Tribuna 03 2015

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Treviglio

Treviglio

Intervista al “Gruppo Meucci”, ovvero i maghi italiani della telefonia

Speciale musica: intervista a Paolo Belloli, Media Grossi e Filiberto Guerra

la tribuna NUOVA

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N° 3 - Marzo 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda

Il

AMTRE AR VIG CO LIO RD

sindaco lancia l’allarme

Marzo 2015 - la nuova tribuna - 1


l’Editoriale

I comuni della Gera d’Adda piegati da Bergamo perché divisi di Roberto Fabbrucci

Se il mondo politico locale, quello economico, le associazioni di impresa e i sindacati, non affronteranno insieme il pasticcio dell’autostrada Bergamo-Treviglio, la pianura rimarrà esclusa dal collegamento veloce con Malpensa, il Piemonte e l’Europa latina

Q

uesto numero de “la nuova tribuna”, grazie al tema affrontato dal sindaco Giuseppe Pezzoni e dall’ex sindaco Luigi Minuti, rimarrà nella storia locale come un punto di svolta riguardo alla risoluzione -o menodel problema delle infrastrutture lombarde. Ovvero in futuro sapremo se la presa di posizione bipartisan di due politici d’area opposta, Pezzoni e Minuti, porterà ad un’aggregazione locale della politica, delle istituzioni, del mondo economico e produttivo o se cadrà lettera morta. Stiamo parlando del collegamento autostradale PedemontanaBrebemi, ovvero Bergamo-Treviglio, cioè dell’avvio del progetto Ipb (Autostrade Bergamasche), mille volte discusso e ridiscusso, poi finalmente approvato dagli enti politici e istituzionali preposti. Infatti, l’aria che tira in alcune aree politiche -anch’esse trasversali- è di rinunciare o stravolgere la bretella che da senso compiuto alle infrastrutture autostradali lombarde e che permetterebbe di attraversare la regione senza bloccarsi con code interminabili -e incidenti gravi- tra Dalmine e l’innesto della Tangenziale Est di Milano ad Agrate. Senza più alimentare –ogni ora- le rubriche radiofoniche specializzate riguardo gli intasi di Cormano, quindi rendere possibile il collegamento con Malpensa e il Piemonte senza che diventi un’avventura. A questi ripensamenti continui ci ha abituato la Seconda Repubblica, questo anche quando le istituzioni avevano già passato ogni analisi possibile e

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immaginabile, quindi il voto delle assemblee elette, il sigillo finale dei rappresentanti del popolo. E’ il costo della distruzione dei partiti, che se pure ingombranti, facevano una scelta e quindi la portavano a termine, indipendentemente dalle sensibilità delle singole persone. La decisione faticosa era stata presa e non si poteva tradire il mandato, tantomeno le istituzioni che avevano elaborato quella scelta. Dal 1994 l’obiettivo non è più la raccolta di consenso, quindi di voti ad un partito con un progetto, un programma, che poi si cercava di realizzare, ma la funzione dei singoli politici, l’ombelico del mondo. Per cui un volantino distribuito in piazza da un gruppetto di dubbiosi dopo la Santa Messa, conta più del voto costituzionale di milioni di persone. Come se alla Fiat, dopo aver fatto ricerca, studi, trovato finanziamenti, costruito fabbriche, prima di portare l’energia elettrica all’impianto di montaggio quasi finito, si bloccasse tutto perché qualche dipendente distribuisce una lettera all’ingresso del reparto. Questi sono i retroscena veri, c’è poi la versione pubblica, quella che parla di mancanza di risorse, quindi impossibilità a realizzare il progetto, “…meglio farne uno alternativo”. Il problema è che le infrastrutture quando si fanno rimangono e influenzano per i secoli a venire le altre infrastrutture, la vita economica, l’ambiente, la storia di un popolo, non è che ci si può ripensare! Non c’è alternativa, se non cercare i soldi e realizzare l’opera progettata. Non si devastano territori, ambiente e la vita degli altri (chi ci succederà nei secoli), inventandosi una strada rabberciata con la falsa scusa che costa meno. Questo è un aspetto della politica oggi, l’altro è che con la stessa logica, ovvero dell’orto di casa, non si crea aggregazione tra comunità e forze politiche per salvaguardare il “Bene comune”, tanto invocato e mai realizzato. Se Treviglio e la Gera d’Adda contano poco o nulla, quindi le scelte della regione o della provincia vengono prese sopra la loro testa, è perché ogni campanile fa a se, come fossimo ancora nel settecento, soggetti ad assalti di briganti locali e non in un contesto dove le nostre imprese –nonostante la politica- sono prime nel mondo. Magari pensare a loro, alla gente che ci lavora, al reddito che producono, al benessere che diffondono, aiuterebbe. Perché le imprese stanno facendo l’impossibile, addirittura si stanno attrezzando per fare i miracoli, ma a tutto c’è un limite. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 3


il Sommario ECCELLENZE/ASSOCIAZIONISMO 33 - “I ventuno anni degli Amici del Chiostro”, (Luciano Pescali); 34 - “I Maghi della telefonia”, “Il Gruppo Meucci di Treviglio”, “Il programma didattico degli incontri”, (Roberto Fabbrucci);

TREVIGLIO

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Intervista al “Gruppo Meucci”, ovvero i maghi italiani della telefonia

Speciale musica: intervista a Paolo Belloli, Media Grossi e Filiberto Guerra

la tribuna NUOVA

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N° 3 - Marzo 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda

EMITTENTI LOCALI

SCUOLA MATERNA/ECCELLENZE APERTURE E COMMENTI 6 - Autostrada Treviglio-Bergamo: “Pezzoni: suoniamo insieme l’allarme”, “Se Bergamo ci boicotta, dobbiamo rispondere” (Roberto Fabbrucci); 8 - “L’Ipb non solo utile ma indispensabile” (Luigi Minuti); 9 - Infrastrutture - “Senza la Bg-Treviglio salta il sistema viario”;

PERSONAGGI POLITICI 10 - “Quando la politica si faceva con il cervello”, intervista postuma a Ferruccio Gusmini (Carmen Taborelli);

TREVIGLIO/EVENTI 12 - “Treviglio e la bella primavera del Fai”, intervista ad Antonella Bacchetta Annoni (Daniela Invernizzi);

TREVIGLIO/PREMI 14 - “Il Premio Madonna delle Lacrime a Qcom”, (Valentina Villa); 16 - “Matteo vince con la Framboise Suprême”, (Lucietta Zanda), “La fiera agro alimentare per eccellenza”; 18 - “La Grossi, scuola delle sorprese”, “San Martino d’Oro? ...ma faccio il mio lavoro”, intervista a Filiberto Guerra; “Soddisfazione e commozione...”, intervista a Brigida Simone” (Maria Palchetti Mazza);

PERSONAGGI 21- “Una vita per la musica e Treviglio”, intervista a Paolo Belloli (Hana Budišová); 23 - “La mia testa in Perù” intervista ad Angelo Goisis” (Ivan Scelsa);

38 - “La lungimiranza dell’abate Carcano”, “La rivoluzione partì dall’Abate Ferrante Aporti”, (Beppe Facchetti);

EXPO/TESORI GERA D’ADDA 40 - “Casirate, Manzoni e l’amata Enrichetta”, (Michela Colombo); 41 - “La Gera d’Adda e i Promessi Sposi” (Giorgio Vailati); 42 - “Come mai Manzoni ci conosceva bene”, (Marco Carminati), “Manzoni e il magnetismo animale” (Roberto Fabbrucci); 44 – “Se un romanzo fa promozione”, “Due passi nella Bassa Bergamasca con Caravaggio, Verdi e…” (Roberto Fabbrucci);

TREVIGLIO E LA STORIA 46 - “Napoleone trovò ospitalità a Treviglio” (Carmen Taborelli); 47 - “Trevigliese scopre l’uva pre fenicia in Sardegna” (Roberto Fabbrucci); 48 - “La nostra storia secondo Olmi”, (Ivan Scelsa), “Il regista la trovò per sbaglio nella nebbia” (Maurizio Plebani)

TREVIGLIO/VOLONTARIATO 50 - “Santuario: cronaca di un restauro”, “Come nasce l’associazione Amici del Santuario” (Franco Pellaschiar);

PERLE/CASTEL ROZZONE 52 - “Libretto d’istruzione per un’opera d’arte”, “Il pilota dell’Anima” (Roberto Fabbrucci);

PEDALANDO NEL TEMPO 54 - “Negli anni del riscatto nacque il Pedale” (Ezio Zanenga);

DISAGIO GIOVANILE

CASIRATE/CATERINA COLOMBO

24 - “Quei ragazzi che fuggono da casa”, interventi di Pinuccia Zoccoli e Antonio Nocera (Carmen Taborelli);

55 - “La postina con gli zoccoli, mia madre”, (Michela Colombo);

TREVIGLIO EDITORIA 26 - “Come nascono i libri di Maria”, intervista a Maria Palchetti Mazza (Daniela Invernizzi);

STORIA/MPRESE D’ECCELLENZA 56 - Autolinee Sai “Dopo la Grande Guerra l’idea” (Ivan Scelsa);

ECCELLENZE/IL PIU’ BUON ESPRESSO

TREVIGLIO AMARCORD

59 - “E’ la macchina che fa il buon caffè” (Silvia Girdina);

27 - “Virginio Monzio Compagnoni, l’uomo che pesca i ricordi” (Giorgio Vailati);

LA STORIA/IL CORO ICAT

PERSONAGGI/FOTOGRAFI

LETTERE AL DIRETTORE

30 - “Mario Marantonio, fotografo a Treviglio”, (Lucietta Zanda); 32 - “E Ildebrando regalò un fotomontaggio” (Giorgio Vailati);

62 - “Il gran bazar dell’Ufficio Postale”, “Una terrorista è cittadina onoraria”, Il Comune di Treviglio sulla sicurezza latita”.

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Il

sIndaco lancIa l’allarme AMTRE AR VIG CO LIO RD

36 – Pienneradio “Da Pontirolo sulla cresta dell’onda”:

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Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 - Nuova Edizione Anno 1 - n° 3 - Marzo 2015 EDITORE “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@nuovatribuna.it Tel. 0363 1970511

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Treviglio e la Bassa devono reagire

Pezzoni: suoniamo insieme l’allarme Il sindaco di Treviglio preoccupatissimo: “Le istituzioni bergamasche stanno demolendo due progetti fondamentali: la formazione professionale e il collegamento Bergamo-Treviglio. Rispondiamo!”

C

aro Direttore, arrivo al terzo numero de “la nuova tribuna” con i complimenti per la ripresa dell’attività editoriale e l’augurio per il successo dell’iniziativa. Rispetto alla versione della testata che ho conosciuto negli anni scorsi -ed a qualche numero della quale avevo collaborato- mi pare che siano ben più numerose le pagine che lanciano un messaggio positivo di forza ed entusiasmo, raccogliendo l’orgoglio di Treviglio e della pianura e rilanciandolo ben oltre la crisi che stiamo vivendo. È, davvero, un’iniziativa apprezzabile, per cui mi sento di ringraziare, da responsabile di un’amministrazione comunale che proprio su questa filosofia, volta a premiare sforzi ed eccellenze di tutti coloro che aiutano nel cammino insieme, ha costruito la sua proposta ed il suo programma elettorale. Vedo però un paio di nuove nuvole all’orizzonte, che destano qualche preoccupazione e che derivano dalle scelte (o meglio, per ora, solo dagli “orientamenti”) che sta assumendo la nuova provincia di Bergamo.

Due temi: formazione professionale e collegamento Bergamo-Treviglio

Nel settore della formazione professionale stiamo tutti apprezzando il lavoro ed i risultati di ABF, Azienda Bergamasca Formazione, che ha aperto a Treviglio nella palazzina del Mozzali, con il sostegno economico degli Istituti Educativi, un corso per operatori di sala e uno per operatori di cucina, che si affiancano a quello di pasticceria avviato negli anni scorsi, con quello di falegnameria, a Castel Rozzone. Nel solo ultimo anno molti alunni, che hanno partecipato anche a concorsi esterni alla scuola, hanno raggiunto risultati di rilievo. L’ultimo successo, ma il più significativo, quello del trevigliesissimo Matteo Manzotti (nella foto accanto), è stata la vittoria al concorso Golositalia, il più giovane e promettente dei concorrenti. Complimenti, Matteo! Ecco, ad una scuola così, che ha bisogno di spazi per crescere e svilupparsi, si sta negando la possibilità di ampliarsi. Il progetto è da predisporre da parte della Provincia, i soldi - cosa miracolosa in questi tempi - ci sono già (e non arrivano dalla Provincia ma da Regione Lombardia, Fondazione Cariplo e Fondazione degli Istituti Educativi). Un investimento da

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due milioni di euro per far crescere l’offerta formativa professionale nella nostra area, che tanto l’ha attesa negli anni. Perché si attende? forse è necessario realizzare sedi in altre zone della provincia. E mentre si pensa a questa idea, molti dei richiedenti rimangono a casa, perché non fortunati abbastanza da essere sorteggiati per l’iscrizione. E, caro Direttore, inizio ad avere qualche dubbio anche sul collegamento BergamoTreviglio. La riunione recentemente organizzata in Provincia, a cui ho partecipato, mi pare abbia ridotto un’infrastruttura di importanza almeno regionale se non nazionale, ad una questione di ben più basso livello. Non si tratta “solo” del nodo di Verdello, importante sia chiaro, o di qualche altro passaggio locale: si tratta, se ben si osserva con la cartina alla mano, di dare respiro al collegamento tra Brebemi e Pedemontana, realizzando la vera alternativa alla A4, che può essere decongestionata ed affiancata dal sistema viario in corso di realizzazione. È una questione che riguarda la nostra Città e la nostra Provincia, ma riguarda anche Brescia e Milano, assenti al tavolo delle consultazioni, così come sono

Se Bergamo ci boicotta, dobbiamo rispondere

I assenti le rappresentanze di categorie che di queste strutture fanno uso, dagli automobilisti agli autotrasportatori. Al presidente della Provincia ho suggerito di allargare la rappresentanza anche a queste categorie ed a questi enti, perché l’infrastruttura che si intende realizzare possa essere di utilità e significativa (anche con qualche sacrificio, come è sempre accaduto in questi casi...) e non un’opera di piccolo cabotaggio, che vanifica quanto fatto ed in corso di realizzazione. Ecco, Direttore, il motivo per cui la invito a tenere alta l’attenzione su questi due temi: facciamo suonare, insieme, due campanelli d’allarme perché non si cada, nel caso del collega-

Sopra l’irraggiungibile Bergamo (20 km in 60’). A destra il sindaco di Treviglio Beppe Pezzoni, sotto l’uscita della A4 a Bergamo. Infianco Matteo Manzotti, pasticcere dell’anno citato dal sindaco, allievo della scuola professionale di Treviglio Abf.

mento Bergamo-Treviglio, nella definizione di una soluzione che lascia irrisolti problemi ben più ampi di quelli che probabilmente potranno essere superati e, per la questione dell’ampliamento dell’edificio da dedicare alla formazione professionale, perché venga garantita la disponibilità degli spazi per la realizzazione dei corsi richiesti dai nostri giovani. Vero, il sistema delle doti regionali è in contrazione; vorrei però che fosse possibile trattare con la Regione per vedere aumentato il numero dei

posti disponibili piuttosto che dovermi rassegnare da subito ai numeri attuali perché non ci sono (pur potendo essere realizzate...) le aule in cui ospitare i nostri ragazzi. La ringrazio per il sostegno che sicuramente, anche per il tramite de “la nuova tribuna”, potrà dare all’approfondimento ed alla discussione su questi temi: si tratta, in entrambi i casi, di superare - e spero davvero sia possibile- l’orizzonte della polemica locale per costruire soluzioni per il futuro che vedano nella Città di Treviglio lo snodo fondamentale per la crescita della nostra zona. Un saluto cordiale. Giuseppe Pezzoni (Sindaco di Treviglio)

l sindaco Beppe Pezzoni lancia l’allarme riguardo al pericolo che la provincia di Bergamo -ancora una volta- penalizzi la Bassa Bergamasca e Treviglio in particolare, bloccando lo sviluppo d’infrastrutture scolastiche d’eccellenza e quelle viarie fondamentali. L’ex Ipb (Autostrade Bergamasche), infatti, non solo è decisiva per Bergamo e la pianura, ma addirittura per i collegamenti della Lombardia e del nord Italia. D’altronde la provincia di Bergamo e il mondo, almeno per i bergamaschi, finiscono a Verdello, al massimo ad Arcene, al Fosso Bergamasco. Treviglio e la Gera d’Adda, l’Europa non esistono nei discorsi dei bergamaschi, non esistono nella politica, non esistono, punto. Amanzio Possenti, per decenni capo redattore dell’Eco di Bergamo, veniva preso in giro dai colleghi “cittadini” perchè insisteva nel dar spazio a Treviglio e la bassa sul quotidiano. Per i bergamaschi esistono la Città dei Mille e le valli, il resto è noia. I denari pubblici sono sempre finiti in quelle due aree: la Grande Bergamo e le valli. E adesso la loro preoccupazione é come pagare 23 milioni extra della variante di Zogno, senza preoccuparsi, invece, di trovare i 2 miseri milioni per la tangenziale sud di Treviglio: da via Calvenzano all’Ospedale. Non bastasse, stanno cercando di bloccare lo sviluppo del’ABF (Azienda Bergamo Formazione), deviando le risorse economiche già destinate alla scuola professionale di Treviglio (eccellenza nella ristorazione), che sta producendo risultati straordinari. Se questo sarà, certamente accadrà che oltre a problemi di collegamenti viari e di Pubblica Istruzione e formazione Professionale, avremo un’area che sempre di più si allontanerà dal capoluogo, per orientarsi verso la metropoli, integrando poi le funzioni con Crema e Lodi. (r.f.) Marzo 2015 - la nuova tribuna - 7


Infrastrutture/Bergamo le blocca

Senza la Bg-Treviglio salta il sistema viario I mal di pancia che stanno facendo nascere ripensamenti di alcuni politici, non tengono conto che l’opera -già decisa- fa parte di un sistema che va completato, pena il degrado ambientale ed economico

Minuti: Ipb non solo

utile ma indispensabile di Luigi Minuti

Anche l’ex sindaco di Treviglio ritiene che l’Ipb sia essenziale quanto la nuova tangenziale esterna di Milano. Senza la Bg-Treviglio la Pedemontana e Brebemi sarebbero prive dell’anello di consiunzione

E

‘ riduttivo parlare dell’infrastruttura autostradale in progetto che collegherebbe, in modo più celere e diretto Treviglio con Bergamo, sulla base degli interessi localistici. Soprattutto perché si tratta di un’opera di interesse interregionale, vocata a rendere permeabili tra loro le vaste aree a nord con la pianura, ovvero connettere Pedemontana, Brebemi -ed auspicabilmente entrambe- con Lodi e l’Autostrada del Sole. Vista in questi termini la nuova autostrada ha la stessa valenza della Tangenziale esterna est milanese, senza la quale la Brebemi non avrebbe senso compiuto. Entrambe le autostrade, Pedemonatana e Brebemi, se prive di questo essenziale anello congiuntivo, risultano depotenziate e parzialmente vanificate. Questo dopo tante attese, tante fatiche, tanti investimenti e tante compromissioni. Eppure anche le valenze locali vanno computate e a mio avviso concorrono anch’esse -se ragionevolmente valutate- a confortare la scelta di aprire senza ulteriore indugio questo nevralgico cantiere che, per la prima volta dopo 170 anni (quando venne realizzata la ferrovia) porrebbe di nuovo in collegamento ‘celere’ Bergamo con Treviglio. Il fatto che per percorrere i ventidue

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chilometri si impiegano di media un’ora e quindici minuti, è un’assurdità ed un autentico surreale ‘muro di Berlino’ che concorre a rendere i due territori più che distanti, ‘impenetrabili’. Poi la mancanza o il ritardo nelle comunicazione giustifica e inasprisce la loro storica separatezza; paga Bergamo di essere il punto di approdo delle sue valli e del suo popoloso interland, ancor più paga Treviglio del suo storico collaudato ed ora celerissimo collegamento con Milano. Il bilancio ambientale comunque lo si computi è positivo, l’inquinamento prodotto dal serpentone di macchine in code concorre non poco al superamento dei limiti di accettabilità degli scarichi in atmosfera di CO2, che a breve potrebbero comportare onerose sanzioni da parte dell’UE che

già ha avvisato il Governo Italiano. Certo che il progetto dovrà tenere conto dell’ambiente, ma l’ambiente è fatto di terra e di aria e l’aria adesso è irrespirabile, poi è fatto di donne ed uomini che se potessero godere di una mezz’ora di tempo in più sarebbe utile alla qualità della propria vita. La questione localistica va detto, poteva e può trovare soluzioni alternative. Penso ad esempio all’utilizzo della ferrovia recentemente ed avvedutamente raddoppiata sulla linea Treviglio-Bergamo, dove i bei treni della TEB (Tranvie elettriche bergamasche) potrebbero scorrere in un disegno di estensione e completamento di quel progetto che, mentre poneva a soluzione il problema del collegamento celere di Bergamo con le sue Valli (risolvendo prioritariamente quello con la Valle più popolosa, la Seriana), dimenticava che la Provincia prosegue anche a Meridione, e che come diceva saggiamente il mio collega Giuseppe Longhi (grande sindaco di Romano), arriva anche a Romano ed a Treviglio. Mi rendo conto che questo treno alternativo è più difficile ora da prendere. Infatti. mentre fino ad un decennio fa i bilanci provinciali potevano permettersi il finanziamento di tale estensione della TEB alla parte sud della Provincia, oggi opere di questa portata divengono fattibili solo se vi soccorrono i capitali privati ed i rientri pianificati tariffariamente. In realtà ci sarebbe un modo per rendere questa soluzione su rete ferroviaria fattibile, ma non penso che l’istituzione provincia attualmente in discussione nel suo stesso esistere, sia in grado di praticarla. Questa consisterebbe nel forzoso impiego, in quest’opera di strategica attuale utilità, dello straordinario patrimonio della manomorta di alcune orobiche istituzioni storiche di assistenza e beneficenza, che da decenni hanno perso la loro ragione d’essere ma che sopravvivono ibernate, impegnate non più a onorare i legati dei lasciti originari, ma gestire immensa liquidità e immenso patrimonio.

I

l tratto autostradale Milano-Bergamo della A4 è il più congestionato d’Italia e probabilmente d’Europa. Il recente quadruplicamento non ha risolto il problema, anzi ha evidenziato come la barriera di Agrate e la successiva tangenziale nord di Milano costituiscano un costante blocco stradale, vero incubo di qualsiasi automobilista o autotrasportatore che debba attraversare la pianura padana. Questo ingorgo non inibisce solo la direzione est-ovest del nord Italia, ma anche la mobilità nella direzione di Malpensa, dei laghi lombardi, della Svizzera e dei trafori che portano nel nord-Europa. Però una alternativa c’è già, non solo progettata ma anche in buona parte realizzata ed in fase di esecuzione. E’ il sistema BreBeMi-Ipb-Pedemontana, dove per IPB si intende l’Interconnessione tra le due opere, l’unico tracciato che può consentire l’attraversamento est-ovest della Lombardia senza entrare nella A4 né nelle tangenziali di Milano, collegando anche le direzioni verso nord. In questo momento è in discussione il tratto IPB, cioè il tracciato di meno di 10 chilometri tra Treviglio (fraz. Pezzoli) e Capriate (innesto nella Pedemontana). Se tutti gli Enti chiamati a decidere nel merito e a finanziare l’opera capissero il semplice ragionamento che è evidente a tutti guardando la gradica sotto riportata, non ci sarebbero dubbi che quest’opera

sarebbe decisa e realizzata con la priorità che le spetta. Per questo motivo “la nuova tribuna” per il prossimo numero cercherà di far esprimere nel merito l’Assessore regionale alle Infrastrutture Alessandro Sorte (di Brignano), i Ministri ai Lavori Pubblici Maurizio Lupi (lombardo) e il ministro Maurizio Martina (nostro conterraneo). E perché no, gli amministratori di Lombardia, Piemonte e Veneto che sono interessati ad offrire ai loro autotrasportatori la fine dell’incubo dell’attraversamento di Milano. Anche il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori siamo certi che gradirebbe l’effetto spugna che questo sistema alternativo indurrebbe sulla A4 Bergamo-Milano alleggerendone di molto il traffico. A4 e BreBeMi sono oggi le facce della stessa stupida medaglia: una faccia inutilizzabile perché intasata ed una inutilizzata perché carente di interconnessioni nel sistema autostradale. Per Treviglio e la Gera d’Adda c’è l’obiettivo di completare il nodo intermodale (mobilità ferro-gomma) oggi molto ricco per l’offerta ferroviaria ma incompleto per il verso stradale. Inoltre la bretella Treviglio-Arzago oggi in fase di realizzazione, se completata verso Capriate e potenziata verso Lodi costituirebbe finalmente il sistema di connessione rapido ed efficace con A1 ed A4 che ci manca da sempre. dir

Sintesi Tracciato Pedemontana - BreBeMi

L

’Interconnessione autostradale del Sistema Viabilistico Pedemontano con il raccordo autostradale diretto Brescia-Milano (IPB), è tra le opere viabilistiche prioritarie di Regione Lombardia e consiste nel collegamento delle due autostrade in territorio bergamasco. L’intervento fa parte del pacchetto delle autostrade regionali, assieme alla Cremona–Mantova e all’autostrada Broni–Pavia–Mortara. Il progetto preliminare predisposto dal promotore Autostrade Bergamasche Spa prevede lo sviluppo dell’autostrada regionale tra Boltiere (interconnessione con l’Autostrada Pedemontana Lombarda) e Casirate d’Adda (Interconnessione con l’Autostrada BreBeMi), per un totale di 12,9 km. Completa il progetto l’opera connessa di raccordo con la tangenziale sud di Bergamo per ulteriori 5,9 km in comune di Osio Sotto. Come ulteriori opere sono previste le seguenti interconnessioni con la viabilità esistente: collegamento con la SP 184 nei comuni di Osio Sotto e Boltiere; collegamento alla SP n. 122 Francesca in comune di Ciserano e suo adeguamento in sede per la connessione della zona produttiva sovra comunale conosciuta come di Zingonia; collegamento alla SP 142 e raccordo alla SS 42 in comune di Treviglio; collegamento alla ex SS 11 in comune di Treviglio e interconnessione con BreBeMi in corrispondenza del casello di Casirate d’Adda. Le opere connesse si sviluppano complessivamente per 11.241 km. Sono interessati i territori comunali di Boltiere, Casirate d’Adda, Ciserano, Dalmine, Fara Gera d’Adda, Levate, Osio Sopra, Osio Sotto, Pontirolo Nuovo, Stezzano, Treviglio, Verdellino. Il 31 gennaio 2012 si è chiusa favorevolmente la Conferenza dei Servizi (indetta con DGR n. 2418 del 20 ottobre 2011) per la valutazione e l’ approvazione del progetto preliminare con 4 comuni contrari (Osio Sotto, Levate, Verdellino e Osio Sopra) su 17 soggetti con diritto di voto (di cui 12 comuni). Marzo 2015 - la nuova tribuna - 9


Una mirabile visione strategica

Quando la politica

si faceva col cervello a cura di Carmen Taborelli

Avversario storico de “la tribuna”, aveva però in comune con la redazione la passione per la politica e una visione strategica del futuro. Già negli anni ‘60 aveva chiari i temi oggi in discussione e non risolti

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armen Taborelli ha proposto la pubblicazione di questa intervista a Gusmini risalente alla metà degli anni ‘90, che non trovò allora spazio su altra stampa. Considerati i rapporti politici difficili intercorsi con il direttore de “la tribuna” in quel venticinquennio, è d’obbligo un’introduzione. Non certo per prendere le distanze, tutt’altro, ma per fornire ai giovani che di quel periodo sanno poco, qualche elemento per capire, ovvero immaginare un mondo -quello fino al 1992/1993- dove gli avversari politici non erano nemici che si odiavano. La politica, almeno quella dei militanti dei partiti democratici, pur con le asprezze inevitabili, sapeva distinguere l’uomo dal suo ruolo. Così pure essendo un caro amico con il quale nei momenti più drammatici ci si è sostenuti, abbiamo sempre camminato su due binari paralleli, ma diversi. Per cui se pur non condividevo la linea politica e il metodi di amministrare localmente di Ferruccio, apprezzavo interamente la sua intelligenza, la sua capacità di osservare il futuro, di pensare a come organizzare le forze in campo per preparare il territorio alle sfide degli anni 2000. Purtroppo Ferro, “la tribuna” e tutti

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noi, abbiamo perso questa battaglia. La programmazione viene fatta alla giornata e il futuro è un’incognita. Ciò non toglie che si debba e possa sperare ad un rinsavimento degli uomini e questa intervista aiuta a capire un metodo. (Roberto Fabbrucci)

Un’antica intervista a Ferruccio Gusmini

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oco meno di cinque anni fa, il 19 giugno 2010, moriva Ferruccio Gusmini. Aveva 73 anni. Laureatosi in Economia e Commercio nel 1966, insegnò Ragioneria e Tecnica Commerciale all’Istituto “Guglielmo Oberdan” di Treviglio. In molti l’hanno stimato e conosciuto; proprio per questo non sto a ripercorrere la sua lunga militanza politico-partitica, nemmeno elenco le diverse e importanti cariche istituzionali che ha ricoperto, per un trentennio, a livello locale e regionale. Intendo, invece, proporre ai lettori della “Nuova Tribuna” una lunga intervista rilasciatami da Gusmini, e rimasta in sospeso, tra le carte del mio archivio per oltre vent’ anni. In un tempo in cui la pochezza politica è assai diffusa, in un tempo in cui ci si

accontenta degli arbusti e delle basse tamerici di virgiliana memoria, allora credo sia persino terapeutico ascoltare la voce di chi pensava alla grande e con lungimiranza. Questo il testo dell’intervista. Dottor Gusmini, negli anni Settanta, lei ha firmato il progetto “Treviglio 2000” contenente le linee guida per lo sviluppo globale della nostra città, inserita in un territorio con il quale interagire. Quali sono i punti più qualificanti del progetto”? “Nel 1970 ero assessore del Bilancio e della Programmazione del Comune di Treviglio. Mi occupai della riorganizzazione della allora Imposta di Famiglia che mi portò dapprima una notevole opposizione dei benpensanti e anche una certa ilarità e sconcerto nell’intero mondo trevigliese perché avevo osato lanciare il sasso nello stagno, in un microcosmo fermo e addormentato, abituato a non pagare le tasse e ad accontentarsi del poco. Mi ricordo che un mio amico di allora, che ci ha lasciato da un po’ di tempo, Ersilio Oreni, mi diceva: “Guarda che se la tassa famiglia così come la vuoi tu non passa, noi della sinistra ti faremo fuori”, e per sinistra intendeva i democratici della Cisl e delle Acli, “Se invece passa, ti faranno fuori quelli della destra” e per destra intendeva i democratici dei Comitati Civici, cioè Luigi Meneguzzo, Michele Motta, Gianni Chiari. Invece tutti insieme, dopo un po’, mi chiesero di fare il Sindaco di Treviglio e si formò una “corrente” che era il centro del centro, cioè una corrente che, invece di esaltare il Centro-destra o il Centro-sinistra, esaltava il Centro, cioè la capacità di mediare le situazioni, avere idee ma anche un sano pragmatismo, risolvere, senza conflitti laceranti, comportarsi in modo armonico, dare il giusto rispetto alla sostanza ma anche alla forma, rispondere ai quesiti dell’efficienza e dell’efficacia, del sufficiente e del necessario. Mi ricordo che il primo atto fu la ricer-

ca di un potenziamento del bilancio e il secondo fu quello di raccogliere la sfida del 2000: eravamo nel 1970, cioè trenta anni fa. In che consisteva questa sfida? Non nella ricerca del giusto o dell’ingiusto, cioè in una proposta etica e morale, ma nel prendere atto di una realtà oggettiva, una realtà storica e soprattutto geografica: Treviglio è periferica a Bergamo, ma è al centro della Lombardia. Da questa semplice constatazione scaturisce tutto il progetto. Dicevo allora e ridico anche adesso che gli interessi legittimi dei trevigliesi e in genere di tutti i cittadini bergamaschi della Bassa, cioè gli interessi di Treviglio, Caravaggio, Martinengo, Romano, Calcio, non possono coincidere con gli interessi di Bergamo e delle sue Valli. Noi non siamo una valle orizzontale rispetto alle altre verticali e convergenti sull’imbuto o collo di bottiglia che è Bergamo; noi siamo aperti verso la pianura tra Milano e Brescia e senza il nostro territorio, risucchiato da Bergamo, anche Milano e Brescia hanno una discontinuità, e ciò non

serve a nessuno, nemmeno a Bergamo. Dobbiamo rispolverare un progetto che veda la Bassa protagonista, non tanto in opposizione al Capoluogo, ma che valorizzi la propria peculiarità vocazionale ed economica. È necessario avere un Piano Urbanistico dell’intero territorio, tra l’Adda e l’Oglio, nel loro tratto mediano, cioè da Treviglio a Calcio, e in questo studio, che è anche e soprattutto viario, constatare che Treviglio e Caravaggio potrebbero diventare un’unica realtà e lanciare anche l’idea di una loro possibile compenetrazione, sviluppando in tal caso una energia economico-finanziaria tale da rilanciare l’intera nostra realtà con parametri che, nel mio progetto “Treviglio 2000”, chiamavo parametri europei. Non vorrei entrare nei particolari, ma sono disponibile ad entrare in un gruppo che sappia e voglia mettersi a disposizione con entusiasmo. Un gruppo composto da persone disponibili a pensare oltre al proprio parametro”. Invece, dottor Gusmini, si è affermata la logica della frammentazione, degli interventi di piccolo cabotaggio, estemporanei, del tipo “Oggi si recita a soggetto”, senza copione, improvvisando. Quali sono le cause di questo stile politico? “Le cause di questo stile politico stanno nelle premesse del mio intervento, nella incapacità di prendere atto dell’oggettivo e, ancor peggio, nel non rendersi conto che esiste l’oggettivo: quello che è, è. Oppure nell’interessarsi troppo ai propri raffreddori quotidiani e non accorgersi che sta arrivando la peste. Bisogna avere scopi chiari, nuovi, grandi e poi fare. Ecco due aforismi che condivido: ‘Avere di mira grandi obiettivi si raggiungono anche i piccoli e i medi’. E Copertina de “la tribuna” disegnata da Carmelo Silva nel settembre 1980. Sopra Ferruccio Gusmini con Pino Cesni al tiro a segno, quindi con il presidente di Treviglio-Basket Giuseppe Rivoltella e in un ritratto del 1972. Accanto la festa della sua classe, il 1937.

ancora: ‘Piccole piante spaccano l’asfalto perché non lo sanno che è impossibile’. L’atteggiamento di coloro che dicono ‘è impossibile’ non li porta a spaccare l’asfalto. Coloro che si accontentano, non fanno. La pianticella spacca l’asfalto perché deve raggiungere la luce”. C’è ancora tempo per raddrizzare il timone? E come fare? “Il timone si può raddrizzare? Ritengo di sì! Bisogna però creare il centro del Centro, aderendo a un gruppo che ha autostima, che non cerca di occupare sedie per gestire il nulla, ma per costruire le sedie su cui sedersi dopo essersi formato su un progetto. È positivo sognare, ma bisogna fare e per fare bisogna informarsi, organizzare e pianificare. Personalmente credo nel gruppo; non credo nelle cose estemporanee; non capisco la logica secondo cui, attorno a casa mia, cioè in via Bergamo n. 20, ci debbano essere tre supermercati; perché il Comune dia, ad associazioni di parte, in affitto immobili comunali in esclusiva. Non mi piacciono alcune costruzioni sorte nella nostra città, che assomigliano a quelle costruite a Parigi negli anni Cinquanta e che, come mi dissero alcuni architetti parigini, sono un esempio non ben riuscito di abitazioni per immigrati algerini. Non mi piace la politica degli interventi a pioggia per accontentare tutti, anche se spesso questa pioggia si trasforma in acquazzone. Non mi piace la politica dei senza cultura, di quelli che vogliono gestire per sentirsi importanti. Credo che il successo e la realizzazione delle prospettive siano una porta molto larga ma anche molto bassa. Per vincere bisogna essere umili. Non dobbiamo porci il problema di chi farà il sindaco. Il futuro sarà radioso se con determinazione, ambizione, volontà saremo capaci di avere un pool di intelligenze capaci di pensare alla grande. Il più umile di coloro che si impegneranno, sarà il Sindaco di Treviglio. E sarà il raddrizzatore del timone”. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 11


Eventi/Due giorni in vetrina

Treviglio e la bella primavera del Fai a cura di Daniela Invernizzi

Il 21 e il 22 Marzo varie iniziative evidenzieranno le eccellenze trevigliesi: il Polittico, il Mulino Fanzaga, Explorazione, il Museo Same, la Cascina Ganassina, il palazzo Galliari, i maestri dell’intarsio ed altro ancora

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artiamo subito dalle belle notizie: Treviglio sarà la protagonista delle Giornate Fai di Primavera 2015 nel nostro territorio; il Mulino Fanzaga è arrivato terzo nella speciale graduatoria dedicata a Expo 2015. Ne parliamo con Antonella Bacchetta Annoni, capo delegazione Fai di Treviglio, che esprime soddisfazione per il risultato ottenuto. “Il 19 febbraio abbiamo saputo delle graduatorie. Il Mulino Fanzaga ha ricevuto 8.000 voti, arrivando terzo nella speciale graduatoria che il Fai ha istituito quest’anno in concomitanza con Expo 2015, invitando a segnalare luoghi legati in qualche modo al tema dell’alimentazione. Adesso bisogna aspettare per capire se arriverà il finanziamento, poiché si tratta di una procedura speciale legata a un avvenimento speciale”. Del Mulino Fanzaga abbiamo parlato ampiamente nel primo numero di questa rivista, e ormai tutti i trevigliesi sanno che si è costituito un comitato per salvare questo importante monumento storico-architettonico risalente al 1300. La delegazione Fai di Treviglio ha deciso di appoggiare questa iniziativa proponendo per il concorso legato a Expo 2015 la candidatura del Mulino Fanzaga , esempio di luogo dove, fino a pochi decenni fa, si “nutriva il pianeta”, nel nostro caso “la Bassa”. Parliamo delle Giornate di Primavera “Quest’anno si svolgeranno il 21-22 marzo. Sono giornate in cui, in tutta Italia, il Fai apre i propri beni e anche quelli, appartenenti a privati, non sempre visitabili, per visite guidate, grazie alle delegazioni sparse in tutto il Paese e ai numerosi volontari. La delegazione di Treviglio, dieci anni or sono, ha aperto i beni della nostra città, per poi spostarsi, negli anni seguenti, in tutti i paesi della Gera D’Adda. Adesso torniamo a Treviglio, con grande entusiasmo, aprendo ben sei beni, un grosso impegno da parte della nostra delegazione, che non è molto folta”. Quali saranno i beni protagonisti? “Il Polittico di San Martino, simbolo della nostra città e Palazzo Semenza, dimora dei Galliari, per quanto riguarda i beni di interesse storico-artistico; la cascina Ganassina e il museo della Same, per l’attenzione al territorio e alla nostra

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Il Fai a Treviglio

La delegazione Fai di Treviglio è composta da Antonella Annoni Bacchetta, capo delegazione e da Anna Fiacconi Olivieri, Maria Concetta Centorrino, Ato Gerosa, Lucia Tangerini, Gabriella Blini Zordan, Raffaella Marchi, Ornella Resmini Colleoni, Giannina Idi, Silvano Mariani, Giuseppe Ranghetti. I volontari sono Magda Betelli, Fabrizio Brambilla e Marisa Beghin. Di questa delegazione fanno parte 43 comuni che coprono un territorio vasto ed eterogeneo, che va dalla Francesca (aldilà c’è la delegazione Bergamo), ai confini di Brescia, Cremona e anche parte del milanese più vicino a noi,con paesi come Trezzo, Vaprio, Cassano.

vocazione agricola; il Museo delle Scienze Explorazione, per uno sguardo al futuro; e, grazie all’Amministrazione Comunale, in particolare al dottor Riccardo Riganti e alle sue collaboratrici, una mostra sulle eccellenze di Treviglio nella pittura e

nell’artigianato, con particolare attenzione ai maestri dell’intarsio”. Cosa succede durante queste giornate? “Le delegazioni Fai, insieme ai volontari e agli ‘aspiranti ciceroni’ (gli studenti delle scuole che si preparano, con il supporto dei propri insegnanti, mesi prima per svolgere questa funzione) accompagnano i gruppi di visitatori alla scoperta del luogo, del monumento, dell’edificio. Il Fai conta molto sulla possibilità di coinvolgere le scuole, vogliamo far conoscere meglio ai nostri giovani il territorio nel quale vivono, che spesso non vedono o non guardano con attenzione. Quest’anno inoltre ci potremo avvalere della collaborazione della Protezione Civile”. Quali scuole verranno coinvolte nelle giornate trevigliesi? “Per il Polittico e Casa Galliari si sta preparando l’istituto professionale Zenale Butinone; l’istituto agrario Cantoni per la Cascina Ganassina, il Polo Industriale Professionale Mozzali per il laboratorio di Scienze”. Come nasce il Fai? “Il Fai nasce nel 1975 a Milano per una felice intuizione della nostra Presidente Onoraria Giulia Maria Mozzoni Crespi: salvare luoghi e edifici abbandonati, necessari di ristrutturazione, per restituirli poi alla fruizione di tutti. Il primo bene passato al Fai è stato il Monastero di Torba (a Gornate Olona, prov. Varese), di proprietà della signora Crespi, che ha voluto così dare il via alle donazioni e all’attività del Fai. A questa prima donazione ne sono seguite molte altre, per arrivare

A sinistra un pannello del Polittico, sopra la Pila di Volta presso Explora, poi palazzo Galliari e il Mulino Fanzaga. Sotto la trattrice Cassani nel museo Same. A sinistra la presidente del Fai di Treviglio e zona Antonella Bacchetta Annoni

oggi a circa 50 (di cui 30 sempre aperte) proprietà in tutta Italia. Una delle nostre ultime acquisizioni è una casa nei famosi sassi di Matera. In Lombardia ricordo, solo per citarne alcuni, la splendida Villa del Balbianello a Lenno (Como) o Villa Necchi Campiglio a Milano, grandi testimonianze di beni riportati agli antichi splendori. Per esempio Villa Necchi non solo è importante dal punto di vista

architettonico (l’architetto Portaluppi fu uno dei migliori professionisti di Milano del primo Novecento), ma anche una dimora, nel pieno centro della città, con un giardino di alberi secolari, una piscina e un campo da tennis (cosa abbastanza avveniristica per quei tempi) e interni di una bellezza unica. Nella bergamasca ricordiamo Il Mulino di Baresi ‘Maurizio Gervasoni’, immerso in una splendida radura in alta Val Brembana, segnalato nel 2003 nel primo censimento nazionale ‘I Luoghi del Cuore’ e acquisito dal FAI grazie alla collaborazione della famiglia di Maurizio Gervasoni e al sostegno di Banca Intesa. I lavori sono stati ultimati nel 2006, e il

Mulino è stato riaperto ufficialmente dal FAI e dal sindaco di Roncobello Antonio Gervasoni. Proprio a questa felice vicenda (la Valle Brembana votò compatta per questo Mulino, vincendo il contributo) ci siamo ispirati per appoggiare il comitato che a Treviglio vuole salvare il Mulino Fanzaga. I luoghi del cuore è infatti l’altra grande manifestazione del Fai a livello nazionale, che invita a segnalare luoghi belli da salvaguardare e che ogni biennio accede al contributo di Banca Intesa”. Banca Intesa è il vostro unico finanziatore? “Per il restauro dei beni, sì. Poi, a livello locale, si posso aggiungere altri sponsor per organizzare le varie iniziative. Il Fai vive su questo e sulle iscrizioni Fai (per info www.fondoambiente. it) che ci permettono di sostenere gli altissimi costi di mantenimento dei nostri beni”. Le iniziative del Fai sono davvero tante e tutte importanti. Tra le ultime svoltesi nel nostro territorio grazie all’impegno della Delegazione trevigliese c’è la Fai Marathon, una sorta di passeggiata “con gli occhi” alla scoperta dei nostri luoghi, che si tiene in autunno. L’anno scorso grande successo con Misano e la campagna circostante, mentre il prossimo giro “con gli occhi e con i piedi” è in fase di definizione. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 13


Eccellenze/Imprese e tecnologia

Il Premio Madonna delle Lacrime a Qcom a cura di Valentina Villa

A poco più di dieci anni dalla fondazione, Qcom riceve il premio Madonna delle Lacrime per la sua attività sul territorio, ma le sue radici risalgono a diciotto anni fa. Sul prossimo numero gli altri premiati Sopra, da sinistra, Fabio e Fiorenzo Erri. Nella pagina accanto con il sindaco Beppe Pezzoni dopo la premiazione (Foto di Andrea Donghi per Treviglio TV ). Poi tre scatti presso la Qcdom in via Roggia Vignola 9 a Treviglio

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abato 28 febbraio, in occasione della festa patronale cittadina, durante l’inaugurazione del Teatro Nuovo di Treviglio, il sindaco Beppe Pezzoni ha consegnato a Qcom la medaglia Madonna delle Lacrime come benemerenza per i suoi dieci anni di attività nel settore delle Telecomunicazioni. Un motivo di grande orgoglio anche per noi de “la nuova tribuna” che in casa Qcom abbiamo trovato la partnership che ne sta permettendo il rilancio. Qcom pone le sue radici nel 1997, quando Fiorenzo e Fabio Erri, attualmente Presidente e Amministratore Delegato dell’azienda, insieme ad altri imprenditori locali decidono di fondare Interactive, uno dei primi Internet Service Provider in Lombardia. A quel tempo gli utenti Internet erano meno di un milione (oggi sono più di 25!) e un dominio costava circa un milione di vecchie lire. In questa fase di start-up gli uffici di Interactive si trovano in via Gramsci, ma nel giro di un anno, con l’arrivo dei primi collaboratori, una piccola scrivania non basta più e la sede trasloca in via dei Mille, seguita qualche anno dopo da quella in viale Battisti, proprio sopra al ristornate stellato

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San Martino. Nel 2000 Interactive viene acquisita dall’operatore nazionale Lombardiacom (successivamente conosciuta come Elitel) e gli Erri si dividono: Fiorenzo rimane a Treviglio a guidare l’azienda per conto dei nuovi proprietari, mentre Fabio si trasferisce nella sede milanese della capogruppo svolgendo al suo interno numerosi incarichi nella Direzione Tecnica. Forte dei successi di questa esperienza, matura l’idea di tornare a Treviglio e dar nuova vita a Interactive. Nel 2003 la famiglia Erri riacquista il 100% delle quote e fa partire una stagione di acquisizioni di società del settore. La prima è Working On Line, operatore di Varese, poi viene Logica (Gallarate), Mediacom (Bergamo) e Energy (Milano). I collaboratori sono diventati venti e viene inaugurata la nuova sede presso “Casa Bacchetta” di via F.lli Galliari: gli affreschi settecenteschi degli scenografi trevigliesi fanno da arredo agli uffici della società più tecnologica del momento. Nel 2004 gli Erri insieme ad altri soci costituiscono la start-up Qcom S.r.l., operatore indipendente di telecomunicazioni

su rete fissa. Nel 2007 Qcom accelera la propria crescita incorporando Orobiacom (che a sua volta aveva acquisito BergamoCom) e trasformandosi in Società per

azioni. Queste nuove acquisizioni societarie, tra cui anche quella di Sonic nel 2009, hanno portato ad un veloce aumento del numero dei clienti, delle quote di mercato,

ma anche dei dipendenti rendendo necessario un ulteriore spostamento. I nuovi uffici trovano spazio nel neonato PIP2 (del cui consorzio Fiorenzo Erri è stato presidente per alcuni anni), in via Roggia Vignola in una sede di 1000 mq che vede protagonisti il vetro e l’acciaio su un progetto dell’architetto trevigliese Mario Rossini. Nel 2013 i vertici di Interactive e di Qcom, ormai da tempo gli stessi vertici, in particolare Fabio Erri nel ruolo di Amministratore Delegato, decidono di unire in un’unica azienda i servizi di Internet Service Provider (Interactive) e quelli di operatore di telefonia fissa (Qcom). Si dà il via così al nuovo brand Qcom Interactive Solutions. Allo spegnimento della decima candelina, per Qcom arriva il momento di espandersi anche in Val Camonica acquisendo Telefonika. Qcom rafforza così la

sua posizione di leader in Lombardia nel settore della telefonia fissa e dei servizi IT (connettività di ogni tipo, Fibra Ottica compresa, servizi di datacenter e sicurezza informatica). E ai giorni nostri un ulteriore salto di qualità: Qcom entra in partnership con CoriWEB, web-agency nata nel 1999 costituita oggi da 15 professionisti del web. Il nuovo legame permette a Qcom di affermarsi anche nel settore del web-marketing. E’ in

grado di offrire a professionisti, aziende e istituzioni siti internet di ultima generazione, campagne pubblicitarie on-line, strategie social per l’engagement dei clienti e soprattutto consulenza per lo sviluppo del proprio business on-line. Oggi Qcom dispone di due sedi. I dieci metri quadri del primo ufficio in via Gramsci si sono centuplicati. La sede principale, in zona PIP2 a Treviglio, ospita, tra Qcom e CoriWEB, settantacinque persone, in gran parte Trevigliesi. La secondaria si trova a Pian Camuno in provincia di Brescia (ex-sede di Telefonika), ed è presidiata da cinque collaboratori. Il fatturato oggi supera gli otto milioni di euro e l’azienda è in attivo e produce utili ormai da diversi anni. I clienti, più di 5.000, sono tutti business. Tra i nomi noti ci sono marchi di rilievo nazionale come Atalanta, Da Vittorio -ristorante pluristellato di Brusaporto-, Volley Bergamo Foppapedretti, Associazione Artigiani di Bergamo, Remer Rubinetterie, G. Eco, Quadri Automobili. Ma anche brand di importanza inter-

nazionale: Garmin, Bianchi, Burlodge e Toshiba. Anche la Pubblica Amministrazione, pur tra le mille difficoltà della spending review, ha scelto la qualità di Qcom: oggi sono più di 180 i Comuni della Lombardia che hanno abbandonato Telecom Italia per la nostra Telecom Trevigliese. Ma Qcom, indubbiamente, non vuole fermarsi qui e noi con loro. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 15


Personaggi/Diventeranno famosi

Matteo vince con la Framboise Suprême di Lucietta Zanda

“Così buona da piangere”, dicono quanti hanno assaggiato il dolce realizzato dal giovanissimo rampollo del Caffè Milano. Con questa torta ha vinto il premio nazionale di “Golositalia” 2015

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apita ogni tanto di passare per piazza Luciano Manara e, all’altezza del Comune, essere travolti da un inebriante profumo. Ecco, dici, se il Padreterno si potesse annusare avrebbe quest’odore! Il fautore di tanta gioia olfattiva è il laboratorio di pasticceria del Caffè Milano, il cui titolare Daniele Manzotti e il figlio Matteo, in quel momento stanno evidentemente cuocendo una leccarda di fragranti sfogliatelle. L’evento che mi chiama a intervistare il giovanissimo Matteo è l’importante primo premio ricevuto il 21 febbraio scorso durante la manifestazione a livello nazionale “Golositalia”, svoltasi a Montichiari, che premiava il cuoco pasticcere che avesse confezionato la miglior torta. Incontro Matteo per la prima volta nel bar affollato e vedendolo provo una sensazione di leggero sconcerto aspettandomi la classica taglia XXL da pasticcere e non questo alto e snello ragazzo dal sorriso disarmante, che ha più l’aria del giocatore di basket, con quel piccolo stravagante chignon all’apice del capo, tipo lottatore di sumo, che gli sta così bene. Mi porta subito a vedere il motivo di quel premio ricevuto, questa meraviglio-

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sa “Framboise suprême” esposta nella vetrina insieme ad un arcobaleno di altri pasticcini. Già la vista di questa torta è toccante, parte subito un’automatica salivazione e se gli occhi potessero sbavare senz’altro lo farebbero. La decorazione è raffinata ed essenziale, l’abbinamento dei colori -il marrone del cioccolato fondente, col rosso dei lamponiè sublime.

Ma il momento più godurioso è l’assaggio di questo dolce e tutti, almeno una volta nella vita, davvero, dovremmo provarlo. La torta è composta da quattro strati di ingredienti: biscuit al cacao, gelèe di lamponi allo zucchero, mousse al cioccolato fondente al 70% e per finire una lucida sensazionale glassa al cacao contornata di lamine di nero cioccolato. La forchetta vi affonda senza incontrare alcuna resistenza, tutti gli strati sono perfettamente omogenei e, quando finalmente deglutisci il dolce, hai la sensazione che tutti i buoni sapori del mondo siano raccolti proprio lì. Morbido, il leggero amaro del fondente sublimato dal dolce-aspro lampone e fusi nell’incantevole mousse. Spettacolare. L’alto livello della preparazione mi porta a chiedere il percorso che ha condotto questo brillante diciassettenne ad ottenere l’importante riconoscimento. Matteo mi spiega che: “per partecipare al concorso ho prima dovuto spedire una foto della torta da presentare che ha richiesto più di due mesi di preparazione. Dopo una sommaria selezione di 50 candidati, la severa giuria composta da alcuni dei più famosi pasticceri d’Italia, e dal conosciutissimo in ambito internazionale Iginio Massari, ha scelto i 17 finalisti tra cui me, entrato anche nella rosa dei primi tre dopo la degustazione da parte dei giudici di tutti i manufatti. E solo a questo punto il Massari è intervenuto assaggiando a sua volta le torte per poter infine decretare come vincitrice la mia Framboise suprême”. Matteo aggiunge che sono state soprattutto le parole del Massari a riempirlo di orgoglio e soddisfazione dopo tanto impegno, la torta è infatti stata definita “equi-

Sopra Matteo Manzotti con la madre Franca Pigola, poi con le sorelle Alessandra, a destra, e Paola. Nel riquadro il momento della premiazione a Golositalia. Sotto la torta creata da Matteo, la “Framboise suprême”, vincitrice del concorso.

librata nel sapore e nell’omogenea consistenza, pulita e lineare nella decorazione estetica”. Una sentenza encomiabile se si pensa all’alto livello di questo concorso e delle preparazioni in gara. Gli chiedo com’è iniziata la sua storia di pasticcere e lui mi racconta che innanzitutto è figlio d’arte, il papà Daniele era perito chimico e da lì, per una sorta di attitudine alchemica, nasce la sua passione per il mondo della pasticceria, ha infatti una mano speciale nel dosare e mischiare gli ingredienti delle preparazioni e soprattutto ne afferra le varie connessioni tra loro; questa sua conoscenza lo ha molto aiutato ad andare oltre il confine di un normale pasticcere, spingendosi a più alti livelli di bravura. Nell’83 -dopo l’apertura di un negozio a Casale- acquisisce il Caffè Milano, lo ristruttura completamente e ne cura il reparto di gelateria e pasticceria. E’ singolare che della numerosa famiglia di Daniele il suo DNA dolciario sia passato a ben quattro dei cinque figli avuti: tre sorelle hanno infatti aperto i loro rispettivi negozi di gelateria a Caravaggio e Roma, la quarta, ...unica “pecora nera” della famiglia a non ricevere “il dono”, ha invece originalmente aperto un ben avviato studio di ginnastica Pilates in viale Piave a Treviglio. Verso i 13 anni -riprende Matteo- si manifesta apertamente la sua passione per la cioccolateria e. dopo la scuola media, si iscrive al corso professionale di pasticcere CFP/ABF qui a Treviglio. Frequenta accompagnato da papà anche corsi di perfezionamento a Perugia, in Belgio e in Francia, e anche alla Marianna di Bergamo. Attualmente lo possiamo trovare nel laboratorio del famoso Sant’Ambroeus di

Milano in San Babila, intento ad allargare ulteriormente le proprie esperienze. Parlando con lui capisco il perché questo caparbio ed entusiasta diciassettenne sia già così avanti rispetto la maggioranza dei suoi coetanei, ha già capito infatti come funzionano i meccanismi del mondo del lavoro, in una situazione così difficile come quella di oggi in cui i giovani se vogliono anche soltanto sopravvivere trovando un semplice lavoretto, devono applicarsi con impegno fin dalla più tenera età, raccogliendo più esperienze lavorative possibili e finalizzando con abnegazione le proprie attitudini nel campo professionale prescelto. Chi non afferra questa regola e pensa di cavarsela dando il minimo, è fuori dal gioco! Continua Matteo: “La gente ignora cosa sia la qualità di un prodotto, non afferra la differenza tra un dolce realizzato con ingredienti di prima qualità, da un altro che sembra buono al palato ma mediocre nel contenuto. Voglio organizzare una serata qui al Caffè Milano in cui spiegare cosa c’è dietro a un dolce, presentando anche la nuova e più leggera linea di pasticceria estiva di cui nessuno si occupa, realizzata con frutta fresca di stagione e tropicale”. Vuole che il Caffè Milano diventi per l’hinterland di Treviglio un importante riferimento per la pasticceria di alta qualità, anche se non ha intenzione di limitare i suoi progetti al contesto bergamasco. Vuole spingersi avanti, verso i grandi maestri pasticceri in ambito internazionale. Il prossimo concorso riguarderà la pasticceria in genere, si svolgerà a Rimini e sarà riservato agli juniores tra i 18 e i 22 anni, sarà il top fra tutti perché la medaglia al vincitore sarà consegnata personalmente dal Presidente della Repubblica. Di fronte a tanta determinazione….tanto di cappello, …da chef ovviamente! In bocca al lupo caro Matteo da tutti noi, meriti il nostro applauso di cuore e tutti gli auguri perché la tua determinazione ti spinga ad arrivare dove vuoi!

La fiera agro alimentare per eccellenza

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olositalia è la Fiera agroalimentare per eccellenza. Si tratta di una manifestazione che si rivolge ai consumatori, agli operatori degli hotel, ristoranti e catering, ai buyers della filiera distributiva. Aggregando 450 espositori ed una platea di almeno 60 mila visitatori, è una manifestazione dedicata alle eccellenze del settore enogastronomico, della ristorazione, delle attrezzature professionali, è alla sua quarta edizione. Golositalia è diventata, nell'imminenza dall'apertura di Expo 2015, il luogo delle eccellenze del nostro territorio ed in generale dell'appeal dell'«Italian food» nella sua espressione più alta. «Per la prima volta in una fiera siamo riusciti a far convivere consumatori e professionisti del settore, che rappresentano due figure distinte ma sono in diretto rapporto tra loro»: così ha dichiarato Mauro Grandi, amministratore unico di MantovaIn, la società organizzatrice, in collaborazione con il Centro Fiera. «Per noi è un onore - prosegue Mauro Grandi - essere il mezzo con il quale i nostri espositori possono sviluppare il proprio business, e non solo nel territorio lombardo e nazionale». Gli espositori erano 450 -in 4 padiglioni- suddivisi in sette aree tematiche: dal cibo (con i presidi slow food), al vino (con oltre duecento tipologie di vini presenti), dalla birra al bio-vegan-gluten free, al ristorante al «professional equipment», settore di cui «Aliment» è il re indiscusso. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 17


Eccellenze/Pubblica Istruzione

La Grossi, scuola delle sorprese…

“San Martino d’Oro? ...ma io faccio il mio lavoro!”

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a cura di Maria Palchetti Mazza

I corsi d’indirizzo musicale delle Medie Tommaso Grossi sono un’eccellenza del territorio che seleziona giovani altrettanto eccellenti. L’intero seminterrato si è trasformato in una sorta di accademia musicale.

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ei Laboratori suoni di strumenti diversi; in Auditorium un professore al pianoforte. Incontro il Coordinatore dei corsi di Indirizzo Musicale, Prof. Filiberto Guerra, da ventitré anni preso in questo lavoro al quale ha dato tutta la sua esperienza e il suo impegno. Conosco bene i Corsi di Indirizzo Musicale, ma volevo sentirne parlare con il cuore… Per questo sono qui. “Sta in parte cambiando il compito della scuola, così com’è mutata la società. Le famiglie sono spesso molto impegnate e in questa fase della loro crescita i ragazzi necessitano di estrema attenzione, di sollecitazioni e, soprattutto, di sentirsi seguiti. I Media danno spesso un’immagine di adulto incerto, afflitto da un’insoddisfazione di fondo che scoraggia. Ho incontrato una persona che lavora in Burundi, dove esiste una situazione economica estremamente instabile, ma dove sopravvive la speranza del futuro. In Italia, invece, c’è una gran paura di affrontare il domani, diffuso stato d’animo di cui i ragazzi risentono. Insegnare è anche trasmettere serenità. Si devono inoltre valorizzare le eccellenze, com’è accaduto per sei nostri alunni su tredici, inseriti per merito nell’Orchestra Provinciale”. Qual è l’augurio che lei formula per questa costruttiva esperienza? “Che continui così. Abbiamo come punto di riferimento anche l’Associazione ‘Musica per passione’, presieduta da Brigida Simone che, con gli altri genitori, non si risparmia nell’aiutarci quando serve”. Chiedo alla prof. Alice Legramandi una riflessione sulla sua esperienza di lavoro nei Corsi a Indirizzo Musicale. “Ho sempre cercato il rapporto diretto con l’alunno, stabilendo con lui una serena relazione di fiducia, progetto reso possibile soprattutto in questa realtà. Il gruppo classe, per quanto il docente s’impegni, presenta una situazione spesso più complessa. Ho sempre voluto impostare con i ragazzi un discorso capace di cogliere le infinite istanze dell’umano, niente togliendo alle regole che governano il nostro

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lavoro. Trovo tanti alunni appassionati rispetto a queste attività, anche fra quelli del Proseguimento. Siamo sicuramente dei privilegiati, sia per i rapporti instaurati con l’utenza, sia per i risultati che si ottengono”. Anche la prof. Maria Cristina Volonterio non nasconde la sua soddisfazione derivante dal lavoro in questa dimensione. “E’ un’esperienza senza uguali, non paragonabile ad altre, investimento a lungo termine che accompagnerà i nostri ragazzi nel loro cammino, esperienza di comunità e di cittadinanza. Le famiglie confessano di non aver immaginato prima l’esistenza di una simile realtà, e ci aiutano molto. ‘L’unione fa la forza’, principio imprescindibile sempre ma soprattutto per chi si propone di lavorare in orchestra, tanto che da noi non c’è competitività. Talvolta si rilevano reticenze nei confronti del nostro lavoro ma questo accade perché non ci conoscono bene”. Il prof. Monzio Compagnoni si esprime con soddisfazione circa il suo incarico: “E’ una realtà collaudata. Impostata sull’orchestra, porta avanti in contemporanea il discorso individuale: il piccolo gruppo consente al docente di dare il meglio di sé. Si può rilevare in itinere, a livello collettivo, una crescita emotiva nei ragazzi che si avvantaggiano di quest’atmosfera”. Abbiamo incontrato i docenti protagoni-

sti dell’Indirizzo Musicale, consapevoli di vivere in una realtà speciale, ricca, oltretutto, di ambienti appositamente preparati: cinque aule insonorizzate dotate di un pianoforte ciascuna, di un bell’Auditorium, di strumenti musicali che la scuola può assegnare in comodato d’uso a studenti che ne avessero necessità. Accanto al comune insegnamento di Educazione Musicale, nei corsi a Indirizzo Musicale, i ragazzi hanno la possibilità di acquisire pratica strumentale, conoscenza della teoria e lettura della musica, nonché di far parte di una formazione orchestrale nella quale possono provare strumenti complementari a quelli oggetto di studio. Si accede ai corsi attraverso la graduatoria stilata a seguito delle prove attitudinali espletate secondo i criteri condivisi dalle scuole a Indirizzo Musicale. Al termine della Secondaria di primo grado, molti ragazzi che continuano la loro formazione musicale presso Conservatori o Licei Coreutici a Bergamo, a Brescia e a Milano, possono approfondire lo studio dello strumento musicale presso la “Tommaso Grossi” nei corsi di Proseguimento o di Perfezionamento, al di fuori dall’orario scolastico. Chiedo ancora al prof. Guerra: “Si sente spesso parlare sul territorio della presenza dell’Indirizzo Musicale in occasioni diverse…”.

“Partecipiamo, infatti, a eventi locali in collaborazione con il Comune, le Associazioni, o altre scuole, a Concorsi musicali territoriali e nazionali, nei quali spesso i nostri ragazzi si sono distinti con premi di eccellenza, sia in esecuzioni orchestrali sia da solisti. Promuoviamo la musica grazie a rassegne e concerti che abbiamo effettuato e che effettueremo, come quelli presso il Teatro Donizetti di Bergamo e al Museo del ‘900 a Milano. Partecipiamo anche all’Orchestra giovanile provinciale delle scuole a Indirizzo Musicale”. Eventi da segnalare? “Il 27 Gennaio hanno ricevuto una medaglia in premio due nostri ragazzi di Treviglio; il 7 Marzo samo stati ospiti della terzo concorso corale nazionale presso il Teatro Nuovo di Treviglio, dove abbiamo tenuto un intrattenimento musicale in attesa della dichiarazione del vincitore. Siamo stati gli unici invitati”. E’ prevista qualche attività anche durante le vacanze estive? “Al termine dell’anno scolastico, a partire dalla classe terza, è proposta la settimana di studio “Note in vacanza” presso il Grand-Hotel Ostello di Dobbiaco, con l’Istituto Comprensivo Italiano del luogo. Dopo le giornate di studio in piccoli gruppi o di musica d’insieme, c’è il Concerto finale nella “Sala degli specchi” offerto alla cittadinanza. Noi docenti accompagniamo i nostri ragazzi”. Lascio il Professore riflettendo sul compito che la Dirigente e i docenti della S.M.S. Grossi si sono dati, utilizzando lo splendido strumento della musica, per promuovere in questi ragazzi fortunati la creatività, l’integrazione, lo spirito di aggregazione e il sentimento dei legami sociali, culturali, nazionali e internazionali! Abbiamo poi chiesto alla Preside della scuola Tommaso Grossi, prof. Nicoletta Sudati, un commento all’evento che vede premiato con lo S. Martino d’Oro uno dei suoi docenti, il prof. Filiberto Guerra. Questo premio coinvolge la scuola e anche chi la dirige…

n San Martino d’Oro è stato assegnato al prof. Filiberto Guerra, guida e amico per i ragazzi dei corsi musicali attivi nella Scuola ‘Tommaso Grossi’. lo abbiamo intervistato. Una sorpresa il San Martino d’Oro? “Non so perché me l’abbiano conferito. Io svolgo come tutti il mio lavoro...”. La lunga storia della musica alla ‘Tommaso Grossi’, ...me ne vuol parlare? “Come lei ben sa, l’esperienza è partita su una sezione. Ora è presente in ogni classe, dove si suona in piccoli gruppi nelle ore programmate; ciò ha fatto lievitare il numero dei ragazzi interessati a questa bella disciplina”. La musica nella sua vita: bisogno, sogno, felicità... “Fin da piccolo volevo fare il musicista. Nel tempo, attraverso la musica, sono diventato un educatore per il quale le regole e l’organizzazione mentale sono elementi essenziali per affrontare e poi amare questa disciplina. La musica è per me possibilità di contatto umano, non saprei fare altro”. Come padre e come docente, quale è il rapporto ideale con i ragazzi? “Quello vissuto da adulto coerente, un misto di incitamento, appoggio costante, quando serve rimprovero. Molteplici sono i linguaggi che i ragazzi sanno recepire: i toni di voce, gli sguardi, i sorrisi, anche i silenzi...”. Una Scuola è un mondo: come raffigurerebbe la Grossi in un quadro ideale? Quale il suo posto in questo immaginario dipinto? “Posso immaginare questa Scuola come un mondo pieno di colori e io seduto in un angolo che lo osservo e penso a come rendere i suoi colori sempre più brillanti”. Il S. Martino d’Oro a Guerra è sì un premio alla Scuola, ma anche alla sua famiglia. Quali le reazioni di queste due realtà a lei così care? “I ragazzi mi hanno fatto omaggio di tanti complimenti e così i colleghi. Credo inoltre che i miei cari siano orgogliosi di questo premio”. Quale degli enti che hanno visto i suoi alunni trionfare è più caro al suo cuore? “Un ricordo bellissimo è il concerto che abbiamo eseguito per un Comune

terremotato del mantovano, con un dono in denaro alla Scuola di musica locale. Ricordo il vento che scompigliava i capelli come un messaggio di benvenuto.... Torneremo a suonare anche quest’anno”. Cosa si prepara per l’avvenire, protagonista la musica, in questa bella Scuola? “Un programma che prevede impegno costante e amore al proprio lavoro, il segreto di una vita serena”. Quali le difficoltà incontrate nel suo lungo cammino in questa realtà, per quasi venti anni? “Non molte difficoltà e quando sono apparse le ho sempre superate con l’appoggio dei colleghi di strumento passati e presenti, competenti e ricchi di entusiasmo e con quello dei dirigenti dai

quali ho ricevuto la massima collaborazione”. Esiste per lei una alternativa alla musica nella sua vita? “Oltre all’amore della famiglia, con i miei tre figli che suonano pianoforte, sax e clarinetto e alla mia compagna musicista, penso che sia la musica a darmi le emozioni più belle. Non vedo altre alternative!”. L’aula ora è invasa di ragazzi belli come il sole, sorridenti, con il loro strumento in braccio... Il miracolo della giovinezza e della musica. Maria Palchetti Mazza Marzo 2015 - la nuova tribuna - 19


Eccellenze/Pubblica Istruzione

Personaggi/Paolo Belloli

Una vita per la musica e Treviglio

Musica per passione

Soddisfazione e commozione per il premio

E

ora una breve conversazione con la Presidente dell’Associazione “Musica per passione” attiva presso la scuola Tommaso Grossi, Brigida Simone. La vostra Associazione partecipa alla vita della scuola nell’ambito delle attività musicali con grande impegno: il San Martino a Filiberto Guerra è una gioia da condividere... “Premio meritatissimo. Sono stata l’ultima a saperlo e mi sono commossa. Da tempo nei confronti di Guerra esistono collaborazione ed un grande apprezzamento, come si conviene nei confronti di una persona ‘completa’ amata dagli alunni e non solo”. Quali i desideri ed i progetti dell’Associazione per il futuro, quali le difficoltà? “Forse il sogno di un Festival Nazionale nel quale la scuola ad indirizzo musicale funge da traino. Le difficoltà consistono nella scarsità di mezzi e di tempo disponibile da dedicare a questa per gli impegni ai quali i genitori devono far fronte”. Quali i rapporti della vostra Associazione con la scuola? “Entrambe alimentano nei giovani la passione per la musica. La Tommaso Grossi è la sede ideale per gli appassionati di questa arte, ciascuno attivo nel proprio ambito ma con obiettivi comuni”. Ci vorrebbe anche un premio anche per i “bravi “ genitori… Condivide? “L’abbiamo ricevuto l’anno scorso in occasione della festa della Madonna delle Lacrime”. Quali le caratteristiche dei componenti l’Associazione? “La partecipazione attiva, il senso dei limiti del proprio ruolo, l’amore per i ragazzi. Sono contenta di aver trovato sul mio cammino questa realtà ed in particolare apprezzo le attività del “Proseguimento di studi musicali” che permette a molti giovani di coltivare la loro passione. C’è entusiasmo senza cedimenti, obiettivi comuni, accordo sulle strategie da mettere in atto… Una bella esperienza!” Ben vengano i premi alla scuola Grossi! (m. p. m.)

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a cura di Hana Budišová Colombo

A undici anni entra nella Banda dove cresce musicalmente fino a diventarne il direttore, per poi costruire una carriera artistica che lo ha portato a dirigere orchestre in Italia e nel mondo “Indirettamente è un premio all’Istituzione, anche se assegnato a un docente, figura completa di ‘maestro’ che si avvale di tutte le componenti della scuola per porre al centro del suo lavoro il valore della ‘persona’, come ha sottolineato il Provveditore di Bergamo, compiacendosi con noi per questo evento”. Come vive questa realtà nella quale si evidenzia il coinvolgimento di tutte le componenti? “La partecipazione agli eventi proposti dalla scuola è molto alta e questo ci incoraggia a proseguire. Genitori dotati di una notevole capacità organizzativa, con rapida attuazione dei progetti formulati, fanno parte dell’Associazione “Musica per passione.’Con un duro lavoro hanno recuperato cinque aule per lo studio della musica’, come recita il Giornale di Treviglio, a proposito della messa a punto dei locali nel seminterrato della scuola. E’ ovvio che questo clima alimenta il coinvolgimento di tutti”. Quale la caratteristica necessaria per condurre al successo l’ente che governa? “Credo consista nell’attenzione ai bisogni di chi è in difficoltà e nella valorizzazione dei meritevoli. La scuola è simile a una pianura infinita che va tenuta fertile

con interventi costanti e attentamente programmati. Le lingue straniere e le nuove tecnologie, l’attenzione all’arte e alla bellezza della nostra terra, la musica sono un nutrimento indispensabile alla crescita, come pure il costante, concreto confronto sulla didattica da parte dei docenti”. Difficoltà e speranze… “Le risorse sono sempre minori per cui la ricerca dello sponsor è divenuta una preziosa alternativa. I corsi musicali, ad esempio, meriterebbero maggiori finanziamenti e il potenziamento dell’organico. La nostra scuola riceve in media dalle settanta alle novanta domande d’iscrizione ogni anno nei corsi suddetti, a differenza di altre realtà dello stesso tipo, mentre la normativa ne prevede solo ventotto. Fiduciosa nella professionalità dei miei docenti accetto iscrizioni oltre il dovuto, sempre nell’ottica della valorizzazione delle capacità personali di ogni alunno, al quale s’informa il lavoro dei tre ordini di scuola, dell’infanzia, primaria e secondaria. Nei nostri progetti è importante l’attenzione al ‘sociale’ che ci ha portato, ad esempio, a inserire le orchestre nella comunità, con il conseguente coinvolgimento del territorio. Un San Martino meritato dunque”.

N

on è la prima volta che incontro Paolo Belloli per una chiacchierata, lo conosco come musicista e so che si tratta di una persona sincera e appassionata del suo lavoro, ma questa volta il nostro incontro è un po’ diverso perché indosso le vesti di giornalista. Questa esperienza m’incuriosisce perché so che per noi musicisti parlare della musica è come parlare della nostra vita privata, non parliamo del solito lavoro ma della nostra vita più intima e non è sempre semplice descrivere le nostre passioni e le nostre emozioni. Quindi eccovi il Maestro Paolo Belloli, trevigliese doc. Per iniziare un minimo di curriculum. Paolo Belloli si è diplomato in Tromba e in Strumentazione per la Banda, ha poi proseguito gli studi diplomandosi brillantemente in Direzione d’Orchestra e frequentando il Corso d’Opera conseguendo la Laurea di II° livello in Direzione e Composizione per orchestra di fiati a pieni voti. Se tu ripensi agli inizi, ai tuoi esordi musicali, che cosa ricordi? “Mi sono avvicinato alla musica a undici anni. Ho iniziato a studiarla presso la Banda di Treviglio che è stata da sempre il centro musicale cittadino. È qui, dove è nato il mio amore per la musica, dove sono nati i miei primi stimoli musicali che volevo in futuro mettere in pratica qui. Un luogo, al quale sono molto legato.

Il mio sogno era diventare musicista e attraverso la musica restituire alla Banda quello che mi ha donato: la passione nella musica. Mi sono diplomato in Tromba presso il Conservatorio di Bergamo e ho proseguito la mia carriera musicale come trombettista in varie orchestre. Ho collaborato con la RAI di Milano, con l’orchestra dell’Arena di Verona, con l’Orchestra Stabile di Bergamo e mi sono dedicato molto alla musica da camera. Dopo qualche anno di questa carriera abbastanza ricca ma poco stabile, sono stato costretto a rinunciare. Ho lavorato e lavoro ancora, come docente di musica presso la Scuola Media Cameroni dell’Istituto Comprensivo ‘De Amicis’ di Treviglio. La tromba è comunque rimasta sempre nel mio cuore. Gradualmente mi sono avvicinato alla composizione e in seguito anche alla direzione d’orchestra. Ho frequentato il corso triennale presso la Scuola di Alto Perfezionamento di Pescara, dove mi sono diplomato in Direzione d’Orchestra frequentando anche il Corso d’Opera. In seguito, nel 2005, ho ottenuto la laurea di II° livello in Direzione e Composizione per orchestra di fiati presso il Conservatorio di Milano. È stato un periodo lungo e molto impegnativo. Non è stato semplice combinare la vita

d’insegnante e soprattutto quella famigliare con l’impegno per lo studio, per ottenere i buoni risultati”. Sei un docente di educazione musicale presso le scuole medie statali di Treviglio, direttore del Centro Studi Musicali di Treviglio, direttore principale di Under13 a Milano e tieni corsi di perfezionamento oltre oceano. Sono convinta che sotto ci sia una grande passione, altrimenti non riusciresti a fare così tante cose insieme e a farle bene, non è vero? “Sì, è vero, ho una grande passione per il mio lavoro di musicista e questa passione provo a trasmetterla in tutti i miei ambienti di lavoro. Come direttore voglio essere sempre pronto e preparato al massimo, non solo per affrontare al meglio la mia crescita professionale, ma soprattutto per trasmettere tutte queste esperienze ai ragazzi di CeSM, a quelli delle scuole medie, all’orchestra Under13 che dirigo da quattro anni (si tratta di un’importantissima orchestra che mette insieme tutti gli allievi migliori delle scuole milanesi). Oppure alla giovane Orchestra di fiati del Piemonte. Per quanto riguarda i master class, da tre anni collaboro con due università del North Carolina negli USA per il repertorio operistico e quello sinfonico. Un’esperienza assolutamente nuova rispetto a quelle che ho avuto in precedenza, sia per l’aspetto organizzativo sia per l’ambiente musicale”. Hai collaborato con numerose orchestre di fama nazionale e internazionale. Tra le collaborazioni più importanti vi sono quella con I Pomeriggi Musicali e quella con l’orchestra dell’università di Osaka in Giappone per le Nozze di Figaro. Cosa ci puoi dire di queste collaborazioni? “Con l’orchestra di Pomeriggi Musicali collaboro dal 2011 e ne sono molto contento. Anche perché non è sempre semplice riuscire a dirigere orchestra di questo livello. La strada per me è stata impegnativa ma alla fine sono riuscito ad ottenere questa collaborazione e ne sono molto soddisfatto e onorato. Con quest’orchestra ho tenuto alcuni concerti molto Marzo 2015 - la nuova tribuna - 21


Personaggi/Paolo Belloli

Personaggi/Globetrotter del Terzo Mondo Paolo Belloli con Elisabetta Magri, dell’Accademia Musicale”

importanti e la prossima collaborazione sarà ad agosto di quest’anno quando dirigerò una serie di concerti lirico sinfonici per l’Expo. A Osaka sono andato due volte per le Nozze di Figaro, nel 2011 e 2012. Lì ho dovuto preparare l’orchestra della Soai University di Osaka. Mi sono trovato dei cantanti professionisti e un’orchestra dei giovani di quest’università. Ho tenuto anche un corso presso il Conservatorio che preparava i cantanti. Le lezioni del corso riguardavano i recitativi dell’opera (i recitativi nelle Le Nozze di Figaro sono più di metà della musica!) e comprendevano dei laboratori sulla lingua italiana nell’opera e sull’interpretazione. Un lavoro estremamente impegnativo che alla fine ha aiutato ad ottenere un enorme successo dell’allestimento d’opera di Mozart e molta soddisfazione sia dei musicisti, sia dei cantanti che dal pubblico. Sono rimasto molto affascinato della cultura giapponese, dalla loro educazione e gentilezza. È stata una grande esperienza che mi ha arricchito moltissimo e spero di tornarci presto”. Sei un insegnante, un musicista, un compositore e un direttore d’orchestra… In quale ruolo ti senti di più al tuo agio? “Assolutamente nel direttore d’orchestra e non solo perché è il mio pane quotidiano. Io dirigo anche quando insegno la musica ai ragazzi. Mi piace instaurare quel rapporto di complicità con i ragazzi come con i musicisti d’orchestra, devo dare ma anche ricevere, deve esserci questa reciprocità. Io parlo, insegno, ma loro devono rispondermi, Ci deve essere questa apertura emotiva. È come trovarsi in mezzo ad un’orchestra di cinquanta persone e fare vivere insieme a loro la musica, è una sensazione stupenda, difficilmente descrivibile”. Quali sono i tuoi progetti, i tuoi

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sogni futuri? “Quello che sto facendo oggi è già il mio sogno che si sta realizzando. Per il futuro spero di continuare a fare quello che sto facendo adesso. Mi reputo molto fortunato per le occasioni che ho avuto ma che non mi sono apparse dal nulla. Le ho create con tanto impegno e molta pazienza. Vorrei anche precisare che ovunque mi porterà la musica, io tornerò sempre qui, a Treviglio, alla Banda, da dove provengo e che rappresenta sempre la mia casa. Gli amici mi rimproverarono che avrei dovuto pensare di più a me stesso, al mio lavoro perché così sarei potuto arrivare molto più velocemente dove mi trovo adesso. Questo però non fa parte della mia natura, qualsiasi cosa faccia, sento di dover restituire qualcosa a qualcuno. Voglio ribadire un ‘Grazie Treviglio!’ perché mi ha permesso di fare quello che ho fatto e di realizzare i miei sogni”. Nel 2003 hai iniziato una nuova rassegna musicale trevigliese promossa dal Comune di Treviglio, che negli anni è diventata uno dei più importanti appuntamenti della provincia.

In seguito hai fondato l’associazione Treviglio Musica che continua a curare la Rassegna. La Treviglio Musica ha compiuto quest’anno dodici anni e in tutto questo periodo ha ospitato parecchi nomi importanti. Mi permetto di dire che si tratta di un grande successo! “La Rassegna Musicale è nata per puro caso. L’amministrazione comunale ha voluto investire in una serie di concerti e mi ha chiesto un aiuto organizzativo. La Rassegna, tra alti e bassi, è andata sempre in crescendo anche durante questo periodo di crisi economica con l’aiuto di sponsor privati. Oggi siamo alla 12° stagione. Nel 2012 è nata l’associazione Treviglio Musica, voluta dall’attuale sindaco. In questo progetto ho avuto un aiuto fondamentale da altre persone che fanno parte dell’associazione stessa. I risultati di questi anni ci fanno dire che la Rassegna, nonostante le difficoltà, ha ospitato artisti molto importanti, gruppi da camera, orchestre nazionali e internazionali. La rassegna è importante anche per la sua continuità, rappresenta una stagione che la gente ormai si aspetta e questo ci fa piacere”. A febbraio, sempre nell’ambito della Rassegna trevigliese, hai presentato al pubblico una nuova orchestra, I Musici del Teatro. L’orchestra unisce i ragazzi del CeSM di Treviglio e dall’Accademia Musicale di Treviglio. Un’orchestra giovanissima con un programma impegnativo e inconsueto. Abbiamo quindi una nuova orchestra a Treviglio? Di che cosa si tratta? “Si tratta di un progetto molto ambizioso. Prima di tutto è un progetto che vuole lanciare il messaggio che collaborare, soprattutto di questi tempi, è molto importante, è un valore aggiunto. Tutto il progetto è nato molto velocemente dopo un incontro con la violinista Elisabetta Magri dell’Accademia Musicale. Abbiamo messo insieme le due scuole, il CeSM e l’Accademia, con la convinzione che sia la città sia i ragazzi e giovani che studiano la musica avessero assolutamente bisogno di un progetto di questo tipo. Quest’orchestra ha nel suo statuto “orchestra-laboratorio” quindi fare musica insieme e insieme crescere. Una realtà di questo tipo mancava sul nostro territorio e si fa fatica a trovare progetti simili anche all’interno di un conservatorio e ciò è un fatto molto grave. In questa formazione che ha debuttato al concerto del 13.2.2015, c’erano accanto ai ragazzi, alcuni musicisti di esperienza allo scopo di sostenere artisticamente i giovani. Il programma presentato dall’orchestra poteva sembrare molto rischioso, perché si trattava della musica del 20° secolo. Invece la risposta da parte del pubblico è stata entusiasta. L’orchestra ha suonato molto bene e ha ottenuto i sinceri complimenti non solo dal pubblico ma an-

che dal solista. I giovani musicisti erano entusiasti sia del progetto iniziale sia del risultato finale. L’orchestra ‘I Musici del Teatro’ è aperta a tutti i giovani musicisti della zona, é aperta a qualsiasi tipo di progetto, infatti, per noi suonare significa affrontare qualsiasi tipo di musica, qualsiasi genere, in qualsiasi formazione e lo facciamo con grande entusiasmo”. Come vedi la vita musicale a Treviglio? “Se penso com’era Treviglio dal punto di vista musicale quando ero piccolo io, devo dire che la città ha fatto tantissimi passi avanti. Oggi ci sono tante opportunità che noi, da giovani, non potevamo neanche immaginare. Ci sono le scuole di musica, come il CeSM e l’Accademia Musicale, c’è la Scuola Media Grossi a indirizzo musicale. In tutte queste strutture i bambini e i ragazzi possono avvicinarsi alla musica. Bisogna partire da lontano per capire quanto la città, da questo punto di vista, sia cresciuta, ma questo non significa che bisogna fermarsi. Treviglio è la seconda città della provincia quindi deve essere un punto di riferimento. La Stagione di Musica ha un livello artistico sicuramente elevato, però io guardo sempre dal basso. Bisogna creare le opportunità per i giovani e la Stagione della Musica vuole essere per loro uno stimolo. Per quanto riguarda i progetti musicali che la città offre, non è sempre così semplice. Non dovrebbero essere solo le istituzioni e le associazioni che propongono, ma anche i musicisti che devono offrire progetti interessanti, ma per questi spesso la risposta delle autorità non è adeguata. Nell’ambito del lavoro che io faccio a Treviglio quando ho avuto l’opportunità, mi sono sempre rivolto ad artisti trevigliesi perché credo che queste collaborazioni siano molto importanti per la città”. Ringrazio Paolo Belloli per l’interessante e appassionato racconto e gli auguro tanto successo nel futuro e molti momenti meravigliosi con la musica.

Angelo Goisis: la mia testa è in Perù di Ivan Scelsa

Appena ritornato da una delle sue tante missioni umanitarie, ha sfornato un’idea che ai più potrebbe sembrare bizzarra, ad altri rivoluzionaria: istituire una scuola di riflessologia plantare nei pressi di Lima

C

onosco Angelo Goisis da oltre un decennio. Un uomo vero, Angelo. Uno di quelli che vorresti incontrare per strada tutti giorni, con cui dialogare di tutto, sagace, intelligente, altruista. Le sue prime esperienze nel mondo del volontariato internazionale si perdono negli anni: Bolivia, Brasile, Paraguay, Ecuador, Perù, …a contatto con la povertà più assoluta, con quelle realtà che in Italia possiamo solo immaginare attraverso le immagini trasmesse dai notiziari. E’ appena rientrato dalla sua ultima missione umanitaria in Perù, dove vi è rimasto per quasi due mesi, lavorando nell’ospedale “Santa Provvidenza” di Quillabamba costruito dall’Onlus Cottolengo di Torino e nella comunità di Suor Goretta Favero, una missionaria monfortana che, oltre trent’anni fa, ha avviato un centro per le famiglie con asilo, scuola, doposcuola e assistenza ospedaliera in una favelas a due ore di strada dalla capitale Lima. Proprio lì, dove c’è più bisogno, a Huaycan così come a Huancayo, Chacay e Cusco ha prestato tutta la sua esperienza di riflessologo a favore di bambini e indigenti. Angelo, com’è nata l’idea di questo ennesimo viaggio umanitario in Sudamerica?

“L’idea è nata in prosecuzione di un più ampio progetto già intrapreso da alcuni anni. Grazie alla collaborazione del dottor Federico Merisi e di Stefano Suardi, Presidente della Firp-Federazione Italiana riflessologia plantare- abbiamo deciso di avviare il progetto per la costituzione di una scuola di riflessologia plantare, grazie al quale abbiamo avuto l’opportunità di effettuare circa 440 visite”. Quali sono le principali problematiche sanitarie della zona dove ha prestato la sua attività? “Le problematiche sono molteplici. Partendo dalla grande povertà che attanaglia un po’ tutta l’area sudamericana, si passa a una scarsissima presenza dello Stato a favore della tutela della salute dei suoi abitanti. Nello specifico la sanità pubblica è inefficiente e solo chi è facoltoso si può permettere di curarsi nelle cliniche private. Parliamo di un’area geografica in cui sono ancora presenti e molto diffuse malattie come la tubercolosi, l’AIDS, la scabbia e le epatiti. E’ normale, quindi, che anche l’attività di volontariato sia particolarmente difficoltosa e vada effettuata con attenzione e la dovuta professionalità. Va quindi formato il personale che poi, in Marzo 2015 - la nuova tribuna - 23


Personaggi

Società/Disagio giovanile

Quei ragazzi che

Casa Futura

fuggono da casa

il MUTUO CASA DEDICATO ai giovani SOCI

di Carmen Taborelli

T loco, diventerà a sua volta un punto di riferimento per la popolazione”. I suoi scatti fotografici trasmettono serenità. A cosa lo attribuisce? “Il desiderio dell’uomo di vivere sempre al meglio delle proprie potenzialità, è un concetto a loro sconosciuto. La gente vive nella semplicità e i loro sguardi parlano da soli. Gli occhi vedono attraverso il cuore e trasmettono una ricchezza d’animo che per noi occidentali sta sempre più diventando solo un ricordo”. E la comunità trevigliese? Come vive questa esperienza? “La comunità del quartiere Ovest di Treviglio mi è sempre stata vicina, non solo moralmente. In tanti si sono adoperati per aiutarmi nel progetto, in primis Padre Eugenio e la Comunità della Chiesa di San Francesco di via Milano. Anche il Comitato Quartiere Ovest e altri amici trevigliesi, sempre sensibili all’argomento. Siamo riusciti a portare in Perù tanto materiale: stampelle, misuratori di pressione, elettrostimolatori, zapper, coperte e cuscini ortopedici; per mesi abbiamo pianificato l’attività da svolgere, raccogliendo il materiale e le donazioni utili per portare a termine il nostro sogno. Ma ce l’abbiamo fatta!”. Per utilizzare una frase tanto in voga nel giornalismo odierno: e ora? Cosa farà Angelo Goisis da grande? “Sicuramente nel 2016 tornerò in Perù per una nuova missione per la quale stiamo già lavorando: dobbiamo far germogliare e crescere quel seme che abbiamo piantato. Nel frattempo proseguono le attività a favore della comunità in cui vivo e per cui sta per nascere un nuovo, importante progetto del quale, però, non vi svelerò ancora nulla. Sono sicuro che l’intera comunità trevigliese ne avrà giovamento, e non solo…”.

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reviglio - “Fuga da” e “fuga verso” è un fenomeno in preoccupante crescita, che riguarda principalmente gli adolescenti. Le statistiche confermano che, a livello nazionale, tre adolescenti su dieci, almeno una volta nella loro vita, si allontanano volontariamente da casa. Risulta, poi, che siano soprattutto le ragazze a percorrere questa strada. Perché scappano? Per desiderio di libertà, per fuggire da una situazione familiare difficile, per provocazione, per dare dei segnali ai genitori, per provare emozioni, esperienze nuove, per fuggire con l’amato inviso alla famiglia, per insuccessi scolastici? Fuggire di casa è l’unica alternativa possibile? Non dovrebbe, invece, essere la soluzione estrema? Escludendo casi limite e fortunatamente sporadici, pare quasi ci si trovi di fronte a una nuova moda. Forse c’è dell’egoismo, c’è eccessiva disinvoltura, c’è poca riflessione? Un rifugio si trova sempre, al più si dorme nella sala d’aspetto della stazione. Una pizza poi si rimedia senza sforzo. Qualche soldino in tasca e l’immancabile cellulare ti garantiscono una discreta autonomia per qualche giorno. Tanto prima o poi si ritorna a casa o ci si mette nelle condizioni di essere rintracciati facilmente. E, per epilogo, gli abbracci, le coccole e altri gesti carichi di tenerezza e di affetto nuovo. Tutto finisce così? Nessuna riflessione? Nemmeno una tiratina d’orecchi? Chi ripaga la preoccupazione e la disperazione della famiglia che ha vissuto nell’angoscia l’allontanamento volontario del figlio? E ai costi sociali nessuno pensa? Le ricerche mobilitano il Prefetto, le Forze dell’Ordine, i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, la Croce Rossa, la Polizia Locale, il Sindaco, i Servizi Sociali e altri soggetti coinvolti a vario titolo nei casi di scomparsa. Soggetti, che, in base al ruolo istituzionale che rivestono, sono impegnati in prima linea o sono in continuo stato di allerta. Io per scelta non mi avventuro in analisi di sorta perché sprovvista delle necessarie competenze. Mi limito a porre degli inter-

rogativi. Lascio che a rispondere e a dare consigli siano gli esperti: il dr. Antonio Nocera, comandante della Polizia locale di Treviglio e l’Assessore ai Servizi Sociali, Giuseppina Zoccoli Prandina, ai quali chiedo anche di precisare l’incidenza del fenomeno sul nostro territorio. Dr. Antonio Nocera, Comandante Polizia Locale di Treviglio: “Per fortuna da noi la statistica che lei ha evidenziato non viene rispettata. I casi di allontanamento di minori sono molto sporadici. L’ultimo caso è stato quello della ragazza di Settala, ritrovata poi da noi a Treviglio (dove frequenta la scuola). In caso di allontanamento di una persona viene diramato un avviso da parte della forza di polizia che ne ha per prima notizia raccogliendo la denuncia dei genitori/parenti, quindi tutte le forze di polizia forniscono il loro contributo adoperandosi per la ricerca, allertando le pattuglie già presenti sul territorio e predisponendo un servizio di ricerca apposito. Da qualche anno, per la ricerca delle persone, la Protezione Civile di Treviglio dispone anche di un cane molecolare, ma fino ad oggi, per fortuna, non è stato mai impiegato sul nostro territorio”. Giuseppina Zoccoli Prandina, Assessore Servizi Sociali e Pari Opportunità del Comune di Treviglio: “Proprio recentemente

abbiamo avuto due casi di adolescenti -o giovani- fuggiti da casa che, fortunatamente, sono tornati dopo 2/3 giorni. Il tessuto sociale è sempre più fragile e i contrasti familiari, i timori di punizioni e le difficoltà di accettare regole, sono alla base di alcune di queste crisi adolescenziali. Bisogna distinguere, però, le vere fughe dagli allontanamenti provocatori, che sono un modo per avere più attenzione dalla famiglia e da chi li circonda. I Servizi Sociali si prendono carico della famiglia e solitamente indirizzano l’adolescente allo Sportello Pre-adolescenti dell’Azienda Speciale Risorsa Sociale Gera d’Adda o al Consultorio per i Giovani, attivo dall’aprile 2014 presso l’Asl di Treviglio. Per la pre-adolescenza è attivo poi, presso il CAG (Centro Aggregazione Giovanile), dell’Oratorio S. Agostino, un servizio rivolto a singoli ragazzi o a forme di aggregazione giovanile. I Servizi Sociali del Comune di Treviglio, che sostengono questa attività, anche attraverso Pre.Gio (Prevenzione Giovani), hanno offerto recentemente una psicologa per due ore la settimana, quale primo accesso sia dell’adolescente problematico, sia della famiglia. La rete dei servizi territoriali deve essere sempre più valorizzata, non solo per situazioni di emergenza ma anche sotto l’aspetto della prevenzione: è importante che i servizi siano rivolti alla promozione e valorizzazione della persona che inizia a dare i primi segni di disagio; è indispensabile la sinergia tra scuola, famiglia e servizi del territorio anche per promuovere incontri formativi per sostenere le competenze genitoriali nel corso della crescita dei figli. A questo proposito i Servizi educativi dell’infanzia, comunali e dell’Ambito hanno promosso nel 2014 una serie di incontri per la condivisione delle esperienze tra le famiglie e la corresponsabilità dei genitori nell’educazione e la cura dei figli. In questo ambito anche il mondo del volontariato e dell’associazionismo è stato molto presente promuovendo incontri di sensibilizzazione alla tematica”.

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Personaggi/Maria Palchetti Mazza

L’uomo che pesca i ricordi

Come nascono le storie di Maria

“Treviglio Amarcord”

a cura di Daniela Invernizzi

di Giorgio Vailati

La prof. Maria Palchetti Mazza, già preside della Media Tommaso Grossi, presidente dell’Associazione Clementina Borghi e nostra preziosa redattrice, presenta l’ultima sua creazione letteraria

Virginio Monzio Compagnoni, ereditato un gruppo Facebook dedicato al dialetto, ha tramutato le rimembranze in un laboratorio di ricerca storicoculturale supportata da fotografie e documenti

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ncontro Maria Palchetti Mazza nella sua casa, nel centro di Treviglio, quieta e silenziosa, ma anche zeppa di voci e ricordi del passato che giungono attraverso i quadri e gli oggetti di una vita. Questa signora, dall’aria dolce e mite, è una ragazza che non ha mai smesso di guardare avanti, e oggi siamo qui per parlare del suo ultimo libro, “La leggenda della vita” (edizioni Marna). “Sono racconti e poesie insieme” ci spiega. “A ogni racconto segue una poesia sullo stesso tema. Si parla di tante cose: di libertà e miseria, di ricordi, noia, solitudine, speranza, futuro”. Quando li ha scritti? “Negli ultimi sei mesi. È un’esperienza che avevo già fatto, quella di raggruppare i miei racconti, ed erano piaciuti. Amo il racconto, mi è più congeniale del romanzo. Adoro la sintesi, la capacità di riassumere in poche righe i sentimenti, i pensieri. A me le lungaggini non sono mai piaciute, non riuscirei mai a scrivere un romanzo alla Ken Follett”. Però il racconto non ha molto successo, soprattutto in Italia. “Sì, ma è anche vero che io non inseguo il successo. E comunque credo che il racconto sia molto sottovalutato. Il fatto che sia breve non vuol dire che sia più facile da scrivere. In esso mi ritrovo a dipingere, con poche pennellate, i personaggi, i loro sentimenti e il pensiero dell’autore”. Come le arrivano le storie? “A volte mi basta la minima percezione di qualcosa per scatenare una storia. Spesso succede di notte e appena posso mi metto lì e scrivo. Oggi ancora di più, perché ci sono dei grandi vuoti, dopo la scomparsa di mio marito. Leggendo, dipingendo e chiacchierando, o badando ai miei nipoti, riempio il vuoto che ha lasciato”. Fa una pausa, l’emozione è forte. “La vita è una cosa veramente terribile e meravigliosa nello stesso tempo. Io la definisco ‘Il Grande Scherzo’ …perché lo è. Ci tira dei bidoni pazzeschi, ci regala illusioni macroscopiche, eppure noi stiamo al gioco, anche perché non è possibile fare diversamente”. C’è, in questa raccolta, un racconto che

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le piace più degli altri? “Mille mi rispecchia molto. Sono una personalità complessa, ma con una sola religione: l’attenzione alla vita e al prossimo. L’amore, inteso come ascolto, comprensione, che è la religione vera della

La leggenda della vita

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’è tutta la vita in questa raccolta di racconti di Maria Palchetti Mazza. Non la sua in particolare, ma la vita di tutti noi, con i suoi lati più oscuri, i sentimenti più belli, il passato e il futuro, l’inizio e la fine. La vita che non è solo storia, ma anche leggenda, perché spesso popolata di fantasmi e illusioni che vivono solo dentro ciascuno di noi, ma che, grazie a questi, diventa unica e irripetibile. Con una serie di racconti brevissimi e poe-

ritrova le nostre radici

vita. Finché si è capaci di ascoltare, di volere bene, di aiutare, allora val la pena vivere. Io ci provo. E credo che una parola buona, al momento giusto, possa essere di grande aiuto”. Cosa, invece, non le piace nelle persone? “Odio la superficialità, l’arroganza, il potere”. Quando ha iniziato a scrivere? “Da ragazzina, quando ancora vivevo a Firenze con i miei genitori. Mentre frequentavo il liceo classico collaboravo con alcuni giornali femminili, ai quali mandavo le mie novelle, come si chiamavano allora. Poi mi sono sposata e sono venuta in Lombardia. Mi sie, che sono piccoli flash di momenti o piccoli affreschi di personaggi, l’autrice ci regala la sua personale visione di sentimenti come la speranza e l’amore, l’invidia e il pregiudizio, senza dare soluzioni o giudizi morali, ma solo un’occasione di riflessione su temi eterni come il dolore, o legati all’attualità come il rapporto con lo straniero. Il tutto con il tocco lieve e delicato, forse un po’ malinconico, di chi ha vissuto ed elaborato tutto questo, ma senza perdere l’entusiasmo per la vita; la quale solo così regala, a chi sa guardarla sempre con lo stupore della giovinezza, la capacità di narrare la sua leggenda. (d. i.)

Sopra la prof Maria Palchetti in una foto scattata alla Media Grossi nel periodo della sua presidenza, a sinistra un’istantanea dello scorso autunno mentre mostra la precedente sua opera letteraria, “Fiammetta e le altre”

è mancata molto la mia terra, anche se ho imparato ad amare anche questa, con la sua campagna, le sue rogge. Durante questo periodo di adattamento ho cominciato a dipingere. Poi è arrivato l’insegnamento. Prima in una scuola di Gandino, su e giù per la bergamasca con il motorino. Sono nate le mie figlie e quindi c’è stato un black out per quanto riguarda la scrittura. Nel ’58 sono arrivata a Treviglio. Ho ricominciato a scrivere qualche articolo per il Popolo Cattolico e così ho ripreso. Ho conosciuto il professor Cassinotti, che ancora oggi è il mio tramite per la pubblicazione di quello che scrivo”. Quanti libri ha scritto? “Sedici o diciotto, non ricordo bene. Anche una grammatica per Hoepli”. Lei ha insegnato ed è stata preside. Il suo legame con la scuola è ancora molto forte. “Sì, considero i ragazzi il sale della vita, che forse è una frase fatta, ma lo penso veramente. Cerco di ‘agganciarli’ continuamente, anche attraverso le iniziative dell’associazione da me fondata (Clementina Borghi, ndr). Ma non è sempre facile”. Lei, infatti, non sta mai ferma, lavora sempre a un sacco di progetti. “Tutto questo mi aiuta tantissimo, mi piace stare con la gente, avere la mente sempre aperta”. A quando la presentazione del libro? “Non lo so ancora. Sono in un momento in cui non mi va di apparire. Ma probabilmente accadrà, non so ancora quando, presso la mia vecchia scuola, la Tommaso Grossi. Ma ne porterò qualche copia a Fonte Viva, se per caso qualcuno fosse interessato”.

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reviglio Amarcord con i suoi quasi 1500 iscritti è uno dei gruppi Facebook più “anziani” e il secondo della città, superato dal più giovane “Sei di Treviglio se...” titolo fortunato che ha aggregato da subito 3000 iscritti per arrivare oggi a oltre 4300. Treviglio Amarcord però ha una sua peculiarità che si evidenzia dal titolo, quindi una sua omogeneità, continuità e tranquillità dialettica, raramente soggetta ad accenti sopra tono, subito smorzati dal sempre presente Virginio Monzio Compagnoni, erede del fondatore del gruppo. “Il gruppo originariamente si chiamava ‘Lingue e dialetti d’Italia’, fondato da un mio amico e collega della Same Vincenzo Sambito”. Stiamo parlando solo del Gennaio del 2012, ma sul web sembrano secoli. “Vincenzo mi coinvolse in questo progetto di recupero del dialetto locale” continua Virginio, “Ma poi per impegni familiari dovette desistere ed ereditai l’amministrazione del gruppo che, essendo diventato molto locale, fu ribattezzato ‘24047 Treviglio Amarcord’, per poi arrivare recentemente all’eliminazione del Cap”. Virginio Monzio Compagnoni (nella

foto) è un amministratore silenzioso, ma molto produttivo. Non solo controlla che nessuno alzi i toni o inserisca post incoerenti o polemici, ma soprattutto continua a

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L’uomo che pesca i ricordi

caricare materiale, tutti i giorni e moltissimo. Non è da solo, aiutato da un parentado altrettanto attivo, ma anche da membri che si sono appassionati al gruppo. Sono vecchi amici e nuovi amici, alcuni presenti quasi quotidianamente, altri occasionalmente, come il direttore de “La nuova tribuna” che ogni tanto riversa il suo materiale d’archivio, video compresi. Sia Virginio che i volontari che collaborano, attingono materiale un po’ ovunque, da quello familiare, alle vacanze, dalle cerimonie alle foto che si usava fare nelle classi, prima che introducessero la famigerata legge sulla privacy. Poi c’è internet, dove si scoprono foto e cartoline di Treviglio mai viste, quindi i libri di Tullio Santagiuliana, le sue agende, i libri di storia locale, i fascicoli recuperati qua e là, vecchi giornali. Non è un luogo per giovanissimi, poco attenti alla storia locale, al passato, proiettati come sono verso il futuro e solitamente poco stimolati -sia a casa che a scuola- a cercare le proprie radici. Pullula ovviamente di over quaranta, alla ricerca

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di scatti dell’oratorio, di quella volta quando c’erano anche Gianni, Massimo, Tobia, scomparsi da qualche anno per malattia, per un incidente... Insomma, c’è un po’ di tutto, dai nonni ai campioni, dal vecchio tram all’antica festa del patrono con il Luna Park in piazza Insurrezione e via Matteotti. C’è anche qualche bella foto recente, magari spesso confrontata con analoga “antica” degli anni ’70. Un capiente archivio il gruppo l’ha acquisito dalla scorsa primavera dall’ex capo dei Vigili Urbani di Treviglio Luigi Ferrari, grande foto amatore con un archivio potente. Virginio Monzio Compagnoni pian piano sta digitalizzando le immagini e riversandole sia in Facebook che nel suo blog: Virginio.Altavista.org. Non ha perso però lo spirito iniziale, recuperare il dialetto e quanto è legato alle espressioni popolari note e meno note. Insomma, più che un archivio, il gruppo è una sorta di laboratorio di ricerca, certamente non fatto da studiosi, ma che lo stanno pian piano diventando. Aiutano

Una passeggiata in una sera di festa a Treviglio, probabilmente negli anni ‘60: da sinistra Cianì Bertolini, Carlo Capitanio, Monzio Compagnoni Mario, Antonio Arrigoni, Nino Comotti, Antonio Muttoni. Sopra Andrea Monzio Compagnoni, papà di Virginio.

“Virgi”, e ci tiene a ricordarlo, Romano Zacchetti, Andrea Gamba, Giuseppe Polgatti, Bruno Frigerio, Angelo Oreni, Alfonso Zucca, Beppe Bresciani e Franca Monzio Compagnoni. Ovviamente noi de “la nuova tribuna”, oltre a contribuire ad animare e caricare il gruppo con le foto d’archivio, “saccheggiamo” con l’aiuto di Virginio il materiale inedito che scopriamo e qualcosa è già apparso. Nostro contributo, invece, le “signorine” dei Bagni di Sole, nel gruppo di “Virgi” e future oggetto di un servizio dedicato alle testimonianze dei bimbi di allora. Sotto le scuole elementari nel periodo della Grande Guerra, a sinistra le amatissime “signorine” dei Bagni di Sole presso il campo sportivo. In generale erano maestre o semplici mamme che si prestavano a controllare i bimbi e intrattenerli con ghiochi o favole. Il periodo è tra metà anni ‘50 e inizio anni ‘60.

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Personaggi/Il signore della Rolleyflek

Mario Marantonio, fotografo a Treviglio di Lucietta Zanda

Sotto il portico di piazza Manara delle vetrine abbandonate sono la traccia di un percorso verso un negozio che fece scuola tra gli anni ‘50 e ‘70 in città e nella Gera d’Adda. Un napoletano capitato per caso

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er chiunque non abbia vissuto negli anni ’60 nel cortile di Piazza Manara numero 3, entrare oggi nell’androne deserto e in completo abbandono di quel portone, potrebbe non significare nulla. Però là ci sono vissuta dal ’53 al ’59 e quel cortile, ora così desolato, rappresenta il periodo più vivo della mia infanzia e ogni volta che ci entro, gli sfolgoranti ricordi di me bambina, rivivono immediatamente attraverso i volti di chi l’ha animato e spesso reso famoso, ...i miei cari amici compagni di giochi e scorrerie Gaetano Ghiggini (Tanuccio) il cui papà era titolare dei rinomati “Magazzini al Duomo”, Germana Balconi la cui famiglia mandava avanti un laboratorio di strumenti di precisione proprio nel cortile comunicante, …ma soprattutto la vivace famiglia Marantonio che di quel cortile rappresentava la parte più artistica e pittoresca: Mario, Enza e la figlia Nadia gestivano, infatti, il più importante negozio di fotografia di allora, posto all’interno del cortile, e raggiungibile attraverso due lunghe ali di vetrine in cui venivano esposti le foto e i ritratti realizzati dall’abile fotografo. Ricordo Mario, la sua signorilità e l’affabilità dei modi, i tratti belli e distinti del

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viso, la sua allegria e la sua gentilezza nel trattare i clienti ma soprattutto noi bambini del cortile, che venivamo spesso e del tutto

A sinistra Gaetano Ghiggini e Lucietta Zanda in uno scatto di Mario Marantonio, sotto con la Rolleyflex, sopra la figlia Nadia e sullo sfondo Mario Ghiggini. A destra Lucietta Zanda con Gaetano Ghiggini e Piero Dominoni. Sotto Nardia Marantonio nel portico che portava al cortile del laboratorio. Si intravedono le vetrine chiuse

gratuitamente fotografati durante i nostri giochi o in studio, per ritrovare poi le nostre istantanee esposte nelle vetrine fuori. La moglie Enza, così cordiale ed espansiva, che nello studio si occupava dei rapporti con la clientela, bionda e sempre di buon umore, che pareva trascinarsi dietro tutti i fili di sole da quella Bordighera che era la sua città di origine. E ricordo Nadia, snella e con quel suo bel viso mediterraneo dagli occhi espressivi, molto riservata, che dopo la scuola ogni tanto appariva nel cortile scambiando qualche parola con noi. Dava spesso una mano a papà in studio curando soprattutto i ritocchi delle foto tessera di cui era un’accurata esperta. La ritrovo a casa sua per l’intervista, rendendomi conto che gli anni passati non sono riusciti ad annullare i bei tratti somatici di allora, ma soprattutto la vivacità di quegli occhi ancora talmente sorridenti, nonostante alcune molto tristi vicende della sua vita. Mi siedo nel suo piccolo ma caldo soggiorno, spostando una vissutissima Bibbia di cui è studiosa ormai da anni essendo testimone di Geova. Mi racconta che il papà Mario nasce a Napoli nel 1910 e che insieme al fratello Alberto aveva frequentato la scuola per capitani di lungo corso dell’Amerigo Vespucci, professione che non esercitò mai preferendo la fotografia, sua grande passione. Dopo essersi sposato con Enza e aver avuto Nadia, la famiglia si trasferisce dopo la guerra a Roma, dove Mario viene introdotto nell’ambiente di Cinecittà come fotografo degli attori, proprio da quel Sergio Pesci il cui figlio diventerà poi il marito di Virna Lisi. Nonostante la notevole gratificazione

A destra bimbi della Montecatini in uno scatto di Mario Marantonio del 1 Maggio 1958, durante l’annuale festa aziendale. Da sinistra seduti: Aurelio Settembrini, Massimo Fabbrucci, Cristina Repetto, Giuliana Bonfanti. In ginocchio Bilardo. Da destra in piedi: Carlo Maccarini, Roberto e Enrico Fabbrucci, quindi Bruno e Dario Gatti

economica e la sicurezza del lavoro, lo spirito libero e intraprendente di Mario, nonché le sue regole di vita molto lontane dal lassismo di quegli ambienti un po’ corrotti e libertini, lo spingeranno presto a lasciare Roma per raggiungere il fratello Alberto a Milano, dove prende in gestione uno studio fotografico nella zona del centro. Casualmente qui conosce il fotografo Franchetti di Brignano che gli offre l’opportunità di trasferirsi a Treviglio in società con lui nel suo studio all’inizio di Via Verga, cosa che porterà avanti per due o tre anni per poi affrancarsi e rilevare finalmente da solo lo studio in Piazza Manara. La professionalità e la passione per questo lavoro, faranno sì che la famiglia Marantonio possa godere di un periodo davvero ricco di benessere. Ben presto lo studio diventa il polo di riferimento cui rivolgersi per accurati servizi fotografici di eventi sociali e privati, come pure da parte di molte industrie dell’hinterland trevigliese che ricorrono a lui per i loro cataloghi aziendali, soprattutto mobilieri famosi come i Monzio Compagnoni e i Defendini. Mario è sempre aggiornatissimo sulle ultime novità in campo fotografico, vive in simbiosi con le sue “Rolleyflex” per i servizi dei matrimoni, e con una “Laika 36” per le foto più veloci di attualità. In studio ha una macchina fotografica a cavalletto con il classico telo nero per proteggere le lastre foto-sensibili dalla luce. Naturalmente sviluppa queste lastre nel suo laboratorio, ma agli inizi degli anni ’60 con l’avvento del colore, manda il materiale da sviluppare a Milano

presso laboratori più attrezzati, servendosi come corriere per tutte le forniture dell’indimenticabile vivacissimo Corazza, detto “Curasì”, che era un po’ il corriere di tutti i commercianti, sempre puntuale, affidabile e veloce, con quel suo onnipresente berretto in testa che sembrava alato come quello di Hermes, il messaggero degli dei. Più tardi lo stesso “Curasì” si farà aiutare anche dal figlio - suo clone, data la somiglianza- allegro e intraprendente come padre. Inoltre, l’innegabile charme di Mario e la sua bravura nel ritoccare i ritratti e quindi far apparire più belle le signore di allora, gli procurano un giro di clientela femminile i cui favorevoli commenti nei confronti del bel marito, spesso susciteranno la bonaria gelosia della moglie Enza, tuttavia sempre molto orgogliosa di condividere la sua vita con quest’uomo talmente capace di imporre un proprio stile così unico in un campo professionale ancora un

po’ agli inizi. Da lui andranno ad imparare l’arte della fotografia anche quei Leoni e Cesni che apriranno poi il loro negozio in Piazza Setti. Un tremendo incidente di macchina nel gennaio del ‘63 stroncherà in maniera brutale la vita di Mario, a soli cinquantatré anni. Mentre in un pomeriggio di nebbia sta tornando da Caravaggio -dove si era recato a trovare la figlia Nadia che là viveva- un camion gli attraversa la strada. La morte è immediata e raccapricciante. La famiglia ne è devastata. Mancando lui, Enza e la figlia -che si era sposata e aveva avuto un bambinonon sono in grado di continuare da sole l’attività. Poco o niente sanno di fotografia, assumono due aiutanti e Nadia s’industria a imparare quello che serve perché lo studio non affondi, ma il livello qualitativo scende notevolmente, non c’è più Mario a dirigere il coro, inoltre Nadia, con notevole disagio, deve arrabattarsi tra il crescere suo figlio Maurizio e seguire bene il lavoro che la porterà tuttavia ad appassionarsi a questa professione. Per circa otto anni girerà a sua volta per la bassa inseguendo matrimoni, battesimi e qualche evento importante, ma il lavoro viene meno e lo studio è costretto, sommerso dalle spese, a chiudere i battenti nel ’73. Nadia troverà lavoro presso un’azienda di Zingonia ed Enza cercherà con lavori occasionali di dare una mano alla figlia. I liguri, del resto, non si sono mai tirati indietro di fronte alle avversità! Viene purtroppo meno con lo studio Marantonio una parte molto importante di storia trevigliese, anche perché tutto il prezioso materiale fotografico, che di certo Mario aveva raccolto nel corso degli anni, è andato perso durante alcuni traslochi. Pochissimo rimane di quei cimeli a documentare quegli anni così significativi per la storia, non solo cittadina, ma di tutti coloro che attorno alla Treviglio di quegli anni, hanno vissuto i fasti, le tragedie, i piccoli e i grandi slanci della vita di tutti i giorni. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 31


Fotografia/I professionisti del’900

Eccellenze/Associazionismo

I ventuno anni degli Amici del Chiostro di Luciano Pescali

Da un’idea di Rosella Manenti, nel 1994 nasce un’associazione per supportare gli studenti che frequentavano la biblioteca, attività apprezzata che negli anni si è ampliata notevolmente

E Ildebrando regalò un fotomontaggio di Giorgio Vailati

Santagiuliana senior si evidenziò per un dono prezioso al Comune nel 1922. Qualche cenno alle botteghe di altri fotografi del ‘900, come Molina, Giulio e Alfredo De Feo, Alessandro Astesano e Alberto Mochi

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antagiuliana senior si evidenziò per un dono prezioso al Comune nel 1922. Qualche cenno alle botteghe di altri fotografi del ‘900, come Molina, Giulio e Alfredo De Feo, Alessandro Astesano e Alberto Mochi. Il fotografo Mario Marantonio arrivava da Napoli, mentre il capostipite dei fotografi Santagiuliana (1865-1938) arrivava da Vicenza. Papà di Romilda, Fulvia, Bice, Tullio, Ottorino, Brandino, papà Idelbrando aveva un negozio di fotografia in via Verga. Così almeno si deduce da antiche cartoline che riprendono una grande scritta su un muro all’altezza del primo portone a destra che si apre su un cortile (vedi in alto). Successivamente casa e bottega furono trasferite in viale Oriano, proprio di fronte alla Via Locatelli, dove il figlio Brandino proseguì l’attività, affiancandola alla passione per la pittura, in particolare i ritratti, la musica, l’umorismo, la letteratura e la poesia. Del papà Idelbrando si ricorda in particolare l’impegnativo lavoro donato al Comune in occasione del XXV° anniversario del suo arrivo a Treviglio. Infatti, l’8 Novembre del 1922 consegnò un grande quadro contenente le foto e i nomi dei trevigliesi caduti durante la Grande Guer-

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ra. “Santagiuliana nel regalarlo indicò anche la collocazione ideale” ci spiega Carmen Taborelli, autrice della ricerca. “Impegnando l’Amministrazione comunale a conservare l’opera e metterla in bella vista, perennemente, in una sala del municipio”. Negli anni successivi, ovvero nel periodo fascista, un altro fotografo s’impose, diventando l’autore della gran parte delle foto scattate durante le manifestazioni pubbliche, sfilate, premiazioni e feste comprese, si tratta del fotografo Mola, con negozio in via Roma. Negozio che negli anni successivi aggiungerà il nome di Giberti, diventando

Sopra Ildebrando Santagiuliana, sotto nella foto in mezzo il figlio Brandino. A sinistra Vittorio Astesano e a destra Alberto Mochi.

così la cartoleria Mola & Giberti. Sempre in via Roma, tra l’ultima guerra e fino agli anni ’50 (dove oggi è l’Ottica Mattioli), operava il fotografo Giulio De Feo, partigiano socialista e membro del Comitato di Liberazione Nazionale, poi il figlio Alfredo, artigiano che cederà l’attività a Vittorio Astesano. Questi proseguì la professione fino all’inizio degli anni ‘60, per poi cedere la licenza all’ottica Marziali & Farneti, che abbandonò del tutto la fotografia. Subentrò nel 1971 l’ottico Alberto Mattioli, giovanotto di Castiglione delle Stiviere, appassionato di basket. Curiosità: un erede De Feo, Alfredo, è presente con l’attività di ottica in un negozio a Lazise (Verona) e mantiene ancora contatti con Treviglio e Cassano d’Adda, dove ha abitato con i genitori. Dopo la morte di Mario Marantonio esplose il binomio Pino Cesni e Mario Leoni, vivacissimi anche nel modo dello sport, mentre Alberto Mochi, abbandonato il lavoro di fotografo giornalistico per le testate milanesi e nazionali, aprì un negozio in via Mulazzani, nel palazzo che affaccia anche su viale Oriano. Si dedicherà a foto più studiate e album fotografici di matrimoni e cerimonie, allora di rara professionalità.

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a un’idea di Rosella Manenti, nel 1994 nasce un’associazione per supportare gli studenti che frequentavano la biblioteca, attività apprezzata che negli anni si è ampliata notevolmente Un sodalizio che opera nell’ambito della cultura a Treviglio è l’Associazione onlus “Amici del Chiostro” (AdC), ne parliamo con l’attuale presidente Maria Pasquinelli. Quando nasce l’associazione “Amici del Chiostro”? “Quest’anno festeggiamo i 21 anni. Nata nel 1994, periodo amministrazione del sindaco Luigi Minuti, un gruppo di volontari guidati dalla prof.ssa Rosella Manenti si pose l’obiettivo di incrementare le attività del Centro Civico Culturale, questo offrendo l’opportunità agli studenti di utilizzare le sale di studio della biblioteca “Cameroni” nelle ore serali. A questo si affiancò il servizio di apertura del Museo Civico due volte la settimana”. La vostra attività non rimase però ristretta all’ambito trevigliese? “No, infatti, dal 1999 al 2010 l’attività dell’AdC fu richiesta da altri comuni della Bassa Pianura Bergamasca (Pagazzano, Fornovo, Pontirolo ecc.), e nello stesso periodo nasce l’area di attività correlata al servizio di Biblioteca e Officina dei bambini. Attività che ebbe subito successo, come il “Gran Prix delle biblioteche”, dove riuscimmo a coinvolgere molte scuole elementari del territorio. Altre iniziative qualificanti contraddistinsero quegli anni. Nel 2006 grazie al lavoro di una delle collaboratrici, Paola Bettoni, al mio e all’aiuto del Rotary Club di Treviglio, abbiamo pubblicato il primo libro dedicato alla conoscenza della biblioteca, intitolato “La Biblioteca in un libro”. Non solo, tra il 2009 e il 2010 in collaborazione con McDonald Treviglio, abbiamo preparato e diffuso gratuitamente una raccolta multimediale intitolata ‘Treviglio tra le pagine’. Furono scansite tutte le riviste edite a Treviglio dal 1862 al 1926 presenti presso la nostra biblioteca ‘Cameroni’, arricchendo il tutto con materiale delle biblioteche ‘A. Maj’ di Bergamo e ‘Braidense’ di Milano. Il ma-

teriale è stato poi raccolto all’interno di un dvd, stampato in più copie e distribuito gratuitamente e tuttora disponibile, se richiesto”. Un bell’impegno. “Sì, ma pieno di soddisfazioni anche se molto gravoso; tant’è vero che nel 2010 -a seguito di un cambiamento nell’assetto dell’associazione- si decise di modificare la struttura societaria abbandonando la componente formata dai soci collaboratori (questi ultimi retribuiti), lasciando spazio solo ai soci volontari e riducendo così l’ambito della nostra attività alla sola Treviglio. Ora i soci sono in tutto 21 ed è grazie a loro che il Comune di Treviglio può garantire l’apertura di due pomeriggi la settimana (martedì e sabato) del Museo Civico “Ernesto e Teresa Della Torre” e, se richiesto, anche in orari inconsueti. Ol-

tre a ciò i volontari prestano la loro opera per l’allestimento materiale delle mostre e la loro apertura, questo per tutta la durata. Poi partecipano a eventi estemporanei organizzati dal Comune all’interno della sala Crociera del Centro Civico. Nel 2014 sono state 8 le mostre cui è stata garantita assistenza e apertura”. Ci parli ora del “Tè al Museo” “E’ il fiore all’occhiello della nostra associazione. Partita in sordina nel 2009 come ‘Un pomeriggio al Museo’ ha incontrato un interesse e una sempre maggiore partecipazione. Si tratta d’incontri pomeridiani nel Museo (Uno ogni terzo martedì del mese; 10 in tutto organizzati nel 2014) in cui sono svolti temi o descritti personaggi o oggetti o avvenimenti che possono avere riferimenti alle opere esposte nel museo o a periodi storici ben definiti: il Risorgimento, il ‘700 come secolo dell’illuminismo e delle scoperte, l’800 per i rivolgimenti sociali ed economici e molti altri. Tutti incontri preparati e documentati sia dai volontari sia da persone esterne da noi invitate espressamente. Alla fine, come da titolo, è offerto ai presenti il tè o altre bevande con pasticcini e biscotti”. Cosa si augura per il futuro? “Auspico un aumento dei soci AdC in modo da poter avviare nuove iniziative, ma soprattutto consentire un incremento dei giorni di apertura del Museo e più pubblicità alle nostre iniziative affinché sempre più persone si avvicinino alla cultura”. Per contattarvi? “L’indirizzo mail è amicidelchiostro@libero.it, ma ci trovate anche su Facebook o scrivendo a: Associazione Amici del Chiostro, Via Pagazzano c/o Biblioteca Zona Nord - Treviglio”. Il museo in uno scatto di Enrico Appiani

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Eccellenze/Associazioni

I maghi italiani della telefonia di Roberto Fabbrucci

Il “Gruppo Meucci” di Treviglio

Sono richiesti in tutt’Italia, sono apparsi su Rai 1 e Rai 2, collaborano con l’Archivio Storico Nazionale della Telecom e rappresentano una delle eccellenze che fanno l’orgoglio di Treviglio e della Gera d’Adda

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asce il 27 novembre 1999 per volontà di alcuni dipendenti e pensionati SIP/Telecom, con lo scopo di diffondere la cultura delle Telecomunicazioni. Si prefigge, in particolare, di promuovere iniziative di carattere culturale nelle scuole, informando e approfondendo lo sviluppo e la trasformazione della telefonia e dei sistemi di comunicazione nel tempo. Allo stesso modo organizza mostre e incontri che rievocano e illustrano -attraverso gli stessi apparati- la trasformazione della telefonia negli anni. Il Gruppo Meucci ha effettuato numerosi interventi nelle Scuole, dalle primarie alle superiori, nonché mostre presso Comuni, Enti, Banche. Svolgendo inoltre manifestazioni culturali e sociali nella Provincia di Bergamo, durante trasmissioni su RAI 1, RAI 2 e alcune emittenti private. Grazie alla cooperazione dei Soci/ collezionisti il Gruppo ha oltre 400 apparecchi di vario tipo (Batteria Locale, Batteria Centrale, Batteria Centrale automatica, Telefonia Pubblica) che spaziano dal 1894 al 1970, e apparati di Centrale, di Commutazione, di Trasmissione, strumenti di misura, vestiario degli anni 50, unitamente ad una serie accessori che vanno dai primi del 1900 fino al 2000. Nel 2012 il Gruppo Meucci è stato ospite durante l’inaugurazione dell’Archivio Storico Telecom Italia di Torino, con il quale sta proseguendo un rapporto di collaborazione. Il Gruppo formato da 17 membri è sostenuto dalle collezioni FerGrazie di Ferruccio Ghilardi e Graziella Bonasegale, Martino Canali, Silvano Moneta e Decio Galbiati. Per qualsiasi informazione sul Gruppo Meucci di Treviglio s’invita a visitare il sito: www.gruppomeucci. blogspot.com.

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A sinistra durante la diretta su Rai 1, sopra uno scatto durante “Treviglio Vintage” 2014. Sotto, da sinistra, Ferruccio Ghilardi e Gianni Cortesi. Poi il Gruppo Meucci durante una recente mostra

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ello scorso numero avevamo annunciato un articolo sul Gruppo Meucci, un’associazione fondata da Ferruccio Ghilardi, Paolo Bettini e alcuni pensionati Sip-Telecom nel 1999. Da allora la passione e le competenze tecniche complementari dei soci, aiutano a crescere l’associazione, recuperando apparati, permettendo di ripararli e farli funzionare. Paolo Bettini fu nominato presidente, affiancato nella vice-presidenza dalla mente tecnica Ghilardi. Iniziarono così a mostrare un po’ ovunque, soprattutto nelle scuole, i loro telefoni, centralini, sistemi di telefonia. Mostre divise in due settori, la parte statica (ovvero telefoni e apparati solo da poter osservare, studiare), poi la mostra dinamica, sistemi completi dove telefoni, magari collegati a un centralino o a un apparato di smistamento, permettono a vari terminali di comunicare. E’ facile immaginare la meraviglia dei ragazzini, ma anche degli adulti, di fronte alla rivelazione che accompagna il

funzionamento di questi oggetti bellissimi d’antiquariato, o semplicemente di modernariato. Treviglio Vintage ha fornito d’altronde prova dell’interesse della curiosità che suscita la telefonia, ma anche del grado di professionalità raggiunta dal Gruppo Meucci di Treviglio, oggi presieduto da Gianni Cortesi (anch’egli dipendente Telecom), subentrato nell’incarico dopo la prematura scomparsa di Paolo Bettini nel 2001. Desiderosi di parlarne in modo più approfondito, chiediamo a Enrico Appiani, nostro reporter fotografico, di organizzare l’intervista. L’incontro avviene al Bar Milano e i ricordi volano nel tempo, indietro,

parlando dei nostri fratelli con Ghilardi, poi di fine anni’60 con Gianni Cortesi; rievochiamo i tempi di Viva la Gente e i gruppi orchestrali di cui faceva parte. Poi si arriva al dunque, quei bellissimi oggetti che il gruppo ha accumulato negli anni e spesso mette in mostra. Qualcosa già sapevo, ma poco, chiedo dunque approfondimenti sul gruppo che appare spesso sulla stampa locale, ma persino su Rai 1 e Rai 2 com’è capitato più di una volta. “L’Associazione è nata per sostenere e diffondere la cultura e informare delle varie trasformazioni subite nel tempo delle comunicazioni” Spiega Gianni Cortesi. “Andiamo spesso nelle scuole -ricorda Ghilardi- dove i ragazzi imparano a capire l’evoluzione, dal periodo in cui i centralini erano manuali, con le spinette da inserire, poi l’evoluzione dei combinatori a relais elettromeccanici, infine quelli digitali”. “Agli adulti non può venire in mente” continua Cortesi, “...ma quando un ragazzino si trova un disco combinatore del telefono davanti, non si diverte a farlo girare, ma pigia sui numeri. Quindi capisci

che mostrare gli apparati telefonici e poi far divertire i ragazzi usandoli, permette loro di acquisire informazioni concrete, approfondite”. Assieme a queste esperienze e mostrando i primordiali telefoni, si fa anche qualcosa di più, si ricostruisce la storia della telefonia da fine ‘800 ai giorni nostri. Così, se ci riflettiamo, ricostruiscono la nostra epoca nei punti di svolta principali: dal telefono poi la radio, la tv, i satelliti, i circuiti integrati, i telefonini, internet e tutto ciò che fa funzionare l’economia e la vita moderna. E la forza del “Gruppo Meucci” è sì nella capacità tecnica e conoscenza storica della tecnologia delle comunicazioni, ma soprattutto nella possibilità di far toccar con mano questa storia. Mettendo assieme le collezioni dei soci, sono riusciti a costruire un’organizzazione forse unica nel suo genere, d’altronde visitando il loro sito si può osservare per intero il percorso compiuto in questi anni. Sia a livello di qualità che di chilometri percorsi nel territorio nazionale per rendere disponibili le loro competenze. Certamente la descrizione del Gruppo Meucci non può finire in queste poche righe, solo un’introduzione a un percorso che ci auguriamo di fare insieme, magari collocando la loro esperienza a riferimenti sia storici che d’attualità del territorio.

Il programma didattico degli incontri

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l Gruppo Meucci organizza abitualmente incontri didattici all’interno delle scuole, presentando un programma ben organizzato che qui riproduciamo. 1) Presentazione del Gruppo; 2)Filmato biografia di Antonio Meucci; 3 Filmato sui 150 anni delle Telecomunicazioni in Italia; 4) Illustrazione pratica: • Nozioni elementari di elettromagnetismo con riferimento alla corrente fonica; • Rappresentazione pratica del telefono a batteria locale e a batteria centrale, in origine con la manovella, con operatività su un centralino dei primi anni del 1900; • La comparsa del disco combinatore e il conseguente passaggio all’era della batteria centrale automatica, con operatività su un’appendice di Centrale elettromeccanica originale; • La comparsa della tastiera che segna il passaggio al sistema digitale; • La comparsa del display fino al videotelefono; • Il cordless, il telefono senza fili; • Riproduzione della corrente fonica, rappresentazione su un oscilloscopio; 5) Illustrazione dei cavi telefonici fino alla fibra ottica; 6) Mostra degli apparecchi che si sono succeduti tra la fine dell’800 ad oggi, infatti i vari tipi di apparecchi telefonici, oltre a mutare nello stile, hanno seguito l’evolversi della tecnologia, subendo alcuni cambiamenti sostanziali. Percorso nelle varie tappe storiche. 7) In chiusura, domande, chiarimenti, riflessioni, curiosità, impressioni e discussione. Il Programma è oggetto di rivisitazione e/o adeguamento dei tempi in funzione della disponibilità e partecipazione delle persone. L’Associazione Volontari “Gruppo Meucci“ ha sede in Via B. Rozzone 1 a Treviglio (e-mail : grmeucci3v@libero.it - sito: www.gruppomeucci. blogspot.com)

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Emittenti locali/Pienneradio

Da Pontirolo sulla cresta dell’onda Nata per diffondere un evento religioso, Pienneradio ha superato il quarto di secolo e si è dotata di nuovi studi. Non ha pubblicità ed è sostenuta totalmente da volontari che si alternano al microfono

N

acque quasi in sordina nel 1989: in quell’anno un gruppo di sacerdoti missionari arrivarono a Pontirolo Nuovo e, per coinvolgere fedeli e popolazione, diedero vita a una radio che trasmettesse le funzioni dalla chiesa parrocchiale e pure qualche programma. Un’intuizione che spinse l’allora parroco, don Ernesto Beretta, a fondare una vera e propria emittente, con una frequenza registrata e con tanto di studi. Venticinque anni dopo quella radio esiste ancora: si chiama Pienneradio. E se all’inizio aveva lo scopo di trasmettere le funzioni religiose dalla parrocchiale di San Michele, per consentire di seguire i riti anche a chi non poteva fisicamente recarsi in chiesa, perché ammalato o invalido, col passare degli anni quell’emittente si è evoluta, pur mantenendo lo stesso spirito di servizio e il legame con il territorio. A partire da chi ci opera, come speaker o tecnico: si tratta, infatti, di una trentina di volontari, ciascuno con la propria funzione o trasmissione. Recentemene, per il venticinquesimo anno di attività, Pienneradio si è regalata nuovi studi in piazza Marconi, accanto a quelli ormai vecchi. Studi che sono ricavati a pianterreno di una palazzina accanto alla chiesa parrocchiale. La piccola emittente è, infatti, di matrice cattolica, ma non per questo strettamente confessionale. I programmi sono, infatti, di

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varia natura e i microfoni aperti a tutti, a patto che vengano rispettate, com’è ovvio, le persone e le opinioni altrui. Per questo, nel corso degli ultimi anni in particolare, sono state realizzate trasmissioni di varia natura, che hanno ricevuto apprezzamenti dagli ascoltatori. Si va, infatti, dai programmi di informazione a quelli di approfondimento, dalla musica per le famiglie a quella per i giovani. Del gruppo di collaboratori non fanno ormai parte soltanto pontirolesi, ma anche volontari che giungono da diversi paesi. Il raggio d’azione della frequenza nell’etere –89,7 mhz in fm– raggiunge i paesi attorno a Pontirolo, a cavallo tra le

province di Bergamo e Milano. Ma da ormai qualche anno l’emittente si può ascoltare praticamente in tutto il mondo in streaming, utilizzando il sito www.pienneradio.com. Sito che ospita anche una chat per interagire in diretta con chi è in studio, oppure tra gli ascoltatori. Del coordinamento delle trasmissioni si occupa da sempre Roberto Giovansana, che è il direttore artistico, mentre il direttore responsabile della testata giornalistica è Fabio Conti. La forma giuridica che raggruppa i volontari è l’associazione “Amici di Pienneradio”, presieduta da Vittorio Frigeni. Responsabili tecnici sono Ferdinando Galli e Cristian Spini, mentre la segretaria è Antonietta Castelli. Del direttivo fanno poi parte Romano Parimbelli, Walter Rovelli, Carmen Basso e Viviana Mascheroni. Vi sono poi i numerosi collaboratori, che si occupano delle varie trasmissioni. Tra loro Massimo Necchi, Andrès Gutièrrez, Ornella Mereghetti, Roberto Brivio, Andrea Corbani, Lorenzo Colombo, Giancarlo Lonati, Giancarlo Lecchi. Le trasmissioni vanno dagli approfondimenti alla cultura, con una seguita rubrica di poesia intitolata “Le stelle nelle tasche”, dal radiogiornale “Ultimo minuto”, all’altrettanto seguito “E’ domenica”, in onda tutte le domeniche mattina. E poi la musica, con i dj che trasmettono la sera. A breve saranno programmate nuove trasmissioni, che amplieranno il numero di collaboratori. Pienneradio ha ormai una sua storia di un quarto di secolo e ne va fiera, anche perché è sempre riuscita a restare una voce libera, anche dalla pubblicità, perché non ne viene trasmessa. I volontari si autotassano per acquistare materiale. Tutto il resto è frutto della loro fantasia, che si tramuta in numerosi programmi. Recentemente sono stati ospiti degli studi il Bepi e il comico

A sinistra il Consiglio direttivo dell’emittente con don Ernesto Beretta, il fondatore, tornato in visita nei giorni scorsi. Da sinistra, in piedi, Fabio Conti, Vittorio Frigeni, don Ernesto, Walter Rovelli, Nandi Galli; seduti, da sinistra, Roberto Giovansana, Carmen Basso, Cristian Spini. Sopra “il Bepi” in visita a Pienneradio. Sotto Carmen, Roberto e Viviana. A destra e sotto il nuovo studo.

di Bergamo Pietro Ghislandi, con due interviste divertenti. Ma non sono mancati gli approfondimenti di attualità, con interviste al cardinale Angelo Scola, al cardinale Giovanni Battista Re, al cardinale Loris Capovilla. “Il ruolo di Pienneradio è rilevante –ha sottolineato l’arcivescovo di Milano– e penso soprattutto al grande servizio che può fare per alimentare il dibattito tra le varie componenti della società civile, per far conoscere le esperienze, per invitare altra gente, per raggiungere gli anziani e gli ammalati che possono così prendere parte direttamente ai grandi avvenimenti della vita della comunità”. A livello informativo, sono frequenti gli interventi degli amministratori locali. La nuova sede di piazza Marconi è la terza della storia di Pienneradio. Anzi, la quarta, se si considera il camper dentro il quale i missionari allestirono il primo studio, accanto alla Sotto Pietro Ghislandi a Pienneradio, a destra tre volontari: Carmen Basso, Roberto Giovansana e Viviana Mascheroni

chiesa parrocchiale. Perché (ancora oggi) il vicino campanile di Pontirolo funge anche da traliccio per l’antenna dell’emittente. Dopodiché Pienneradio è stata ospitata dall’inizio degli anni novanta e per qualche anno soltanto, in una piccola struttura accanto alla chiesa, dopodiché in uno studio più grande, sempre in piazza Marconi. Nelle scorse settimane, a seguito della cessione di quell’immobile da parte della Comunità pastorale Giovanni XXIII di Pontirolo, Canonica e Fara d’Adda, si è reso necessario il trasloco degli studi. Così mixer, microfoni, monitor, computer e trasmettitori sono stati spostati nell’edificio accanto, sempre di proprietà della parrocchia e all’interno del quale si svolgono varie attività comunitarie. Un ampio spazio a pianterreno è ora appunto dedicato esclusivamente alla radio: sono stati ricavati gli studi, una saletta per le riunioni e un magazzino per il materiale. Pienneradio può dunque ora contare su nuovi e più funzionali spazi. “Il grazie va a tutti i volontari che, nelle ultime settimane, hanno affiancato il loro impegno nelle trasmissioni e nella parte tecnica all’impegno, altrettanto gravoso e ben più faticoso, del trasferimento degli studi –sottolinea Fabio Conti, direttore responsabile della testata giornalistica della radio–: il risultato è sotto gli occhi di tutti, visto che i nostri studi

sono aperti a chiunque voglia visitarli. Ora si stanno studiando nuovi programmi, che contribuiscano a rinsaldare ancor più il legame tra il territorio e questa emittente, tra le più piccole d’Italia ma anche tra le più legate al proprio territorio. Dopo la nascita della Comunità pastorale i tecnici hanno potenziato i collegamenti con Canonica e Fara. Dal punto di vista informativo abbiamo in programma numerose trasmissioni di approfondimento, sempre caratterizzate dalla presenza sul territorio: punto forte sono senza dubbio le interviste speciali, trasmesse durante il seguito programma ‘E’ domenica’, in onda tutte le domeniche mattine”. Nel corso degli anni la radio si è dunque evoluta, restando al passo con i tempi, e ha sempre mantenuto un elevato livello di programmazione, facendo anche parte del circuito ‘InBlu’, che collega un centinaio di emittenti cattoliche in tutta Italia. Piatto forte dell’emittente è però l’autoproduzione dei programmi. Tanti i giovani, soprattutto, che si alternano dietro i microfoni di Pienneradio per programmi di carattere musicale, spaziando per tutti i generi. “Siamo comunque aperti anche a nuove collaborazioni di appassionati del settore –aggiunge ancora Conti-. Chiunque voglia proporre un proprio programma, di qualunque natura, non deve far altro che contattarci: sarà il benvenuto”.

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Eccellenze/Scuole materne

La rivoluzione partì dall’abate Ferrante Aporti

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La lungimiranza dell’abate Carcano L’asilo che ne porta il nome, il 16 Marzo arriva al traguardo dei 180 anni. Seguace di Ferrante Aporti, l’abate inventò letteralmente un Asilo infantile in un’epoca dove le emergenze certo non mancavano

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ento ottanta anni di vita e lavoro sono tanti. Nessuna istituzione trevigliese può vantare un numero altrettanto importante, quanto l’Asilo Carcano, che il 16 marzo prossimo festeggerà questo mega compleanno, ma la cosa più importante da sottolineare è un’altra, ed è qualitativa, ben al di là di quel numero impressionante, che si avvicina ai due secoli. Se riflettiamo su quanto fatto all’inizio di questo percorso e su quanto si sta facendo oggi, nell’anno di grazia 2015, scopriamo infatti un dato comune ancor più significativo: il coraggio dell’innovazione. Spostiamoci per un momento al 1835. C’erano a Treviglio, dice il fondatore Carlo Carcano, “Duecento sedici fanciulli compresi nell’età dai due e mezzo e i cinque anni compiuti, tre quarti dei quali poveri e miserabili”. Ebbene, non mancavano certo a Treviglio altre emergenze sociali e altre priorità ma Carlo Carcano – seguace in questo del precursore Ferrante Aporti – “inventò” letteralmente un Asilo infantile per dare un luogo di educazione e crescita serena ai più piccoli. Oggi tutto questo si chiama welfare e riguarda i complessi problemi di una società industriale avanzata, che deve conciliare

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modelli di vita, lavoro femminile, tutela delle famiglie. E’ normalmente considerato il capitolo più moderno e attuale della socialità di un Paese e l’indice italiano ancora molto basso è considerato un fattore di arretratezza. Pensate cosa significava 180 anni fa, con l’agricoltura di stenti e di emigrazione forzata che sarebbe durata ancora fino alla fine del secolo. Ci voleva davvero una lungimiranza straordinaria e bravi gli austriaci a capirlo, dando all’abate Carcano l’autorizzazione governativa in tempi strettissimi per aprire

Immagini di inizio ‘900 dell’edificio esterno visto dalla strada e dal cortile, quindi il refettorio. Sotto Livia Bonetti Gatti, presidente del Carlo Carcano.

il primo asilo dell’infanzia di tutta la provincia di Bergamo. A Treviglio non c’era ancora la luce elettrica (figuriamoci), si discuteva appena di ferrovie, il borgo, 9000 abitanti, era sperduto, ma subito, il primo giorno, sessanta bambini trovarono davvero qualcosa di più di un “asilo” cioè un rifugio rispetto allo squallore dei cortili, delle vie fangose. In due settimane diventeranno 186, in pratica tutti i piccoli della Treviglio di allora. Carcano era riuscito a mettere insieme le migliori risorse dell’epoca: la famiglia Blondel, Tommaso Grossi, Antonio Visconti, i fratelli Cantù, persino Massimo d’Azeglio. Se andiamo ora al polo opposto di questo lunghissimo nastro temporale e verifichiamo cosa c’è oggi in quell’edificio costruito nel 1899 in Viale Battisti, austero ma elegante, tra i migliori esempi dell’architettura trevigliese, di per sé non molto fastosa, scopriamo che il filo avviato 180 anni fa non solo non si è interrotto, ma ha tenuto vivi i principi ispiratori. Li condensiamo in una parola che abbiamo già usato: modernità. La gestione attuale ha saputo mantenere il tratto di “originalità” che rese davvero grande l’intuizione di Carlo Carcano. Originalità nell’approccio e nella visione, ben al di là del concetto di asilo-parcheggio che nei tempi più recenti ha caratterizzato l’impostazione di queste istituzioni, capaci – quando va bene -solo di far fronte a un’esigenza prioritaria (“dove mettiamo i nostri bambini, se vogliamo lavorare?”). Al Carcano, la direttiva resta quella edu-

cativa che in anni tanto lontani il fondatore ebbe la genialità di impostare sul concetto che “una istessa zuppa per ricchi e poveri” non solo sfamava, ma consentiva anche un confronto sociale positivo e creativo per il povero ma forse ancor più per il ricco. Aver saputo preservare questa finalità educativa di fondo, il bambino futuro uomo-cittadino nella società complessa, è forse il merito maggiore di chi oggi gestisce questa che è una vera e propria “scuola”, tutt’altro che un semplice asilo, estesosi nel frattempo a “nido”. E’ un vanto trevigliese, insomma, che prosegue nel tempo con intatto dinamismo e capacità di guardare avanti. La filosofia ispiratrice è molto chiara (si veda il sito web): “sviluppo di conoscenze e competenze nelle aree dell’identità, dell’autonomia e delle abilità, attraverso attività che, valorizzando il gioco, la ricerca, la sperimentazione e la strutturazione adeguata di spazi e tempi, si qualifichino per una visione di ‘intreccio di esperienze”. Non solo parole, perché nell’anno si sviluppano ben quattordici progetti diversi, che comprendono anche lingua inglese, musica, informatica. Carlo Carcano, non poteva sperare di più, per questa era cinica della globalizzazione, delle famiglie difficili, della disoccupazione e dei disagi infantili. b. f.

rimo di sei fratelli, nel 1804 Ferrante è avviato dal padre alla carriera ecclesiastica presso il seminario di Cremona, dove nel 1815 riceve gli ordini sacerdotali. Aporti non condivide l’indirizzo dominante dell’istituto, orientato a formare preti che siano soprattutto servitori dello stato asburgico. Perciò, non disposto a giurare fedeltà a dottrine non in linea con i principi della Chiesa, rinuncia a conseguire la laurea e nel 1819 torna a Cremona. Il vescovo Omobono Offredi gli affida le cattedre di Storia ecclesiastica ed Esegesi biblica nel seminario diocesano; contemporaneamente l’amministrazione austriaca lo nomina direttore delle scuole elementari maggiori e ispettore scolastico provinciale. È da questo momento che Aporti individua la sua missione nell’attività educativa, intesa come lotta all’ignoranza, la vera e unica origine dei mali dell’uomo, della società e della patria. Il sacerdote imposta nuove strutture, nuovi metodi, nuovi modelli educativi; nel giro di pochi anni amplia la sua scuola elementare, tiene corsi per i maestri, apre le scuole festive di disegno e architettura, presenta un progetto di riforma per creare gli istituti tecnici, promuove la diffusione di istituzioni educative sul territorio cremonese. Nel frattempo intrattiene contatti epistolari con intellettuali lombardi, si aggiorna costantemente sulle nuove espe-rienze educative europee e approfondisce gli studi teologici e pedagogici, dando alle stampe molti articoli e saggi. L’attenzione per la condizione di abbandono dei bambini appartenenti alle classi popolari lo induce a fondare a Cremona, nel 1828, il primo “asilo d’infanzia” in Italia, a pagamento, per alunni da due anni e mezzo a sei anni. Nel 1830 apre la prima scuola infantile gratuita, finanziata dal governo austriaco e dalle autorità scolastiche. L’iniziativa si diffonde in pochi anni

nel resto del Lombardo-Veneto, in Toscana, Emilia e Romagna. Nel 1834 apre a San Martino dall’Argine la prima scuola infantile rurale. Quasi tutti i centri fanno capo a don Ferrante, che nel frattempo promuove anche scuole per sordomuti, ciechi e orfani del colera. L’istituzione dell’a-

silo suscita dibattiti in tutta Italia e impegna Aporti a pubblicare articoli su diverse riviste e a rispondere ai molti che scrivevano per chiedere spiegazioni. La sua fama si diffonde ed è invitato da numerosi intellettuali, politici e regnanti in tutta la penisola per illustrare la sua iniziativa. Le istituzioni “aportiane” si diffondono in tutta Italia, meno che nello Stato Pontificio, proibite nel 1837 a causa di timori e pregiudizi. Muore a Torino il 29 novembre 1858. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 39


In vista dell’Expo/Tesori di Gera d’Adda

Casirate, Manzoni e l’amata Enrichetta di Michela Colombo

Enrichetta Blondel, amatissima moglie dello scrittore, visse la sua travagliata vita tra Casirate d’Adda e Milano. Un fatto che lega la Gera d’Adda al Manzoni, spesso in visita nei nostri comuni

E

nrichetta Blondel nacque l’11 luglio 1791 da Maria Mariton, di origini francesi, e da FrancoisLouis Blondel, industriale svizzero trasferitosi in Italia nel 1771. Nella bella casa di Casirate d’Adda, circondata da un grande giardino, Enrichetta vide la luce, almeno quella spirituale del battesimo, poiché c’è chi nega le natalità della donna nel paese bergamasco: la numerosa famiglia era composta da Enrichetta più due fratelli e tre sorelle, tutti battezzati con rito cattolico nella parrocchiale di Casirate d’Adda, sebbene provenienti da famiglia con fede calvinista. Bionda, esile, di aspetto delicato e dotata d’ineguagliabile statura morale, la giovanissima Blondel incontrò Alessandro Manzoni per la prima volta durante una gita al lago di Como insieme alla madre di lui, Giulia Beccaria, già nota alla ragazza in quanto compagna del conte Carlo Imbonati dal quale i genitori di Enrichetta acquistarono il palazzo milanese. La sedicenne, così schiva sebbene determinata, conquistò immediatamente Manzoni e le loro nozze si svolsero il 6 febbraio 1808, con rito civile presso il Municipio di Milano, poi la sera stessa furono benedette con rito evangelico calvinista nella casa

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della sposa. Ben presto la coppia si trasferì a Parigi dove, nel 1809, nacque la primogenita Giulia Claudia. Iniziò in Enrichetta Blondel un travaglio interiore che si fece via via sempre più forte, che la portò a un confronto intenso e continuo con l’abate giansenista Eustachio Degola, coinvolgendo anche il marito: la decisione poi, nel maggio 1810, di convertirsi alla fede cattolica. I due sposi celebrarono così nuovamente le nozze, ma con rito cattolico. L’abiu-

Percorsi Manzoniani

ra provocò una dura reazione da parte di Maria Mariton che arrivò a definire la figlia ‘ingrata e spergiura’, cacciandola di casa, nel senso di rifiutarsi di riceverla; una grande sofferenza per la sensibile Enrichetta, particolarmente legata alla famiglia. Solo dopo l’intervento del fratello Carlo e in seguito a lunga mediazione, la donna fu riammessa nella famiglia e potè continuare a frequentare i fratelli, ai quali era legatissima. La conversione di Enrichetta influì parecchio sulla decisione di Alessandro Manzoni di riavvicinarsi alla fede, questo anche grazie a un episodio noto, quale il ‘Miracolo di San Rocco’. Si narra che durante i festeggiamenti per le nozze tra Napoleone e Maria Luisa d’Austria, nell’aprile del 1810, i coniugi Manzoni furono travolti e divisi dalla folla. Manzoni, terrorizzato e in preda ad un attacco agorafobico, si rifugiò nella chiesa di San Rocco dove la sua conversione ricevette un impulso definitivo. Poi, come un segno miracoloso, proprio fuori dalla chiesa ritrovò l’adorata moglie. Tornata in Italia in giugno, Enrichetta Blondel condusse una vita caratterizzata da dieci gravidanze, di cui alcuni figli deceduti prematuramente per malattie, tra le quali due particolarmente penose. Tuttavia la donna fu sempre partecipe a pieno ritmo alla vita famigliare, tanto da essere particolarmente amata dalla suocera, tanto che il padre spirituale di Manzoni, Luigi Tosi, la definì un angelo d’ingenuità e semplicità’. Diventata quasi cieca e colpita dalla tisi, la Blondel si spense nel Natale del 1833: lo strazio di Alessandro Manzoni fu talmente grande che non riuscì

A sinistra ritratti di Alessandro Manzoni e Enrichetta in età giovanile. Sotto un’incisione che rappresenta l’incontro di Don Abbondio e i bravi. Sopra l’ingresso di villa Paladini a Casirate, a destra rappresentazione della peste a Milano. Sotto a destra Tommaso Grossi

mai a portare a termine l’ode che aveva cominciato a scrivere per la morte della moglie, ‘Natale 1833’, opera giunta a frammenti carichi di dolore. A Casirate d’Adda, ancora oggi è affissa sulla chiesa parrocchiale, la lapide che ricorda il battesimo cattolico di Enrichetta Blondel, poiché quello rappresenta il primo grande passo di un mutamento che ha coinvolto e trasformato la vita della giovane donna e di coloro che l’hanno amata: ma, ovviamente, tracce della ‘cara Enrichetta’ a Casirate d’Adda possiamo trovarle anche altrove, per esempio le scuole, inaugurate l’11 maggio 1964 dal sindaco Bartolomeo Donesana, furono intitolate proprio a lei. Ventun anni dopo, l’amministrazione comunale con a capo il sindaco Pierluigi Tarenghi, promoverà un importante congresso nazionale di studi manzoniani, questo in occasione del bicentenario della nascita dello scrittore. Così dal 15 al 17 febbraio 1985, si svolgeranno le manifestazioni e si presenterà il volume ‘Cara Enrichetta’. Di grande richiamo i relatori intervenuti all’appuntamento scientifico, intitolato ‘Manzoni e il suo tempo (1785/1985). Enrichetta: storia umana e poetica del Manzoni’. Un altro volume è stato presentato nel 1991 in occasione del bicentenario della nascita della Blondel: ‘Vita di Enrichetta Blondel Manzoni’ del prof. Don Umberto Colombo. Nel 1987 la villa Blondel sarà donata alla comunità dagli ultimi proprietari, i fratelli Antonio, Giuseppe e Gaetano Paladini, recuperata poi a sede del Palazzo Municipale, dopo tre anni di opportuni restauri, Casirate ha reso onore in modo concreto e proficuo alla mai dimenticata compaesana Enrichetta Blondel.

La Gera d’Adda e i Promessi Sposi di Giorgio Vailati

Una mostra su Tommaso Grossi, organizzata a Treviglio nel 2003, rese noto come personaggi ed eventi dei Promessi Sposi furono ispirati dalla lettura della Storia di Treviglio di Emanuele Lodi

L

a mostra dedicata allo scrittore Tommaso Grossi, organizzata nell’ormai lontano 2003, fece nascere l’idea di costruire un itinerario manzoniano che coinvolgesse i comuni di Casirate, Treviglio, Caravaggio, Canonica, Brignano Gera d’Adda. L’idea nacque leggendo la corrispondenza tra Alessandro Manzoni e Tommaso Grossi, trasferitosi a Treviglio nella casa dello zio abate. Manzoni si confidava, discuteva e approfondiva i temi letterari, chiedeva consiglio e consulenza. Tanto che la “Storia di Treviglio e della Gera d’Adda” dello storico Emanuele Lodi, si trasformò in una fonte d’ispirazione riguardo personaggi e nomi utili alla costruzione dei Promessi Sposi. Un piccolo “saccheggio” non programmato, che nacque dalle discussioni tra i due: Manzoni parlava di un personaggio che stava costruendo e il Grossi ricordava personalità storiche locali descritte da Lodi sul suo libro. Questo materiale, assieme al fatto -non provato ma probabile- che lo scrittore frequentasse da bimbo il Palazzo Visconti di Brignano, ospite della zia, quindi dai novemila metri

quadrati di affreschi sull’epopea dei visconti nacque poi l’ispirazione del romanzo. Questo fece nascere l’idea di organizzare una manifestazione intercomunale che fu chiamata “Percorsi Manzoniani”. A dirigerla, l’assessorato alla cultura chiamò il direttore del nostro mensile, ispiratore dell’idea stessa. Così sfruttarono occasioni di eventi già organizzati: 1) A Caravaggio l’assessore Laura Imeri aveva già in programma manifestazioni legate ai Promessi Sposi, ov-

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L’incontro con Verga

Percorsi Manzoniani

vero premiare Michela Macalli, la giovane e bella caravaggina interprete di Lucia nello sceneggiato televisivo; 2) Il sindaco di Casirate, Vittorio Pagetti, che stava predisponendo alcune manifestazioni in occasione della realizzazione di un volume su Casirate d’Adda nel quale si dedicava ampio spazio ai Blondel e a Enrichetta, saputo dell’iniziativa, decise di organizzare anche una conferenza per un approfondimento su un altro personaggio “casiratese”, l’eclettico patriota Massimo d’Azeglio, marito di una delle figlie del Manzoni e poi della nipote. Massimo d’Azeglio, nobile protagonista della storia dell’unità d’Italia, poco celebrato nella nostra terra, divideva il suo tempo facendo il pittore, il politico, il diplomatico, il letterato, ma anche il Dongiovanni. La presenza di d’Azeglio a Casirate è testimoniata anche da alcuni dei dipinti all’interno della chiesa parrocchiale; 3) il Comune di Brignano legò l’occasione dei “percorsi” alle manifestazioni enogastronomiche proposte dalle Cucine Visconti (che proprio nel palazzo aveva sede), quindi un concerto del Corpo Musicale dedicato alla musica dell’epoca, in prevalenza Giuseppe Verdi, mentre il presidente della Pro Loco, Claudio Bolandrini, ripropose una rappresentazione in costume dedicata all’Innominato, che in quel palazzo visse; 4) Il passaggio dell’Adda di Renzo Tramaglino, in fuga da Milano, che in molti individuano nel tratto di fiume situato tra Groppello e Canonica, ha permesso al sindaco di Canonica, Gianmaria Cerea, di raccogliere l’idea dei percorsi manzoniani, organizzando sull’Adda, nei pressi della ristrutturata chiesetta di Sant’Anna, una rappresentazione teatrale dedicata ai promessi sposi. Non rispose, a quell’epoca Pagazzano, sede del Castello dell’Innominato. Insomma, tutto ciò è la dimostrazione che nella Gera d’Adda le idee non mancano, solo che vengono troppo spesso lasciate morire. Il perché è tema da convegno.

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Come mai Manzoni ci conosceva bene? a cura di Marco Carminati

In sedici capitoli dei Promessi Sposi Alessandro Manzoni parla della nostra terra e di alcune località limitrofe, questo a significare una frequentazione piuttosto assidua di Treviglio e del suo territorio

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lla domanda se il Manzoni “fosse davvero di casa in Gera d’Adda”, qualche tempo fa avrei risposto affermativamente, senza esitare. Oggi però, rileggendo attentamente gli studi di Don Donati, di Mons. Colombo, di Don Colpani, mi sento indotto alla prudenza, specie considerando che i suoceri Blondel avevano bandito dalla loro casa di Casirate d’Adda Don Lisànder –e per lungo tempo anche la figlia Enrichetta– non perdonando ai due sposi la conversione al Cattolicesimo. Certo, indipendentemente dall’effettiva frequentazione di queste campagne e di questi paesi, la nostra terra non è stata per Manzoni “un luogo qualunque”, uno scenario neutro e casuale, su cui far recitare i protagonisti del suo capolavoro, perché, oltre a sentirsi ad essa legato per i natali dell’amata sposa –qui battezzata– aveva in terra bergamasca anche cari amici, come Tommaso Grossi, che non mancava d’intrattenerlo assai spesso, a voce, o per scritto, su questo tema. E, a confortare la mia tesi –cioè che il territorio bergamasco e di Gera d’Adda in special modo occupassero uno spazio di prim’ordine nella mente e nel cuore di Alessandro Manzoni- mi è capitato

di recente fra le mani un bel saggio (appena cinquantotto pagine, ma davvero stuzzicanti) del mio omonimo maestro caravaggino Marco Carminati, edito dalla “mitica” Tipografia e Libreria Messaggi, trevigliese, nel 1909: “La provincia di Bergamo nei Promessi Sposi”. Basterebbe scorrerne l’indice –ci pia-

A sinistra Massimo D’Azeglio, poi il rapimento di Lucia. Sopra ancora Lucia nella stanza dove l’Innominato la imprigiona. A destra Alessandro Manzoni e sotto una copertina dei Promessi Sposi

cerebbe in realtà avere spazio per meglio argomentare almeno i più ‘intriganti’ di questi temi, ma purtroppo qui non è possibile– per vedere come Bergamo, San Marco e persino Treviglio, Caravaggio, Brignano, Canonica e l’Adda e Alzano e Zogno e Almenno S. Bartolomeo, ecc., compaiano o apertis verbis o, indirettamente, anche nella corrispondenza epistolare che Don Lisànder scambiava attorno al suo romanzo in fieri. L’autore del saggio elenca ben sedici capitoli dei Promessi Sposi, in cui, per un verso o per l’altro, si fa riferimento ai nostri luoghi: il VI, dove Renzo parla alle sue donne del cugino Bortolo, che aveva fatto fortuna in terra bergamasca; l’VIII, dove si fa riferimento al “bravo” bergamasco; l’XI, con il monologo di Don Rodrigo; il XVI, col viaggio di Renzo da Milano all’Adda, per riparare in quel di Bergamo; il XVII, con l’osteria di Gorgonzola e di fronte le colline bergamasche; il XVIII, dove Lucia apprende contenta che il suo Renzo è in salvo nel bergamasco; il XIX ed il XX, con il castello dell’Innominato confinante sul territorio di San Marco; e poi ancora, nei capitoli XXII, XXIV, XXVI, XXIX, XXXI, XXXIII, XXXVII, XXXVIII, si ipotizza la conversione di Bernardino Visconti, Renzo viene ricercato dalla Giustizia, don Abbondio spera di salvarsi dai Lanzichenecchi, serpeggia e divampa la pestilenza, trovano infine pace i tribolati sposi, in un paese alle porte di Bergamo... Dunque, dicevamo, lo spazio ci è qui tiranno, ma non al punto di negare al lettore almeno un paio di bocconcini ghiotti, certo a qualcuno già noti e tuttavia così piacevoli da stimolare alla loro rilettura e forse, per i meno pigri, alla ricerca e all’approfondimento: “Quanto al soprannome del bravo bergamasco –scrive il Manzoni a Tommaso Grossi– sappi che non ti lascio requiare,

finché non ne hai trovato uno a mio talento. Nessuno dei proposti è buono. Ella s’ingegni. Voglio una parola indicante qualche qualità fisica notabile, che non sia però parola ingiuriosa; o una parola di giuramento, però decente; o un aggiunto di qualità morale ecc. Io ho dovuto inventarne due, e sono lo Sfregiato e il Tiradritto”. Ci segnala Marco Carminati che da ultimo venne fuori, “pel bravo del contado di Bergamo, il soprannome di Grignapoco” e comunque, seguita lo storico caravaggino, “tra i bravi di Bernardino Visconti (Manzoni dice che potevano essere una trentina) figuravano Domenico Rozzono, detto il Pelato, di Treviglio e Giambattista Nicoletto, di Caravaggio”. A Cesare Cantù, nel settembre 1832, il Manzoni invece scrive: “L’Innominato è certamente Bernardino Visconti. La Duchessa Visconti si lamenta che le ho messo in casa un gran birbante, ma poi un gran santo” e, forse per carità, forse per non soffiare sul fuoco, lo scrittore preferisce di tanto in tanto confondere le tracce, quando si fanno troppo palesi ed imbarazzanti, usando una tecnica coloritamente rappresentata dal Carminati: “Raccontano i cacciatori che la lepre, quando esce al mattino dal nascondiglio e trova nevicato o il terreno molliccio, prima di rimettersi in via, spicca intorno un gran numero di salti, tanto che anche ai cacciatori esperti riesce difficile, guardando alle orme lasciate, conoscere quale cammino essa abbia preso. Così pare abbia fatto il gran maestro lombardo perché non si trovasse la vera traccia del castello dell’Innominato”. Ma, al di là di queste operazioni “mimetiche”, di tracce bergamasche – di luoghi e di personaggi bergamaschi, intendiamo dire – il capolavoro manzoniano ne conserva davvero in abbondanza. Quali? Beh, se “la nuova tribuna” ci concederà lo spazio, in uno o più dei prossimi numeri, potremmo provare a ripercorrerle.

Manzoni e il magnetismo animale

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ndrea Verga conobbe Alessandro Manzoni in modo superficiale ma curioso, infatti, realizzano insieme alcuni esperimenti sul magnetismo animale. Il medico nasce a Treviglio il 30 maggio 1811, proprio nella via che il comune decise di dedicargli e che porta tuttora il suo nome. Frequenta le scuole elementari, poi si reca a Milano per studiare in seminario, infine si iscrive all’università di Pavia laureandosi in medicina e chirurgia. Pratica il proprio lavoro con passione e riceve, col passare degli anni, una serie di riconoscimenti in Lombardia. Entra in contatto col Manzoni a causa della curiosità che quest’ultimo nutriva nei confronti del magnetismo animale. Inizialmente incredulo, poi scettico, lo scrittore vuole infine constatare l’efficacia di questa pratica che si basava sul presupposto che in ogni organismo vivente vi è un fluido magnetico che sprigiona energia. La curiosità era nata dalla frequentazione di Stefano Stampa nel 1848, che gli aveva narrato alcuni fatti cui aveva assistito e che potevano far pensare al magnetismo animale. Il Manzoni compie degli esperimenti su una contadina che, addormentata, sceglie per tre volte consecutive una moneta che era stata precedentemente magnetizzata. Gli esperimenti proseguono poi a Milano con l’intervento di Andrea Verga. Nonostante alcune esperienze scientifiche realizzate insieme, l’amicizia che si crea tra il medico trevigliese e Manzoni è piuttosto superficiale. Verga muore a Milano nel novembre 1895, dove viene sepolto nel cimitero monumentale. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 43


l’Expo/Marketing letterario

Se un romanzo fa promozione di Roberto Fabbrucci

Tra i nostri collaboratori storici, Marco Carminati ha scritto romanzi che possono rientrare nell’ambito del marketing territoriale. Ovvero storie per far conoscere la nostra terra e attrarre visitatori

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l tema dello sviluppo del nostro territorio attraverso un uso intelligente della sua cultura e -nella fattispecie l’uso della letteratura che è “ambientata in questi luoghi”– come strumento per far conoscere meglio una ricchezza è una peculiarità che può trasformarsi in beneficio economico per la comunità che lo abita, esperienze consolidate da parte del nostro redattore e scrittore Marco Carminati. Già ne scriveva nel 2003, dodici anni fa, prima che l’urgenza di Milano Expo 2015 rendesse il tema di pressante attualità. La preoccupazione che i libri parlino in modo persuasivo e seducente della terra che va promossa e che per contro la terra in argomento si faccia veicolo di diffusione e di lettura di queste singole opere letterarie, non è del resto una novità in altre parti del mondo, a cominciare dai vicini Francesi, che sono abili maestri in proposito. Si vedano le grandi cose che ha saputo fare in proposito il Sindacato del Turismo di Nimes. Lo abbiamo interpellato in proposito. “L’ormai imminente opportunità di Milano Expo 2015 sta confermando come anche Treviglio e la sua Bassa avvertano l’esigenza di non farsi cogliere impreparati dall’appuntamento irripetibile…

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Questo risveglio, se pur per certi versi un po’ tardivo, è già di per sé una cosa positiva, ma non sufficiente, se non saprà immediatamente tradursi in progettualità concreta, che porti reale beneficio -anche, ma non solo- economico al territorio. Si sentiva, a dire il vero già da qualche tempo, fare accenno a costituendi gruppi di lavoro, per focalizzare la tematica “Expo”, complessa e articolata, e anche questo è positivo, ma ci si consenta di dubitare che la collegialità sia sempre efficace e immediata al pari dell’individualità creativa, intraprendente e determinata dei singoli”. Pertanto cosa varrebbe la pena di sperimentare in alternativa? Forse conviene qualche volta affidarsi, con un briciolo di coraggio, ai suggerimenti e alle proposte individuali dei privati cittadini, ciascuno, probabilmente, efficace proprio per la sua quotidiana competenza professionale e per la sua storia personale. Nel nostro caso, quale potrebbe essere una proposta nuova e originale per far conoscere Treviglio e la sua terra anche al resto del mondo, in occasione dell’Expo 2015? Beh comincerei a dare concretezza alla

Lo scrittore Marco Carminati

proposta, svolgendo qualche riflessione sulla possibilità di mettere a frutto il cosiddetto marketing territoriale letterario, che altro non è se non l’ottimale connubio fra una letteratura che abbia a tema soggetti attinenti il territorio, di cui diventa così strumento di conoscenza e promozione presso i potenziali turisti e visitatori, e il territorio stesso, che con le sue strutture e istituzioni diventa cassa di risonanza della curiosità del gusto e dell’orientamento della gente verso la letteratura. In Italia chi pratica questa strada? Da noi qualcosa avviene -o è avvenuto- solo occasionalmente, per l’intraprendenza e le capacità di singoli, …pionieri. Basti pensare a quanta gente ha recentemente orientato i suoi interessi e la sua curiosità sul Lago di Como, leggendo i bei romanzi del medico-scrittore Andrea Vi-

tali, o sul Lago Maggiore, grazie ai libri di Piero Chiara. Pensare a un’azione organizzata, come appunto fanno i Francesi, capaci di strutturare le sinergie secondo il metodo ‘chi fa cosa in base a quello che sa fare’ è un passo ulteriore ed è appunto il passo che fa la differenza”. E qui da noi, qui a Treviglio e in Gera d’Adda, c’è “materiale che si presti a sperimentare il marketing territoriale letterario? Basti pensare al Manzoni, che ebbe frequentazioni importantissime da noi, o a Tommaso Grossi che qui a Treviglio scrisse il Marco Visconti, ma di Treviglio parlano anche Hesse, Fogazzaro e molti altri. Sarebbe interessante costruire dei percorsi per “turismo culturale”, che portino la gente a visitare questi nostri angoli reali, accompagnata dalle parole – scritte e/o lette – degli autori che qui sono stati ed hanno provato emozioni, vibrando, a modo loro, diversamente e intensamente per le bellezze e le peculiarità della nostra Bassa… Sono convinto che la gente, i nostri giovani soprattutto, ma non solamente loro, troverebbero spunti interessantissimi per crescere culturalmente e contestualmente, per contribuire a far crescere questa nostra terra singolare”. Conclusa la chiacchierata con Marco Carminati, perché non lanciare il sasso nello stagno stimolando l’Assessorato alla Cultura a promuovere un concorso dedicato al marketing letterario, ovvero chiedere di romanzare storie attorno a leggende, fatti, monumenti della nostra città, e anche di tutta la Gera d’Adda. In queste pagine abbiamo citato alcuni personaggi del mondo della letteratura, dell’arte, delle scienze che nel periodo d’oro di Treviglio, a metà ‘800, ci hanno regalato onore. Non è vivendo del solo quotidiano che si diventa grandi.

Due passi nella Bassa con Caravaggio, Verdi e...

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complemento dell’intervista, ecco un breve box con alcune delle opere, concepite proprio nell’ottica del marketing territoriale letterario da Marco Carminati, scrittore concittadino che ha all’attivo ormai quasi una cinquantina di titoli fra romanzi, racconti, saggi e libri fotografici. I primi passi, in questa direzione, furono i romanzi scritti con Paolo Furia, sulle vicende del Generale Lautrec, “Barbazàn, ” e sul tema dello splendido Polittico conservato nella Parrocchiale di San Martino e dell’Assunta: “L’oro e il damasco”. In queste pagine rivive con la fedeltà della rigorosa ricostruzione storica e con l’afflato emozionale del romanzo, la vicenda della guerra tra Francesco I e Carlo V, con l’episodio della conquista di Treviglio e dei grandi pittori rinascimentali lombardi Zenale e Butinone, nostri concittadini. A seguire ricordiamo poi il sapiente intreccio tra storia rinascimentale e pre-barocca e storia contemporanea, che costituisce la trama del romanzo di Marco Carminati “Le ali nere del Caravaggio”, preludio alla quasi contestuale nuova dedicazione dell’aeroporto internazionale di Orio al Serio al grande pittore bergamasco. Sempre con lo stesso meccanismo narrativo è stato realizzato da Carminati “Vince luna”, un romanzo storico che si snoda sul duplice piano narrativo delle nostre terre in epoca longobarda (la sanguinosa Battaglia di Cornate d’Adda, fra Alchis e Cuniperto, che mise fine al predominio dell’eresia ariana sui Cattolici) e i moderni lavori

che hanno consentito la realizzazione di Bre.Be.Mi. Ancora “Contessa Clara mia diletta” riscopre una pagina poco nota della vita di Giuseppe Verdi, occasionale –ed entusiasta– ospite di Treviglio e dei dintorni, nel periodo di convalescenza da una noiosa malattia. Insomma nelle pagine dello scrittore trevigliese si traccia una “mappa” puntuale e agilmente “ripercorribile” di luoghi, eventi, vicissitudini che hanno caratterizzato e connotano tutt’ora il nostro territorio e sarebbero sicuramente una valida credenziale per la nostra gente e la nostra storia, anche e soprattutto in vista dell’imminente Milano Expo 2015.

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Archeologia agroalimentare

Treviglio e la sua storia

Napoleone trovò ospitalità a Treviglio di Carmen Taborelli

Napoleone III° fu ospitato a Treviglio dai coniugi Lucia Torri e Carlo Bornaghi, era in visita a dei soldati ricoverati all’ospedale. Il riconoscimento a Angela Carati “Per le cure prestate ai feriti francesi”

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lla fine della Seconda guerra d’Indipendenza, vedi box accanto, il territorio bresciano si trovò a dover affrontare la drammatica situazione degli oltre ventimila feriti. In attesa di essere ricoverati negli ospedali, i soldati trovarono una prima assistenza nelle piazze, nelle chiese e nelle case private e furono soccorsi dalla mobilitazione di tanti volontari. Superando l’effettiva capacità ricettiva e i rispettivi limiti strutturali, gli ospedali della zona, in particolare quello di Castiglione delle Stiviere, riuscirono a garantire cure immediate a tutti i feriti: tutti, senza alcuna distinzione, senza badare alla divisa indossata. In seguito, per alleggerire alcune situazioni divenute insostenibili da gestire a causa del sovraffollamento, fu attuato un piano di decentramento dei feriti, coinvolgendo altri ospedali della Lombardia, compreso il “Santa Maria” di Treviglio. Tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio 1859 all’ospedale “Santa Maria” giunsero ben ottantacinque militari: alcuni erano francesi, appartenenti al contingente di 110/165.000 soldati previsto dal trattato di alleanza. Tre settimane prima, esattamente il 12 giugno, trentaquattro soldati francesi erano già stati ricoverati all’ospedale trevigliese, preceduti e seguiti da molti altri, tutti appartenenti alle truppe che alloggiavano o che attraversavano il nostro territorio per raggiungere le zone di guerra. Alcune notizie di cronaca, di cui non si è però trovata conferma documentale, quantificano addirittura in varie centinaia i francesi ricoverati al “Santa Maria”: ricoverati in tempi diversi, mediamente per circa quattro giorni ciascuno. La degenza dei soldati francesi indusse Napoleone III a recarsi all’ospedale per far loro visita. Lo fece dopo aver stabilito il proprio quartier generale a Treviglio, in via Pontirolo (ora via Cavallotti civico 5), ospite dei coniugi Lucia Torri e Carlo Bornaghi, nei giorni 14 e 15 giugno. Confermano la presenza nella nostra città dell’Imperatore francese molte testimonianze; la più singolare è la lettera scritta dalla signora Lucia Torri al fratel-

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A sinistra Angela Carati Graffelder (18271896), sopra una stampa che riproduce approssimativamente via Cavallotti nel 1859

lo Emilio, volontario nel 2° Reggimento dell’Armata sarda, per informarlo di ciò che avveniva in città: “Quando verrai a Treviglio – scriveva Lucia Torri - ti farò vedere una bottiglia dimenticata dai servitori in mezzo al mio terraglio ove vi è incisa la iniziale di Napoleone e la sua corona. Venne d’alloggio qui in casa anche il maresciallo Baraguardighier (Baraguey D’Illiers, nda), vari generali, capitani, ecc.; basta il dirti che ebbi un andirivieni di militari quasi tutti francesi per più di quindici giorni”. Altra testimonianza della presenza trevigliese dell’Imperatore Napoleone è rappre-

La battaglia di Solferino

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a Seconda guerra di Indipendenza Italiana è un episodio del Risorgimento. Fu combattuta dalla Francia e dal Regno di Sardegna contro l’Austria dal 27 aprile al 12 luglio 1859. Ebbe come prologo gli accordi di Plombières: accordi verbali segreti, stipulati il 21 luglio 1858 fra l’Imperatore dei francesi Napoleone III (18081873) e il Primo Ministro del Piemonte, Camillo Benso di Cavour (1810-1861). La guerra iniziò il 27 aprile 1859 con l’attacco dell’Austria al Regno di Sardegna e proseguì con una serie di vittorie

sentata dallo scambio epistolare avvenuto tra la Regia Intendenza del Circondario di Treviglio e la locale Giunta Municipale, portavoce delle rivendicazioni economiche del “mastro di posta” Luigi Gatti. Questi, chiamato a servizio del seguito di Napoleone III, e avendo messo a disposizione una carrozza “con quattro cavalli, che servirono per Cassano, Treviglio, Covo, Travagliato e Brescia”, chiedeva di essere compensato. Al letto dei ricoverati, accanto alle cure specialistiche dei medici e del personale sanitario, si alternarono mani caritatevoli e riconoscenti nei confronti dei soldati combattenti per l’Indipendenza italiana. Dei tanti volontari accorsi ad assistere e a confortare i feriti, va in particolare ricordata la trevigliese Angela Carati Graffelder (1827-1896), che, in atteggiamento di massima disponibilità e accoglienza, aprì la propria casa a molti soldati francesi. Li accolse e li fece curare nell’opificio di familitari degli alleati franco-piemontesi a Magenta, a Solferino e a San Martino. Il conflitto terminò con l’armistizio firmato l’11 luglio 1859 a Villafranca tra Napoleone III e l’imperatore Francesco Giuseppe. A Solferino (in provincia di Mantova) si svolse la più lunga e più sanguinosa battaglia combattuta per l’Indipendenza e per l’Unità d’Italia. E proprio a Solferino, il 24 giugno 1859, si verificò lo scontro decisivo, durante il quale l’esercito franco-piemontese di Napoleone III sconfisse gli austriaci comandati da Francesco Giuseppe. Entrambi gli schieramenti subirono ingenti perdite: moltissimi furono i morti, i dispersi, i militari fatti prigionieri e i feriti; questi ultimi oltre ventimila.

miglia, che in origine fu il convento della “SS. Annunciata” dei Frati Minori Riformati, edificio oggi inglobato nella struttura dell’Istituto Tecnico Commerciale ”G. Oberdan”. “La mia trisavola Angela Carati –riferisce la trevigliese Franca Gentili Pambieri– ha ospitato e fatto curare vari soldati e ufficiali dell’esercito francese; tra questi c’era anche il mio futuro bisnonno, Alessandro Dardano, ufficiale medico volontario al seguito dell’esercito napoleonico. I militari furono accolti nella magione dei Graffelder: un edificio cinquecentesco acquistato nel 1845, ristrutturato e ampliato dal mio trisavolo, Antonio nato a Francoforte. L’edificio era destinato sia ad abitazione, sia a grande opificio per la filatura, tessitura e stampa della seta, gestito appunto dai Graffelder”. Per questo gesto di solidale e patria carità l’imperatore Napoleone III conferì alla signora Angela Carati una medaglia di benemerenza, recante sul diritto, in bassorilievo, il profilo dell’Imperatore con attorno la scritta: “Napoleon III Emperedur” sul rovescio, la motivazione, “Pour les soins donnes aux blesses francais”. (Per le cure prestate ai feriti francesi) - nella parte centrale, la dedica: “A M. me Carati Treviglio 1859”. L’opera di soccorso svolta dalla signora Carati non fu un’azione isolata. Da persona molto generosa quale era, animò e sostenne diverse istituzioni cittadine. Fu la principale fondatrice, operosa e benefica presidente della Società Femminile di Mutuo Soccorso. Il Comune di Treviglio la nominò più volte Ispettrice per i lavori femminili nelle scuole elementari.

Trevigliese scopre l’uva pre fenicia in Sardegna Gianluigi Bacchetta, pronipote dei fondatori dell’omonima azienda di piazza Garibaldi, cambia la storia del vino nel Mediterraneo

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a un certo effetto scoprire che il pronipote di un antico e rinomato commerciante di vino trevigliese, la cui azienda è stata riprodotta migliaia di volte su cartoline, pubblicazioni e calendari, spunti dalla Sardegna, ricollegandolo magicamente ai semi delle viti e quindi all’origine della produzione del vino. Parliamo di Gianluigi Bacchetta, pronipote del fondatore dell’azienda omonima. Però la differenza sta nel salto di una generazione, il padre di Gianluigi, Erminio, faceva il bancario e il figlio ritorna alle origini e oltre le radici della famiglia, addirittura ai semi, ma è astemio. Arriviamo però alla storia che ha reso nota “la Repubblica”. Una scoperta che riscrive la storia della viticultura dell’intero Mediterraneo occidentale, fatta dall’équipe archeo-botanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB), guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, che ha rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica risalenti a circa 3000 anni fa. E ha avanzato l’ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d’importazione,

Piazza Garibaldi: si noti a sinistra il palazzo dell’azienda Erminio Bacchetta fu Giuseppe, commercio vini

bensì autoctono. Sino a oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici (che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C.) e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. La scoperta di questo vitigno dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un’origine locale e non fu importata dall’Oriente. A suffragio di questa ipotesi, il gruppo del CCB sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo, in Turchia, Libano e Giordania per trovare tracce e verificare possibili “parentele” tra le diverse specie di vitigni. Nel sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras, nell’Oristanese (non lontano dal luogo del ritrovamento dei Giganti di Monte Prama), la squadra di archeobotanica del professor Bacchetta, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, ha trovato oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da ‘paleo-frigorifero’ per gli alimenti. “Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli ‘freschi’ reperibili da acini raccolti da piante odierne, spiega Bacchetta. Grazie alla prova del Carbonio 14, i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all’incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica”. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 47


Cinema/Come nasce un capolavoro

La nostra storia secondo Olmi di Ivan Scelsa

I provini trevigliesi per il cast dell’Albero degli Zoccoli si fecero nella Casa dell’Agricoltore, un auditorium oggi sede della filiale Crat in via Crivelli. Ne nacque un capolavoro conosciuto in tutto il mondo

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arliamo di cinema, di uno di quei film che hanno segnato un’epoca e sono stati inseriti nella lista delle cento pellicole italiane da salvare. Parliamo della bassa bergamasca, di Treviglio in particolare e de “L’albero degli zoccoli” il capolavoro del Maestro Ermanno Olmi che non a caso alcuni anni fa è stato inserito nella lista volta a segnalare i 100 film che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978. L’ingresso in questa ristretta selezione è stato reso ancora più grande dalle “Giornate degli Autori” realizzata all’interno della Mostra del Cinema di Venezia in collaborazione con Cinecittà Holding e il sostegno del Ministero dei Beni Culturali. Alcuni cenni storico-geografici. Il film più famoso girato e ambientato in provincia di Bergamo (già vincitore della Palma d’Oro al 31° Festival del Cinema di Cannes) è stato realizzato tra i mesi di febbraio e maggio del 1977, per poi essere montato e distribuito nel 1978. Interamente girato in dialetto bergamasco, in quel lembo di pianura compresa tra Treviglio e i comuni di Martinengo, Cividate al Piano, Palosco, Mornico al Serio e Cortenuova, è poi doppiato in italiano dagli stessi attori, tutti contadini e gente della campagna prestati

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al cinema, che fino a quel momento mai avevano avuto alcuna esperienza di recitazione. Uno dei provini ha luogo proprio a Treviglio, città che al regista ha dato la cittadinanza onoraria, in quello che allora era la Casa dell’Agricoltore, in via Crivelli, proprio dove attualmente ha sede la filiale del noto istituto di credito. Altri provini, ricorda Enrico Leoni che lì organizzò, si svolsero a Caravaggio, Casirate d’Adda, Urgnano, Martinengo, Palosco, Mornico e presso il Cerreto.

La trama.

Ambientata tra l’autunno del 1897 e la primavera del 1898 in una cascina della campagna bergamasca in cui vivono quattro famiglie contadine, la pellicola scorre con la storia di Mènec (Domenico), un bambino di 6 anni che deve percorrere sei chilometri per andare a scuola e che un giorno, sulla strada del ritorno a casa, rompe uno degli zoccoli. Il padre Batistì, non avendo la possibilità di comprarne di nuovi, decide di tagliare un albero di nascosto dall’occhio del padrone per poter così intagliare un nuovo paio di scarpe al figlio. Scoperto l’accaduto, Mènec, il padre Batistì e la moglie Battistina con i tre figli (di cui uno ancora in fasce), caricate le povere cose sul carro, vengono cacciati dalla cascina. Vicende accanto a cui, riproponendo il mito della civiltà contadina, l’opera si colloca come una riflessione tra passato e futuro, come un avvicinamento alla civiltà di fine Ottocento nella bassa bergamasca. Questo diventa possibile anche grazie ai suoi attori naturali e a quei dialoghi in dialetto quasi improvvisati. L’occhio della regia si mescola con il vissuto quotidiano della gente, quasi ponendosi sullo stesso piano, vivendone e condividendone la semplicità, i limiti, le superstizioni. Magistrale la scelta della colonna sonora composta da brani per organo di Johann Sebastian Bach e da canzoni popolari e contadine, che risulta poco invasiva quanto efficace nel rimarcare alcune situazioni salienti tra cui proprio quella del taglio dell’albero. L’albero degli zoccoli: un approccio neorealistico, diretto e cattolico, quasi casuale ma viscerale con la terra, che lascia i protagonisti in balia delle stagioni e dei ritmi cadenzati dell’ambiente che li circonda. Le storie delle altre famiglie scorrono parallele, si sfiorano tra loro, si intrecciano con la quo-

tidianità e si mescolano alla tradizione popolare, alle fatiche del vivere la campagna. La grande capacità di Olmi è anche quella di rendere protagoniste le location. Se a Treviglio viene girata la scena dell’arrivo degli sposi contadini da Milano, è invece curioso come viene individuata la cascina protagonista (cascina Roggia Sale di Palosco), trovata dallo stesso regista dopo assidue ricerche infruttuose nei campi della bassa. Accade quasi casualmente. Di ritorno a Martinengo da un giro pomeridiano per la campagna, Ermanno Olmi si perde nella fitta nebbia e, percorrendo in auto un viottolo a fondo cieco, s’imbatte in un cancello chiuso. E’ da solo e, sceso per rendersi conto di dove fosse, si accorge della tipica cascina lombarda abbandonata che gli si staglia davanti. Commosso, decide che quella sarebbe diventata la cascina in cui girare gran parte del film. Oggi, in fondo a quella stradina, quella cascina nei campi non esiste più. Nel tempo ne è stata edificata una che, pur conservandone il nome, è solo vagamente somigliante alla tipica cascina bergamasca simbolo non solo del film, ma di quell’epoca ormai sempre più lontana dalla nuova realtà di Treviglio e della bassa bergamasca, un territorio aperto alle porte dell’Expo.

Il regista la trovò per sbaglio nella nebbia

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a “Cascina Roggia Sale”, nome derivante dalla roggia omonima che scorre lì nei pressi, era a Palosco. Questo scatto di “Foto Scaburri Palosco”, mostra la cascina del film prima di essere abbattuta, al suo posto ne è stata costruita un’altra che porta lo stesso nome. La cascina -come già ha ricordato Ivan Scelsa- fu trovata da Ermanno Olmi, smarrendo la strada in una nebbiosa giornata invernale e infilatosi in un sentiero per errore. Disse di essersi commosso ritrovando in quella cascina l’edificio identico a quello della sua infanzia a Treviglio. Come abbiamo chiarito nello scorso numero de “La nuova tribuna”, Olmi non è nato a Treviglio, se pure in molti lo affermano, ma a Bergamo nel quartiere della Malpensata. Nella cittadina della bassa viveva la nonna materna, dove il regista prese il contatto con la natura e con quel mondo che descriverà poi nel suo film capolavoro. Per quanto legato a questo territorio, non lo sceglierà per le riprese del film, tranne per qualche scena in via Cavallotti. Nonostante ciò Treviglio è sempre presente nella mente del regista durante la realizzazione del film: la cascina di Palosco assomiglia a quella della sua infanzia, al punto che la produzione dovette disdire gli accordi presi per la cascina trovata a Martinengo, che non convinceva del tutto il regista. Poi “il pianto della Madonna” è un esplicito riferimento al miracolo della Madonna delle Lacrime, di Treviglio. Di Treviglio è anche il segretario di produzione del film Enrico Leoni, all’epoca studente universitario, che aiutò Olmi, nell’organizzare il necessario per il casting

degli attori, e che divenne sul campo il fotografo ufficiale del set. L’amore di Olmi per Treviglio è evidente da altri gesti, il matrimonio nella chiesetta del Roccolo, non un giorno qualsiasi, ma il 28 febbraio 1963, festa della Madonna delle Lacrime. In coincidenza con il suo 40°anniversario di matrimonio con Loredana Detto, il comune di Treviglio gli consegnò la cittadinanza onoraria il 28 Febbraio del 2003. Tra le curiosità, da non dimenticare che il vignettista Carmelo Silva, nella foto

mentre disegna una vignetta satirica per “la tribuna” nella sede di allora in via Roma, interpretò un convincente parroco, lui che in chiesa non ci andava molto ed era allergico all’incenso. Maurizio Plebani Marzo 2015 - la nuova tribuna - 49


Treviglio/Volontariato

Santuario: cronaca di un restauro di Franco Pellaschiar

Nel Santuario della Madonna delle Lacrime esiste uno dei più importanti organi della provincia, un “Serassi”. Ecco come l’Associazione Amici del Santuario lo ha completamente revisionato

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nzitutto è stato importante recuperare una conoscenza storica del nostro organo, mediante la ricerca e lo studio scientifico dei documenti d’archivio, al fine di poter individuare con buona approssimazione le vicende storiche che l’hanno portato alla configurazione attuale. Questa prima fase è stata condotto a termine dal Maestro trevigliese Fabrizio Vanoncini. Dai documenti d’archivio risulta che la probabile edificazione del primo organo Serassi risale agli anni tra il 1720 e il 1781, mentre l’attuale configurazione è datata al 1867 ed è dovuta ai Fratelli Serassi che lo ricostruirono ed ampliarono con utilizzo di materiale fonico del loro precedente organo della metà del XVIII secolo. Nel 1892 e nel 1902 Giacomo Locatelli, già dipendente della stessa fabbrica, pose mano ad ulteriori interventi di restauro e di manutenzione. L’organo è collocato sopra la bussola d’ingresso della navata del Santuario, in un’ampia cantoria che si estende su tutta la parete di fondo. E’ in gran parte racchiuso in cassa lignea di stile neoclassico, con festoni floreali e ricche dorature, sormontata da due putti musicanti. Sui lati della cassa sono ricavati due vani lignei che ospitano manticeria e somieri e che sono schermati da pannelli decorati dipinti in epoca più recente

Introduzione al restauro

L’organo, in quanto bene storico, può essere visto come un bene architettonico; spesso la ricerca delle sue caratteristiche attraverso il tempo ha i connotati di uno scavo archeologico. Perciò il restauro deve essere opera critica che comporta competenze tecniche , musicali, storiche; ma l’organo ha un elemento in più che lo contraddistinguono rispetto agli altri beni: il suono. E non c’è restauro che tenga se non è finalizzato al recupero del suono (intonazione, temperamento). Ci si chiederà: è possibile questo? A quali condizioni? Quando il suono è storicamente attendibile? Questi due elementi, architettonico e

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sonoro, rendono il restauro un’operazione complessa: infatti, oltre alla capacità tecnica, che comporta una molteplicità di competenze: musicali, meccaniche, di falegnameria, è necessaria anche una modestia di pensiero, che consiste nel non imporre il proprio modo di sentire e di pensare, e nel non stravolgere il progetto originario. Per attivare la complessa procedura di restauro ed ottenere le autorizzazioni sono stati interpellati gli organismi competenti che sono: la Commissione diocesana di Musica per la Liturgia e la Commissione della Soprintendenza per la tutela degli organi artistici della Lombardia, dove abbiamo avuto puntuale supporto e grande disponibilità da parte della dr. ssa Beatrice Bentivoglio della Soprintendenza regionale.

L’organo era in condizioni di avanzato degrado

L’organo Serassi si presentava parzialmente funzionante ed in condizione di visibile degrado, come pure la cassa e la cantoria. L’interno dello strumento era molto sporco, con polvere e calcinacci depositati ovunque; i mantici a cuneo presentavano varie aperture lungo le pieghe, le pelli di guarnizione del somiere erano comple-

tamente consunte; mentre erano evidenti notevoli tarlature sulle canne di legno e su altri componenti lignei delle strutture. L’inizio del restauro è stata subordinato ad uno studio approfondito dello stato dello strumento, con rilievi accurati degli elementi originali ancora presenti, documentati con fotografie digitali, garantendo così un riscontro immediato durante il restauro e una perfetta collocazione degli elementi durante il successivo rimontaggio dello strumento. Nello smontaggio del materiale fonico si ha avuta cura di fotografare canna per canna le segnature rilevando posizione e stato attuale, catalogando il tutto in tempo reale in una tabella elettronica Anche la cassa dell’organo e la cantoria erano in cattivo stato di conservazione, con annerimenti, localizzati sulle dorature, distacco di parti di ornato, cadute e sollevamenti di colore e tarlature. Ricordiamo che le casse degli organi sono quasi sempre un’espressione di gusto e di stile, volta a persuadere e a stupire. Esse sono la veste fondamentale dello strumento e costituiscono un apparato architettonico, scenico-rappresentativo, de-

Sopra la configurazione finale dell’organo restaurato. A fianco la situazione ante restauro delle tastiere e della pedaliera. Sotto il dettaglio post restauro della cassa e la rifinitura della semicupola della cassa

corativo, spesso in risalto nel complesso del tempio: nel nostro caso è un vero capolavoro ricco di rilievi e di statuarie, con una precisa gerarchia di valori simbolici: la musica è vista come segno di abbondanza e di gioia

Viene smontato completamente

Nel luglio del 2008 l’organo viene completamente smontato e portato nel laboratorio di restauro di Giovanni Pradella a Berbenno di Valtellina, dove iniziano subito gli interventi di restauro. Rilievi preliminari e smontaggio dello strumento. Operatori specializzati provvedono a pulizia, revisione, consolidamento, trattamento antitarlo, reimpellature mantici e condotte, ecc. di tutti i componenti funzionali: somieri, crivelli, canne di metallo, canne

di legno, trasmissioni, tastiere, pedaleria e manticeria. Quindi rimontaggio, accordatura e intonazione; in questa fase finale l’organaro esprime al meglio la sua professionalità. Si tratta di suscitare dall’inerzia delle canne il timbro caratteristico e l’equilibrio fonico che meglio esprimano la concezione ideale dell’artista: l’organo è un’opera d’arte e non vi possono essere metodi o schemi esaurienti ed infallibili. E’ l’organaro che, guidato dal suo intuito, applica leggi fisiche note ed ignote, neutralizza le interferenze, valuta i rapporti, gradua le intensità, sviluppa i volumi, sente il registro e predispone l’amalgama in cui si sciolgono i timbri particolari.

Il giorno del concerto inaugurale

Terminate le ultime operazioni di messa a punto e di collaudo, il 28 febbraio 2010 l’ATAS offre alla Comunità trevigliese il Concerto Inaugurale con gli organisti Fabrizio Vanoncini, Luca Legnani e Paolo Oreni.

Come nasce l’Associazione Amici del Santuario

L

’incipiente degrado della struttura del Santuario, evidenziato dalle infiltrazioni d’acqua verificatesi col fortunale dell’ottobre 1980, sollecitò un gruppo di Trevigliesi a farsi carico istituzionalmente di una maggiore attenzione alla tutela ed alla conservazione del più importante monumento d’arte e di fede della città di Treviglio – 1981 Nasce con atto notarile l’ ATAS. I primi interventi manutentivi interessarono prioritariamente le coperture, le gronde, i pluviali, il portale, la lanterna e gli impianti elettrici e di illuminazione. Interventi successivi: 1996 Restauro degli affreschi della cupola; 2001 Restauro degli affreschi, delle vetrate e delle pareti della navata; 2003 Consolidamenti e restauro del campanile e del castello delle campane; 2008-2010– Restauro dell’organo e della cantoria; 2012-2013 Restauro del velo e dell’elmo e della spada del generale Lautrec; Riordino e restauro degli ex-voto. I restauri sono stati finanziati dall’ATAS con campagne di promozione presso enti e privati. Franco Pellaschiar (socio fondatore già Presidente ATAS)

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Perle di Gera d’Adda/Castel Rozzone

Libretto d’istruzioni per un’opera d’arte di Roberto Fabbrucci

Una visita a Castel Rozzone ci induce ad approfondire il significato di una piazza molto apprezzata dal mondo accademico, meno dagli abitanti. Ecco un manuale di trascodifica per persone normo dotate

N

el 2003 passai casualmente da Castel Rozzone, così notai i lavori di “riqualificazione” della piazza. Feci qualche domanda nei bar, poi per la strada alla gente che passava, chiesi che pensassero di quelle decine di pali alti otto metri infilati appa-

rentemente a casaccio nell’unica piazza del paese. Qualcuno glissò, altri risero a crepapelle, i più erano basiti perché stavano perdendo per sempre l’uso di quello spazio che, oltretutto, sarebbe costato ai cittadini un occhio della testa. Essendo io ignorante come una capra, ripassato recentemente

per Castel Rozzone e ritornatami la curiosità, ho cercato di capire che volessero dire gli intellettuali che l’Amministrazione Comunale aveva incaricato di riqualificare quella piazzetta, l’unica di Castel Rozzone. In un sito web trovo i nomi dei progettisti e dei collaboratori: gli architetti Gualtiero Oberti e Attilio Stucchi, con la collaborazione dei colleghi Dimitri Chatzipetros, Paolo Masotti, Enrico Mazzoleni, Laura Molendini e Andrea Cavalletti. Legittimamente orgogliosi di quest’opera architettonica, la descrivono con un linguaggio all’altezza dell’opera. Sentite: “Una piazza come la cristallizzazione di un evento lontano. Un fossile urbano, unica memoria di un assalto alla rocca, prodotto da un alito di vento secolare e criogeno che ha interrato il fossato lasciando le pertiche e le lance quali uniche testimoni dell’evento. Ma qualche cosa ancora pulsa al di sotto della crosta litica che si scheggia, si contrae e si slabbra e lascia emergere una fonte nuova e materna, segno di rinascita e di speranza. Così come la natura, che lentamente si

Castel Rozzone - L’opera degli architetti Gualtiero Oberti e Attilio Stucchi, con la collaborazione dei colleghi Dimitri Chatzipetros, Paolo Masotti, Enrico Mazzoleni, Laura Molendini e Andrea Cavalletti.

riappropria del luogo rivestendo di pampini e ghirlande i muti resti della battaglia”. Gli anni passano, siamo nel 2015, i figli crescono, le mamme imbiancano e le lance restano a far riflettere i “castelrozzonesi” sulle battaglie, il sangue, la tragedia e l’inutilità della guerra. Non per nulla sulla finestra del municipio sventola ancora la bandiera arcobaleno, l’unica forse in Italia. I cittadini sono identici a quelli di dodici anni or sono, rispondono dondolando il capo, alzando lo sguardo al cielo o spiegando che in quella piazza non si ferma mai nessuno, le panche sono scomode e la vasca “abbeveratoio” è asciutta, inutile. Eppure i concetti che gli architetti volevano esprimere con questa opera d’arte apprezzata dagli intellettuali di tutt’Italia e celebrata nei siti blasonati dell’architettura, dovrebbero essere semplici e chiari anche

per una capra come me. Oltretutto lo stesso nome gelido, Galaverna, dovrebbe chiarire già tutto, poi se non bastasse i siti divulgativi dell’architettura moderna si impegnano a spiegarlo. “Le scorribande sanguinarie dei Rozzone nel bergamasco si sono scontrate –e concluse– con la dura offensiva attuata dai Visconti, persa malamente dai locali nel 1386. Lance ed alabarde dei cavalieri sono oggi come trattenute sul campo di battaglia, a futura memoria. La prima asta conficcata con forza nel terreno ha mandato in frantumi lo strato ghiacciato superficiale, appunto la galaverna del mattino, scatenando la reazione a catena che ha segnato ed increspato il calpestio. É accaduto contemporaneamente lo stesso con le altre 42 lance, alte 8 metri, che si contano sull’area. Come le traiettorie su di un biliardo, la frattura al suolo è allora rimbalzata via via contro le bordure dello spazio pubblico, tracciando secche, inedite geometrie lineari sul rettangolo di base. Il piano di piazza Castello a Castel Rozzone non è del resto perfettamente orizzontale: questa sorta di nastro o tessuto pieghettato risale occasionalmente e costituisce un bacino d’acqua lungo circa 15 metri, quasi un abbeveratoio per i cavalli sfiniti dalla contesa. Del resto i colpi inferti dai soldati a cavallo, con le loro lance, al terreno, sono stati tali da produrre lievi ribassamenti –dunque anche compluvi– piccoli crateri e smottamenti, che ancor più lasciano traccia dell’animosità della battaglia”. In sostanza un posto orrendo e invivibile, non solo per l’estetica raggelante e angosciante, ma persino per la pavimentazione concava e convessa, ovvero impraticabile. I locali affermano che di tanto in tanto le bancarelle riescono, con grande fatica, ad animare un mercatino. E’ la forza della nostra gente che talvolta riesce a rendere vivibile anche un’opera supponente, inutile, criptica e costosa.

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Il pilota dell’anima

L

’intellettuale organico prende le distanze dalla realtà dei fatti e dalle esigenze sociali, rifugiandosi nella elaborazione dell’iperuranio platonico, in una straordinaria anticipazione del luogo metafisico che può essere contemplato in modo esclusivo da un pilota dell’anima: l’architetto. Ovvero colui che ha trovato la sua definitiva consacrazione attraverso i rendering 3D da mostrare in Power Point ad un pubblico muto e distratto. L’intellettuale organico vede prevalentemente film-d’essai, soprattutto quando sono di registi lituani, lettoni, bulgari o iraniani, ma solo se in lingua originale. L’intellettuale organico mangia rigorosamente etnico. Sushi giapponese, cus cus marocchino, humus di ceci algerino, biryani di verdure indiane. La polenta con il coniglio è accolta come un’apparizione di Satana e la cotoletta alla milanese ignorata con disprezzo. L’intellettuale organico si cura con l’omeopatia, salvo quando si tratta di psicofarmaci. Compra il caffè equo e solidale, i libri venduti dai senegalesi davanti a Feltrinelli, i bracciali etnici dai cingalesi sulle bancarelle, ma spende seicento euro per una sedia convessa, inutile ma di moda, prodotta da un designer macedone. L’intellettuale organico organizza dei party dove invita la cantante nigeriana, il poeta eritreo, il regista afgano, ma quando è in privato e parla della colf filippina, la chiama “la serva”. L’intellettuale organico veste causal e poco appariscente, ma si fa fare le scarpe a Londra, porta l’orologio Rado e mette solo maglioncini di cachemire perché ha la pelle delicata. Ha una berlina di gran lusso, ma alle riunioni del partito si presenta con l’auto della colf filippina, non certo perché fa figo. r.f. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 53


Pedalando nel tempo

Casirate d’Adda/Personaggi

Negli anni del riscatto nacque il Pedale

di Michela Colombo

La postina con gli zoccoli, mia madre

a cura di Ezio Zanenga

Ogni nostro comune ha cittadini che umilmente e generosamente hanno fatto parte della storia locale, vivendone i cambiamenti. Oggi parliamo di Caterina Colombo, figlia d’arte della “Postina con gli zoccoli”

Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Alternando storia e personaggi, questa ‘puntata’ è dedicata ad un evento che costituì la pietra miliare del ciclismo trevigliese: la fondazione del Pedale Sportivo Trevigliese

G

li anni immediatamente successivi all’ultima guerra mondiale furono anni di una incredibile voglia di riscatto in campo sociale, economico e …sportivo. Treviglio non fu da meno, anche se, in campo ciclistico, si dovettero aspettare più di tre anni per la fondazione di un sodalizio regolarmente affiliato all’UVI (Unione Velocipedistica Italiana). Proliferavano allora le corse ‘libere’, le cosiddette gare dei “Tri macc”: competizioni giovanili sino ai 18 anni, oppure dai 18 in su, senza distinzione di categorie, spesso senza permessi delle autorità, quasi mai l’assistenza medica, assicurazione (figuriamoci il casco!). Nel 1948 il ciclismo italiano era ‘esploso’ con la vittoria di Gino Bartali al Tour de France, il trevigliese Valentino Vertova vinceva con la maglia della ‘Baracchi’ di Bergamo, le promesse locali rispondevano al nome di (udite, udite!) Mario Leoni, Luigi Gatti, Giuseppe Bertelli, Bruno Caspano, Gianrico Bresciani, Giuseppe Chierichetti. Vincitori anche di gare locali, ma senza l’imprimatur federale. Una regolamentazione dell’at-

tività agonistica con la fondazione di una vera società si imponeva e grazie a entusiasti appassionati delle due ruote, la sera del 23 agosto 1948 presso il saloncino del Bar Mercato, in piazza Cameroni, fu redatto e sottoscritto l’atto costitutivo di una società ciclistica denominata “Pedale Sportivo Trevigliese”. L’evento è stato immortalato da una immagine nella quale sono presenti più di trenta ciclofili. Senz’altro qualche lettore potrà riconoscere numerose persone, tutte trevigliesi. Sulla parete spicca un drappo bianco e verde con una ruota di bicicletta e le iniziali P.S.T. I nomi dei fondatori e le cariche sociali sono riportati su una preziosa pergamena, conservata presso la ‘Ciclistica Trevigliese’: Michele Cavallo (Presidente), Italo Caspani (Direttore Sportivo, il mitico ‘Nata’), Angelo Cassinelli (Segretario), Ernani De Ponti (Cassiere), Carlo Danelli (Vice Presidente), Facchetti Mario, Ferrandi Enrico, Ambrogio Strepparola, Luigi Mora, Enzo Guarneri, Giovanni Gatti, Alfredo Menzingher, Gino Rivoltella, medico sociale il dott. Franco

Lumini, addetto stampa Pino Maccagni. Don Piero Perego, novello prete, da pochi mesi a Treviglio, inaugura (e benedice) la sede sociale presso il Bar Mercato. Bianco e verde i colori sociali. “Erano di più le lettere della denominazione sociale che i nomi dei fondatori”, fu il curioso commento di un giornalista. Immediatamente è costituita una ‘squadra’ di Allievi, subito competitiva, ma l’incredibile avviene in campo organizzativo, di come furono capaci i dirigenti di allora ad allestire nel giro di un mese un gara ufficiale a Treviglio coinvolgendo la città e avere come ospite d’eccezione nientemeno che Gino Bartali. Allora il campione toscano era all’apice della notorietà nazionale e la sua presenza era contesa in tutta Italia. Venne a Treviglio! La manifestazione, riservata alla categoria Allievi, patrocinata dalle ACLI, fu dedicata a Bruno Tura e organizzata il 26 settembre1948 in occasione della festa oratoriana di San Luigi. A sinistra: 23 agosto 1948 (Bar Mercato), i fondatori del Pedale Sportivo Trevigliese. A destra: la pergamena riproducente la fondazione e le cariche sociali del Pedale Sportivo Trevigliese. Sopra: Gino Bartali e don Ernesto Castiglioni sulla macchina scoperta alla partenza della gara organizzata per la festa di San Luigi del 1948 Sopra a destra: Marino Morettini e Mario Leoni, tra i primissimi a vestire la maglia del Pedale Sportivo Trevigliese, …nel 1948!

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E

’ una grande soddisfazione potervi presentare Caterina Colombo, una concittadina molto conosciuta e apprezzata a Casirate d’Adda: Grande folla e grande entusiasmo per la ovvero la storica, se non ‘mitica’ pustina de presenza di Gino Bartali che, dopo la visita Casirà. La signora mi accoglie con grande in Santuario e all’Oratorio Sant’Agostino disponibilità e iniziamo l’intervista, che (situato ancora presso l’ex Convento Ago- però si trasforma subito in una piacevostiniano), acclamatissimo, in testa al cor- le chiacchierata. L’incipit per l’intervista, teo su una macchina scoperta attraversò il racconta la “pustina” è arrivato centro di Treviglio tra due ali di sportivi, dal direttore de “la nuova triper poi abbassare la bandierina a scacchi buna”, casualmente nell’edicodando il via alla competizione. Artefice la del paese dove l’ha conosciudella sua venuta fu molto probabilmente ta. Quattro chiacchiere ed ecco don Ernesto Castiglioni, nella foto vicino l’idea di sentire un po’ la storia a Gino Bartali. di una professione così cambiaLa gara fu vinta dal monzese Luigi Al- ta nel tempo. bani sul trevigliese Valentino Vertova, “Sono nata nel 1942, esattama si fecero notare anche i portacolori del mente in questa casa dove io e i neonato Pedale Trevigliese. Su tutti Ma- miei familiari viviamo”, spiega la rino Morettini, futuro campione olimpi- signora Colombo, che vive a Caco, Mario Leoni e Luigi Gatti, settimo al sirate d’Adda col marito Stefano traguardo. Un evento, quello del 23 agosto Bonifaccio e la secondogenita 1948, foriero di successivi eventi sportivi Federica. di grande risonanza, come il Circuito degli “Ho cominciato questa proAssi del 1949, con Fausto Coppi e Gino fessione affiancando negli anni Bartali, una storia che racconteremo in una ‘55/’56 mia madre, la così detta delle prossime puntate. ‘postina con gli zoccoli’, simpa tico soprannome affidatole dalla gente del paese poiché era solita consegnare a piedi la posta, percorrendo lunghi tragitti fino ad arrivare a Cascine San Pietro”. La ‘postina con gli zoccoli’ è stata la protagonista di un tema elaborato dai ragazzini delle elementari di Casirate, che hanno pure vinto un concorso grazie al quale hanno ricevuto un riconoscimento a Roma. “Nel 1960 sono diventata postina a tutti gli effetti ed ho occupato il posto di mia madre, che nel frattempo si era ammalata; oltre a portare la posta normale, facevo anche il procaccia” prosegue Caterina Colombo, lavoro che consisteva nell’andare a ritirare la posta al pullman che percorreva la Statale Bergamina: lì arrivava l’autista a scaricare la posta e gli ‘speciali’, in altre parole soldi, vaglia e assegni. Si firmava per ricevuta di mattino e di sera veniva rifatto lo stesso percorso: di mattino 8.30 circa e di sera 18,00, anche più tardi in caso di maltempo”. La signora Caterina non aveva nessun col-

lega: “I miei spostamenti li facevo sempre con la bicicletta, una Bianchi azzurra, andando anche quasi fino al Roccolo attorno alle zone della Malossa” ricorda. Questa professione è stata svolta da Caterina Colombo per circa quindici anni. “La cosa più soddisfacente” spiega la signora, “è stato sicuramente il rapporto con la gente, sempre di cortesia, gentilezza e rispetto reciproco”.

Le poste, in quel tempo, si trovavano in uno stabile nella zona dove ora ci sono le scuole di Casirate d’Adda. “Il lavoro più impegnativo, invece, era quello di catalogare la posta, poiché in quegli anni, molte abitazioni erano senza numero civico”. Caterina Colombo ha fatto anche il messo notificatore delle tasse fino al 2006: dopo aver fatto la postina, per circa venticinque anni è stata colf. L’aver svolto con dedizione la professione di postina ha fatto sì che Caterina diventasse una persona molto conosciuta in paese: “Ancora oggi la gente si ricorda ed è riconoscente nei miei confronti: è bello poter uscire e fare due parole con i miei compaesani”, conclude la ‘pustina’. Che in realtà, un po’ come molti anche a Casirate d’Adda, non riesce ad andare in pensione: da trentacinque anni fa la postina dell’Avis in forma gratuita, ed ha anche ricevuto una medaglia d’oro. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 55


Imprese/Le eccellenze storiche

Dopo la Grande Guerra, l’idea... a cura di Ivan Scelsa

La storia di Luigi e Francesco Marini è una tra le tante affascinanti degli imprenditori lombardi. Passione e coraggio fanno nascere da un vecchio camion il primo trasporto passeggeri

L

a storia di ciascuno di noi si è inevitabilmente intrecciata con quelle di giovani imprenditori le cui fortune sono legate a felici intuizioni che hanno migliorato la qualità della vita altrui. Accade spesso casualmente, anche solo attraverso semplici e spontanee azioni che entrano a far parte della quotidianità. Azioni che si ripetono, giorno dopo giorno, come una piacevole abitudine. Quella che prende il via nel 1920 grazie ai fratelli Marini, è una di queste. Di ritorno dal primo conflitto mondiale, Luigi e Francesco decidono di organizzare il primo servizio di trasporto passeggeri a Treviglio. Dopo aver adattato al trasporto dei passeggeri alcuni camion di provenienza bellica, gettano le basi per la creazione delle future Autolinee Sai, tutt’oggi un importante punto di riferimento per il trasporto pubblico nell’intera provincia. Cogliendo l’opportunità offerta dalla notevole affluenza di pellegrini provenienti da Milano e diretti al Santuario della Beata Vergine del Fonte di Caravaggio, nasce la prima linea di trasporto che consente all’azienda di ampliarsi rapidamente e raggiungere un parco veicoli di trenta unità (con altrettanti conducenti) che garantiva così il trasporto delle maestranze dirette ai linifici-canapifici di Villa

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d’Almè, Fara d’Adda e Cassano d’Adda, nonché alle fabbriche milanesi della Pirelli, della Falk e della Magneti Marelli, all’epoca perno dell’industria lombarda. A far segnare la differenza fu principal-

mente proprio l’intuizione di proporre alla Direzione Compartimentale F.S. di Milano un servizio cumulativo combinato ferroviarioautomobilistico con tariffe dedicate da destinare ai visitatori del Santuario di Caravaggio, con una propaganda mirata volta a rilevare l’imponente scuderia dedicata dalla nuova società di autolinee. Analizziamo i dati: dal raffronto tra il numero di persone che avevano usufruito del servizio nel 1932 e quelli dell’anno successivo, è evidente l’esponenziale incremento di passeggeri. Dalle 1500 persone trasportate (per un incasso di 37.520 lire) si saliva a ben 7369 per un incasso di 182.500 lire. Questo nei soli mesi di maggio dei rispettivi anni. In questo modo, con il servizio combinato, le Ferrovie dello Stato incassarono 144.980 lire in più. Nei successivi quattro mesi le cose non andarono molto diversamente: da un incasso di 289.000 lire si passò nel 1933 a 471.500 lire che negli anni a venire si stabilizzarono intorno alle 500.000 lire. Attenzione: è da rilevare come tutto questo avvenne senza che si doves-

sero istituire treni speciali o materiale rotabile di rinforzo. A questa prima, importante, innovazione seguì un vero e proprio studio per la distribuzione degli abbonamenti che negli anni precedenti aveva mostrato i suoi limiti in diverse stazioni ferroviarie dove si erano verificati disordini. Importanti i risultati raggiunti, con miglioramenti netti sia nella distribuzione che nel controllo del titolo di viaggio, soprattutto per gli abbonamenti. Oggi le Autolinee Sai raggiungono e collegano diversi paesi della bassa bergamasca, la vicina provincia milanese (con diverse linee da Vaprio d’Adda, Trezzo sull’Adda, Cassano d’Adda, Groppello, Cascine San Pietro) e anche Bergamo e Chiari. S.A.I. Treviglio, oltre ai servizi di linea, svolge anche attività di noleggio autobus con conducente con servizi mirati a gite scolastiche, sociali, aziendali, pellegrinaggi, servizi navetta, tour e giro città con una flotta composta da venti autobus Gran Turismo che si sommano agli ottanta mezzi in servizio di linea che, quotidianamente, transitando in poco

meno di cinquanta Comuni, sviluppano circa 2.100.000 chilometri annui. Sono certamente risultati lusinghieri quelli ottenuti dai Fratelli Marini, frutto di anni di comprovata esperienza nel settore e volta ad analizzare il mutare delle esigenze del trasporto passeggeri e delle condizioni del traffico: una rete che per efficienza poteva essere paragonabile all’odierna concezione d’interscambiabilità urbana “ferroviario-metropolitana” realizzata anche attraverso mirate analisi di mercato e accordi commerciali che tenevano conto anche delle azioni promosse dai Comitati Locali di lavoratori (in particolare a Treviglio, Bergamo, Cremona e Brescia) e apprezzate dalla stessa amministrazione delle Ferrovie dello Stato che, finalmente, avevano risolto l’annoso problema dei passeggeri sprovvisti di titolo di viaggio. A tutto questo va poi sommato il successo nel trasporto combinato “strada-rotaia” mediante l’utilizzo di grandi casse mobili (che oggi chiameremmo container) che già dal finire degli anni Venti videro la costituzione di

una società internazionale per il loro sviluppo cui fu chiamato a collaborare lo stesso Luigi Marini dall’allora Senatore Silvio Crespi. Potremmo quasi dire che quella società (la Società Internazionale per lo sviluppo delle Casse Mobili), nata nel 1928 e attiva fino al 1933 (anno in cui gli investitori francesi decisero di abbandonare il progetto), ebbe il pregio di rendere il trasporto merci più capillare e vicino alle esigenze dell’industria. In tal senso, lo stesso Marini diede un importante impulso con l’intuizione del sistema “FER-AUT” (dalle parole “ferrovia” e “automezzo”) che poneva il nostro Paese all’avanguardia delle realizzazioni del coordinamento stradaleferroviario con un servizio di consegna merci che potremmo definire “porta a porta”. Dal 1954 a oggi sono passati molti anni, ma sembra quasi un segno del destino che proprio oggi, con l’EXPO e una nuova arteria autostradale alle porte, possiamo parlare di progetti tanto importanti per il commercio e il trasporto che, guarda caso, sono nati sul nostro territorio.

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Eccellenze/L’espresso

È

la macchina che fa il buon caffè Una ricostruzione fedele della guerra civile a Treviglio “Nel libro di Roberto Fabbrucci -raccolta appassionata e commossa di documentazioni inedite- vibra il desiderio di rimuovere ciò che osta alla definitiva pacificazione, ma soprattutto è un’analisi corretta, plurale e nutrita di ‘pietas’ per ridare dignità e valore a storie di scelte difficili o sbagliate, talvolta di disperate situazioni”. “Grazie alla misura documentale di Fabbrucci, vincitori e vinti ritrovano il loro posto, assegnato dalla storia e dai fatti, non dalle interpretazioni settarie, senza nulla togliere ai valori che hanno alimentato il nascere della Repubblica di oggi”. Amanzio Possenti “Davvero un bel libro, costruito su di un impianto iconografico straordinario e una vastissima documentazione”. Giampaolo Pansa

NELLE EDICOLE E LIBRERIE DI TREVIGLIO 58 - la nuova tribuna - Marzo 2015

Alla ricerca del buon aroma, ovvero della buona miscela, scopriamo che senza una macchina speciale non si può fare un caffè speciale. Scopriamo anche che il caffè Espresso non è nato a Napoli ma a Milano

A

nni di esperienza nel mondo della ristorazione in generale e nel settore dei bar, fanno di Paolo Bettoni un’eccellenza. Originario di Cassano d’Adda, anno di nascita 1936, dopo aver lavorato in varie parti della bergamasca, il signor Bettoni si è trovato a dirigere per ben venticinque anni il Cincin Bar in Piazza del Popolo a Treviglio. Esperienza che ha poi portato al Petit Café di Viale del Partigiano, dove Luciana e Luca Bettoni proseguono la tradizione. Che non è solo quella di saper scegliere la buona miscela, ma possedere la macchina del caffè giusta. Ed è questo che ci ha spinto a redigere un articolo. Tra le sue soddisfazioni troviamo infatti quella di aver tramandato ai propri figli delle regole semplici, ma che fanno la differenza: “Il trucco non è solo nella buona miscela, ma soprattutto nella macchina” spiega il signor Paolo. “La guardi, vede com’è vec-

chia, è una Faema E61 semiautomatica”. E’ una macchina che avrà cinquantacinque o cinquantasei anni di vita, ma non ha mai tradito” Dagli anni ’60 quando l’ha acquistata, lui e la sua macchina per il caffè semiautomatica E61 sono diventati inseparabili. La definisce la “Ferrari delle macchine per il caffè”. Il signor Paolo in due minuti ci ha smontato tutte le nostre convinzioni sull’importanza fondamentale della miscela, invece senza una buona macchina del caffè, neppure il caffè migliore fa miracoli. Così scopriamo che il caffè espresso non nasce a Napoli, ma a Milano, perché la prima macchina del caffè a vapore fu brevettata dall’ing. Giuseppe Bezzera nel 1902. Macchine che, con una pressione di 1,5 bar, lavorando a temperature molto alte, tendevano a estrarre un espresso molto amaro e senza crema. Questo fino al 1961, “…quando la Faema stravolgerà il modo di estrarre il caffè, un modello che farà la storia dell’espresso”. La chiameranno E61 in omaggio all’eclisse totale di Sole vissuta dall’Italia nello stesso anno. Una macchina che non muore, ma che è perfezionata e rimessa in produzione nel 2001 per commemorare i quarant’anni del modello, come poteva chiamarsi se non “E61 Legend”? (s.g.-r.f.)

Le innovazioni arrivano con la Faema E61

L

’innovazione della Faema E61 consiste, tra l’altro, nell’adozione della pompa elettrica che fornisce i nove bar di pressione necessaria per l’estrazione dell’espresso, in maniera uniforme e facilmente ripetibile sostituendo il sistema meccanico Leva/ pistone. La pompa è attivata mediante una piccola leva posta accanto al gruppo erogatore. L’acqua usata per l’estrazione viene direttamente dalla rete idrica e scaldata passando all’interno di una serpentina (scambiatore di calore) all’interno della caldaia. Questo permette di tenere una temperatura in caldaia più alta e quindi maggior vapore disponibile per montare il latte. Il gruppo erogatore, inconfondibile, mantiene la sua stabilità termica attraverso un circuito termo sifonico e introduce nel 1961, per la prima volta in maniera automatica, il concetto di preinfusione, in altre parole il prolungamento del tempo di contatto tra l’acqua e il caffè macinato prima dell’estrazione ottimale di tutte le proprietà organolettiche dell’espresso.

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Coro Icat/Una storia trevigliese

Come era organizzato il coro Icat

Il primo organigramma del Coro come riportato da alcuni giornali dell’epoca

Il primo successo é in piazza Navona di Tienno Pini

La presentazione ufficiale nell’aprile 1969 diede il via ad una molteplice serie di appuntamenti musicali mentre, nel contempo, andava perfezionandosi anche l’organizzazione interna del Coro

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opo la prima partecipazione ad un concorso (avvenuta il 22 giugno 1969 a Lecco, al Concorso Nazionale di Cori Alpini, in cui l’ICAT si piazzò undicesimo su oltre venti partecipanti provenienti da tutto il Nord Italia) il coro trevigliese venne invitato, in rappresentanza della provincia di Bergamo, al 1° Festival Nazionale Canti della Montagna, a Roma in Piazza Navona. Fu così che con trepidazione ma ferma determinazione i coristi diretti da Paolo Bittante, a pochi giorni dal precedente impegno, si cimentarono in quello che fu il primo lungo viaggio lontano da casa, cui negli anni successivi ne sarebbero seguiti molti e molti altri. A dire il vero si trattò anche di un viaggio impegnativo visto che, usualmente, i pullman di quei tempi non erano dotati di aria condizionata e avvenne che, per alleviare il caldo soffocante all’interno, alcuni tratti del viaggio si svolsero con le portiere a soffietto aperte. E venne il gran momento: la sera di giovedì 26 giugno, all’imbrunire, in una Piazza Navona gremita da oltre diecimila persone, l’ ICAT si esibì per primo tra i dieci cori invitati, conseguendo un risultato tanto inatteso e roboante: il secondo posto assoluto nell’incantevole cornice di uno dei più bei salotti al mondo! Questo fu il primo vero e grande successo

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del Coro che fece pensare a tutti i coristi (anche a quelli assenti per motivi di lavoro) che la strada intrapresa fosse quella giusta. Sulle ali dell’entusiasmo il gruppo proseguì, dopo la consueta pausa estiva, in numerosi concerti tra cui quello in Piazza Santuario in occasione dei festeggiamenti per il 150° di fondazione della Banda Musicale di Treviglio ed un altro, con grande successo di pubblico, presso il Teatro Comunale, che di lì a poco sa-

rebbe caduto in disuso e poi abbattuto. L’autunno e l’inverno seguenti furono dedicati ad una preparazione intensa, puntuale e mirata ad un repertorio sempre più vasto e non di soli canti di montagna, nel tentativo di ritagliarsi da subito un proprio specifico ruolo nell’ambito corale italiano. Nel contempo la divisa veniva integrata da un maglione rosso che, per molti anni, costituirà un segno di riconoscimento su molti palcoscenici.

Primi al Festival Nazionale di Roma

Il 1970, a soli tre anni dalla fondazione, fu l’anno della consacrazione definitiva. La partecipazione in primavera ai concorsi corali di Vaprio d’Adda (terzo posto assoluto), di Borno, in Valle Camonica, e di Lecco (sesto posto assoluto su oltre trenta partecipanti e giudizi lusinghieri) rappresentò un importante e significativo percorso di avvicinamento all’impegno di maggior prestigio della stagione: il 2° Festival Nazionale Canti della Montagna, sempre in Piazza Navona a Roma. Il 25 giugno di quell’anno, all’imbrunire, il Coro si presentò quindi per la seconda volta consecutiva al foltissimo pubblico di Piazza Navona (stimato in circa ventimila presenti, tra cui molti stranieri) per difendere il prestigioso piazzamento dell’anno precedente, conscio della propria giovinezza, ma consapevole dei propri mezzi e ben deciso a giocarsi le proprie carte per potersi confermare all’altezza dei migliori cori italiani presenti. La perfetta e partecipata esecuzione de “Il Trenino”, ricca di

effetti speciali, sostenuta da un incredibile entusiasmo di tutto il pubblico ed il successivo azzardo calcolato di Paolo Bittante, valente direttore quanto degno stratega, con l’intonazione di “Me compare Giacometo” su tonalità da vertigini e un’altrettanto impeccabile interpretazione convinsero la giuria a decretare il trionfo del coro trevigliese: primo classificato assoluto, vincitore del Trofeo della Vittoria in occasione delle celebrazioni del Centenario di Roma capitale (poi soprannominato l’uselù), delle medaglie d’oro della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Presidenza ENAL-USCI e della Coppa del Sindaco di Roma. Un’affermazione ed un bottino incredibili, tra magia e realtà, che ebbero ampia risonanza in tutta la comunità trevigliese, in ambito corale e sulla stampa, ma soprattutto convinsero anche i più scettici, coristi e non, delle grandi potenzialità del Coro, peraltro già esplicitate chiaramente dalla giuria del concorso di Lecco “…complesso dotato di facoltà vocali enormi e di acuta sensibilità espressiva …”.

Il secondo presidente

Poco dopo, quasi a far da contraltare ad una grande gioia, un grandissimo dolore, la mestizia di una dipartita prematura ed improvvisa: quella del Presidente Tonino Pellacani accompagnato lassù dal suo Coro con uno struggente “Signore delle Cime”. Ma il Gruppo ha le sue regole, le sue necessità e la sua, importante, organizzazione ed ecco che venne eletto il secondo Presidente: Massimiliano Stedile, trevigliese di Terragnolo, per tutti Massimo, anche lui imprenditore locale, con il coro sin dai primi passi, sempre pronto ad aiutare, intervenire in caso di necessità, incoraggiare nei momenti difficili.

Il primo 33 giri

Il 1970 fu importante anche per un altro aspetto: il Coro incise il suo primo disco L.P. 33 giri con dodici brani, alcuni dei quali furono per diversi anni dei veri e propri cavalli di battaglia, unici e contraddistintivi del soda-

lizio trevigliese: Platoff Lied, Fantasia Trevigliese, Les trois cloches. In autunno per tre sere consecutive, in pullman, tutto il Coro al completo (Direttore, Coristi, Presidente, Coordinatori) si recò a Milano, presso gli studi di registrazione Phonogram in Piazza Cavour, tornando poi a casa a notte fonda per riprendere il lavoro il mattino successivo. La sala di registrazione, con i relativi tecnici, era prenotata per tre ore, dalle 21 alle 24, per un costo complessivo di 900.000 lire di allora, equivalenti ad oltre 8.000 euro odierni. In nove ore complessive dovevano essere registrati al meglio i dodici pezzi prescelti, mixati, per poi essere incisi, senza possibilità di ore aggiuntive, visti i costi; facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Eppure, con Direttore e Coristi preparati al meglio e concentrati al massimo tutto andò per il meglio, con piena e condivisa soddisfazione, tra lo stupore ed i sinceri complimenti dei tecnici della sala di registrazione, pur adusi a lavorare con i migliori cantanti italiani dell’epoca, stupiti per intonazione, precisione e velocità di adattamento da parte di neofiti. Così la strenna per il Natale 1970 fu il 33 giri dell’ICAT, posto in vendita a 1.800 lire anche tramite la disponibilità della Ditta Tirloni in Via Matteotti. Grazie inoltre alla consueta generosa collaborazione della Cassa Rurale ed Artigiana di Treviglio, che volle personalizzare il disco con una specifica incisione sulla copertina per poi utilizzarlo come proprio regalo natalizio, in poco tempo vennero venduti tutti i duemila esemplari incisi. Qualche anno più tardi i relativi diritti furono ceduti dal Coro alla Saar Joker, editrice musicale nata per pubblicare i dischi in edizione economica, anche in punti di vendita non specializzati, quali ad esempio i grandi magazzini e le edicole, spaziando geograficamente fino a raggiungere diversi mercati europei e gli USA. Fu proprio negli Stati Uniti che, nell’agosto del 1975 in un enorme Centro Commerciale del New Jersey, il sottoscritto vide esposto in vendita un disco del Coro con l’etichetta Saar Joker, il suo Coro! Visto, piaciuto e comprato, ovviamente … (3 – continua)

Presidente: Antonio Pellacani Direttore: Paolo Bittante Tenori primi: Antonio, Sala, Riccardo Sala, Paolo Musazzi, Rino Gatti, Max Muller, Enrico Giovansana, Angelo Sommacal, Arnaldo Bellini, Cristoforo Casirati, Franco Butinoni. Tenori Secondi: Amadio Pellacani, Amilcare Borghi, Franco Buttinoni, Carlo Pennati, Ernesto Valvassori, Ernesto Leoni Baritoni: Cesare Ravazzi, Alberto Borghi, Franco Monzio Compagnoni, Edoardo Musazzi, Pier Giorgio Strepparola, Daniele Imeri. Bassi: Angelo Casirati, Gabriele Bellagente, Luigi Cologni, Angelo Monzio Compagnoni, Imperio Fanzaga, Giuseppe Zanotta, Luigi Casirati. Coordinatori: Massimiliano Stedile, Renzo Tarantino. Poco dopo -oltre alle cariche istituzionali di Presidente- comunque sempre nominato dai coristi, e Direttore, per il cui ruolo Paolo Bittante non fu mai in discussione, vennero individuati altri due ruoli: il Capo Gruppo, chiamato ad interpretare, rappresentare e alimentare nel modo migliore lo spirito del Gruppo e della sua appartenenza, ed il Segretario, incaricato della contabilità e della gestione dei pochi introiti del Coro nonché dei rapporti esterni, oltre che della stesura del diario di ogni singola prova, in cui venivano annotati i ritardatari e gli assenti (giustificati e non), i brani oggetto di studio, con le diverse impressioni e gli umori corali della serata. Peccato che queste testimonianze siano andate perse nel tempo. Comunque il primo Capo Gruppo fu Arnaldo Bellini (per tutti il Cecca) ed il primo Segretario Renzo Tarantino. Le regole interne della democrazia prevedevano inoltre che le cariche di Capo Gruppo e soprattutto quella di Segretario, fossero messe ai voti ogni anno, determinando talvolta anche candidature diverse con i relativi sostenitori ed anche animate discussioni cui, talvolta, solo il riconosciuto ruolo del Capo Gruppo poteva e sapeva porre un freno. Marzo 2015 - la nuova tribuna - 61


Lettere al direttore I gran bazar dell’Ufficio Postale

Una terrorista è cittadina onoraria

Caro Direttore, grazie all’articolo “Perché non pensare al trevigliese Ermanno Olmi” nell’ultimo numero della Tribuna, ho avuto modo di scoprire che insieme al regista e a don Egidio Viganò, la città di Treviglio ha conferito la cittadinanza onoraria anche a Silvia Baraldini. Sarei interessato a scoprire i motivi per i quali la signora Baraldini è diventata protagonista della nostra città: cosa ne dice di un articolo sul prossimo numero, magari con il contributo della consigliera comunale Ariella Borghi che ne fu la promotrice? Grazie e complimenti per il vostro mensile. (f. e.) Nell’attesa di ricevere la risposta della prof. Ariella Borghi, aiutiamo i lettori a ricostruire la vicenda attraverso la copiosa cronaca. Per esempio la notizia della revoca della cittadinanza votata a gran maggioranza a Luino, piuttosto che la cronaca di Fidenza, dove si evidenzia che neppure lì è stato difficile revocare l’onorificenza all’ex attivista dei Black Phanter Party Silvia Baraldini. La cittadina benemerita venne condannata nel 1984 -negli Usa- a 43 anni di carcere per concorso in evasione, aver partecipato a rapine a banche e furgoni portavalori, per complicità nell’assassinio di due poliziotti e una guardia giurata. Forse non tutti ricordano che nell’agosto del 1999 l’allora ministro della giustizia italiana, Oliviero Diliberto, accorse in aeroporto a prelevarla con un auto blu. Nel 1997, trenta amministrazioni di sinistra in Italia, Treviglio compresa, approvavano una mozione che aveva l’intento di conferire la “cittadinanza onoraria” alla Baraldini; questo per lanciare una campagna “umanitaria” nei confronti della detenuta: era gravemente malata e si richiedeva il trasferimento in Italia per completare la sua ormai breve vita terrena. Breve vita che si sta per fortuna prolungando, forse grazie alla libertà ottenuta. Revocare la cittadinanza a Treviglio? Sarebbe il minimo, ma non ci conti. il direttore

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Caro direttore, permettimi di inaugurare la rubrica delle lettere de “la tribuna” con un aneddoto postale. Entrare in un ufficio postale ormai é fonte di sorprese. Che poi chiamarle “Poste” é termine desueto. Meglio sarebbe definirle “Gran Bazar” stante la molteplicità di oggetti messi in vendita. Oltre a ciò le Poste si piccano di agire come banche, ...peccato che (spesso) le scimmiottino in modo maldestro. Sarà colpa della burocrazia borbonica di cui sono ancora impregnate ma tant’é che é meglio prepararsi a file interminabili e a firmare decine di fogli di dichiarazione per privacy, antiriciclaggio ed altro prima di lasciare gli sportelli anche per operazioni all’apparenza banali. Ci si trova poi, come mi é successo , in situazioni che sono da “Teatro dell’assurdo” o Kafkiani. Ecco in breve cosa mi é capitato nei giorni scorsi. Mi serviva una carta prepagata perché quella in mio possesso era in scadenza a giorni. Oltre ai soliti documenti (carta identità, codice fiscale o meglio tessera sanitaria regionale), e fin qui niente da eccepire, mi viene chiesta la mia attuale attività. “Pensionato” rispondo. “Da quanti anni?” A che serve, penso tra me e me ma se pur un po’ nervoso rispondo “da 12 anni” . E lei prosegue: “Che lavoro faceva?”, “E’ importante?” le chiedo. “Me lo richiede il programma” Per non dare risposte complicate la liquido con un “Impiegato” Ma non é finita. “Il nome della ditta dove lavorava?”. Ora mi domando: non stavo aprendo un c/c o chiedendo un prestito, ma solo una volgarissima carta prepagata. Cosa cavolo centra la ditta dove lavoravo anni fa? Non gli ho risposto in malo modo perché sono una persona educata, ma la stavo mandando all’inferno e rinunciare alla carta, quando forse intuendo il mio stato d’animo ha pensato bene di dirmi : “non fa nulla, ci penso io”! Questa é la posta 2015 lanciata nel futuro! Ah dimenticavo, la Posta ha come compiti la consegna della corrispondenza, magari in ritardo, ...ma arriva. Luciano Pescali

Il Comune sulla sicurezza latita?

Gent, direttore, ho visto sul primo numero della Nuova Tribuna che ha dedicato ampio spazio all’emergenza ladri, così ho seguito anche su Facebook i siti come Ladri a Treviglio e la cronaca relativa agli incontri tra popolazione e amministratori pubblici. Ho però constatato che nella l’amministrazione trevigliese é restia a sfruttare quanti vogliono organizzarsi per suppotare la Polizia e i Carabinieri. Concorda? Patrizia Bellini Gentile sig. ra Bellini, come ho avuto modo di spiegarle a voce quando mi ha anticipato i contenuti della lettera, mancando i partiti strutturati di un tempo gli amministratori sono soli con i loro impegni. Nello specifico l’assessore trevigliese, incaricato del problema sicurezza Juri Imeri, ha una moltitudine di incarichi, un lavoro e una vita privata. Comunque non mi pare sia satato assente, forse avrebbe dovuto impegnarsi di più. “Dovrebbe farsi aiutare”, mi diceva lei al telefono signora Patrizia, “delegare qualcuno”. E’ un problema che noi abbiamo giusto suggerito a tutti gli amministratori, proprio sul numero di febbraio, quindi ci auguriamo che si abbia la lungimiranza di capire che la giornata è di 24 ore, di cui utili 12 o 13. E’ però sbagliato affrontare l’argomento in termini moralistici, puntando l’indice contro i singoli politici. Il problema, non ci stancheremo mai di dirlo, è strutturale e conseguente alla distruzione dei partiti democratici operata tra il 1992 e il 1993. Per capirci, se gli eletti non hanno più riferimenti o obblighi con una struttura di partito vera, è evidente che accumuleranno incarichi e non rinunceranno mai ad essi. Cadesse il mondo. Insomma, o si ricostruiscono i partiti obbligandoli a presentare uno statuto democratico vero, o la situazione peggiorerà sempre di più. il direttore Inviare lettere a: fabbrucci@gmail.com Marzo 2015 - la nuova tribuna - 63


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