Tribuna 02 2015

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treviglio

treviglio

Madonna delle Lacrime: storia del restauro dell’elmo e della spada

Dimo, ovvero quando si hanno le idee chiare la musica funziona

la tribuna NUOVA

Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003

EURO 2,00

N° 2 - Febbraio 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda

Tutto iniziò con Sei di Treviglio...

SP EC EX IAL PO E

BY ENRICO APPIANI

Già si lavora per Treviglio Vintage Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 1


Foto di Alberto Cozzi

l’Editoriale

Ricordate Gaber? “La libertà non è star sopra un albero...” di Roberto Fabbrucci

T

ornare in edicola dopo quindici anni, ritrovare tutti i vecchi lettori e addirittura acquisirne tanti di nuovi, è un fatto inaspettato quanto incredibile. Poi ricevere telefonate di affetto, felicitazioni, complimenti per giorni, così come email e strette di mano per la strada in segno di stima e incoraggiamento, va oltre ogni aspettativa, soprattutto perché l’affetto è arrivato a 360°, senza distinguo. Sono emozioni che verranno archiviate tra gli episodi migliori della vita, ma in questo caso ti caricano anche di responsabilità, quando l’età suggerirebbe di godersi i panorami e gli affetti familiari. Eppure ti accorgi che non si diventa mai vecchi, almeno fino a quando gli acciacchi non arriveranno, così prosegui nel fare quello che hai sempre fatto, come se l’orizzonte fosse ancora lontano, ancora da intravedere. In questo modo osservi, rifletti e non puoi non segnalare quello che è sotto gli occhi di tutti e solo accennato nello scorso editoriale: la politica vive in un mondo parallelo e alieno. Lo scriviamo negli articoli d’apertura, legandoli al vuoto progettuale per il futuro, persino quello a portata di mano. E’ un mondo parallelo che vive di vita propria, di comunicati contro le iniziative della maggioranza, sempre e comunque, di risposte o silenzi. Eppure noi, che dagli anni sessanta ci appassioniamo di politica, quando li osserviamo ci sentiamo fuori, estranei, come se fossero in un acquario. Sarebbe però sbagliato fare i moralisti e incolpare questo o quel personaggio politico, di destra o di sinistra, di non essere adeguato, perché di adeguato, se si osserva, non c’è più nessuno in politica e in tutto il mondo occidentale. Come se la cultura greco-romana,

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quella che ha generato democrazia e benessere, si stesse spegnendo. Eppure ci sono le risorse umane disponibili tra la gente, ...fuori dall’acquario, c’è solo da domandarsi perché i politici rimangano immersi e non in piazza a fare un bagno vero, ...tra la gente. Perché non bastano i gesti, le pacche sulla spalla, le cene e le inaugurazioni. Tra la gente ci si sta se la chiami a condividere un progetto, come cantava Gaber già quarant’anni fa: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Fa dunque specie osservare che a Treviglio l’unica forza politica ad aver mantenuto un’idea partecipativa, sia quella che fa a capo a Basilio Mangano, originariamente consigliere dell’Msi. Questo dovrebbe far pensare gli altri partiti, quelli con il pedigree “democratico”, dove le decisioni che riguardano noi tutti vengono prese da una persona sola con un sms, un tweet, al massimo a cena tra amici parigrado. Che pensano quando vanno a dormire questi politici, che dopo di loro ci sarà il diluvio, oppure neppure ci pensano? Come fanno ad elaborare un’idea, presi come sono dai loro innumerevoli incarichi istituzionali (a una persona normale ne basterebbe uno per riempire l’intera giornata), se non si dotano di un gruppo che si prenda la briga di approfondire i temi? Come pensano di formare la futura classe dirigente da portare in consiglio comunale, se non immaginano un luogo dove le esperienze si creano e vengono messe a disposizione della collettività? Se dunque è vero che l’intero Occidente ha perso la bussola, è forse perché chi la possiede trova comodo tenerla in tasca, ...anche qui da noi. Questo quando per cambiare le cose basterebbe poco: meno narcisismo, un po’passione, di senso del dovere verso chi amministrano e di rispetto per chi deve ancora nascere. Febbraio Gennaio 2015 2014 - la nuova tribuna - 3


il Sommario La copertina

tamento è ancora lontano, a giugno: segno della serietà di chi ci lavora. Un argomento -il vintage- che è nelle corde de “la nuova tribuna”, senza tuttavia non è “reducismo”. Infatti, anche se non pretendiamo di trasformare il modernariato in storia, riportare alla luce oggetti ed eventi ancora nella memoria di molti, aiuta. Ovvero, quando senti bimbi chiederti se le uova sono fabbricate in una fabbrica olandese, oppure vedendo il disco numerico del telefono non riescono ad immaginare cosa sia, capisci che è un modo per far cultura, far conoscere ed

amare la propria gente, divertire, far girare persone in centro, creare una comunità vera che -magari- muove indirettamente l’economia vera per qualche giorno. Questo per dirvi che continueremo nei prossimi numeri su questa linea, proprio con i telefoni e il Gruppo Meucci, con il ciclismo le radio, ecc. Non dimenticando di mettere in primo piano il futuro e una sua visione coerente. Merce rara da un paio di decenni.

APERTURE E COMMENTI 6 - “Cogliere l’attimo o diventare Zingonia”, Fiaip “Agenti immobiliari si aggiornano”, intervista a Giuliano Olivati (Roberto Fabbrucci); 8 “Treviglio, progetto per il futuro cercasi” (Beppe Facchetti); 10 - Infrastrutture - “Treviglio sarebbe una perfetta Smart City”, “Se la fibra ottica arriva nei pressi di casa” (Fabio Erri). TREVIGLIESI IN RETE 12 - “Una piazza virtuale ma non troppo”, “Perchè sei nel gruppo Facebook?” (Roberto Fabbrucci e Silvia Giardina); 14 - “C’erano una volta Tre Ville”, “Sei di Treviglio se ricordi” (Silvia Giardina); TREVIGLIO/MIRACOLO 16 - “Come fu salvato l’elmo di Lautrec”, intervista a Franco Pelleschiar (Giorgio Vailati). EXPO 2015 18 - “Come ci prepariamo all’Expo”, intervista a Bruno Brambilla (Daria Locatelli), “Guai perdere questa occasione storica”; 20 - “Aprire un Bed and Breakfas è facile”, “Un business anche senza Expo” (Giorgio Vailati); 22 - “Quando l’ecceellenza alimentare è regola”, intervista a Giovanni Malanchini, “I gioielli della Via Lattea, ovvero la qualità paga” (Cristina Signorelli); 24 - “Il melone e una storia cooperativa antica”, “Recuperate le radici pù antiche” (Cristina Signorelli e Beppe Facchetti). LAVORO/ECCELLENZE 26 - “La super app scaricata in tutto il mondo”, “Le app più apprezzate” (Daniela Invernizzi). SANITA’/ONCOLOGIA 28 - Treviglio “Un eccellenza della sanità lombarda” (Cristina Ronchi). TREVIGLIO CHE CAMBIA 30 - “Teatro nuovo, ritorno al futuro” Stefano Pini), “Perché non pensare al Trevigliese Ermanno Olmi?” (Roberto Fabbrucci). SCUOLA/LA MEDIA GROSSI 32 - “Il senso del dovere e il ruolo della famiglia” (Maria Palchetti Mazza); TREVIGLIO EDITORIA

34 - “Qui si lavora bene, a parte le parrocchiette”, Alessandra Grassi “Una scrittrice all’improvviso” (Daniela Invernizzi) 37 - “Motori nelle immagini dei nostri genitori”, il libro di Ivan Scelsa e Fabio Conti (Giorgio Vailati). TREVIGLIESI NEL MONDO 38 - “La pizza del Cavallino in giro per l’Europa” (Roberto Fabbrucci); “Notizie da Northfield Mount School” (Silvia Martelli) MUSICA 40 - “Da voi la musica non ha vita facile” (Hana Busova Colombo); “Dimonte e l’altra faccia della musica (Marco Ferri); “Il linguaggio dell’anima” (Giuliano Palma), “Un trofeo e otto cori” (Giorgio Vaiulati) BANCHE A TREVIGLIO 45 - “Cent’anni della Bpb a Treviglio” (Roberto Fabbrucci) PEDALANDO NEL TEMPO 46 - “Valentino Vertova, un cosino tutto pepe” (Ezio Zanenga) BURATTINI E MASCHERE 47 - “Treviglio: la bella mostra delle Teste di legno” (Silvia Giardina) NEGOZI CHE CHIUDONO 48 - “Una bella storia, ma ora chiude” (Lucietta Zanda) TESORI NASCOSTI 52 - “Profeti del Cavagna nascosti in Basilica” (Carmen Taborelli); “Cavagna e l’influenza di Moroni e Tintoretto” (Giorgio Vailati) TREVIGLIO/CENTENARIO CRI 54 - “La Grande Guerra e la Croce Rossa”, “La Croce Rossa e la solidarietà Trevigliese” (Carmen Taborelli) icat/una storia trevigliese 56 - “Dall’Idica alla genesi della Corale Icat” (Tienno Pini) Trevigio anni ‘70 58 - “Treviglio e i ragazzi delle radio libere” (Sandro Oggionni) CASIRATE/ALBERTO venezia 52 - “Il medico in pensione ma non troppo” (Michela Colombo)

Vintage, la manifestazione Tgiàreviglio nata quasi casualmente in rete, sta avviando i motori, anche se l’appun-

la nuova tribuna

Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 - Nuova Edizione Anno 1 - n° 2 - Febbraio 2015 EDITORE “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@nuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@nuovatribuna.it Mobile 335 7105450 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@nuovatribuna.it Redazione Hana Busova Colombo, Michela Colombo, Silvia Giardina, Daniela Invernizzi, Daria Locatelli, Maria Palchetti Mazza, Cristina Ronchi, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Marco Carminati, Fabio Erri, Beppe Facchetti, Marco Ferri, Paolo Furia, Luciano Pescali, Stefano Pini, Alessandro Prada, Ivan Scelsa, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Ezio Zanenga Hanno collaborato Enrico Appiani, Laura Borghi, Laura Crippa, Enrico Bresciani, Antonio Cozzi, Giulio Ferri, Virginio Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Sacha Parimbelli, Tienno Pini, Giuliano Palma, Franca Tarantino, Romano Zacchetti Il n. 3 de “la nuova tribuna” sarà in edicola il 13 Marzo

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Gli agenti immobiliari

Edilizia/Riflettere e cambiare registro

La Fiaip si aggiorna per affrontare la crisi

L Villa Ida - Foto di Antonio Cozzi

Piazza Manara - Foto di Antonio Cozzi

Cogliere l’attimo o diventare Zingonia di Roberto Fabbrucci

Opportunità si affacciano da anni, eppure Treviglio non le afferra, con il rischio che anzichè attrarre famiglie e aziende che cercano un futuro, si trasformi in catalizzatore del disagio dell’area milanese

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ell’apertura dello scorso numero de “la nuova tribuna” avevamo indicato quali fossero le “sofferenze” derivanti dall’invenduto nel settore immobiliare a Treviglio e zona, in particolare il residenziale. Segnalavamo 1.200 nuovi appartamenti invenduti a Treviglio, indicando un valore medio di 150.000 euro ciascuno. Siamo così stati rimproverati di essere stati troppo ottimisti, perché il valore medio dovrebbe essere 170.000 euro e gli appartamenti nuovi invenduti 1.400: ovvero 238 milioni di euro solo a Treviglio, probabilmente 600/700 milioni di euro con l’insieme dei comuni in un raggio di sette chilometri dal nostro campanile. L’economia locale, dicevamo, soffre ma regge, soprattutto grazie ad un tessuto imprenditoriale forte e diffuso, oltre al fatto che chi ha costruito non vive ancora in una situazione di mancanza di liquidità. O quantomeno ha ancora il sostegno delle banche che queste sofferenze hanno in “pancia”. L’Ance, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili, che ha da tempo studiato il problema, sta cercando di convincere gli associati a prendere atto della crisi -che è

definitiva- e “Togliersi dalla testa di costruire del nuovo, tantomeno chiedere alle amministrazioni comunali di trasformare un’area in edificabile”. Sono parole di Carlo Maria Greta, residente a Treviglio, direttore commerciale della Same Trattori negli anni ’80, attualmente consulente dell’Ance nazionale. Personaggio con un’esperienza internazionale quarantennale alle spalle che gli permette di avere una “visione” alta, quindi utile anche al nostro

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territorio e che cercheremo di “sfruttare”. Argomenti, quelli di Greta, ribaditi lo scorso autunno a Bergamo in un forum organizzato dall’Ance provinciale a cura del suo Direttore Aldo Locatelli, che sono stati esposti alle imprese bergamasche e ai politici presenti. Una situazione quella dell’edilizia italiana che dovrebbe far riflettere sugli errori del passato, spingendo un po’ tutti ad ipotizzare dei percorsi per il futuro, delle strategie. Il passato lo conosciamo: le amministrazioni locali, prese dalla scadenza elettorale più che dal “bene comune”, hanno iniziato ad usare la trasformazione del territorio -da agricolo a edificabile- in una sorta di bancomat per rimpinguare le casse comunali e pagare la spesa corrente di un’amministrazione comunale gonfia di servizi e dipendenti. Ovviamente una follia sprecare un bene non rigenerabile come la terra, perché crea una catena di danni collaterali: la costruzione di servizi pubblici con costo permanente (le opere pubbliche di servizio: strade, illuminazione, fognature, ecc.), la devastazione del paesaggio, la antropizzazione del territorio con conseguenze drammatiche nel microclima locale e alluvioni nelle aree meno fortunate della nostra. Se dunque fosse necessario stendere una scaletta del buon amministratore, ovvero di chi ha a cuore il futuro e non solo la sua rielezione, al primo posto andrebbe messo il consiglio dell’Ance: non rendere più nessun terreno verde edificabile, salvo necessità precise, che non sono certo quelle residenziali. Puntare cioè sulla ristrutturazione e riqualificazione dell’esistente e la possibilità

di meglio utilizzare i volumi di “ritaglio”: sottotetti, seminterrati, ecc. Parimenti, sarebbe necessario pensare al futuro, ovvero analizzare chi siamo e a chi interessiamo o desideriamo interessare da oggi in poi. Sì, perché questi 1400 nuovi appartamenti, più quelli vecchi sfitti, stanno cercando un inquilino o un proprietario che prima o poi arriverà. Sarà la famiglia che si vuole stabilire e lavorare, l’anziano che pensa siano più vivibilili ed economici Treviglio e la Gera d’Adda di Cologno Monzese, il giovane universitario che pendola con Milano, o qualche imprenditore in cerca di una sorta di Silicon Valley alimentata delle eccellenze che già esistono: l’elettronica, l’informatica, il web-marketing, la produzione della base alimentare per animali domestici, la chimica, l’elettro-meccanica del vetro, l’agroalimentare, la meccanica di precisione o quella per macchine agricole? Ultima domanda: chi deve pensare al futuro dei nostri figli e nipoti (sindaci, assessori, leader politici) hanno questa fotografia in testa, chi siamo e chi potremmo essere? Oppure vivono alla giornata e questi appartamenti -che fra qualche tempo potrebbero andare all’asta giudiziaria- saranno regalati per 30/40 mila ero l’uno e serviranno a ospitare il disagio di mezza Lombardia, trasformandoci in una sorta di mega Zingonia della disperazione?

a crisi immobiliare, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, è uno dei temi che hanno segnato gli anni recenti e decideranno del futuro di noi tutti. Ovvero la possibilità di trovare collocazione agli appartamenti nuovi, così al resto degli immobili residenziali o destinati alle attività sfitti invenduti, deciderà per decenni la qualità della nostra vita. Nel commento accanti spieghiamo che il patrimonio immobiliare appena costruito della Gera d’Adda, oggi valutato tra i 600 e 700 milioni, è a rischio, questo se non si adottano immediatamente delle politiche di marketing adeguate per attrarre acquirenti/residenti. Un patrimonio che potrebbe trasformarsi in sofferenza insolvibile, quindi in abbattimento del valore reale. Con questo quadro che ci vede in bilico tra il paradiso e l’inferno, abbiamo sentito Giuliano Olivati, presidente provinciale della FIAIP (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionisti). Il colloquio inizia sulle argomentazioni della ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), ovvero l’opera di convincimento presso i propri iscritti perché abbandonino l’idea di chiedere la trasformazione di aree da agricole a edificabili, in particolare per costruire ancora edifici residenziali. Ce ne sono troppi. “In effetti il mercato immobiliare è stato saturato, si sono mangiate immense aree verdi, con le problematiche ambientali conseguenti. Si è costruito troppo, senza programmazione e senza logica” risponde Giuliano Olivati. D’altronde le Amministrazioni Comunali hanno trovato questo modo di far cassa, ovvero monetizzare gli oneri di urbanizzazione -suggeriamo- trovando il presidente della FIAP perfettamente in sintonia. Affrontiamo dunque il fenomeno dell’invenduto: “Certamente, oltre alla deprecabile mancata programmazione, il mercato si è trovato di fronte alla più grande crisi mai registrata, forse più grave di quella del 1929. Quindi la campagna di sensibilizzazione dell’Ance è condivisibile, ovvero é necessario recuperare e qualificare l’esistente, ammesso che ci sia domanda. Perché questo è il problema”. Descrivo la situazione di Treviglio e Gera d’Adda, quindi le difficoltà anche solo di immaginare le agenzie immobi-

Giuliano Olivati, presidente FIAP Bergamo. Sotto uno scatto durante un corso d’aggiornamenti di Web Marketing per gli agenti della provincia

liari associate o coordinate in un progetto comune di marketing per vendere l’immagine del territorio, quindi creare interesse nell’area milanese e non solo. “Vede, l’agenzia immobiliare è spesso una micro azienda e l’ottica è quella del lupo solitario, poiché il rapporto è tra l’agente e il cliente, ognuno con un metodo proprio, un suo approccio. C’è una forte personalizzazione, quindi difficoltà a fare sistema”. Quindi quale è l’approccio con gli associati per superare questo limite? “Organizziamo corsi di aggiornamento riguardo i sistemi di vendita, oltre l’approfondimento dei temi del mercato immobiliare. Recentemente, ad esempio, abbiamo fatto dei corsi ai nostri soci sul tema del web-marketing, relatore un giovane esperto di Treviglio, un professionista di QCom e CoryWeb. I corsi sono stati seguiti con grande interesse, li continueremo e sono convinto che daranno presto dei risultati. Riguardo alle problematiche del vostro territorio, le posso anticipare che la FIAIP è a vostra disposizione per approfondimenti o iniziative. Anche in loco. Certamente le difficoltà si possono superare se si fa un’analisi approfondita delle problematiche e si cercano dei punti di contatto creando sinergie”. Proviamoci.

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Commenti/Quale futuro per Treviglio

Treviglio, progetti

per il futuro cercasi di Beppe Facchetti

Manca una visione alta, ma forse anche bassa, ovvero chi siamo, dove andiamo? Dalla rete però partono iniziative che aggregano e vivono, dimostrando che la città sta cambiando da sola, dal basso...

C

’è un deserto di progettualità che contraddistingue, purtroppo, la nuova politica anche locale, tutta presa nelle contrapposizioni personali, che hanno sostituito le opzioni, più difficili e complesse, della cultura e delle idee. Non c’è più il Pd ma Matteo Renzi, non c’è mai stato il centro-destra ma solo Silvio Berlusconi, c’era Umberto Bossi, c’è Matteo Salvini. Non mai qualche “ismo” (socialismo, leghismo, comunismo, laicismo) aborrito dalla nuova società della tv e di internet, che ha stravolto i rapporti e il confronto delle visioni ideali. Persa l’idea di comunità, i partiti personali vivono forse solo attraverso l’azione dei loro amministratori pubblici, gli unici davvero costretti a scrivere programmi elettorali e a fare quotidianamente scelte immediate e prospettiche per le città. A Bergamo, ad esempio, Giorgio Gori, che ha “studiato” da Sindaco per un paio d’anni, facendosi aiutare da un’associazione da lui stesso fondata che ha raccolto un po’ di teste pensanti, ha recentemente proposto, da Sindaco, una coraggiosa azione di scambio tra meno tasse, meno complicazioni e più insediamenti produttivi di tipo innovativo. Non avendo soldi, ha scelto di

chiederne di meno a chi viene a Bergamo per insediarsi e fare impresa. Eppure l’innovazione non rispetta le cinte daziarie, tant’è che le cose più innovative, tra quelle visibili (ce ne sono altre mille, per fortuna, invisibili), sono insediate in posti come Stezzano o Nembro, non necessariamente in città. Se s’interpreta bene, il messaggio di Gori sembra essere: voglio che la mia città, a vocazione industriale manifatturiera, si evolva ulteriormente nel segno della tecnologia e della creatività. E’ una scelta, un modello che può essere discusso come tanti altri e magari non è perfettamente adatto a quella città -che in provincia forse non si coglie abbastanzama è uno straordinario scrigno di bellezza, svuotato dall’industria, che ha lasciato dei buchi urbanistici da riempire in un’intesa pubblico-privato, come si è detto nel recente Convegno Italcementi sul “rammendo”, secondo il sogno di Renzo Piano. Comunque, un modello che si può discutere, ma un modello. E a Treviglio? Qual è il modello, quale lo spazio creativo per progettare la nuova Treviglio di domani e dopodomani? Non chiediamolo né agli attuali amministratori, che sono ormai nelle spire della routine di fine corsa, né per ora ai futuri

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A sinistra uno scorcio di via Fara (foto Enrico Appiani), sopra piazza Garibaldi e la stessa piazzas vista dal locale dell’ex Upim (foto Antonio Cozzi). Sotto uno scatto di Enrico Appiani durante “Treviglio Vintage”

che ancora non hanno risolto contrasti e chiarimenti interni per schierare liste e candidati e dunque non sono certo pronti a fare programmi. Treviglio ha vissuto per decenni l’incubo della città-dormitorio, scandita dai tempi del pendolarismo, che portavano via gli abitanti dalle otto di mattina, su un treno affollato per Milano, fino alle diciannove di sera, sbarcando dal treno maleodorante del ritorno. Oggi non si può più dire che tale sia rimasta, anche se è spettrale il passeggio casuale dopo le 18.30 del centro e dei viali. Trionfa il “particolare”, la chiusura tra quattro mura, senza neppure le fughe del piccolo cabotaggio culturale, partitico, associativo delle ormai superate assemblee di partito (chi ne fa più?) o di categoria.

I cineforum sono defunti da tanto, ormai sostituiti da un blog che ti mette in comunicazione non con un intellettuale di paese, ma con il mondo intero. E a proposito di internet, accade anche che proprio la rete consenta la nascita di comunità virtuali, come “Sei di Treviglio se…”, capaci di diventare concrete e attive, portando in piazza la gente. Forse, paradossalmente, una Treviglio invisibile che si fa visibile, si riconosce per strada dopo essersi emozionata per un video, una foto, un ricordo comune. Il virtuale che diventa reale, obbligandoci a spegnere il Pc e uscire per strada… Eppure, di Treviglio concretamente possibili, oggi, ce ne sarebbero molte, perché alcune condizioni di base sono oggettivamente cambiate e la facilità centripeta dei trasporti non è necessariamente un fatto negativo per la vita interna della città. Si può raggiungere un ristorante o un teatro di Milano e rientrare a casa prima di mez-

zanotte, ma si può anche godere del rovescio della medaglia di quella che sembra una città deserta e spettrale: il suo essere tranquilla, a misura d’uomo, di famiglie. Ma il modello è allora quella di una Treviglio per vecchi? Certo che gli anziani possono star meglio qui che altrove, ma è questo il solo futuro che dobbiamo prospettare? Le potenzialità sono in realtà talmente grandi e forti che si può ancora scegliere, purché si voglia, tra una gamma di Treviglio diverse: per i giovani, per le famiglie, per attività creative e innovative (più che a Bergamo, basterebbe un po’ più di banda larga), per il commercio, o per il turismo, lo sport, la buona tavola, l’artigianato di qualità. Con 1400 appartamenti vuoti, servirebbe una “scelta politica” intelligente e si potrebbe ospitare una nuova popolazione (l’unica nuova che c’è oggi è quella extracomunitaria, che sta spingendo finalmente alla soglia simbolica dei trenta mila abitanti), attirare una nuova sferzata di energia per cambiare presente e futuro. Treviglio piccola capitale potenziale, insomma, perché se mettiamo il compasso sul campanile e facciamo un cerchio di una quindicina di chilometri, troviamo la massa critica che può consentire di dare alla città un ruolo forte. La parola d’ordine è attrattività. Poter dire, insomma: “vivo in Provincia di Treviglio”, agli abitanti di un intorno che sconfina dalle linee provinciali e va fino a Cassano, a Vailate, a Martinengo a Romano, fino a circa 150 mila abitanti, a pochi minuti di strada da qui. Che possono muoversi verso Treviglio non tanto sulla Brebemi, quanto ad esempio in bicicletta, come meritoriamente cerca di far capire l’associazione “Pianura da scoprire”. Oggi non è ancora così. Il Sindaco di Arzago, che pure è il capo provinciale del più grande partito bergamasco, alla nostra idea di aprire i rapporti e le infrastrutture per realizzare questa “Provincia” virtuale, rispose qualche tempo fa che anche ad Ar-

zago, a due passi da qui, non si sente per nulla l’interesse a convergere su Treviglio. Colpa di quelli di Arzago o di quelli di Treviglio? Non avventuriamoci troppo su questo terreno, ma è un fatto che manca, nella cosiddetta “Bassa”, una visione coordinata. Il cremasco e il lodigiano, che l’hanno avuta, l’hanno ora un po’ persa per strada e politici cremaschi sono venuti di recente a Treviglio a dire in pubblico che per quelle terre, Treviglio è un punto di riferimento, perché ha una stazione e due caselli che sono obbligati a frequentare. Ma da noi non ci si è ancora riusciti. Persino la ovvia fusione tra due Casse Rurali, tra Treviglio e Caravaggio, ha causato una spaccatura anziché una riflessione costruttiva. Poco contando l’opinione degli esperti o la moral suasion di Banca d’Italia. Tutto fermo, anche se ora le Banche Popolari, ad esempio, sono state rivoluzionate da uno tsunami renziano proprio per incapacità di autoriformarsi. Capiterà anche alle Casse Rurali, se guarderanno ai campanili, eterno ombelico di tante ipocrisie. Un modello va insomma scelto, e deve per forza uscire da un punto di incontro tra interessi privati e visione pubblica. Comuni ed Enti locali non hanno soldi, non sono più pensabili grandi realizzazioni come quelle che mezzo secolo fa, hanno fuso tra Treviglio e Caravaggio non due piccole banche ma due Ospedali, che erano davvero un esempio di localismo motivato. A pochi chilometri da qui, un Sindaco testardo e non bigotto ha spianato la strada per un grande intervento privato, quello del Casinò e delle Terme di San Pellegrino, che cambierà la faccia di una valle intera. La Brebemi stessa nasce per la visione di due Camere di Commercio e per il concorso di capitali privati. La Treviglio dei tanti appartamenti vuoti, delle grandi potenzialità (Baslini, “mezza luna”), deve darsi un progetto, per essere capitale, ma per i progetti occorrono i progettisti. Architetti del futuro cercansi. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 9


Treviglio/Infrastrutture essenziali

Treviglio sarebbe una Smart City perfetta a cura di Fabio Erri

Un progetto che dovrebbe essere tra gli obiettivi della città per il 2015: portare la capitale della Gera d’Adda ai livelli di Bergamo, Milano, ma anche di piccole città all’avanguardia nei servizi tecnologici

Q

uando si parla di fibra ottica e dei suoi vantaggi rispetto all’ADSL, si cita spesso la maggiore velocità e affidabilità, ma vorrei citare un vantaggio meno scontato: le aziende trevigliesi avrebbero la possibilità di dare ai propri dipendenti la possibilità di utilizzare uno strumento di lavoro all’avanguardia. E non è mai da sottovalutare il ruolo dell’ambiente di lavoro come leva per cambiare qualche aspetto della mentalità dei cittadini: di solito un’azienda competitiva fa crescere dipendenti competitivi, un’azienda orientata al futuro coltiva dipendenti con lo stesso atteggiamento. La giusta mentalità farebbe accettare alcuni disagi e compromessi necessari per partire con un programma di banda ultra larga. Sono gli stessi compromessi che hanno subìto i cittadini di Bergamo e Milano, così quelli di città non metropolitane come Affi (VR), Pegognaga (MN) o Collebeato (BS). Quali compromessi? Nonostante esista la possibilità di posare cavi di fibra ottica utilizzando cavidotti già esistenti (per esempio quelli dell’illuminazione pubblica), in alcuni casi potrebbe essere necessario ricorrere alla cosiddetta “microtrincea” (cfr. foto), soluzione che riduce al minimo gli impatti sulla sede

stradale. Però, laddove i cavidotti non esistano o la micro-trincea non sia praticabile, sarà necessario allestire cantieri, fare scavi, creare provvisoriamente dei sensi unici alternati. Magari parcheggi in meno per qualche tempo e qualche mezzo pesante dovrebbe deviare in circonvallazione e così via. Una mentalità aperta, aiutata dalla giusta informazione, consentirebbe di prevenire e gestire al meglio i probabili i comitati del “NO”. Insomma, dobbiamo spiegare alla

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signora Maria che alcuni mesi di lavori in corso sono necessari per consentire a Treviglio di proiettarsi nel futuro, un sacrificio ripagato da vantaggi per la città e per chi vi opera che durerà per decenni. Se poi la signora Maria rimarrà contraria, potremmo ricordarle come a volte il concetto di “bene comune” viene confuso con incapacità di fare minimi sacrifici per migliorare la vita di tutti, anche la sua. Per altro la Smart City e l’FTTC rappresenterebbero un vantaggio anche per chi è convinto di poter fare a meno di internet. Una città intelligente sfrutta l’IoT (Internet of Things, l’internet delle cose) per rendere intelligenti gli edifici, i parcheggi, gli attraversamenti pedonali e gli incroci semaforici, i mezzi pubblici e molte altre cose di cui avremo cura di parlarvi nei prossimi numeri della Tribuna. Già diversi Comuni hanno giocato la carta dell’FTTC. Alcuni esempi, tra cui quelli citati, si sono rivelati di successo. Altre volte invece tutto è naufragato in chilometri di scavi, soldi spesi e impossibilità di aziende e famiglie di avere i servizi promessi. Se ci concediamo un’analisi tecnica dei motivi di successo, scopriamo un minimo comune denominatore: la presenza di infrastrutture “analogiche”. I Comuni in cui l’FTTC ha avuto successo, infatti, hanno potuto affiancare l’infrastruttura digitale ad quella analogica già esistente. E per analogico si intendono infrastrutture come strade a scorrimento veloce, metropolitane di superficie o passanti ferroviari, poi servizi come un’offerta scolastica completa, un centro degli acquisti, un cinema ed un te-

atro, iniziative culturali sistematiche ed infine spazi per praticare sport all’aperto diversi dal calcio. I Comuni, invece, che hanno fatto un buco nell’acqua hanno costruito una cattedrale (la banda ultra larga) nel deserto analogico di infrastrutture inesistenti e iniziative culturali lasciate alla buona volontà dei pochi. Un altro elemento di insuccesso è stato l’aver pensato l’infrastruttura in funzione di servizi specifici, con l’inevitabile conseguenza di perdere di vista gli utilizzi futuri. Per esempio, cablare la città in funzione del servizio della sosta a pagamento, oppure per la telegestione del gas o dell’elettricità, significa creare una rete di comunicazione perfetta per quegli scopi, ma quasi completamente inutilizzabile per tutti gli altri. Gli esempi migliori sono arrivati da progetti in cui le attività Pubbliche si limitavano a creare una rete di Livello 2 neutrale rispetto ai servizi sovrastanti. Sono state poi le società specializzate nella gestione dei parcheggi, delle utility, dei trasporti, dell’e-learning, della tele-medicina, eccetera, a chiedere di utilizzare la rete e a pagarne l’utilizzo. Ovvero, come se per una nuova lottizzazione il Comune si facesse carico, non solo di progettare e costruire le strade, ma anche gli edifici compresi di arredamento. A Treviglio si dice “ofelè fa al to mèster” per esortare qualcuno ad occuparsi di ciò che gli compete. A parere di chi scrive, Treviglio ha tutte le caratteristiche per essere un esempio di successo. In primo luogo un’Amministrazione ha già dimostrato di tenere in alta considerazione l’agenda digitale e l’importanza di avere una città intelligente. In

Per capire Cosa è l’FTTC

Se la fibra ottica arriva nei pressi del vostro Pc

Non è necessario portare la fibra ottica in casa o in ufficio, basta sia nei pressi per avere a disposizione la banda ultra larga

L Realizzazione “microtrincea”

secondo luogo possiede le infrastruttura analogiche che, soprattutto grazie a Brebemi e Passante Ferroviario, mezza Italia ci invidia perché sono la base per il nostro sviluppo economico futuro. Esistono poi a Treviglio aziende che costituiscono un’eccellenza nazionale o internazionale nel proprio settore, anche nelle tecnologie e telecomunicazioni. Aziende già disponibili a fare la propria parte per realizzare il progetto “Treviglio Smart City”.

a tecnologia Fiber To The Cabinet (fibra ottica fino all’armadio di strada) è l’evoluzione della tecnologia ADSL che consente una connessione ad internet più stabile e veloce. Oggi con l’ADSL la tratta in fibra ottica si conclude presso lo la centrale telefonica, questo significa che da questo punto alla “cabina di distribuzione” deve esserci un collegamento in filo di rame lungo chilometri. Sempre in rame è l’ultimo tratto tra il “cabinet” e la sede del cliente (generalmente non oltre i 250 metri). Sappiamo che la velocità massima di un’ADSL è di 20 Mbit al secondo, ma questa è la velocità “di partenza” dalla centrale: più ci allontaniamo, ovvero più la sede cliente è distante dalla centrale, più la velocità diminuisce per effetto di una dispersione elettrica del segnale.

Con l’FTTC (o VDSL), invece, la tratta tra la centrale e il Cabinet sarà in fibra ottica. Va da sé che se la distanza tra la cabina e il cliente non supererà i 250 metri, gli ambiti 20 mega saranno alla portata di tutti. Certamente l’armadio in strada dovrà essere modificato per essere reso compatibile con il servizio FTTC: si aggiungerà cioé un apparato attivo chiamato DSLAM, che dovrà generare il segnale utilizzabile dal router del cliente. In pratica questa tecnologia, associando la fibra ottica -che non ha dispersioni di segnale- con la breve tratta di rame, moltiplicherà a dismisura la banda rispetto alla tradizionale ADSL oggi disponibile. Ciò significa maggiore stabilità e maggiore velocità, qualità che interessano tutti, in particolare quanti usano la connessione per lavoro. Le potenzialità dell’FTTC sono 100 Mbit al secondo, anche se al momento il servizio è disponibile “solo” a 30 Mbit/s in download e 3 Mbit/s in upload. Ma esiste anche di meglio, e si chiama FTTH (Fiber To The Home, fibra fino a casa). Il rame sparisce completamente nei rilegamenti tra la centrale e la sede cliente. Il risultato è un collegamento in fibra ottica che può arrivare a 2,5 Gigabyte al secondo, che sembrerà fantascienza a chi è costretto aggi ad arrabattarsi con un instabile collegamento ADSL (e i lettori del quartiere Nord di Treviglio lo sanno). E’ chiaro che un simile servizio facilita la connessione alle famiglie, consentendo persino il lavoro a domicilio, ma soprattutto diventa un’attrattiva fortissima per chi deve lavorare collegandosi alla rete. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 11


Facebook/Trevigliesi in rete

Una piazza virtuale ma non troppo di Roberto Fabbrucci

Gruppi nati in Facebook interagiscono con la città, organizzando iniziative di qualità. Ma chi sono gli animatori di “Sei di Treviglio se...”, “Treviglio Vintage” e “Treviglio Amarcord”?

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’ passato poco più di un anno da quando ha preso il via il gruppo “Sei di Treviglio se ricordi...” e non si può far finta di dire che non sia successo nulla. Infatti non può lasciare indifferenti il fatto che una piazza virtuale, composta da gente che neppure si conosceva fino a qualche settimana prima, in quattro e quattr’otto si è organizzata e prodotto delle iniziative pregevoli, altre straordinarie. Eventi che non sono stati organizzati solo per soddisfazione personale, ma perché la città ne godesse e vi partecipasse. Per ritrovare questo spirito, è necessario tornare agli anni ’60 e ’70 e ricordare le iniziative dei gruppi del cinema a passo ridotto e Super8, quindi alla moltitudine dei giovani del Circolo Artistico Trevigliese, quattrocento ragazzi che fecero di tutto: concorsi orchestrine, mostre di scultura e pittura, concorsi nazionali di cinema a passo ridotto, stagioni teatrali con le più grandi compagnie nazionali, addirittura una serata tutto il Clan Celentano al Filodrammatici, poi Franco Parenti, persino Giorgio Gaber all’Ariston e molto ancora. E’ forse tornato quello spirito, distrutto allora con l’arrivo del ‘68 e le divisioni politiche violente, ho c’è dell’altro? Certo neppure i protagonisti possono spiegarlo,

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come non potevamo spiegarlo noi cinquant’anni or sono, fa specie confrontare il distacco da quanti cercano la visibilità fine a se stessa in politica e chi, con con-

tinuità e senza ambizioni narcisistiche si spende per la città. E’ una storia da studiare, capire, magari iniziando a conoscere chi l’ha fatta nascere, così cerchiamo di intervistare il fondatore del gruppo, Massimo Tarasco, ma nicchia, si concede però per una foto. Il tipo è così, simpatico, schivo, forse un po’ timido, insomma ci “scarica” su Murizio Burini. Arrivo in via Roma, entro nel negozio e lo “costringo” a rilasciarmi un’intervista. Così finalmente ricostruisco la storia: il gruppo nasce a fine gennaio 2014, così come stava accadendo un po’ ovunque in Italia grazie ad una frase e un’idea che fece la differenza: “Se sei di...”. Tarasco aggrega subito gli amministratori: Francesco Zoriaco, Gabriele Anghinoni, Federica Motta e lo stesso Burini, che racconta. “In quindici giorni eravamo già in tremila e continuavamo a crescere. Così arriva la prima iniziativa: stampare un braccialetto di plastica con il nome del gruppo e raccogliere offerte per l’associazione ‘Come noi’. Poi arriva l’idea della salita al campanile, iniziativa complicata ma andata benissimo, con millecinquecento persone salite offrendo un contributo per l’acquisto delle due ambulanze per la Cri”. La svolta vera, incredibile, nasce però con “Treviglio Vintage”, in estate. Doveva esserci una sfilata di vecchie auto e Ivan Blini, appassionato di vecchie moto e motorette, si rende disponibile a collaborare. Da ciò, via via, un fiorire di aggregazioni di ogni tipo: appassionati di abiti d’epoca, telefoni, radio, oggetti di cucina, da lavoro, di tutto e di più e in questo numero ne parliamo un po’. E questo fiorire di iniziative può essere classificato solo come desiderio di una rinascita di vivacità e amore nel sentirsi comunità, ma in questo caso sostenuta da un’organizzazione totale, direi professionale di livello alto. E’ infatti raro trovare in un’iniziativa

Da sinistra: Massimo Tarasco, quindi Ivan Blini in compagnia di Silvio Gelmi e Alessandro Oggionni. Sopra Maurizio Burini e sua moglie, sotto una caricatura di Blini e quindi Virginio Monzio Compagnoni.

di volontari tanta qualità, sia nella scelta nei prodotti esibiti, che in ogni dettaglio. Una manifestazione d’alto livello, che se affidata ad un’azienda, non è detto che avrebbe avuto la stessa qualità e con costi insostenibili. E Ivan Blini è così “svizzero” nell’organizzazione che ha già iniziato a prepararsi da qualche settimana: “Perchè giugno è vicino”. Questo il top prodotto dalla gente della rete, ma Maurizio Burini ricorda il resto, le varie collaborazioni e iniziative: la marcia dell’Avis, “Scodinzolando” dedicata ai cani, poi l’idea del Calendario e il concorso alla ricerca delle 12 fotografie tra i membri del gruppo, una per mese, calendari poi distribuiti alla cena del 20 Dicembre, a beneficio della Cooperativa Insieme. Tutto un percorso che, via via, ha portato gli organizzatori a collaborare con l’Amministrazione comunale, il Distretto del commercio e associazioni varie. Una cosa innovativa di questo gruppo, un po’ come i gruppi degli anni ’60, è che non chiede sovvenzioni, ma raccoglie soldi per gli altri. C’è poi il terzo gruppo, più “antico” e più specifico, si tratta di “Treviglio Amarcord”, luogo nel quale Virginio Monzio Compagnoni e quanti hanno materiale in archivio, mette in rete vecchie immagini di ogni tipo. Così appaiono cartoline e foto di una Treviglio scomparsa e mai vista, pagine di vecchi libri e giornali. Insomma un mondo tutto da sfogliare, ma ne parleremo meglio il prossimo mese.

Perchè sei nel gruppo Facebook?

I

van Blini, partito in quarta sul Facebook per invitare tutti ad adoperarsi a pensare all’edizione 2015 di “Treviglio Vintage”, sua creatura ma costruita con il gruppo inventato da Max Tarasco, “Se sei di Treviglio…”, ci ha spinto a porre una domanda ai navigatori del web presenti su alcuni gruppi trevigliesi. Infatti, tralasciando quelli specifici come ‘Compro, vendo, cerco’, ‘Eventi Treviglio’, ‘Ladri a Treviglio’, ‘Treviglio che vorrei’, dei quali gli obiettivi sono più che chiari, abbiamo voluto chiedere perché ci si iscrive un gruppo a ‘Treviglio Amarcord’ e ‘Sei di Treviglio se ricordi...’. Un quesito che si è rivelato in realtà quasi un concorso affollatissimo dove in genere le risposte convergevano. “Sei di Treviglio se ricordi… di sentirti parte di una comunità, di una famiglia. Ha permesso di conoscere tante persone nuove che vedevi in piazza e ti permetterà di approfondire tante altre relazioni”. Con immagini e parole scritte in un dialetto sempre più lontano, il gruppo permette di “rivivere una Treviglio un po’ cambiata”. Poi c’è chi si è ritrovato, ma anche chi si è trovato, conosciuto e fidanzato. Insomma, una piazza vera. Ecco solo briciole dell’intenso dialogo. Cristina Ronchi: perché ci fa sentire più uniti, più comunità, più forti come trevigliesi. Il senso di essere concittadini, condividere e costruire. Sulle radici delle nostre tradizioni e ricordi, gemmando verso il futuro. Insieme. Bruno Frigerio: la caparbietà di affrontare uno strumento fuori dalla mia

La salita al Campanile organizzata da “Se sei di Treviglio...” ha coinvolto 1.500 persone

generazione ma con la soddisfazione di dialogare con tutti in modo immediato e simultaneo. Un rammarico per i miei coetanei che non provano “a priori” nel raccontare i passaggi del tempo in una Treviglio che positivamente e velocemente sta cambiando. Il nostro vissuto deve essere lo zoccolo duro delle nuove generazioni. Patrizia Siliprandi: gli odori, i sapori della mia fanciullezza...la dolcezza di

mia nonna, ...mio nonno nella farmacia di Via Verga, ...la maestra di piano e la Stazione Centrale dove fermavano treni più eleganti e moderni di adesso. Le suore gentili del Collegio degli Angeli... Il bar Frontini ed i primi batticuori da adolescente... Si, ricordo tutto in maniera indelebile, ...sono trevigliese! Ambrogina Donghi: ...perché mi aiuta a ricordare fatti e avvenimenti del passato della mia città e quindi anche i miei. Oltre a questo c’è l’importante confronto con persone conosciute o no che fa compagnia e aiuta a continuare la vita. Fabio Arrigoni: ...per me significa condividere parte di una nostra vita che non tornerà più, emozionandomi nel vedere una foto del passato insieme a persone nostalgiche come me. (s. g.) Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 13


Treviglio che cambia

Come nasce un evento

C’erano una volta tre ville, adesso... a cura di Silvia Giardina

L’avvento dei social network e con ciò la condivisione istantanea di progetti e idee, ha fatto nascere eventi di alta qualità come Treviglio Vintage, ideato all’interno del gruppo Facebook “Sei di Treviglio se...”

C

’era una volta Treville. Oggi ci sono tre realtà: dinamicità, attualità e visibilità. Treviglio sta cambiando, sta al passo con i tempi e lo fa per se stessa e per il futuro dei propri cittadini. Inutile nasconderlo, anche Treviglio ha risentito della crisi. È stata colpita su vari fronti, dal punto di vista economico a quello sociale, politico e persino culturale. Nonostante ciò ha cercato di rispondere con grinta concretizzando varie idee e proposte finalizzate, almeno all’inizio, a supportare l’umore generale. Che poi i risultati siano stati maggiori di quanto ci si aspettasse, è un altro discorso. Il desiderio di dare una svolta si è animato dal basso, dalle strade della città. Passeggiando e dialogando è emerso un disagio comune, disagio che ha dato vita al desiderio di mettersi in gioco. Non è una sfida competitiva ma di collaborazione: amministrazione, commercianti, cittadini hanno fatto gruppo, nel vero senso della parola. Parlare di “Sei di Treviglio se ricordi…”, gruppo originato da Massimo Tarasco, o di “Treviglio Vintage” sarebbe ripetitivo. Lo stesso primo cittadino Beppe Pezzoni (Foto) dichiara di apprezzare molto quanto questi gruppi stanno facendo per

la nostra città: “È la traduzione del desiderio amministravo di farsi ‘compagni di viaggio’ dei cittadini. Per il tramite della strutture dell’amministrazione comunale, ma anche del distretto del commercio, costruiamo insieme un calendario di opportunità e di incontri. Nello sforzo condiviso per nuove manifestazioni e nella conferma e revisione di alcuni appuntamenti ormai consolidati (dalla rievocazione storica

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del miracolo a Trevigliopoesia per citarne solo due) si valorizza un’intera città che, finalmente, dopo decenni di attesa, torna ad avere disponibile il suo cuore, una piazza Garibaldi che si sviluppa anche al primo piano dell’edificio ex-UPIM e si apre alla novità finora inattesa del TNT e degli spazi espositivi che presto verranno resi disponibili”. In sostanza cosa è cambiato in questi mesi? “..sta generando effetti positivi, un rilancio dell’attrattività trevigliese e di riflesso, sulla sua struttura economicocommerciale. Dai numeri mi pare di poter evidenziare che una sapiente comunicazione e soprattutto -continua il sindacouna promozione “virale” delle iniziative di cui si sottolinea il carattere partecipato e l’entusiasmo dei protagonisti, sta aiutandoci a farci percepire come città viva e nuova, capace di appassionare e di generare interesse. Un percorso che intendiamo proseguire, garantendo la disponibilità alla collaborazione che abbiamo dimostrato in questi anni”. Cambiamo ora ottica. Scendiamo per la strada e facciamo un breve sondaggio: fermiamo un campione di soggetti, non me ne vogliano gli studiosi, rappresentante la fascia giovane. Per una buona percentuale, silenzio stampa disarmante. Cosa ne è stato di tutti gli eventi? Treviglio Vintage, inventato dalla mente pirotecnica di Ivan Blini, aveva visto un gran numero di adesioni, il Capodanno in Piazza aveva riscosso un successo notevole, Treviglio di cioccolato aveva affascinato tutti, la Stagione musicale sta coinvolgendo ogni fascia di età. E ancora prima di tutto questo le iniziative sportive quale l’onore di ospitare la Nazionale Italiana di Pallavolo per un’amichevole avevano altamente promosso l’idea di un risorgimento trevigliese. La verità è che, nonostante il progresso stia muovendo i suoi primi passi, viviamo nella società del “tutto e subito”, ma chi si mette realmente in gioco? Chi crede che le cose vadano conquistate con dedizione

Una bella foto di gruppo di “Treviglio Vintage”, a destra Ivan Blini, ideatoe e organizzatore dell’evento. Sotto a sinistra, il sindaco di Treviglio Beppe Pezzoni, a destra Gabriele Anghinoni, la ‘cerniera’ tra le botteghe e gli animatori dei gruppi Facebook

e passione, passo dopo passo. È vero, per i giovani le iniziative posso essere ancora limitate ma nessuno vieta loro di farsi avanti, di promuovere e metterci la faccia. Rettifico. C’erano una volta tre ville. Ci sono oggi due fazioni: chi crede nello sviluppo e chi pretende il progresso. Parliamo della prima. In questo caso Treviglio è fortunata. Il Comune, l’Assessorato, il Distretto del Commercio e le Botteghe hanno supportato le iniziative dei gruppi dei social network trovando in Gabriele Anghinoni una figura di fiducia, capace di farsi voce delle esigenze di tutti grazie anche alla cerchia di validi collaboratori che si è creato. Rispondiamo a chi vede tutto nero. Un miglioramento in realtà c’è. L’aria di “finalismo” che aleggiava qualche mese fa sta scemando lasciando posto all’idea, come dice Gabriele Anghinoni stesso, che “se ben si semina, allora ben si raccoglierà”. Già il fatto di non sentirsi soli e avere la consapevolezza che la Città è in ascolto, è un vero balzo in avanti.

Sei di Treviglio se ricordi... e nasce Treviglio Vintage

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come se personaggi d’altri tempi fossero usciti da un album fotografico e avessero portato con sé tante emozioni e ricordi. Quanto si è svolto lo scorso giugno non è stato un festival e tantomeno una mostra, ma l’occasione per aprire e rivivere quello che ormai fa parte del cassetto dei ricordi. Dal momento però che vivere di soli ricordi e nostalgie non è possibile, ...signori e signore, tiriamo fuori vestiti, telefoni, radio, biciclette, moto, auto e qualsiasi altro oggetto vintage, quindi uniamo “vecchio” e nuovo in uno sfondo in cui gli oggetti cambiano ma le persone restano sempre le stesse. Parliamo dei trevigliesi, della nostra Città e di quei 21 e 22 giugno 2014 che, dopo mesi, ricorda “Treviglio Vintage” ancora come un fiore all’occhiello, un evento che ha ispirato e che ispira tutt’ora tante iniziative. In questa storia non c’è solo un protagonista, Ivan Blini, ideatore e coordinatore dell’evento, ma c’è una città viva che ha accolto l’idea di dar vita a “un raccoglitore di ricordi. Un album composto di immagini, aneddoti, detti, fatti e persone del tempo non troppo passato”. Si tratta di un gruppo nato sul social network FaceBook che nel giro di poco tempo ha fatto parlare di sé anche al di fuori del contesto virtuale: “Sei di Treviglio se ricordi...”, gruppo fondato da Massimo Tarasco, ha guadagnato la stima di molti raggiungendo oltre 3.500 iscritti, cifra che su una popolazione di poco meno 30.000 anime è di per sè eloquente. Ivan Blini ha deciso di coinvolgere proprio tutti, abbracciando una vasta gamma di passioni, dallo sport all’arte, dal sociale al

servizio pubblico. Il risultato è stato un’immersione a trecentosessanta gradi. Ogni angolo, ogni via e ogni piazza erano stati trasformati in un’altra epoca, i gloriosi anni ’60 e ’70 popolavano in ogni aspetto della vita quotidiana. Per chi li ha vissuti è stato senza dubbio un motivo per sorridere, per rievocare bei ricordi passati e per i più giovani, invece, un’occasione per arricchirsi in modo alternativo, per sentirsi più vicini alle generazioni passate e apprezzare lo sviluppo tecnologico e non solo. Dal grande successo dello scorso anno, stanno già nascendo nuove idee per riproporre la “corsa contro il tempo”. Si pensa di ricreare quella Treviglio da cartolina ancora una volta e farne tradizione. Le date previste sono aumentate, si tratta del 12 -14 giugno 2015, date che aspettano tuttavia ancora una conferma. Treviglio ha sempre avuto la tendenza a differenziarsi e a farlo in modo altamente unico: rispolverare il vintage ci permette di immergerci in anni poetici passati che creano un certa “nostalgia” anche in chi non li ha potuti vivere concretamente. Sono anni avvolti da un fascino particolare, forse per mito o per utopia o per la loro semplicità, ma rimane il fatto che piacciono proprio a tutti. Su uno sfondo di “Please please Me”, rombino le Harley e si cotonino vertiginosamente i capelli, …perché se “una Treviglio così non l’avevamo mai vista”, quest’anno siamo pronti a vederla al doppio dello splendore! S.G. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 15


Treviglio/Il simbolo della festa patronale

L’elmo di Lautrec,

storia di un restauro Il Dr. Franco Pellaschiar, dell’Associazione Amici del Santuario (Atas), curò il restauro dell’elmo e della spada, testimonianza del “miracolo” della Madonna delle Lacrime di Treviglio e della festa patronale

L

e cronache riportano l’attenta indagine storica effettuata ed il lavoro di restauro necessario per restituire ad elmo e spada l’aspetto originale avvilito dalla patina rugginosa che ne velava le pregevoli finiture degli armaioli del tempo; quindi chiediamo lumi a Franco Pellaschiar, presidente onorario dell’Associazione Trevigliese Amici del Santuario. “In effetti da diverse decine di anni no aveva subito interventi conservativi. Inoltre nei secoli passati aveva subito interventi impropri quali forature ingiustificate e addirittura una saldatura maldestra; tra l’altro è andata perduta la ‘guancia’ sinistra di cui rimane la traccia della cerniera rotta. Comunque già dai primi test si erano evidenziate decorazioni a bulino molto pregevoli”. Sono rappresentativi dello stile di altri manufatti militari dell’epoca? “Non ci sono dubbi: l’elmo ha le caratteristiche dei ‘caschi da cavallo’ detti ‘Burgognotte’, che erano diffusi in Europa nella prima metà del XVI° secolo; vedi esempi coevi di caschi tedeschi, francesi e dei Paesi bassi. Tra l’altro ci risulta che i nostri due cimeli furono esposti nel 1939 alla ‘Mostra di Leonardo da Vinci’ tenuta nel Palazzo dell’Arte di Milano. Altra cu-

riosità, circolavano dubbi sulla loro effettiva appartenenza al generale Lautrec, ma dirò che, affinando il recupero della condizione originale sia dell’elmo che della spada, sono affiorati elementi decorativi che ne consentono senz’altro l’appartenenza a un ufficiale di rango dell’esercito francese di Francesco I°. L’ottima mano delle incisioni a bulino sull’elmo e l’impugnatura della spada, con riporti a intarsio

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di madreperla, giustificano questa affermazione. Inoltre sulla lama, a ridosso dell’elsa, per un’estensione di circa dieci centimetri, sono riportate incisioni di figure allegoriche, purtroppo molto usurate dalla ruggine, inquadrate in una cornice incisa a bulino, dove in un punto si intravedono alcune tracce di caratteri con la parola ‘Spor’ che però, al momento, non ci consente di confermare un’attribuzione. Sulle due facce della lama (lunga 90 centimetri) sono incisi, alla stessa distanza dall’elsa, due marchi che potrebbero consentire di risalire allo ‘spadaro’. Anche questa è una ricerca che pensiamo si potrebbe fare. Non è comunque ipotizzabile una ri-

produzione in copia realizzata in secoli successivi; su questo argomento rimanderei anche alle perizie del secolo scorso riportate nella ‘Storia di Treviglio’ di don Piero Perego e Ildebrando Santagiuliana (Pag. 368)”. In che cosa sono consistiti gli interventi di restauro realizzati per conto della associazione Amici del Santuario, quali i problemi incontrati, le modalità tecni-

A sinistra e sotto due immagini fornite dell’elmo e la spada dopo il restauro. Sopra tre immagini di Enrico Appiani scattate durante la rievocazione storica del Miracolo della Madonna delle Lacrime. Sotto il dott. Franco Pellaschiar

che e gli strumenti utilizzati? “L’operazione principale è stata la rimozione degli strati di ruggine che impedivano la lettura dei dettagli decorativi e l’aspetto originale dei due cimeli; quasi certamente l’ultimo intervento di sommaria pulizia era stato quello effettuato in occasione dell’esposizione del 1939. Infatti l’elmo lo si ricorda di un colore brunoferroso diffuso, ed anche la lama della spada aveva una spenta patina anonima. Siamo intervenuti con prudenza effettuando dei test su alcuni punti significativi per valutare tecniche e strumenti adatti ad affrontare l’impegnativo lavoro: una prima rimozione degli strati di ruggine è stata effettuata con paglietta; poi, per le parti lavorate e incise a bulino, si è passati all’utilizzo di minuscole spazzole e pennellini rotanti in fili di ottone (Attrezzi Dremel). Infine un ultimo passaggio di finitura con paglietta a maglia fine sulle varie parti dei due cimeli. Un lavoro da certosino, centimetro per centimetro, con tanta pazienza”. Una volta recuperata la configurazione originaria di elmo e spada, si tratterrà di trovare il modo di garantirne la durata nel tempo. “Anzitutto sono stati effettuati dei test preliminari applicando il trattamento sperimentale su materiali ferrosi arrugginiti datati di qualche secolo ed accuratamente ripuliti dalle patine rugginose. Sulla base degli ottimi risultati ottenuti dall’applicazione del trattamento chimico sperimentale, siamo passati a ripetere l’operazione sui due cimeli ripuliti dalle incrostazioni di ruggine con le modalità sopra riportate. Praticamente è stata applicata a caldo una soluzione di paraffine in un solvente volatile, nel nostro caso n-esano. La bassa viscosità della soluzione predisposta consente una penetrazione spinta nelle poro-

sità del metallo; nel giro di una decina di ore, evaporato completamente il solvente, rimane un film ceroso compatto, perfettamente incolore e trasparente, in grado di assicurare una valida protezione dall’aggressione atmosferica per un tempo indeterminato. E’ risaputa l’inerzia chimica e la non degradabilità (inossidabilità) delle paraffine a temperatura ambiente; oltretutto precisiamo che un intervento di questo genere è reversibile in quanto è facile la sua completa rimozione al momento in cui le tecnologie rendessero disponibili sistemi di protezione più efficaci”. So che se ne è occupato direttamente

lei dott. Pellaschiar e questo meraviglia un po’, soprattutto che se ne sia occupato di sua mano, ovvero mi incuriosisce un po’ questa sua attitudine alla manualità. “Le dirò che mi considero un po’ un tecnologo in ragione della mia pluridecennale attività in ruoli operativi nell’industria chimica e impiantistica. I contatti professionali mi hanno dato opportunità di esperienze diversificate, sempre affian-

cate a grande attenzione per le manualità operative, ai materiali ed alle tecnologie che spesso, nell’industria chimica delle resine e dei prodotti vernicianti, hanno punti in comune con gli studi ed i progetti di restauro di opere d’arte. E qui si attivava e memorizzava una curiosità culturale che poi innescava sfide a mettere a punto, nel mio piccolo, sperimentazioni magari inedite”. Molto interessante, può farmi qualche esempio pertinente? “Tralascio naturalmente le piccole manualità e le riparazioni domestiche che tutti conosciamo e cito un interessante intervento conservativo per la salvaguardia di alcune strutture lignee nella chiesa di S. Pietro in Civate (Monumento nazionale), che mi impegnò nelle vacanze di due estati; poi una sorta di scommessa con un antiquario in un’operazione di recupero di stampe settecentesche, malamente tinteggiate da un dilettante. E ancora il riassemblaggio dei cocci di un’antica ceramica della vecchia Lodi, realizzato impastando le resine leganti con adeguati pigmenti in tinta; o ancora il restauro della rilegatura malmessa di una preziosa edizione d’arte ottocentesca. C’è stata anche la messa a punto della disincrostazione e della pulitura di alcuni reperti ceramici provenienti da una necropoli … piccole sfide, comunque con risultati soddisfacenti. Potrei citare poi le indagini chimicofisiche su oggetti di antiquariato minore per acquisire elementi di valutazione sull’autenticità e la datazione del pezzo: le cito ad esempio che supposti bronzetti nuragici, apparentemente credibili nella fattura e per la patina, ai test rivelarono avere una composizione in lega di rame e zinco esattamente corrispondente a quella delle attuali rubinetterie per bagno. Ma queste sono altre storie”. Grazie al dottor Pellaschiar, lo disturberemo presto per parlare dei restauri del magnifico organo del Santuario. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 17


Expo/Opportunità

Intervista con Bruno Brambilla

“Come prepariamo l’accoglienza Expo” di Daria Locatelli

La Media Pianura Lombarda diverrà un nodo cruciale a ridosso del grande evento fieristico. Ecco un’iniziativa che vuole sfruttare al meglio l’occasione per far conoscere al mondo le ricchezze del territorio

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na posizione strategica quella della Media Pianura Lombarda in vista di EXPO 2015. Grazie alle reti autostradali, ferroviarie e alla vicinanza agli aeroporti, Treviglio ed i comuni limitrofi saranno velocemente raggiungibili dai milioni di visitatori attesi al sito espositivo di Rho. Come poter cogliere al meglio un’occasione così importante per il territorio? Una risposta ci viene fornita da “Accoglienza e ospitalità nella Media Pianura Lombarda”, un progetto promosso dall’associazione Pianura da scoprire, dall’Istituto Statale di Istruzione Superiore Zenale e Butinone” di Treviglio e da Pro Loco - Ufficio IAT di Treviglio e Comprensorio. La proposta nasce innanzitutto dall’esigenza di sopperire ad una carenza strutturale della capacità ricettiva del territorio che, pur essendo un crocevia strategico a livello infrastrutturale, rischia di non sfruttare al massimo questo vantaggio. Da qui l’idea di potenziare l’ospitalità nella Media Pianura Lombarda (MPL), dando modo sia ai visitatori che agli operatori impegnati presso il polo espositivo di poter alloggiare non solo presso le strutture alberghiere presenti, ma anche in alloggi e case messi a disposizione dagli abitanti

e dalle istituzioni. L’ospitalità occasionale prevede il coinvolgimento di Comuni, enti, tour operator, associazioni e tutti quei cittadini che si dimostrino disponibili ad ospitare una o più persone nella propria abitazione. “Questo progetto - spiega Bruno Brambilla, Presidente di Pianura da scoprire - contribuisce alla crescita culturale e all’integrazione delle comunità e degli enti coinvolti, valorizzando le risorse sociali già presenti nel territorio”. Il dialogo ed il coinvolgimento di tutti gli operatori territoriali e, in primis, dei cittadini è una peculiarità di questa iniziativa. Nel corso dei mesi di ottobre e novembre 2014, infatti, l’Istituto Statale Superiore Zenale e Butinone, in collaborazione con la Pro Loco e Pianura da scoprire, ha condotto un’indagine conoscitiva tra la popolazione di Treviglio e comuni limitrofi. “I questionari - testimonia Bruno Brambilla - ci vengono tuttora inviati in associazione dai cittadini, segno di come il progetto riscontri un notevole interesse da parte degli abitanti. Proprio per dare modo a più persone possibili di venire a

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conoscenza del progetto e approfondirne i dettagli, organizzeremo anche dei seminari a tema, come EXPO a un passo da qui in programma il prossimo 9 marzo presso il Teatro Nuovo di Treviglio”. “L’idea di promuovere questa iniziativa -prosegue Bruno Brambilla- nasce non solo dalla volontà di superare il deficit ricettivo del nostro territorio in vista di EXPO 2015 e di contribuire alla messa in circolo del patrimonio abitativo inutilizzato a causa della crisi economica, ma anche da motivazioni di tipo socio-culturale legate al programma di valorizzazione e di sviluppo turistico sostenibile della Media Pianura Lombarda. Tutto questo, infatti, sollecita anche la mobilitazione di saperi e competenze diffuse, tra cui l’eccellenza nella produzione di beni e servizi tipici”. EXPO si rivela, infatti, un’opportunità senza precedenti per dare risalto all’offerta turistica del territorio, ricco di luoghi di interesse, produzioni tipiche, attrattive culturali e tradizioni gastronomiche che, se adeguatamente promosse, possono essere rese note ed indimenticabili a tutti coloro che avranno modo di poterle conoscere ed apprezzare. Uno dei punti focali di “Accoglienza e ospitalità nella Media Pianura Lombarda” è la creazione di eventi di richiamo anche a livello internazionale ed una sapiente campagna marketing che vede la promozione diffusa mediante siti internet ad hoc, app, social network, articoli su riviste specializzate e collegamento con altre iniziative aventi come tema EXPO 2015. “Il nostro intento -aggiunge Bruno Brambilla- è quello di stimolare il contatto con paesi diversi, ampliando la capacità di comunicazione e di mobilitazione delle iniziative locali. Vogliamo offrire anche l’occasione di esperienza sul campo a giovani studenti, proponendo un modello innovativo di sviluppo economico e

occupazionale mediante la valorizzazione delle risorse già presenti sul nostro territorio”. Il cercare di porre in evidenza le ricchezze umane e naturali della Media Pianura Lombarda è da sempre una delle mission di Pianura da scoprire (www.pianuradascoprire.it). L’associazione, nata nel 2009 per iniziativa congiunta dei comuni di Treviglio e Caravaggio ed attualmente partecipata da 46 Comuni, dai Parchi dell’Adda e del Serio e da 11 fra enti e aziende privati, ha come scopo statutario la realizzazione di un programma integrato di valorizzazione socio-turistica e di sviluppo sostenibile del territorio. “L’associazione -descrive il Presidentesi prefigge la promozione di offerte turistiche adeguate alla MPL e la creazione di mezzi che sappiano mettere in luce tutta l’attrattività che la nostra terra possiede, ma che può rimanere inosservata se non adeguatamente comunicata”. Tra i vari obiettivi lo sviluppo della mobilità dolce, impegnandosi nel coordinamento della realizzazione di una rete ciclabile sul territorio della Media Pianura Lombarda e nella sensibilizzazione rispetto a questa tematica. Oltre a ciò, l’associazione è impegnata nella creazione di un piano di marketing che prevede l’istituzione di un marchio territoriale della MPL, lo sviluppo di un sito internet con possibilità di realizzare itinerari personalizzati, l’installazione di monitor informativi presso i Comuni e gli enti associati, nonché la promozione degli eventi in programma. Tutto questo ha lo scopo di far emergere la potenzialità di un territorio che ha molto da offrire, ma le cui bellezze rimangono spesso in sordina, in primis a coloro che vi abitano. Ecco allora che EXPO 2015 diventa lo stimolo per far riemergere le ricchezze della pianura e presentarle adeguatamente a coloro che possono imbattersi per la prima volta in una terra che ha molto da offrire e che attende solo di poterlo fare.

Guai perdere questa occasione storica

Il Direttore del Padiglione Italia di Expo, Cesare Vaciago, ospite del Lions Treviglio Host, ha ricordato che le occasioni offerte da questa manifestazione dureranno nel tempo. Se si sapranno cogliere adesso...

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l Direttore Generale del Padiglione Italia di Expo 2015, l’ing. Cesare Vaciago, è stato recentemente ospite del Lions Club Treviglio Host, presso la loro sede dell’Hotel Belvedere Tre Re di Misano Gera d’Adda. Un incontro voluto dal presidente arch. Vittorio Pagetti, che ha coinvolto i sindaci della zona e i presidenti della Bcc di Treviglio Giovanni Grazioli e di Caravaggio, Carlo Mangoni. Tema d’obbligo l’Italia, l’alimentazione, l’Expo e i suggerimenti per sfruttare questa occasione storica. L’Ing. Vaciago, uomo di grande cultura, ha ricoperto incarichi prestigiosi e impegnativi, come direttore generale del Comitato per l’organizzazione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, tra gli organizzatori delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Esperienze professionali iniziate da dirigente dell’Olivetti e via via sommatesi agli incarichi dirigenziali nel Censis, all’Isfol, alla Montedison, poi Fs, Poste italiane, spesso ricoprendo in questi enti e società l’incarico di Direttore Generale. Ultima tappa prima dell’Expo, City Manager da 1998 al 2013 del Comune di Torino.

Nella brillante relazione, Cesare Vaciago ha evidenziato le radici che hanno portato l’Italia e gli italiani ad essere ciò che sono, un popolo che fonda le sue radici in un territorio fortunato ma difficile. Fortunato per il clima, difficile per la conformazione morfologica e geografica. Ovvero il clima giusto per ottenere il meglio dall’agricoltura, ma solo se l’uomo riusciva a risolvere i problemi dovuti alla morfologia del terre-

Il presidente del Lions Club Treviglio Host, arch. Vittorio Pagetti. Sopra l’ing. Cesare Vaciago durante la relazione

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Abitare a Treviglio

Expo/Opportunità

no, inclinato, oppure scosceso, alluvionale, ecc. Questo per chiarire che l’italiano, in generale, ha una caratteristica accentuata rispetto a quella di altri popoli: la capacità di saper risolvere i problemi difficili. Da queste caratteristiche poi, a caduta, ciò che siamo; bellezza, arte, moda, tecnologia, ma soprattutto varietà e qualità del cibo. “Qualsiasi prodotto italiano i cinesi o gli indiani possono copiarlo, rifarlo, ma due cose non potranno mai copiare: la bellezza dell’Italia, i suoi paesaggi, la sua storia, quindi l’arte e l’architettura e la cucina. La migliore del mondo”. Come sfruttare l’Expo? “Creando ospitalità e organizzandosi. Alberghi, pensioni, alloggi e pacchetti di visite organizzate. Con questo far uscire il turismo internazionale dal consueto triangolo Venezia, Firenze, Roma”. Per concludere una sottolineatura sul “bed and breakfast”, il modo più facile per captare i milioni di visitatori che arriveranno. “La cosa più importante” ha poi sottolineato l’ing. Vaciago “è capire che il turismo che si riuscirà a far arrivare, anche qui nella Gera d’Adda, sarà un patrimonio che rimarrà, ritornerà e si amplierà. L’importante, anche se è tardi, tentare di captarlo”. Al termine della relazione, supportata da diapositive specifiche, alcuni soci lions e ospiti hanno posto domande, permettendo così all’ing. Vaciago di meglio sottolineare alcuni aspetti che hanno incuriosito la platea. Ospiti, come dicevamo, alcuni sindaci, che hanno seguito con particolare interesse la conferenza, permettendo loro di confrontare quanto esposto con l’organizzazione, invece, approntata dalle varie comunità locali. Erano presenti i sindaci Giuseppe Prevedini (Caravaggio), Beatrice Bolandrini (Brignano), Aldo Blini (Calvenzano), Mauro Faccà (Casirate), Gabriele Riva (Arzago). Inoltre Pierangelo Bertocchi vice-sindaco di Pontirolo e Giancarlo Fumagalli consigliere comunale delegato dal sindaco di Treviglio.

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Aprire un Bed and Breakfast é facile di Giorgio Vailati

Aprire un B&B in una città come Treviglio può essere un affare. La vicinanza con Milano e “la fame” di ricettività, assieme al Passante Ferroviario e all’autostrada, possono fare la differenza

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’Expo è ormai arrivato e si ha l’impressione che si sia perso il treno per sfruttare questa occasione unica e irripetibile. Infatti il problema dell’accoglienza c’è oggi con l’Expo, ma continuerà anche nel futuro per Treviglio, se non altro perché siamo un luogo accogliente alle porte di Milano. Abbiamo poi il terminale del Passante Ferroviario che porta anche a Novara e a Rho, poi abbiamo due caselli autostradali e gli aeroporti di Orio e Linate sono a venti minuti. C’è soprattutto una richiesta formidabile di alloggio, di accoglienza, per supplire agli alti costi di Milano, argomento che si affronta nel riquadro a lato. Avendo la città e la zona innumerevoli alloggi sfitti, qualcuno potrebbe pensare di aprire un’attività economica interessante e remunerativa. Il bed and breakfast ha permesso e permette, anche a chi ha dei mezzi economici ridotti, di viaggiare più spesso e più a lungo. In queste occasioni poi, si apprezzano i rapporti umani genuini e si cerca di entrare in contatto con lo stile di vita del luogo. Ovvero aprire un B&B significa poter beneficiare di una “entrata” economica in più, aprirsi al mondo esterno con la voglia di condividere esperienze trasmettendo l’amore per il proprio territorio.

Come aprire un B&B Secondo le Norme Regionali in vigore, costituiscono attività ricettive a conduzione familiare, Bed and Breakfast, le strutture gestite da privati che, avvalendosi della loro organizzazione familiare, utilizzano parte della propria abitazione per ospitare persone. Questo con periodi di apertura annuali o stagionali, con un numero di camere e letti limitati, sulla base di leggi e regolamenti specifici. Quindi la prima cosa

è consultare la legge regionale in materia che si rifà alla Legge nazionale 29 Marzo 2001 n. 135, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 il 20 Aprile 2001. Successivamente bisogna accedere allo sportello SUAP del Comune di pertinenza per ritirare la modulistica necessaria per la Dichiarazione di Inizio Attività. La SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), è la nuova procedura che sostituisce la DIA (Denuncia di Inizio Attività). Il vantaggio offerto dalla SCIA, è che l’apertura della struttura ricettiva è immediata.

alle norme si sicurezza degli impianti elettrici, a gas, di riscaldamento, rispetto delle norme igieniche ed edilizie. Anche questi possono subire delle variazioni da regione a regione. Di norma viene richiesto anche che il titolare del B&B abbia la residenza (o il domicilio durante il periodo di apertura del B&B) presso la struttura. Alcune Regioni consentono però la residenza anche in altri immobili vicini alla struttura ed è comunque sempre richiesta la reperibilità.

Requisiti dell’alloggio

Dovrà essere accurato avvalendosi della normale organizzazione familiare e fornendo, esclusivamente a chi è alloggiato, cibi e bevande confezionate per la prima colazione, senza alcun tipo di manipolazione. Questo non significa che si debbano servire solo alimenti confezionati industriali né che l’inderogabilità a questa regola sia assoluta.

E’ prevista una superficie minima in rapporto ai posti letto e può essere chiesta la presenza di alcuni arredi di base. Gli ospiti devono poter accedere alla propria stanza senza attraversare altre camere da letto, oppure servizi destinati alla famiglia o ad altri ospiti. Anche i bagni devono offrire attrezzature minime (vasca da bagno o doccia, specchio con presa di corrente, lavabo, water, etc.). Almeno un bagno deve essere ad uso esclusivo degli ospiti quando viene superato un certo numero di camere o posti letto. Di norma viene chiesta la pulizia quotidiana dei locali, mentre il cambio della biancheria può avvenire con cadenza diversa (ad esempio, almeno due volte alla settimana) e sempre ad ogni cambio dell’ospite. L’alloggio deve avere da 3 a 6 camere (i requisiti variano da regione a regione) debitamente arredate con letto, armadio, comodini, lampade, sedie, cestini getta carte, per un massimo di 6/20 posti letto (i requisiti variano da regione a regione). Per rispettare il carattere saltuario dell’attività è prevista un’interruzione di un certo numero di giorni (il numero varia da regione a regione), anche non consecutivi, nel corso dell’anno. In questo caso non serve l’apertura della partita IVA. I requisiti minimi richiesti per l’apertura di un B&B sono: 14 mq per la camera doppia, 8 mq per la singola, conformità

Il servizio

La colazione

Nel servizio di B&B, la prima colazione è sempre compresa, ma le Regioni prevedono modalità di somministrazione diverse. In genere è prevista la sola somministrazione di prodotti senza manipolazione (eventualmente solo riscaldati). In alcuni casi, poi, è richiesto che i prodotti provengano dal territorio regionale. Il divieto di manipolazione dei prodotti è limitato esclusivamente al gestore, qualora non abbia le autorizzazioni igienico-sanitarie di legge, ma ciò non toglie che è possibile acquistare e servire prodotti manipolati da chi ha tutte le autorizzazioni igienicosanitarie del caso.

I prezzi e norme Ps

I prezzi applicati devono essere comunicati all’ente indicato dalla Regione ed essere esposti all’interno della struttura. Anche i B&B come le altre strutture ricettive, sono tenuti a comunicare alla locale autorità di Pubblica Sicurezza le generalità degli ospiti.

Anche senza Expo sarebbe un business

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e abbiamo accennato nello scorso numero. Per chi non abita in un paese o un piccolo centro come il nostro, le distanze tra la residenza e il luogo di lavoro, studio o svago, sono percepite in modo molto diverso. Questo per dire che Treviglio se avesse capacità di ospitare, potrebbe diventare un luogo dove i giovani non avrebbero più necessità di fare i pendolari, o addirittura cercare lavoro all’estero. Infatti, la distanza che oggi abbiamo con Milano, ma anche con il resto dei luoghi interessanti della Lombardia, è ridicola ed è mediamente sotto i 60’. Senza insistere sui numeri, fate mente locale sui tempi di percorrenza -con il Passante Ferroviario o l’autostrada- per arrivare a Linate, Orio, Milano, Bergamo, Brescia, Novara, Rho Fiera o Gardaland. Perchè dunque abbiamo 1400 appartamenti nuovi da vendere quando Treviglio ha tutte le caratteristiche per diventare un luogo dove ospitare studenti universitari, turisti per svago o d’affari, parenti di malati ricoverati nei nostri ospedali o in quelli di Milano? Spulciando a caso su internet, trovo che un appartamento di 75 mq, nelle zone di Città Studi, Lambrate, Udine, Loreto, costa 950 euro al mese. In Porta Romana, Viale Monte Nero e Via Maffei, un appartamento di 60 mq costa 1.200 euro. A Treviglio i prezzi, invece, vanno dai 350 ai 600 euro al mese. Calcolando tre studenti per un appartamento simile, significa che potrebbero spendere -anzichè dai 300 ai 400 euro al mese- dai 100 ai 200 a testa, che fanno la differenza. Immaginiamoci dunque un B&B, ma anche un albergo, adeguato ai tempi e con non meno di 100 camere, che ruolo potrebbe avere nell’economia locale. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 21


In vista dell’Expo/Tesori di Gera d’Adda

Quando l’eccellenza alimentare è regola a cura di Cristina Signorelli

Il Distretto Agricolo della Bassa Bergamasca vanta prodotti di alta qualità con marchio Dop. I punti di forza sono i formaggi, il melone di Calvenzano, la patata di Martinengo e molto altro ancora

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na realtà territoriale, delimitata da confini naturali, con produzioni caratteristiche legate alla terra, un tessuto sociale e una tradizione culturale omogenei costituisce un bene prezioso da valorizzare in tutte le sue componenti e, proprio in accordo a tale principio e con il fine di salvaguardare gli aspetti caratteristici di questa terra, si è costituito il Distretto Agricolo della Bassa Bergamasca. Nel 2012, dopo circa due anni trascorsi ad espletare tutte le fasi della procedura di accreditamento, la Regione Lombardia ha deliberato la costituzione del Distretto della Bassa Bergamasca identificando la Pianura della Provincia di Bergamo, dove hanno sede 42 Comuni e vivono oltre 250.000 abitanti, quale area ad omogeneità geografica, rurale ed agro-alimentare. Giovanni Malanchini, Sindaco di Spirano che è stato il Comune capofila nella presentazione della richiesta di riconoscimento, ricorda : “Come Comune avevamo avviato uno studio preliminare per il progetto di una fattoria didattica insediata nel nostro circondario, e nel procedere dell’analisi abbiamo appurato che l’intera area aveva le caratteristiche morfolo-

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Aziende d’eccellenza

giche, la rappresentatività del territorio e le produzioni particolari adatte ad essere configurata quale distretto agricolo”. Un importante punto di forza di questa realtà è costituito dalla produzione in loco di ben 5 formaggi a marchio Dop oltre a due prodotti di qualità che sono il melone retato di Calvenzano e la patata di Martinengo. Sottolinea il Sindaco: “L’adesione del Consorzio Tutela del taleggio è stata determinante al successo dell’iniziativa, dato l’apporto dei loro prodotti Dop, che sono: taleggio, salva, provolone, gorgonzola e grana”. Oggi gli stessi prodotti possono fregiarsi anche del marchio del Distretto, che fornisce ulteriore pregio ai lavorati, con la garanzia che l’intera filiera corta ha luogo

Giovanni Malanchini

nella Bassa Bergamasca. Infatti, uno degli obiettivi del Distretto si esplica nel fornire certezza ai consumatori, ove viene apposto lo stesso marchio, che il loro acquisto rispetta oltre a tutte le norme igienico-sanitarie previste per legge, l’intera formazione e lavorazione nei luoghi di origine indicati. Sappiamo che la finalità ultima dell’associarsi è costituita sempre da riunire le singole entità dando loro una voce unica più forte, così da poter essere meglio ascoltati. Non sfugge a tale logica il Distretto della Bassa Bergamasca che, con oltre duecento aziende agricole e agro-alimentari associate, si propone quale supporto ideale per presentare e valorizzare progetti, anche dei singoli aderenti, presso l’Unione Europea e le Amministrazioni Pubbliche locali. “La condivisione aiuta il singolo imprenditore –dice Malanchini– a dare maggior forza e valore all’idea che sta dietro ad un nuovo progetto, qualunque sia l’ambito di competenza e ciò incide in misura sempre maggiore in un panorama che vede l’ambito agricolo e agro-alimentare confrontarsi con realtà europee, più competitive nei costi ma decisamente inferiori in termini qualitativi”. “In quest’ottica – prosegue il Sindaco si colloca il piano operativo che prevede quattro assi di intervento principali, costituiti dalla valorizzazione dei prodotti tipici locali, la ristrutturazione aziendale e la modernizzazione degli impianti agricoli, nonché la salvaguardia del suolo e della sua componente paesaggistica”. Gli obiettivi prefissati costituiscono un percorso importante verso un ammodernamento del settore agricolo, che soprattutto nelle sue componenti più esigue, può avvantaggiarsi di esperienza e conoscenze tecniche date a supporto dalla struttura distrettuale, così come la tutela e promozione dei prodotti locali e del territorio forniscono un valido contributo a rafforzare le tradizioni e le peculiarità della zona di appartenenza, la Bassa Bergamasca.

I gioielli della Via Lattea, ovvero la qualità paga

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a Via Lattea è un piccolo scrigno che nasconde molti piccoli gioielli, definizione che sottoscrive chi ama i formaggi e, in particolare, gli estimatori dei prodotti di latte di capra, materia prima con la quale si producono i formaggi di questa piccola azienda a conduzione familiare. Si tratta infatti di un caseificio, piccolo di dimensioni ma molto ampio per gamma di prodotti, situato poco distante dal centro di Brignano Gera d’Adda, dove Valentina Canò decise anni fa di iniziare questa nuova avventura, digiuna del mestiere ma con un’esperienza familiare legata alla terra, agli animali, dotata di una grande inventiva personale, ha costruito una piccola ma solida realtà produttiva. Valentina racconta che il primo passo è stato iniziare la sua formazione in Francia, patria riconosciuta a livello mondiale dei formaggi prodotti con latte di capra. Ha poi applicato alle conoscenze di base la creatività più tipicamente italiana per creare prodotti nuovi, sempre più ricercati per gusto e composizione, come ci dice lei stessa: “La nostra metodologia si rifà a quella delle più tipiche produzioni francesi aggiungendo l’estro che invece è tipico della nostra tradizione”. Oggi La Via Lattea, impresa familiare dove oltre a Valentina lavorano il marito e i figli, propone oltre cento diversi tipi di formaggi, tra i più vari e innovativi per gusto e abbinamenti. Come quelli aromatizzati con frutti di bosco, erbe aromatiche, petali di fiore, semi e frutta; oppure i semi- stagionati al naturale

o con carbone vegetale, per i quali si coniuga la ricerca all’innovazione del processo produttivo con l’attenzione alla tradizione. Poi, oltre a molti altri ancora gli erborinati che sono valsi molti premi e riconoscimenti di fama mondiale, tra cui anche la medaglia d’oro al World Cheese Award, edizione 2009. “La nostra duplice sfida è quella di ritornare alle tecniche di lavorazione più antiche applicando i controlli più moderni e di applicare al gusto più classico la fantasia della nostra tradizione culinaria”. Così sintetizza Valentina la scelta di produrre garantendo la massima attenzione alla qualità della materia prima, il latte crudo, controllando attraverso gli strumenti più moderni il processo produttivo tradizionale. A tutto ciò è valso il successo di questa piccola impresa familiare, che indirizza prevalentemente all’estero i suoi prodotti, dove il consumatore premia l’alta qualità. Infatti in Europa esistono mercati di alta gamma dell’enogastronomico con canali di vendita molto più diffusi che in Italia, particolarmente esclusivi, dove un pubblico esigente è sempre attratto dal Made in Italy, purchè di sicura qualità e rispetto della tradizione. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 23


Expo/Tesori di Gera d’Adda

Il melone e una storia cooperativa antica

La Cooperativa agricola di Calvenzano è stata fondata nel 1887 ed è una delle più antiche società di questo tipo in Italia, tanto che porta l’iscrizione n. 1 alla Camera di Commercio di Bergamo

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orta per ragioni di carattere mutualistico e sociale, ha svolto una importantissima funzione tra la fine dell’800 e i primi del nuovo secolo per il riscatto delle categorie del lavoro agricolo nel piccolo centro della bergamasca, dando dignità e una funzione imprenditoriale a chi non possedeva nulla ed era condannato all’indigenza, all’inferiorità sociale, all’emigrazione. Il denominatore comune della storia della Cooperativa è sempre stato quello della mutua assistenza tra i soci, venendo incontro alle loro esigenze anche al di là della mera attività economica; non a caso, la Cooperativa ha svolto nei suoi primi anni di vita una significativa attività anche di carattere culturale, dando anche vita tra l’altro ad un celebre complesso bandistico. Questo scopo sociale è stato inizialmente finalizzato a dare autonomia agli agricoltori calvenzanesi rispetto ai proprietari latifondisti e al sistema della mezzadria, consentendo -attraverso duri sacrifici e battaglie durate almeno 20 anni- di accedere al mercato dei capitali a condizioni migliori, fare acquisti collettivi, prendere in affitto macchinari ecc. Il “modello” Calvenzano è diventato così un caso quasi unico e certamente il primo ad affermarsi per attenzione sia alla produttività che agli aspetti sociali, negli anni

a cavallo tra i due Secoli. Con il tempo, la situazione è via via cambiata e soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, ha avuto prevalenza l’attività della Cooperativa tesa fondamentalmente a garantire ai suoi soci un’abitazione o terreni agricoli a prezzi di locazione convenienti ed agevolati, per rispondere ad una necessità pratica di grande significato sociale. Da alcuni decenni questa è diventata l’attività più rilevante della Cooperativa, che dà in locazione i propri beni, case e terreni, in via preferenziale proprio ai suoi soci, rappresentando in questo senso una risorsa fondamentale per il Paese in cui ha sede. Entrata nel nuovo millennio, la Cooperativa, si è oggi impegnata a recuperare le sue radici più autentiche, con attenzione al rilancio dell’agricoltura come valore economico e come riferimento soprattutto per le nuove generazioni. Da qui, le iniziative per avvicinare giovani, nuove cooperative, volontariato sociale alla pratica dell’agricoltura come impresa moderna. Sempre in questo contesto stan-

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Un’impresa moderna

no le iniziative di riscoperta delle produzioni tradizionali dell’agricoltura tipica di Calvenzano, a partire dal melone retato. Il tutto, valorizzando il concetto stesso di cooperazione, sempre ricordando che Calvenzano è storicamente una piccola “capitale” della cooperazione.

Il melone retato di Calvenzano

Il melone “retato di Calvenzano” è un melone molto particolare dalla forma allungata, dal peso considerevole (dai 2 ai 5 Kg. e oltre) e dalla tipica scorza rugosa detta appunto rete o ricamo. Storicamente il melone è stato importantissimo per Calvenzano e ha avuto il suo massimo splendore negli anni 20 e 30; vi fu un periodo in cui veniva consumato nei più importanti ristoranti di Parigi. Negli anni 30 è stato consegnato alla residenza estiva dei reali d’Inghilterra che alla Cooperativa, secondo testimonianze di soci produttori di meloni, fecero avere un certificato di stima. Dal 2002 - dopo un periodo in cui la tradizione ha rischiato di esaurirsi - la Cooperativa Agricola ha avviato un progetto quinquennale per la riscoperta del “melone retato di Calvenzano”.

La produzione è andata aumentando

Dopo diversi anni di sperimentazione condotta da alcuni Soci, nella primavera del 2008 è stato costituito il “Comitato del melone” un gruppo di Soci si sono incontrati con lo scopo di coltivare assieme il melone di Calvenzano e sviluppare un’idea che la Cooperativa da anni ha messo al centro della sua attività di promozione culturale.

Né manca una prospettiva scientifica, visto che la Cooperativa Agricola è in contatto con l’Università di Valencia in Spagna per il tramite di una ricercatrice italiana. Semi di tre diversi meloni sono stati consegnati all’Università spagnola per essere analizzati e conservati in quella banca del germoplasma, una banca dei semi vegetali fra le più complete del mondo.

Confettura e senapata di melone di Calvenzano

Una versione della confettura di melone di Calvenzano è stata inserita dal Ministero delle Politiche Agricole fra i prodotti gastronomici che hanno rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Atene 2004 e quelle invernali di Torino 2006. Oggi questa prelibatezza è disponibile in due varianti: la Confettura, ideale per dolci, per prime colazioni, e in particolare in abbinamento a formaggi moderatamente piccanti e la Senapata più adatta ad accompagnare arrosti, bolliti e formaggi di media stagionatura.

Liquore al melone di Calvenzano

Dalla lavorazione del melone retato di Calvenzano si ricava un liquore digestivo dal profumo intenso e dal gusto dolce e avvolgente. Viene prodotto a seguito di un lungo processo di macerazione del melone per essere successivamente imbottigliato nella tipica bottiglia. Ne esistono due versioni: capsula oro contenente anche fettine di melone di Calvenzano e capsula blu completamente filtrato. Il liquore al melone di Calvenzano è ideale dopo pasto come digestivo e va servito ghiacciato. E’ un liquore che accompagna le iniziative culturali della Cooperativa Agricola di Calvenzano. Le confetture, senapate e liquori al melone si possono trovare a Calvenzano allo Spaccio della Latteria Sociale, alla Meloneria, al negozio di Alimentari Baffi e a Treviglio alla Gelateria Caffè Milano. (C. S.)

Recuperate le radici più antiche

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l “modello” Calvenzano è diventato un caso quasi unico e certamente il primo ad affermarsi per attenzione sia alla produttività che agli aspetti sociali, questo negli anni a cavallo tra l’800 e il ‘900. Con il tempo la situazione è via via cambiata, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, dove ha avuto prevalenza l’attività della Cooperativa tesa fondamentalmente a garantire ai suoi soci abitazione e terreni agricoli a prezzi di locazione convenienti, per rispondere ad una necessità pratica di grande significato sociale. Da alcuni decenni questa è diventata l’attività più rilevante della Cooperativa, che dà in locazione i propri beni, case e terreni, in via preferenziale proprio ai suoi soci, rappresentando in questo senso una risorsa fondamentale per il paese in cui ha sede. Entrata nel nuovo millennio, la Cooperativa, si è impegnata a recuperare le sue radici più autentiche, con attenzione al rilancio dell’agricoltura come valore economico e come riferimento soprattutto per le nuove generazioni. Da qui, le iniziative per avvicinare giovani, nuove cooperative, volontariato sociale alla pratica dell’agricoltura come impresa moderna. Sempre in questo contesto stanno le iniziative di riscoperta delle produzioni tradizionali dell’agricoltura tipica di Calvenzano, a partire dal melone retato. Tradizione nella tradizione, a Pasqua si è riportata in auge l’antica usanza di mettere a dimora i semi dei meloni, come sempre all’arrivo della luna della Pasqua. Ovvero il periodo che va dall’i-

nizio della Settimana Santa alla fine della settimana successiva. Una tradizione che affonda le sue radici nel passato: i più radicali sostenitori di questo precetto agricolo asserivano infatti che il raccolto sarebbe stato più generoso e più soddisfacente se la semina fosse stata portata a termine soprattutto il Giovedì e il Venerdì Santo. Così si continua a fare. La prossima tappa potrebbe essere l’ambito riconoscimento che “Slow food” potrebbe dare al melone retato di Calvenzano, inserendolo tra i suoi prodotti-vetrina. Sarebbe un primato in Provincia di Bergamo e tra i pochi a livello nazionale per quanto riguarda l’ambito della frutta

Dove trovare i prodotti La commercializzazione dei prodotti che portano il marchio della Cooperativa Agricola di Calvenzano è molto limitata, decisamente di nicchia. Le marmellate e il liquore di melone sono in vendita, nella zona di Treviglio, solo presso il Caffè Milano di Treviglio e lo spaccio della Latteria Sociale, a Calvenzano, nonché presso pochi rivenditori che ne hanno fatto richiesta in alcune regioni italiane. Prossimamente, se verrà ottenuto il marchio “slow food” si inizierà una attività di e-commerce sulla rete web. La cooperativa sta inoltre curando un marchio “coltivato a Calvenzano” per insalate che vengono coltivate in terreni di sua proprietà, da aziende che li hanno in affitto. Si possono trovare al mercato del mercoledi a Treviglio e vengono in gran parte vendute al mercato all’ingrosso di Milano. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 25


Eccellenze/Roberto Sonzogni

La super app scaricata in tutto il mondo di Daniela Invernizzi

Sviluppa applicazioni per internet e una di queste, “Bar-Code”, ha avuto tre milioni di download. Ora ne produce diverse per grandi clienti, come Dolce & Gabbana, Mondadori, Benetton, Sisley...

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lla ricerca delle eccellenze del nostro territorio mi imbatto, via Facebook, in un trevigliese che, un giorno all’improvviso, inventa una cosa che ha un enorme successo. Roberto Sonzogni, classe 1965, ora residente a Brignano, di mestiere fa “l’app developer” ed è stupito che qualcuno voglia intervistarlo. “È per Bar-Code”, gli dico. “Ah, quella!”, sorride, “Ormai è già storia”. Bar-Code è una app che ha avuto oltre tre milioni di download, un fatto che, almeno in parte, gli ha cambiato la vita, o almeno l’ha virata in una direzione decisamente positiva. Ma andiamo con ordine. Lo incontro nel suo ufficio a Brignano. Ufficio semplice, essenziale. Fra noi, solo una scrivania moderna e la “mela” d’ordinanza. Roberto, cos’è una “app”? L’app (diminutivo di “application”) è un software che viene installato su smartphone o tablet e che ti dà la possibilità, utilizzando le risorse hardware del dispositivo, di effettuare una serie di operazioni, che tanto per chiarire non sono soltanto i giochini o Facebook, ma anche altro. Esistono milioni di app per qualsiasi necessità. Facciamo qualche esempio Per esempio puoi fare musica, creare l’elenco dei tuoi libri, tenere traccia dei tuoi

allenamenti sportivi, guardare le previsioni del tempo, qualsiasi cosa. Puoi leggere il codice a barre o il QR Code (quello quadrato), che trovi ad esempio in fondo ad alcuni articoli, e da qui accedi a internet e alla possibilità di vedere video, approfondimenti, musica, inerenti all’articolo che hai letto. Gli ultimi sviluppi sono la domotica, cioè la possibilità di controllare l’accensione di luci, allarme, riscaldamento, da remoto con il tuo telefonino; e i pagamenti, semplicemente avvicinando lo smartphone alla cassa: questo è il futuro prossimo delle app. Come ti è venuta l’idea di Bar-Code? Stavo maturando da tempo l’idea di svi-

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luppare app, ma l’ambiente intorno non sembrava interessato. Poi mi sono trovato senza lavoro, mi sono fatto un po’ di calcoli per vedere se potevo affrontare da solo questa cosa. Ho imparato quello che c’era da imparare e mi sono messo sul mercato con qualche app semplice, cosa servita a crearmi un portfolio da presentare alle aziende. L’app che ha avuto oltre tre milioni di download è proprio quella che legge i codici a barre e l’ho inventata in quel periodo (metà 2011). Legge il codice a barre di qualsiasi prodotto ed è utile, per esempio, per fare l’inventario di un piccolo negozio o ufficio. Come mai ha avuto questo grande successo secondo te? E’ una cosa che ancora non mi spiego. L’ho pensata e realizzata con lo stesso spirito con cui ho pensato e realizzato altre app. Questa ha avuto successo e le altre no, ma non so perché. Non sai mai perché una cosa ha successo, succede e basta. Così come non mi spiego perché abbia avuto un enorme successo in America e non in Europa. I download arrivano infatti per la maggior parte da oltreoceano. Tu puoi sapere chi sono gli utenti di questa app? No, puoi solo sapere quanti sono i download e la nazione in cui vengono eseguiti. Da quei pochi utilizzatori che mi hanno contattato per ringraziarmi ho scoperto che viene utilizzata in negozi, librerie, uni-

versità, musei, ...in tutto il mondo. La app è gratuita; quindi non si è guadagnato niente? Non è così, perché grazie ad un piccolo banner pubblicitario, quando qualcuno lo clicca c’è un piccolo guadagno. Ma non vuol dire che se l’avessi fatta pagare un euro, oggi avrei tre milioni di euro. In realtà il mercato delle app è più complicato. La gente vuole app gratuite. Costasse anche solo un centesimo, non la scaricherebbero mai. Dunque che vantaggio si è ottenuto dal successo della tua app? Un po’ di pubblicità per me stesso presso i clienti. Tre milioni di download hanno un loro peso. Grazie anche a questo successo, le aziende mi cercano per sviluppare le loro app e quelle per i loro clienti. È così che ho sviluppato app per Dolce e Gabbana, Mondadori, Benetton, Sisley, e tanti altri. Come sei arrivato a fare questo mestiere? Prima ho fatto un po’ di lavori diversi; come operaio metalmeccanico, poi in tipografia, da sempre appassionato di informatica ho imparato a creare siti internet e per un po’ è stato il mio lavoro. Fin dall’inizio avevo intuito che Internet avrebbe avuto enormi potenzialità. Ho cominciato a lavorare nel 1980, erano i primi anni dei personal computer e della Rete in Italia. La svolta a 45 anni, senza lavoro. È un’età in cui è veramente difficile trovare qualcuno che ti assuma. Allora mi sono detto: farò quello che mi piace davvero. Così mi sono inventato questo lavoro. -E sei diventato uno sviluppatore Sì. Oggi lavoro in proprio, praticamente da casa. Anche se ho ricevuto tante offerte per lavori all’estero, come Amsterdam, Stoccolma, Londra... ho sempre rifiutato, anche se si trattava di offerte vantaggiose. -E perché? Amo il posto in cui sono nato e cresciuto; e finché mi è possibile, preferisco rimane-

re qua, anche se pochissimi dei miei clienti sono della zona di Bergamo. Purtroppo siamo molto indietro in questo settore. Come dice il “Bepi” (cantautore che apprezzo) per i bergamaschi, qualsiasi cosa che non sia misurabile in metri o chili, non esiste. La stessa app Bar-Code è stata oggetto di trattativa con un investitore israeliano che era seriamente intenzionato ad acquistarne i diritti. Qui da noi l’interesse nel settore è invece minimo, nonostante in Italia il 41% della popolazione abbia in tasca uno smartphone. A cosa stai lavorando attualmente? Sto creando una app per conto di una rivista specializzata che si occupa di arredamento e architettura, in occasione delle fiere del mobile che si tengono a Parigi, Milano, Mosca e New York. -E se uno avesse un’idea per una app, cosa deve fare? Contattarmi. Spesso i privati arrivano con un’idea che a loro sembra eccezionale, ma in realtà non lo è, o esiste già l’app che cercano. Invece le aziende solitamente sanno già quello che vogliono e come fare per ottenerlo. Ma tu cosa volevi fare da piccolo, visto che le app e i pc praticamente ancora non esistevano? L’astronauta. Questo scrivilo, mi raccomando. -Chiudiamo con un consiglio per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro Impara l’arte e mettila da parte. Tutto, qualsiasi cosa. Bisogna farsi trovare pronti per quando si presenta l’occasione giusta. Non stare lì, sdraiato sul divano, ad aspettare di mettere i piedi sotto una scrivania. Non volere tutto e subito. Ma essere sul pezzo, pronti, capaci, per non farsi cogliere impreparati. Mio padre mi ha sempre detto che se sei capace a fare un lavoro, qualcuno che ti fa lavorare lo trovi di certo, e così è stato. -Anche a 45 anni? Anche a 49.

Le app più apprezzate

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li utenti che in tutto il mondo, utilizzano uno smartphone sono ormai quasi un miliardo (969,49 milioni, per la precisione). Tra le applicazioni più scaricate sugli smartphone, in testa alla classifica troviamo Google Maps: l’applicazione che permette di visualizzare mappe geografiche e effettuare ricerche istantanee. E’ utilizzata dal 54% della “popolazione mondiale”, intesa come numero complessivo di utenti possessori di smartphone. Al secondo posto segue l’applicazione ufficiale di Facebook, impiegata dal 44% degli utenti. Medaglia di bronzo per YouTube (35%) mentre in quarta posizione si colloca un’altra applicazione realizzata dai tecnici di Google: lo strumento che consente di interagire con i servizi del social network Google+ (30%). Il client di messaggistica WeChat, realizzato dai cinesi di Tencent, ha iniziato a farsi largo in Italia molto di recente, anche grazie ad una pesante campagna pubblicitaria. A livello mondiale, però, l’applicazione si è già guadagnata la quinta posizione assoluta (27%), più avanti rispetto a Twitter (22%), Skype (22%), Facebook Messenger (22%) e WhatsApp (17%). In decima posizione viene collocato Instagram (11%), ormai di proprietà di Facebook; più in basso Foursquare, Shazam e Flickr con quote inferiori al 6%. Viene posizionato molto più in basso Vine (diciassettesima posizione) che non andrebbe oltre il 2%.

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Eccellenze/L’Oncologia di Treviglio

Un’eccellenza della Sanità lombarda a cura di Cristina Ronchi

Il reparto di Oncologia e l’associazione “Amici di Gabry”, esempio straordinario di collaborazione efficiente tra pubblico e privato che mette in primo piano la vicinanza totale all’ospite

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hi frequenta il reparto Oncologia lo conosce e in reparto, si riconosce subito. Il dott. Marco Cremonesi è l’unico che non indossa il camice, ha la battuta pronta, approccia i pazienti privo di quella distaccata formalità che uno si aspetterebbe in un luogo si-

mile. Nel corso dei mesi accade così che un ambiente, molto particolare, riesce pure a diventarti familiare perché l’impronta che tutti gli operatori danno è traboccante di umanità, evitando accuratamente che tu, paziente, ti senta un numero qualsiasi. E’ con lui che cerco di tracciare, in sin-

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tesi, una realtà davvero funzionante ed efficiente del nostro territorio. Marco Cremonesi, oncologo e Vice Presidente dell’Associazione Amici di Gabry. Arriva all’Ospedale di Treviglio nel 1981, dapprima svolgendo la propria attività in Pronto Soccorso, poi nel reparto di Medicina a seguito del conseguimento della specializzazione nello studio dei tumori presso il Day Hospital oncologico, questo all’interno del dipartimento di Medicina II. Il primo nucleo dell’impianto di Day Hospital oncologico contava quattro poltrone per la terapia e un’infermiera. Nel 1997 è inaugurata la sede distaccata di Romano di Lombardia, con ulteriori quattro postazioni per le terapie. E’ nel 1999 che Treviglio raggiunge le dieci postazioni nella propria unità operativa oncologica, questo sotto la guida del Direttore del Dipartimento Oncologico dott. Sandro Barni. Nel 1999 si avvia un progetto di collaborazione con l’Associazione “Amici di Gabry” i cui obiettivi principali sono: diffondere la cultura della prevenzione, accompagnare il paziente durante la terapia ed essere presente nella fase della “terminalità”. Ed ecco la grande intuizione che sfocia in una sinergia perfetta: l’Associazione diviene una realtà concretamente presente in reparto, riuscendo a dare risposte ai bisogni dei pazienti, colmando le eventuali lacune che non potrebbero essere affrontate con tempestività e incisività dal solo sistema pubblico. L’Associazione si occupa anche della pubblicazione di un mensile in cui gli oncologi del reparto fungono da Comitato scientifico della rivista, cercando di trattare in termini semplici e diretti tutto ciò che riguarda l’informativa sanitaria da divulgare al massimo delle possibilità. Gli Amici di Gabry e il reparto di Oncologia, hanno organizzato circa una ventina di conferenze nella bassa pianura, questo per trattare l’argomento fondamentale della prevenzione. Con questo spirito e le me-

A sinistra il dott. Sandro Barni con un gruppo di collaboratori, sopra a sinistra il dott. Marco Cremonesi con un collega. A destra il presidente Lions Treviglio Host del 2011, Giancarlo Maretta (il più alto), consegna al presidente degli amici di Gabry Angelo Frigerio (alla sua destra) un contributo per l’associazione.

desime finalità entrano nelle scuole superiori per educare e sensibilizzare i ragazzi sui corretti stili di vita, quindi legati alla prevenzione oncologica. A questo punto entriamo nel dettaglio con numeri alla mano ed esempi concreti, illustrando i risultati di questa cooperazione fra ospedale e volontariato. Come si traduce tutto questo in termini di benefici per il paziente e miglioramento dell’efficienza del servizio? La prima problematica che affrontata fu il trasporto dei pazienti per le terapie in ospedale. Pazienti molto spesso anziano non munito di un mezzo di trasporto. La seconda esigenza da risolvere riguardava la necessità di ridurre il disagio delle persone sottoposte a chemioterapia, dovendo prima sottoporsi ai controlli del sangue, questo per ottenere il benestare e accedere alla cura chemiote-

rapica qualora i valori lo permettano. Questa seconda tipologia di servizio è stata risolta grazie anche all’intervento dell’Associazione “Domenico Fenili”, costituita da infermieri in pensione. Ecco che accade nella pratica: il reparto di Oncologia definisce chi deve fare il prelievo, un lavoro di segreteria organizza le richieste, l’autista volontario determina il programma del giro visite da fare con l’infermiere al seguito. Entro le nove del mattino, i prelievi sono già tutti in laboratorio, in altre parole entro le dodici del giorno prima della terapia, il paziente è quindi avvisato telefonicamente -dal personale di oncologia- dell’esito dell’esame e della programmazione terapeutica prevista del giorno dopo. Questo permette di evitare un viaggio inutile nel caso gli esami non permettessero la terapia, dunque fosse da rinviare. Si evita così l’ansia dell’attesa. Lo stress psicologico. I numeri di quest’operazione sono impressionanti. In quindici anni di presenza sono state coperte settantatré località, quattro province, più di 50.000 Km percorsi 1.100 servizi erogati. Nel 2014 si è incrementato del 10% questo servizio rispetto all’anno precedente. Le autovetture destinate allo scopo sono cinque: due da Treviglio, una da Caravaggio e due da Romano. L’a s s o c i a z i o n e “Amici di Gabry” ha ora una nuova sede, ovvero oltre che a Treviglio in Viale Oriano, anche a Caravaggio, dove svolge un’azione di supporto familiare nelle situazioni di “termi-

nalità”. Infatti, Amici di Gabry mette a disposizione borse di studio per medici specializzati, psicologi e data manager. Inoltre Amici di Gabry organizza il laboratorio “Rispecchiamoci” con il supporto di alcune estetiste che insegnano alle pazienti in chemioterapia come truccarsi, come disegnarsi le sopracciglia, volersi ancora bene e riconoscersi come donne, nonostante siano colpite fortemente nella loro femminilità. La nuova frontiera per il 2015 sarà l’hospice presso Anni Sereni per i pazienti ricoverati durante il fine vita. Un contesto in cui ci sarà una particolare attenzione alla qualità della vita, vagliandone dettagliatamente tutti gli aspetti: una particolare cura verso l’allestimento della camera affinché non ricordi l’arredamento asettico di un ospedale, per intenderci e con la presenza del secondo letto per il familiare; la gestione di spazi sociali comuni con lo svolgimento di attività di animazione. Per questo ambito, Amici di Gabry organizzerà dei corsi di formazione per volontari e operatori del settore. Amici di Gabry offre tutto il supporto psicologico all’interno dell’Azienda Ospedaliera con specialisti dedicati, presenti e solerti, è poi presente con i propri volontari in corsia, in reparto per un caffè, un pasticcino, due parole di svago. E in quei momenti, sono gesti importantissimi per persone che affrontano una patologia così seria e che molto spesso sono spiazzati e spaventati. Si supera in tal modo un disagio interiore, tenendo a bada l’umana paura. Amici di Gabry rappresenta un bellissimo fiore all’occhiello della realtà territoriale e i grandi obiettivi raggiunti sono il frutto di una sinergia solida, costante e continua fra gli operatori della struttura pubblica e gli operatori volontari dell’associazione. Un connubio riuscitissimo soprattutto grazie al valore umano e allo spessore di tutti questi protagonisti che meritano tutta la nostra stima. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 29


Commenti & Proposte

Treviglio che cambia

Teatro Nuovo,

ritorno al futuro di Stefano Pini

La città ritrova il suo palcoscenico prediletto in Piazza Garibaldi: tra storia, arti e un passato che riporta in avanti. Un futuro cominciato con un nome nuovo, discusso, discutibile, ma con un suo fascino

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ennaio 2015, sera. La cena sulle tavole di mezza Treviglio è probabilmente servita, così chiunque si trovi a passare per le vie del centro città non può che accorgersi del silenzio netto che le avvolge: a passeggio quasi nessuno, per i vicoli qualche bicicletta frettolosa, luminarie e poco altro. Arrivando da sud si risale via Verga, come un imbuto deserto, fino alla grande gola tra piazza Garibaldi e Piazza Manara: a sinistra, i vetri e il cemento del complesso che ha preso il posto del vecchio Upim, sulla destra la Basilica di San Martino e dritto di fronte a nessuno (se non voi) il palazzo comunale. Questo strano spiazzo a forma di v racchiude in sé il nucleo storico forse più antico di Treviglio, i suoi capisaldi istituzionali, spirituali e commerciali, con una novità di ritorno: il teatro del centro. L’introduzione lunga serve a dare l’idea del percorso, umano, temporale, culturale, che ha portato Treviglio a riappropriarsi di uno dei suoi capisaldi: il teatro di vicolo del Teatro. La tautologia suona piuttosto male, ma è davvero significativa. Da decenni, quella stradina che collega piazza Manara agli edifici che costeggiano piazza

Garibaldi portava un nome insignificante, privato di sé, indicando un passato profondo e insieme remoto. La demolizione del teatro Sociale è storia ormai, con la esse minuscola come tutte quelle che compongono le trame della quotidianità di paese: per rivedere un teatro nel centro cittadini si sono dovuti attendere più di cinquant’anni. Nel frattempo non sono mancate altre quinte: l’interregno del Filodrammatici,

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con concerti, programmi di prosa e una programmazione regolare come le stagioni, e le cantine dei teatri indipendenti e più naif, dalle fortune alterne. A Treviglio però è mancato un fulcro, per oltre mezzo secolo, un collegamento in sanpietrini con la sua psicogeografia, che dalle circonvallazioni stringe verso il centro, inesorabile, fino a racchiudere i pochi elementi cardine, già enunciati: Comune, Basilica, Campanile, la piazza con le bancarelle del sabato e, di nuovo, il teatro. Il ritorno al futuro del vecchio Teatro Sociale è cominciato a fine gennaio con un nome nuovo, discusso, discutibile e comunque con fascino cartoonesco: T.n.T., Teatro nuovo Treviglio. Niente botti, il periodo non consente grandi slanci. Piuttosto, si è scelto un’inaugurazione frammentata, con spettacoli diversi che forse ne indicano la strada prossima: teatro a suo modo d’autore, con il Primo interpretato da Jacob Olesen, che ha riportato in scena Levi e il gelo dello sterminio nazista narrato in Se questo è un uomo, il 21 gennaio; arte di servizio (sociale), con Il lago dei cigni interpretato dai ragazzi della Cooperativa Insieme; infine la musica, con il concerto d’orchestra che il 25 gennaio. Di carne al fuoco per il futuro ce n’è parecchia, e converrà sfruttare al meglio l’opportunità che un palcoscenico nel cuore della città può offrire ad artisti, cittadini, avventori e istituzioni. La struttura interna a due sale è polifunzionale e, dopo un’attesa lunga anni, con intoppi e ritardi nei lavori, consentirà lo svolgimento di spettacoli di vario tipo, dal recital alle pro-

A sinistra un’immagine di Piazza Garibaldi con il Teatro Sociale del 1902, sopra e sotto l’interno dell’auditorium e la piazza con il palazzo ex Upim oggi. A destra il sindaco Giorgio Zordan, accanto a Olmi, gli consegna la cittadinaza onoraria. Sotto il set dell’Albero degli Zoccoli

iezioni, passando per concerti e convegni. Per tagliare ufficialmente il nastro del T.n.T., Treviglio dovrà attendere il 28 febbraio, quando a un miracolo trascendente, se ne aggiungerà uno di piccolo cabotaggio, del tutto trascendente: un teatro attivo e vitale all’ombra della Torre. Di nuovo, anche per chi, come chi scrive, ne aveva solo sentito parlare da nonni e padri. Le polemiche e le discussioni sul ‘che fare’ di questo spazio, come prendersene cura, verranno poi, dopo la riscoperta di un luogo della memoria trevigliese che torna reale e apre al futuro. Giusto in tempo per ricordarsi del Filodrammatici ormai chiuso, inagibile e abbandonato a sé stesso, in uno degli scorci più affascinanti della città, quella piazza del Santuario che rimanda al miracolo trascendente di prima, da cui l’arte e la cultura prendono le doverose distanze, ma di cui qualche volta l’arte e la cultura avrebbero bisogno. Madonna delle Lacrime, M.d.L., e Teatro nuovo Treviglio, T.n.T. Sta tutto lì, chiuso in cerchio, attorno al centro, la rappresentazione cittadina, antico e nuovo, che ritorna.

Perché non pensare al trevigliese Ermanno Olmi?

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ono un dissidente e posso permettermelo perché sono amico del sindaco Beppe Pezzoni dal lontano 1987, così ogni tanto mi permetto di segnalargli quelli che a me paiono errori. Lui non se ne duole, soprattutto non se ne cura, ma non desisto mai, questione di Dna. Insomma questo nome, Teatro Nuovo Treviglio non posso dire che sia bello, tantomeno originale, direi che é banale. Addirittura si presta alla satira del Biligot’, questo grazie al fatto che cartoon e una società di trasporti internazionali usano da tempo questo marchio. D’altronde la frittata è fatta, il nome è questo e rassegniamoci: il sindaco non sbaglia mai. Una proposta comunque la faccio e la mia idea è di dedicare il nome del teatro e magari del palazzo ad Ermanno Olmi, uno dei tre italiani ad aver meritato la cittadinanza onoraria di Treviglio. Il primo cittadino onorario fu don Egidio Viganò, rettore maggiore dei Salesiani, poi venne assegnato alla terrorista Silvia Baraldini (Su proposta della consigliera comunale Ariella Borghi), quindi al regista Ermanno Olmi il 28 Febbraio 2003, sindaco Giorgio Zordan. A dire il vero non ci sarebbe stata la necessità neppure di farlo diventare cittadino onorario, non perché non la meritasse, tutt’altro, ma perché di fatto trevigliese lo era già per il mondo intero. Infatti, provate a cercare su Google il luogo di

nascita del nostro Ermanno e scoprirete che nonostante l’anagrafe, la patente e il passaporto certifichino che sia nato a Bergamo, in quasi tutti i siti lo danno per nato qui, a Treviglio. Insomma, qui ha vissuto la sua infanzia, i suoi ricordi sono legati alla nostra campagna, ai contadini con i quali passava intere stagioni. Al Roccolo, dove si è sposato ed è lui stesso a dirlo: “Sono nato a Bergamo, ma ho cominciato a vedere, osservare, capire, quindi vivere, a Treviglio”. E’ un artista a livello mondiale, è un uomo di grande cultura, lui stesso un gigante, ditemi perché l’auditorium o l’ex Upim (impronunciabile) non meritano di portare il suo nome? Magari anche a breve, così tanto per fare un bel regalo a quasto anziano e malato, splendido concittadino. A lui, che di regali a treviglio ne ha fatti tanti senza chiedere mai nulla. (Roberto Fabbrucci)

Foto Enrico Leoni

Foto Andrea Ronchi

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Treviglio/Perché parlare di scuola Immagini della Scuola Media Tommaso Grossi, dei docenti e della Preside Nicoletta Sudati, durante un recente consiglio di classe

Il senso del dovere e

il ruolo della famiglia a cura di Maria Palchetti Mazza

Dialogo con Nicoletta Sudati, preside della Tommaso Grossi, sul mondo scolastico e come è cambiato: il ruolo del docente, i ragazzi, la loro educazione e la necessità di prepararli alla responsabilità individuale

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on tanti progetti e invenzioni a gogo che invadono il mondo, parlare di scuola può sembrare una nostalgica rievocazione del passato da parte di adulti stagionati… Ma io credo che esista in fondo alla memoria di ognuno il ricordo di quei giorni, di quegli amici, dei prof. talvolta detestabili, delle bigiate che avevano odore di libertà. Scuola significa vita, oggi come ieri; significa suoni di campanella, suggerimenti, intervallo, timori e complicità; significa il compagno o la compagna che ti piace, forse per sempre. E il Preside? Una meteora, un’apparizione, lo sguardo fisso lontano e parole brevi, incisive. Ma molte cose sono cambiate, oggi. Basta entrare nell’Istituto Comprensivo Tommaso Grossi di Treviglio e incontrare Nicoletta Sudati che sorridente ti viene incontro. “Ciao, Mazza, sei quasi puntuale…” Sedute in presidenza fra i mobili vecchi di anni e l’amico del Porta, Tommaso Grossi, appeso al muro in un quadro, memoria dei suoi primi studi a Treviglio, parliamo, com’è ovvio di scuola. Molto, qui intorno, è rimasto come allora, nei lunghi anni che ho trascorso alla Grossi,

ma qualcosa è cambiato: c’è un’aria attuale, giovane, di programmi portati a termine, di scelte ponderate e concrete. E’ dal settembre 2013 che vive questo Istituto comprensivo: molti i volti noti, alcuni sconosciuti. “Tanto lavoro?” chiedo alla Preside. “Sì, ma sono circondata da belle persone, competenti e appassionate al loro ruolo in tutti e tre i livelli, persone che costituiscono l’identità dell’Istituto. Sono state concordate le modalità di passaggio attraverso i tre ordini di scuola, lavorando su una trama comune e sulla condivisione dei principi educativi. La presenza di uno staff preparato ed efficiente mi è di grande aiuto. Gli esiti delle prove Invalsi effettuate l’anno passato nelle nostre terze medie si sono situati ai livelli superiori in Lombardia e nella media nazionale”. Problemi da risolvere? “Molte sono le criticità e i piani da mettere in atto, ma sappiamo che il credere ne-

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gli stessi obiettivi, da parte di un insieme, non può andare deluso. E’ attiva la collaborazione con le famiglie pronte ad aiutarci in mille modi, come dimostra la sistemazione dei locali per l’Indirizzo Musicale rimessi a nuovo dai genitori. Da ottobre a dicembre abbiamo realizzato quattro incontri musicali che hanno riempito l’auditorium. Nel periodo delle iscrizioni ho incontrato settecento genitori con i quali si è parlato del ruolo delle famiglie e della comunità nella vita della scuola, agenzia formativa che non può ignorare le realtà dove i ragazzi vivono. La collaborazione è il sostrato di una alleanza educativa”. Ho letto il vostro piano dell’Offerta Formativa che evidenzia verso quali obiettivi tende il vostro lavoro. “Il piano è nato dalla storia dei tre tipi di scuole che costituiscono questo plesso, dalla prospettiva del curricolo verticale, dalle ipotesi delineate nelle nuove indicazioni nazionali e rispecchia il nostro mondo che ha progettato ‘percorsi di cittadinanza’ per la conoscenza della realtà comunitaria locale, nazionale e sovranazionale, percorsi per l’approfondimento della conoscenza di sé e dell’altro nelle dimensioni affettive, relazionali, culturali secondo i principi della Costituzione. La persona è al centro del nostro interesse”. Quale il ruolo del docente? “Egli è facilitatore e mediatore nelle relazioni con gli altri, nella scoperta. Sa ascoltare, indicare e regolare, rispondere e aprire al dubbio”. La dotazione di strumenti diversi per le attività della scuola è adeguata ai bisogni? “Abbiamo tre laboratori di informatica distribuiti nelle sedi Grossi, Mozzi e Batti-

sti, lavagne interattive e addirittura quattro orchestre, di cui la quarta appartiene ai corsi di proseguimento, in altro luogo di aggregazione. Per tre anni questa bellissima esperienza musicale, supportata dalla Associazione ‘Musica che passione’ e dalla sua Presidente, ci ha portato a Valenza Po, un modo per partecipare al bene comune. Il tempo libero è stato organizzato in attività socializzanti”. So che è stato da voi organizzato il potenziamento per l’indirizzo musicale, per inglese e per matematica e che è stato pubblicato nel 2013 il Bilancio Sociale, dai cui dati, mi si dice, emerge una immagine positiva della vostra scuola. “Vedo che ti sei aggiornata… tante sono le cose da fare e il tenere le fila di numerosi rapporti, quali quelli con le Associazioni, la Biblioteca, il Comune e molti altri non è sempre facile. Ad esempio, i nostri ragazzi hanno collaborato con l’Associazione ‘Chiara Simone’ e il Primario è venuto di persona a ringraziarci”. Data la tua esperienza, se tu dovessi formulare un’ipotesi sull’eventuale diversità che si può rilevare fra i ragazzi di ieri e quelli di oggi, come ti esprimeresti? “Credo di poter dire che in passato c’era nei ragazzi una maggior disponibilità all’approfondimento e alla sorpresa; oggi esistono molti stimoli, quali l’accesso all’informazione, la sollecitazione all’internazionalità attraverso i viaggi, la curiosità di superficie e non solo appagata. I ragazzi quasi non si stupiscono più. In passato esistevano possibilità di aggregazione naturali (il cortile, la piazza, il campo) che oggi sono quasi scomparse. I tempi dei ragazzi, allora, erano più dilatati. Oggi le relazioni sono in gran parte di tipo virtuale a scapito spesso di quelle reali. Per affrontare questo tipo di realtà servirebbe una maturità maggiore. A tutto questo non c’è rimedio in senso assoluto. La scuola deve offrire luoghi in cui ci si allena ad affrontare la vita, anche con l’aiuto di esperti che sanno supportare i nostri ragazzi, spesso passibili di diversi tipi di dipendenza, non escluso quello informatico. Bisogna aiutarli a rafforzare la capacità di dire no. ‘Life Skin’ è un progetto orientato in tal senso. C’è anche da dire che ieri i giovani riconoscevano più facilmente l’autorità degli adulti. Oggi questi devono conquistarsi almeno l’autorevolezza, per proteggere le giovani generazioni. Il disagio di quest’ultime è raramente esplicito. Le incertezze attuali nel mondo del lavoro, la difficoltà ad adattarsi alle mansioni richieste e a perfezionarvisi vengono introiettate anche dai più giovani. Risulta per loro difficile costruirsi il senso del dovere, anche perché sono passati di moda il tempo dell’attesa e quello dei traguardi da conquistare. Sono sempre esistite nei ragazzi, la voglia di emozioni, di sorprese, la

speranza di ricevere un dono: oggi le cercano in interessi che danno fibrillazione”. Entra qui in gioco la famiglia, con i propri dubbi e le proprie difficoltà. “Per i ragazzi di oggi, nella maggior parte, ogni giorno può portare un regalo (non mi riferisco alle famiglie disagiate). Si sono svalutati il desiderio, il sogno; l’attesa del ‘premio’ è scomparsa, perché oggi è facile conquistare ciò che si desidera, molto più che in passato”. Sarebbe utile fornire ai genitori un supporto in questo cambiamento epocale che investe il mondo. “Può aiutare anche l’incontro con figure che giocano ruoli diversi e il collaborare con altre agenzie per affrontare una società assai difficile e complessa. Oggi non si parla solo di ‘famiglia’, ma di diversi tipi di famiglie, con ruoli più complessi e difficili che in passato. Tutte queste problematiche sono prese in considerazione dalla scuola”. Da quanto abbiamo detto finora risulta esistere da gestire nel sistema scolastico una complessità di cui ‘l’imparare’ costituisce solo una parte. Il futuro di questi ragazzi necessita di un’alleanza, una ‘santa alleanza’ che li aiuti a crescere e a diventare uomini veri, svincolati dalle diverse schiavitù proposte più o meno apertamente, quelle che popolano le loro giornate con l’illusione della libertà, dell’amicizia, talvolta anche del denaro, con il gioco. Il compito del personale della scuola si sta facendo sempre più arduo ed esiste la necessità che chi di dovere gli riconosca in modo tangibile i meriti e la fatica. A proposito di fatica, vuoi parlarmi di quale è il ruolo del Preside, se riesci ad assemblarne le diverse sfumature? “E’ diventato arduo, sia per l’aumentato numero degli alunni nell’Istituto Comprensivo, sia per le responsabilità a cui si deve far fronte, per i problemi e la scarsità di risorse. Oltre l’ambito strettamente didattico, come hai capito alla Scuola interes-

sarla persona con tutta la sua storia, la eventuale fragilità, i bisogni e, perché no, anche i sogni. Dietro a ciascun alunno c’è una realtà che noi non possiamo ignorare. Da questo atteggiamento scaturiscono progetti, interventi, rapporti di ogni tipo mirati alla ‘crescita umana’ dei ragazzi, oltre che all’area del sapere che poi con essa va a confondersi, aiuto non palese. La struttura organizzativa della scuola ruota intorno all’idea di ‘scuola capace di apprendimento’ la cui leadershyp deve avere sì compiti di strategia direttiva, ma anche di condivisione. Per l’autovalutazione di Istituto la scuola si è avvalsa della consulenza e del supporto attivo di Rete Stresa, che ha collaborato con le commissioni per migliorare il servizio offerto. Nel rapporto con le famiglie si è creata una ‘alleanza educativa’ mirata a dare ai ragazzi la più alta opportunità di sviluppo armonico e sereno. A proposito di ruolo del Preside, non è da dimenticare la sua posizione di datore di lavoro, con compiti amministrativi, tutela della sicurezza, gestione dei rapporti con la scuola e l’extra-scuola. Essa è un’azienda nella quale per il dirigente non esiste orario di lavoro. Oltre che delle proprie capacità di leadership, il capo di Istituto necessita di un buono staff che si ponga anche come intermediario con le altre componenti dell’Istituto. Ho la fortuna, come ti dicevo all’inizio, di avere nella scuola personale docente, di segreteria e ausiliario sul quale posso contare”. Grazie per la tua disponibilità e il tempo che mi hai messo a disposizione. Resta, nella nostra intervista, un grande vuoto, quello nel quale dovevamo parlare dell’indirizzo musicale -di cui parleremo nel numero di marzo- una ‘perla’ che merita elogi e riconoscimenti, sia agli alunni che ai professori -che seguo nel tempo- perché, quando la proposi al collegio docenti molti anni fa, credevo, come oggi, nel miracolo che la musica sa creare. Grazie. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 33


Eccellenze/Editoria

Romanzi/Alessandra Grassi

Una scrittrice all’improvviso a cura di Daniela Invernizzi

In un periodo doloroso della vita, improvvisamente la spinta a trascrivere i racconti fantasy che già aveva in testa da anni. Così nasce un fantasy di 800 pagine, in due volumi, edito da Europa Edizioni (Feltrinelli)

Qui si lavora bene, a

parte le parrocchiette a cura di Daniela Invernizzi

Arrivate da Milano, hanno insediato una casa editrice che produce novanta titoli sul territorio nazionale. Si chiama Zephiro e da tempo cerca di animare la città, ma a Treviglio ognuno fa da sé, non si collabora

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’è una casa editrice a Treviglio, che pensavamo piccola e invece tanto piccola non è, visto che produce oltre novanta titoli su tutto il territorio nazionale: si chiama Zephiro edizioni ed è gestita da sette donne competenti ed entusiaste, che da quindici anni, sotto la guida di un direttore scientifico, portano avanti il difficile compito di produrre libri di qualità. Partita da una produzione limitata a testi di psicologia, oggi la Zephiro vanta collane di diverso tipo, come ci racconta una delle socie, Marilena Dusi. “La nostra ‘colonna portante’, quella che meglio ci identifica è la collana “Anima e spirito”, che si occupa di psicologia e psicoanalisi da Jung in poi” ci spiega. “Sono libri divulgativi di ‘cultura della psiche’ e perciò indirizzati non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che sono interessati alla materia. Poi, nel tempo, abbiamo sviluppato anche una collana narrativa, sempre però a sfondo psicologico. Il romanzo deve portare a una riflessione sulla possibile evoluzione di sé. Abbiamo una collana di cultura orientale che sta diventando sempre più ricca, testi molto dettagliati sulla cultura cinese e giapponese, l’I-Ching, per esempio. Poi abbiamo una nutrita collana per ragaz-

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zi, genere Fantasy e la collana di favole per bambini. Abbiamo anche una discreta produzione di libri di poesia”. Questi libri si trovano in tutte le librerie? “Sì, abbiamo una distribuzione su tutto il territorio nazionale. Oltre novanta titoli che magari non sono proprio sullo scaffale davanti della libreria, ma ci sono”. Chi sono i vostri lettori? “Soprattutto psicologi e psicoterapeuti (a Treviglio ce n’è un’infinità), poi bambini e ragazzi. Ma anche semplici lettori, poiché sono libri che non hanno un taglio tecnico, ma narrativo. Ci tengo a sottolineare che i testi pubblicati da noi sono scritti molto bene. Siamo molto selettivi, sia sul contenuto che sulla forma”. Grazie a voi, nella nostra città è nata ‘Treviglio libri’. “Siamo ormai alla terza edizione e siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti finora. Abbiamo già cominciato a lavorare alla prossima, che sarà il 12 e 13 settembre sotto i portici di via Matteotti. La gente ci conosce ed è soddisfatta. Ci mancano un po’ di sponsor per rendere questa manifestazione sempre più conosciuta”. Cosa si fa a ‘Treviglio libri’? “Ci sono presentazioni, laboratori, incontri con gli autori. Alla manifestazione partecipano una trentina di editori provenienti da tutta Italia, isole comprese. Speriamo quest’anno di avere una partecipazione ancora più massiccia. Vorremmo farla diventare come quella di Belgioioso, la storica kermesse della piccola editoria, che ora non c’è più. Ritengo che quella fosse una sede bellissima, ma decentrata. Treviglio invece è in una posizione strategica, alla confluenza di tre importanti province come Bergamo, Milano e Brescia”.

Voi siete nati a Milano. Per vi siete spostati a Treviglio? “Intanto per trovare una sede meno costosa (la sede trevigliese è in piazza Vallicella 6, ndr) e anche per trovare una via di mezzo per tutte noi. Alcune di noi sono venute a vivere a Treviglio”. In un periodo difficile per tutti, tanto più per l’editoria, come fate ad andare avanti? “Facciamo tante fiere in tutta Italia, come quella di Treviglio libri. Prima della crisi vendevamo molto anche on line, ora molto meno. Abbiamo un sito (psicoanalisibookshop.it) con tutti gli aggiornamenti sulle nostre produzioni, ma anche più in generale sugli argomenti che trattiamo. Abbiamo i nostri lettori, ma siamo di nicchia. Se poi consideriamo che il distributore si prende il 60 per cento, è chiaro che si fa fatica. Ma andiamo avanti, con passione e determinazione”. Perché avete scelto la branca della psicologia? “Perché i fondatori della casa editrice sono due psicologi e noi socie siamo un gruppo di ricerca in materia, attraverso l’associazione Fare anima”. Il vostro approccio è laico o religioso? “Assolutamente laico. Anima nel senso di psiche. Ambito spirituale sì, ma non in senso religioso”. A parte “Treviglio libri”, che coinvolge anche altre case editrici, cosa fate per farvi conoscere? “Presentiamo molti libri, l’ultimo in dicembre. Stiamo cercando di creare un circuito nei bar del centro storico di Treviglio per la presentazione delle nostre produzioni. Ma finora non è andata molto bene. Forse manca la sinergia con le altre associazioni, con le istituzioni, con tutte le forze culturali in campo. Ci sono tante ‘parrocchiette’ e ognuno fa per sé. Siamo molto lontani da un approccio condiviso e da una pubblicità sul territorio che dia il giusto risalto alle diverse attività e manifestazioni”.

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uando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Questo potrebbe essere il motto di Alessandra Grassi, 36 anni, trevigliese, scrittrice all’improvviso. Durante un periodo particolarmente difficile della sua vita (la madre si ammala gravemente) trova nella scrittura il conforto e la forza per andare avanti. Ne nasce un’opera imponente, di oltre 800 pagine, dal titolo “La preda”, pubblicata in men che non si dica da Europa Edizioni (gruppo Feltrinelli). Ne parliamo in una giornata uggiosa nella sua bella casa, resa ancora più calda dal caminetto acceso e dalla vocina di una delle sue bimbe, mentre il gatto ci guarda sornione e un meraviglioso cucciolo di cocker ci riempie di attenzioni. Qualcuno farebbe carte false per farsi pubblicare da un’importante casa editrice. Come hai fatto? Non lo so. Ho cercato in Internet le case editrici che potevano essere interessate a questo genere (urban fantasy) e poi ho spedito. Mi ha risposto Europa Edizioni. Urban fantasy? Una storia con personaggi inventati, mitologici o di fantasia, ma ambientata ai giorni nostri, in un luogo reale. La mia storia, per esempio, è ambientata in città alta a Bergamo ed i miei personaggi pescano nella realtà; per loro mi sono ispirata a me stessa, ai miei familiari, a persone che conosco e che mi faceva piacere inserire nel romanzo. Perché hai scelto Bergamo alta? Perché è la mia città del cuore, l’adoro. Io sono di Treviglio, ma i miei nonni vengono da lì ed io, grazie anche alle loro storie, ho sempre avuto un rapporto viscerale con questa città. Di Bergamo mi piace tutto, lo splendido borgo medioevale, la sua storia. All’inizio volevo ambientare il romanzo in un paese dell’Europa dell’Est, dove nascono queste leggende. Poi, più scrivevo, più mi rendevo conto che era assurdo scrivere di un luogo a me sconosciuto, quando avevo questa meraviglia a pochi chilometri da casa. Dove trovi le tue storie fantastiche? Sono sempre state nella mia testa, credo.

Ad un certo punto, quando mi sono messa a scrivere, non ho più smesso, ero a getto continuo. Qualcuno, leggendo la sinossi del tuo libro, mi ha detto: si vede che la ragazza si diverte. Davvero ha detto così? E’ vero, anche se il tutto è iniziato in un periodo triste. Sono felice che qualcuno se ne sia accorto. Mi diverto da matti. Quindi non fai fatica a scrivere... Uh, sì, all’inizio soprattutto. Se tieni conto che le mie ultime cinque pagine le ho scritte all’esame di maturità... Vuoi dirmi che tu, da allora, non hai mai scritto niente? Esattamente. Certo, ho sempre letto molto, e questo aiuta anche nella scrittura. Leggendo, mi sono fatta un’idea di come impostare il mio libro. Tutto molto artigianale. Scrivere un fantasy non è facile, il rischio di perdere per strada particolari importanti e non essere coerente è molto alto. Infatti i particolari me li sono sempre appuntati, per evitare di cadere in contraddizione. Ma non ho mai fatto “scalette”, né seguito un binario preciso. Il fantasy è un genere molto amato dai Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 35


Romanzi/Alessandra Grassi

‘La preda’ un fantasy realistico

“Un romanzo dove fantasia e realtà si intersecano a tal punto che non puoi più distinguerle”

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a Preda. Di Alessandra Grassi. 800 pagine in due volumi. Genere Urban Fantasy. Una città magica come Bergamo Una trama intricata e ricca di colpi di scena, con personaggi affascinanti e imprevedibili. Non ci preme, in questa sede, riassumere (sarebbe molto difficile) tutta la storia. Preferiamo affidare la presentazione a un gentile maestra elementare ora in pensione, la signora Alberta Bargone, che in una lettera rigorosamente scritta a mano, esprime un giudizio sull’opera prima della sua ex alunna. E’ un romanzo che fa girare le pagine, chiedendosi “E adesso, cosa succederà?”; un romanzo dove fantasia e realtà si intersecano a tal punto che non puoi più distinguere l’una dall’altra, e dove i personaggi sono capaci di coinvolgerti emotivamente, nell’attesa di un finale che non è scontato... La protagonista sei tu, forte, determinata, passionale e coraggiosa”. “E’ stato emozionante ricevere questa lettera dalla mia maestra”, ha detto Alessandra, “Mi ha aiutato, ancora una volta, a crescere. Perché non c’è dubbio, qualsiasi età tu abbia, chi ne sa più di te può aiutarti a migliorare. Sempre, avessi anche 80 anni”. Nota: il libro La Preda, Europa edizioni, di Alessandra Grassi, si trova presso tutte le librerie Feltrinelli e, a Treviglio, presso Fonte Viva. E’ disponibile anche on line e in versione e- book.

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ragazzi. Sì, ma attenzione: questo è un fantasy per adulti. Voglio che sia molto chiaro, perché ha dei contenuti molto forti. Questa scelta, però, riduce notevolmente il target dei possibili lettori. Sì, ma non è stata una scelta. Mi è venuto così. Non ho pensato al target, né se avrebbe venduto. L’ho scritto per me. E poi, per fortuna, è piaciuto anche agli altri. Come sta andando la vendita? Abbastanza bene. Non sono la Rowling, ma insomma. Quello che mi piace è che molti mi hanno chiamato per dirmi che era piaciuto. Anche per dare consigli e suggerimenti per il prossimo libro. Io accetto tutto, annoto tutto. Una signora mi ha detto: ‘quando l’ho finito -mi son chiesta- ‘e adesso cosa faccio?’: queste sono le vere soddisfazioni. Avresti mai detto che un giorno sarebbe avvenuto tutto ciò? Mai a poi mai. Non mi considero una scrittrice, non ho mai pensato di esserlo. Faccio la mamma di due bimbe ed aiuto mio marito, che ha un’azienda agricola. Appena ne ho il tempo, mi metto a scrivere. Ormai non posso più farne a meno. Infatti nella tua presentazione scrivi: “...ma alcune delle idee migliori mi venivano mentre cucinavo, così, bramosa ed eccitata, mi ritrovavo a trascrivere sul mio portatile con le mani infarinate o sporche di sugo pur di non perdere quell’idea fulminea.” Un’immagine romantica dello scrittore, se vogliamo uno stereotipo. Eppure è andata proprio così. Sarà stato perché volevo estraniarmi dalla realtà, da una situazione difficile ed avevo bisogno di staccare. Quando scrivevo ero chi volevo e

Treviglio/Uomini & Motori

Uno scorcio di Bergamo Alta, luogo in cui l’autrice immagina si svolgano le vicende del romanzo. Sotto Alessandra Grassi in una recente immagine.

le cose andavano come dicevo io. Anche di notte, quando non riuscivo a dormire perché i problemi sembravano ancora più giganti, scrivevo. Scrittura terapeutica, quindi, almeno all’inizio Senza dubbio. Mi ha aiutata tantissimo. La malattia di mia madre è durata due anni ed in quel periodo avevo davvero bisogno di evadere. Poi lei se n’è andata. Ma è riuscita a leggere la prima bozza del libro. Le è piaciuto tantissimo, anche se non sono mancate le critiche. Anche mia madre scriveva. Poesie. Ecco perché l’esergo è una poesia di Prévert. Sì, il preferito di mia madre. Anche la dedica, naturalmente, è per lei.

Motori nelle immagini dei nostri genitori di Giorgio Vailati

Due nostri redattori, Ivan Scelsa e Fabio Conti, recentemente hanno pubblicato un interessante libro legato alla storia locale, di cui un assaggio lo scorso numero con la Multipla “truccata” di Pino Cesni

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i sono alcune parole che sono entrate nell’immaginario comune dei turisti di tutto il mondo che vogliono descrivere il nostro Paese: Pizza, Colosseo, Musica, Ferrari. Ce ne sono poi anche alcune chiaramente negative sulle quali volutamente non mi soffermerò. Questi termini nascono da un’idea di bellezza, di “vivere italiano” che è il frutto di millenni di Storia, dal Sacro Romano Impero al Rinascimento fino ai giorni nostri. Ecco, un turista ricorderà tutto quanto del nostro Paese, se solo venisse guidato per mano alla sua scoperta, attraverso città una diversa dall’altra e difficilmente assimilabili. Nel mondo dell’arte e della cultura, come in quello dei motori, sarebbe sbagliato sottovalutare (o quel che è peggio ignorare) la storia di città sviluppatisi all’ombra di grosse metropoli industrializzate dei primi del Novecento, luoghi come Milano e Torino, che hanno rappresentato la storia della motorizzazione. Ma anche gli altri centri della penisola hanno storie da raccontare: sono quelle della gente comune, raccontate e tramandate di padre in figlio, vissute attraverso

scatti in bianco e nero dei nostri padri e dei nostri nonni. Ricordi che riportano la mente alle leggendarie gare del passato: il Gran Prix di Bergamo e ai leggendari nomi del mondo delle corse, Giacomo Agostini su tutti, ma anche nomi che hanno lavorato “dietro le quinte”, fornendo la propria competenza e professionalità al servizio di grossi Marchi o, più semplicemente… al servizio del cittadino.

1956 - Tomaso Cariboni e il dott. Germano Giovilli (dietro), che osservano una giardinetta Fiat 500. Sopra piazza Manara (anni ‘70), sotto via 25 Aprile (anni ‘60)

“Uomini e Motori” è proprio questo: un viaggio tra i ricordi della nostra provincia, vissuto attraverso volti più o meno noti che il lettore imparerà a conoscere ed apprezzare. In questo libro, infatti, viene narrato un viaggio in terra bergamasca, alla riscoperta di veicoli e volti più o meno noti. Scorrendo le pagine il lettore si regalerà momenti di leggera spensieratezza tra scorci di vissuto quotidiano con le automobili che sono state le compagne di avventura di chi le ha possedute, guidate ed amate. L’automobile, quindi, non solo come mezzo di locomozione per spostarsi da casa a lavoro ma come parte importante della vita, degli anni trascorsi in un territorio in costante evoluzione. Uomini e donne al lavoro, durante le domeniche in famiglia, in vacanza al mare o impegnati nella preparazione di competizioni importanti o più semplicemente, affezionati al proprio mezzo di locomozione. Ognuno con un ricordo o un episodio da raccontare. Frammenti indelebili di anni passati e tramandati di padre in figlio come preziose gemme da custodire nel tempo. Dei grandi nomi del mondo delle corse a quelli di persone semplicemente affezionate alla piccola utilitaria dal valore di un’autovettura lussuosa, importante. “Uomini e motori” edito da Grafica & Arte è un viaggio nel tempo che riporta alle radici della nostra terra. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 37


Trevigliesi nel mondo

Trevigliesi nel mondo

La pizza del Cavallino in giro per l’Europa Alessandro Castelli, pizzaiolo da quando aveva undici anni, sbarca nella pizzeria di via Torquato Tasso e, imparato bene il mestiere, decide di provare a portare la sua esperienza in Irlanda e Germania

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ello scorso numero Marco Ferri ci ha fatto sognare raccontando le avventure strabilianti di Paolo Aralla e dei suoi collaboratori; le fotografie dalle cime dell’Himalaya, i viaggi avventurosi, i documentari di National Geographic per Sky. Capita però di andare pranzare al Cavallino in via Tasso, catturare un dialogo tra un avventore e un ragazzo di venticinque anni, così scoprire che le strade avventurose passano anche in pizzeria. Lo afferro al volo intanto che Ivan mi prepara il fritto misto e lo faccio sedere al mio tavolo, a pranzo di domenica la pizza è meno richiesta e Alessandro Castelli non è impegnato come al solito. E’ di Castel Rozzone, appena tornato dalla Germania e pronto a partire per Londra Il ragazzo è simpatico, pieno di vita e di entusiasmo, un pizzaiolo da quando aveva undici anni. Vede la mia faccia sbalordita e chiarisce: “Mia madre mi disse che il mestiere si impara da subito, così mi disse di frequentare un po’ la pizzeria d’asporto in paese. Non è che lavoravo, mi lasciavano impastare la mia pizzetta, condirla, infornarla, mangiarla. Gratis”. E così continuò fino a quattordici anni, quando l’attività venne venduta e il nuovo titolare decise di assumerlo come pizzaiolo. “Eravamo solo noi, così facevo il piz-

zaiolo ma spesso anche le consegne. Un anno ho lavorato anche al Moon Pub, poi al Melograno per quattro anni, ma solo il fine settimana perché dovevo studiare”. Alla fine, passato da un istituto all’altro, riesce a passare la maturità all’Oberdan e ricevere il diploma di ragioniere e metterlo immediatamente nel cassetto. Il 2009 è l’anno della svolta, quando viene assunto come pizzaiolo al Cavallino e vi rimane fino al dicembre del 2013, quando si sente pronto a cavalcare l’avventura e

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A sinistra colleghi di Alessandro nella pausa pranzo al Cavallino. Sopra scorci del ristorante tedesco a Sommerau e a destra di quello irlandese a Newry. Sotto Alesandro Castelli e a destra i titolari del Cavallino Ivan Cela e Rosangela Perego

saluta Ivan Cela, il titolare. Alessandro scalpita, vuole girare un po’ l’Europa, così a gennaio parte per l’Irlanda e si piazza a Newry, ma torna a casa dopo una settimana; erano arrivate alcune risposte alle sue offerte di Lavoro via email: tre dalla Germania, una dal Belgio e una dalla Danimarca. Decide per la Germania, anche se le richieste che aveva avuto in Irlanda erano economicamente più interessanti. “Ovvero in Germania l’impegno era minore, alla fine anziché lavorare dieci ore al giorno, ho preferito lavorare meno e guadagnare meno, ma pagato meglio rispetto alle ore spese”. Differenze Irlanda-Germania? “Più socievoli in Irlanda, in un attimo conosci tutti e sei già di famiglia, in Germania sono un po’ più freddi, distaccati. Certo in entrambi i paesi la vita è meno stressante che qui da noi, la vita scorre più tranquilla, per contro si hanno esperienze che ti aprono la mente. Io ero a Sommerau, vicino al Lussemburgo”. Arriva il fritto misto ottimo e abbondante, mi faccio portare un bel calice di bianco e per Alessandro è il momento di preparare qualche pizza. Finisco di bere il caffè e il ragazzo, in automatico, me lo trovo seduto al tavolo con un foglio bianco in mano, aveva visto che quello che avevo l’avevo completato dai due lati. In effetti siamo già diventati parenti e ci diamo del tu. Come è la vita in Germania, come si lavora? “Si guadagna di più, si spende di più, insomma è uguale, il problema sono i pizzaioli italiani. Sanno come vanno le cose qui e ne approfittano, ti tengono lo stipendio basso rispetto a quanto ti pagherebbe un tedesco”. Mi spiega che a marzo andrà a lavorare a Londra, per studiare e guardarsi in giro, contando sulla base d’appoggio della cugi-

na che via abita. Ora sa qualcosa di inglese e pensa di riuscire a integrarsi facilmente. “Inizierò a cercarmi un lavoro a partetime, poi farò un corso per barman e uno di inglese per perfezionarlo”. Il progetto si chiude qui, aprendo la strada ad altre esperienze avventurose professionali alla ricerca del meglio. Il ragazzo, che è già “attrezzato” come pizzaiolo, entra nei dettagli e mi spiega i gusti che ha trovato in Irlanda e Germania, ovvero che lì la pizza la fanno un po’ alla buona, con troppa acqua, il forno elettrico, insomma, non è la pizza di Ivan. “Qui la pizza è 180/220 grammi di pastella, il 50% di acqua, forno a legna o a gas. Loro dicono che fanno l’impasto alla ‘napoletana’, 400/450 grammi di pastella, con quantità di acqua variabile, l’importante è che fuori sia secca e dentro molle. E’ l’effetto del forno a 300°, cuoce alla svelta fuori e rimane cruda dentro, meno digeribile. Con la legna, oltre al sapore che si arricchisce, la cottura è più lenta e uniforme dentro e fuori”. E in Italia tutti fanno la pizza con il forno a legna e a gas? “Qualcuno ci prova con il forno elettrico, poi chiude bottega”.

Notizie da Northfield Mount School Perché non sentire come vive una ragazza trevigliese negli Usa per studi, capire che succede e confrontare la loro e la nostra realtà? Lo abbiamo chiesto a Silvia Martelli ed ecco un primo reportage

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inque mesi fa, in preda all’agitazione, ma soprattutto alla felicità, ho varcato per la prima volta il cancello della mia nuova scuola superiore; situata in Massachussets -- o più precisamente sperduta nel mezzo di una foresta ad un paio d’ore da Boston -Northfield Mount Hermon School (NMH) appariva bellissima ed immensa sotto un caldo sole di fine estate. Considerata una delle migliori scuole superiori americane, l’NMH mi ha indubbiamente fatto sudare freddo con il suo processo di ammissione estenuante (saggi, interviste ed esami) e la percentuale di ingresso particolarmente bassa. Con un brivido ripenso al giorno di aprile dello scorso anno in cui ho scoperto di essere stata ammessa. Di quella lunghissima lettera d’ammissione non ricordo altro se non “congratulations”: sembrava la parola più bella del mondo. Lo scorso settembre il mio sogno è dunque diventato realtà. Sapevo che davanti a me avevo un’esperienza che qua verrebbe

descritta con un “it makes you or breaks you”, ed ero pronta a viverla con tutta me stessa, comunque andasse. La prima sera nella mia nuova camera, una tripla fin troppo piccola per essere una tripla, mi sentivo lontana da casa ma allo stesso tempo molto vicina al crearne una del tutta nuova. Avevo immaginato a lungo quella sera come qualcosa di spaventoso, ma in quel momento nulla sembrava far paura. Si dice che quando il gioco si fa duro, i duri comincino a giocare. I primi quattro mesi all’NMH sono stati i più stancanti della mia vita: lezioni fino alle tre del pomeriggio, poi allenamenti sportivi per un paio di ore, quindi riunioni di organizzazioni studentesche alle quali ho aderito ed infine i compiti spesso, fin troppo spesso, fino alle due di notte. L’adattamento ad una nuova routine così serrata è stato arduo, ma la concezione di scuola all’ NMH è così coinvolgente che la fatica non si sente, o perlopiù non appare come un problema, bensì un’ulteriore opportunità di crescita. Questi cinque mesi in America mi hanno dimostrato che la “scuola” qua ti cresce come persona, ti insegna uno stile di vita, ti spiega che lavorare sodo è meglio che aspettare che siano gli altri a farlo, ti dimostra che onestà e rispetto sono la base di un solido futuro, ma soprattutto ti dimostra che credendo in te stesso puoi andare lontano.

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Treviglio/Fare impresa con la musica

Musica/Una straniera a Treviglio

Qui la musica non ha la vita facile di Hana Budisova Colombo

Abbiamo chiesto ad Hana Busova, flautista residente a Treviglio da molti anni, di spiegare le differenze che percepisce nel campo musicale tra il nostro Paese e l’Europa continentale, quindi in città

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el mio lavoro di giornalista é capitato spesso di sentire che tra l’Italia e l’Europa del Centro Nord esiste una concezione della cultura musicale completamente diversa. Vista da fuori, ovvero come italiano che non conosce la musica, il distacco culturale appare enorme, fuori portata. Questa percezione è ben visibile nell’ambito scolastico in talune scuole, dove l’educazione musicale non viene intesa come una materia vera e propria, importante, ma l’ora dove si possono fare altre cose più urgenti. L’ora di ricreazione. Con ciòì, come osserva l’ambiente musicale italiano una flautista professionista che dell’Italia e di Treviglio a fatto la sua patria? Lo abbiamo chiesto ad Hana Budisova Colombo. (il direttore)

Sono una flautista della Repubblica Ceca

ono una flautista di origini ceche che ha vissuto quasi metà della sua vita a Treviglio. Spesso mi sento chiedere, sia qui sia in patria, come mi trovo. Dopo tutto questo tempo, ci si abitua sia alle cose positive sia a quelle negative, non si confronta più tra lì e qua e si vive la propria

vita , anche musicale, come meglio si può. Un musicista non ha vita facile da nessuna parte e in Italia, purtroppo, queste difficoltà aumentano; troppo spesso il nostro lavoro non è considerato come tale ma piuttosto è considerato come un hobby (a un idraulico, un falegname, un notaio, un commercialista non si chiederebbe mai di lavorare gratis a causa della crisi economica mentre un musicista sente queste pa-

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role troppo spesso). L’Italia è un paese molto ricco dal punto di vista storico e artistico e nei secoli è stato spesso il punto di riferimento per l’Europa e per il mondo. Gli italiani sono sensibili all’arte e sanno riconoscere la qualità ma tutto questo sembra non avere un riscontro nella vita comune; partendo dall’educazione musicale nelle scuole dove, spesso, dipende unicamente dalla buona volontà e passione dei singoli docenti (o poco interesse) e dalla loro capacità di trasmettere questa passione ai ragazzi. Lo stesso modello si ritrova fuori dall’ambito scolastico, nella vita musicale delle città e dei paesi, dove spesso tutto ruota intorno ad una singola persona, un musicista appassionato (direttore di un’associazione musicale, della Banda, di una scuola di musica, un organista o direttore del coro parrocchiale ecc.) il quale dedica gran parte della sua vita alla divulgazione musicale. Ciò che manca è quindi un’organizzazione sistemica e strutturale della cultura musicale. Treviglio è una città importante della bergamasca e ha delle grandi potenzialità che dal mio punto di vista sono poco sfruttate. Abbiamo alcune scuole di musica, una scuola media a indirizzo musicale (e qui mi permetto di ricordare la triste mancanza di una scuola civica di musica della quale si parla da più di vent’anni) ma della loro presenza ci si accorge solo verso la fine dell’anno scolastico, quando arriva il periodo dei saggi finali. A Treviglio abbiamo un bellissimo teatro, uno spettacolare l’Auditorium alla Cassa Rurale (con un’ec-

cellente acustica), un auditorium alla SMS Grossi, recentemente ristrutturato in stile liberty, il nuovissimo Auditorium comunale inaugurato recentemente e gli spazi della Biblioteca comunale. Ci sono quindi molti spazi a disposizione che potrebbero essere meglio sfruttati nell’arco dell’anno per dare maggior visibilità non solo ai musicisti locali e agli allievi delle varie scuole di musica ma anche per fare diventare Treviglio un centro aggregatore della cultura e dell’offerta musicale per i paesi limitrofi A parte l’importante Stagione concertistica, che negli ultimi anni ha fatto conoscere al pubblico trevigliese moltissimi nomi del mondo musicale nazionale ed internazionale (stagione organizzata dall’associazione Treviglio Musica con il sostegno del Comune e del Assessorato alla Cultura), Treviglio ospita solamente un altro evento, si tratta del “Concorso Nazionale giovani talenti jazz Città di Treviglio” iniziato nel 2007 e organizzato dall’Assessorato alla Cultura del comune di Treviglio in collaborazione con Bergamo Jazz e ripreso l’anno scorso dopo un anno di pausa. Dobbiamo valorizzare di più la nostra città educando i cittadini alla musica e noi, come musicisti, dobbiamo incuriosire offrendo non solo ”la solita musica che piace” ma proponendo programmi che contemplino musica nuova e poco conosciuta ai più. Personalmente, come interprete e concertista, ho sempre avuto risposte molto positive proponendo al pubblico brani sconosciuti e di generi diversi; dal barocco al contemporaneo, toccando un po’ tutti i generi, il pubblico apprezza le novità. Non fermiamoci quindi a una rassegna, ai soliti concerti di Natale e Pasqua, ai saggi di fine anno delle scuole; facciamo suonare di più Treviglio e non solo nei vicoli d’estate! Apriamo più spesso gli spazi meravigliosi che abbiamo agli studenti di musica, ai musicisti, agli appassionati alla cittadinanza e divertiamoci con la musica.

Dimonte e l’altra

faccia della musica a cura di Marco Ferri

Mariano, detto DiMo, il personaggio di casa nostra che ha sfondato in un mondo complicato, sperimentando un percorso innovativo che ora gli consente di vivere della sua passione, la musica

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nalizzando il panorama musicale italiano attraverso le canzoni che vengono trasmesse dalle radio o dagli ospiti presenti nelle trasmissioni televisive di livello nazionale, ci si rende presto conto come sia tutto riservato a pochi scelti “eletti”. Eppure se guardiamo i dati di partecipazione ai casting dei reality come X-Factor, The Voice, Amici, sono tantissimi i giovani che sognano di lavorare (sfondare) nel mondo dello spettacolo (15 mila nel 2014 solo a Roma per le selezioni di X-Factor 8). Il settore sicuramente ha risentito in modo pesante degli effetti della crisi, si vendono sempre meno dischi, sono sempre meno i locali che propongono musica dal vivo e molto pochi quelli che offrono spazi a chi propone un proprio prodotto originale, ma noi siamo il paese del “bel canto”, dell’arte riconosciuta a livello internazionale e non dobbiamo smettere di investire nei settori culturali che hanno oltretutto sempre avuto un’importante funzione di coesione sociale. All’interno di questo difficile contesto il trevigliese Mariano Dimonte, detto “DiMo”, ha sperimentato un percorso imprenditoriale innovativo che a distanza di

alcuni anni gli consente di poter lavorare con quella che è sempre stata la sua passione: “la musica”. “Quella che per me è stata una personale rivoluzione inizia nel 2010 - racconta Mariano - in quel periodo lavoravo alle dipendenze dello studio di produzione Preludio a Milano ed avevo raggiunto un importante successo nel campo della musica per la pubblicità con il brano “Io ci sarò” (utilizzato per lo spot del medicinale Enterogermina). Ho sentito il desiderio di mettermi in gioco, grazie anche ai preziosi suggerimenti e stimoli ricevuti da Gigi Folino (bassista della band “Gruppo Italiano”, conosciuto per la canzone “Tropicana”), e di provare nuovi percorsi. Rinuncio al “posto fisso” e divento un libero professionista, promuovo la creazione della band “Moody” ed inizio a lavorare come insegnate associato AIGAM (www. aigam.org) al progetto “Crescendo in musica” con bambini da zero a sei anni”. Il progetto utilizza la “Music Learning Theory”, una teoria ideata da Edwin E. Gordon (South Carolina University, USA) e fondata su oltre 50 anni di ricerche ed osservazioni. Essa descrive la modalità di apprenFebbraio 2015 - la nuova tribuna - 41


Treviglio/Fare impresa con la musica

dimento musicale del bambino a partire dall’età neonatale e si fonda sul presupposto che la musica si possa apprendere secondo processi analoghi a quelli con cui si apprende il linguaggio. “L’obiettivo del progetto -spiega DiMoè quello di favorire lo sviluppo dell’attitudine musicale di ciascun bambino secondo le proprie potenzialità, modalità e soprattutto tempi. Non è la crescita di un bambino musicalmente ‘geniale’ o del musicista professionista ad ogni costo a costituire la finalità degli incontri (trenta in un anno), al contrario, è quella di formare persone in grado di comprendere la sintassi musicale e di esprimersi musicalmente, con la voce o con uno strumento”. La prassi educativa nasce dagli studi teorici del Prof. Edwin Gordon ed ha un obiettivo molto preciso: lo sviluppo dell’audiation degli allievi, senza il quale non avrebbe modo d’esistere la capacità di riconoscere e capire metri e ritmi musicali, nonché i suoni e le relazioni che li legano. “L’audiation -spiega Mariano- è brevemente descrivibile come la capacità di sentire e comprendere nella mente musica che non è o non è più fisicamente presente. Si tratta di un processo cognitivo, attraverso il quale il nostro cervello dà significato ai suoni. Differente quindi dalla percezione uditiva, fenomeno acustico che occorre simultaneamente ed effettivamente con la ricezione del suono attraverso l’orecchio. Proprio come il pensiero velocemente rielabora le parole ascoltate durante una conversazione, le ritiene mentalmente, attraverso la memoria le confronta con quelle appartenenti al bagaglio di esperienza dell’ascoltatore ed opera azioni di anticipazione delle parole che verranno, così si comporta il nostro cervello nell’attribuzione di senso durante l’ascolto della musica. Parallelamente al progetto “Crescendo in musica”, che coinvolge 200 piccoli allievi e che si svolge principalmente negli asili nido ed asili privati, (l’assenza del

pubblico meriterebbe una riflessione a parte ndr) Mariano prosegue nell’attività di produzione musicale per le pubblicità che, anche grazie alla collaborazione con altri musicisti quali Fabio Merigo (chitarrista con Giuliano Palma) ed il bassista Fabio Dalè, raggiunge nuovi importanti affermazioni tra cui la colonna sonora dello spot della Fiat Punto con il brano “Let’s party”. “L’esperienza di insegnamento della musica con bambini così piccoli è incredibile -racconta DiMo- un percorso che, superato il primo momento di perplessità di alcuni genitori, mostra in poco tempo significativi risultati. Poi a distanza di anni mi regala tanto entusiasmo, energia e convinzione della scelta intrapresa. Energia e positività che trasferisco nei miei progetti musicali in studio e nel fare musica insieme con i ragazzi della mia band i ‘Moody’. Lo scorso anno, attraverso la piattaforma di crowdfunding Musicraiser (www.musicraiser.com), siamo riusciti, tra l’altro, a finanziare il secondo disco grazie al supporto dei nostri fans. Anche se il mercato musicale appare fermo -prosegue- sono

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La biografia dei Moody

convinto che sia importante continuare a produrre nuove canzoni, raccontare con semplicità ed in modo autentico la voglia di stare assieme, di divertirsi e di riflettere su quello che viviamo quotidianamente. L’attività imprenditoriale del nostro giovane musicista ci permette quindi di avere uno sguardo più ampio sul mondo della musica. Ci fa toccare con mano e ci fa percepire un universo musicale nuovo, poco conosciuto ai più ma non per questo meno stimolante ed interessante. La musica non è solo Reality, come ormai sembrano volerci far credere i mass media; nelle nostra epoca appare l’immagine del musicista che canta e suona più per se stesso che che per gli altri, facendo esercizio di straordinari virtuosismi che lasciano a bocca aperta per le capacità tecniche, ma che lasciano poi altrettanto vuoti nello spirito, nell’emozionalità. A volte sembra di avere l’impressione che la musica non cerchi più condivisione, ma sia solo un mero esercizio di abilità. Ma essa, come tutte le forme d’arte, è prima tutto espressione e condivisione di un’emozione”.

L’attività di Mariano ci riporta invece ad una dimensione di partecipazione e di ascolto. Si rapporta con piccoli esseri umani che in apparenza non hanno ancora l’idea di cosa siano note, ritmo, vocalizzi e melodia. Non sembra facile fare musica per chi, solo esteriormente, non comprende la sua complessità. Tutto questo ci fa rendere conto di come la sua visione della musica sia ampia e abbia una mission a 360 gradi che passa anche attraverso un aspetto educativo. Mariano, attraverso una forma di gioco, trasmette nozioni ed emozioni ai suoi giovanissimi ascoltatori non aspettandosi solo l’applauso del pubblico. Eppure si rende conto di come, per queste piccole menti, la musica diventi un linguaggio importantissimo a livello emotivo e di come anche stimoli le loro capacità cognitive oltre quello che forse noi possiamo immaginare. Questo è uno degli esempi di come, con il giusto spirito imprenditoriale ed una dose di coraggio, lavorare nel modo dello spettacolo sia possibile, a patto di non fermarsi agli stereotipi ed alle apparenze.

Il linguaggio dell’anima, quello diretto e incisivo

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Moody sono un gruppo che si sta facendo spazio nel panorama musicale rock e indie. Il progetto si è evoluto nel corso del tempo fino ad avere una caratterizzazione sonora particolare e personale dando attenzione anche alla varietà compositiva: si passa da canzoni più “aggressive” ispirate allo stile di gruppi come gli Black Keys o i Muse, a canzoni più introspettive e romantiche dal sapore più cantautorale o ironiche. Il tutto è però legato da un filo conduttore comune: utilizzare un linguaggio diretto ed incisivo cercando nel fondo della propria anima per esprimere emozioni che possano arrivare a chiunque ascolti. Oggi il progetto vede una notevole autonomia da ogni punto di vista: promozionale, grazie al grande seguito su www.moodyband.it e su Facebook e più in generale sul web, e produttivo, grazie alla costante autoproduzione. Moody, dall’inglese “lunatico” o “scontroso”, ma, al tempo stesso, pieno di sentimenti veri e intensi. Così come è vera l’amicizia che c’è tra Nino Maggioni (chitarre e coautore di alcuni brani), Francesco Calabretti (batteria), Emanuel Bisquola (basso) e DiMo (voce e autore dei brani). Voce della band è il cantante DiMo (Mariano Dimonte all’anagrafe), musicista con molte esperienze live e discografiche. Nel suo curriculum non mancano gli anni dedicati allo studio, alla composizione e le esperienze che lo hanno visto coinvolto in un ricco percorso artistico e professionale. Nel 2012 i Moody firmano la colonna sonora dello spot della Fiat Punto (Let’s Party) in

onda in 4 paesi e proprio grazie a questa sincronizzazione hanno dato alla luce il loro primo album per Edel, anticipato proprio dall’uscita del Singolo Let’s Party! Il secondo disco vede la luce nel maggio 2014 attraverso il progetto Musicraiser grazie al quale i Moody trovano totale indipendenza e stringono un legame molto forte con i loro Fan; escono con una divertente versione di I’ve got you under my skin (utilizzata ancora oggi nello spot TV Infasil) accompagnata da un video in cui i 4 Moody fanno di tutto per far divertire il proprio pubblico! Recentemente hanno partecipato al concorso SoundTru (Trussardi/Warner) avendo la possibilità di esibirsi per il noto marchio Bergamasco. Nel 2015 si proporranno tra le nuove proposte di San Remo con un brano molto “intimo” scritto e arrangiato con Fabio Sir Merigo. (Giuliano Palma)

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Treviglio/Concorso Nazionale

Un trofeo e otto

cori in competizione Il terzo “Trofeo Città di Treviglio” di Canto Corale è alle porte, il 7 Marzo le corali selezionate si confronteranno. Manifestazione, patrocinata dal Comune e organizzata dalle corali Icat e Calycanthus

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arà la sala del Teatro Nuovo Treviglio di Piazza Giuseppe Garibaldi che sabato 7 marzo prossimo ospiterà la terza edizione del Concorso Corale organizzato dalla collaborazione del Gruppo Corale ICAT – “Città di Treviglio” e del Coro Calycanthus di Treviglio, con il patrocinio dell’Usci Lombardia, di quella provinciale e con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Treviglio. Il concorso, oltre ad essere l’unico nazionale di tipo Polifonico in Lombardia, ha dato prova di alta qualità e partecipazione, sia per le compagini dei concorrenti che per l’affluenza del pubblico. Anche quest’anno la richiesta di partecipazione è stata elevata, impegnando il Comitato Organizzatore in un difficile lavoro di selezione per individuare gli otto migliori cori tra quelli che avevano chiesto di aderire al Concorso. I gruppi corali scelti provengono dalle province di Bergamo, Milano, Pisa, Savona, Sondrio e Torino. La giornata si svolgerà in due momenti distinti, dalle 15,00 gli otto cori parteciperanno alla fase eliminatoria, mentre dalle ore 21,00 si svolgerà la fase finale, sempre nella sala del Teatro Nuovo Treviglio di Piazza Giuseppe Garibaldi. Qui i quattro cori finalisti si esibiranno per contendersi la vittoria, quindi aggiudi-

carsi il Trofeo Città di Treviglio. Negli intervalli delle due fasi della manifestazione, mentre la giuria si ritirerà per la scelta dei finalisti e del vincitore, si svolgeranno due esibizioni. Il primo a cura dell’Orchestra Tommaso Grossi (diretta dagli insegnanti del Corso Indirizzo Musicale, in collaborazione con l’Associazione Culturale “Musica per Passione”), che presenterà un programma che spazierà dalla musica Classica a quella Jazz, da quella da Film; successivamente si esibirà il coro Polifonico Adiemus di Bergamo diretto dal Maestro Flavio Ranica, corale di raffinata interpretazione della musica polifonica classica e contemporanea.

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Banche del territorio

Questa la giuria

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a guria sarà presieduta dal Maestro Franco Monego, autorevole musicista che ha ricoperto l’incarico di “maestro del coro” presso i cori lirico-sinfonici della Rai di Torino, di Milano, negli Enti Lirici del Teatro Verdi di Trieste e quello del Teatro Massimo di Palermo; dal 1968 insegnante presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, dal 1980 al 2007, titolare della cattedra di Musica corale e direzione di coro. Gli altri componenti sono Damiano Rota (Presidente dell’USCI Regione Lombardia, organista, direttore di coro e orchestra, svolge attività didattica al Conservatorio di Verona), ha insegnato a Rovigo, Trento e Riva del Garda, ha tenuto laboratori e seminari per cori in tutta Italia; Gian Luca Sanna (diplomato in Canto con il massimo dei voti in Canto Lirico, in Organo e Composizione Organistica presso l’Istituto Musicale “Gaetano Donizetti” di Bergamo oltre che in Composizione, Direzione di Coro e Direzione d’Orchestra): Michelangelo Gabbrielli (diplomato in Musica Corale e Direzione di Coro, Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze). Ha conseguito i diplomi di Composizione Polifonica Vocale e di Composizione presso il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano e nello stesso Conservatorio si è diplomato, con il massimo dei voti e la lode, in Musicologia); Pietro Ferrario diplomato in Pianoforte, Composizione, Organo e Composizione Organistica, Musica Corale e Direzione di Coro, presso i Conservatori di Brescia e Alessandria, studiando con Bruno Bettinelli e Luigi Molfino e si è poi perfezionato in Composizione.

Cent’anni della Bpb a Treviglio... di Roberto Fabbrucci

Sostegno alle iniziative culturali locali, all’acquisto delle due ambulanze per la Cri, donazione di defibrillatori e un po’ di notizie di una banca radicata sul territorio, ma anche strutturata per grandi aziende

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a presentazione del Concerto della Madonna delle Lacrime di quest’anno (vedi foto), è stata particolare, non solo perché ha visto la presentazione di una nuova orchestra, “I musici del Teatro” (nella quale confluiscono elementi del Centro Studi Musicali di Paolo Belloli e dell’Accademia di Elisabetta Magri), ma perché l’iniziativa vedeva fisicamente presenti la Bcc di Treviglio con il presidente Giovanni Grazioli e l’Ubi, Banca Popolare di Bergamo, filiale di Treviglio, con il direttore Giampiero Gritti e il direttore territoriale Marco Palazzolo. Due banche locali che insieme hanno sostenuto economicamente l’iniziativa. Fatto sottolineato sia da Giovanni Grazioli che da Marco Palazzolo, ma non è stata la prima volta, se pure in questa occasione c’è stata l’ufficializzazione di una sorta di alleanza delle due banche territoriali per sostenere le iniziative culturali e sociali significative. Un passo importante per le banche, ancor più per Treviglio. Con queste riflessioni in testa abbiamo voluto incontrare il direttore Giampiero Gritti, molto impegnato già dall’inizio del 2014 nel celebrare il centenario della presenza della BPB a Treviglio. C’eravamo conosciuti allora, quando eravamo impegnati come comitato nel raccogliere i fondi e acquistare le due ambulanze

per la Croce Rossa di Treviglio. Iniziativa alla quale l’Ubi-BPB ha partecipato con un contributo di 10.000 euro, anche in questo caso a fianco della Bcc. Poi recentemente la consegna dei defibrillatori ai gruppi sportivi parrocchiali, anche a Treviglio. Come sempre il direttore è facilmente raggiungibile: entri nella filiale, vai verso il fondo, vedi se sta telefonando o meno, ti avvicini e il direttore ti fa accomodare come fossi un amico. In effetti da allora ci diamo del tu. Ripercorriamo un po’ le iniziative, non solo la festa del centenario della filiale a Treviglio il 23 Ottobre 2014, con le due ambulanze nuove e lucide nel cortile della Banca, ma anche la precedente sponsorizzazione del Concerto della Madonna delle Lacrime, quella del 2014, dove l’Ubi fu l’unico sponsor, la stagione musicale di Paolo Belloli, ecc. Parliamo dell’amico comune Marcello Ferrari e dell’acquarello regalato alla filiale, così mi mostra la cartolina celebrativa della Banca con l’annullo delle Poste. Non lo diamo a vedere, ma ricordando Marcello appena scomparso e quel bell’acquarello con le due torri, quelle di Bergamo e Treviglio, ci commuoviamo un po’. “Bergamo e Treviglio, due città una fede. Un modello vincente” sottolinea Giampiero Gritti. Parliamo un po’ di voi. Non è difficile

Scatto alla presentazione del Concerto per la Madonna delle Lacrime. Da sinistra Beppe Rozzoni (Presidente Corpo Musicale) Elisabetta Magri (Accademia Musicale), Paolo Belloli (Direttore Centro Studi Musicali), Giovanni Gritti (Presidente Bcc Treviglio, Alda Sonzogni (Presid. Centro Studi Musicali), quindi i rappresentanti della BpbUbi, Marco Palazzolo e Giampiero Gritti

essere una grande banca e contemporaneamente essere radicata sul territorio? Chiedo all’amico Gritti. “E’ un’opportunità per le aziende, sia piccole che grandi. Siamo radicati, conosciamo i nostri interlocutori e questo facilita tutto. Per noi i clienti non sono numeri, sono persone con una storia, così come la loro azienda”. Poi mi spiega. “La nostra Banca gestisce la propria clientela cercando di offrire il modello di servizio più vicino proprio alle esigenze del cliente stesso. Qui a Treviglio, la Banca Popolare di Bergamo, dispone di una “task-force” di circa 30 persone: in aggiunta alla Filiale da me diretta operano i colleghi della Private Corporate Unity che gestiscono le aziende più complesse (e con fatturato importante) ed i cosiddetti “grandi risparmiatori”. In buona sostanza, i nostri clienti dell’area di Treviglio possono contare su una Banca storicamente radicata, ben strutturata in loco e, soprattutto, con uno sguardo fiducioso verso un futuro nazionale ed internazionale mantendo però i piedi “ben franchi” sul territorio”. Torniamo alle origini delle iniziative del 2014 e alla prima filiale trevigliese in piazza Garibaldi, nel 1914. Venne trasferita in viale Filagno nel 1970, poi ristrutturata nel 2008 così come la vediamo oggi. Non la posso tirar lunga, un cliente si è annunciato e deve parlare con il direttore. Prometto di ritornare ma chiedo un’ultima notizia: “So che avete avuto un premio lo scorso anno, quale?”. Gritti si allarga in un sorriso e spiega: “Premio come miglior banca italiana per solidità di bilancio, qualità del credito e innovazione del prodotto”. Sono senza parole, complimenti! Gli dico mentre ci stringiamo la mano. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 45


Treviglio/Pedalando nel tempo

Vertova, il signore della bicicletta di Ezio Zanenga

Era un “cosino” tutto pepe, un signore della bicicletta. Le sue passioni l’idraulica e il ciclismo. Riservato, alto, gambe lunghe, un passista scalatore, grintoso e mai aggressivo. Erano i tempi delle brage alla zuava... “Scrivo e pedalo. Pedalo e scrivo. Dopo l’exursus nel XIX° secolo del numero precedente, il via alla passerella dei personaggi del ciclismo trevigliese. Conduce il primo giro…”

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(Valentino Vertova)

ato a Treviglio il 6 febbraio 1932, a quindici anni la sua vita era già ‘segnata’ da due grandi passioni l’idraulica e il ciclismo. In fondo sempre di tubi si trattava, da quelli per lo scorrimento dell’acqua a quelli per costruire il telaio della bicicletta. Per entrambi necessitavano impegno, determinazione, intelligenza, doti che a Valentino non mancavano di certo. Un personaggio che, a poco più di sei anni dalla sua scomparsa (18/1/2009) molti ricordano con stima e affetto e rappresenta il classico esempio di una vita dedicata al lavoro, alla famiglia, mai disgiunta dalla sua passionaccia sportiva. Atleticamente era un falso segaligno, alto, gambe secche e lunghe da passista scalatore. Caratterialmente un falso timido, grintoso ma mai aggressivo, riservato ma non introverso. Riuscì ad anticipare l’inizio della sua attività agonistica

a soli quindici anni complice il suo mentore Italo Caspani, il mitico ‘Nata’, mago sportivo ante litteram delle due ruote, evidentemente esperto nel truccare le date di nascita. E’ uno degli aneddoti che ho avuto la fortuna di raccogliere direttamente da Valentino, pur notoriamente schivo e ri-

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Treviglio/Burattini e maschere

servato, in tanti incontri nei quali, opportunamente sollecitato, socchiudeva i suoi piccoli occhi (caratteristica sua espressione) e ti scodellava un rosario di ricordi. Erano gli anni dell’immediato dopoguerra, per gli italiani lo sport costituiva un sogno, una forma di riscatto, per Valentino il sogno era il ciclismo. Erano i tempi delle braghe alla zuava, dei tubolari attorcigliati sulle spalle, delle strade ancora in gran parte sterrate, con Bartali, Coppi e Magni miti del grande ciclismo. Valentino a 15 anni si trovò a gareggiare con i diciottenni, il suo debutto il 15 maggio 1947 a Trescore Cremasco: subito piazzato. A Bergamo, nella Coppa Serafini del 1° settembre è quinto: il cronista di allora de l’Eco di Bergamo lo nota sulla ‘Boccola’ (lo ‘strappo’ di Bergamo Alta) e lo definisce ‘un cosino tutte pepe dallo stile composto’. Per Valentino la Boccola sarà come il ’Poggio’ della Milano Sanremo per Merckx e altri campioni: un trampolino di lancio per numerosi piazzamenti e per una signorile vittoria solitaria a Bergamo, staccando tutti appunto sulla Boccola. Nel 1948 e nel 1949 gareggia per la Ciclistica Baracchi di Bergamo. Lo ha voluto Mino Baracchi, si quello del famoso ‘Trofeo Baracchi’. Tre vittorie (due per distacco) a Bergamo, a Novate, a Fino Mornasco. Tra i tanti avversari di allora ricordiamo Donato Piazza, Pietro Piazzalunga, Giorgio e Luigi Albani (che impedì la vittoria a Valentino per pochi centimetri, nella Coppa

Tura a Treviglio nel settembre del 1948, ed Ernesto Colnago, poi famoso costruttore) che costrinse due volte Valentino al secondo posto. Quarantaquattro i suoi piazzamenti nei primi 15. Il più significativo? E’ sempre un racconto di Valentino a ricordarlo: “Milano-Marcolina del 1949, 312 partenti. Leggermente attardato per un salto di catena, ci misi trenta chilometri a risalire il gruppo, quando giunsi davanti iniziò la volata finale: sesto posto, fu bellissimo…” E i trevigliesi? Nel 1948 si formò un bel movimento, il Pedale Sportivo fondato nell’agosto di quell’anno organizzò subito due gare e tesserò la bellezza di dieci Allievi. Su tutti avrebbe fatto carriera un certo Marino Morettini. Nel 1950 per il diciottenne Valentino divenne sempre più difficile coniugare la vita da corridore con l’impegno lavorativo. Tenne duro, gareggiò per il Pedale Sportivo Trevigliese e riuscì a conquistare il campionato provinciale Allievi, con l’ultima e decisiva prova svoltasi proprio nella sua Treviglio. Appese la bicicletta al chiodo, ma mai in modo definitivo perché pedalò sempre, per diletto e rigorosamente su una specialissima da corsa. Non si è mai discostato dall’ambiente ciclistico trevigliese seguendone le vicende. Lo ricordiamo negli anni sessanta con l’inseparabile Oreste Caspani al seguito delle gare, poi Direttore Sportivo e Consigliere del Pedale Sportivo Trevigliese, fino a diventarne nel 1977 e 1978 Presidente. Anni d’Oro del ciclismo trevigliese con la Coppa Adriana-Trofeo Same organizzata e vinta più volte, con l’accesa rivalità Pedale-Audax. E Valentino, sempre con il suo sorriso appena accennato, tra i pochi amati di qua e di là, con amici di qua e di là. Fu Consigliere sia del Pedale che dell’Audax. E in prima fila quando, nel 1987, ci fu la fusione Pedale-Audax con la nascita della Ciclistica Trevigliese. Altri tempi? No altri uomini. Foto 1: 1948 - Valentino Vertova, alla sua destra Giuseppe Moneta, a sinistra Mino Baracchi rispettivamente D.S. e Presidente della Ciclistica Baracchi di Bergamo. Foto 2: 1949 - Valentino Vertova, in maglia Baracchi, posa con i compagni trevigliesi del Pedale Sportivo- Da sinistra, Paolo Melli, Valentino Vertova, Luigi Gatti, Giandonato Tito, Franco Caverzaghi, Marino Morettini, Mario Leoni e Giuseppe Chierichetti. Foto 3: Valentino Vertova, riceve una stretta di mano augurale da Giuseppe Cesni ed Enzo Ferrentino (suoi predecessori) , in occasione della sua elezione a Presidente del Pedale Sportivo Trevigliese (1977-1978).

Treviglio: la bella mostra delle “Teste di legno”

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gli albori del XXI secolo è ancora necessario mandare avanti la baracca. Nessun modo di dire. Letteralmente. La tradizione degli spettacoli dei burattini continua la sua strada e si impone nel mondo dello spettacolo sotto varie spoglie, dalla commedia classica con pupazzi della tradizione popolare fino a vere rappresentazioni in cui attori in carne ed ossa riprendono quei movimenti un po’ goffi ed ilari delle “teste di legno”. Treviglio non teme il contagio. Dopo il successo nel 2009 di «Baracca e burattini», una mostra fotografica arricchita da un film documentario e da uno spettacolo della tradizione burattinaia, quest’anno tornano in scena i protagonisti delle baracche in un’esposizione ricca e curiosa presso Sala Crociera del Centro Civico Culturale: ‘Teste di Legno’, in chiusura il 22 febbraio, propone un percorso che rappresenta un’eredità popolare di cui andare fieri e che vede il territorio bergamasco come cuore vivo e pulsante del teatro d’animazione. “Non si vedeva una mostra così da oltre 35 anni” afferma Riccardo Riganti, curatore del salone insieme a Fabio Celsi, Daniele Cortesi e Francesco Tadini. Oltre a poter vantare di ben duecento burattini e maschere provenienti da tutto il mondo prestati da personaggi legati alla tradizione burattinai quali Maccagni, Cortesi, Lasagni, Manzoni e Ravasi, la mostra ostenta tante curiosità e particolarità che richiamano il retroscena storico-culturale di Treviglio

e della bergamasca grazie ad una vasta gamma di documenti presi dagli archivi comunali e della biblioteca. Co-protagonista di ‘Teste di Legno’ è la passione che vive ancora in molte famiglie legate a questo tipo di arte. Tra loro emerge il nome di Daniele Cortesi che, dalla fondazione di una compagnia nel 1982, presenta spettacoli di burattini fedeli alla migliore tradizione bergamasca ereditata dal grande Maestro Benedetto Ravasio – originario di Bonate Sotto, è conosciuto come l’artista che sintetizza il momento di passaggio tra la vecchia tradizione e il rinnovamento nel teatro di animazione –. Viene così ancora una volta raccontata una storia che rispecchia diverse visioni del mondo e che si fa portavoce del popolo. ‘Teste di Legno’ sta ottenendo l’interesse e l’ammirazione di molti per la sua eterogeneità e per la volontà di mettere in comunicazione diverse fasce d’età. Da una parte troviamo chi, passeggiando per la mostra, sente risvegliare ricordi d’infanzia e chi, dall’altra parte, trova lo spunto per conoscere e approfondire una realtà apparentemente lontana. I burattini rappresentano un ponte tra le persone e hanno l’ambizioso obiettivo di comunicare attraverso una forma che dà colore alla quotidianità e soprattutto calore. Silvia Giardina Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 47


Negozi/Magazzeno Moderno

Una bella storia, ma ora si chiude di Lucietta Zanda

I più bei tessuti li trovavi da “Magazzeno Moderno”, ma presto i battenti si dovranno chiudere. I tempi sono difficili e difendere un secolo di storia è un atto di eroismo che non può durare all’infinito

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i entra nel “Magazzeno Moderno” di Via Roma e viene subito da annusare l’aria. Il profumo è quello buono del cotone di una volta. Ti guardi attorno: muri bianchissimi, un arredamento sobrio e minimalista, fatto solo di banconi e scaffalature di massiccio legno d’acero. Si ha subito l’impressione che questo posto non basi la sua immagine e l’arredo, come molti negozi d’oggi, tutti acciaio e specchi ma poveri di qualità, quanto sulla sostanza, sul contenuto. Il negozio è suddiviso in tre sezioni, di cui due dedicate all’ampio assortimento di tessuti e l’altra alla biancheria per la casa. Ne scannerizzi i dettagli e l’occhio del buon intenditore può individuare, tra le decine e decine di pezze di tessuto, alcune firme famose in questo campo: Agnona, Zegna, Cerruti, Fila, …come pure tra i raffinati capi di biancheria per la casa spiccano marchi prestigiosi come Borbonese, Mastro Raphael, Mirabello, Lanerossi e i famosi piumoni della Dawnen Step. Insomma, un negozio non solo ben fornito, ma assolutamente aggiornato nella scelta della merce. Del resto il nome stesso “Magazzeno

Moderno”, coniato fin dai primi tempi dell’apertura dell’attività, sta appunto ad indicare la precisa scelta commerciale di un costante rinnovamento nel tempo, mantenendo alta la qualità del prodotto. Peccato che la lunga storia di questo storico negozio trevigliese stia giungendo al termine, il titolare ha deciso di chiudere i battenti dopo una vendita promozionale, giusto il tempo per liquidare quel che resta del magnifico campionario. La chiusura di questo esercizio ha colto un po’ tutti noi cittadini del tutto impreparati; si sa, con la crisi oggi i negozi aprono e chiudono con una facilità a volte imbarazzante. Ci si scopre a scommettere spesso sui tempi di resistenza, i più coraggiosi e abili riescono a superare l’anno e a tenere la testa sopra il pelo dell’acqua, altri demordono falciati dalle troppe tasse e responsabilità che questo Stato che non t’aiuta, mette loro sulle spalle. E così finisce che guardi il cartello “Svendita Totale”, scuoti la testa in segno di solidarietà e ti chiedi quale sarà il prossimo temerario a sfidare la sorte della prossima apertura. Ma i pochi negozi storici che restano,

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quelli no, dovrebbero essere immortali, non ne si accetta la Caporetto, non ci si può adattare alla loro assenza. Troppi ricordi e affezione ci legano a loro. Non si possono certo rimpiazzare così su due piedi cent’anni e più di storia e di memorie... Mi vengono incontro il proprietario Fernando Burini e la moglie, la delicata signora Annalisa, che preferisce defilarsi, nonostante la mia leggera insistenza nel chiedere anche a lei qualche informazione relativa al negozio, forse per quella sorta di riservatezza un po’ all’antica che la contraddistingue. Fernando mi spiega che l’apertura del primo negozio, situato nella parte centrale di via Roma, risale a più di cent’anni fa, ad opera della ditta Manetti e Mauri, entrambi comaschi, quei Mauri la cui discendenza avrebbe portato un bel po’ d’anni dopo allo stabilirsi alla CRAT di Ettore Mauri come futuro direttore di

Negli scatti signor il Fernando Burini e la moglie Annalisa impegnati in negozio nella liquidazione della merce, vista la prossima chiusura

quella Banca. Dopo circa una settantina d’anni che avrebbero visto il difficile avvicendarsi di ben due guerre mondiali, rileva l’attività dei due soci precedenti il sig. Morosini che, pur gestendo per non si sa bene quali motivi, l’attività per un periodo flash di sole due o tre settimane, farà tuttavia sì che il suo nome rimanga ancora stranamente legato al negozio per un bel po’ di tempo creando una certa confusione nella clientela. In effetti sarà il signor Ido Burini nel 1947 a rilevarne la futura gestione per i successivi sessantasette anni, all’inizio insieme al socio Taramelli dopo il rientro dal fronte, in seguito da solo dopo aver liquidato l’altro assumendo così l’intera direzione dell’attività. Proveniente dalla Val San Martino –così mi spiega cortesemente il signor Burini-

il papà iniziò ad esercitare la professione del “mercant”, con il suo bravo “scusalot” nero dietro al bancone, affrontando con una certa fatica ma sempre con grande entusiasmo il difficile periodo del dopoguerra. Uomo di polso, lo sosteneva il suo carattere ferreo ma gioviale; io stessa lo ricordo personalmente attraverso le sue battute scherzose e il suo disinvolto piglio che faceva sì che la vendita giungesse presto alla conclusione. La realtà in cui la famiglia Burini si trova a muovere i primi passi è quella essenzialmente provinciale e contadina di allora, ma con un vantaggio rispetto la vicina Bergamo: i trevigliesi, favoriti dalla vicinanza con Milano e da un certo andirivieni di persone che là lavorano portando scambi di conoscenze e manodopera molto qualificate, sono molto più aperti e portati ad accogliere nel loro mondo chi dimostra di avere caratteristiche umane e professionali tali da meritarsi la loro fiducia. “Sarò sempre grato ai Trevigliesi” non manca infatti di ribadire Fernando “perché grazie alla loro apertura mentale, la mia famiglia ha trovato nel nuovo ambiente una rete di sostegno sia a livello morale che materiale che ha facilitato in tutti i modi l’avvio di qualsiasi iniziativa”. Gente semplice e risparmiatrice, i clienti di allora compravano solo quando era necessario e badavano soprattutto che la qualità della merce ne garantisse una buona durata nel tempo. I tessuti venivano tastati con le mani, prima di essere affidati ai sarti di fiducia per confezionarli, dal momento che il “prêt-à-porter” si sarebbe affacciato sul mercato solo all’inizio degli anni sessanta. Unica eccezione per i larghi “tabarri” o mantelli provenienti da Gandino nei quali i contadini si avvoltolavano per recarsi sui loro carri in campagna, e che si vendevano tenuti appesi a una sbarra di metallo. Fernando ricorda quei tempi quando, ancora bambino, assiste in negozio alle ri-

chieste della “tila cutuna” per le lenzuola che veniva trasportata in treno dai cotonifici della Valeriana, insieme alla tela olona per i materassi e ai cotoni stampati a fiori che spesso le signore si cucivano da sole per farne gli “scusai”. “Pochi giovani sanno –mi dice- che la tela per le lenzuola veniva venduta senza metro, ma solo passando rapidamente i palmi delle mani tra una falda e l’altra per contarle, e che il rapporto con la clientela riguardo la contrattazione si basava più che altro sulla mentalità contadina dei tempi. Il prezzo ai clienti veniva spesso fatto a discrezione del negoziante non attraverso un importo fisso posto sul cartellino della merce come si usa ora, ma da una serie di sigle e numeri che il venditore doveva decriptare e proporre di volta in volta”. I materassai o “stremasì” prelevavano ancora col triciclo la lana Scozia riposta in grandi sacchi di juta in cantina per preservarne la giusta umidità. Oppure giravano per le case chiamati dalle signore, piazzandosi nei cortili con quelle loro pesanti macchine dotate di aguzzi denti di acciaio che, con movimenti altalenanti, servivano a cardare di nuovo la lana Scozia dei materassi un po’ vecchiotti e ammaccati ridando loro la sofficità perduta e un nuovo robusto involucro di tela. L’attività principale di vendita al dettaglio, veniva inoltre spalleggiata da un nutrito gruppo di rivenditori ,anche donne, che raggiungendo i paesi limitrofi, in sella alle loro biciclette con doppi portapacchi, giravano per le cascine mostrando la merce che veniva affidata loro in conto vendita. “Spesso –aggiunge- “pure noi facevamo le consegne con quelle grosse biciclette a scatto fisso che in gergo venivano chiamate balunsine”. Per il negozio uno degli eventi commerciali più eclatanti era certamente il fornire la “dota” ai novelli sposi: le trattative erano impegnative e si concludevano con l’acquisto da parte dello “spusot” e della Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 49


Negozi/Magazzeno Moderno

“spusota” degli abiti da la cerimonia per sé e per tutta la famiglia, compresi gli accessori e i tendaggi per la casa. Le lane più pregiate e i pizzi francesi più raffinati, venivano srotolati sotto gli occhi sgranati dei compratori i quali alla fine siglavano finalmente l’accordo con la consegna dei confetti, i “biniss”. Il negozio fin d’allora è stato un importante polo di richiamo e di scambio di clientela richiamata dall’interland trevigliese, allora definita “plaga”. Da paesi come Melzo, Cassano e Gorgonzola, come pure Vailate fino a Calcio e Romano, giungevano le persone attirate dal ricco assortimento, certi di trovare sempre gli articoli giusti. Anche nel rapporto coi “commessi viaggiatori” vigeva lo stesso amichevole clima di fiducia e collaborazione. Mi racconta Fernando che il loro servizio veniva precedentemente segnalato da una cartolina di “avviso di passaggio”, spesso giungevano in treno accompagnati da pesanti valigie di campionari, si tirava tardi e gli affari venivano spesso innaffiati da un’allegra sbicchierata in trattoria davanti a un bel piatto di pasta. Insomma era un mondo fatto di rapporti costanti e amichevoli, basati sulla fiducia, duttili e facili da gestire perché erano i valori delle persone, la loro nobiltà d’animo, la correttezza, a facilitarne e a garantirne lo scambio. IDO –come tutti i padri con un’azienda- contava ovviamente sulla scontata partecipazione all’attività di Fernando, ma il ragazzo, nel frattempo diplomatosi ragioniere, aveva altri progetti per la testa e, di fronte alle ripetute insistenze del padre, che cercava di spingerlo dietro al bancone, rispondeva regolarmente con uno sbrigativo ma altrettanto chiaro “ma pias mia”. Quando però inaspettatamente muore Ido nel 1978, sarà la moglie di Fernando -Annalisa - a raccoglierne l’eredità, e nonostante i quattro figli da tirare su, dopo averne affidata la cura alla nonna pater-

na residente a Ponte San Pietro dove tutti vivevano, accetta –in un totale slancio di coraggioso impegno- di assumere l’onere della conduzione del negozio, cosa che avrebbe continuato a fare poi fino ai giorni attuali. Fernando, contento dell’ottimo compromesso, aveva tutto sommato preferito dedicarsi anche a ciò per cui si sentiva veramente portato: seguire prima come rappresentante, poi come direttore delle vendite alcune importanti aziende di tessuti e camicerie, attività che del resto, unitamente alla principale, ha svolto fino a due anni fa. Gli domando infine se quella di chiudere è stata una decisione sofferta, se non ci sia stata qualche possibilità di vedere in altre persone il prosieguo di questa attività. Mi risponde un po’ amareggiato che lui personalmente sì, è affezionato al prodotto ma

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non all’attività commerciale e che a nessuno dei suoi quattro figli è comunque mai passata per la testa la prospettiva di inserirsi, avendo essi intrapreso altre strade. E’ cambiata anche la clientela che una volta era molto più attenta alla qualità perché la roba doveva durare, oggi, più che altro, la gente considera maggiormente l’aspetto esteriore, e la crisi del settore tessile in genere ha comunque portato ad un indebolimento della qualità del prodotto. Aggiunge inoltre che “I tempi si sono fatti obiettivamente difficili per la crisi del mercato tendente ad una netta diminuzione dei consumi, un esagerato aumento di costi e tassazioni, nessun sostegno ai problemi riguardanti il commercio da parte delle Istituzioni, come pure un eccessivo utilizzo di investimenti non facilitato dal giro di affari troppo lento e l’avvento infine di grosse attività commerciali che ha spiazzato le piccole”. Il settore tessile poi ha risentito della scomparsa di un qualificato mondo di artigiani che gli ruotava attorno; sono spariti i materassai, le trapuntaie e le ricamatrici, per non parlare dei sarti da uomo e le camiciaie. Cala dunque il sipario su questo antico negozio, ...scende anche su tutti quei personaggi che la lunga storia del “Magazzeno Moderno” ha reso protagonisti. Su tutto lo staff, dal primo intraprendente commesso Mario Antignati, all’ultima fedelissima dipendente Loredana Aresi che per oltre 40 anni non ha mai abbandonato la nave. E su tutte quelle romantiche ormai leggendarie figure che hanno popolato i giorni andati, …dalle candide spose nei loro diafani pizzi francesi, agli operosi contadini che intabarrati nei loro scuri mantelli portavano i loro carri qua e là per le campagne trevigliesi… Auguriamo a Fernando e Annalisa buona vita, ringraziandoli a nostra volta per aver arricchito, col loro contributo, una parte dello storico commercio trevigliese. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 51


Treviglio/I tesori nascosti

Pittore del Rinascimento

Re Davide

Ezechiele

Osea

Abdia

Nahum

Zaccaria

Isaia

Geremia

Profeti del Cavagna nascosti in Basilica di Carmen Taborelli

Nella Basilica di San Martino dodici tele dei Montalto, poco visibili perché troppo in alto e poco illuminate, coprono altrettanti affreschi di Gian Paolo Cavagna. Ecco delle rare foto che li riproducono

I

n origine erano ventiquattro a figura intera; oggi sono dodici a mezzo busto. Sto riferendomi agli affreschi del pittore bergamasco Gian Paolo Cavagna (1550-1627), posti sopra le arcate gotiche della navata centrale della basilica “San Martino” di Treviglio. Perché tesori nascosti? Perché sono coperti dai grandi quadri (cm.300x400): dodici oli su tela dei Montalto, raffiguranti “I fatti della vita di San Martino”, che appunto nascondono completamente gli affreschi del Cavagna. A onor del vero anche i

Gioele

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quadri dei Montalto si potrebbero definire “nascosti”, dal momento che sono collocati talmente in alto da renderli quasi per nulla godibili. Oltre trent’anni fa, nel 1981, durante la rimozione temporanea di queste grandi tele, sono stati riportati alla luce i dodici affreschi del Cavagna, i cosiddetti “Profeti”, più esattamente, undici Profeti e un Re, re Davide, il secondo re d’Israele. Fu un’unica e forse irripetibile occasione di fotografarli per avere in archivio almeno una testimonianza cartacea di facile consultazione.

Amos

Ricordo che incaricai Gianfranco Cesni, il quale scattò questa serie di immagini in bianco/nero, che, in seguito, misi a disposizione di vari appassionati d’arte. Come dimostrano le foto, tutte le figure del Cavagna reggono delle tavole sui cui sono scritte, in latino, pochissime parole di alcuni versetti biblici, tratti dall’Antico Testamento. All’epoca, un sacerdote mio coetaneo, purtroppo già passato a miglior vita, mi aiutò a decifrare queste parole, peraltro non tutte leggibili e attraverso queste, risalire al Profeta cui sono attribuite, rendendo così possibile la singola identificazione. Tolti i “Profeti” dall’anonimato e restituita a ognuno la propria identità, ritengo sia utile ricordare la rispettiva collocazione, tenendo presente che sono disposti in doppia fila: sei da un lato e sei dall’altro del cornicione. Entrando dal portale della chiesa, si susseguono in questo ordine; a sinistra della navata centrale: 1) re Davide; 2) Ezechiele: “Vae civitati sanguinum” (Guai alla città sanguinaria) – cap. 24,9; 3) Osea: “De manu mortis liberabo eos, de morte redimam eos, ero mors tua o mors” (Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte. Dov’è, o morte, la tua peste. Dov’è, o inferi, il vostro sterminio) – cap. 13,14; 4) Abdia: “Sicut fecisti, fiet tibi” (Come hai fatto tu,

Daniele

così a te sarà fatto) – vers. 15; 5) Nahum: “Revelabo pudenda tua in facie” (Alzerò le tue vesti fin sulla faccia) – cap. 3,5; 6) Zaccaria: “Viduam, et pupillum et advenam et pauperem nolite calunniari” (Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il misero) – cap. 7,10; Invece a destra della navata: 1) Isaia: “Populus, qui ambulabat in tenebris, vidit lucem magnam” (Il popolo, che camminava nelle tenebre, vide una grande luce) – cap. 9,1; 2) Geremia: “Bonas facite vias vestras et studia vestra, et habilitato vobiscum in loco isto” (Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo) – cap. 7,3; 3) Gioele: “Sol convertetur in tenebras et luna in sanguinem” (Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue) – cap. 3.4; 4) Amos: “Ecce ego stridebo subter vos, sicut stridet plaustrum onustum foeno” (Ebbene, io vi affonderò nella terra come affonda un carro quando è tutto carico di paglia) – cap. 2,13; 5) Daniele; 6) Habacuc: “Vae ei, qui multiplicat non sua usquequo et aggravat contra se densum luctum” (Guai a chi accumula ciò che non è suo e fino a quando? E si carica di pegni) – cap. 2,6. Recuperando queste notizie, credo di aver dato un po’ di visibilità agli affreschi del Cavagna e qualche elemento in più alla nostra immaginazione.

Habacuc

Cavagna e l’influenza di Moroni e Tintoretto

G

iovan Paolo Cavagna fu un pittore rinascimentale formatosi alla scuola di Cristoforo Baschenis il Vecchio. Nacque a Bergamo attorno al 1550, come si può desumere da un atto del 1575 in cui dichiara di essere “profitens aetatem viginti quinque excessisse”, morì il 20 maggio 1627 a Bergamo, dove fu sepolto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. In molte sue opere si legge l’influenza del Tintoretto, dei Bassano e del Veronese, specialmente nelle grandi opere in cui il gusto veneto è evidente, come ne La Trinità e i Disciplini bianchi in San Pietro Martire di Alzano Lombardo. In quest’opera si rileva anche un realismo particolare che sconfina in un energico e acuto verismo dei quattro frati che inginocchiati osservano stupiti i simboli della Trinità. Il paesaggio su cui si svolge la scena e in cui si possono riconoscere luoghi di Alzano Lombardo richiama le ambientazioni del Moroni. Le influenze venete risultano filtrate dalla cultura lombarda e dalla presenza del Moroni. Il trittico raffigurante la Madonna con San Carlo e Santa Caterina che presentano i devoti del 1591, nella chiesa di San Rocco di Bergamo, è espressione di questo sincretismo artistico in cui la luminosità propria del Moroni viene magistralmente esaltata.

Maggiore è l’influenza veneziana nelle sue opere di Santa Maria Maggiore di Bergamo, tra cui spicca la Natitivà, anche se l’afflato lombardo è sempre presente con richiami ad artisti come Gervasio Gatti o Giambattista Trotti. Tra le sue opere più significative, a carattere religioso, si segnalano San Pietro in gloria tra i Santi Paolo e Cristoforo, nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna di Bergamo (vedi immagine), Profeti, Angeli e Incoronazione della Vergine in Santa Maria Maggiore, la Caduta della manna e l’Ultima cena nella chiesa di San Martino a Treviglio, il San Carlo Borromeo tra San Rocco e San Pantaleone nel Santuario della Madonna del Castello di Almenno San Salvatore e il Miracolo dell’acqua che sgorga dall’arca dei Santi Fermo, Rustico e Procolo nel monastero di San Benedetto di Bergamo. È nella ritrattistica che si sente maggiormente l’influenza del Moroni e dove il suo verismo lo avvicina anche ad artisti come Sofonisba Anguissola. Nei ritratti dell’Organista e del Gentiluomo l’analisi espressiva dei modelli, non idealizzata, la puntigliosa rappresentazione dei particolari, come quelli dell’elsa della spada del gentiluomo o del suo collare con la Croce di Malta, riportano al Moroni più maturo. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 53


Coro Icat/Una storia trevigliese

Dall’Idica la genesi della Corale Icat di Tienno Pini

Nel novembre del 1967 venne costituito l’ICAT: in punta di piedi nacque un coro di sole voci maschili che avrebbe attraversato, ad oggi, poco meno di mezzo secolo di storia trevigliese

M

L’idea di costituire un coro a Treviglio fu successiva ad un concerto del Coro IDICA di Clusone, tenutosi nei primi mesi del 1967 presso il Teatro Filodrammatici. Alcuni degli spettatori trevigliesi presenti, amanti del canto di montagna, si interrogarono circa la possibilità di costituire in città un coro similare, che si rifacesse al caposcuola della SAT di Trento, attivo già da circa mezzo secolo. Il riferimento però non era solo il lontano ed inarrivabile coro trentino ma, più modestamente, anche un precedente coro trevigliese, fondato verso la metà degli anni sessanta: il Coro CO.TR.A. (Coro Trevigliese Alpino) diretto dal trevigliese Fumagalli. Per oltre un paio d’anni gli amanti dei canti di montagna coltivarono la loro passione ritrovandosi per le prove presso una sala al primo piano di Piazza

Garibaldi, sopra quello che allora era il Bar Principe (oggi Tigotà), sino a quando, causa il trasferimento del direttore a Roma per lavoro, dovettero porre fine a quella prima esperienza. Proprio alcuni ex coristi del CO.TR.A. con altri appassionati trevigliesi di canti della montagna, tutti reduci dal concerto dell’IDICA, furono i promotori della nuova iniziativa corale trevigliese, ricercando nel contempo tra amici e conoscenti altri potenziali coristi, intonati, dotati di una buona voce. Vennero così interpellati anche diversi trevigliesi che si esibivano nelle diverse iniziative di musica leggera che si tenevano numerose in città e dintorni. Nel contempo muoveva i primi passi, da qualche anno, il C.A.T. (Circolo Artistico Trevigliese) che per diversi lustri fu poi l’artefice di tutte le maggiori e più significative iniziative culturali cittadine (musicali, teatrali, cinematografiche e quant’altro), volano di cultura ad ampio spettro. La prima sede provvisoria del neonato gruppo, ancora sprovvisto di un nome, fu al primo piano del Palazzo Galliari dell’omonima via, messo a gratuitamente disposizione dalla proprietà Bindelli, successivamente divenuto per diversi anni la sede della locale sezione del C.A.I.

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a come e perché nacque? Ad opera di chi? In che ambito socio culturale si collocava? Domande che ripercorrono la storia vera del Coro, lontana da possibili celebrazioni, cui cercheremo di dare una risposta che inquadri la storia del gruppo nella realtà cittadina.

La nascita

Il primo direttore

Lì ebbero luogo i primi tentativi di apprendere ed assemblare il primo brano: “Al cjante el gjal” nell’armonizzazione di Antonio Pedrotti, sotto la direzione di Mario Pruneri che, con l’ausilio della sua fisarmonica, si faceva carico, tra non poche difficoltà, di insegnare le parti delle varie sezioni e di coordinare poi l’esecuzione complessiva. Dopo alcune settimane fu lo stesso Pruneri ad invitare alle prove un collega di lavoro della Same Trattori, ex chitarrista professionista in una importante band che aveva suonato in mezza Europa, da poco giunto a Treviglio per motivi di lavoro e per dare una stabile residenza alla propria famiglia: si trattava di Paolo Bittante, veneto di San Donà di Piave, virtuoso della chitarra classica. Fu così che dopo qualche convenevole e diverse insistenze, proprio di Pruneri, Bittante provò a dirigere il gruppo e ad assemblare le varie parti: il risultato fu sorprendente. Quello che fino a pochi istanti prima pareva difficile e macchinoso come d’incanto risultò semplice ed immediato, subito gradevole, come se direttore e coro si frequentassero e si conoscessero da sempre e “Al cjant el gjal” ebbe una sua vita e nuova musicalità. I coristi compresero immediatamente di aver trovato il “loro” Direttore e nonostante le reticenze di Paolo, dovute al rispetto ed al rapporto che lo legava a Mario Pruneri, dopo qualche tempo accettò l’incarico ed il gruppo ebbe in pratica il suo primo Direttore.

Le adesioni continuano

Nel contempo continuavano le adesioni di nuovi coristi, sino a superare in breve le due dozzine, tra cui alcuni anche da fuori Treviglio: fu il caso di due pontirolesi, l’uno indigeno, Enrico Giovansana (Giovi al Coro), l’altro d’importazione, Max Muller, originario della Svizzera tedesca giunto a Pontirolo per matrimonio, con rivendicate e mai provate origini russe, un

Immagini dell’Icat: sopra Maria Morino nel ruolo di presentatrice, nel tondo il primo presidente Tonino Pellacani, poi Paolo Bittante. A destra in basso la targa “La Gatta d’Argento” consegnata al coro dallo stesso Circolo, promotore del premio omonimo, vedi locandina

italiano stentato ma una voce melodiosa ed unica, unita a una impeccabile intonazione. Entrambi segneranno non poco i destini musicali del gruppo, tutti e due come solisti: il primo di brani classici del repertorio di montagna, il secondo di brani completamente nuovi per il panorama corale italiano, sino a divenire, nei primi anni, il corista simbolo del gruppo che proprio sulla novità puntava, apprezzato e richiesto in molte piazze e teatri d’Italia. Nel contempo anche il programma prendeva lentamente ma gradualmente forma con le due prove settimanali del martedì e del giovedì sera, attingendo sia a brani del repertorio classico sia ad altri completamente nuovi ed originali: nato come corale alpina, il Coro dischiuse ben presto il proprio repertorio a pagine di origine diverse, rendendosi riconoscibile per timbrica e repertorio.

Il dopo coro

Inoltre, come per ogni gruppo che si rispetti, il “dopo coro” (cioè il dopo prove) divenne da subito un momento importante quasi quanto le prove: molti coristi si fermavano oltre le 23 discutendo, programmando, attivando l’organizzazione societaria. Si trattava di discussioni appassionate e talvolta accanite che per comodità, facilità di ritrovo ed anche per affinità ed ospitalità dei gestori si svolgevano in un paio di locali trevigliesi: il Bar Rocco (allora sede di una tra le più importanti bocciofile trevigliesi, da tempo scomparsa) ed il Ristorante San Martino dei Fratelli Colleoni. In breve il San Martino divenne il punto di ritrovo fisso del dopo coro, anche grazie all’amicizia ed alla generosa ospitalità di Fredo e Beppe, che spesso mettevano a disposizione la loro dispensa, stemperando così le discussioni. Chiuso poi all’una di notte il ristorante, spesso si univano ai

più sfegatati in ulteriori riunioni all’aperto, anche in pieno inverno, al riparo del solo balcone posto di fronte al ristorante, sul lato opposto di Viale Battisti, riunioni dalla durata imprecisata ed imprecisabile.

Il primo presidente

E’ così che nel primo semestre del 1968, presso il Bar Rocco, venne nominato il primo Presidente nella persona di Tonino Pellacani, imprenditore trevigliese nell’ambito del mobile d’intarsio. In una riunione successiva, questa volta al San Martino, si discusse circa il nome da dare al neonato Coro e, scartato il vecchio COTRA, venne deciso per Coro I.CA.T (Interpreti Canti Tradizionali), con il distintivo, predisposto a cura di Gabriele Bellagente, rotondo su fondo nero recante la scritta Coro in azzurro ed ICAT in bianco, con Treviglio in verticale sotto la T di ICAT, mentre quello di Paolo Bittante (dono dei coristi) era d’oro, con il logo inciso. Nel frattempo venne decisa anche la divisa: pantaloni e cintura blu e camicia azzurra sulla quale appuntare il distintivo, nulla quindi che rimandasse in alcun modo all’abbigliamento montanaro come in uso a quei tempi (scarponi con calzettoni, pantaloni alla zuava e quant’altro), ed anche questo voleva significare un coro nuovo e diverso dall’archetipo corale dell’epoca. Contemporaneamente il gruppo, invitato a lasciare la sede provvisoria di Via Galliari, trovò ospitalità in un’aula al piano terra dell’Oratorio S. Agostino, peraltro da utilizzarsi solo in occasione delle due prove serali e, sia ben chiaro, non a disposizione esclusiva!

Presentazione ufficiale dell’Icat

Fu così che, nemmeno un anno e mezzo dopo la fondazione, il 17 Aprile 1969, presso il teatro Filodrammatici, con il patrocinio del Circolo Artistico Trevigliese e della locale sezione del CAI, ebbe luogo la presentazione ufficiale del Coro alla cit-

tà, con un repertorio (tra cui Platoff Lied, Les trois cloches, Mary had a Baby) che la diceva lunga sul presente ma soprattutto sul futuro del Coro. A ricordo della serata all’ICAT venne consegnata una targa d’argento raffigurante “la gatta”, simbolo trevigliese, che tuttora fa bella mostra di sé in sede. Fu un vero successo, con il teatro gremito, pur trattandosi di un concerto a pagamento: ingresso unico a 400 Lire, con tanto di prevendita! Certo fa riflettere rispetto alle difficoltà che oggi incontrano le diverse iniziative, specie se con risvolto culturale: pensate quanti battesimi di nuove intraprese potrebbero permettersi oggi di richiedere un ingresso a pagamento?!. E con il concerto ci fu anche il battesimo per la prima presentatrice del Coro: Maria Morino, allora fidanzata con Angelo Sommacal (poi felicemente sposi), corista nei tenori secondi. E per non smentirsi a concerto concluso ritrovo e festeggiamenti presso il Ristorante Pizzeria Cavallino Bianco, in Largo Vittorio Emanuele, con un incontro con Dino Bellini (Cecca o la zia per i coristi) che segnerà la vita sua e del Coro per quasi mezzo secolo, ma questa è un’altra storia. (2 – continua) Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 57


Treviglio/Quegli anni di vera libertà

Treviglio e i ragazzi delle radio libere a cura di Sandro Oggionni

Un’epopea irripetibile quella delle radio libere nate a metà anni settanta in città. Ne vennero fondate una mezza dozzina, la prima fu Radio Stereo Sound poi acquistata da Angelo Zibetti uando ho ricevuto la telefonata di Roberto Fabbrucci che mi invitata a scrivere un articolo per “la nuova tribuna”, mi sono tornati in mente i bei tempi in cui battagliavamo su due fronti diversi: lui con la

Q

carta stampata ed io -con i miei soci- con l’etere e la radio… Mi ha fatto piacere che si sia ricordato di me, ma ancor di più l’argomento proposto: mi chiede di scrivere un articolo sulle radio di Treviglio. Sono passati ormai molti anni dall’epoca

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A sinistra una diretta fuori dalla sede di Radio Liberty, riconoscibile Massimo Fabbrucci, il ragazzo seduto. Sopra alcuni attivisti di Radio Mirtillo montano l’antenna. Così nello strudio in alto a destra

d’oro delle radio “libere”, ma il ricordo di quei momenti non è assolutamente svanito, è stato un periodo bellissimo, dove tutti ci sentivamo grandi e pensavamo di “bucare” l’etere. E’ stato un momento irripetibile durante il quale le radio non erano “private” ma “libere”, dove ognuno -magari con ingenuità e improvvisazione- poteva mettersi davanti ad un microfono e raccontare quello che pensava. Un periodo dove trasmettere i diciotto minuti di assolo di batteria di Peace Planet degli Ekseption (chi se li ricorda più?) era normale, in barba ai format e agli indici di ascolto; l’importante era avere qualcosa da dire, magari ai due soli ascoltatori di quel Sotto la copertina che “la tribuna” dedicò alla nascita della prima radio libera trevigliese in casa Maccarinelli. Poi furgoncino di Radio Liberty durante una diretta di una partita di calcio, poi amiche della radio con Nicoletta Deponti (la seconda da sinistra)

preciso momento, forse in piena notte. Proprio quell’ascolto che oggi tutte le emittenti inseguono spasmodicamente era all’epoca la conseguenza naturale di piazzare un’antenna su un tetto: al pubblico poco importava cosa ascoltava, l’importante era che fosse della propria città. Ritengo che il brano “in diretta nel vento” dei Pooh rappresenti ancora oggi la sintesi perfetta di cosa rappresentasse una radio “libera” in quegli anni , e quelle di Treviglio non furono un’eccezione. Così come in tanti, tantissimi, degli 8.000 comuni italiani (nel 1980 erano censite circa 7.000 radio “libere” in Italia) anche Treviglio visse la sua era felice delle radio libere. Senza farmi prendere dalla nostalgia, mi sono lasciato convincere (non ci voleva molto) a raccontare dalle pagine del nostro eterno “rivale” pubblicitario (sì, perché a Treviglio le aziende facevano pubblicità sulla Tribuna o alla Radio, non c’era storia…e non c’erano soldi per tutti e due i mezzi) ma comunque sem-

pre amico, la storia delle radio di Treviglio. Molte persone che incontro ancora oggi per strada mi dicono “mi ricordo la radio di Treviglio, era proprio bella”, però non si ricordano quale fosse, o meglio non si ricordano che a Treviglio di radio ce ne sono state ben sei in un periodo dal 1975 al 1990. Dialogando con Roberto Fabbrucci abbiamo deciso di dedicare nei prossimi numeri della Tribuna un articolo per ogni radio che ha avuto sede a Treviglio e nella Gera d’Adda. Coinvolgendo i protagonisti dell’epoca in una testimonianza di quel tempo. Tempo che per chi ha vissuto quei momenti si è fermato ad allora, almeno radiofonicamente, a quel decennio dove ognuno ha potuto esprimere a modo suo le proprie idee. Confesso, anche se molte persone si ricordano di quando trasmettevo in radio, di non aver mai condotto una trasmissione (...forse una, perché il conduttore di turno si era improvvisamente malato) ma di avere sempre gestito un emittente

da dietro le quinte, forse per questo ne ho un ricordo meno emozionale ma certo non meno carico di nostalgia. In questa prima puntata del nostro viaggio nelle radio di Treviglio ricorderemo solo quali furono, per poi approfondire nei prossimi numeri ogni singola emittente, la sua storia ed i suoi ricordi.

Stereo Radio Treviglio Sound

E’ stata la prima radio in assoluto a trasmettere a Treviglio, creatura nata all’alba del 1976 dalla mente di Sergio Maccarinelli, subito supportata dal padre Francesco, entusiasta di poter mettere a disposizione uno spazio per il figlio ed i suoi amici in un progetto che andava oltre il gioco. Una storia che durò lo spazio di pochi mesi, spazzata via dalla prematuSopra Sergio Maccarinelli riceve un premio per la diretta radio organizzata, dietro il padre che assiste sorridente. Sotto a sinistra la vignetta che Carmelo Silva disegnò per il Biligot’ immediatamente dopo la nascita di Radio Treviglio Sound, accanto il complesso musicale “i Camaleonti” ospite di Radio Liberty il 23 Aprile 1976. Sopra a destra gli studi di Radio Mirtillo

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Treviglio/Quegli anni di vera libertà

ra scomparsa di Francesco il 19 Giugno dello stesso anno. Tuttavia rimane viva la memoria di personaggi che poi fecero la storia della radio con quella prima iniziativa. Tra gli amici di Sergio più vicini in quell’avventura non si può dimenticare di menzionare Paolo Astesano. Di Stereo Radio Treviglio Sound rimane poco, vista anche la sua breve vita, ma il suo nome evoca ancora oggi ricordi di una radio nata già professionale e che avrebbe potuto fare molta strada.

Radio Liberty Treviglio

E’ stata l’emittente che forse di più ha coinvolto l’opinione pubblica, un po’ perché supportata da buoni mezzi economici e perché composta da un gruppo nutrito di collaboratori entusiasti di farne parte. Ancor oggi Radio Liberty viene ricordata come la vera radio di Treviglio, complici le partite della Zanconti in diretta, le interviste a personaggi famosi che passarono dai suoi studi (all’epoca non era difficile “tirare” in radio un cantante o una star-

lette desiderosa di farsi conoscere) e la simpatia dei suoi conduttori, tutti rigorosamente “made in Treviglio”. Il motore di tutto era Antonio Tony Vitello che con lungimiranza lasciò fare ad un gruppo di ragazzi quello che volevano e sapevano fare, ...per i tempi grandi cose. Da Radio Liberty sono passati e hanno mosso i primi passi Nicoletta De Ponti, Angelo Zibetti, Roberto Valentin, Lionello Lavezzari e tanti altri che poi, davanti o dietro un microfono, raccolsero consensi e successo nel mondo della radiotelevisione. Purtroppo lo spegnersi di questo entusiasmo, quindi l’affievolirsi delle idee, porteranno alla chiusura di Radio Liberty ed alla dispersione del gruppo di persone che contribuirono a decretarne il breve (smise le trasmissioni il 15 gennaio 1980) ma indimenticato momento di gloria. Radio England ricostruita da Eros Prati e Alessandro Oggionni (nella foto) per “Treviglio Vintage” 2014. A destra la Festa di Radio Zeta nel 1977

A sinistra manifestazione in piazza di Radio Mirtillo, sopra Tony Vitello (primo a sinistra) e i ragazzi di Radio Liberty, riconosciamo Roberto Valentin, i fratelli Cariboni e Nicoletta Deponti

Radio Mirtillo

L’emittente mosse i primi passi nella sede de “la tribuna” sotto il patrocinio del suo direttore Roberto Fabbrucci, che comunque non fece parte della redazione; si caratterizzò subito come emittente impegnata e d’impronta più politica che d’evasione. Scelta editoriale che ne limitò gli spazi, relegandola al ruolo di nicchia dell’etere trevigliese.Questo nonostante le iniziative culturali (una su tutte la rassegna Eppursimuove) ed i momenti impegnati, infatti, non riuscì a conquistare lo spazio di radio locale che forse -proprio perché la sola radio trevigliese nata con un indirizzo giornalistico- avrebbe meritato. Qualche divergenza sulla linea politica da tenere, la una cronica mancanza di pubblicità e la stanchezza che ne derivò, portarono alla chiusura dopo pochi anni.

Radio England Treviglio

Dalle ceneri di Radio Liberty nacque Radio England il cui motto era “musica non parole”. Trasmetteva solo musica e pubblicità con qualche incursione nella vita cittadina quali la Messa di mezzanotte e quella del Miracolo in diretta con il supporto dell’indimenticato Don Piero Perego, improvvisato ma bravissimo commentatore . Conosciuta più per una martellante campagna pubblicitaria che per i contenuti veri e propri, forse non seppe far breccia negli ascoltatori trevigliesi proprio perché troppo distaccata e professionale: fu, infatti, la prima radio in Italia a dotarsi di regia automatica (completamente costruita e progettata al suo interno) e trasmettitori calibrati sulla stessa frequenza (strada che intraprese anni dopo con ben altro successo RTL e i suoi 102,5). Proprio per il suo taglio professionale e asettico non seppe raccogliere grandi consensi locali; Dissidi interni circa la linea

di conduzione portarono nel 1983 ad un rimpasto societario. Si traferì a Milano dove continuò l’attività con nomi diversi per un’altra decina d’anni fino a cedere le frequenze ed altre emittenti tra cui Radio Italia Solo Musica Italiana.

Tele Radio Treviglio

Pochi si ricordano questo nome, ma altro non è che la prima denominazione di Radio Zeta. Nacque, come TRT (Tele Radio Treviglio) dalle ceneri di Stereo Radio Treviglio Sound: alcuni personaggi di Radio Liberty (in primis il patron Angelo Zibetti) rilevarono quello che rimaneva di Stereo Radio Treviglio Sound e fondarono la nuova emittente nel novembre del 1976.

Indimenticabile la gaffe di Angelo Zibetti che inaugurò le trasmissioni di TRT con quest’annuncio “Benvenuto agli ascoltatori sulle frequenze di Radio Liberty”, dove aveva trasmesso fino al giorno prima... Connotatasi subito come emittente ge-

A sinistra Don Piero Perego in diretta su Radio England. Sopra piazza Garibaldi durante una manifestazione con Radio Mirtillo. Riconoscibili da sinistra Giovanna Vertova, Paolo Pescali in Vespa, Jo Pasinetti con la moglie e Francesca Cavazzuti. Si intravede a destra, con occhiali e capelli folti, Matteo Ferrari

neralista, divenne famosa per i programmi di liscio e revival, le dediche e l’intrattenimento di Eugenia Ferrari. Trasferitasi a Caravaggio e diventata Radio Zeta; spesso snobbata per i contenuti è oggi una delle emittenti regionali (in gergo superstation) più ascoltate in Italia, sempre con la formula originaria del liscio e del revival. Onore al merito quindi per Angelo Zibetti che ha saputo trasformare un’idea “paesana” e da molti snobbata in una florida realtà economica forte di un segnale che raggiunge ormai il centro Italia.

Radio Studio Uno

Era la radio della televisione di Treviglio. Non ebbe lunga vita, soprattutto perché l’emittente ruotava intorno ad una persona sola, Boris Riboldi, supportato per un certo periodo da Nicoletta De Ponti. Boris, uomo con piglio deciso e modo di trasmettere molto rudimentale, seppe conquistare per un breve periodo una buona fetta di ascolti femminili. Anche in questo caso l’impostazione generalista, forse troppo “casalinga” e piaciona, decretarono una fine prematura, lasciando un flebile ricordo in città del suo passaggio; oggi la sua frequenza 100,700 (che altro non era che quella di Radio Liberty) appartiene a Radio Alta di Bergamo. Ma quali erano i conduttori, i programmi e le iniziative che contribuirono al successo di queste emittenti, ed i motivi che portarono la loro fine? E quali sono i fattori per cui ancora oggi, dopo più di trenta anni, molte persone si ricordano “delle radio di Treviglio”? Lo leggerete nei prossimi numeri, ricostruiremo con testimonianze e immagini la storia di ognuna di loro. Storia che in parte riflette un po’ la Treviglio di quegli anni.

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Casirate d’Adda/Alberto Venezia

Il medico in pensione, ma non troppo... di Michela Colombo

Si innamora di una casiratese mentre è all’università a Pavia, poi per eventi inaspettati finisce per diventare il medico condotto ad Arzago e Casirate d’Adda. “Sono in pensione, ma non tutta la settimana”

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lasse 1944, nativo di Vignate Monferrato, Alessandria, sposato e padre di Luigi, il dottor Alberto Venezia è stato il medico di base di Casirate d’Adda e Arzago d’Adda, svolgendo con passione e dedizione il proprio operato per quarant’anni: ma per delineare la sua storia professionale di uomo occorre ripercorrere la sua strada. Studente alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia, conosce la futura sposa Gabriella, studentessa che seguiva le orme del padre, dott. Luigi Valoti, medico condotto a Casirate d’Adda dal 1958. Si innamorano ma non sanno quale sarà il loro futuro insieme, se in Piemonte o in Lombardia. Nel Giugno del 1974 la necessità di sostituire il dott. Valoti, gravemente ammalato, porterà alla scelta di Casirate d’Adda come residenza permanente della futura famiglia, dove il dott. Alberto Venezia inizierà la sua carriera di medico condotto anche di Arzago d’Adda. Prima della lunga esperienza maturata nei due paesi bergamaschi, il dottor Venezia aveva lavorato in ambiente ospedaliero, così arrivato nella Gera d’Adda dovette affrontare un momento difficile, in un ambiente lavorativo sconosciuto. Periodo

superato grazie al calore e all’umanità della gente del luogo, ma anche alla sua notevole capacità di adattamento, che gli permise di svolgere una brillante carriera attorniato dalla stima della comunità locale. “Anche se la tipologia di lavoro in ospedale e quello in ambulatorio è diversa sotto vari aspetti” ha spiegato il dottor Venezia, “la realtà in cui mi specchiavo già la conoscevo, provenendo anch’io da un paese: con questo posso confermare che i cittadini casiratesi, come quelli arzaghesi, mi hanno accolto con benevolenza. Infatti, superato l’impatto iniziale, le cose son cambiate migliorando via via”. Nei primi anni di lavoro, il rapporto con i pazienti era molto diverso: allora, prima degli anni ‘80 infatti, mancando la figura della Guardia Medica, le utenze facevano riferimento tutte al medico condotto, ovvero si recavano dal medico condotto solo lo stretto necessario. Successivamente, con

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la copertura totale del sistema sanitario, le visite sono diventate molto più frequenti. “Negli anni la professione del ‘dottore’ è cambiata” ha evidenziato il dottor Venezia “Poichè, sebbene ci fosse attenzione anche prima, ora si hanno a disposizione nuove conoscenze, macchinari di ultima concezione, esami approfonditi e specifici sempre meno invasivi e mirati. Inoltre, in passato, il paese era una comunità piccola, costituita da nuclei famigliari simili tra loro -nel modo di essere, di ragionare- ora occorre rapportarsi con situazioni molto diversificate, sia per provenienza che per cultura”. “Fino al 1983 sono stato Ufficiale Sanitario con funzione sull’igiene pubblica”, prosegue il dottor Venezia, “...e mi occupavo di varie mansioni, anche nell’ambito dell’amministrazione comunale, mentre nel 1983, essendo abbastanza oberato dai vari compiti, ho scelto di dedicarmi solo alla professione di medico di base. E sono molto contento di essere andato in questa direzione...”. Sette anni fa, dopo trentatrè anni di servizio, il dottor Venezia ha ricevuto un riconoscimento dalla Pro Loco di Arzago d’Adda, premio destinato alle persone che si sono distinte per il proprio operato: motivazioni di tale premio: “Aver dedicato continuativamente passione e dedizione alla propria attività di medico”. Attualmente il dott. Alberto Venezia è in pensione e svolge una vita tranquilla nella sua casa di Casirate d’Adda con la moglie e collega, la dottoressa Gabriella Valoti. “Una volta la settima però...”, precisa il medico, “faccio ancora attività ambulatoriale, sa, per rendere meno traumatico e più graduale, il distacco dai miei pazienti”. Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 63


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