti e impiegati della Montecatini. Da sinistra Angelo Chiari, Bruno Fabbrucci, Santo Gatti, Maria Pia Penati. Dietro da sinistra: il capoufficio Marchesi, il direttore Meris Erbetta, il portinaio Erbavori e Carluccio Bonfanti
una prassi in uso da parte di alcuni fumatori per cercare di risparmiare sulle sigarette, anche se ve ne erano a buon mercato, le Alfa e le Nazionali. La procedura era quella di comprare tabacco sciolto e mescolarlo al “trinciato marciapiede”, così era chiamato il residuo dei mozziconi che si raccoglievano per le strade. L’operazione si completava con un’apposita “macchinetta” tascabile per confezionare le sigarette. Si trattava di un contenitore per il trinciato e un vano per la carta da sigaretta, questa passava da un rullino trascinando il tabacco e producendo la sigaretta intera. Il punto di maggior raccolta di mozziconi era davanti alla scala della passerella ferroviaria o nei pressi dell’ingresso della mensa, un edificio di fronte alla fabbrica con le facciate di mattoni rossi a vista. Edificio poi acquistato, assieme alla villa attigua, da Meris Erbetta, ultimo direttore, personaggio originale ed eclettico, che passò la vita da pensionato sfidando l’impossibile, cioè fabbricava oggetti complicati. Uno per tutti, la costruzione - da zero - di un cono di altoparlante grande quanto quello di una cassa
acustica da balera, compreso il cilindretto su cui avvolgere la bobina, a mano. Una bobina che, “interloquendo” con doppio magnete cilindrico - nel cui interstizio di un paio di millimetri si deve infilare senza toccarlo - fa vibrare il cono di cartone e riproduce musica e suoni. Non so come fece, ma vi riuscì. E questa vicenda la vissi un po’ in diretta, perché l’incipit avvenne nel laboratorio del radiotecnico Zanda in mia presenza; Erbetta vide un vecchio altoparlante in una cassa con gli oggetti da distruggere per recuperare i metalli e s’incuriosì, se lo fece regalare e sfidò l’impossibile. Tornando alla mensa e ai gradini posti al suo ingresso, era un luogo dove gli operai sostavano durante la pausa. La cucina funzionava però solo a mezzogiorno, fatto per cui gli operai che facevano i turni dovevano arrangiarsi altrimenti. Capitava così che si portassero il cibo da casa all’interno di gavette ereditate dal periodo militare o da qualche soldato tedesco o americano, oppure portassero la “schìscèta”: contenitore composto da due o tre pentolini, incastrati uno sull’altro e chiusi ermeticamente. In ogni sezione una diversa vivanda: la minestra o la pasta asciutta, il secondo, la frutta. Se era bel tempo si sedevano sui gradini della mensa a mangiare, altrimenti trovavano riparo sotto una delle tettoie della fabbrica, all’interno,
Da sinistra i figli dei dipendenti Montecatini Dario e Bruno Gatti, Enrico Fabbrucci dietro ad Aurelio Settembrini, accanto il piccolo Massimo Fabbrucci e dietro - il grande - il fratello Roberto. Sotto di lui uno dei figli di Alfonso Bilardo e la cugina Cristina Repetto, poi Giuliana Bonfanti e dietro Carlo Maccarini
o negli spogliatoi. Altri con case vicine alla fabbrica, o con le mogli o i figli attrezzati con bicicletta (il motorino era roba per ricchi), vedevano recapitati all’ingresso della Montecatini o nella portineria vettovaglie fresche di cucina. Negli anni successivi, quando la vita iniziò a essere meno grama, camionisti, impiegati, ma anche qualche operaio, avevano preso l’abitudine d’andare a pranzare al Dopolavoro oltre la ferrovia, presso la Trattoria degli Amici: si spendeva poco e il pasto era decoroso e abbondante. Lì era impegnata quasi tutta la famiglia Signorelli: mamma Luigina, papà Carlo, le figlie Angela e Marisa, ragazze poco più giovani di me, e il fratellino Enzo. Una storia degli anni sessanta, quando dopo l’abbattimento del Dopolavoro e la chiusura dell’osteria Garibaldi in viale Piave, la Trattoria degli Amici divenne il centro d’aggregazione del quartiere, ma ne parleremo prossimamente. A sinistra Marisa Signorelli, figlia dei gestori della Trattoria degli Amici. Sotto la trattoria vista dal cavalcavia pedonale per Calvenzano
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Treviglio/ Centenario Grande Guerra (2ª puntata)
Imparzialità Le lettere della lontananza di Carmen Taborelli
I soldati scrivono dal fronte. Nostalgia, sentimento religioso, cronache di guerra, amore di Patria e il tempo per guardare il cielo
E
ra il mio mentore il cav. Alfredo Ferri. A lui, persona saggia, consigliere fidato, mi rivolgevo per avere di volta in volta un parere su alcune ricerche riguardanti la storia della nostra città. Quando non ero io a consultarlo, era lui che, incontrandomi per strada, mi chiedeva: “Che cosa sta facendo di bello? A che cosa si sta interessando?”. E proprio al cav. Ferri parlai in anteprima delle oltre ottocento lettere scritte dai soldati di Treviglio e del Circondario durante il primo conflitto mondiale. Lettere che avevo scoperto quasi per caso mentre consultavo la stampa di allora, nell’archivio storico del Comune; lettere che a me sembrarono subito molto importanti. La mia valutazione aveva però la necessità di un riscontro il più obiettivo possibile. Fu così che il cav. Ferri, nonché Presidente onorario della Cassa Rurale, si portò in vacanza, sul tranquillo lago di Molveno, nell’estate del 2008, un grosso plico di carte con la trascrizione delle lettere dei nostri soldati. Aveva il compito di leggerle e di valutare se valesse la pena farle conoscere ed eventualmente pubblicarle. «Bisogna conservare la memoria. Le lettere- mi scrisse in seguito - vanno fatte conoscere sia perché molte famiglie vi troveranno il ricordo di qualche loro parente scomparso,
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sia perché la loro lettura sarà motivo di qualche opportuna considerazione. Non solo per riflettere sulla nostra società che ha scelto altri valori, ma, in particolare, come contributo al movimento universale di ricerca della pace». Dello stesso parere fu l’allora Presidente CRAT, Gianfranco Bonacina, che decise di pubblicare Le lettere della lontananza come atto di riconoscenza nei confronti di «quei padri, figli, fratelli, che avevano combattuto per la nostra libertà e per la nostra indipendenza». Italiano popolare - Nel corso della guerra i nostri soldati, come molti altri combattenti, presero in mano la matita con una frequenza che non aveva avuto precedenti. Qualcuno lo fece addirittura per la prima volta. Tutti i soldati, anche quelli meno scolarizzati, scrivevano a casa quasi ogni giorno. Questa assiduità nello scrivere mise in circolazione talmente tanta corrispondenza da indurre gli studiosi ad analizzare il fenomeno e a definirlo Italiano popolare. È quindi interessante considerare la guerra anche da questo punto di vista, ossia come occasione per scrivere, come stimolo alla riflessione e al racconto di sé. Il racconto di una storia vissuta e scritta dal basso, da soldati comuni. Non però una storia minore, ma una storia nobile e importante quanto quella ufficiale. A chi scrivevano i soldati? - Scrivevano ai genitori, alle mogli, alle fidanzate; scrivevano anche al parroco e alla maestra. Emblematica a questo riguardo la lettera che Modesto Ravizza di Casirate invia, nel settembre 1915, a quella che, almeno un ventennio prima, era stata la sua maestra: «La nostra cara Maestra ci raccontava sempre la storia d’Italia non tutta redenta e che sta completandosi ora con l’aiuto e la forza delle nostre armi e del nostro amore di patria. Ebbene io dico che anche la mia cara Sig.ra Maestra ha combattuto per questa grandezza. Anzi prima di noi. Non materialmente ma moralmente. Cioè senz’armi. Essa ha combattuto coll’imprimerci nel nostro cuore il più fermo, il suo saldo amor di patria». Che cosa scrivevano? Dalle lettere dei sol-
dati emerge con molta chiarezza sia la nostalgia della famiglia e degli affetti, sia il desiderio di ritornare a casa «presto, sani e salvi». Emerge anche un sentimento religioso; i combattenti pregano Dio e la Madonna perché salvino loro la vita. I trevigliesi invocano la Madonna delle Lacrime, quelli di Caravaggio la Madonna del Fonte e i soldati di Brignano la Madonna dei Campi. «Quando io e i miei compagni abbiamo un po’ di tempo - scrive Angelo Colombo, che morirà in combattimento sul Col di Lana - ci portiamo ad una vicina chiesuola per pregare e colà raccolti le nostre malinconie spariscono, ci sentiamo più sollevati e consolati, ci par quasi di trovarci in mezzo ai nostri cari». Le lettere contengono anche vere e proprie cronache di guerra. Così il trevigliese Alessandro Strepparola: «Noi soldati prendemmo il moschetto, il tenente la sua rivoltella e camminammo cauti, silenziosi e ci appiantammo dietro ai cespugli. Scoprimmo molte trincee munite di formidabili reticolati; si vedeva anche il ponte della ferrovia che il giorno prima della ritirata avevano fatto saltare». Un’altra testimonianza è di Carletto Gioielli: «Sentii la granata penetrare nello spigolo sotto la mia testa. Una scossa formidabile, un odor di polvere bruciata. Vidi sanguinar dalla testa il mio buono e caro caporal maggiore. Mi fermai dietro una traversa di sacchi, lo presi con me. Sveniva. Col temperino gli tagliai in fretta il cinturone delle giberne, gli strappai gli abiti, gli scoprii il petto ampio. La frescura lo rianimò. Presi il mio pacchetto di medicazioni, chiamai i portaferiti e medicai. La ferita alla testa era leggera. Glielo dissi, sorrise: ‘Grazie, sor tenente, per i miei figli’». L’amor di Patria - È questo un sentimento presente in molti scritti. L’amor di Patria è una delle espressioni più nobili dell’amore; colloca l’amore a un livello superiore, perché la Patria è appartenenza, è comune origine e comune destino. Rispondere alla chiamata della Patria diventa allora un obbligo quasi morale da compiere con la generosità di chi è pronto a ogni sacrificio, anche a quello estremo della vita. È proprio questa consapevolezza a conferire maggiore dignità all’agire dei nostri soldati,
che combattono «per rendere più grande e più potente rispetto al mondo la nostra Patria». A dirlo è il tenente trevigliese Oreste Mozzali, che aggiunge: «Si sente in tali momenti una forza potente, ignota, interna che ci spinge a compiere tutto intero il nostro dovere; ciascun uomo non sente che di essere solamente soldato». Gli stenti, le fatiche, le trincee fangose, il piombo nemico che fischia da ogni parte non fanno paura nemmeno al caporale Carlo Brena: «Io sono già convinto di sacrificare anche fino all’ultima goccia del mio sangue per la difesa e l’onore della Patria». C’è il tempo per guardare il cielo - La guerra, si sa, ha tempi lunghi. A volte, tra un assalto e l’altro, passano ore di inattività. Durante questi momenti di tregua riaffiora quella capacità dell’uomo di non lasciarsi abbruttire dalla guerra. Avviene una sorta di riscatto e allora il soldato guarda il cielo, raccoglie un fiore, contempla la natura circostante. Ha il tempo per percepire i suoni, i colori, le forme, i ritmi, la poesia delle cose e il sentimento che vi alita dentro, per poi tradurli in parole. Tommaso Quadri, che morirà il 23 ottobre 1918, in un ospedaletto da campo, scrive: «Dietro di noi, tra la ghiaia argentea, corrosa, staccata alle rocciose nostre Alpi, allegro serpeggia un fiumicello dalle acque smeraldine. Esso, nel festoso suo infrangersi, par ci voglia ringraziare di averlo levato dalla vecchia sua posizione incerta, di averlo fatto esclusivamente italiano». Gli fa eco Giulio Salvioni: «È notte; tutto tace. Com’è bella la natura co’ suoi monti a ridosso un coll’altro, rischiarati dal raggio lunare. Il Garda è tranquillo. In questa solitudine, quasi arcana, il pensiero mio vola a Treviglio, ove i miei cari sospirano il ritorno». «Raccolsi per istrada viole, primule, bucaneve; le posai in un bossolo pieno d’acqua chiara. E tutto deposi ai piedi dell’amico tenente morto ammazzato da una scheggia di granata. Raccolsi ancora viole che stracciai in mano». La bellezza e la pace del paesaggio non fanno però venir meno la consapevolezza della guerra in atto. Nell’aria risuona, quasi fosse un monito, il fragore delle armi pronte a colpire e il rumore del trattore che trascina un obice.
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Coro Icat/Una storia trevigliese (14 segue)
Nel 1992 arriva il maestro Costi di Romano Zacchetti
Con la quattordicesima puntata dedicata alla Corale Icat, la mano passa da Tienno Pini a Romano Zacchetti, testimone delle vicende corali dal 1992 in poi
S
iamo giunti all’anno 1992 che vede l’uscita di Marco Ghilardi, con il quale si era arrivati allo studio ed esecuzione di brani sempre più arditi nell’ambito della musica contemporanea e dodecafonica, con la ricerca di pezzi inediti, anche richiesti direttamente ai compositori. Le sue assenze, con la riduzione forzata delle serate di studio, e una tardiva ricerca di soluzioni alternative avevano scosso l’ambiente corale, facendo in modo che prendere una decisione costasse il disorientamento di taluni coristi. Il ‘92 si presenta con un avvenimento importante da celebrare: i venticinque anni di fondazione e, pertanto, non bisogna perdere tempo nella ricerca di un nuovo Maestro. Dietro consiglio del corista Dario Grassi, Arnaldo Bellini contatta il cremasco Giuseppe Costi, al quale verrebbe affidata per la prima volta la direzione di un gruppo di coristi adulti. Titolare della cattedra di canto corale dell’Istituto Folcioni di Crema, di cui è fon-
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datore e direttore del Coro di Voci Bianche e del Coro Giovanile, Costi dal 1990 si dedica allo studio funzionale della voce umana, tramite il metodo di Gisela Rohmert. È conosciuto dagli addetti per i successi ottenuti con i suoi ragazzi ai concorsi della zona, sia nella polifonia classica che nel canto gregoriano. L’obiettivo che costantemente vuole perseguire è il controllo dello strumento umano, non solo nell’emissione vocale, ma anche nell’ascolto e nella partecipazione con tutto il corpo al processo musicale. Pertanto si tratta di un musicista serio, convinto di quanto lo strumento vocale abbisogni di lavoro formativo. I coristi, che credono di aver quasi raggiunto l’apice per i trascorsi dell’Icat, rimangono sconvolti durante le primissime prove: occorre rivedere tutto, ristudiare con tempi lunghi da dedicare agli esercizi atti alla respirazione, all’emissione del fiato, al rilassamento dei muscoli del corpo, onde avere suoni più fluidi e rilassati. Alcuni non riescono a superare questo nuovo impatto. Con Beppe Costi si fa un salto indietro nel tempo, alla riscoperta della musica rinascimentale italiana e francese, non disdegnando comunque il romanticismo tedesco. Queste nuove sfide trovano l’Icat, oramai stabile nella propria formazione a voci miste, pronto ad affrontare la nuova esperienza musicale con la determinazione dei vecchi e nuovi, pur consapevole di dover responsabilmente ricominciare l’ascesa, sempre in cordata, grazie anche al contributo delle voci femminili. Questo duro lavoro di studio e di preparazione dei
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brani deve concludersi entro domenica 25 ottobre, data programmata per la XVI Rassegna di Canto Corale, tenuta al Teatro Filodrammatici con la partecipazione, in qualità di ospite, del Coro Polifonico Turritano proveniente da Porto Torres (SS) e diretto da Antonio Sanna; questo coro è vincitore di numerosi premi in concorsi nazionali e internazionali ed organizza da anni una delle più prestigiose rassegne internazionali nella propria città. Le premesse per onorare i venticinque anni di fondazione del Coro Icat ci sono, ed occorre che i nostri coristi ce la mettano tutta per proporre, con il limitato tempo disponibile, un proprio programma pur con pochi brani, ma per i quali l’impegno profuso e la grinta che sempre li ha contraddistinti permettano di rendere gradita l’esibizione. Un pubblico coinvolto può pertanto ascoltare tre brani eseguiti da un “acerbo” Icat (il Pater Noster di Stravinski, il Locus Iste di Bruckner e il Neujahrslied di Mendelssohn) cui segue l’impeccabile esibizione di molti brani del Coro Turritano, con l’integrazione perfetta tra i reparti, l’ampia varietà della gamma coloristica, e l’accompagnamento dell’impostazione vocale im-
Alcune immagini raccolte dall’archivio della Corale Icat
peccabilmente diretta dal Maestro Sanna. Passano altri sette mesi fra prove, armonizzazioni, controlli del diaframma e riscaldamenti della voce prima di giungere alla seconda esibizione diretta da Costi, presso la Sala Teatro di Clusone: è il 22 maggio 1993 e di fronte ad un folto pubblico vengono inseriti nuovi brani, nel rinnovato repertorio, di autori quali Johannes Walter, Josquin Des Pres e Johannes Brahms. Dopo una apparizione in Piazza Santuario nel mese di settembre, occorre affrontare la XVII Rassegna di Canto Corale, che coincide con la III Rassegna Internazionale del 30 ottobre 1993. Per questa occasione, grazie all’iniziativa dell’ex corista Icat Eugenio Ronchi, viene invitato il Coro dell’Università Cattolica di Lublino (Polonia) diretto da Kamizierz Górski, la cui fondazione risale all’anno 1921, e che ha al suo attivo un “palmares” di tutto rispetto. Naturalmente tutti i coristi sono studenti universitari e, come consuetudine per i paesi dell’Est Europeo, hanno la peculiarità di aver raggiunto livelli eccezionali sia dal punto di vista tecnico che interpretativo; in più, per quanto riguarda la Polonia, occorre aggiungere quel tocco di spiritualità propria di una tradizione secolare di fede cattolica. Dal canto suo il Coro Icat si trova ancora in fase interlocutoria, dovuta alla ristrutturazione delle voci, sia qualitativa che quantitativa: gran parte dei vecchi coristi (alcuni dei quali residenti ben lontano da Treviglio) abbandonano la compagine lasciando dei vuoti, anche se rimpiazzati parzialmente da nuove leve altrettanto vogliose di voler ben figurare. La decorosa interpretazione dell’Icat, che propone anche il famoso Yesterday di Lennon-McCartney, è coronata dalla grande interpretazione del coro polacco, che può esibirsi il giorno successivo anche nella chiesa di S. Alessandro in Colonna a Bergamo. (14-continua)
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Viaggi straordinari di un Trevigliese
Il piccolo popolo che sconfisse Stalin di Marco Facchetti
Viaggio straordinario di un trevigliese che ha trascorso oltre un mese in luoghi inaccessibili, tra pastori mongoli dispersi in un’area grande cinque volte l’Italia. Mangiando e dormendo con loro, ad una temperatura impossibile
U
lisse viaggiò per dieci anni spinto qua e là per il Mediterraneo, nel tentativo di tornare nella sua Itaca, ove aveva lasciato la moglie, il figlio ed il suo regno. L’avversità degli Dei fece sì che il relativamente breve viaggio dalle rovine di Troia ad Itaca, si prolungasse in una “odissea” di dieci anni. Un viaggio pieno d’avventure e disavventure, con la perdita man mano dei suoi compagni sino a rimanere lui solo. Fu questa la punizione degli Dei per aver distrutto Troia e sterminato i suoi abitanti, non con il valore delle armi, ma con l’inganno. Ulisse sofferse molto, ma non solo; ebbe anche il piacere di vedere e conoscere quello che allora era il mondo. Nel ventiseiesimo canto dell’inferno Dante racconta di come Ulisse rincuorava i suoi compagni: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Ulisse ebbe molti discepoli nei secoli che seguirono la sua vita, ovvero i viaggiatori di tutte le epoche ed i luoghi, che cercavano “la Conoscenza” del mondo. Oggi possiamo prendere un aeroplano che in relativamente poche ore ci può catapultare
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in ogni angolo del pianeta (il Mediterraneo di Ulisse). Possiamo andare in tanti posti per fare una vacanza, magari su una spiaggia caraibica o in un confortevole villaggio turistico, oppure compiere un viaggio che appaghi la nostra sete di conoscere. Ecco che allora il viaggio diventa come un libro vivente che ci parla di luoghi, di popoli, di storie. Un libro che si legge con tutti i nostri sensi. Nello scorso settembre ed ottobre, con quattro amici, mi sono recato in Mongolia. Visitata di sfuggita la capitale Ulaanbaatar, città moderna con eleganti alberghi, ristoranti, negozi e centri commerciali non secondi a quelli europei. Viste le piccole cittadine e villaggi di case basse e colorate, prevalentemente in legno che mi ricordavano la Norvegia, abbiamo dedicato il nostro tempo ad un preciso obiettivo, ovvero seguire la vita dei pastori mongoli dispersi in un territorio vario ed immenso, grande più di cinque volte l’Italia. Dimorare nelle loro tende tonde, le “gher”, che sono l’equivalente delle “Yurte” siberiane, per poi seguirli al pascolo di enormi mandrie di centinaia e talvolta migliaia di capi: capre, pecore, yak, cavalli e cammelli. L’essere pastori è nel DNA dei mongoli, tanto che quando qualcuno rimane senza lavoro può ricevere dallo stato, ad un prezzo simbolico, una mandria e così mantenere sé stesso e la famiglia. Una specie di “cassa integrazione locale”. I pastori mongoli pur essendo oggi dotati di auto fuoristrada, camion e motociclette, continuano ad usare il cavallo come mezzo di trasporto abituale ed è più frequente vederli cavalcare piuttosto che camminare. Abbiamo assistito anche alla mungitura e ad altre attività connesse all’allevamento, come la preparazione dei formaggi poi essiccati al vento e la fermentazione del latte per ricavarne il “Nirmil” (una loro Vodka). Abbiamo mangiato e dormito con loro nelle gher, con temperature che hanno toccato i 15 gradi sotto zero e frequenti nevicate. Ci hanno raccontato della loro vita e le loro storie. Siamo stati partecipi dei loro rituali di tutti i giorni. Successivamente ci siamo spostati nella Mongolia occidentale, ove vive una popolazione Kazaka di pastori, ma anche cacciatori
A sinistra bambino a dorso di renna, sopra donne tasatan. A destra una bimba di dieci mesi all’ingresso della tenda, a destra l’allestimento di una dimora
con le aquile. Però certamente il periodo più interessate è stato quello che abbiamo passato nella taiga sui monti al confine con la Siberia ove vive il popolo Tsaatan, letteralmente “gli uomini renna”. Per raggiungere un villaggio Tsaatan sono stati necessari uno speciale permesso, tre giorni con il nostro fuoristrada Uaz ed infine l’ultima tratta a cavallo, sotto una nevicata. Questo popolo vive sui monti, tra i 2000 e 3500 metri, nella taiga. I loro accampamenti sono costituiti da tende a cono (tipo quelle dei Pellirossa americani) chiamate “urtz”. Sono sempre in movimento spostandosi su sentieri inesistenti, percorsi nei secoli dagli antenati, il cui tracciato è solo nella loro mente. Le tende si smontano e rimontano rapidamente e consistono in pali grezzi tagliati dagli alberi e da teli. I giacigli, anch’essi grezzi, sono realizzati con il legname del bosco. Al centro della tenda vi è la stufa alimentata con la legna. Con loro vivono numerosissime renne di grande mole, che vengono cavalcate sedendosi verso il fondo della schiena per non es-
sere colpiti dall’enorme palco di corna. Dalle renne ricavano il latte con cui si producono anche dei formaggi molto asciutti ed il burro. La carne di renna viene mangiata soltanto quando l’animale muore, perché non vengono mai uccise, in quanto animali sacri. In particolare le renne più anziane, come gli uomini anziani, godono di un particolare rispetto perché in contatto con gli antenati ed il cielo. In ogni villaggio vi è una renna particolarmente sacra: è la più anziana, è dispensata dal lavoro ed è riconoscibile per i nastri colorati che porta tra le corna. Gli Tsaatan si nutrono della carne di marmotte, volpi, linci o altri animali del bosco che cacciano con fucili più pericolosi per il cacciatore che per la preda. Nel villaggio si vede, appesa a dei fili, la carne ad essiccare al vento. Il luogo è considerato uno dei sei più inospitali della terra. Durante la breve estate si possono raggiungere, nelle giornate più calde, anche i venti gradi; la taiga, ricca d’acqua, in quel periodo, è molto umida e paludosa, infestata da zanzare e tafani. Nelle stagioni intermedie e nell’inverno le temperature si abbassano scendendo molto sotto lo zero, con gelidi venti; in certi inverni si arriva anche a sessanta gradi sotto lo zero. Le nevicate son abbondanti e cominciano già a
settembre. Le insidie più temute sono quelle rappresentate dalle incursioni di lupi ed orsi che attaccano le renne. Per questa ragione nel campo vi sono molti cani che danno l’allarme all’avvicinarsi dei predatori. Durante l’inverno è più facile piantare il campo perché il terreno è congelato e quindi solido; mentre nel periodo meno freddo l’acqua, che è presente sotto il primo strato di terreno, si mantiene liquida e si cammina come sopra ad un elastico. Bisogna dunque cercare, per il campo, un tratto di terreno più roccioso e stabile. Quando vi era ancora l’Unione Sovietica gli Tsaatan potevano liberamente sconfinare in Siberia. Con la Russia ora non è più possibile ed il territorio, pur molto grande, si è ristretto, il che ha comportato un più frequente contatto delle renne con gli animali del fondovalle e, di conseguenza, la diffusione di brucellosi nelle renne, quindi moria degli animali ed infezioni all’uomo. Si calcola che tutto il popolo degli Tsaatan sia costituito da circa 250 persone divise nei diversi villaggi di quindici o venti individui. Durante la dominazione sovietica della Mongolia, nel tempo stalinista, i sovietici ritenevano che questi pastori, sempre in movimento e non ben localizzabili, potessero essere un elemento di disordine nel ferreo sistema comunista, che tendeva invece ad imporre rigidi “programmi di educazione”. Fu così deciso chi gli Tsaatan dovessero divenire stanziali; ma questi si rifiutarono. Allora gli vennero sequestrate ed uccise le renne, nella convinzione che non avrebbero potuto vivere senza i loro animali. Tuttavia il calcolo si dimostrò errato e questo popolo sopravvisse, non si sa come, imperterrito sulle proprie montagne. A questo punto i sovietici si arresero, restituirono le renne e lasciarono che gli Tsaatan continuassero a vivere liberi come volevano. Il piccolo popolo aveva sconfitto l’impero sovietico di Stalin. Quella storica giornata è ancora ricordata come “il giorno delle mille renne”. Nel 1956 fu deciso di edificare una cittadina nel fondovalle chiamata Tsagaan Nuur in Nell’immagine Tsaatan che torna al villaggio
cui gli Tsaatan dovevano trasferirsi. Ancora una volta l’indomito popolo non accettò di tradire le tradizioni degli antenati, che sono sempre presenti e vigilano nel villaggio. Il periodo più glorioso della storia dei mongoli risale ai tempi di Temujin ovvero Chinggis Khan (a noi noto come Gengis Khan), che realizzò il più grande impero della storia esteso dal Vietnam alla Polonia e comprendente tutta la Cina. L’esercito mongolo, impiegando innovative tattiche militari riuscì sempre vincitore su popoli conquistati. Nella Storia segreta dei Mongoli del XIII secolo il grande Gengis Khan rivolge parole appassionate di massima gratitudine al suo primo generale Subotai; fu lui l’artefice delle strategie vincenti dell’esercito mongolo, a lui si deve la creazione dell’immenso impero. Costui era un semplice pastore Tsaatan che, arruolato nell’esercito di Gengis Khan, si distinse subito per il suo intuito e genio nella strategia militare, giungendo sino al vertice dell’esercito. I segni della modernità, nel bene e nel male, hanno tuttavia toccato oggigiorno anche queste primitive popolazioni. Compaiono alcune parabole per la ricezione televisiva e radio. I giovani hanno cominciato a scendere di tanto in tanto nel fondovalle a Tsagaan Nuur per frequentarne i locali ed apprezzarne la “vodka”; anche il denaro, un tempo non considerato, ora non è più disprezzato. Vi è anche una scuola a Tsagaan Nuur frequentata dai bambini dei villaggi che avvicinandosi periodicamente alla cittadina possono così istruirsi in aggiunta alla scuola degli anziani del villaggio. Quando giunge la sera le famiglie si ritirano nelle proprie urtz, mentre un buon profumo di zuppa si sprigiona dalle stufe bollenti. All’esterno i cani scrutano nell’ombra della sera pronti ad udire qualche rumore sospetto di lupi; anche le renne annusano l’aria. E mentre noi all’aperto guardiamo il grande cielo stellato, gli Tsaatan ci spiegano che anche Dio si è rifugiato sotto la sua urtz e ci fanno osservare che anche la tenda di Dio porta i segni del tempo, vi sono infatti piccole lacerazioni e buchi nel telo da cui filtra la luce del giorno che è fuori. Quei buchi noi occidentali li chiamiamo stelle. Ma è giunta anche per noi l’ora di entrare sotto la nostra urtz.
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Grandi personaggi dello sport trevigliese
Roberto Corti, uno dei grandi trevigliesi di Domenico Durante
La serie dei personaggi dello sport trevigliese prosegue con la storia di un ragazzo nato a Treviglio e che si è poi affermato lontano dalla terra bergamasca, girovagando per campi di A e B
P
er i più giovani potrebbe essere una novità assoluta, stiamo parlando di Roberto Corti di professione portiere da prato verde. Quando l’ho contattato quasi si è sorpreso che volessi parlare di lui su di un giornale, ma è felice di ripercorrere il cammino della sua storia sportiva. Corti nasce ruspante, perché i primi calci sono all’oratorio, alla buona e tanto per provare. Per la verità quei suoi primi passi sono da attaccante, poi un giorno l’educatore dell’oratorio lo spedisce in porta, vi ricordate il detto popolare “Quando non vai ben per il calcio vai in porta?” Sarà la svolta della sua vita. Oratorio, poi Zanconti, fin quando l’osservatore della Trevigliese Bussi lo segnala alla società biancoceleste, dove inizia la trafila delle giovanili. «Ai tempi – dice - non c’era l’allenatore dei portieri, facevi tutto da solo, seguendo i consigli dell’allenatore e cercavi di scoprire i trucchi degli altri portieri». Fisico adatto a presidiare la porta,
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finisce presto per debuttare in serie D e poi nella C. «La prima squadra è il salto della maturazione come atleta e come uomo, arriva il momento della responsabilizzazione ed arriva il momento di spiccare il volo». Il primo volo è lungo perché Corti lo spicca da Treviglio per planare nella bellissima Sorrento, dove si imbatte in un grande portiere, il bergamasco di San Pellegrino Ottavio Bugatti, vice allenatore dei campani e primo vero allenatore dei portieri. A Sorrento rimane tre anni in quel durissimo girone meridionale, pieno di autentiche battaglie, poi lo sguardo sul mare Tirreno di Corti sembra sconfinare fino agli Stati Uniti. Accade, infatti, che il presidente campano gli comunica che deve andare a Roma per un periodo di allenamento con i giallorossi, compresa tournée americana. Il nostro uomo non sta nella pelle, si allena a Roma con il mitico Nils Liedholm ma, a metà avventura, il presidente campano gli comunica di averlo ceduto al Cagliari. Inizia così la tappa fondamentale della sua vita professionale: Cagliari tra A e B, Cagliari con lo spareggio per la A, con l’Atalanta tra le avversarie. A Bergamo, tuttavia, Corti non giocherà perché infortunato, Dopo tre anni di B, arriva il debutto in A contro il Torino, debutto onorato con tre parate determinanti e ben tre confronti senza subire reti; Cagliari dove accade un episodio per cui i tifosi della Fiorentina lo rimproverano ancora. Ultima di campionato, si assegna lo scudetto tra Fiorentina, che gioca a Cagliari e Juve, di scena a Catanzaro. La squadra sarda per salvarsi deve portare a casa almeno un punto. Arbitro Mattei. La Juve va in vantaggio su rigore a Catanzaro e la Fiorentina inizia a martellare. Calcio d’angolo per i viola, Corti esce e subisce un blocco irregolare, l’arbitro fischia per il fallo, ma Ciccio Graziani segna egualmente: non gol annullato, ma gol inesistente. Ancora oggi i tifosi viola accusano Corti di avere tolto lo scudetto, simulando di aver subito un fallo da Ciccio.
Roberto Corti in due scatti di Mario Leoni (Foto Attualità) recuperate dall’archivio di Pietro Cariboni
Da Cagliari ad Udine il passo è lungo, ma il clima, non solo quello atmosferico, cambia radicalmente. Corti va in rotta di collisione con l’allenatore Enzo Ferrari e decide di accettare la proposta dell’Ascoli di Costantino Rozzi e Carlo Mazzone, poi Vujadin Boskov. Ironia della sorte, la carriera da calciatore finisce a Cava dei Tirreni, a pochi chilometri da dove era iniziata e con lo stesso allenatore Sardin. In carriera ha totalizzato 154 presenze in serie A, per due volte ha vinto il campionato di B con Cagliari ed Ascoli. Nel cammino di Corti anche un’esperienza in nazionale, a Genova contro la Germania, e con i complimenti del più grande sportivo trevigliese: Giacinto Facchetti. Ricorda (dal blog Cagliari Calcio): «con Perotti eravamo in pre-allarme in caso di emergenza. Eravamo gli ideali “quarti portieri” nel taccuino di Enzo Bearzot per i mondiali spagnoli, ma poi non se ne fece nulla». Da allenatore: - il settore portieri dell’Atalanta e del Milan giovanili; - con Cesare Prandelli a Lecce; - con Nedo Sonetti a Cagliari; - con Silvio Baldini a Palermo e Parma; - con il “principe” Giuseppe Giannini a Massa e poi Gallipoli, con cavalcata dalla C alla B. Quando gli chiedo un pensiero per chiudere l’articolo, il ricordo va subito alla delusione per non essere stato valutato bene dall’Atalanta che, qualche anno dopo, rimpiangerà quella decisione. In fondo le maglie sono state tante e di diversi colori, ma il marchio di fabbrica resterà per sempre quello di Treviglio, in tutte le sue sfaccettature. Un marchio di fabbrica trevigliese che nella A di calcio oltre al grande Giacinto Facchetti, ha portato Orlando Rozzoni, Giuseppe Erba, Claudio Vertova, Giorgio Magnocavallo, Vittorio Carioli e Giovanni Stucchi.
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Professioni/Il tributarista in pillole
Treviglio/Pedalando nel tempo
Pietro Cattaneo, tipografo ciclista
Quando l’azienda diventa sponsor
di Ezio Zanenga
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a cura di Giovanni Ferrari (*)
Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Pietro Cattaneo, tra i personaggi ‘ciclistici’ più originali del secolo scorso. Pirotecnico, esuberante, originale di una disponibilità totale. Una passione infinita, tra i precursori del ciclismo femminile in Italia
T
ipografo o ciclista? Nel caso di Pietro Cattaneo, classe 1922, le due cose si fondono perché a Treviglio dagli anni ’50, praticamente sino alla morte (2014), era conosciuto come il ‘tipografo ciclista’. Mi è d’aiuto un incredibile suo manoscritto autobiografico (otto pagine), del 1996, che conservo gelosamente. Confidenzialmente chiamato ‘Caty’, incomincia presto a pedalare curvo sul manubrio, a 16 anni, gareggiando nella categoria Allievi per il G.S. Gorgonzola e nel 1941 Dilettante con l’U.C Bergamasca. Corre molto, praticamente quasi tutte le domeniche, ma «… arrivavo sempre coi primi, ma mai primo, non ero un velocista…». ‘Caty’ scrive di una ‘cotta’ presa in una Milano Bologna per dilettanti di quasi 200 chilometri dove arriva al traguardo un’ora dopo, con il telone del traguardo già smontato. Nel primo dopo guerra, archiviati i sogni di gloria, arrivano le prime esperienze lavorative come tipografo e un’attività ciclistica nelle gare ‘libere’. Nel 1947 cronocoppie con Andrea Caspani a Brignano Gera d’Adda: «…due frecce, eravamo in testa, poi ‘l Damì incominciò a parlare, a gesticolare, a urlare…arrivammo secondi
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per pochi secondi…». Nel 1948 si sposa e si calma un po’, ma non troppo, perché ogni momento libero è dedicato alla bicicletta. Cessata l’attività agonistica, nel 1962 è tra i rifondatori del Pedale Sportivo Trevigliese (sede sociale presso l’Albergo Belvedere) e nel 1965 - presidente il Dr. Luigi Donarini - ha una intuizione straordinaria: costituire un’equipe di ciclismo femminile. È tra le prime squadre in assoluto in Italia di un movimento ora mondiale. Tanto fa e tanto disfa che per due anni il ciclismo a Treviglio si coniuga al femminile. Praticamente è tutto sulle sue spalle: Direttore Sportivo, sponsor, trasforma la sua autovettura in ammiraglia, tutte le domeniche è in giro per l’Italia con le sue ciclo-girls. Con Elisabetta Maffeis sfiora addirittura il titolo italiano. Nel 1968 con Giuseppe Finali ed Erminio Vitali fonda la ‘C.F.V.’, una tipografia che per 40 anni sarà all’avanguardia nella nostra città. Sempre negli anni ‘60 si inventa, gareggia e organizza gare amatoriali a coppie, una crono a Selvino, il campionato trevigliese amatori, crono ‘lui e lei’. Eventi goliardici all’insegna dell’amicizia e della passione, ma di grande risonanza. Nel direttivo
contemporaneamente del Pedale Sportivo Trevigliese (erano gli anni dell’Adriana…) e del G.S./Audax è attivissimo su tutti i fronti. E pedala ancora come cicloturista sulle Alpi francesi, sulle Dolomiti, in una tre giorni Treviglio-Roma. Nei primi anni ‘80, con la scusa che di giorno ‘lavorava’ mi convinse ad accompagnarlo, io in macchina, lui in bicicletta, per illuminargli la strada sui tornanti di Selvino, di notte! Pirotecnico, esuberante, originale di una disponibilità totale. Una passione infinita. Dal 1989, per qualche anno, è Presidente Onorario del G.S. Città di Treviglio. Al riguardo queste le sue testuali parole scritte «…presidente onorario ma tesserato come ‘atleta Gentleman’ con esami di
cuore, polmoni, sangue, orina, per dare l’esempio a tutti…». Abbiamo citato la sua disponibilità: nel 1991 riceve dall’Amministrazione Comunale il Premio Madonna delle Lacrime per la sua collaborazione, silenziosa ma preziosa, alla Caritas cittadina. Negli ultimi anni della sua vita andavo spesso a trovarlo presso la Casa Albergo, non parlava più, ma sorrideva quando gli parlavo di ciclismo. Non vinse mai una gara, ma per una vita è stato in corsa… Sopra, Pietro Cattaneo nel 1965 con le ciclo girls Silvana Giupponi ed Elisabetta Maffeis. A sinistra nel 1982: come Coppi e Bartali, sul Galibier lo scambio della borraccia (una bottiglia); accanto in una vignetta di Carmelo Silva su ‘l Biligot del 1982. Sotto, nel 1962, Pietro Cattaneo impegnato in salita
apita spesso di notare, quando si osserva una competizione sportiva, nelle divise indossate dagli atleti o nei loro borsoni il nome o l’immagine di una qualche società o azienda della città di appartenenza della squadra. Anche se all’apparenza magari ad un “profano” queste potrebbero sembrare nient’altro che semplice pubblicità, in realtà da un punto di vista “tecnico” e fiscale si considerano sponsorizzazioni. Nell’ambito delle società sportive, siano esse dilettantistiche o professioniste, o collegati ad eventi, i contratti di sponsorizzazione rappresentano una voce importante nel capitolo degli introiti, ma occorre fare una ben precisa distinzione sia dal punto di vista formale che sostanziale. La sponsorizzazione consiste in un contributo erogato da un’impresa pubblica o privata al finanziamento di uno spettacolo, di una manifestazione sportiva o evento scientifico, allo scopo di promuovere il nome dell’impresa, il marchio, l’immagine e l’attività dei prodotti. In cambio, l’associazione ricevente la sponsorizzazione si impegna a realizzare determinate prestazioni o risultati per generare il ritorno di immagine promesso alla società. Il contratto di sponsorizzazione può essere ricondotto alla vasta categoria dei contratti di pubblicità, dai quali però si differenzia (come approfondiremo prossimamente). Le spese di sponsorizzazione vengono fatte rientrare, per consolidate interpretazioni giurisprudenziali e ministeriali, nell’insieme di quelle di rappresentanza, con una deducibilità di tali spese realizzabile integralmente senza rischi di contenzioso fino a 200 mila euro (analizzando sempre e comunque il proprio bilancio d’esercizio), a condizione che il loro scopo sia quello di reclamizzare il nome o il marchio di un’impresa.
Per quanto riguarda l’argomento deducibilità si deve considerare che le spese per sponsorizzazione possono essere portate in deduzione (o detrazione ai fini IVA) solo se l’impresa ne dimostra la congruità rispetto ai ricavi e anche l’utilità economica che può derivarne all’impresa. In caso contrario, il costo può essere disconosciuto dal fisco. Per una sicurezza maggiore, il consiglio è quello di conservare l’intera documentazione (ad esempio foto di eventi, striscioni, tabelloni) che dimostri la modalità di esecuzione della sponsorizzazione/pubblicità, ovvero come è stato eseguito il contratto. Quest’ultimo, inoltre, deve essere estremamente dettagliato riguardo accordi, prestazioni da eseguire, tempi, modalità e tariffe. Infine, è opportuno provare il concreto sostenimento del costo dove sia necessario un metodo di pagamento tracciabile (vedi assegni, ricevute bancarie, bonifici), escludendo i contanti. (*) Tributarista
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Professionisti informano
Lettere al direttore alla scrivania, si riversava sopra quando si infervorava… quando diceva “Perchè non intendo!!!”. e quel “perche io non intendo” è la frase che Nora ed io ripetiamo quando ci ribelliamo a qualcosa, e poi scoppiamo a ridere! E diciamo, “proprio come La Borghi!”. Noi eravamo in prima fila, a volte le facevamo le caricature mentre spiegava e lei capiva, sogghignava, voleva restare seria e poi glieli davamo e lei diceva: “Ah però! pensavo di avere il mento sfuggente e invece non sono così male:=))”. Avevamo molto rispetto, ci piaceva farla ridere, lei ci istruiva sulla vita, senza menzogne, senza ipocrisie, con schiettezza e profonda sincerità. Una pietra miliare della nostra vita, quelle persone che restano eterne. Chissà che belli i suoi diari, lei è un patrimonio umano che va ricordato, un ricordo da tener vivo… Monica e Nora
Noi ex ragazzi dell’Oberdan
Il saluto degli ex studenti a Gina Priano Borghi, loro insegnante di lettere
Ciao prof, siamo tutti profondamente addolorati per il tuo abbandono e ci uniamo in un grande e tenero abbraccio per ricordare con molto affetto un’insegnante straordinaria, una stupenda educatrice, una cara amica che con la sua disponibilità, il suo fervore e il suo altruismo è entrata a far parte delle nostre vite con impeto e perseveranza. Ritornano alla mente i ricordi di tanti bei momenti trascorsi insieme sui banchi di scuola, in amicizia, nel dialogo, nelle relazioni personali, nella gioia del tuo lavoro per arricchire le nostre menti. E non esiste nulla al mondo che possa affievolire questo groviglio di sentimenti che ti ha resa ai nostri occhi e al nostro cuore così unica e speciale. Cara prof rimarrai sempre viva nei nostri cuori di piccoli studenti e nella nostra memoria di adulti responsabili, come una persona importante e meravigliosa in un percorso di vita che abbiamo un tempo condiviso. È un momento, questo, per ringraziarti di tutto ciò che hai detto e hai dato a noi ragazzi, e forse a volte ti sarà sembrato che alcuni di noi abbiano fornito risposte meno positive di altri, e questo può darsi. In tutti, comunque, lascerai un ricordo dolce e un vuoto incolmabile. Grazie da tutti noi, numerosissimi studenti, per ciò che hai fatto, per gli intensi anni che abbiamo vissuto vicino a te respirando un’aria di profonda cultura, costantemente immersi in un’atmosfera di grande stima e serietà, grazie anche perché il tuo interessamento andava al di là del dovere professionale e il tuo sorriso aperto ci ha permesso di superare l’imbarazzo e procurato l’emozione di trovare tanto sapere in tanta semplicità e umanità . “Come un fiume che scorre” ora il destino ti porta lontano da noi. Hai dato tanto di te perché eri creatura nata per dare, sempre schietta, cordiale, pronta a stendere una mano per aiutare, rinfrancare, perdonare, ma anche pronta a rimproverare e a scuotere, a
La lettera del bisnonno prigioniero di guerra
stimolare chi ne avesse avuto bisogno. Prof carissima, della parte di vita che ci hai dato, oggi, nel salutarti, ti ringraziamo per tutte le cose che ci hai regalato, oggi, le nostre anime sono in uno stato particolare di vulnerabilità, di fragilità profonde. Passerà! Come sempre sarà il pensiero della tua forza a vincere e il tuo ricordo la migliore delle terapie! Usando la tua ironia ci verrebbe da dire che avevi voglia di riposarti… Laura, Marco, Andrea, non c’è nulla che vi possa confortare per questo dolore così profondo e non esistono parole che possano alleviare quest’angoscia che vi soffoca. La ferita che ora strazia il vostro cuore, giorno dopo giorno, siamo certi che vi farà di nuovo tornare a sorridere alla vita, credete, è la miglior preghiera e la miglior risposta a lei che ve l’ha donata. Gli ex studenti dell’Oberdan
La Borghi ci diceva sempre di leggere i giornali
Carissimi Laura e Roberto, la prof Borghi, ci diceva sempre: “leggete i giornali”, e sai... quando apro il giornale il pensiero va per un istante a lei. Quando la penso, me la immagino entrare in classe con in mano un sacco di libri, giornali, registri, oppure
Cari amici, sono una ragazza che frequenta il primo anno del Liceo Scienze Umane di Treviglio. Vi scrivo perché qualche tempo fa ho trovato, assolutamente per caso, alcuni vecchi documenti che appartenevano al mio bisnonno, Angelo Marchetti, nato a Ripalta Arpina (Cr) nel 1917. Mi ha colpito in particolare una lettera che il bisnonno scrisse alla sua mamma durante la guerra, quando fu fatto prigioniero. Mi ha molto commosso e ho pensato così di condividerla con voi, per rendere omaggio a tutti coloro che hanno patito la guerra, che sono tornati carichi di sofferenza ma anche di speranza, o che non sono tornati affatto. Valentina Marta
66 - la tribuna - 1 Marzo 2016
Cara Gina, ti auguro un viaggio “Onda su onda”
Caro Roberto, visto il tuo grado di parentela con la prof. Gina Priano Borghi non so come rivolgermi a te e se posso intervenire in questo momento doloroso per la tua famiglia. Mi sento di scrivere due righe per ricordare una donna straordinaria, una genovese come metà della mia genia, una “comunista”, una che raramente rideva, ma sogghignava, dispensando una sorta di disprezzo culturale verso la banalità. Le poche confidenze manco a parlarne, quelle le porto con me, come è giusto che sia e come lei non approverebbe, con quella voce roca che cadenzava con un passo greve, annunciandosi. La Gina era una di quelle donne che si manifestava, truce come un “camallo incazzato”, senza però far paura: lei era giusta e la paura albergava casomai in chi non era a posto con la propria coscienza, sia che si trattasse di una opinione come di un compito malfatto. La prima cosa che le dissi era che non avevo tempo da perdere con Dante e la Divina Commedia, avevo altro da approfondire. Ero
innamorato di Herbert Marcuse, di Gilles Deleuze, leggevo pure Spirali di quel pazzo di Armando Verdiglione e le parlavo di Jacques Lacan in contrapposizione a Sigmund Freud. Condividevo con lei ogni mia “scoperta” e lei amava il presente, era un modo per sentirsi giovane e vitale, si faceva coinvolgere in questa sorta di mio accanimento filosofico, vagolante, a tentoni, così certo, così incerto. Erano gli anni della lotta armata, delle Br, dei cattivi maestri; erano anni in cui Toni Negri piegava, storcendole, le più disparate teorie filosofiche, cosa che ha continuato a fare nei suoi deliri alla Sorbona degli ultimi anni. Quando le chiedevo di approfondire un argomento mi lasciava la cattedra, sedendosi fra i banchi; osservava sto pischello che estraeva dalla sacca libri ed enciclopedie, rigorosamente sottolineati a matita, lasciando che quelle linee diventassero ragionamento. Per me è stata un’ancora, un approdo, la persona sulla quale potevo sempre contare, quella che rideva delle mie caricature sul preside Albano Cagnin, che mi sosteneva nelle battaglie politiche e nelle scelte letterarie. Che dire? Mi piacerebbe finisse in Paradiso per vedere di nascosto l’effetto che fa, non a lei, ma a qualche santo col quale avrebbe subito da battibeccare. E se viaggio dovrai fare, cara prof, fallo per mare: onda su onda… Giovanni Senziani
“Grazie prof. ssa Borghi”
Caro Direttore, consentimi di rubare poco spazio per un ricordo personale della prof. ssa Gina Priano vedova Borghi recentemente scomparsa. Ho avuto la fortuna di avere la prof. ssa Borghi quale insegnante di lettere all’Istituto Oberdan quando nel lontano 1975-1976 frequentavo i primi anni del corso di Ragioneria. Insegnante speciale ‘la Borghi’ (tutti la chiamavamo così...) con uno spessore umano d’altri tempi nel rapporto alunno-insegnante, di quelli che purtroppo così non se ne vedono più nelle nostre scuole. Innamorata della sua materia riuscì, almeno per quanto mi riguarda personalmente, a trasmettermi il fascino e la passione per il giornalismo. Ricordo che mi regalò un libro dal titolo “Come si legge un giornale” che rivelava al povero quindicenne inesperto tutti i segreti del magico mondo della carta stampata. La dedica che mi scrisse diceva così: “Con l’augurio di leggerti un giorno sul Corriere della Sera”. La vita mi ha portato in altre direzioni ma quella passione scaturita dai consigli illuminati della prof. ssa Borghi mi hanno spinto di lì a qualche anno a riempire settimanalmente la pagina de “il Popolo Cattolico” per quanto riguardalo sport ed a coltivare se non professionalmente ma con eguale amore e passione l’attività di giornalista. È per questo che oggi ricordandola non ho che da dirle: “Grazie, prof. ssa”. Gabriele Colombo
Da amelogenine e microchirurgia
Un efficace aiuto per evitare le estrazioni
L
a malattia parodontale causa il riassorbimento dei tessuti (principalmente l’osso alveolare) che sostengono il dente, ne conseguono mobilità, dolore e ascessi che, a lungo andare, rendono l’estrazione inevitabile. Le terapie rigenerative permettono, sempre più spesso, di ricreare questi tessuti per dare nuovo sostegno ai denti ed evitare di doverli sostituire con ponti o impianti. In questo ambito il biomateriale attualmente considerato più efficace è un gel di amelogenine, ovvero le stesse proteine da cui si formano smalto, cemento radicolare, legamento parodontale e osso alveolare. Attraverso un intervento di micorchirurgia (che spesso si conclude con un solo punto di sutura) il gel viene viene inserito nel difetto parodontale e l’organismo stimolato a creare un nuovo attacco fra osso e dente. Nonostante si tratti di un prodotto da tempo approvato dall’FDA americana e presente in Italia dal oltre 10 anni, il gel di amelogenine è ancora
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poco diffuso a livello clinico; questo è dovuto a diversi fattori: il paziente deve essere guidato attraverso uno scrupoloso percorso di riduzione dell’infiammazione, il dentista deve aver ricevuto una preparazione particolare per il trattamento di questi casi ed inoltre sono necessari stru-
menti microchirurgici e un adeguato sistema d’ingrandimento. Se queste condizioni vengono rispettate i risultati sono però sorprendenti e permettono il recupero di denti gravemente compromessi altrimenti destinati all’estrazione. Dopo il trattamento con le amelogenine l’osso a sostegno della radice è ricresciuto
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1 Marzo 2016 - la tribuna - 67
Lettere al direttore Pip 2
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68 - la tribuna - 1 Marzo 2016
Calvenzano
Proposta di tangenziale Sud alternativa Egr. Direttore, ho letto con molto interesse la proposta della tangenziale sud per Treviglio pubblicata sul numero 1/2016 del suo mensile. Pur non essendo un esperto di urbanistica trovo che il tracciato proposto abbia un punto di criticità nell’innesto mediante una nuova rotatoria a pochi metri ad ovest della rotatoria e incrocio semaforizzato dell’ospedale, che costituisce un altro snodo critico per la concentrazione dell’utenza che grava sull’ospedale stesso e sulle scuole tecnico-professionali di Via Caravaggio. Mi consenta allora di presentare una proposta alternativa che ho tracciato sulla mappa scaricata da google senza la pretesa di sostituirmi agli esperti. Il nuovo tratto, di circa 1900 metri, si stacca dalla rotatoria prossima al casello di Caravaggio posta sulla tangenziale quasi ultimata e si innesta sulla provinciale SP 136 che collega Treviglio a Calvenzano a sud del sottopasso della Brebemi. Si sviluppa al confine tra Treviglio e Caravaggio nella parte più a est e sul territorio di Calvenzano per la parte a ovest e attraversa la linea ferroviaria Treviglio – Cremona con un modesto sottopasso. Da Calvenzano prosegue sulla provinciale esistente sopra detta fino alla rotatoria a sud del cavalcavia della Baslini per poi proseguire fino al casello di Casirate costeggiando il PIP 1 attraverso via Aldo Moro. Strade, queste, che al più necessitano solo di una riqualifica. Qui si innesta alla tangenziale di Casirate e Arzago i cui lavori dovrebbero iniziare a breve. Così facendo si crea un collegamento tra i caselli di Casirate e Caravaggio e le relative tangenziali tutto esterno alle città consentendo alle molte aziende che qui gravitano facili e veloci collegamenti da e per l’autostrada in entrambe le direzioni. Si crea un percorso preferenziale per il traffico proveniente da Cassano d’Adda
Proposta tangenziale
e diretto a Caravaggio e viceversa senza dover attraversare Treviglio, evitando gli ingorghi cittadini. Convoglierebbe anche il traffico proveniente dalla superstrada Treviglio – Bergamo, sempre che si decida di realizzarla. Lungo il nuovo tratto si potrebbero concentrare le future realizzazioni artigianali e industriali, in coerenza con PIP 1, PIP 2 e Via Redipuglia, invece di disperderle a macchia di leopardo sul territorio. Da ultimo, se affiancata da una ciclabile, si realizza una valida alternativa per raggiungere Caravaggio da Treviglio e viceversa in bicicletta senza affrontare l’impegnativo cavalcavia. Esiste però una difficoltà oggettiva. Deve essere condivisa con le amministrazioni di Calvenzano e Caravaggio. Quindi la scelta diventa necessariamente politica. E qui entriamo in un terreno ostico. Da occasione persa come opera compensativa alla Brebemi, mai nata e non sappiamo il perché, a nuova opportunità di collegamento tra i caselli senza entrare in città, collegandosi direttamente alla tangenziale ovest di Caravaggio e a quella di Casirate. Ora diventa tutto più complicato, anche definirne il tracciato. Mi aspetto che i candidati sindaco non si limitino ad affermarne l’utilità o a dichiarazioni di intento, ma forniscano indicazioni precise sul tracciato che intendono proporre, costi e tempi di realizzazione, fonti di finanziamento. La ringrazio dell’ospitalità che vorrà concedermi. Alessandro Ferri Grazie sig. Ferri, in effetti la nostra proposta mancava di un dettaglio importante, l’allargamento dell’attuale rotonda dell’ospedale, che pure nella tavola tecnica avevo ricevuto. Spero di trovare spazio ad Aprile per descriverla e, sentito il parere del gruppo tecnico, commentare questa sua dettagliata e ragionata proposta. il Direttore
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la Vignetta di Juri Brollini
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