albero DEGLI zoccoli
alvise biffi
Gli scatti inediti e il dietro le quinte del film, svelati da Enrico Leoni, aiuto di Olmi
Presidente Piccole Imprese: il futuro di Treviglio è nell’ hitech, nella tecnologia
EURO 2,00
N° 4 - Aprile 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda
Economia:
segnali positivi dopo la crisi
FORO DI BOARIO FE ND E LA : PE SC ZZONI ELTA
Siamo in una posizione strategica, ma dobbiamo saper cogliere l’attimo
Aprile 2015 - la nuova tribuna - 1
l’Editoriale
Come i pellerossa, barattiamo l’oro con specchietti e perline di Roberto Fabbrucci
L’assenza di politica sta portandoci a diventare un territorio indiano da conquistare. Persino il sindaco Beppe Pezzoni, così un rappresentante delle minoranza consigliare come Luigi Minuti, sono stati lasciati soli a difendere il collegamento strategico tra Bergamo e Treviglio
L
a gente di Treviglio e Gera d’Adda, come tutti i popoli, si porta addosso pregi e difetti dei propri padri, che generazione dopo generazione, stratificano il proprio contributo genetico sul Dna dei figli. Ovvero il carattere, la percezione delle cose, il gusto, la reattività e il coraggio, la moderazione o l’eccesso. Il carattere dei popoli di confine, come quello della nostra pianura per millenni impegnati a difendersi dagli eserciti e dai briganti, alla fine ha costruito una società e una mentalità spiccatamente cauta
e difensiva, che si unisce chiudendosi all’interno delle mura, quindi molto orientata sulla propria comunità e non sempre sensibile al resto del territorio, persino a quello confinante. Così abbiamo la contraddizione di avere aziende prime nel mondo, un tessuto produttivo valutato tra i primi tre d’Europa per qualità e concentrazione in un’area così strutturata, ma come popolo non sappiamo stare insieme davvero. E’ un tormentone che abbiamo cominciato a leggere sui Giorni di Treviglio negli anni ’60, poi sul Popolo Cattolico, lo abbiamo scritto sulla vecchia Tribuna, ma alla fine il nocciolo del problema rimane sempre lì. Si litiga in politica, si litiga nelle associazioni, tanto che da una ne nascono tre o quattro, si litiga nei comitati di quartiere e si litiga tra paesi confinanti. Accade ovunque, meno però nelle valli, nelle isole o nelle città, questo perché storicamente i propri abitanti sono concentrati sulla priorità di difendere i propri confini (ben definiti) su aree molto più ampie, quindi costretti a mediare con i vicini per unirsi e salvarsi. Ora però, anche se non siamo gente delle valli, è arrivato il momento nel quale ci dobbiamo dare una
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mossa, almeno per i nostri figli e nipoti, che non è detto potranno godere del benessere che abbiamo vissuto, probabilmente perché al momento giusto -oggi- non abbiamo capito di essere immersi nell’oro, tanto da barattarlo con i primi che passano con perline di vetro e specchietti. Questo è quanto emerge dal silenzio dei partiti di fronte all’allarme lanciato da Beppe Pezzoni e Luigi Minuti, lo scorso mese, dalle pagine de “la nuova tribuna”. Silenzio endemico da decenni, che lascia il territorio privo di rappresentanza nei luoghi che contano, persino nei direttivi delle associazioni provinciali di categoria e in qualunque organo di rappresentanza conti qualcosa fuori dai confini comunali. Siamo diventati un territorio indiano da conquistare, senza neppure un pellirossa che esca dalla tenda a dare un’occhiata, o smetta di cacciare il bisonte un attimo, almeno per capire che gli sta succedendo. Siamo così tutti chiusi nel nostro piccolo mondo antico, d’essere convinti che vendere un prodotto in internet sia sufficiente per far parte dei cinque continenti. In realtà Bergamo e il resto della Provincia stanno eliminando ogni possibilità che i cittadini di quest’area di Gera d’Adda -per loro storicamente estranea- siano in qualche modo riconoscibili. E che fanno quasi tutti i politici? Di fronte all’espropriazione del ruolo di rappresentanza della nostra terra, quindi della capacità economica di farsi valere e di migliorare le condizioni della propria gente, molti di loro sono impegnati in battaglie epocali per prepararsi ad avere migliore visibilità nelle elezioni amministrative del 2016. Ovvero conquistare un posto in consiglio comunale tanto per esserci, senza capire che stanno vivendo una vita parallela assolutamente estranea alla grande maggioranza della popolazione. Forse sarebbe opportuno mostrare dei contenuti, un programma, dei progetti, una visione del futuro, altrimenti a che serve discutere e polemizzare. Speriamo. Ah, sì la foto, …che c’entra la foto? Rappresenta un’orchestrina, quella dei ferrovieri inizio anni ’40, uniti in un sol uomo attorno al capostazione, Antonio Serbolisca, per far bella figura -anche nell’abbigliamento dignitoso- suonando insieme. E’ anche simbolico il luogo, proprio a ridosso del primo binario della Stazione Centrale, un po’ come dire: “Noi siamo di Treviglio, siamo qui nella nostra stazione, ma devono vederci tutti quelli che passano e dobbiamo farci onore”. Ecco, iniziamo a imparare dai nonni a suonare bene e anche per gli altri, non solo per noi stessi, avremo più soddisfazione e diverremo più maturi , ma anche più ricchi. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 3
il Sommario APERTURE E COMMENTI 6 - Treviglio/Dibattito politico: “La Stazione FS è davvero strategica”, “Treviglio ha belle carte da giocare”, (Roberto Fabbrucci ed Ezio Bordoni); “Un bricocenter deve stare in periferia”, (Laura Severgnini); “L’opposizione del Comitato di Quartiere Est”; “Il sindaco di Treviglio Beppe Pezzoni risponde”.
POLEMICHE/BERGAMO MATRIGNA 10 - “Rassegna stampa degli scontri tra Bergamo e Treviglio dal 1891”, (Carmen Taborelli);
BANCHE ED ECONOMIA LOCALE 12 - “Buone nuove dopo la lunga crisi”, intervista al Presidente della Bcc Giovanni Grazioli e al direttore territoriale Marco Carlo Palazzolo; “Come gestire i risparmi”; “Finanziamenti a tasso zero per i condomini” (Cristina Signorelli e Roberto Fabbrucci); 14 - Intervista ad Alvise Biffi, “Il futuro di Treviglio è nell’hi-tech”, (Giorgio Valilati);
TREVIGLIO/INFRASTRUTTURE 16 - “Gli onnivori digitali”, “Per vedere la Tv ci vorrà la fibra ottica”, (Fabio Erri);
AZIENDE D’ECCELLENZA 18- “Piuma d’Oro, non solo Chiacchiere”, intervista a Federico e Fulvio Pizzoccheri(Lucietta Zanda); 20- “Scarpe fatte a mano che vanno a ruba”, intervista a Emanuele Manenti (Alessandro Prada); “L’arte di ridare vita a pezzi di storia”, incontro con Domenico e Giovanni Pepe (Ivan Scelsa);
HOBBY E TECNOLOGIA 22 - “Incontro con l’incredibile Franco Ferla”, (Enio Dozzi);
NEGOZI STORICI 23 - “Gelmi c’era già tanto tempo fa”, intervista a Silvio Gelmi” (Lucietta Zanda);
PERSONAGGI E BENEMERENZE 25 - “Beppe Facchetti: 50 anni di giornalismo”, (Chiara Severgnini);
TREVIGLIO/ISTITUTO OBERDAN 26 - Oberdan: “Un albero radicato che fiorisce”, intervista a Gloria Bertolini, (Maria Palchetti Mazza); 27 - “Con le regole in america non si scherza” (Silvia Martelli);
TREVIGLIO LIBRI 28 - “Un libro pr capire
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l’adolescenza”, intervista a Silvia Albonetti e Laura Rossoni, (Daniela Invernizzi); 30 - “I gruppi di lettura”, “Il vetro, la polvere e la lanterna” intervista a Giorgio Corvi, (Daniela Invernizzi);
TREVIGLIO CELEBRAZIONI 31 – Croce Rossa “L’orgoglio di una scelta secolare”, (Marco Carminati);
SPETTACOLO/TEATRO E MUSICA 32 - “Tae, quando il teatro è una scommessa” (Silvia Giardina); Concorsi internazionali: “Dedicato al maestro Bruno Bettinelli”, (Silvia Bianchera Bettinelli); “La filarmonica di Bohemia a Treviglio” (Hana Budisova); ”36 - “L’Icat e il definitivo successo nazionale”, (Tienno Pini); 38 - “Emanuele e la musica in corpo”, (Anna Fresia); Musei: “La bellissima vergine con bambino”,(Lavinia Galli Machero);
CASIRATE/ASSOCIAZIONI 40 - Casirate: “Da Facebook nuovo attivismo”, (Michela Colombo);
TREVIGLIO/PERSONAGGI E STORIE 41 - “Bergamini e le belle grotte di Castellana”; “Quel partigiano che picchiò la nonna”, (Roberto Fabbrucci);
CARAVAGGIO/COSE DA VEDERE 44 - “il Fontanile Brancaleone e la rana Lataste”; (Giancarlo Maretta e Gianni Testa);
CINEMA/L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI 46 - Immagine inedite: “Il dietro le quinte raccontato da Enrico Leoni”, (Ivan Scelsa);
STORIE E LEGGENDE 50 - Tarantasio: “Il mostro della Gera d’Adda”, (Fabio Conti); 52 - “L’eroica storia di Francesco Maggioni”, (Carmen Taborelli); “Da Caravaggio gli scaldarancio”, (Carmen Taborelli); 54 - Angelo Polloni, una vita in bicicletta”, (Ezio Zanenga); 55 - “Quando il vino e l’uva erano buoni” (Giorgio Vailati); 57 - “L’Atlantic giocattoli non si dimentica”, (Marco Menghini);
61 - LETTERE & COMMENTI
é in edicola ogni secondo sabato del mese
Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 Nuova Edizione Anno 1 - n° 4 - Aprile 2015 EDITORE “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@nuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@nuovatribuna.it Mobile 335 7105450 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@nuovatribuna.it Redazione Hana Budišová Colombo, Michela Colombo, Anna Fresia, Silvia Giardina, Daniela Invernizzi, Daria Locatelli,Silvia Martelli, Maria Palchetti Mazza, Cristina Ronchi, Cristina Signorelli, Chiara Severgnini,Carmen Taborelli, Lucietta Zanda, Marco Carminati, Fabio Erri, Beppe Facchetti, Marco Ferri, Paolo Furia, Luciano Pescali, Stefano Pini, Alessandro Prada, Ivan Scelsa, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Ezio Zanenga Hanno collaborato Enrico Appiani, Silvia Bianchera Bettinelli, Ezio Bordoni, Laura Borghi, Fabio Conti, Andrea Donghi, Ennio Dozzi, Giulio Ferri, Lavinia Galli Machero, Giancarlo Maretta, Mauro Menghini, Luigi Minuti, Maurizio Monzio Compagnoni, Virginio Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Sacha Parimbelli, Franco Pellaschiar, Tienno Pini, Franca Tarantino, Andea Ronchi, Valentina Villa, Romano Zacchetti Aprile 2015 - la nuova tribuna - 5
Treviglio/Dibattito
Un bricocenter,
meglio se in periferia a cura di Roberto Fabbrucci
Secondo Laura Severgnini, esperta di grande distribuzione, l’impatto sulla viabilità e l’urbanistica sarebbe pesantissimo. Perplessità anche sul prezzo, che ritiene inadeguato
La Stazione FS è
davvero strategica!
Il Comitato Città dell’Adda e un’esperta di grandi centri commerciali esprimono le loro opinioni riguardo ad alcune scelte urbanistiche Trevigliesi. A pagina nove la risposta del sindaco Beppe Pezzoni
F
in dal primo numero abbiamo delineato la nostra linea editoriale fissando tre punti: 1) mettere in evidenza le eccellenze, sia quelle artistiche e architettoniche, che naturalistiche, associative, istituzionali e imprenditoriali, per contribuire a mettere alle spalle il pessimismo e osservare il bicchiere mezzo pieno; 2) recuperare la storia locale, anche minima, per rafforzare l’amore per la propria terra e l’identità comune; 3) mettere a disposizione della città delle proposte riguardo al futuro del territorio, questo per creare un dibattito tra amministratori e cittadini che aiuti a costruire le scelte con una visione più completa e consapevole possibile. Con questi propositi, senza voler entrare nell’arena, sottoponiamo al Sindaco di Treviglio Giuseppe Pezzoni due opinioni su temi caldi come la vendita del ForoBoario e la destinazione ad area fieristica del terreno a sud della Stazione Centrale nei pressi della Bonelli. Le opinioni sono quella di Ezio Bordoni, urbanista del Comitato Città dell’Adda, quella di Laura Severgnini, esperta di grandi centri commerciali, poi l’intervento del Comitato di Quartiere Est attraverso un comunicato. Il Sindaco, prof. Beppe Pezzoni, che ringraziamo, ha aderito al nostro invito rispondendo direttamente alle opinioni da noi raccolte, vedi a pagina nove. il direttore
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Treviglio ha belle carte da giocare. Non sbagliamo...
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reviglio da sempre segnalata come “importante snodo ferroviario” oggi potrebbe essere chiamata “strategico snodo intermodale al centro della Lombardia”. E, aggiungiamo noi, alla confluenza di importanti direttrici non solo regionali ma internazionali, luogo ideale per l’ interscambio tra gomma e rotaia e per una mobilità dolce e compatibile. Il tutto a condizione che vengano completate le connessioni veloci con A4 ed A1 (asse Bergamo-Treviglio-Lodi), le connessioni su rotaia con gli aeroporti di Linate ed Orio al Serio e che Treviglio si attrezzi per godere a pieno delle potenzialità create. Oggi la mobilità non è più un optional o un privilegio, ma è una richiesta imprescindibile legata al modo di vivere, al modo di usufruire dei beni e dei servizi del territorio. Oggi la mobilità è un indicatore della qualità della vita, al pari della connettività multimediale. Sono collegato con tutto, posso accedere a tutto e andare ovunque Se le cose stanno così Treviglio e la sua zona sono in pole-position per offrire questo nuovo modello di vita e la Stazione Centrale è il fulcro delle attività deputate a dare questo valore aggiunto, ma questo fulcro deve essere valorizzato e potenziato con una serie di interventi cui ora accenniamo.
Una tangenziale sud tra l’Ospedale e via Calvenzano
E’ necessario il completamento della tangenziale sud che faccia da canale di raccolta del traffico proveniente dall’hinterland e destinato alla stazione, in modo da evitare l’attraversamento di Treviglio. Il percorso è quasi del tutto esistente, manca solo il tratto tra via Calvenzano e la zona Ospedale. Qui va reinventato l’aggancio alla SS11 reso impossibile dai lavori progettati da TAV, ma si può ovviare con un innesto più a nord.
Aumentare i parcheggi a sud della Stazione
Bisogna ampliare i posti auto a sud della stazione anche con strutture multipiano e destinarli agli utenti provenienti da fuori Treviglio. In un recente colloquio con amministratori di Crema mi son sentito dire: “tutto il mondo passa da Treviglio ma noi non riusciamo a salirci”.
E’ evidente che potenziare i parcheggi per non residenti non può essere compito della sola Treviglio: vanno coinvolti gli altri Comuni, le Province, Trenitalia, Trenord, la Metropolitana Milanese, perché Treviglio è la porta est di Milano.
Parcheggi Turro e di via Veneto solo ai trevigliesi
Non basta deviare il traffico sulla tangenziale sud, bisogna riservare ai residenti i parcheggi Turro e di via Vittorio Veneto, utilizzando il sistema automatico di rilevamento delle targhe oggi in uso in molte città. In questo modo si valorizza lo status di residente e si ricompensa Treviglio delle spese che sostiene nell’offrire servizi.
Stazione Centrale, centro di sviluppo di Treviglio e zona Non dobbiamo pensare che la stazione sia solo un luogo anonimo messo nel nulla, dove salire e scendere da un treno. Per la facilità di connessione con la Lombardia e Milano, i servizi di cui può disporre (banda larga, servizi cittadini...), la qualità della vita e il contesto urbano, Treviglio potrebbe veramente attirare una serie di nuove attività, che chiamiamo new-economy e che costituiscono la miglior possibilità di sviluppo del territorio. Inutile dire che il progetto di una Fiera costosa e poco utilizzata nell’arco dell’anno, va in direzione contraria allo scenario che abbiamo tracciato, non fosse altro che per lo spazio che andrebbe ad occupare. Parimenti l’ipotesi di utilizzo di ForoBoario per una struttura commerciale -molto impattante- su un nodo già affaticato per il traffico, va in direzione opposta agli obiettivi che abbiamo esposto. Il futuro di Treviglio e della sua zona può essere molto interessante, ci sono carte da giocare che nessun’altro ha, ma bisogna che siano giocate velocemente e nel modo giusto.
E
’ compatibile l’insediamento di un Bricocenter nell’area di Foro Boario? Una domanda che abbiamo posto a Laura Severgnini, esperta di grande distribuzione e trevigliese, quindi perfettamente consapevole della situazione urbanistica e viabile dell’area di viale Merisio. Vive a Milano da trent’anni, ma ogni fine settimana ritorna con il marito a godersi Treviglio nella sua casa di via Cavallotti. L’intervista è fatta a distanza, infatti, la nostra interlocutrice si trova per lavoro in estremo oriente. Chiediamo qualcosa di più sulle sue esperienze di lavoro nei gruppi come la Rinascente, Auchan, Coop-Ipercoop, Esselunga, Carrefour, Brico, Leroy Merlir, Ikea, etc. etc. “Mi sono occupata di strategia d’impresa e di grande distribuzione (commercio-retailer), nella qualità di dirigente dei più grandi gruppi, sia nazionali che internazionali”. - Già dal primo colloquio telefonico, aveva espresso il suo stupore, quindi sappiamo che è totalmente contraria all’idea del Bricocenter in quel luogo. “Le notizie che mi giungono da Treviglio riguardo alla vendita dell’area del Foro Boario, mi hanno lasciata esterrefatta. Infatti,
trovo quantomeno ‘bizzarra’ la decisione di vendere un’importante superficie di proprietà comunale (ho letto che parliamo di circa 12.700 mq) in una zona decisamente centrale e trafficata, quale quella dell’ex mercato del bestiame- per farne un Bricocenter”. - Certamente, ma Treviglio e zona hanno necessità di un centro di distribuzione importante dedicato a questo tipo di prodotti! “Lo confermo, nella zona c’è necessità di un vero Bricocenter, perché le realtà ora presenti sono modeste, sia in termini di dimensioni che di offerta proposta, ma il problema è il luogo. Mi permetta di chiarire il concetto evidenziando alcuni principi base riguardo questi grandi centri di distribuzione, augurandomi che siano utili e prese in considerazione dall’Amministrazione Pubblica prima di prendere decisioni così importanti. Questi retailers suddividono gli ampi spazi secondo proporzioni precise, tra aree dedicate alla vendita, parcheggi e stoccaggio. Infatti, essendo grandissime ‘macchine commerciali’, per sopravvivere devono calcolare l’investimento e i costi di gestione al centesimo. E l’investimento sta in piedi se possono partire da un costo molto basso di
Ezio Bordoni (Comitato Città dell’Adda) Aprile 2015 - la nuova tribuna - 7
Treviglio/Dibattito politico-amministrativo
Sindaco: “Noi ci
mettiamo la faccia”
L’opposizione del Comitato di Quartiere
I
l consiglio comunale del 16/03/2015 ha decretato che l’amministrazione è pronta ad alienare l’area per concedere a Ossidiana s.r.l. (società legata alla Coop) l’area Foro Boario secondo le condizione presentate nella manifestazione d’interesse. Come Comitato di Quartiere Est (Conventino, Bollone e San Zeno) ci siamo da sempre espressi contrari all’utilizzo di quest’area per interessi privati, questo per il semplice fatto che la zona in cui risiede l’area presenta grandi criticità di mobilità e sicurezza che, con un progetto privato, si aggraverebbero. Per di più il nostro malcontento deriva anche dal fatto che l’area in questione è l’ultima risorsa pubblica del nostro quartiere e potrebbe essere usata per le necessità dei residenti (a questo proposito abbiamo protocollato delle precise richieste, a cui il sindaco però non ha ancora risposto). Per il sopracitato consiglio comunale, il Comitato Est ha deciso di raccogliere, a sostegno dell’interpellanza delle minoranze, sostenuta anche da FI, delle firme dei Trevigliesi per una petizione popolare che mirava alla non-alienazione del PGT. In due giorni e con il “preavviso” (comunicazione tramite tweet del Sindaco, vista per caso fortuito) di sole due settimane il comitato è riuscito ad organizzarsi e a raccogliere ben 800 firme a favore della sua petizione. Siamo tutt’ora in attesa della risposta (30 giorni di tempo limite da regolamento). Ora sembra che le trattative siano iniziate e che l’area sarà venduta. Ciò nonostante abbiamo compreso che il PD ha avanzato
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ipotesi di inaccettabilità del contratto e ancora sono state formulate tesi sulla questione “sovrintendenza” per gli edifici storici. Come comitato ci interesseremo di queste tesi e le sosterremo se troveranno fondamento e terremo aperto il dialogo con le attività commerciali del nostro quartiere e con il Brico già presente a Treviglio (Canevisio) poiché la città risentirebbe delle ripercussioni sulle loro attività (senza contare la possibilità che vengano persi molti posti di lavoro a causa della concorrenza). Detto questo una piccola nota finale: Siamo molto arrabbiati col sindaco per la sua mancanza di considerazione e la sua chiusura. Nonostante lo spirito iniziale, alla formazione del nostro comitato, non ha voluto mantenere l’atmosfera collaborativa che abbiamo offerto e non ha rispettato l’impegno (oltre che verbale con noi, di mandato e quindi con la cittadinanza) a dialogare coi cittadini, per di più su questioni così radicali. Lo stesso discorso può essere fatto verso i consiglieri comunali che mai hanno difeso la loro scelta di vendita dell’area, ma si sono limitati a votare senza dare ragioni esplicite. È un comportamento che consideriamo più che inappropriato per degli amministratori. Al tutto si aggiunge la beffa del singolo voto di differenza in consiglio comunale. Ci poniamo dunque la seguente domanda: “quante voci cittadine servono per interagire con l’attuale amministrazione e far valere l’interesse comune?” Comitato Quartiere Est
acquisto del terreno e da un altrettanto basso costo di costruzione (da capannoni-strutture industriali). Poi devono creare grande traffico, ovvero un importante flusso di persone, elevati volumi di vendita, grandi fatturati, alta rotazione del prodotto, con costanti e continui rifornimenti”. -A parte il costo dell’area, che non riesco a valutare se basso o alto, mi sta dicendo che la struttura sarà enorme, così il traffico dei clienti potenziali e quello dei tir che dovranno rifornire il bricocenter? “Esattamente questo, infatti, proprio per le loro caratteristiche (sia economiche che logistiche), si scelgono aree periferiche fuori dall’insediamento urbano, mai all’interno delle prime circonvallazioni e sempre vicino ad arterie importanti quali autostrade o tangenziali. A maggior ragione un brico, che non vende prodotti di prima necessità, ma genera acquisti saltuari e programmati, quindi la non centralità della location va benissimo, giacché il consumatore, anche per la voluminosità della merce, ha necessità di arrivarci in auto”. -Quando le ho preannunciato l’intervista si è dimostrata molto preoccupata di questa scelta “Pensare ad una ‘macchina’ così, in una zona centrale di una cittadina come Treviglio, mi lascia basita e mi pone degli interrogativi: prima di tutto se il prezzo a cui si vuole vendere l’area non sia troppo basso, quindi troppo appetibile. Infatti, questi centri di distribuzione, solitamente non si possono permettere i costi di mercato in una zona così centrale e appetibile. Poi penso a tutti i problemi che potrà provocare in termini di traffico e di viabilità, fatto che costringerà sicuramente il Comune a correre ai ripari, inventandosi rimedi. Quindi nuove opere pubbliche, nuovi costi ed investimenti. Poi da trevigliese, pensando a quella collocazione, sono anche preoccupata per la trasformazione estetica di quell’area, basterebbe visitare la ‘meraviglia’ e ‘magnificenza’ architettonica di un Brico center qualunque per immaginare il futuro di Foro Boario”.
Il sindaco di Treviglio Beppe Pezzoni risponde “in diretta” alle critiche riguardo la vendita di Foro Boario e il trasferimento a sud della ferrovia Area Fiera. Un accenno alla scelta del parcheggio in piazza Setti
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reviglio - «Conoscere per deliberare»; è dalle Prediche inutili di Luigi Einaudi che è ricavabile questo aforisma, tanto datato quanto attuale. Che vale, a mio avviso, anche a Treviglio. In questi mesi di anticipo della campagna elettorale, che qualche minoranza non ha smesso di cavalcare fin dal giorno successivo la sua sonora sconfitta nel maggio 2011, tante parole in libertà sono state dette o scritte sugli interventi che questa Amministrazione ha in corso di realizzazione. Come è possibile, ad esempio, parlare di “svendita” di Foro Boario, dato che è proprio grazie alla scelta di questa Amministrazione, che ne ha mutato la destinazione urbanistica da area a standard (ai costi di acquisto bonario, in corso per la nuova area fiera, stimabile circa 500.000 euro) ad area residenziale e commerciale che la gara ha portato ad un’offerta di oltre 4.300.000 euro? Nove volte il valore iniziale e senza, altra bugia ricorrente, la paventata realizzazione di una grande struttura di vendita. I Comuni, in Lombardia, non possono autonomamente definire aree con questa destinazione; abbiamo pensato, per Foro Boario, ad una media struttura di vendita, che arriva al massimo ai 2.500 metri quadrati, oltre ai quali è necessaria un’autorizzazione regionale. Che, vorrei fosse chiaro, non è stata chiesta da Ossidiana, società della COOP Lombardia interessata a realizzare una propria struttura, così come non è stata chiesta alcuna variante urbanistica. Il Piano delle Regole era già in fase di revisione e, stanti i pessimi risultati che la precedente impostazione ha ottenuto, ci eravamo impegnati a modificare, recuperando per quanto possibile i parametri del previgente piano regolatore generale, che aveva garantito a Treviglio uno sviluppo tutto sommato buono (gli episodi più contestati sono sempre stati frutto di approvazioni in variante…). C’è chi già sa che ci sarà un prefabbricato bianco, c’è chi promette la restituzione alla Coop delle tessere di socio; il secondo poi ritira la provocazione, il primo non ha visto, perché ancora non è stata depositata, la proposta di piano attuativo. Difficile contrastare questo genere di interventi; come è difficile
prendere posizione su chi si lancia nella critica di questa scelta e, non proponendo soluzioni alternative praticabili, lascia irrisolta la questione. Io continuo a sostenere la bontà di una scelta che realizza un’area per le fiere e le feste, ma utilizzabile anche come posteggio, a sud della stazione centrale, meglio collegata alla Città grazie alla realizzazione e messa in servizio di interventi attesi da anni, finanziati anche da altri Enti, ma che “guarda caso”, arrivano a compimento in questi anni, io credo anche grazie all’azione di pressione operata da questa Amministrazione. Per la nuova area fiera impiegheremo le risorse derivate dall’alienazione di Foro Boario; lì ne abbiamo quasi decuplicato il valore, per la nuova fiera quasi raddoppieremo le superfici disponibili. E garantiremo parcheggi, accessibilità e contesto adeguato. Così come garantiremo all’AUSER, perché ci siamo impegnati anche con loro, una sede operativa, senza alcuna soluzione di continuità, perché il loro servizio possa continuare a beneficio della intera Città. L’avevamo già detto e scritto nel bando pubblicato nel 2012; teniamo fede anche oggi agli impegni che ci siamo
By: Enrico Appiani
di Beppe Pezzoni
presi. Ecco, Direttore, probabilmente è questo che sta dando un po’ di fastidio; in tempi di grande crisi stiamo riuscendo a rispettare la parola data e portiamo a termine opere attese da tempo o di cui si parla da anni. Vale, ad esempio, per il parcheggio di piazza Setti. P rocederemo come deliberato, facendo fare l’investimento a una società totalmente partecipata dal Comune. Fino ad oggi tutti i progetti vedevano come protagonista un privato verso il quale convogliare le risorse, ed il reddito, della struttura da realizzare. Rimarremo invece nell’ambito del bilancio consolidato del Comune di Treviglio, perché Treviglio Futura SpA è al 100% del nostro comune, e porteremo a compimento un intervento che ci permetterà di completare la riqualificazione del centro storico. È di questi giorni, caro Direttore, la difesa che il Premier, accusato di voler instaurare una «democratura» (democrazia/dittatura), ha fatto dell’azione del suo Governo, rivendicando che il potere di decidere, che deriva dal voto dei cittadini (il che di sicuro è accaduto per l’elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale di Treviglio, un po’ meno per l’attuale esecutivo…) e che deve essere sottoposto a controlli, è anche «responsabilità di decidere». Responsabilità che, e mi pare tutti i cittadini ce lo riconoscano indipendentemente dalle pur differentissime posizioni politiche personali, ci stiamo sempre assumendo direttamente e mettendoci la faccia. Lasciando le polemiche agli altri. Un saluto cordiale. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 9
Treviglio/Contrasti storici
Bergamo è matrigna ora come allora? di Carmen Taborelli
I politici e le istituzioni bergamasche negano di trattare Treviglio e la Bassa come un’area di un’altra provincia. Così la nostra attenta ricercatrice ha cercato delle pezze d’appoggio, ma ci sono torti anche nostri
P
remessa - Nell’incontro dedicato alla Brebemi a sei mesi dalla sua apertura, svoltosi presso l’auditorium della Cassa Rurale di Treviglio e organizzato dalla Bcc stessa, è emerso prepotentemente un “ fuori tema”, lo stop all’autostrada Bergamo-Treviglio del presidente della Provincia Matteo Rossi e i vari mal di pancia trasversali bergamaschi. Il tema della tavola rotonda doveva essere il marketing territoriale, un argomento che sollecitiamo dal 2000, ma è evidente che il flusso sulla A35 e la soluzione della viabilità lombarda grazie l’Ipb, era un argomento più pressante e ha monopolizzato il dibattito. Insomma, a parte l’assessore Regionale alle Infrastrutture Alessandro Sorte, che ha stretto un’alleanza di fatto tra Forza Italia e il Pd di Matteo Rossi, già prima della sua elezione a presidente della Provincia, il contrasto che si è evidenziato è quello storico tra quanti vivono sopra o sotto il Fosso Bergamasco, l’antico confine della Repubblica Serenissima di Venezia. Di seguito, grazie al prezioso lavoro di ricerca di Carmen Taborelli, riportiamo una serie di frizioni tra Bergamo e Treviglio, non dimenticando di segnalare ai lettori che –come dicono i nostri vecchi- per fare una croce ci vogliono due assi. Ovvero i torti non stanno mai da una sola parte. Anzi, direi che i torti sono più degli abitanti della pianura, perchè i nostri interessi non sono quelli di Bergamo e sta a noi organizzarci per difenderli. Il Direttore
Tutto iniziò per il tracciato ferroviario
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e frizioni Bergamo-Treviglio vengono da lontano; risalgono probabilmente alla prima metà del 1800, quando, il 25 febbraio 1837, venne costituita la Società per realizzare una delle più importanti linee ferroviarie italiane: la Milano-Venezia: detta Ferrovia Ferdinandea, dal nome dell’Imperatore Ferdinando I° d’Austria. Il progetto definitivo, più lineare e soprattutto economicamente più conveniente, escludeva Bergamo a causa della sua posizione geografica; favoriva, invece, Treviglio posta lungo la Imperial Regia Strada Postale Lombardo-Veneta. Non accettando di restare fuori dalla nuova corrente di traffico, Bergamo presentò
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ripetute proteste, nel vano tentativo di anteporre la propria candidatura anche a scapito di interessi più generali. La contesa tra Bergamo e il capoluogo della Bassa si acuì quando “l’apostolo delle strade ferrate”, il trevigliese abate Carlo Cameroni, trovò dei finanziatori a favore del tracciato Milano-Venezia. Il 3 gennaio 1841 il Governo deliberò la costruzione della ferrovia con l’esecuzione del tratto Milano-Treviglio, inaugurato poi il 15 febbraio 1846. Bergamo, perdendo la partita, iniziò, in modo più o meno esplicito, una serie di contrasti che sarebbero durati anni e forse non ancora del tutto sopiti. Antagonismi, faziosità, ripicche: è quanto emerge dalla sintesi di alcune notizie tratte dalla stampa locale di allora. Notizie dalle quali traspare tra l’altro l’agire coordinato dei Comuni facenti parte del Mandamento di Treviglio. Cronaca Trevigliese del 23.5.1891
La Provincia di Bergamo e Comune di Treviglio
“Chi avesse ancora delle illusioni sui sentimenti di giustizia e di equità leonina che animano la rappresentanza provinciale in favore della nostra Treviglio, non ha che da leggere il resoconto della seduta in cui il Consiglio provinciale ha discusso la domanda del nostro Comune per un concorso della Provincia nella spesa ch’essa sostiene per la Scuola Normale. Il partito clericale in questa occasione ha messo insieme e adoperato tutte le armi per negare tutte le ragioni di convenienza, di diritto e di imparzialità, e far cadere la proposta che era pur entrata nella coscienza della maggioranza. E ci riuscì”. Cronaca Trevigliese del 27.5.1891
Il Comizio antiprovinciale
“Contro l’operato della provincia ufficiale a nostro danno, è stato deciso di tenere un comizio protesta. Ecco l’avviso: Ai cittadini del Mandamento di Treviglio – L’ultimo voto del Consiglio Provinciale che respingeva l’umile concorso di £. 800 a favore della nostra Scuola Normale, decoro della provincia, ha colmato la misura delle ingiustizie e delle partigianerie volute da quel consesso a danno di Treviglio e del suo Mandamento. Tutti i cittadini dei nostri comuni, indigna-
ti per il contegno del consiglio provinciale, costantemente avverso e incurante di quanto riguarda questa parte della provincia, gelosi dei loro interessi disconosciuti e della propria dignità offesa, sentono di protestare altamente contro una amministrazione ispirata solo a grettezze e parzialità. Per constatare tutti i torti subiti, per affermare i nostri diritti e provvedere ai mezzi perché abbiano fine queste prepotenze, sconosciute nelle altre Provincie, noi vi invitiamo ad un pubblico comizio, dove uniti nel comune interesse esprimeremo liberamente i nostri giudizi. Il comizio di terrà in Treviglio domenica 31 maggio alle ore 12 nel Teatro Sociale”. Cronaca Trevigliese del 3.6.1891
A mali estremi, estremi rimedi. Provvediamo a staccarci da Bergamo
“Comizio affollatissimo. Moltissimi sono di Caravaggio, Brignano, Calvenzano, Casirate, Misano, Arzago, Fara, Canonica e Pagazzano. Presenti parecchi sindaci e molti consiglieri comunali. “L’ultimo voto, pel quale il Consiglio Provinciale negava alla nostra Scuola Normale un concorso, non è stato che la causa determinante del comizio, e le ragioni che da tempo ci consigliavano a questa dimostrazione sono molte, recenti e antiche, sono i torti che ad ogni momento, ad ogni circostanza o per mal volere o per trascuranza le autorità provinciali hanno usato a Treviglio ed al suo Mandamento”. Dopo appassionate discussioni, i cittadini del Mandamento di Treviglio “fanno voti perché finiscano le acredini che l’amministrazione provinciale suscita e tien deste per spirito di parte nei suoi rapporti col comune e col mandamento di Treviglio; nominano una Commissione coll’incarico di studiare l’operato del Consiglio provinciale, cercando di risolvere in seguito il quesito della separazione del nostro mandamento dalla provincia di Bergamo”.
Cronaca Trevigliese del 17.8.1892
Di alcune nomine al Consiglio Provinciale
“Abbiamo già detto dell’ostracismo dato al rappresentante del nostro mandamento, il dr. Mussita, dalla Deputazione e persino dalla Commissione per la Leva. Egli, tuttoché diligente, equanime, di indole non battagliera, aveva un gran peccato da purgare. Aveva osato stigmatizzare nel seno della Deputazione alcune partigiane deliberazioni in fatto di concentrazione d’opere pie. E ne fu punito!!” Il Campanile del 14.11.1896
Elezione dei consiglieri per la Camera di Commercio della provincia di Bergamo
“…Di tutta la provincia che ha diritto a farsi rappresentare, otto posti se li è avocati Bergamo, prendendosi così la parte del leone. Treviglio, che per importanza commerciale gareggia certamente con Bergamo, non ha alla Camera di Commercio alcun rappresentante. Questo ostruzionismo dipende dall’animosità evidente che esiste fra la Bergamo clericale e Treviglio”.
che le si inflissero per il passato. Treviglio non chiede poi tanto e sarebbe onestà soddisfare le sue giuste richieste”.
Il Campanile del 16.4.1898
Il Campanile del 16.10.1897
“Da un po’ di tempo a questa parte il Prefetto non sembra punto disposto a cessare dal trovare a ridire in tutte le cose trevigliesi. Il decreto odierno si risolve in una violazione al diritto di libero pensiero. Infatti il Prefetto ordinò la cancellazione dal verbale di seduta consiliare 16 u.s. mese, di parole che stigmatizzano l’operato governativo e volle si levasse dal verbale consiliare il giudizio espresso dal Sindaco e dal consigliere Tiragallo. E così nel beato Regno d’Italia anche l’autorità governativa è insindacabile e tutte le sue castronerie ed i suoi arbitri restano sacri ed inviolabili”. Quella proposta è una voce lontana: chiara nella sua connotazione partitica e coraggiosa nel denunciare ingiustizie e dualismi. E oggi? Stando alle notizie circolanti, verrebbe da dire: “Nulla di nuovo sotto il sole”.
Bergamo sempre matrigna
“Agli ultimi del passato luglio la Camera di Commercio della provincia di Bergamo bandiva un concorso ad una borsa di studio di lire 800 per perfezionamento nel commercio. Per essere ammessi occorreva appartenere alla provincia di Bergamo e aver ottenuta la licenza di Ragioneria al Regio Istituto di Bergamo. Un allievo del Regio Istituto Tecnico di Bergamo, il sig. Giovanni Bedolini di Treviglio, consegue la migliore licenza, riportando punti eccellenti in tutte le materie, molto superiori a quelli riportati dai favoriti del concorso negli scorsi anni. Ma c’è un ma, il Bedolini appartiene all’aborrita Treviglio e la Camera di Commercio nicchia e poi finisce a non assegnare il concorso. Ma perdio! Ci si vuol proprio far perdere la pazienza?!”
Il decreto del Prefetto
Il Campanile del 21.11.1896
Elezioni Commerciali
“Torniamo sull’argomento e vi torniamo insistendo perché il corpo elettorale commerciale di Treviglio reclami giustizia facendo accettare fra i candidati per la nuova elezione almeno tre trevigliesi. Qui non si tratta di questioni di partito, è questione di interessi da tutelare e tutti gli industriali, gli esercenti devono essere concordi nel sostenere le loro ragioni. Le camere di commercio sono istituite per promuovere, rappresentare e tutelare gli interessi commerciali della provincia. Ora domandiamo: Chi rappresenta e tutela gli interessi del commercio trevigliese? Nessuno. Noi dobbiamo pagare la tassa camerale, le altre parti della provincia a goderne i vantaggi. Si riconoscano una buona volta le ragioni di Treviglio e si cerchi di riparare in parte ai torti Aprile 2015 - la nuova tribuna - 11
Gera d’Adda/Banche e territorio
Buone nuove dopo la lunga crisi
La Bcc di Treviglio e la Bpb, la loro conoscenza delle imprese e l’erogazione del credito, uno sguardo verso il futuro, forse sereno, sono alcuni degli argomenti trattati presso la sede della nostra rivista
I
n una realtà territoriale fatta di molte piccole e medie aziende, di commercianti ed artigiani, di agricoltori e famiglie che hanno vissuto in prima persona i morsi della crisi degli scorsi anni, abbiamo voluto incontrare due operatori economici molto significativi per il ruolo che svolgono sul territorio: la Banca di Credito Cooperativo di Treviglio, rappresentata dal Presidente Dott. Giovanni Grazioli e la Banca Popolare di Bergamo, rappresentata dal Direttore Territoriale, Dott. Marco Carlo Palazzolo. Come gli stessi interlocutori hanno più volte sottolineato, entrambi gli Istituti di Credito hanno un legame forte e diretto con il territorio e le forze produttive che vi operano, e si manifesta attraverso una conoscenza puntuale delle imprese, l’ascolto di chi vi lavora, e costituiscono importanti riferimenti per l’erogazione del credito in Treviglio. Durante la conversazione abbiamo esaminato i risultati conseguiti nel 2014 e delineato le previsioni per i futuri sviluppi. Giovanni Grazioli sottolinea che il 2014 ha segnato un anno positivo per BCC, la quale, dopo le perdite di bilancio maturate nel 2013 a seguito di un’operazione di pulizia di alcune posizioni come richiesto da Banca d’Italia, l’anno scorso ha chiuso la gestione in positivo, rispettando sia la politica di incremento degli accantonamenti -come prevista dall’Autorità Monetaria- sia mantenendo alto il livello degli impieghi. In particolare afferma: ”Da quando in ottobre abbiamo
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iniziato ad utilizzare il flusso di denaro della BCE, i Fondi Tltro, questo ci ha consentito di aumentare gli impieghi. Specificatamente abbiamo realizzato un’operazione molto
importante con un apposito plafond di cento milioni di euro, dei quali ottanta dedicati alle imprese e venti alle famiglie, che i nostri clienti hanno subito iniziato ad utilizzare”. Visibilmente soddisfatto dei risultati si dice Marco Palazzolo che dichiara: ”La Banca Popolare di Bergamo, banca del territorio del gruppo UBI, che garantisce un sostegno importante allo sviluppo economico del territorio, ha conseguito nell’anno 2014 l’utile netto di oltre cento quarantatre milioni, un risultato importante che conferma la capacità della Banca Popolare di costituire un faro nell’orizzonte dell’economia locale. In un contesto segnato da una grave crisi economica i segnali sono oggi positivi e si definiscono non più sulla mera speranza bensì, su fattori oggettivi che possono invertire la tendenza economica riportandola a valori positivi. Il deprezzamento dell’euro sul dollaro che favorisce le esportazioni, la diminuzione del prezzo del petrolio con conseguente diminuzione del costo dell’energia e i fondi messi a disposizione dalla Banca centrale Europea -al fine di agevolare l’erogazione del credito- sono i più importanti fattori intervenuti in questi ultimi mesi a dar stimolo alla ripresa economica. Da parte nostra, attraverso questi fondi, abbiamo erogato in questi mesi sul territorio oltre 75 milioni di euro”. Il tessuto economico in Italia è prevalentemente costituito da piccole imprese, nate e cresciute per il valore delle idee più che per un solido assetto patrimoniale, al quale si sopperisce con un forte ricorso al credito bancario. In tale circostanze ove lo sviluppo imprenditoriale è strettamente collegato all’istituto di credito, è fondamentale la presenza sul territorio di banche capaci ed interessate a finanziare i progetti, anche talvolta apparentemente visionari. La realtà di Treviglio
Come gestire i risparmi La crisi ha evidenziato la debolezza delle imprese, bravissimi nel creare il prodotto, troppo deboli sotto l’aspetto finanziario
I
momenti di grave difficoltà economica vissuti in questi anni hanno prodotto significativi cambiamenti nel comportamento dei risparmiatori, che devono assumere maggiori rischi di investimento per ottenere rendimenti soddisfacenti. La crisi finanziaria ha fatto quasi del tutto scomparire le facili rendite, un tempo con tassi a due cifre e rischi praticamente a zero. A seguito degli aggiustamenti operati dagli organismi finanziari sovra-nazionali per fronteggiare la crisi economica, oggi le emissioni di Stato hanno rendimenti quasi nulli, se non addirittura negativi. Pertanto
il piccolo risparmiatore, la cui propensione al rischio è particolarmente bassa e scarsa cultura finanziaria, si trova in difficoltà a decidere del proprio investimento. “E’ proprio in questo contesto -ci dice Marco Palazzolo, Direttore Territoriale di Banca Popolare di Bergamo- che la banca ha il compito di fare da consulente al risparmiatore spiegandogli con chiarezza quali sono i rischi e le opportunità, in base alla sua propensione a investire, quindi consigliarlo nel migliore dei modi. Questo anche attraverso l’utilizzo della piattoforma
Da sinistra: Giovanni Grazioli (Presidente della Bcc di Treviglio) e Marco Carlo Palazzolo (Direttore Territoriale della BPB-Ubi)
e dell’area limitrofa, nella quale oltre l’80% delle imprese presenti sono da considerarsi piccole per numero di addetti e fatturato, offre uno spaccato assai preciso della situazione italiana, in questo contesto la Banca di Credito Cooperativo, così la Banca Popolare di Bergamo, sono attori importanti dello sviluppo del territorio e del suo tessuto produttivo. Ciò detto, sono intervenute in questo ultimo periodo alcune modifiche normative apportate dagli Organi di Controllo italiani ed europei, e riguardano irrigidimenti nei parametri patrimoniali delle banche stesse, in particolare per le banche cooperative e le banche popolari: ovvero sono tenute a valutare le richieste di credito in misura attenta informatica di Consulenza a disposizione dei gestori di relazione. La necessità di accrescere la cultura finanziaria contraddistingue anche i piccoli imprenditori troppo concentrati sul prodotto- aggiunge Giovanni Grazioli, Presidente di Banca di Credito Cooperativo di Treviglio- in passato le più facili condizioni di accesso al credito consentivano, a molti artigiani e piccoli imprenditori, di crescere e svilupparsi occupandosi esclusivamente della produzione e vendita, considerando accessorio il requisito della gestione finanziaria”. L’attuale contesto economico ha evidenziato la debolezza di molte aziende, incapaci di gestire al meglio l’aspetto finanziario, così mentre nelle fasi di crescita gli aspetti dominanti sono legati al prodotto, nei momenti di crisi l’assetto finanziario e la capacità di generare liquidità divengono essenziali, segnando spesso il confine tra il vivere e morire dell’impresa stessa. Accade quotidianamente che anche aziende, fornite di discreti patrimoni, non sappiano far fronte ai loro impegni finanziari per mancanza di liquidità decretando alla lunga la fine delle stesse.
e talvolta molto selettiva. Ciò nonostante, è opinione comune dei nostri interlocutori, che il compito primario della banca sia di ascoltare e valutare i singoli casi, infatti ci dice Marco Palazzolo: ”L’importanza della banca del territorio è principalmente costituita dalla capacità (resa possibile da una conoscenza diretta del contesto e della persona), di valutare in forma puntuale l’imprenditore e le sue idee, sapendo leggere oltre la rappresentazione dei numeri di riferimento”. In tal, senso ribadisce Giovanni Grazioli: ”La conoscenza e l’ascolto, oltre alla professionalità, sono gli ingredienti indispensabili per discernere e comprendere dove esiste la possibilità prospettica del progetto imprenditoriale, non restando ancorati alla mera analisi dei numeri, per quanto essa sia imprescindibile in un contesto di seria valutazione dell’erogazione del credito”. È infatti innegabile che oggi in un clima fortemente deteriorato rispetto al passato. Si pensi che fino al 2007 le sofferenze,cioè i crediti che le banche vantavano nei confronti dei clienti -la cui riscossione era fortemente incerta- si attestavano al 2/4% sul totale degli impieghi, mentre oggi sono a ridosso del 10%. In questa situazione la banca non può non analizzare in modo approfondito ogni nuova concessione di credito, anche a salvaguardia dell’intero sistema economico, dove la presenza di operatori del credito solidi è la miglior garanzia di possibile sviluppo.
Un rilancio dell’edilizia dalle ristrutturazioni
Un settore importante per l’economia locale è quello immobiliare, che a seguito della grave crisi economica è stato fortemente penalizzato. Dalla nostra discussione emerge che la sua natura è di carattere prevalentemente strutturale, anziché congiunturale, diversamente da quanto accade per molti altri settori. Settori dove una ripresa della domanda sarà molto più facile ed immediata. Nell’edilizia, invece, ci si trova in presenza di un mercato degli immobili profondamente mutato rispetto ai decenni scorsi, fortemente appesantito dall’esistenza di molto invendu-
Finanziamenti a tasso zero per i condomini di Roberto Fabbrucci
Le spese di manutenzione o ristrutturazione condominiali possono essere rateizzate dai due ai cinque anni
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a Gera d’Adda è una di quelle aree che tra gli anni ’70 e ’80 ha dato una risposta molto ampia alle esigenze residenziali dell’epoca. Molte le iniziative cooperative, quasi tutte di qualità, così quelle private che a distanza di trenta o quarant’anni hanno ora necessità di manutenzione, se non addirittura di ristrutturazione. Un’esigenza che potrebbe muovere l’economia locale ma che si scontra con la crisi economica e la difficoltà dei singoli inquilini di pagare cifre di molte migliaia di euro a testa. Magari 1.000 o 1.500 euro bimestrali per un anno, rata che potrebbe diventare tra i 100 o 150 euro mensili utilizzando i finanziamenti chirografari. I condomini non devono dare alcuna garanzia gravata da ipoteca, infatti si tratta di credito chirografario, che in un periodo dai 2 a 5 anni potrà essere restituito ratealmente, mentre gli interessi saranno a carico delle aziende che attueranno i lavori. Un grande vantaggio anche per costoro, che riceveranno immediatamente il denaro dalla banca senza il rischio di ritardi e insoluti. Un’opportunità che potrebbe incentivare sia i lavori di manutenzione straordinaria come la rintonacatura delle facciate, la sistemazione dei tetti, dei balconi, degli ascensori, ecc. E potrebbe suggerire addirittura la riqualificazione generale, basti calcolare che una buona ristrutturazione energetica potrebbe far risparmiare dal 30% al 60% delle spese di riscaldamento e rinfrescamento. Ovvero molte centinaia di euro l’anno a famiglia e per sempre. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 13
Banche e territorio
Personaggi/Mondo dell’impresa
Treviglio: il suo futuro é nell’hi-tech a cura di Giorgio Vailati
to. Come abbiamo più volte evidenziato negli scorsi numeri del nostro periodico. In tale scenario una attenzione sempre crescente si concentra sulle ristrutturazioni e gli ammodernamenti degli immobili, dando luogo a un duplice vantaggio: da una parte la mancata cementificazione salvaguarda l’ambiente, dall’altra le migliorie apportate alle case esistenti comportano volumi di spesa più facilmente realizzabili dalle famiglie. Le stesse banche, come ci ha informato Grazioli, hanno messo a punto strumenti di credito finalizzato alla ristrutturazione, così BCC eroga fino a 30.000 euro a tassi particolarmente convenienti, da impiegare nell’ammodernamento delle abitazioni. Anche Palazzolo illustra uno strumento ad hoc messo a punto dalla Banca Popolare di Bergamo per i condomini -Attraverso un accordo commerciale con l’Associazione di Categoria “Harley Dikkinson” è possibile concedere finanziamenti specifici ai Condomini con durata dai 2 ai 5 anni- nei quali si intende effettuare interventi di ristrutturazione. I proprietari delle unità abitative che compongono il condominio, potranno richiedere un finanziamento di media durata (2/5 anni)per affrontare i lavori di adeguamento normativo piuttosto che energetico o semplicemente estetico dell’immobile. Infine, la ripresa del settore immobiliare può essere fortemente trainante anche per gli operatori dell’indotto, dagli artigiani alle piccole imprese ai professionisti che lavorano sul prodotto casa, e conseguentemente può rafforzare ed accelerare la ripresa in atto -oggi ancora molto debole- divenendo il motore che riporta a valori positivi il trend di crescita dell’economia. In tal senso ben si colloca l’attenzione degli istituti di credito al settore. Intervista redatta da Cristina Signorelli e condotta dal nostro direttore presso la sede de “la nuova tribuna”
14 - la nuova tribuna - Aprile 2015
Imprenditore informatico, Alvise Biffi dal 2005 è parte attiva dell’Assolombarda e attualmente Presidente dei giovani imprenditori. Tra i vari premi ricevuti, l’Ambrogino d’Oro e il San Martino d’Oro
A
lvise Biffi, classe 1978, laureato in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi, opera nell’ambito della consulenza strategica dal 1999, principalmente nel settore ICT, e nel corso degli anni oltre alle sue aziende ha curato l’avviamento commerciale per diverse startup della scena milanese. Dal 2005, inoltre, Alvise Biffi è entrato a fare parte in modo attivo di Assolombarda (L’associazione territoriale di Milano del sistema Confindustria), ricoprendo nel corso degli anni diversi incarichi in associazione, tra cui Presidente della zona Nord di Assolombarda e Presidente del gruppo Giovani Imprenditori. Oggi è Presidente Piccola Industria di Assolombarda, Vice Presidente Assolombarda e Vice Presidente Piccola Industria Confindustria a livello nazionale, con deleghe legate ai temi Startup e Semplificazione e l’incarico di rinnovare i servizi alle imprese di Assolombarda. Dal 2012 Biffi è anche consigliere della Camera di Commercio di Milano in rappresentanza dell’industria dei Servizi e dal 2013 è consigliere della Fondazione Cassa Rurale di Treviglio. Nel 2010 Biffi ha ricevuto la medaglia d’oro Cassa Rurale di Treviglio dal Presidente Gianfranco Bonacina a valle della nomina a Presidente dei Giovani Imprenditori. Non solo un premio per il risultato raggiunto ma soprattutto un impegno ad essere ambasciatore di Treviglio e dei valori di cooperazione e lavoro propri dell’istituto bancario trevigliese. Il 7 dicembre 2011 il sindaco di Milano Giuliano Pisapia gli ha conferito l’attestato di benemerenza civica “Ambrogino d’oro” per il lavoro svolto nella diffusione della cultura d’impresa e le iniziative in favore dello sviluppo economico e sociale, in particolare per i giovani, svolti per il territorio come Presidente del Gruppo Giovani
Imprenditori; il 28 febbraio 2014 il sindaco di Treviglio Giuseppe Pezzoni gli ha conferito l’attestato di benemerenza civica “San Martino d’oro” per i risultati professionali raggiunti e soprattutto per l’impegno in ambito associativo, testimoniando come la città sia vicina ai concittadini che si impegnano nella libera iniziativa volta allo sviluppo della collettività. - Chiediamo al nostro interlocutore: si può dire che il percorso fatto fino ad oggi abbia radici profonde in Treviglio? Ognuno è indissolubilmente espressione anche del contesto sociale in cui “cresce”, di conseguenza Treviglio è certamente parte di me, ho sempre vissuto qui e le basi della mia formazione sono legate a questo territorio. Non intendo solo la formazione scolastica, prima al Collegio degli Angeli e poi ai Salesiani fino alla maturità scientifica, ma proprio lo sviluppo del mio carattere: quasi tutte le mie esperienze fino ai 18 anni e le persone che hanno influenzato la mia crescita come individuo sono di Treviglio, a partire naturalmente dalla mia famiglia. Il territorio influenza il carattere? Che intende dire? Quali sono le esperienze trevigliesi che l’hanno instradata nel suo percorso professionale? Treviglio è un territorio operoso fatto di grandi lavoratori e di imprenditori. A Treviglio oggi ci sono molte industrie fiorenti, fortunatamente troppe per essere elencate, nate da radici profonde nell’agricoltura,
Alvise Biffi in alcuni scatti fatti durante manifestazioni pubbliche: sotto a sinistra con l’ex presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e il successore Giorgio Squinzi. Sotto a destra la consegna dell’Ambrogino d’Oro da parte del sindaco di Milano Giuliano Pisapia
come testimoniano i principali settori di sviluppo e l’istituto di Credito di riferimento, la Cassa Rurale. Treviglio ha anche una forte ispirazione cattolica che ha visto nelle suore Canossiane, nelle suore di Maria Bambina e nei Salesiani gli istituti di formazione di riferimento e non a caso anche la Cassa Rurale è una Banca di Credito Cooperativo, inoltre siamo ricchi di oratori ed associazioni culturali che ancora oggi sono luoghi di aggregazione importanti per la comunità. In conseguenza a questo, crescere a Treviglio, comporta un “imprinting” su due pilastri fondanti: l’etica del lavoro come strumento di realizzazione personale e una forte responsabilità sociale verso il territorio. In particolare io ho vissuto da vicino l’esperienza dei miei genitori nell’ambito imprenditoriale e sociale. Francesca Mazzetti, mia mamma, ha gestito operativamente dalla fondazione per lunghi anni la Cooperativa Insieme, ambiente in cui sono letteralmente cresciuto respirando imprenditorialità nella gestione finalizzata ad un obiettivo sociale. Imprenditorialità non tesa al profitto ma al principio
di sostenibilità economica. Esperienza che ha visto la luce ed ancora oggi è di esempio grazie alla solidarietà degli imprenditori trevigliesi e della Cassa Rurale che credono e sostengono questa impresa non “a perdere” con approccio caritatevole, ma investendo in un serio rapporto lavorativo terziarizzando alcune lavorazioni e nobilitando i lavoratori che prestano la propria manodopera. Giuseppe Biffi, mio papà, dopo un’esperienza manageriale di successo si è lanciato nella sfida imprenditoriale l’anno della mia maturità offrendomi l’opportunità di vivere i miei anni universitari completando la mia formazione con la sua esperienza, ispirandomi nelle mie scelte professionali, anche lui con una profonda attenzione al territorio avviando insieme a mia mamma e ad altri trevigliesi la comunità alloggio La Famiglia. Come mai non ha proseguito nell’azienda fondata da suo padre e come è nata l’idea di fondare un’azienda dedicata alla sicurezza informatica? Fin da piccolo avevo un’aspirazione imprenditoriale, mia mamma mi ricorda sempre che quando tornavamo a casa da scuola (elementari), all’epoca vivevamo a Badalasco, passando davanti all’ex “Mazzoleni” dove oggi c’è l’UNES le dicevo sempre che un giorno al posto di “Mazzoleni” ci sarebbe stato il mio nome e la mia azienda. Mi ricordo anche che poco più grande, in estate, con il mio migliore amico giocavamo facendo gli imprenditori, mi ricordo ancora il nome della nostra “azienda” che avevamo inciso su un cartone: “Mondo”. Ci proponevamo per consegne e commissioni in bicicletta e lavoretti di pulizia e giardinaggio… la vera scintilla però è scattata negli anni dell’università dove, ispirato dal contesto che ho appena descritto, mi sono av-
vicinato alla Junior Enterprise dell’ateneo, un’associazione studentesca con l’obiettivo di confrontarsi sul mercato per completare l’esperienza teorica della formazione universitaria con quella pratica. Ho avuto la fortuna di essere scelto come presidente dell’associazione e quindi di trovarmi a gestire un gruppo di 30 ragazzi con tanta carica e voglia di dimostrare le proprie qualità ed è stata quell’esperienza a farmi capire quale percorso seguire per realizzarmi. L’idea di Secure Network non è stata mia, ma di Stefano Zanero, carissimo amico già dai banchi delle medie, che all’epoca nel 2004 era dottorando al Politecnico di Milano e che ben conoscendo la mia aspirazione mi lanciò la sfida nell’ambito dell’information security. Non fu una decisione difficile, grazie anche all’incoraggiamento dei miei genitori lasciai il mio posto di lavoro dipendente dopo pochi mesi dalla laurea e dall’impiego e mi lanciai con Stefano nell’avventura Secure Network. Treviglio secondo lei ha le carte in regola per essere protagonista? In questo contesto Treviglio ha tutte le caratteristiche per eccellere perché la nuova geografia del lavoro è polarizzata su grandi aree metropolitane, humus per talenti e imprese innovative. Abbiamo la fortuna di essere perfettamente inseriti nell’area metropolitana di Milano che, oltre a Treviglio, abbraccia anche Bergamo, Varese e la Brianza, poi grazie alla Same abbiamo un ricco distretto meccanico e manifatturiero di piccole e medie aziende specializzate nel middle-tech. Chi oggi non guarda oltre il Campanile ragionando ancora in termini di “capitale della bassa” è in via di estinzione mentre chi saprà evolvere verso l’hi-tech, vale a dire l’Advanced manufacturing, le tecnologie informatiche, le biotecnologie, l’hi-tech del settore medico, la robotica, la scienza dei nuovi materiali e le nanotecnologie (tutti temi in cui le Università dell’aera metropolitana in cui siamo inseriti hanno eccellenze internazionali) sarà in grado di cavalcare il settore dell’innovazione, estraendo valore nei mercati internazionali per concentrarlo a Treviglio. Abbiamo una “buona mano”, bisogna giocarla bene prendendo qualche rischio! Aprile 2015 - la nuova tribuna - 15
Treviglio/Infrastrutture che mancano
Casa Futura il MUTUO CASA DEDICATO ai giovani SOCI
Gli onnivori digitali
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e nuove abitudini di consumo hanno fatto coniare i termini Multiscreen e Multidevice. Il fatto che gli apparati “connessi” - PC, tablet, smartphone e Smart TV - crescano con un tasso più elevato rispetto a tutti gli altri device ne è una chiarissima cartina al tornasole. Oggi in Italia ci sono 25 milioni di clienti che si connettono ad Internet almeno una volta al giorno e circolano 22 milioni di smartphone e 7 milioni di tablet; quasi un terzo degli italiani viene considerato un onnivoro digitale, ovvero un consumatore che possiede contemporaneamente un tablet, uno smartphone e un pc. Mentre guardano la tv, gli italiani navigano sul web (26%) leggono la propria email (22%), oppure controllano i social network (20%). Device e multitasking possono richiedere più banda, e c’è disponibilità alla spesa per una connessione più veloce: secondo lo studio “State of the Media Democracy” di Deloitte la metà del campione sarebbe disposta a pagare un prezzo maggiore per avere una velocità di connessione più elevata.
16 - la nuova tribuna - Aprile 2015
Per vedere la Tv ti
servirà la fibra ottica di Fabio Erri
Chi l’ha detto che la fibra ottica serve solo per navigare più veloci? Parliamo di banda ultralarga e di Home Entertainment, a dispetto della signora Maria che è convinta che Treviglio può farne a meno
L
a televisione, intesa come l’elettrodomestico che ormai manca solo in poche case di italiani irriducibili, è da sempre stata una delle leve più importanti dell’avanzamento tecnologico. Con la spinta dei Mondiali di Calcio del 2006 sono definitivamente spariti dalla circolazione i televisori a tubo catodico, e con quella di Apple e Samsung, che hanno fatto conoscere agli utenti la passione per i “dispositivi connessi” anche le TV, sono diventate Smart, cioè dotate di connessione ad internet. Con le Smart TV è possibile guardare senza decoder trasmissioni video che provengono dalla Rete. Rappresentano un’ulteriore moltiplicazione di canali, quasi tutti specializzati e specialistici, che aumentano la possibilità di approfondimento e intrattennimento. Ma se oggi internet è solo uno dei tre modi possibili per guardare video sulla TV, ben presto ne diventerà l’unico e l’antenna sul tetto e il decoder di Sky saranno cimeli da apprezzare la terza domenica del mese all’Antico in Via. Per vedere una Web Tivù come la locale Treviglio TV http://www.treviglio.tv - basta un PC oppure un tablet, ma
senz’altro poterla vedere sui 40 pollici del televisore comodamente seduti sul divano è tutta un’altra cosa. Come non ammettere poi che per la signora Maria, in termini di facilità di fruizione, la “vecchia” televisione batte il tablet cento a uno. Sul televisore intelligente di casa posso scegliere di vedere uno di questi canali web esattamente come sono abituato a fare con Rai e Mediaset, con contenuti registrati che posso vedere più volte e a tutte le ore –servizio on demand- o in diretta streaming, come la partita della Blu Basket o la rappresentazione della Compagnia di prosa Zanovello. Siamo in rapida evoluzione per quanto riguarda l’offerta di contenuti video online. Oltre alle webtv gratuite, esistono webtv a
pagamento: Sky On Line e Premium Play di Mediaset saranno presto affiancate dal colosso Netflix - http://www.netflix.com - e nulla sarà più come prima.
La Smart TV e la connessione internet
E’tutto oro quello che luccica? Non proprio. Non è scontato che la sensazione trasmessa dalle immagini dalla rete sia la medesima alla quale siamo abituati dal Digitale Terrestre o da Sky. Immagini sgranate e audio saltellante rivelerebbero che la velocità con il quale il contenuto arriva dalla rete fino alla TV è insufficiente. E l’imputata è una sola: l’ADSL. Abbiamo già parlato sui numeri precedenti de “la Nuova Tribuna” dei limiti della tecnologia ADSL. Il muro dei 20 Megabit al secondo, ma soprattutto la pessima qualità dell’attuale rete in rame di Telecom Italia che fa scendere di molto il limite reale da quello teorico, è un colpo da KO per la Web TV. Il segnale HD richiede almeno 10 Mbit/s di banda, mentre il segnale dell’ultimo step tecnologico che si chiama Ultra HD (o 4K) ne richiede ben 25. Per poter vedere un video 4K serve la banda ultra larga e serve la fibra ottica. E l’Ultra HD non è futuro ma è già il presente: sono 12 milioni gli schermi 4K venduti nel mondo e nel 2016 si calcola che il 60% delle televisioni vendute sarà di quarta generazione.
La TV e il digital divide
Il 4K sarà la nuova base per ridefinire il Digital Divide: chi ha la fibra vede contenuti in alta definizione e interattivi, chi non ce l’ha rimane indietro. Per questo la televisione potrebbe ancora una volta essere una leva all’avanzamento: il desiderio di vedere il campionato di calcio o la propria serie televisa preferita in altissima definizione, molto più popolare rispetto a quello di navigare veloci sui social network e Youtube, potrebbe forzare la mano a chi sta decidendo o dovrà decidere quali priorità dare agli investimenti sulla banda ultra larga.
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La presente comunicazione ha natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Per il dettaglio delle condizioni si rimanda ai fogli informativi presenti presso tutti gli sportelli e sul sito internet della banca.
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LA MIA BANCA È DIFFERENTE Aprile 2015 - la nuova tribuna - 17
Premi/Aziende d’eccellenza
Piuma d‘Oro, non solo Chiacchiere di Lucietta Zanda
Ecco un’altra delle tre aziende trevigliesi che hanno ricevuto il riconoscimento. Un’azienda di grandi dimensioni che sforna un’enorme quantità di biscotti e dolci, non solo per l’Italia
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e non si è mai vista prima l’azienda Piuma d’Oro -una tra le più importanti realtà industriali trevigliesi- si rimane subito colpiti dalle vaste dimensioni. A maggior ragione, quando vengo ricevuta da Federico e Fulvio Pizzoccheri, i fratelli titolari dell’azienda, rimango un po’stupita dalla loro giovane età. Ma come -mi chiedo- mi aspettavo due signori dalle tempie brizzolate e un po’curvi per la lunga esperienza e le pressanti tribolazioni che affliggono oggi i dirigenti d’azienda, e mi ritrovo invece due sereni giovanotti. Dopo i primi convenevoli, Fulvio, minore di due anni rispetto a Federico, si congeda scomparendo nei meandri degli uffici, lasciando a Federico il compito di accompagnarmi in questo che sarà il viaggio attraverso “Piuma d’Oro”. Federico mi spiega che loro due fratelli hanno superato i quarant’anni e lavorano in azienda da quando ne avevano quindici, iniziando dalla classica gavetta, studiando contemporaneamente alle serali per prendersi il diploma, fino a ricoprire i ruoli più avanzati. Continua dicendomi che il papà Fausto, fino a una decina d’anni fa ancora capitano dell’azienda, ha ricevuto il 28 febbraio scorso, l’importante riconoscimento conferitogli dal sindaco Beppe Pezzoni, presso l’Auditorium in piazza Garibaldi, definendo quella
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di Piuma d’Oro “una lunga storia imprenditoriale di fiducia e bontà, che ha saputo portare in cinquant’anni di attività, le nostre eccellenze cittadine al di fuori delle mura”. Mi mostra il video della cerimonia della consegna del premio nel momento in cui papà pronuncia un breve discorso, e attraverso quelle poche commosse frasi (oltre all’orgoglio per la propria azienda), colgo soprattutto la gioia per averla consegnata ai suoi due figli, certo che essi ne sarebbero stati la sua evoluta continuazione. Poche accorate parole di un uomo i cui antichi e fondamentali valori –unitamente a quelli della moglie Maria, compagna da sempre in questa avventura- sono stati pienamente trasmessi ai due fratelli. Impegno, serietà d’intenti, onestà e anche quel senso di calore umano e semplicità che ritrovo subito in Federico, difficilmente acquisibili se non li hai mutuati da qualcuno che li aveva insiti e integri prima di te. Mi spiega che “Papà Fausto si è ritirato dall’azienda agli inizi del 2000, quando aveva sessantacinque anni, decisione un po’ dolorosa, essendo il suo lavoro -da sempreal centro della vita. Lascia, ritenendo però che il suo tempo fosse passato per quello che poteva dare alla fabbrica, intravedendo in noi figli la possibilità di migliorarla tenendo conto della nostra capacità e apertura im-
prenditoriale, ma soprattutto ritenendo che noi avremmo portato avanti gli insegnamenti suoi e di mamma, sostenendoci nelle scelte senza tuttavia mai condizionarle, dandoci così veramente la possibilità di crescere in modo autonomo. Ieri pionieri, oggi presenti sul mercato in continuo movimento, creando sempre nuovi prodotti e adeguandovi marketing e organizzazione”. I due fratelli hanno compiti complementari ma ben divisi: Federico –che ha una splendida bambina, così come il fratello- si occupa di amministrazione, comunicazione, immagine e sviluppo, mentre Fulvio segue sostanzialmente la delicata parte tecnica e tutta la manutenzione degli impianti di fabbricazione. I prodotti Piuma d’Oro sono esclusivamente dolciari, soprattutto “Chiacchiere”, le famosissime chiacchiere di Carnevale! Ma anche il pane e le fave dei morti e i biscotti ai cereali. L’idea portante è mantenere integra l’antica ricetta madre delle Chiacchiere, adottando la tecnologia, non il contrario. Federico mi introduce in azienda per una visita guidata al reparto di produzione vero e proprio, che ricopre da solo circa 8000 dei 15.000 mq totali di superficie del capannone. Un’annusatina nell’aria, giusto per riconoscere il familiare profumo di buoni dolci appena sfornati. Lì dentro è tutto enorme, dalle vasche friggitrici, ai nastri trasportatori che sembrano l’ottovolante di un parco divertimenti, alle impastatrici che ogni massaia vorrebbe avere come aiuto in cucina quando deve cucinare per gli ospiti, agli enormi silos -che ricordano i condomini di Quarto Oggiaro- per la distribuzione attraverso un complicato dedalo di tubature a soffitto, delle materie prime ai macchinari. Federico, non senza orgoglio, mi fa notare che da tutto quel girone dantesco, escono circa 350 quintali di chiacchiere al giorno perfettamente impacchettate, corrispondenti a una decina di bilici! C’è persino un’officina con tanto di saldatrici perché –apprendo- i vari macchinari, anche quelli a controllo numerico, sono ideati e assemblati proprio lì. La loro genialità
Alcune immagini della famiglia Pizzoccheri con i collaboratori. Sotto i titolari dell’azienda: Federico (a sinistra) e Fulvio con i genitori e fondatori della Piuma d’Oro, papà Fausto e mamma Maria
tecnica consiste soprattutto nel mantenere stabile, sotto la temperatura del fumo, tutte le fasi di friggitoria perché l’olio non alteri le proprie caratteristiche organolettiche. Inoltre, i macchinari sono costantemente sottoposti a cambiamenti anche piccoli, per adeguarsi al ciclo produttivo, quindi la capacità di agire autonomamente in sede diventa fondamentale. La produzione dei dolci varia –strano a dirsi- col calendario liturgico, essendo il periodo di Carnevale mobile rispetto la Pasqua; sostanzialmente l’azienda è operativa per circa sei mesi l’anno, da settembre a fine febbraio più o meno, dedicando il restante periodo allo svuotamento, smontaggio e pulizia totale di tutti gli impianti, insomma le classiche pulizie di Pasqua della casalinga media, però un po’ più in grande! Federico aggiunge che i loro dipendenti sono per lo più stagionali: ve ne sono undici fissi, di cui tre addetti agli uffici e otto alla manutenzione degli impianti. Mi confida, un po’ dispiaciuto, che durante l’estate riceve mediamente 1800 domande di assunzione per l’autunno, di cui purtroppo solo un centinaio potranno essere accettate. Si chiede se sia giusto da parte sua detenere questo enorme potere di favorire o meno persone per le quali la speranza di un lavoro, se pur stagionale, può davvero influire sul destino economico e sociale di un’intera famiglia. Ma, quel che resta alla fine –gli dico cercando di rasserenarlo- sono quelle cento assunzioni che sicuramente porteranno comunque gioia e vantaggi a quei cento fortunati assunti! La tendenza è quella di mantenere il 50% delle assunzioni del precedente anno e introdurne una cinquantina di nuove. Lì si è tutti una grande famiglia, uniti dal comune intento di tenere in piedi l’azienda perché chi lavora per il suo benessere, possa beneficiare dei risultati ottenuti. Ci sono all’interno ragazzi
anche molto giovani, ma che si impegnano con sforzo e sacrificio; spesso arrivano genitori ringraziando i due fratelli per il cambiamento a livello di maturità dei loro figli dopo aver lavorato lì. E’ bello scoprire in un’azienda così grossa un cuore altrettanto grande e capace di muoverla! La storia di Piuma d’Oro è abbastanza nota: nasce nel ’64 da un’idea imprenditoriale di papà Fausto che, con la moglie Maria, apre un piccolo laboratorio artigianale di ravioli in via Milano nei pressi del campo sportivo. Assumono qualche aiuto e nei primi tempi Fausto, per risparmiare, usa la bicicletta e il motorino per portare in giro direttamente a
negozi, mense e asili della zona, facendoli così conoscere a tutti, i suoi buoni prodotti. Nel ’67 arrivano le chiacchiere e nel ’71 si trasferiscono nella sede più grande in via Colombo, dietro l’ex Mazzoleni di Largo Emanuele. Aggiungono prodotti di gastronomia arrivando a dodici dipendenti, fino al ’99, anno in cui si trasferiranno definitivamente nella sede di via Monte Santo, dedicandosi solo ai dolciumi. Nel frattempo chiuderanno e apriranno quattro piccoli supermarket e un paio di negozi gestiti anche da Fulvio, compatibilmente con il suo lavoro in azienda. Insomma, una famiglia davvero instancabile e in continua espansione. Infatti tra i prossimi impegni dell’azienda ci sarà l’EXPO nel cui padiglione alimentare “Tutto food” verrà allestito uno stand per quattro giorni durante i quali si presenteranno in anteprima mondiale anche i biscotti senza glutine, ideali per i celiaci, così buoni da avvicinarsi però al gusto di un prodotto normale. Dopo averne mangiati sedici al cioccolato e sei alla vaniglia giusto per essere certa del giudizio, con serietà e franchezza posso asserire che quei biscotti lì senza glutine sono talmente deliziosi! Altri progetti a breve di Federico e Fulvio riguardano lo sviluppo estero dell’azienda sui mercati USA, Canada, Inghilterra e paesi dell’Est, una Fiera a Londra ed un’altra ad Amsterdam. Insomma grazie ai due brillanti fratelli, un prodotto italianissimo e allegro come le chiacchiere di Carnevale, verrà –come anche il panettone- conosciuto e diffuso un po’ dappertutto, e con esso anche il nostro campanile di Treviglio. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 19
Gera d’Adda/Aziende d’eccellenza
L’arte di ridare vita a pezzi di storia di Ivan Scelsa
Domenico e Giovanni Pepe non possono essere chiamati carrozzieri, ma artisti restauratori. Hanno lasciato il sud portandosi a Calvenzano un bagaglio professionale invidiabile, fatto di esperienza nel mondo delle corse
Scarpe fatte a mano che vanno a ruba di Alessandro Prada
Dal villaggio di Castel Cerreto inizia l’esperienza di calzolaio, si perfeziona, contagia il figlio e oggi le loro scarpe sono richieste anche oltreoceano. “Non siamo specializzati, seguiamo il gusto del cliente”
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l territorio trevigliese può vantare di ospitare eccellenze in vari settori, compreso quello delle calzature artigianali realizzate da oltre cinquant’anni da Cesare Manenti, una passione che ha contagiato la famiglia, in particolare il figlio. Originari di Castel Cerreto, da dove Cesare Manenti ha iniziato l’attività, ora l’azienda è condotta dal figlio Emanuele, titolare del negozio “Manenti shoes”, situato in via Madreperla a Treviglio. In questa bottega artigianale lo abbiamo incontrato osservando in “diretta” come la scarpa prende vita, seguendo le richieste dei singoli clienti, piuttosto che le esigenze del mercato, comunque sempre privilegiando la qualità.
-Emanuele, lei ha raccolto una lunga tradizione di famiglia che sembra avere successo anche in un periodo economico difficile come questo. “Fortunatamente le richieste non mancano e siamo felici che gli ordini non arrivino solo da clienti della zona, ma addirittura si spingano oltre i confini nazionali. Per esempio, ora c’è una considerevole richiesta dal Texas, ma lavoriamo anche a stretto contatto con alcuni personaggi dello spettacolo, come Cristina d’Avena, che è una nostra cliente da anni, così Andrea Prada, oltre alla Fondazione Marco Pantani”.
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-In che cosa siete specializzati in particolare? Qual è il punto di forza che vi contraddistingue? “Più che essere specializzati, trattiamo davvero un po’ di tutto. Storicamente abbiamo cominciato con la semplice riparazione delle scarpe, poi con il passare degli anni il lavoro si è allargato a 360 gradi, fino alla realizzazione della calzatura, che nasce da
Sopra il manifesto e uno scatto durante la lavorazione della scarpa. Sotto Emanuele Manenti, titolare della “Manenti shoes”, con il padre Cesare
zero, personalizzata secondo le richieste del cliente. E per personalizzata non intendo solo legata alla forma fisica del piede o alla misura, ma anche l’estetica della scarpa, i disegni o le scritte che interessano il rivestimento della scarpa”. -C’è un articolo che ha riscosso maggior successo? “Non direi, anche perché qui si costruiscono scarpe di ogni genere. Creiamo calzature sportive, come quelle da golf o da calcio, per poi passare alle semplici snickers, oppure quelle più eleganti e raffinate, ovviamente sia da uomo che da donna. Ultimamente una nostra idea ha suscitato l’interesse di molti e ne siamo davvero soddisfatti”. -Quale idea? “Una scarpa con il rivestimento caratterizzato dallo stesso tessuto del tappeto. Tutto è partito da un tappeto visto in Treviglio. Un giorno, parcheggiando la mia macchina in piazza Setti, mi è capitato di osservare un tappeto esposto in vetrina e mi si è accesa la lampadina. E’ stato un po’ un azzardo, ma ai nostri clienti è piaciuto, tanto che alcune delle richieste dal Texas sono proprio per questo modello”. -Avete progetti futuri? “Al momento no. Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro, ma cosa ancora più importante, e non vale solo per noi, è che siamo felicissimi dell’attività che facciamo, perché fare il lavoro che ti piace, ti fa stare davvero bene. Da noi la scarpa è trattata con un progetto: dall’ideazione, alla realizzazione, quindi la vendita. Sicuramente in futuro penseremo a una nuova linea, ma per ora siamo contenti così”.
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o conosciuto Domenico e Giovanni Pepe un paio di anni fa, quasi casualmente, grazie ad un amico comune, collezionista di autovetture d’epoca. Sono subito rimasto colpito dal loro modo di lavorare, di concepire il restauro e l’arte di ridare splendore a pezzi di storia del motorismo. Non è solo un mestiere
quello del carrozziere, è molto di più. Siamo a Calvenzano, in via Milano 35, negli oltre 1000 metri quadri della loro sede, dove Domenico e Giovanni, grazie alle sapienti mani di collaboratori di indubbia professionalità, ridanno vita a veri e propri pezzi di storia su quattro ruote. Varcando il cancello della loro carrozze-
ria, infatti, si respira subito un’aria diversa. Ad accoglierti, nel piazzale visibile dalla Rivoltana, ci sono una quindicina di vetture d’epoca “salvate” alla rottamazione, tutte con una storia unica alle spalle: dalle 500, 600 e Giardinetta di quell’Italia operaia figlia del boom economico, alle Alfetta, Giulietta e Fiat 128 protagoniste di quegli anni di piombo che furono i Settanta. Ma non solo: ci sono pezzi del mondo delle corse che attendono di tornare in pista, a salire ruggenti i tornanti di montagna in una corsa tutta in salita. Quasi una metafora della vita. C’è il motore 6 cilindri Alfa Romeo che equipaggiava la LUCCHINI SN 89/90 (anch’essa in restauro) che nella sua prima conformazione da gara presentava una livrea di colore giallo e i cui sponsor allora erano il quotidiano Il Tirreno, la Bardahl e German Cars. Il suo passaporto sportivo ci dice che era guidata da piloti come Brignato, Ginfranco, Malucelli e Cinelli, che presero parte al Campionato italiano prototipi dal finire degli anni Ottanta alla seconda metà degli anni Novanta, correndo su leggendari circuiti: Imola, Monza, Varano, Magione, Vallelunga, Pergusa e Levante. Si respirano gli allori in questa carrozzeria… e i clienti che si rivolgono a Domenico e Giovanni lo sanno: cercano l’esperienza di un lattoniere (un mestiere ormai in via d’estinzione…) che possano curare le lamiere afflitte dall’usura del tempo… un perfetto reparto verniciatura ed un meccanico meticoloso e preparato a seguire la messa a punto generale. E’ questo ciò che chiede la clientela più esigente. Domenico e Giovanni Pepe non sono bergamaschi, ma pugliesi. Da alcuni anni risiedono nel nostro territorio; hanno lasciato il sud con un bagaglio professionale invidiabile, fatto di esperienza nel mondo delle corse con una Scuderia che, sin dagli anni Ottanta, ha partecipato a innumerevoli competizioni ottenendo successi e notorietà. Ma non è tutto: la loro professionalità supera anche l’Oceano. Da alcuni anni, infatti, hanno aperto anche una carrozzeria in sud America, precisamente in Venezuela, un Paese in continua espansione. Oggi mettono a disposizione della comunità la loro esperienza, riservano a tutti un consiglio, anche solo per il piacere di vedere portato a termine quel sogno di ogni collezionista in erba di vedere la vecchia auto di famiglia tornare agli antichi splendori. E questo, è chiaro, va ben oltre il loro lavoro. Passare anche solo a salutarli può voler dire imbattersi in qualcosa di speciale e inusuale. Può capitare che altri amici collezionisti siano passati da loro incuriositi di veder procedere i lavori sulla Ferrari in vetroresina in restauro oppure sul progetto di motorizzare Abarth una Fiat 126 destinata alle corse. C’è sempre una preziosa, gustosa, novità ad attenderti. Domenico, classe 1958, una passione per lo slalom in salita che tra il 1989 e il 1996 lo porta a disputare circa trenta gare a stagione in tutto il centro sud con una Peugeot 205 Rallye e con una Fiat 850 preparata con Aprile 2015 - la nuova tribuna - 21
Calvenzano/Personaggi
Treviglio/Negozi storici
Gelmi c’era già tanto tempo fa
L’incredibile hobby di Ferla
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n pomeriggio a Calvenzano nella taverna di Franco Ferla trasformata in un laboratorio dove fa bella vista l’intera catena di montaggio della Same azionata da motori, circuiti ellettronici, gru, video e altro ancora Oggi si fa tutto con passione. Si fa la spesa con passione, si va in palestra con passione, si lavora con passione, …si fa anche il ragù con passione. Nel commentare le spettacolari ambientazioni industriali di Franco Ferla cercherò di non cadere nella trappola di questo facile e abusato sostantivo. Originalità, dedizione, attaccamento, accuratezza ed esperienza sono i termini che meglio riescono ad inquadrare il “lavoro” del nostro calvenzanese. Un passato professionale come responsabile operativo d’impianti industriali, gli ha permesso di conoscere tutti i trucchi del mestiere e di cimentarsi in questo hobby veramente inconsueto. Ricostruire in rigida scala (25 a 1) la catena di montaggio dei trattori SAME non è roba di tutti i giorni. Sarebbe già un’impresa da certosino realizzare il modellino statico, se poi ci s’intestardisce -si fa per dire- per rendere funzionante tutta la catena di montaggio, il risultato è sensazionale. Vedere altri cinque impianti “operativi”: collaudo trattori, acquedotto a caduta, montaggio gomme, robot di verniciatura lamierati e sala compressori si rimane sbalorditi. Paranchi, sollevatori, aerotermi, impianti di aspirazione, sistemi antincendio, nastri trasportatori, collaudo motori, etc. si “muovono” di vita propria secondo una funzionalità industriale rigorosa. Durante la dimostrazione di Franco mi sono ricordato di quando sulle Fiere Franco Ferla e la sua nuova creazione, l’impianto nucleare di Caorso, spra in una visione “notturna”
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venivamo rapiti dallo scampanellio dei primi diorami rurali con personaggi (fabbro, panettiere, maniscalco, dottore, tessitrice, prete, muratore, contadino, etc.) azionati meccanicamente con una manovella. Automatismi artigianali che eccitavano la nostra fervida fantasia di ragazzi; un po’ come oggi. Oltre agli impianti in miniatura della SAME, i trevigliesi riconosceranno anche la catena di assemblaggio delle schede elettroniche dei televisori Prandoni, con taglio componenti e saldatrice ad onda. Ultima opera in “progress” è la centrale nucleare di Caorso. Alcuni “blocchi funzionali” sono già stati realizzati (vasca di reazione, torre di condensazione vapore, turbine e generatore, tralicci rete elettrica), il resto dell’impianto dovrebbe essere pronto per Expo2015. Dopo un pomeriggio tra scatole motori, compressorini d’aria, fumi di scarico, quadri di comando, spruzzi di borotalco (schiumogeno antincendio), blindo sbarre in miniatura, carri ponte e banco prova su rulli è difficile lasciare il laboratorio di Calvenzano. Incontrare una persona, che dopo il ritiro dalla vita lavorativa, conservi con così tanta dedizione i ricordi del suo passato professionale, si resta veramente meravigliati. Vedere su YouTube per credere: cercare “L’incredibile hobby di Franco Ferla”. Ennio Dozzi
motore Fiat Abarth 16 valvole da duemila centimetri cubici. La sua attività professionale nel settore inizia negli anni Ottanta, quando alla carrozzeria viene abbinata la vendita di autovetture plurimarche (essendo anche concessionario ufficiale Fiat – Giannini) con la sua Pepe Autoveicoli Srl. Dal 1997 al 2004, poi, esporta la sua professionalità in Venezuela, dapprima nella città di Barquisimeto con la carrozzeria P&P AUTOSPORT C.A., in una struttura di 3000 metri quadri in cui dà lavoro a una trentina di persone ottenendo risultati davvero eccezionali, poi, nel 2006, con la nascita della MAXIMCAR a Valencia, in una struttura di 1500 mq. in cui dà lavoro a una ventina di operai. Giovanni, classe 1988, stessa passione per le vetture da corsa e l’attività di restauro legata al mondo delle vetture d’epoca su cui lavora da quando aveva diciannove anni. Preciso, disponibile, sempre attento alle novità del settore e all’immagine della sua PEPE Srl di Calvenzano, da lui guidata dal 2012. Segue personalmente i restauri delle vetture, sia di quelle d’epoca che di quelle moderne. Gli chiedi quali siano i suoi progetti per il futuro e genuinamente ti dice: “come obiettivi e progetti futuri intendiamo continuare a dedicarci, oltre che alle vetture moderne, anche alla preparazione ed al restauro di veicoli storici. E’ un settore interessantissimo ed appassionante per la dedizione dei proprietari delle vetture che raggiungono la nostra sede”. Gli uffici al primo piano sono una ricca galleria di successi: coppe, targhe, singolari pezzi meccanici esposti a mo’ di trofeo in luminose e ampie vetrinette. Accanto giacciono pneumatici degli anni Quaranta e di una Formula Uno ormai lontana, tute di piloti degli anni Ottanta, libri, riviste d’auto e ogni cosa attirerebbe un appassionato di motori. Il reparto progettazione poi è unico: qui spiccano progetti in cantiere: dalla replica della mitica Lancia 037 da rally all’Alfa Romeo GT 2000 “pepata”, la cui carrozzeria è già stata ultimata e che vede un interessante intervento su motore, sospensioni e scarico. Non sono lavori di poco conto, ma l’attenzione che è loro riservata è la stessa messa in campo per la riparazione di vetture (magari fortemente incidentate) di uso quotidiano, quelle che, per intenderci, guidiamo tutti i giorni. Gli appassionati collezionisti dal cuore debole sono avvisati: passare da Domenico e Giovanni può voler dare una scarica di adrenalina non indifferente. Ma in fondo è proprio quello che ogni appassionato di motori desidera.
a cura di Lucietta Zanda
L’avventura Gelmi inizia da nonno Silvio nel 1879, vendendo ferramenta, stufe, carbone e articoli da giardinaggio per il mondo contadino, fino a trasformarsi nel negozio di Babbo Natale degli ultimi decenni
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er raccontare la favola di Silvio Gelmi e del suo storico negozio -che noi ragazzi over sixty conosciamo bene perché con i suoi giocattoli siamo cresciuti e abbiamo cresciuto anche i nostri figli- dobbiamo risalire al Natale di tanti anni fa, all’atmosfera che lo animava quando eravamo piccoli. Quando il Natale era profumo di rami di pino da addobbare di palloncini di vetro colorato che allora vendevano solo i cartolai e la giornalaia Paltrinieri di via Roma; il freddo sapeva di nebbia e a Santa Lucia inevitabilmente nevicava. In piazza Manara c’erano alti mucchi di neve sui quali noi bambini ci si arrampicava, che rimaneva lì fino a quando non si scioglieva perché nessuno la portava via. Le nostre mamme se facevamo i bravi ci portavano in “latteria” per un cono di lattemiele spruzzato di cannella e Gesù Bambino, la mattina del Natale, oltre ai doni, ci faceva trovare sotto l’albero anche qualche profumatissimo mandarino insieme a quei delicati zuccherini avvolti in sottile carta velina con le frangine in fondo. Ecco, è a quei Natali lì che bisogna ritornare per capire bene cos’è stato il negozio di giocattoli di Silvio per la nostra città, ma soprattutto per i bambini che vedevano in quello spazio la meta dei loro sogni, certi che solo da lì passassero Babbo Natale o Gesù Bambino durante i loro viavai notturni. A Santa Lucia infatti i Gelmi mettevano fuori la cassettina per le lettere destinate a Gesù Bambino e a Babbo Natale; l’idea l’aveva avuta la mamma di Silvio, la signora Angela “Ela” Longaretti. Anche un altro negozio più avanti fece la stessa cosa, ma noi bambini eravamo certi che solo nella cassettina di Gelmi le nostre lettere sarebbero state al sicuro e prontamente consegnate agli interessati. Quel negozio pieno di scaffali di accogliente legno da cui strabordava il mondo della fantasia, era davvero la magia del Natale. Bastava guardare le sue vetrine, così colorate e stracolme di giocattoli che sembravano prendere vita, tanto da incantare i nostri sogni per notti e notti... Non come i moderni giochi, a volte un po’isterici e impersonali. I bambini giocavano con …niente! Vi erano bambole di celluloide di ogni tipo e dimensione, alcune avevano ancora delicati faccini di cartapesta. E fucilini, tende e faretre in-
Il titolare del negozio Silvio Gelmi, sotto il nonno omonimo fondatore della ditta
diane, teatrini di marionette... E poi vi era il plastico meraviglioso dei trenini elettrici Rivarossi che occupava un’intera vetrina con una quantità enorme di scambi e vagoni e gallerie. Bastava quello a farci sognare tutti i viaggi che avremmo voluto fare! Ma costavano e solo i più fortunati come il mio amico Dario Majolo riuscivano ad avere un plastico così! Parlando con Silvio mi rendo conto del perché questo ragazzo di settant’anni sia ancora così legato con tanto entusiasmo al mondo dei giocattoli e abbia deciso di continuare a farne parte fino a che gli sarà possibile farlo, nonostante il grande impegno richiesto oggi da un’attività come la sua. Eh sì, nonostante la sua stazza sia ben lontana da quella paciosa di Babbo Natale, che ci si creda o no, lui è Babbo Natale! Di certo lo è nel cuore, avendone mantenuti inalterati nel tempo la freschezza, la semplicità e lo spirito variopinto di quand’era ragazzino. Ecco per-
ché gli piace tanto stare in mezzo ai giocattoli: essi sono allegri come lui e dai bambini che frequentano il suo negozio prende continuamente il loro entusiasmo e la loro semplicità. Silvio stesso definisce la lunga storia di questo leggendario negozio “la mia bellissima favola”, e lo è davvero a raccontarla tutta. L’avventura Gelmi inizia da nonno Silvio nel 1879, la sua intraprendenza lo porta ad aprire un piccolo negozio, lo vuole al numero 12 di via Verga, per la sua centralità e perché era animata da numerosi negozi di frutta e verdura, tabaccai, panettieri e anche osterie, insomma un vero richiamo per tanta gente di passaggio. Vuole venderci ferramenta, stufe, carbone e articoli da giardinaggio per il mondo contadino, tutte cose necessarie alla vita semplice di quegli anni. E non sbaglia perché la sua attività… caspita se funziona, al punto che decide di trasferirsi in una sede più grande ma sempre nella sua via Verga, al numero 2 dove tuttora risiede. Gli annessi magazzini gli consentono di ampliare l’assortimento della merce con la vendita di antracite, uno speciale tipo di carbone non fumogeno di cui detiene l’esclusiva per la zona di Treviglio. E già che c’è vi aggiunge pure gli articoli da caccia e –da stravagante qual era- anche corone mortuarie in ferro battuto, allora ricercatissime. Dopo la sua morte nel 1927 sarà la sua vedova, nonna Ginevra, a portare avanti l’attività insieme al figlio Flaviano, il papà del nostro Silvio. Lei eliminerà le stufe e i carboni così sporchi e impegnativi, sostituendo Aprile 2015 - la nuova tribuna - 23
Gera d’Adda/Antiche Aziende
quella merce con ben più raffinati articoli da regalo e casalinghi, e i primi pochi rudimentali giocattoli: bambole, macchinette e cavallucci di legno. A Natale bastava un grande tavolo per esporli tutti. Dopo la morte della nonna subentra Flaviano che nel frattempo si è sposato con mamma Ela che gli darà tre figli, ampliando ulteriormente il settore casalinghi e aggiungendo anche articoli per la pesca. Nel ’46 dopo la morte del papà, subentrerà Silvio con la sorella Silvia ad aiutare mamma Angela in negozio che nel frattempo rileva tutto lo stabile e quando, più tardi e ormai malata, anche lei se ne andrà, entrerà in scena la sorella Sandra nel ’79 a dare il proprio contributo alla ditta. Eliminano i rami secchi del giardinaggio e macchine tagliaerba, la ferramenta, caccia e pesca ritenendoli troppo dispersivi e puntano tutto sui casalinghi, giocattoli e lista di nozze e …voilà! rinnovano pure totalmente il negozio adeguandolo ai nuovi tempi e al vasto assortimento di fini porcellane e cristalli. Nel frattempo, nel ’67 Silvio aveva sposato la sua dolce e formidabile Anna, da cui avrà due figlie e che gli sarà di grande sostegno soprattutto nel periodo in cui, temporaneamente ammalato, lo dovrà sostituire nella faticosa conduzione del negozio diventato ormai di sua esclusiva proprietà. Silvio e Anna curano molto il reparto giocattoli, essendo quelli gli anni dei grandi lanci pubblicitari sui canali televisivi dei giochi che vanno per la maggiore. Chi, avendo avuto dei figli piccoli negli anni ’70, non ricorda la serie televisiva della numerosa famiglia dei Barbapapà con annessi pupazzi di gomma dei protagonisti?! Da Barbaforte a Barbabella, Barbottina. Li vendeva tutti Gelmi! Nello stesso periodo arriva anche Cicciobello in tutte le sue accezioni: che piange, che ride, che fa pipì sdraiato seduto e forse anche da solo in piedi. Si comprava da Gelmi! Per non parlare del dispendioso periodo legato al boom sul mercato di Barbie in tutte le sue metamorfosi; se ne contavano di almeno dieci diversi tipi, dall’odalisca alla principessa, la Barbie ballerina e persino quella
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mulatta, ognuna con un diverso e costoso guardaroba completo di accessori che erano venduti, purtroppo ad colorandum, anche a parte. Le aveva tutte Gelmi! Mia figlia che non era troppo esosa e viziata, ce ne aveva estorte solo quattro, ma credo di aver lasciato più soldi a Gelmi in quegli anni per mantenere alto il tenore di vita delle Barbie, che non se fossi andata a spendacciare senza miseria in via Montenapo per un mese! L’idea geniale della Mattel -ditta importatrice della Barbie americanafu di vendere anche tutta una serie di costosi oggetti a contorno del micidiale arsenale di vestiti. Dall’enorme casetta a due piani grande come un monolocale d’oggi, all’idromassaggio, al palestrato fidanzato Big Jim, al set di alani che portava a spasso, al pianoforte a coda, al garage con Mercedes e altre cosucce che Gelmi -proditoriamente ma con grande senso vetrinistico- esponeva ben in vista nella vetrina di Natale! Immagino famiglie che pur di accontentare le figlie per le festività, facevano la coda alla Cassa Rurale chiedendo un mutuo per l’acquisto, almeno, della casa a due piani, dedicando agli altri risparmi rimasti, il garage con la Mercedes.
Gera d’Adda/Benemerenze
A sinistra nonna Ginevra Berva, poi un ritratto della mamma Angela Longaretti in età giovanile, quindi con il figlio Silvio, mentre a destra é in braccio al papà Flaviano
L’allora direttore di Banca immagino confessasse di non aver mai lavorato tanto in quegli anni come con Barbie!!! Quando finalmente Barbie si dileguò nella salvifica nebbia del tempo, soppiantata da anoressiche bamboline che somigliavano sempre più alle veline di Striscia la notizia, potei finalmente liberarmi anche della sua ingombrante casa regalandola. Quegli anni dal ’75 in poi dunque coincisero con il decisivo cambiamento che avvenne nei bambini riguardo il loro modo di giocare e scegliere i giocattoli; sempre meno giochi di cortile, ormai ridotto a semplice angolo condominiale, che una volta vedeva invece ragazzini rincorrersi giocando a rimpiattino, palle che rimbalzavano contro il muro e vinceva chi, tra i più bravi, durava di più; cortili che assistevano ai salti delle bambine nel “mondo” disegnato a rettangoli per terra col gesso e tanti “am salam” ad occhi chiusi e col nasino per aria cercando di non calpestare le linee. Un universo di giochi in movimento ormai persi, e così lontani da quelli elettronici e statici di oggi. Silvio, mi spiega infatti che: “...i bambini di più di quarant’anni fa si accontentavano ancora di quei pochi giocattoli tradizionali che si regalavano loro per le occasioni; oggi arrivano sempre con delle richieste ben precise, i parenti che vogliono far loro un dono spesso portano una fotocopia del modello esatto di giocattolo che vogliono, seguendo le proposte pubblicitarie della tv. E alla fine i bambini non sono comunque contenti perché i giochi che hanno sono sempre troppi, e il troppo li annoia, fa sì che debbano continuare a desiderare, in un eterno cerchio senza fine. E soprattutto, quando la moda del momento elegge un nuovo giocattolo, quello vecchio non esiste più. Per questo motivo essere aggiornati in questo settore è fondamentale, soprattutto per non rischiare problemi di giacenza”. Gli chiedo quali siano oggi i problemi legati alla sua attività e aggrottando la fronte
aggiunge che: “gli ostacoli maggiori, a parte l’aumento dei costi e le tasse vessatorie, riguardano la spietata concorrenza dei supermercati che a Natale abbattono i prezzi dei giochi per incrementare le vendite a scapito dei negozianti. I cinesi poi sono vergognosamente scorretti perché, pur di rispondere a qualsiasi richiesta di fabbricazione a basso prezzo gli venga commissionata dagli importatori italiani, non rispettano la qualità dei prodotti usando materiali scadenti e non rispondenti alle norme europee. Materiali che spesso sono altamente tossici per i bambini se vengono a contatto di bocca. La gente spesso guarda il prezzo, confronta due giocattoli che sembrano uguali, e scelgono il più economico, ignorando purtroppo che il materiale di fabbricazione dei prodotti sconosciuti spesso è altamente tossico. Per questo è importante rivolgersi sempre ad un negozio di fiducia che sappia quali sono le aziende più serie da cui comprare per avere la qualità migliore”. A Silvio inoltre capita spesso di dover fare piccole riparazioni ai giocattoli che vengono acquistati da lui e in seguito danneggiati. Chi altro lo farebbe?! Ricordo inoltre che la ditta di Silvio ha ricevuto nel 1979 dalla Cassa Rurale il “Premio di fedeltà al lavoro”, e un altro nel 1990 dalla Camera di commercio per la qualità. Chiedo a Silvio se mai fossero coinvolte nei suoi progetti per il futuro le sue figlie e mi risponde che non esattamente, avendo esse percorso differenti strade dal commercio, una avvocato e l’altra psicologa. Un ringraziamento e un apprezzamento speciale da parte di tutti noi della Redazione quindi per la simpatia, la cortesia e il buon lavoro svolto negli anni a tutta la famiglia Gelmi! “Bastì bastù…” -come diceva mio nonno a conclusione di quando mi leggeva le fiabe da piccola- “…ghe n’è poeu gna’ ‘n bucù”. La storia di Silvio però non finisce qui, continua e continua finché lui avrà voglia di portarla avanti, ma una cosa è certa, grazie ai mitici Gelmi e ai loro giochi… tanti bambini, ma anche tanti grandi, ...vissero tutti felici e contenti!
Facchetti: 50 anni di giornalismo di Chiara Severgnini
Iniziò con la cronaca sportiva sul Popolo Cattolico di don Mezzanotti, poi con il Corriere dello Sport, Stadio, Tuttosport, da sempre opinionista de “la tribuna” e da qualche tempo editorialista dell’Eco di Bergamo
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reviglio - “Appartengo a quella generazione che il giornalismo l’ha fatto buttandocisi dentro…”. Beppe Facchetti inizia così il racconto della sua storia professionale di giornalista pubblicista. Una storia iniziata a Treviglio e che, questo 26 marzo, lo ha portato a ricevere la medaglia per i cinquant’anni di carriera dell’Ordine dei Giornalisti. Il nostro concittadino, oggi editorialista per l’Eco di Bergamo nonché collaboratore de “la Nuova Tribuna”, esordisce nel mondo della carta stampata alla fine degli anni ‘50, quando, giovanissimo, segue la Trevigliese per il Popolo Cattolico, allora diretto dal “mitico” –parole di Facchetti– Don Mezzanotti, e poi per l’Eco di Bergamo. Beppe Facchetti è il primo a descrivere il talento del suo omonimo –ma non parente– Giacinto Facchetti, che tirava i suoi primi calci proprio nel team cittadino. “Giacinto ed io ci conoscevamo, eravamo quasi coetanei –racconta– e una volta mi ha detto di aver conservato gli articoli che avevo scritto su di lui…”. È proprio con la Trevigliese che arriva la prima svolta nella carriera del Facchetti giornalista: quando la squadra approda in serie C, nel 1964, è chiamato a seguirla per Corriere dello Sport, Stadio e Tuttosport. Di lì a poco, Facchetti ottiene il tesserino da pubblicista e sbarca a La Notte e al Corriere Lombardo, dove si occupa di cal-
cio, ma anche di ciclismo e cronaca. E dopo? Un anno di pausa per il servizio militare, e poi una carriera nelle relazioni esterne, prima alla Rinascente e poi all’Unione Industriale di Torino. Più avanti, incarichi manageriali per l’Eni e per altre società, l’esperienza in Parlamento, l’insegnamento e tante collaborazioni con diverse testate, dal Messaggero al Gazzettino di Venezia. Ma c’è un fil rouge che lega queste diverse esperienze? “Tutta la mia vita professionale –risponde Facchetti– l’ho dedicata ad attività di tipo giornalistico”. Sopra un giovanissimo Facchetti alla Bianchi di Treviglio, nel 1967, durante la partenza del Giro d’Italia del Cinquantenario. Lo vediamo accanto al campione francese Jacques Anquetil e al campione del mondo, il tedesco Rudi Altig, a sinistra.
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Scuola/L’Istituto Oberdan
Scuola/confronti con gli Usa
Un albero radicato che rifiorisce… a cura di Maria Palchetti Mazza
Così Gloria Bertolini definisce l’istituto che dirige, aggiungendo che è “…un albero che dona ombra e protezione”. A riprova di ciò l’aumento annuale delle iscrizioni, in controtendenza rispetto ad altre realtà
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osì Gloria Bertolini definisce l’istituto che dirige, aggiungendo che è “…un albero che dona ombra e protezione”. A riprova di ciò l’aumento annuale delle iscrizioni, in controtendenza rispetto ad altre realtà Mi trovo all’Oberdan, Istituto di Istruzione superiore fondato nel 1931, con la costituzione del ‘Regio Corso Inferiore’ al quale si aggiunse, nel 1935, il ‘Corso Superiore Commerciale’. L’attuale sede di viale Merisio fu costruita nel 1961 e, con una delibera della Giunta del 1986, partì il progetto di ampliamento dell’Edificio che trovò la sua definitiva sistemazione nell’anno scolastico 1991/1992. Il ‘Guglielmo Oberdan’, fra i primi Istituti Secondari Superiori sorti a Treviglio, è situato nella zona est della città e la sua posizione, unita ai collegamenti favorevoli, ha ampliato il bacino d’utenza ben oltre il Distretto Scolastico, sì da accogliere studenti delle province limitrofe. Una lunga storia, quella dell’Oberdan, che nel settembre 2012 si è arricchito del Liceo delle Scienze Umane e del Liceo Economico Sociale, percorsi che “forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà” e che “gli permettono di acquisire i mezzi necessari per inserirsi nella vita sociale e nel mondo del lavoro”, come recita l’art. 2 comma 2 del Regolamento relativo all’assetto organizzativo e didattico dei Licei. Incontro il Dirigente scolastico, Maria Gloria Bertolini, in una pausa pomeridiana del suo lavoro. - Si parla di aumentato potere ai Dirigenti… Una sua riflessione? “Ho imparato ad essere cauta con le nuove normative e tanto più con i disegni di legge di ‘riforma’, che la scuola ha vissuto nei suoi vari tentativi, falliti negli anni. Farò le mie riflessioni a disegno legge approvato…”. - Quali sono, a suo parere, i requisiti necessari ad un Preside per gestire una ‘buona Scuola? “Sulla base della mia esperienza, e non solo, credo siano indispensabili professionalità, coerenza e visione d’insieme. Fino ad oggi, i risultati mi hanno dato ragione. Posso contare su un personale docente e non , nel suo complesso, impegnato e serio ,che partecipa in modo attivo alla vita dell’Istituto e,
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non ultimo, su un buon rapporto con il territorio in tutte le sue variabili”. - Si parla di calo di iscrizioni in molti Istituti. Cosa avviene all’Oberdan? “Si registra una crescita del numero di alunni costante nel tempo: dagli ottocento quarantuno dell’anno scolastico 2007/2008 siamo agli oltre milleduecento di oggi , e all’ulteriore incremento per il 2016 con tredici classi in entrata. E’ un fenomeno che ci gratifica e ci permette di affrontare con fiducia le eventuali difficoltà incontrate nel cammino da percorrere”. - Quali, nella sua esperienza, le regole più importanti per il buon andamento di una scuola? “Ritengo che la condivisione dell’offerta formativa sia determinante, perché coinvolge tutte le componenti dell’Istituto e ne alimenta la partecipazione. In secondo luogo, ma non meno importante, la ‘radicalizzazione’, l’ appartenenza al territorio inteso nei suoi molteplici aspetti, fonte di sicurezza e di ricchezza di contributi”. - Se dovesse rendere con un’immagine la sua scuola, come la raffigurerebbe? “Sceglierei qualcosa di vivo… Forse un grande albero radicato alla sua terra che ogni anno rifiorisce e ci dona la protezione della sua ombra”. La similitudine con l’albero della vita dell’EXPO mi pare calzi bene , perche’ la scuola educando, formando e istruendo ‘nutre’ i giovani.
La prof. Gloria Bertolini, preside dell’Istituto Oberdan di Treviglio
- A proposito di fioriture… Vuol parlare dei due Licei che fanno parte del suo Istituto? “I percorsi liceali offrono agli studenti gli strumenti culturali e metodologici per comprendere in modo approfondito la realtà e affrontare i problemi che si presentano, facilitando il loro inserimento nel mondo del lavoro e nella vita sociale. A questi fini sono utilizzati e valorizzati tutti gli aspetti del lavoro scolastico, dallo studio delle discipline all’uso dei laboratori e degli strumenti multimediali di cui tutto l’Istituto è dotato. Il Liceo delle Scienze Umane è non solo propedeutico rispetto alla Facoltà di Scienze dell’Educazione e Psicologia, ma consente l’accesso a tutte le Facoltà universitarie, ai corsi post- secondari e alle lauree brevi cosi’ come il Liceo economico sociale. A conclusione del percorso di studio gli studenti devono aver acquisito, in una lingua straniera moderna, competenze corrispondenti al Livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento. In tutti e cinque gli anni, nel Liceo delle Scienze Umane si studiano la lingua e la cultura latina”. - E il Liceo Economico Sociale? “Offre una rigorosa preparazione in campo economico, scientifico e umanistico, stabilendo equilibrio fra il ‘sapere’ e il ‘saper fare’, sollecitando la maturazione di competenze organizzative, capacità di adattamento e di collaborazione, indispensabili nella società attuale e nel mondo del lavoro. Per lo studio delle lingue straniere è previsto il potenziamento di un’ora alla settimana di lingua inglese. La presenza annuale del docente di madrelingua è costante per lo studio sia d’inglese che di spagnolo e di
francese. E’ l’unico Liceo, non linguistico, che prevede l’insegnamento quinquennale di due lingue straniere. Al termine del corso, sulla base delle conoscenze acquisite negli ambiti economico, giuridico e sociologico, gli studenti saranno in grado di interpretare e misurare i fenomeni economici e sociali del loro tempo. Nello studio di una seconda lingua moderna dovranno aver acquisito competenze corrispondenti almeno al Livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento”. - Nel Piano dell’Offerta Formativa per l’istruzione tecnica e liceale della vostra scuola sono individuate le diverse aree, quali quella delle lingue straniere, delle nuove tecnologie/informatica, didattico/ educativa, scuola/lavoro, supporto al disagio scolastico, valorizzazione delle eccellenze. E’ un quadro ampio e articolato che prevede anche le attività per il territorio. Vuol accennare a una rapida panoramica su tanta complessità? “Nell’area Lingue straniere è in essere il Progetto ‘Madrelingua’ che prevede l’interazione degli alunni con insegnanti madrelingua inglese, francese, tedesco e spagnolo, con la loro presenza in tutte le classi. Esiste inoltre il Progetto Certificazione lingue straniere , di cui quella Inglese, si effettua nel nostro Istituto, sede ufficiale e riconosciuta Si attivano scambi culturali, gemellaggi artistici e linguistici, potenziamento di lingua inglese nelle classi seconde dell’Indirizzo Tecnico Economico con riduzione di un’ora curricolare di geografia, senza variare il monteore curricolare e altro”. - Nell’area nuove tecnologie/informatica quali progetti? “Si lavora sul potenziamento delle competenze informatiche e delle tecnologie nella didattica: Progetto Generazione Web/classi digitali, l’infrastruttura WIFI presente in tutto l’istituto permette di accedere ad internet e ai servizi online utilizzando dispositivi mobili in aree e strutture didattiche e di studio a tutta l’utenza”. - Sono presenti nella vostra scuola un piano di recupero per gli studenti in difficoltà, l’attenzione all’inserimento degli alunni
Con le regole non si scherza di Silvia Martelli
Continua il diario della nostra “corrispondente” dalla Northfield Mount Hermon School dove, per esempio, al termine del compito in classe l’allievo deve giurare di non essere stato aiutato da altri
U
n paio di mesi fa, subito dopo la fine delle vacanze natalizie, ero in mensa con i miei amici, immersa in fitte conversazioni su come avevamo trascorso quelle giornate lontani dal campus dell’NMH. Il tono della conversazione era piuttosto alto e le voci si sovrapponenevano, cariche di entusiasmo. Il chiasso generale non mi impedì di notare, tuttavia, che al tavolo dietro al mio qualcosa di atipico stava avendo luogo: una decina di studenti erano stretti intorno a Dylan, il classico americano teddy-bear looking, nonché fidanzato della mia compagna di stanza, la quale, stringendogli la mano, aveva un’espressione di puro terrore dipinta sul viso. Una situazione del genere poteva indicare una sola cosa: Dylan rischiava l’espulsione. Due giorni più tardi, tornando in camera trovai la mia compagna di stanza che piangeva disperata: il suo teddy-bear aveva appena lasciato la scuola. Si dice che all’NMH si capisca con un solo sguardo se uno studente è un “rulesbreaker” (colui che infrange le regole) o meno; nel caso di Dylan, eravamo tutti d’accordo che l’espulsione non era nulla d’inaspettato. Giocare con le regole all’NMH è come giocare con il fuoco: se lo fai la bruciatura è inevitabile. Che le regole siano così severe lo dimostra il fatto che all’inizio dell’anno
scolastico ad ogni studente viene consegnato il cosiddetto handbook, il Santo Graal delle regole della scuola. Il manuale di circa cinquanta pagine appare metodico, efficiente, spaventoso. La maggior parte del “protocollo”, così come viene alternativamente definito l’handbook, riguarda “cheating” e “plagiarism”. Cheating è il nostro semplice “copiare”, o più precisamente “imbrogliare”. Strettamente connesso all’ambito scolastico, cheating riguarda tutto ciò che è aiuto non autorizzato: copiare dal vicino di banco, copiare da internet, tenere un libro sotto il banco, utilizzare bigliettini e quant’altro. Per capire quanto la questione sia presa seriamente, basti dire che al termine di ogni compito in classe è richiesta la trascrizione dell’honor statement (“On my honor, I have neither given or received any unauthorized aid during this assessment”-giuro sul mio onore di non avere dato né ricevuto alcun aiuto non autorizzato durante questo compito), accompagnato dalla propria firma. Plagiarism viene invece considerato un atto di frode, e consiste nel passare come proprie idee altrui (in parole semplici non menzionare l’autore di eventuali citazioni/ concetti). Quando s’infrange una della major rules (come copiare, fare uso di alcol o compiere atti di bullismo) si riceve un DP (disciplinary probation), il quale consiste in una sospensione che va dai tre ai cinque giorni. L’espulsione avviene generalmente dopo il secondo DP, tuttavia la scuola si riserva il diritto di “estromettere lo studente” in seguito al primo DP nel caso in cui l’azione sia considerata particolarmente grave. Dylan aveva ricevuto un DP per aver fumato sigarette durante il precedente anno scolastico; poco prima di Natale, era stato colto nell’atto di copiare durante un test di matematica. L’espulsione era l’unica conseguenza che ci si poteva aspettare. Insieme a Dylan una decina di altri ragazzi sono stati espulsi dal settembre 2014. Inutile dire che il loro futuro accademico sia irrimediabilmente compromesso non potendo più accedere ad alcuna istituzione universitaria di eccellenza. C’è chi perde le speranze di riuscire a completare un buon percorso di studi e dunque decide di unirsi all’esercito, come nel caso del nostro teddy-bear americano e di ben altri quattro ex-studenti dell’NMH. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 27
L’Oberdan
stranieri, l’adesione alla “Rete delle scuole che promuovono salute”, lo sportello di ascolto/consulenza psicologica, l’istruzione domiciliare nel caso di alunni colpiti da gravi patologie o impediti a frequentare la scuola per un periodo di almeno trenta giorni. Una gamma di attività mirate a educare, formare, istruire, che esplicitano la filosofia della sua scuola. “L’uomo è una creatura complessa e richiede attenzione in molteplici campi. C’è da noi anche un Centro Scolastico Sportivo ‘G. Oberdan’ per il potenziamento delle pratica sportiva con attività pomeridiane. Nostro intento è anche promuovere iniziative in collaborazione con Enti e Associazioni sportive del territorio. Esiste anche un Progetto Pilota interistituzionale con USR Lombardia e Cooperativa Sirio di Treviglio per far comprendere le problematiche legate alla violenza di genere”. - So che organizzate stage estivi per le classi quarte dell’Istituto per almeno quattro settimane in azienda e che nel vostro Istituto esiste un Progetto di alternanza scuola-lavoro, oltre ad attività mirate a preparare gli alunni ad affrontare la realtà che li attende. “Ritengo essenziali questi progetti che completano la preparazione dei nostri giovani e aggiungo che per me è di particolare importanza anche la valorizzazione delle eccellenze, oltre al supporto allo svantaggio scolastico: è con una visione globale della vita e dei suoi protagonisti che si deve programmare il nostro lavoro…”. - Esiste nel vostro P.O.F. anche un’Area di attività con e per il territorio… “Sì, concorsi formativi di alfabetizzazione, potenziamento delle competenze informatiche per i cittadini, attività di volontariato e, come di consueto, la collaborazione con Enti ed Istituzione del territorio”. - Basta una giornata di dodici ore per far vivere questa realtà? “Forse ce ne vorrebbero almeno venti…”. Ringrazio il Dirigente scolastico, Dott. ssa Maria Gloria Bertolini e, com’è ovvio, le auguro buon lavoro.
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Associazioni & Progetti
Un libro per capire l’adolescenza di Daniela Invernizzi
Iniziative dell’associazione Soroptimist per affrontare il disagio giovanile, tra cui la pubblicazione di un libro: “Dentro l’adolescenza”. Ne parliamo con Sabina Albonetti e con Laura Rossoni.
L
’adolescenza è un’età “che urge”. Urge di attenzioni e di risposte. Presenta sofferenze sempre più complesse e non procrastinabili. Per questo motivo, che nasce dall’esigenza di cercare risposte, o meglio, trovare gli strumenti giusti per monitorare e magari risolvere i comportamenti a rischio degli adolescenti, è nato un progetto importante e articolato, che ora trova sbocco anche in un libro, “Dentro l’adolescenza”, a cura di Sabina Albonetti, Maria Monica Ratti, Lucio Sarno (Franco Angeli edizioni). Per capire meglio la portata e l’importanza di questo studio, incontro Sabina Albonetti, psicologa e psicoterapeuta, e Laura Rossoni, avvocato. - Come nasce questo progetto e quali sono i soggetti interessati? Albonetti: Il lavoro-progetto sull’età adolescenziale nasce nel 2009 su iniziativa dell’associazione Soroptimist, che poi ha coinvolto altre istituzioni, come l’Istituto nazionale di Psicogruppo di Milano e in un secondo tempo anche il San Raffaele, con il direttore del dipartimento di psicologia clinica, Lucio Sarno; poi le scuole di Treviglio, al fine di far emergere i reali bisogni dei ragazzi. Nel frattempo è stata messa a punto una ricerca sui disturbi alimentari, i cui risultati statistici sono riportati in questo volume. Inoltre sono stati fatti una serie di
convegni, uno proprio sui disturbi alimentari presso l’Azienda ospedaliera di Treviglio, con la partecipazione del primario di pediatria,
prof. Luigi Gargantini, e quella di uno specialista in materia, dott. Massimo Recalcati. L’altro convegno, dal titolo “L’età che urge” ha riportato gli studi fin lì svolti e l’evolversi del progetto. Infine l’ultima fase, attraverso l’esperienza del cinema con le scuole di Treviglio, gestito direttamente da Laura e da me. Io mi sono occupata più degli aspetti psicologici che emergevano dalle tematiche trattate nei film, Laura si è occupata dell’aspetto legale, o meglio, aiutare il minore a capire i confini fra l’eticamente disdicevole e il reato vero e proprio, soprattutto nella cosiddetta realtà virtuale (i “social”, in primis). -Quali sono state le scuole coinvolte? Rossoni: I sei istituti coinvolti sono stati il Simone Weil, lo Zenale e Butinone, il Collegio degli Angeli, l’Istituto Facchetti, l’Oberdan e il Mozzali. Parliamo dei ragazzi del triennio delle scuole superiori, che hanno risposto in maniera massiccia. Ci siamo
IL LIBRO
Una ricerca sui disturbi mentali
Dentro l’Adolescenza - Lo psicologo clinico nel contesto scolastico. Il libro A cura di Sabina Albonetti, Maria Monica Ratti, Lucio Sarno. Ed. Franco Angeli.
Dentro l’adolescenza
I
l libro è l’elaborazione della prima fase Lo progetto: psicologolaclinico A cura di Sabina Albonetti, Maria Monica Ratti, del ricercanel suicontesto disturbiscolastico. aliLucio Sarno. Ed. Franco Angeli. mentari, che ha coinvolto quattro grossi Il libro è l’elaborazione della primaadotfase del progetto:grado la ricerca sui disturbiNello alimentari, che il di individuare. stesso tempo istituti del territorio, e la metodologia testo vuoleadottata. rispondere all’esigenza di metteha coinvolto grossiil istituti territorio, e la metodologia Il volume si definitata. Il volumequattro si definisce primo del di una re a disposizione soggetti interessati sce il primo di una collana dedicata a quanti e aiutare glidei adolescenti, in una un collana dedicata a quanti vogliono capire e vogliono capire modello d’intervento sul gruppo, applicabile societàgli sempre più liquida, il disagio in forme che l’adulto non sempre aiutare adolescenti, in unadove società sem- si esprime anche nellarispondere scuola e inall’esigenza altri contesti coinvolgoè inpiù grado di individuare. Nello stesso tempo il testo vuole diche mettere pre liquida, dove il disagio si esprime no gli adolescenti. reperibilenella in Internet. a disposizione dei soggetti interessati modello d’intervento sul gruppo,E’ applicabile anche in forme che l’adulto non sempreun è in
ritrovate con 600 ragazzi, ai quali abbiamo fatto vedere tre film: Detachment, che tocca le tematiche del maltrattamento, violenza sessuale, prostituzione minorile, il rapporto con la figura educativa; Maledimiele, che tratta dei disturbi alimentari; Blind ring, sul concetto di legalità nel mondo virtuale e il nuovo concetto d’identità. Poi abbiamo coinvolto i ragazzi attraverso una metodologia particolare, in quanto la difficoltà maggiore è sempre quella di farli parlare, far emergere i problemi. Per questo motivo abbiamo utilizzato il sistema dei biglietti anonimi sui quali riportare le loro considerazioni sul film e le emozioni provate. Alcuni biglietti fra i più significativi sono stati letti davanti a tutti e commentati, suscitando un vivace dibattito: non riuscivamo più a mandarli via. Sollecitati, i ragazzi hanno dimostrato un incredibile interesse e partecipazione. -Che problematiche sono emerse? A. Alcuni biglietti hanno rivelato una sofferenza interiore profonda, segnali di disadattamento, pensieri suicidi, difficoltà con il proprio corpo. R. Mi ha colpito molto la difficoltà di parlare con gli adulti, in particolare con i genitori. È una cosa che è emersa in maniera molto netta. I ragazzi ci hanno detto che questa difficoltà nasce dal vedere i loro stessi genitori come “persone fragili”, e così evitano di scaricare su di loro i problemi che posso avere. -Quindi non si tratta di paura o vergogna, come succedeva una volta. R. No, è il timore che il genitore non sia in grado di sostenere il suo ruolo, di reggere il carico e gestire la responsabilità. A. C’è poca differenza generazionale percepita. Il genitore è vissuto o come parte assente, oppure come incapace di mantenere una distanza di ruolo insieme con un atteggiamento empatico. R. Un’altra richiesta ben precisa: il bisogno di figure educative e di momenti come questi, importanti per creare l’occasione per parlare tutti insieme dei loro problemi. A. E che invece sono lasciati al volontariato. Sarebbe utile, per esempio, creare strutture intermedie, a metà strada fra la struttura neuropsichiatrica vera e propria
Da sinistra: l’avv. Laura Rossoni e la dott. Sabina Albonetti
(che si occupa di un disagio già ben definito, con connotazioni cliniche) e la scuola (dove l’insegnante non può farsi carico del disagio adolescenziale). Ci sono città che le hanno e sono all’avanguardia, come Trieste, per esempio. R. Per loro è stato molto istruttivo conoscere i confini di ciò che è legale e ciò che non lo è sui social. Non ne avevano la minima idea. Quella virtuale è una realtà nella quale spesso i nostri ragazzi vivono, ma dove non sanno bene come comportarsi. -Un secondo ciclo d’incontri è stato invece rivolto agli adulti R. Anche agli adulti è stata proposta la visione di film, per stimolare il dibattito sulle varie tematiche, ma non abbiamo avuto la medesima risposta. O meglio: ci aspettavamo che partecipassero i genitori dei ragazzi coinvolti, invece gli adulti presenti erano persone interessate per altri motivi. A. Tu sai che tuo figlio ha partecipato a un progetto e non vuoi sapere cosa ne è venuto fuori? Non è la solita lezione ex cathedra: ti viene raccontato qualcosa di molto specifico, che riguarda anche tuo figlio! La risposta dei genitori invece è stata molto bassa. - Questo sembra confermare quello che hanno detto i ragazzi. R. Esatto. E’ la conferma che non c’è dialogo. A. In questi contesti dove il coinvolgimento è più blando (non siamo ancora al caso clinico) il genitore sembra disinteressarsi, non riesce a fare quel salto che lo porti fuori dall’isolamento, a cercare nella comunità l’aiuto che potrebbe servire. R. I ragazzi cercano comunque il confronto con gli altri, per cercare di capire e capirsi. L’adulto è isolato di fatto, non socializza più. Fin qui il quadro generale dello studio effettuato nelle scuole dei nostri ragazzi. Nei prossimi numeri vedremo l’approfondimento legato alle varie tematiche sviluppate insieme ai ragazzi, che vanno dal bullismo, ai disturbi alimentari, ai social, e molto ancora. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 29
Treviglio/Libri
Treviglio/Celebrazioni
Il vetro, la
polvere e la lanterna
I
di Daniela Invernizzi
I gruppi di lettura
L
a nostra città vanta una Biblioteca di tutto rispetto, attivamente impegnata sul fronte culturale con proposte, incontri con scrittori, iniziative di vario genere. Ma anche i lettori non sono da meno, e hanno dato vitalibro a ben tre gruppi di lettura che si Il tengono presso la Biblioteca centrale. Il Gruppo di lettura “classico”, quello che ha dato il via a questo proficuo scambio di idee e passioni, è quello del martedì: ogni partecipante ha svelato il proprio libro preferito, facendo nascere un calendario molto originale si protrae, Lo psicologo clinico nelche contesto con scadenza mensile, fino aAlbonetti, giugno. scolastico. A cura di Sabina Il prossimo incontro, martedì 21 aprile Maria Monica Ratti, Lucio Sarno. Ed. alle 20.45, è con Manna e miele, ferro Franco Angeli. e Il fuoco librodiè Giuseppina l’elaborazioneTorregrossa. della prima Il Gruppo di letturaladel venerdì fase del progetto: ricerca suipomedisturbi riggio, invece, di dedicare alimentari, che ha ha deciso coinvolto quattro i propri incontri ai premi Nobel: il grossi istituti del territorio, e la metodoprossimo appuntamento venerdì logia adottata. Il volume siè per definisce il 17 aprile allecollana 16 con il premioaNobel primo di una dedicata quanti 1986, Wole Soyinka e il gli suoadolescenti, Aké. Gli vogliono capire e aiutare anni Unpiù po’liquida, diversodove il in unadell’infanzia. società sempre delanche lunedìinpomeriggio. ilgruppo disagiodisilettura esprime forme In questi incontri ogni libro viene preche l’adulto non sempre è in grado di sentato da unNello appassionato o “profondo individuare. stesso tempo il testo conoscitore” dell’opera o dell’autore vuole rispondere all’esigenza di mettere volta in voltadeiproposto. si trattaun adidisposizione soggetti Non interessati comunque di una lezione frontale, ma modello d’intervento sul gruppo, applidi un libero scambio opinioni, conche cabile nella scuola e indialtri contesti l’arricchimento di una voce E’ piùreperibiesperta. coinvolgono gli adolescenti. prossimo leIl in Internet.appuntamento è per lunedì 13 aprile alle 17.45 con Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, presentato da Francesco Tadini. Tutti i gruppi di lettura sono liberi e aperti a tutti, e si svolgono in un contesto molto informale a amichevole, dove ciascun lettore è libero di dire la sua senza timore. E’ un momento davvero piacevole e di arricchimento personale per tutti coloro che trovano nella letteratura un vero e profondo piacere. I programmi completi di tutti i gruppi sono disponibili presso la Biblioteca. D.I.
Dentro l’adolescenza
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l distinto signore che incontro per questa intervista è un medico che ha lavorato per trent’anni all’ospedale di Treviglio. Da quando è in pensione per hobby fa lo scrittore; cosa che, peraltro, ha sempre fatto, collezionando pure una serie di premi per le sue poesie. Ora Giorgio Corvi si è cimentato con un libro di racconti dal titolo “Il vetro, la polvere e la lanterna”, al momento stampato solo per gli amici, ma di prossima pubblicazione. “È un insieme di pensieri e di racconti che ho scritto nel corso degli anni”, mi racconta davanti a un caffè, “Messi insieme mi sono sembrati di un certo interesse, non tanto per essere pubblicati, quanto per lasciare qualcosa di me, o meglio, la traccia di un uomo e della sua continua ricerca”. -Ricerca di cosa? “Questo libro è il frutto delle mie riflessioni sull’Uomo, sulla sua ricerca della verità e della giustizia, sulla sua posizione all’interno della Storia. Non è affatto un libro autobiografico, come qualcuno ha detto. È di fatto una meditazione sulla vita, anche se alcuni episodi sono veri, fanno parte della mia storia personale, ma come potrebbero far parte di quella di chiunque altro, sono solo funzionali alla riflessione su qualcos’altro”. -Perché questo titolo: Il vetro, la polvere e la lanterna? “Come si può vedere dalla copertina, c’è una parte scura (la polvere) e una chiara (la lanterna); dove la scura non è tanto il Male, quanto quella parte della nostra vita fatta di illusioni, che ci impediscono di vedere la Verità. La Verità è dentro di noi, ma la offuschiamo con la polvere, le illusioni”. -E qual è la Verità? “Non sono io a poterlo dire, lascio all’uomo, a chi legge, il compito di scoprirla dentro se stesso. Con le mie domande cerco solo di risvegliare la voglia di compiere questa ricerca. E’ la parte chiara della copertina: la luce, la lanterna, cioè la Verità, che per alcuni può essere la fede”. -E il gatto? “Rappresenta il dubbio, l’insicurezza dell’uomo, che però è necessaria, perché senza il dubbio non c’è conoscenza, diceva Sant’Agostino. Poi c’è il vetro, la parte più drammatica: rappresenta noi, l’Uomo. Noi viviamo come se fossimo su un treno. Quando viene buio e si accendono le luci, noi non vediamo più fuori, ma il riflesso del vetro di quello che c’è all’interno. Allora mi chiedo: qual è il vero? Quello che vedo o quello che c’è al di là del vetro? Qual è il mio vero io: quello che la luce artificiale mi fa vedere o quello che è là nel buio? E il paradosso è che più sporchiamo il vetro della nostra esistenza con le nostre illusioni, più lo vediamo e ci convinciamo che sia il Vero”.
-Non è un libro semplice. Attraverso molte metafore pone un quesito filosofico dopo l’altro. “Pone delle domande, che sono nascoste in tanti piccoli racconti, tanti episodi di vita che celano provocazioni anche violente, drammatiche. Mi rendo conto che non è un libro facile. Però si può leggere a più livelli. Ci si può limitare a godere dei racconti, nei quali facilmente ci si può ritrovare; ma prestando maggiore attenzione si può anche andare più a fondo”. -Nell’introduzione c’è scritto: “Non siamo mai quello che sembriamo, ma solo quello che siamo. Forse”. Ce lo spiega? “Semplicemente non sappiamo chi siamo, anche se ci riteniamo la persona più sicura e consapevole della terra. Dal momento in cui usciamo dall’utero materno non sappiamo più chi siamo, ma diventiamo quello che il mondo esterno vuole farci diventare. Lo sta confermando anche la scienza. E’ la teoria dei neuroni specchio. Noi impariamo per imitazione. I neuroni specchio fotografano il comportamento degli altri e lo trasmettono al cervello. E noi ci comportiamo alla stessa maniera. Ma nel momento in cui avviene ciò, perdiamo la nostra purezza, la nostra libertà”. -Ha detto di aver scritto questo libro per gli amici. Come l’hanno accolto? “Due, in particolare, ne hanno colto in pieno il senso. Uno mi ha detto: vi ho trovato un’amarezza profonda. Ed è vero. L’amarezza nasce dalla mia incapacità di risolvere il problema. Un altro invece ha detto: in certi momenti sembra che tu stia giocando. Ed è vero anche questo, perché questo libro vuole essere una grande metafora della vita, che è una grande presa in giro. Con molta amarezza, appunto, ma sì, mi prendo gioco di tutte le domande che ci facciamo”. -Dopo tante domande, c’è almeno una risposta? “Purtroppo no, perché la mia “umanità”, nonostante la ricerca, nonostante i dubbi, mi trascina a credere ancora alle illusioni”. -Quindi non possiamo venirne fuori. “Magari nel prossimo libro...”
Foto Andrea Ronchi
L’orgoglio di una storia secolare di Marco Carminati
Presso l’Auditorium della Cassa Rurale si sono aperte le celebrazioni per il centenerio della Croce Rossa e della sua presenza organizzata a Treviglio. Numerose le medaglie di benemerenza consegnate
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a storia della Croce Rossa Italiana, nata a Milano nel 1864, affonda le sue radici nella grande Storia, quella delle Civiltà e delle Nazioni, ma anche e soprattutto, quella dei Nobili Sentimenti, dell’Altruismo, dello Spirito Umanitario, della Gratuità, dell’Abnegazione. E solo di poco più giovane è la storia del Comitato Locale di Treviglio della Croce Rossa Italiana, nato pressoché in concomitanza con lo scoppio della Grande Guerra nel 1915. Il Grande Conflitto Mondiale e il Comitato della Croce Rossa di Treviglio compiono oggi un secolo, entrambi vanno ricordati e celebrati, perché la memoria -specialmente nelle giovani generazioni- sia garanzia di rispetto, di seria conoscenza, di approfondimento degli eventi, delle passioni e dei sentimenti, che hanno animato le donne e gli uomini venuti prima di noi. Per questo motivo il Comitato Locale di Treviglio ha organizzato una serie di celebrazioni del glorioso centenario, articolandole nell’arco dei prossimi mesi e prevedendo momenti di festa celebrativa, di approfondimento, di studio della propria identità territoriale e istituzionale, della propria ragion d’essere. Fra i numerosi eventi che caratterizzeranno il Centenario della CRI trevigliese, un libro sulla sua storia e spettacoli teatrali con la medesima finalità. Intanto, già sabato 21 marzo –primo giorno di primavera e dunque simbolico mo-
mento di rifioritura alla vita– il Comitato ha premiato, con le bellissime medaglie appositamente coniate, coloro che hanno dato un forte contributo personale, con le opere e con lo spirito, alla crescita dell’Istituzione benemerita. Premiate dunque le Autorità locali, quali i Sindaci dei Comuni di Treviglio e delle località limitrofe, le Forze dell’Ordine e quelle di supporto alle comunità nei momenti di pericolo e di bisogno, oltre alle persone che in seno alla Croce Rossa, ma non solo, per differenti motivi e con svariati incarichi, hanno dedicato alla CRI tempo, impegno, coraggio, fatica, fondi economici. Era dunque giusto premiare chi della CRI trevigliese ha costruito la storia e ne mantiene vivo il presente. Si tratta davvero di moltissime persone, che non possiamo elencare per motivi di spazio, fermo restando che a ciascuno di loro va la nostra riconoscenza e la nostra vicinanza. Ma il cuore generoso della CRI non ha lesinato sorprese alla gente di Treviglio, infatti nel corso della stessa cerimonia nell’Auditorium della Cassa Rurale, il Presidente CRI, Massimo Gatti ha donato al Sindaco della città un nuovissimo defibrillatore, con colonnina di supporto contenente apparecchio salvavita e relative attrezzature di primo soccorso. L’apparecchio importante per l’intervento in caso di arresto cardiaco sarà in viale Piave, oppure alla frazione Geromina, aree attualmente scoperte da questo servizio.
La fondazione della Cri a Treviglio Riprendiamo un brano dell’articolo apparso sullo scorso numero de “la tribuna” a cura di Carmen Taborelli
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ella nostra città la Croce Rossa iniziò a operare nel gennaio 1915, in vista dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Alla guida della Sottosezione locale fu designato un Comitato composto da: - presidente: ing. Carlo Bonomi, assessore comunale anziano con funzioni di Sindaco; - vicepresidente: dottor Luigi Vertova (ufficiale sanitario); - segretario: Giuseppe Masciocchi (segretario capo del Comune); - soci fondatori: i farmacisti dott. Pericle Torelli e prof. Lodovico Sergent Marceau. Altro socio fondatore fu il canonico e cappellano don Francesco Maggioni. Il Comitato trevigliese esordì proponendo ai cittadini volontari un ciclo di lezioni gratuite, organizzate in accordo con l’Amministrazione dell’ospedale “Santa Maria” e tenute dal personale sanitario dell’ospedale stesso per “diffondere la pratica conoscenza delle principali norme suggerite dalla scienza per un’efficace assistenza degli infermi, sia in tempo di guerra che in tempo di pace”. Fatta questa premessa di carattere generale, ci impegniamo, nel prossimo numero del nostro mensile, a ricostruire la storia e l’evoluzione di questa benemerita istituzione locale, preannunciando anche il programma predisposto per celebrare i suoi gloriosi cent’anni di vita. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 31
Spettacolo/Teatro
Musica/Concorsi Internazionali
Tae, quando il teatro è una scommessa
Un gruppo teatrale fondato da Gabriele Gaballo, nato per creare un luogo fisico e mentale dedicato ai giovani. Si tratta di produzioni d’ispirazione classica, rivisitati in chiave moderna
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AE (Teatranti Autonomi Erranti) è espressione del cuore, è un luogo in cui rifugiarsi ma non isolarsi, un luogo per essere sè stessi e allo stesso tempo tante persone, un posto dove far gruppo dando il meglio di sé. Il TAE nasce nel 1995 da un’idea del fondatore Gabriele Gaballo –attore e regista– che nota l’assenza in Treviglio di un luogo, fisico e mentale, dedicato ai giovani e a chiunque provasse passione per il mondo del teatro. Da allora si afferma come gruppo teatrale sempre in salita con mete ben precise e prestigiose. Lele, così conosciuto tra gli amici, nasce nel 1950 e negli anni si afferma come ‘spirito libero’ nel mondo dello spettacolo. Fin da giovane si crea un bagaglio di esperienze da far invidia, a partire dalla realtà locale fino a grandi nomi del teatro contemporaneo. Da giovane partecipò a stage con Eugenio Barba, successivamente con Dario Monfredini e con altri grandi quali César Brie ed Héctor Malamud. Oggi occupa il ruolo di direttore artistico all’interno del TAE, ruolo che, confessa, intende lasciare a breve a Max Vitali, veterano del gruppo. L’obiettivo del gruppo, spiega Stefano Rozzoni –poco più ventenne e già Presidente TAE–, è di proporre un teatro per il “popolo” in modo da far appassionare gli spettatori ad un’arte alternativa e far conoscere loro e agli attori stessi i diversi contesti teatrali tra-
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mite un linguaggio non convenzionale che tratti di attualità. Quella che viene presentata è un’apertura a tutto tondo sulle diverse arti sceniche. Il teatro d’autore, la ricerca e la lettura di testi, le tecniche del circo e del teatro di strada, la narrazione per adulti e ragazzi, la musica e la clownerie si contagiano tra loro; è questa una scelta che descrive l’esigenza di abbracciare un pubblico vasto senza trala-
sciare qualità e intento educativo. Al fine di raggiungere un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo, dalla strada ai grandi teatri, il TAE ha dato avvio a progetti altamente interessanti e affascinanti in grado di dare al gruppo stesso e alla nostra Città ampia visibilità. Si tratta di produzioni di ispirazione classica rivisitati in chiave moderna inserite in rassegne teatrali che nel giro di breve tempo hanno conquistato non solo Treviglio ma tutta la Gera D’Adda. Tra queste emerge sicuramente Vicoli – rassegna di teatri in strada. Nasce contemporaneamente al TAE stesso e fin dagli esordi propone una ricercata selezione teatrale. Nel corso degli anni si plasma con gli obiettivi del gruppo, offrendo l’intrecciarsi di diversi generi (dalla musica alla comicità, dal teatro di strada alla narrazione). Già il nome lascia trasparire una dedizione per l’ambiente urbano, interpretato come punto di incontro tra le persone. Il progetto vede coinvolti i comuni di Treviglio, Fara Gera D’Adda, Cassano D’Addda e Rivolta D’Adda. Il cartellone 2015 ha previsto spettacoli di grande successo tra cui Orfeo ed Euridice, messo in atto mercoledì 25 febbraio presso il TNT dal Teatro Presente con la regia di Cesar Brie. Domenica 1 marzo, sempre presso il TNT, la Compagnia Teatrale Dionisi ha portato una rappresentazione di Potevo essere io, spettacolo vincitore del Bando NextWork 2013. Altro spettacolo degno di nota quello programmato per venerdì 13 marzo che ha
visto ancora l’auditorium di Piazza Garibaldi protagonista: si è trattato di Capitan Don Calzerotte e Arlecchin senza panza con la regia di Ferruccio Merisi. Aldilà della qualità delle rassegne, il TAE fa parlare di sé anche per i laboratori teatrali che fin dagli albori hanno permesso di scoprire piccoli e grandi talenti con la guida di artisti del mondo dello spettacolo di strada, del circo e del teatro come ad esempio Claudia Contin –conosciuta e amata in tutto il mondo come Arlecchino, è di fatto la prima donna ad interpretare con continuità sin dal 1987 il ruolo maschile di una delle Maschere più famose ed amate della Commedia dell’Arte italiana– che, insieme a Ferruccio Merisi, ha tenuto un seminario formativo. L’11 aprile, sarà ospite del TNT César Brie, attore e regista teatrale argentino di fama internazionale conosciuto soprattutto come drammaturgo. Durante l’anno, inoltre, sono previsti dei corsi base per adulti e ragazzi, dei corsi avanzati e dei laboratori per le scuole. Ad occuparsene è in genere Max Vitali, ex Presidente e tutt’ora attore molto conosciuto. I corsi si svolgono nella sede dell’associazione culturale TAE teatro presso lo ‘Spazio Bunker Cantine Teatrali’ in via Bellini 2 a Treviglio. La rete con numerose realtà teatrali con le quali collabora, rende il TAE un terreno di confronto fertile e creativo che merita l’attenzione da parte di amministrazioni e privati cittadini. Il TAE vanta di un numero fisso di attori che si adoperano per migliorare sempre più la realtà cittadina e non solo. Si tratta di Max Vitale, Stefano Rozzoni, Alice Castiglioni, Francesca Gatti, Massimiliano Redaelli, Elisabetta Rota, Stefano Uliveri e Cristian Turcutto. Gli attori e tutti gli amici del TAE, lo descrivono come una “scommessa”, una scommessa comune capace di coinvolgere, appassionare e portare una grande cultura. Ciò che li contraddistingue è sicuramente il pizzico di follia che mettono in ogni rappresentazione. S.G.
Dedicato al maestro Bruno Bettinelli di Silvia Bianchera Bettinelli
Il 18 e 19 aprile prossimi, l’associazione Culturale Malala di Treviglio proporrà la terza edizione del Concorso Pianistico Internazionale, nato per ricordare il l’importante compositore legato a Treviglio
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a manifestazione è nata nel 2011 per ricordare mio marito Bruno Bettinelli, importante compositore e didatta milanese (1913/2004), ha avuto immediatamente un grande successo, sia per il considerevole numero dei giovani iscritti, sia per la perfetta macchina organizzativa. Molte persone in questi anni mi hanno chiesto, “...ma perché proprio a Treviglio e non a Milano che era la città del Maestro?”, la mia risposta è sempre la stessa: per tre ragioni. Per prima cosa, perché conosco la solidità e la serietà del “fare” bergamasco, come pure la generosità e l’impegno. Poi perché il padre di Bruno, il noto pittore Mario Bettinelli, era nato a Treviglio. Terza ragione, ultima ma non meno importante, perché l’ideatore di un concorso pianistico a Treviglio e poi suo attivo organizzatore è un siciliano di Treviglio, il dott. Elio Massimino. Alcuni dei giovani vincitori delle passate edizioni hanno mantenuto la talentuosa promessa. Per ragioni di spazio ne cito solo tre, non me ne vogliano gli altri altrettanto bravi: Miriam Rigamonti e Martina Consonno, recentemente risultate vincitrici del prestigiosissimo premio “Venezia”, che le ha portate, tra l’altro, ad essere ricevute dal Presidente Giorgio Napolitano; cosi pure la piccola Isa Trotta, che si è già cimentata in concerti con accompagnamento d’orchestra
in Stagioni Musicali ufficiali. Ancora da segnalare è senz’altro il formidabile giovane pianista rumeno, Alexandru Cadmile Bitac, che ha stupito la Commissione giudicatrice per la straordinaria maturità esecutiva e l’eccellente padronanza tecnica.
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Treviglio/Musica
Ad Alexandru la prestigiosa Accademia Tadini di Lovere ha offerto un concerto nella sua sede, così come ha fatto l’Associazione Culturale Clementina Borghi, alla quale il giovane rumeno ha dedicato una serata indimenticabile presso la Sala Civica. È opportuno ricordare che alcuni dei nostri vincitori, o finalisti, si sono recentemente esibiti a Brescia per l’Associazione “Romanini” e, presentati dall’Associazione Malala, al Museo del 900 di piazza Duomo a Milano. Per le strade di Treviglio è riapparso il manifesto che ritrae la bella brunetta al pianoforte, protagonista del dipinto “Teresa”, opera dell’artista trevigliese Patrizia Monzio Compagnoni: divenuto oramai immagine-simbolo del Concorso Pianistico Internazionale. Come nelle passate edizioni, ogni partecipante riceverà in dono una medaglia appositamente creata dall’artista trevigliese Battista Mombrini, affinché abbia un ricordo tangibile della città. Città che ha il compito di accoglierlo con il dovuto rispetto, facendolo sentire a suo agio, pur con le inevitabili emozioni che una Commissione giudicatrice non può non provocare, operando in modo che egli veda nel Concorso Bettinelli una prova di studio e di amore per la musica, non una sfida all’ultimo sangue, come spesso, troppo spesso, avviene nei Concorsi. Il nostro Comitato d’onore, già di tutto rispetto, si è arricchito di due nomi eccellenti: Beppe Menegatti e la consorte Carla Fracci. Entrambi gli artisti hanno donato a Malala, lo scorso dicembre, una serata magica e commovente, serata che avrà il suo prosieguo in una mostra fotografica a cura dell’amica Adi nel Chiostro del centro civico, inaugurata il giorno 11 aprile alle ore 16. Per concludere, ricordo che le selezioni al Concorso pianistico sono pubbliche e avranno luogo il prossimo 18 aprile presso l’Istituto Scolastico “Tommaso Grossi”, che molto generosamente lo ospita, mentre il concerto dei vincitori, sempre con ingresso libero, si terrà il successivo giorno 19 alle ore 16 presso il Teatro Nuovo di Treviglio in piazza Garibaldi.
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Icat/Una storia Trevigliese
La Filarmonica di Bohemia a Treviglio
L’Icat e il definitivo
di Hana Budišová Colombo
a cura di Tienno Pini
Abbiamo raggiunto telefonicamente il maestro Alfonso Scarano per un intervista sul suo lavoro, ma anche per commentare la sua esperienza trevigliese lo scorso 27 Marzo, quando ha diretto l’Orchestra Bohemia di Teplice
I successi ottenuti sotto la guida di Paolo Bittante, produssero ulteriore impegno e spinta a crescere, non senza discussioni e tensioni. A “Cecca”, ovvero Arnaldo Bellini, il compito di spegnere gli incendi.
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l 27 marzo scorso Treviglio ha ospitato l’Orchestra Filarmonica di Nord Bohemia di Teplice. L’orchestra, diretta dal maestro Alfonso Scarano, ha presentato i capolavori di Smetana, Dvořák e due brani per violoncello e orchestra (Bruch e Tchaikovsky) eseguiti dalla violoncellista coreana Meehae Ryo. Abbiamo chiesto al maestro Scarano di rispondere ad alcune domande. Lei è direttore d’orchestra con una ricchissima esperienza internazionale. Viaggia regolarmente tra Repubblica Ceca e Bangkok, non contando le numerose collaborazioni in altri paesi, non solo europei. Come si lavora con gli artisti, spesso di culture così differenti? Da molti anni lavoro in Repubblica Ceca, mentre a Bangkok il rapporto con la Thailand Philharmonic Orchestra è più recente. Mi considero fortunato perché ho la possibilità di lavorare sia nella vecchia Europa che nella rampante Asia e lo trovo un perfetto mix. Il mio ruolo di Chief-dirigent a Teplice mi impegna per circa 15 settimane all’anno,
mentre a Bangkok quest’anno ne ho fatte 10 di settimane. Inoltre ci sono gli impegni come ospite e quelli in Conservatorio. Faccio i salti mortali con gli aerei ma riesco a rispettare tutti gli impegni. Per quanto riguarda le differenze culturali devo confessare di non tenerne conto in nessuna maniera: io lavoro allo stesso modo sia che diriga a Teplice sia che diriga a Bangkok. Non dico che non ci siano differenze tra le due orchestre, ma il mio approccio, il sistema di lavoro e tutto quello che ne consegue è identico. Da 15 anni collabora con diverse orchestre in Rep. Ceca e nel 2013 è diventato Direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica di Teplice. Com’è il suo rapporto con la musica ceca? Amo i compositori Cechi alla follia. Considero Janáček un compositore dall’animo pulito, onesto con se stesso, unico ed originale. Ho diretto molte volte la sua Sinfonietta, Taras Bulba e il prossimo anno farò la suite dall’opera “Da una casa di morti”. Ho appena inciso la sinfonia “Menschheit” di Schulhoff. Da noi in stagione a Teplice la musica ceca è una presenza costante. L’anno
By: Andrea Donghi
successo nazionale
scorso è stato l’anno della musica ceca e tutte le orchestre del paese si sono impegnate ad eseguire almeno un compositore ceco in ogni concerto. Se pensiamo che solo da noi a Teplice abbiamo 17 programmi in abbonamento spalmati in 3 turni si ha un quadro chiaro della portata dell’evento. La Repubblica Ceca ha 10 milioni di abitanti, tanti quanti la sola Lombardia, ma ha 30 orchestre statali. La Lombardia di stabile ha le orchestre della Scala, dei Pomeriggi e la Verdi. Si tenga conto che la sola Filarmonica di Teplice tiene una media di 100 concerti all’anno tra stagione in abbonamento, tournée all’estero ecc …. Potrebbe spiegare più da vicino, il perché un artista si sente costretto a cercare il lavoro fuori dal suo paese? Perché l’Italia si trova in ritardo rispetto agli altri paesi, non solo europei? Io non mi sono mai sentito costretto a cercare lavoro fuori dal mio paese. Sono di ruolo in conservatorio da quasi 20 anni dopo aver vinto il “famoso” concorso per titoli ed esami (“famoso” perché è stato l’unico concorso bandito dallo stato Italiano negli ultimi 50 anni per cattedre in conservatorio) e per molti anni ho lavorato nei teatri in tutta Italia. La scelta, di lavorare all’estero, è stata dettata da ragioni personali, professionali e di sensibilità verso un sistema (quello Italiano) che non è meritocratico. L’Italia è indietro perché è ferma al 1980 e di lì non si è sostanzialmente più mossa. Sono veramente pochissimi i colleghi che lavorano ad alti livelli oggi in Italia, ma ce ne sono tantissimi che hanno commesso l’errore di aspettare che le cose cambiassero. Ovviamente il cambiamento non c’è stato, ne temo ci sarà. Due parole sul programma presentato a Treviglio. Il programma di Treviglio è stato il tipico programma da tournée. La Moldava e la Sinfonia dal Nuovo Mondo sono opere che tutte le orchestre ceche suonano da sempre. A Treviglio abbiamo avuto il piacere di avere una delle migliori violoncelliste coreane, Meehae Ryo, come solista per le Variazioni su un tema rococò di Tchaikovsky e Kol Nidrei di Bruch.
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opo i primi importanti traguardi, tutto il Coro, all’unisono con il proprio Direttore, reagì con ulteriore determinazione, impegnandosi in una preparazione sempre più attenta ai particolari e ampliando il repertorio musicale in cui le armonizzazioni di Paolo Bittante erano sempre più presenti, a sottolineare una particolarità non solo interpretativa ma anche di repertorio ed espressiva.
La vita del coro
Tale impegno comportò peraltro non poche discussioni all’interno del Gruppo, anche perché ciò significava una maggiore attenzione alle singole voci dei coristi, con prove talvolta stressanti, basate anche sui famigerati “quartetti”, nei quali un tenore primo, un tenore secondo, un baritono e un basso eseguivano il brano scelto dal direttore; in tal modo non era possibile in alcun modo “appoggiarsi” e mimetizzare le proprie incertezze con le altre voci del gruppo di appartenenza. Un ruolo altrettanto importante giocava poi la gestione della tensione, peraltro tipica di altri momenti della vita corale, in
primis i concerti e ancor più i concorsi. Da tutto ciò scaturivano pareri spesso discordanti, esposti anche in modo acceso, che in talune circostanze comportarono anche l’assottigliarsi dei componenti il Coro. In tali momenti si rivelò sempre fondamentale l’intervento, con relativo peso specifico, del Capo Gruppo, alias Cecca (Arnaldo Bellini), che con tutta l’autorità derivantegli dal ruolo e l’autorevolezza riconosciutagli riuscì a spegnere (quasi) tutti gli incendi. Nel frattempo anche la vita amministrativa del Coro proseguiva, con Tonino Sala (dei tenori primi) nuovo segretario e sempre maggiore attenzione nei rapporti esterni, dove sia il Capo Gruppo sia il Presidente, Massimo Stedile (“il baciatore”, per il suo modo estroverso di accogliere e incontrare tutti), eccellevano, contribuendo a stabilire una sempre più fitta rete di rapporti con il mondo corale italiano. Inoltre non c’era manifestazione corale nell’ambito di diverse decine di chilometri, talvolta centinaia, che non vedesse presente qualche corista “icatino”, con l’intendimento di conoscere e di farsi conoscere sempre meglio.
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Icat/Una storia Trevigliese
Un successo tira l’altro
Dopo la grande affermazione di Roma nel 1970, con il primo posto assoluto in Piazza Navona, il 1971 si presentava ricco di opportunità ma anche d’insidie: il Coro era, infatti, chiamato a confermare quanto di buono mostrato nei primissimi anni di vita, pena il rischio di attraversare come una meteora il panorama corale italiano e di divenire uno dei tanti, accontentandosi di mantenere la linea di galleggiamento. Fortunatamente tutto andò per il meglio, grazie al massimo impegno nella preparazione invernale, alle felici scelte di repertorio di Paolo e a una ben studiata fase di avvicinamento, con diversi concerti in provincia, nel corso dei quali esordì la nuova presentatrice, Luisa Casirati (visto che ormai Maria Morino Sommacal era occupata dal ruolo di moglie e mamma). Il Coro affrontò quindi importanti cimenti, in cui si confrontò con diversi tra i massimi esponenti corali nazionali. Primo fra tutti l’impegno di Rovereto, nella bomboniera del Teatro Zandonai, dove a metà marzo l’ICAT partecipò alla 6° Rassegna Cori Alpini, esibendo il proprio personalissimo repertorio, che peraltro poco o nulla concedeva alla montagna, tra cui i brani “Les trois cloches” e “Kalinka”. Nella tana del lupo, in piena patria della SAT, fu un successo entusiasmante di pubblico e di critica, che nemmeno i coristi più ottimisti avevano immaginato. A proposito di critica basti citare quanto scritto dal corrispondente del quotidiano locale “…il Coro ICAT ha dato veramente un tocco d’internazionalità. Stupende le melodie armonizzate dal Maestro Bittante, soprattutto perché salvano e mettono in risalto la linea melodica originale della canzone. Perfetta fusione, acuta sensibilità, ma soprattutto attenzione a salvare in ogni canzone lo spirito del popolo, la sua storia. Non c’è indulgenza ai facili effetti o al virtuosismo manieristico perché il coro si propone come interprete di canti tradizionali e interpretare vuol dire fare proprio lo spirito di quella melodia senza intaccare la sua pu-
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rezza…”. (L’Adige 22/3/1971). La successiva uscita, ai primi di giugno, non fu altrettanto felice dal punto di vista del risultato: in quel di Borno, in Valle Camonica, al 5° concorso nazionale Canti della Montagna l’ICAT presentò un canto spiritual “Go down Moses” e pagò dazio. La scelta ardita compromise il piazzamento finale ma mostrò a tutti la pasta di cui era fatto il coro trevigliese e la sua volontà di rompere con gli schemi tradizionali. Due settimane dopo, nell’incantevole cornice di Brunate, a strapiombo sopra Como e il suo lago, una pronta rivincita: il Coro si aggiudicava il secondo posto al 3° Concorso Canti della Montagna. Passati pochi giorni ecco di nuovo l’ICAT a Roma, ospite per il terzo anno consecutivo nel salotto di Piazza Navona. Il concorso era stato trasformato in rassegna, quasi a volerne smussare gli aspetti competitivi, ma ugualmente il Gruppo trevigliese ottenne unanimi consensi, con il Direttore Artistico della manifestazione, il Maestro Fernandez Pio, che non smetteva di congratularsi e di presentare Paolo Bittante a tutti gli ospiti di rango. Tra
questi impossibile non ricordare il trevigliese Senatore Aurelio Colleoni, seduto in prima fila ad applaudire i suoi concittadini, e una delle star del momento, l’attrice Sylva Koscina, che con molto garbo e simpatia posò con il coro in una foto ricordo. La manifestazione fu registrata dalla RAI e quindi messa in onda, con soddisfazione di molti e non dei soli coristi, il 25 novembre successivo, in seconda serata dopo Rischiatutto, la trasmissione cult del periodo! Ma lo spirito del Coro non era costituito solo da lustrini, apparire, riscuotere (talvolta) grandi complimenti ma era soprattutto spirito di corpo, senso di appartenenza e partecipazione, di sacrificio. A tale proposito può servire ricordare un aneddoto fra i tanti. Qualche giorno dopo la trasferta di Roma due giovani coristi, tra cui chi scrive, avrebbero iniziato l’esame di maturità e da mesi si andavano ripetendo che, con grande rammarico, la rassegna di Roma non poteva rientrare nei loro programmi, impegnati nella preparazione agli esami. Per farla breve, due ore prima della partenza l’unanime quanto improvvisa decisione di partire per Roma con il coro, dopo aver promesso ai genitori che la trasferta non avrebbe interrotto la preparazione scolastica. E così fu. Per tutto il viaggio di andata sul pullman fu un continuo ripasso, anche con l’appassionato contributo di Amilcare Borghi, colonna dei tenori secondi e apprezzato professore di Greco e Latino al Liceo Classico di Treviglio. Anche la consueta uscita turistica mattutina nella capitale non li vide col gruppo, bensì in albergo impegnati nello studio, ma grande fu la soddisfazione di poter essere sul palco la sera e di contribuire alle sorti del Coro. (Solo per eventuali curiosi: gli esami poi andarono più che bene e mai scelta si rivelò più azzeccata!)
Primo posto assoluto ai concorsi nazionali di Cesano Maderno, Brunate e Toano
Superata la consueta pausa estiva ecco nuovamente il Coro impegnato in uscite importanti e prestigiose. Anche la nuova stagione fu prodiga di successi. Il 10 ottobre il Coro si classificò primo assoluto al 5° concorso Nazionale Cori Alpini di Cesano Maderno, aggiudicandosi il Trofeo Stella Alpina (una stella alpina in oro massiccio incastonata in una pietra). Tre settimane dopo a Genova, al 2° Festival Cori Alpini, tenutosi alla Fiera del Mare, l’ICAT si classificò tra i finalisti, al 5° posto su circa trenta partecipanti, e raggiunse un personalissimo successo aggiudicandosi la “Coppa Simpatia” assegnata dagli oltre duemila spettatori presenti alla serata di gala finale. Infine, come di consuetudine, verso la fine dell’anno solare si provvide al rinnovo delle cariche sociali e così avvenne che (in modo semplice e naturale senza alcuna discussione, cosa non frequentissima per la democrazia del Gruppo), anche su indicazione
dell’uscente Massimo Stedile, fu nominato nuovo Presidente Edoardo Musazzi, baritono, persona autorevole (nella foto), benvoluta da tutti, mite e di grande buon senso. Massimo continuò peraltro nel suo apprezzatissimo ruolo di tuttofare ma soprattutto di ambasciatore (“baciatore” ufficiale del Coro). Confermatissime le altre due cariche: Tonino Sala segretario e Arnaldo Bellini capo gruppo (praticamente a vita). L’inizio del nuovo anno solare, il 1972, venne impiegato in diversi concerti di preparazione ai successivi concorsi. Tra questi merita una menzione quello tenutosi a Casalpusterlengo (con il Coro in gran spolvero e il solista Max Muller sugli scudi, di cui le registrazioni sopravvissute sino ai giorni nostri danno testimonianza). Successivamente ebbe inizio il periodo cruciale dedicato a vari concorsi nazionali. A maggio, al XII Con-
corso di canto Corale “Stambecchino d’oro” (dal trofeo in oro massiccio) di Tradate, l’ICAT, dopo quasi due ore di riunione della giuria, ottenne un contestatissimo secondo posto, con la contemporanea assegnazione del “Trofeo intonazione”, come a parziale rifusione dello sgarbo patito. Ma nuovi e più importanti successi erano dietro l’angolo: in giugno una magnifica doppia affermazione. La prima con la vittoria al concorso di Brunate, dove l’anno precedente il Coro si era fermato al secondo posto. La seconda, ancora più importante, dopo l’ormai consueta trasferta a Roma (la quarta consecutiva): il 29 giugno, a Toano, ridente centro dell’Appennino Reggiano, l’ICAT coglieva il primo posto al 4° Festival omonimo, importante manifestazione esclusivamente su invito cui erano presenti molti cori considerati dei veri pezzi da novanta e con una qualificatissima
giuria, aggiudicandosi l’ambito Trofeo La Pieve sul Monte, una coppa in argento finemente cesellata a mano. Fu una giornata tanto faticosa, per tutti ma in particolare per Paolo il Direttore che l’affrontò in precarie condizioni di salute, quanto entusiasmante e gratificante. La torta sulla ciliegina fu la conoscenza di una bellissima e simpaticissima Ivana Monti, originaria di Toano, allora giovane promessa del Teatro italiano e del Piccolo di Milano, allieva di Strehler, poi affermatasi a livello nazionale, ove raggiungendo anche Treviglio nel corso delle sue tournée, ebbe modo di incontrare molti anni dopo alcuni coristi e di visitare la sede. Di certo però anche lo gnocco fritto, il vino e i salsicciotti lasciarono un ricordo indelebile, ma solo a concorso concluso e a vittoria proclamata! (4 – continua)
L’ultimo saluto a Lilla
C
olpita da un male incurabile e repentino, ci ha lasciato in punta di piedi, come suo costume, Caterina Di Rico, per tutti Lilla, moglie di Toni Galuppo, secondo Direttore del Coro ICAT e molto di più. Era “scesa” a Treviglio dal varesotto nel 1977, con il suo compagno di vita e direttore corale Toni ed altri tre devoti e instancabili coristi. Splendida voce, con loro ha macinato nel tempo decine e decine di migliaia di chilometri, senza mancare ad una prova. Con lei per la prima volta il Coro contava sulla presenza di una voce femminile che, ancorché unica, segnò un punto di discontinuità senza ritorno con il passato, contribuendo a dar corpo al “nuovo” sodalizio trevigliese, in cui si fondevano, anche grazie alla sua voce, grazia interpretativa, originalità e raffinatezza. Ma con la sua presenza costante Lilla non fu solo corista, fu anche (e forse soprattutto) la compagna inseparabile dell’amato Toni, la sua confidente, il primo ed ultimo baluardo volto ad arginare i suoi proverbiali scatti d’ira, brevi quanto incontenibili, il suo parafulmine, con il rischio di essere lei stessa poi coinvolta in prima persona nelle esondazioni verbali del marito. Ma, anche al contrario, durante una prova, d’improvviso, fu oggetto di una dichiarazione pubblica d’amore che lasciò tutti sbalorditi: mai più sentito nulla di simile, nemmeno nei film. Moglie devota che si prendeva cura del compagno, aiutandolo, dopo ogni prova, anche a cambiarsi e detergendogli il corpo madido di sudore. Dopo qualche anno di connubio, nel 1981 Toni (ovviamente con Lilla) ed il Coro si separarono, ma i rapporti umani andavano oltre
il Coro e si mantennero affettuosi nel tempo, anche dopo la dipartita di Toni. Successivamente non mancò mai agli inviti del Coro, quasi che il passare del tempo rafforzasse il legame di amicizia, e con piacere aveva partecipato anche all’intera giornata del 19 Ottobre scorso, in cui 100 coristi si erano riuniti a festeggiare il 47° anniversario di fondazione dell’ICAT. Andò incontro a tutti con semplicità, tenerezza ed un sorriso, senza nulla presagire. Ciao Lilla, serberemo con piacere il tuo ricordo. E ricordati di salutarci Toni! 19 Ottobre 2014: Caterina Di Rico riceve dal presidente dell’Icat, Roberto Fabbrucci, l’archivio digitale della storia del coro. Al centro Tienno Pini
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Musica/Diventeranno famosi
Gera d’Adda da scoprire
Museo: la bellissima vergine con bambino di Lavinia Galli Machero
Questa opera attribuita al veneziano Michele Giambono, è una tra le tante meraviglie presenti nel museo trevigliese dedicato ai genitori da Pierluigi Della Torre, direttore dell’Ospedale di Treviglio e sindaco provvisorio dopo la Liberazione
Emanuele e la
musica in corpo di Anna Fresia
Giovanissimi talenti della Gera d’Adda sono riusciti a cavalcare palcoscenici come l’Alcatraz e il Factory di Milano. Uno di loro è Emanuele Coppo, trevigliese trapiantato a Cassano d’Adda
I
niziamo il nostro giro nella bassa bergamasca alla ricerca di musicisti vecchi e nuovi, raccontandone la storia, aneddoti e passioni. Naturalmente invitando i nostri lettori ad aiutarci in quest’avventura segnalando, raccontando, seguendoci. Il primo musicista catturato dalla nostra curiosità si chiama Emanuele Coppo, diciassette anni, trevigliese trapiantato a Cassano d’Adda. Emanuele sorprende per la passione e l’impegno, ma anche per la sua capacità di analizzare ciò che ruota intorno ai giovani musicisti. Oltre a voler suonare musica loro in un mondo che sembra prediligere le Cover’s Band, Emanuele e questi ragazzi, pur giovanissimi, esprimono già un loro personale talento musicale. -Come è nata la passione per la musica? “E’ difficile dire da dove nasca la passione per la musica, a volte nasce così, improvvisamente, com’è successo nel mio caso. Avevo iniziato la scuola media e prendevo qualche lezione di chitarra. In quel periodo ho iniziato ad ascoltare musica Rock, sentivo che mi trasmetteva qualcosa di speciale. Da lì è nato tutto e la passione è cresciuta con il passare del tempo”. -Perché hai scelto la chitarra? “La prima volta che ho provato una chitarra elettrica è stato in uno stand della scuola di musica alla quale poi mi sarei iscritto.
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Mi sono subito appassionato. Attualmente suono anche il basso elettrico ed è grazie al basso che sono riuscito ad entrare nella mia band attuale, gli Evengers. Noi della Band prendiamo questo progetto veramente sul serio, infatti abbiamo registrato il nostro primo Ep “Four”. Abbiamo grandi ambizioni e una passione che ci accomuna”. -Che genere prediligi? “A essere sincero, la musica che preferisco suonare è quella che componiamo noi Evengers; suonare la propria musica è fantastico e dà un grande senso di soddisfazione. Le no-
stre influenze spaziano fra tutti i tipi di Rock: in particolare ci ispiriamo a generi come Rock Alternative o Punk Rock”. -Dove suonate abitualmente? “Di solito suoniamo nella zona della provincia di Milano e Bergamo, in locali o in occasione di festival. Nonostante l’età (1517 anni), abbiamo alle spalle tanti concerti, tra i quali Festival come l’EasyRiderRock di Grignano e il Moonasterock di Vaprio d’Adda... Grazie alla partecipazione a concorsi regionali e nazionali siamo riusciti anche a cavalcare palchi come l’Alcatraz e il Factory di Milano”. -Credi che lo spazio offerto ai giovani emergenti sia adeguato? “Non ne sono molto convinto. Spesso, organizzando una serata, i gestori dei locali tendono a dare più importanza a quanta gente l’artista può portare e ciò penalizza i musicisti emergenti: è ovvio che se devono emergere non possono garantire un grande pubblico. Penso che bisognerebbe valorizzare di più il talento, il fattore musicale, ma troppe realtà tendono a vederci solo una mera possibilità commerciale”. -La musica sarà la tua professione? “Assolutamente la mia professione: potrà sembrare un sogno, ma voglio che la mia vita sia dedicata alla musica”. -Ultime esibizioni e programmi? “Ci siamo appena esibiti il 14 marzo presso l’Oratorio S. Giovanni Bosco di Pognano e il 21 marzo presso il CPG (Centro Protagonismo Giovanile) di Cassano d’Adda, oltre alla partecipazione a vari contest musicali. Purtroppo è ancora presto per definire le date estive, ma presto avremo sicuramente nuove proposte, quindi state aggiornati tramite il sito www. evengersrockband.weebly.com!!”. Per la disperazione della mamma, il giovanissimo chitarrista sembra molto determinato nel voler intraprendere la carriera del musicista. Dovrà superare mille difficoltà, alcune delle quali forse ha già incontrato. Per parte nostra: in bocca al lupo!
L’oratorio di T Santa Liberata
C
aravaggio - La chiesetta, che ha origini cinquecentesche (sugli affreschi in essa conservati fu trovata la data 1540), ha una linea architettonica di aria bramantesca e una struttura a forma esagonale, con un portico sui tre lati meridionali e alcune abitazioni sugli altri. ‘Ripulita’, più che ristrutturata, nel 1987, ha sempre avuto problemi di umidità. All’interno si trova un altare ligneo, ritenuto del Seicento, e una pala coeva raffigurante la Vergine col bambino e tre sante: santa Liberata e non è ben chiaro quali altre. La caratteristica decorativa di maggior significato storico sono gli affreschi delle quattro lunette raffiguranti otto Apostoli. Manomessi più di una volta, non sono stati attribuiti, ritenendoli comunque opera di un pittore caravaggino contemporaneo dello Stella, del Prata e del Moietta, tutti del Cinquecento. Ogni anno, nella ricorrenza della festività onomastica della santa (il 18 gennaio), si celebra nel rione Seriola una festa con luminarie e fuochi artificiali.
reviglio - L’opera proviene dalla collezione Botta, dove era conservata con l’attribuzione a Michele Giambono (Venezia, documentato 1420-1462). Nel 1934 la collezione venne messa all’asta a Milano e acquistata da Pier Luigi Della Torre, che era amante dei dipinti di alta epoca. Quindi nel 1961 essa è giunta in museo insieme al resto del lascito dell’ex sindaco trevigliese. La Vergine a mezzo busto regge sul suo braccio sinistro il piccolo Gesù che la osserva con le braccia conserte e le gambe accavallate. Se l’iconografia è di lontana ascendenza bizantina, è ammodernata dall’abbigliamento dei personaggi sacri, vestiti all’ultima moda occidentale. Il bimbo sfoggia un abitino di broccato rosso con decori dorati, scollo arrotondato e mezze maniche; sotto le quali compare una camiciola trasparente a maniche lunghe. Tale abbigliamento si ritrova in molti dipinti ed affreschi di area veneta risalenti al primo quarto del Quattrocento. La tradizionale attribuzione all’area veneta va confermata anche per altri elementi. Per esempio è tipicamente veneziana l’insistente decorazione dei manti con motivi dorati fitomorfi, dipinti senza curarsi del reale andamento delle pieghe sottostanti, che conferiscono all’immagine un eccessivo effetto bidimensionale ma di grande lusso. Anche il velo mollemente abbondante che gira intorno al capo della Vergine si diffonde in area veneta soprattutto a partire dal soggiorno di Gentile da Fabriano.
Le fisionomie dei volti e l’abbondante panneggiare ricordano in particolare i modi di Jacobello del Fiore (Venezia, circa 1370-1439), esponente di punta del tardogotico veneziano, influenzato da Gentile da Fabriano e Michelino da Besozzo e che costituì un precedente importante per la pittura di Michele Giambono. L’imbarazzo nello svolgere dettagli
anatomici, quali i piedi del bimbo, la mano della Vergine, una certa fissità nella posa e degli sguardi, impediscono però di riferire l’opera direttamente al maestro ma consigliano prudenza orientandosi verso un diligente seguace.
Foto: Tino Belloli
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Associazioni/Giovani in gamba
Come nasce un imprenditore
Da Facebook nuovo attivismo a Casirate
Bergamini e le belle Grotte di Castellana
a cura di Michela Colombo
di Roberto Fabbrucci
Dove nasce il gruppo Facebook “Se sei di…”, si innesca un attivismo culturale che contamina soprattutto i giovani, così a Casirate d’Adda. Ecco le iniziative pubbliche che hanno scosso e rivitalizzato il paese
Iniziò grazie ad un giovane cavallo appena comprato. trasportando le ossa per la Montecatini di Treviglio. Poi allargò la sua attività in tutt’Italia fino a scoprire le grotte più famose della Puglia, ...svuotandole
Più che un’intervista, è stato un ritrovo tra amici, tanto è stato l’entusiasmo da parte dei ragazzi del gruppo ‘Sei di Casirate d’Adda se ricordi che...’ di accettare l’invito de “la nuova tribuna” e raccontare la propria esperienza. Una bella tavolata, un buon caffè e l’eterogeneo gruppo parte col raccontarmi come
è nato questo interessante progetto che ha scosso letteralmente la vita casiratese... Il gruppo è nato sul social network Facebook dall’idea di una persona, com’è accaduto un po’ ovunque, questo ha dato il via a iscrizioni di “massa” di casiratesi e non. Così tutti hanno cominciato a postare foto, notizie, ricordi, tanto che l’entusiasmo ha convinto il
M gruppo animatore, nel febbraio 2014, di organizzare la prima riunione. Presenti una decina di persone, che si sono subito affiatate, hanno lanciato qualche idea e alla fine hanno costruito un progetto finalizzato a creare una sorta di macchina del tempo che ricostruisse la storia di Casirate. Il gruppo si trasforma così in un vulcano d’idee, cartelloni, pennarelli, post-it, fino a giungere ben presto alla determinazione di dover riordinare le troppe iniziative, incrementate dai membri del gruppo che continuavano ad aumentare e “postare” materiale e spunti. Allora perché non cominciare a proporre qualcosa in occasione del mercatino dell’estate? Detto e fatto, lo scorso giugno il gruppo decide di prendere parte all’evento stampando delle magliette e delle shopper a tema e diffondendo materiale per informare la popolazione delle attività che aveva in mente di organizzare, trovando subito una risposa positiva dai compaesani. Così sfruttando l’occasione della sagra di Casirate d’Adda, la quarta domenica di ottobre, grazie al sostegno delle aziende locali, i ragazzi organizzano un tam-tam via internet per chiedere ai soci del gruppo di recuperare mobili antichi, fotografie, attrezzi e quant’altro potesse ricreare la Casirate dei tempi andati, una festa contadina. Il materiale che arriva è però moltissimo, tanto da far pensare di allargare la mostra all’intera storia di Casirate d’Adda. Ed è quello che accade in questa mostra di oggetti d’ogni epoca, corredata da fotografie messe in mostra, ma anche pubblicate in un volume, riportando anche testi contenenti soprannomi, filastrocche, modi di dire, curiosità, garantendo con ciò la diffusione e la possibilità di goderne anche a quanti non erano
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riusciti a essere presente alla sagra. Ora le immagini sono state archiviate in attesa di future occasioni. La partecipazione alla mostra è stata clamorosa, molti casiratesi dopo averla visitata una prima volta sono poi tornati, portando con sé amici e parenti e commuovendosi davanti a certe fotografie rare e struggenti. In seguito i membri del gruppo Facebook hanno preso parte alla Gerundium Fest, hanno poi collaborato con il progetto My Everest, organizzando una serata riguardo al tumore del pancreas, dove un oncologo dell’ospedale S. Raffaele ha tenuto la relazione. In quell’occasione sono state realizzate e offerte al pubblico delle candele e il ricavato delle offerte è stato devoluto al progetto My Everest. Infatti, è prassi che il ricavato delle attività del gruppo ‘Sei di Casirate d’Adda se ricordi che...’ venga devoluto in beneficenza. Per chiudere l’anno, a dicembre è stato presentato il calendario in occasione della serata organizzata dal Comune con tutte le associazioni locali. Il 29 marzo scorso è stato organizzato un concerto con il Corpo Musicale di Albignano presso il centro sportivo ricreativo di Casirate d’Adda, in occasione della Festa di Primavera. Nell’occasione sono stati proposti fiori e candele, il cui ricavato è stato devoluto all’oratorio e al Corpo musicale locali. Successivo appuntamento sarà quello che impegnerà il gruppo alla preparazione del mercatino di Giugno, poi la sagra del paese a ottobre. Tutti i ragazzi del gruppo hanno riscontrato grande risposta da parte dei casiratesi alle varie iniziative: ci auguriamo, quindi, che possano mantenere questo grande e bellissimo entusiasmo che ha alimentato queste persone volenterose fino ad oggi.
io padre divenne amico di Martino Bergamini, un agricoltore che abitava in una cascina sulla strada per Casirate, quando questi arrivò alla Montecatini per mettersi a disposizione con il suo carretto e il suo cavallo. Papà, Bruno Fabbrucci, infatti, era un piccolo dirigente della Montecatini cui aveva fatto da maestro (alla Montecatini di Foligno) lo zio del compianto Nino Crespi, Francesco Resmini. Allora era in uso che i dirigenti delle aziende, ma anche degli uffici statali, non provenissero dallo stesso comune dove avrebbero lavorato, così mentre il trevigliese s’insediò a Foligno, papà fu mandato a Treviglio. Qui divenne responsabile del reparto di produzione fosfati per i fertilizzanti, oltre che della logistica di un’azienda con 150 dipendenti e una movimentazione di camion, tir e vagoni ferroviari particolarmente intensa. Vagoni che entravano direttamente in reparto grazie ai binari che, partendo dalla Stazione Centrale, percorrevano tutta via Murena e s‘infilavano nel portone che si trovava a una ventina di metri dagli edifici (oggi fatiscenti), all’uscita del sottopasso per Calvenzano.: vedi foto a pagina 42. Un incarico, quello della logistica, che calzava a fagiolo su papà, tra l’altro uno dei rari italiani con la patente, l’unico in azien-
da. L’aveva conseguita mentre era di leva a militare in quel di Rovereto divenendo l’autista dei mezzi militari e trasportando qua e là gli ufficiali. Bergamini arrivò nell’ufficio di Fabbrucci per chiedere lavoro dopo una discussione molto accesa con il padre, queSopra Martino Bergamini, sotto la foto descritta nel testo e il puledro, fonte del conflitto con il papà
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Una tragica primavera
Come nasce un imprenditore
sto per via di un acquisto di un puledro, una storia legata allo scatto di una foto del 1943, dove Martino, la moglie in attesa del figlio Lorenzo, un lavorante e parenti, sono in posa accanto al quadrupede. Siamo in tempo di guerra e Martino Bergamini decide di comprare un puledro per allevarlo, quindi appena grande sfruttarlo per arare i campi in sostituzione del debole asino, animale che si usava allora perché poco costoso, anche come gestione: mangiava poco. Babbo Bergamini non la prese bene, poiché riteneva che il cavallo fosse troppo dispendioso: mangiava quanto due mucche senza produrre latte. Martino, non la pensava così, quindi per dimostrare al papà che aveva fatto la scelta giusta, iniziò a usarlo per trainare il carretto, infatti, aveva visto un business nel trasporto del materiale raccolto dai rigattieri. Roba che andava poi distribuita a chi ne aveva necessità: fonderie, straccivendoli, vetrai, pelliccerie e la Montecatini. Infatti, in quei tempi i rigattieri raccoglievano il ferro vecchio, metalli vari, vetro, legna, pelli di coniglio, persino di topo e nutria. Poi stracci, ma soprattutto ossa di cui le macellerie e contadini volevano
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A sinistra Bruno Fabbrucci, sopra -a sinistra in abito grigio- con i dipendenti della Montecatini di fronte alla fabbrica. Per orientarsi: tra i deue palazzi inizia il sottopasso ferroviario per semaforo di viale Piave. Nel portone che si intravede i binari
liberarsi dopo la macellazione, materia prima della Montecatini da cui ricavava la base per produrre la colla per falegnami, la farina di fosfato per i fertilizzanti e addirittura la gelatina per le pellicole Agfa. Gelatina la cui sperimentazione avveniva proprio a Treviglio, a cura di un paio di ricercatori nostri vicini di casa e amici: il dott. Enrico Tarugi (un conte decaduto) e il chimico Angelo Marani, nipote di una famiglia dell’altissima borghesia veronese, caduta in disgrazia e povertà durante la prima guerra mondiale. Altre storie di cui avremo modo di parlare. Martino, che aveva la dote dell’imprenditore nel Dna, come un po’ tutti i Bergamini di Treviglio, capi subito che la Montecatini poteva rappresentare un passo importante del suo futuro, così bussò alla porta dell’ufficio di mio padre e offrì i suoi servizi. La proposta fu girata al direttore di allora, il dott. Biasia, che ne intravide le potenzialità e consentì a Bergamini di lavorare per la più grande industria chimica italiana, dimostrando al padre che aveva avuto l’idea giusta. In breve tempo il trasporto delle ossa necessarie alla Montecatini divenne la prima attività di Martino, tanto che si dovette organizzare con altri carri e carrettieri (amici e colleghi), fino a formare vere e proprie carovane che facevano spola tra la grande fabbrica di Segrate e la sorella minore di Treviglio, portando le ossa raccolte, o trasferendole da una fabbrica all’altra. Era, infatti, in quel grande stabilimento che si estraevano oli e grassi per realizzare altre materie prime. Così all’ex contadino fu chiesto, oltre al suo lavoro di trasportatore della fabbrica, anche quello di organizzare la raccolta di ossa in vasta scala nella pianura
Bergamasca e dintorni. L’inizio fu difficile, raccontano i figli Lorenzo e Franco, piano piano però costruì una vera e propria organizzazione per raccogliere dai macelli e dalle macellerie gli scarti in grande quantità, prima nei dintorni di Treviglio, poi in tutta Lombardia, allargandosi pian piano fino al sud, in Puglia. Nella sua ricerca, mentre era nei pressi della stazione ferroviaria di Bari, s’imbatté in Salvatore Del Vecchio, bracciante che cercava lavoro e che riferì di un’enorme fossa contenente ossa a Castellana, cittadina allora di 12.000 abitanti a quaranta chilometri dal capoluogo. In quella zona i macellai del circondario, ma chiunque avesse scarti e macerie da buttare, risolveva il problema gettandoli in questa voragine profonda sessanta metri alla periferia del paese. Bergamini si fece accompagnare da Salvatore alla cavità, scoprendo sul fondo –tra altri rifiuti- che le ossa “mummificate”, cioè asciugate e pronte per la lavorazione della Montecatini, erano molto di più di quanto si aspettasse. Una cava, quella di Castellana, sotto osservazione dal 1938, quando la soprintendenza aveva chiamato da Lodi il prof. Franco Anelli (già direttore delle Grotte di Postu-
Sopra l’attrice Silvana Pampanini in visita alle grotte, sotto a sinistra, l’ancor più famosa star del cinema Gina Lollobrigida, A destra Teresa Galbiati accanto alla figlia Ernesta Bergamini. Seduta la moglie di Martino Bergamini, e mamma di Lorenzo e Franco, Angela Ronchi
mia e uno dei padri della speleologia italiana), a fare sopralluoghi. Fu così che Martino Bergamini, facendo il suo business, si trovò a bonificare la discarica abusiva e contribuire a trasformare le grotte, con i suoi 240 mila visitatori annui, nella prima risorsa turistica della Puglia. Il lavoro fu però davvero titanico e iniziò proprio con l’aiuto di Salvatore Del Vecchio, che coinvolse chiunque avesse un carretto e un cavallo. Il lavoro fu anche faticoso: scendere nella fossa, raccogliere le ossa, caricarle sui carretti, percorrere 40 km a passo d’uomo (7/8 ore), arrivare alla stazione ferroviaria di Bari, caricare il materiale sui vagoni destinati a Treviglio, o Pioltello, e tornare a casa. Ci volle parecchio tempo per svuotare la grande cavità, circa tre anni, fino a quando i braccianti che stavano raccogliendo le ultime ossa arrivarono a liberare completamente l’ingresso alle altre grotte. La cosa fu comunicata a Martino Bergamini che scese a visitare il luogo capendone pienamente le potenzialità. Le ricerche e le esplorazioni della troupe del prof. Anelli continuarono nel tempo, fino a mostrare il profilo completo di un immenso vuoto sotterraneo. Data la loro straordinaria bellezza, le grotte furono rese turistiche ed ebbero tanto successo da far cambiare il nome della stessa cittadina, che divenne “Castellana Grotte”. Furono scavati degli ingressi per i turisti, mentre la voragine fu recintata, messa in sicurezza e pronta a far presagire al visitatore la grandezza e il fascino di questo mondo sotterraneo, oggi visitato da circa 250 mila persone l’anno. La storia dei Bergamini continuò, prima coinvolgendo i suoi fratelli, quindi i figli e i nipoti. Oggi la ditta si chiama Ecb e da decenni è tra le prime aziende al mondo per la produzione di alimentazione base per i gatti e i cani di tutto il mondo, …e a sede a Treviglio.
Quel partigiano che picchiò la nonna
Dal libro “Una tragica primavera” una vicenda che parla delle donne Bergamini, bistrattate dai tedeschi e dai partigiani. Una storia che fa meditare sul bene e sul male, ricordandoci che la verità sta sempre nel mezzo
A
nche nella cascina dei Bergamini la vita era grama, per i mariti e i figli in guerra, per le “visite” dei fascisti e dei partigiani, piuttosto che dei Tedeschi che pretendevano sostegno alimentare. Teresa Galbiati, nonna di Lorenzo Bergamini (il neonato nella foto), quando arrivarono i Tedeschi in ritirata nella primavera del 1945, si trovò ad aver a che fare con una ventina di loro. Infatti, giunti alle porte di Treviglio (la cascina di Martino Bergamini era oltre la ferrovia sulla strada nei pressi della Madonnina di Lautrec), decisero di pernottare e chiesero, armi alla mano, qualcosa da mangiare per tutti. Erano in molti e non ce ne era abbastanza, così con modi perentori, intimarono all’anziana signora di andare a cercare cibo in altre cascine. La signora Teresa era sola con sua figlia e il nipotino Lorenzo di appena due anni, perciò chiesero aiuto alle cognate nella cascina. I Tedeschi rimasero per quattro o cinque giorni, così queste donne girarono per altre cascine per racimolare il necessario. Vi fu grande solidarietà tra le donne della zona, consapevoli del pericolo che le poverette correvano, regalarono quanto potevano per sostenerle e evitare i pericoli di azioni da parte di gente armata, reduce da battaglie, devastata dalla sconfitta e da quanto poteva loro accadere tornando in patria. Finita la guerra, racconta Lorenzo Ber-
gamini, arrivarono partigiani armati mentre le donne erano sotto casa. Dissero che dovevano arrestare la madre e la nonna perché avendo aiutato i Tedeschi erano accusate di collaborazionismo. “Nonna Teresa si parò davanti alla mamma per farle schermo e si rivolse ai liberatori con coraggio, dicendo di arrestare solo lei, l’unica responsabile. Il partigiano la schiaffeggiò con grande forza facendole sanguinare il labbro, poi la fece salire su un camion per condurla alle prigioni mandamentali e forse chissà ancora dove. Fu un capo partigiano, una brava persona, che conoscendola come antifascista, fermò il mezzo e ordinò di farla scendere, così venne salvata”. r. f.
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Caravaggio/Fontanile Brancaleone ria proposti dalla Regione Lombardia al Ministero dell’Ambiente. E’ un patrimonio che è sempre stato in pericolo. Tra le molte cause del degrado la principale era determinata dalle acque del torrente Morletta e della roggia Brembilla, che alimentavano impropriamente il fontanile, riversando al suo interno fanghi e rifiuti. L’Amministrazione Comunale di Caravaggio, grazie anche a un contributo a fondo perduto di 716 mila euro erogato dalla Regione, ha colto l’occasione per espropriare le porzioni di terra strettamente necessarie per la realizzazione delle opere previste, quindi acquistare quelle parti dell’area del fontanile, rimaste di proprietà privata, consegnando in questo modo alla cittadinanza una riserva di oltre 60.000 mq di altissimo valore naturalistico e ambientale, ora un fiore all’occhiello della città.
Quel piccolo
paradiso verde a cura di Giancarlo Maretta
Lo splendido fontanile è un luogo da visitare, non solo per la bellezza, ma anche perché è una riserva di piante, insetti, uccelli e anfibi, di cui alcuni da salvare perché a rischio estinzione
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ra le bellezze poco conosciute nella Gera d’Adda, consigliamo la Riserva Naturale “Fontanile Brancaleone” che si trova nel territorio di Caravaggio in località Gavazzolo, al confine con il Comune di Pagazzano. E’ un’area che si estende per circa 100 ettari ed è di particolare interesse scientifico per la presenza di rare specie animali e vegetali. Un’area considerata di interesse comunitario aperta al pubblico nel 2013, dopo un lungo lavoro di riqualificazione. Si ipotizza che anticamente, prima delle bonifica del XIV secolo, le acque del Brancaleone alimentassero il Lago Gerundo, una regione acquitrinosa tra l’Adda e il Serio che si estendeva da Vaprio a Lodi e copriva gran parte della Gera d’Adda. Passeggiando per la riserva si possono vedere i fontanili scavati dall’uomo per bonificare i terreni paludosi. La vegetazione che li circonda conserva ancora tracce dell’antico manto boscoso della Pianura Padana. E’ una riserva che accoglie molte specie animali, un tempo tipiche della Pianura e oggi in pericolo d’estinzione. Visitando il Fontanile Brancaleone si posso incontrare l’airone cenerino, il germano reale, la gallinella d’acqua, il martin pescatore, la poiana, il barbagianni e molti altri volatili. Alcuni di loro nidificano nella riserva, altri si possono
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osservare mentre volano sulle coltivazioni vicine, di altri se ne può ascoltare il canto. Tra gli anfibi la specie più rara è la rana di Lataste, una specie tipica del Veneto e del Friuli, ma un tempo diffusa nella pianura padana e di cui rimangono pochissimi esemplari in Lombardia e in Emilia Romagna. La vegetazione dell’area di Brancaleone è molto ricca e si divide principalmente in quattro zone: un area boscata dove troviamo tra gli esemplari di pioppo nero, olmo e robinia, un sottobosco di rovi fitto e impenetrabile, un’area meravigliosa di vegetazione palustre e un’area a prato. Oltre alle visite individuali è possibile richiedere delle visite guidate per gruppi e scuole, un’occasione unica per scoprire e osservare la biodiversità del nostro territorio.
Per saperne di più
Il Fontanile Brancaleone è una riserva naturale che misura 42 mila metri quadri, e uno dei fenomeni naturali di maggior interesse che caratterizza la pianura padana, costituito dalla presenza di numerose risorgive. Questo Fontanile, come molti altri fontanili padani, racchiude in pochi metri di territorio un patrimonio di specie vegetali e animali irripetibile, ed ora è diventato Riserva Naturale Biogenetica, con ciò è inserito nell’elenco dei siti di importanza comunita-
La vegetazione
Il Fontanile Brancaleone ha evidenziato la presenza di oltre 100 specie erbacee, di una ventina di specie arbustive e arboree, poi di numerose specie tipiche della flora acquatica e algale. Tra le specie vegetali acquatiche più evidenti presenti presso le rive, troviamo il crescione d’acqua, la veronica acquatica e il sedano d’acqua. Tra le rive e le polle troviamo la menta acquatica e i nontiscordardime d’acqua. All’uscita dell’acqua dalle polle si trova l’elodea, l’erba gamberaia e il millefoglio. Lungo le rive crescono cannucce di palude e il giunco di palude.
La fauna
La biocenosi del fontanile, oltre alla tipica fauna delle acque, presenta anche una fauna detta freatica, che popola le falde d’acqua sotterranea. Sono due le specie animali nuove individuate, il Niphargus microcerberus e il Nipbargus duplus, piccoli crostacei anfipodi simili a dei gamberi d’acqua dolce ma a differenza di questi, privi del possente carapace che ricopre tutto il torace. Fra i molluschi gli elementi più rappresentativi sono i gasteropodi polmonati mentre tra gli anellidi è presente la sanguisuga cavallina e il Tubi-
flex tubiflex. Numerosissimi sono gli insetti che popolano le acque del Fontanile, innanzitutto gli Efemerotteri. Sulle acque calme del Fontanile sono presenti numerosi esemplari di gerride (ragno d’acqua). L’ambiente umido, ricco di erbe e boschi, favorisce il riprodursi della lucciola le cui femmine non volano e lanciano i loro messaggi luminosi arrampicate su steli d’erba o su fiori mentre i maschi, molto più piccoli, intessono balletti di luce nell’aria. I pesci presenti sono il luccio, la tinca, i più rari ghiozzo e scazzone, triotto e la scardola. Tra gli anfibi si segnala il Bufo bufo e la rana verde, cacciata in passato a causa delle sue prelibate carni, oggi quasi completamente scomparsa a seguito del continuo inquinamento delle acque. Presente sui vecchi alberi o presso i cespugli, è il ramarro; ma non mancano rettili quali la lucertola dei muri e l’orbettino. Un elemento che colpisce il visitatore è il canto melodioso degli usignoli; altri passeriformi nidificanti sono l’usignolo di fiume e il codirosso. In collaborazione con Gianni Testa (Assessore alla Cultura di Caravaggio). Fotografie di Pino Pala.
La rana di Lataste rischia di estinguersi Si tratta di una specie di grande interesse zoogeografico, un tempo diffusa in tutta l’Italia settentrionale, attualmente non si conoscono altre presenze oltre al quelle del Fontanile Brancaleone
E
’ una rana unga circa 7 cm e presenta una colorazione piuttosto variabile, sui toni del bruno-rossastro, che le consentono di mimetizzarsi con le foglie secche del sottobosco. Esistono in letteratura diverse segnalazione di Rana “latastei” nella pianura a sud e a ovest di Milano, mentre dagli anni ’70 non esistono segnalazioni della presenza di questa rana, tranne che nel fontanile Brancaleone; ciò fa supporre che la specie sia del tutto scomparsa nel resto della Pianura Padana. L’elevata densità di popolazione, unita al tumultuoso sviluppo economico degli ultimi decenni, ha portato alla scomparsa di gran parte degli ambienti naturali e semi-naturali un tempo presenti. Le tecniche agricole erano, inoltre, più rispettose dell’ambiente in confronto con quelle utilizzate oggi che tendono a uniformare il paesaggio, riducendo la varietà di ambienti e conseguentemente la biodiversità.
La riduzione degli elementi naturali o seminaturali del paesaggio è avvenuta soprattutto a carico dei boschi, dei filari, delle siepi, delle marcite e dei fontanili, e le conseguenze sono state la rarefazione e, in molti casi, l’estinzione di molte specie animali e vegetali. Il riequilibrio ecologico dell’area metropolitana passa, quindi, anche attraverso la reintroduzione di taxa scomparsi dal territorio ed il rafforzamento di popolazioni sull’orlo dell’estinzione.
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Cinema/Il “dietro le quinte”
Enrico e l’Albero degli Zoccoli di Ivan Scelsa
Enrico Leoni, segretario di produzione del film, organizzò i provini in vari comuni della Bassa Bergamasca e seguì poi la produzione per tutto il periodo delle riprese, raccogliendo immagini ed episodi che oggi racconta
Q
uando Ermanno Olmi si presenta nell’allora negozio di Leoni e Cesni a Treviglio, Enrico è ancora poco più di un ragazzo che frequenta l’università. Olmi è alla ricerca di qualcuno che possa coadiuvarlo nella ricerca degli attori nei paesi limitrofi, avendo però già le idee chiare sulla fisionomia che dovranno avere i suoi protagonisti. Costituita la cooperativa con il produttore,
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alcuni scenografi, elettricisti e altro personale indispensabile per realizzare la pellicola, Olmi (che così facendo ha ridotto al massimo gli stipendi per le maestranze) tira fuori i suoi ricordi dal cassetto. Sono i ricordi di un uomo sfollato nel periodo della guerra che ben conosce le fatiche della gente di campagna, quella a cui appartiene e a cui vuole dare voce. Valutata la bontà del suo progetto, la Rai
A sinistra giovanissimo Enrico Leoni immortalato sul set durante una pausa. Sopra le difficoltà di posare un cavalletto in un campo. Sotto uno scatto durante le riprese in via Cavallotti. Poi la segretaria di scena ed una piccola attrice durante le riprese
e la Ital Noleggio Cinematografico decidono di produrre la pellicola senza però investire ingenti somme di denaro: questo costringe anche il regista e i suoi cooperanti a ridursi al minimo i compensi e a centellinare le spese. Accanto a questa prima difficoltà di carattere economico, ben presto si presenta quella relativa alla location: la prima cascina di Treviglio individuata per la realizzazione del film, infatti, si rivela poco adatta a causa della sua vicinanza ai binari ferroviari che, durante le riprese, sarebbero stati ben visibili. Escluse altre possibilità trevigliesi, la scelta successiva cade su una cascina di Martinengo: è tutto concordato e i suoi abitanti sono stati temporaneamente ricollocati in un’altra struttura per consentire la realizzazione del film senza che possano essere di intralcio alla stessa. A circa un mese dall’inizio riprese però, gli abitanti della cascina si rifiutarono di uscire dalle proprie abitazioni, ritardando così il progetto che dovette necessariamente
trovare velocemente un’alternativa. Olmi è demoralizzato: vaga nelle campagne della bassa bergamasca, tra campi contornati da alberi e piante, alla ricerca di una nuova cascina che possa diventare il naturale teatro di posa per i suoi attori. Il resto della storia lo conosciamo tutti: nel suo vagare, quasi casualmente, si perde nella fitta nebbia e, percorrendo in auto una via a fondo chiuso, s’imbatte nell’ingresso sbarrato di un’abitazione. E’ da solo e, sceso per rendersi conto di dove si trovi, si accorge della cascina abbandonata che gli si staglia davanti. E’ commosso e decide che quella diventerà la location in cui girare L’albero degli zoccoli. La cascina è diroccata e disabitata: necessita di un’importante intervento della troupe per cercare di dare l’idea di essere vissuta. Vengono ricostruite parti mancanti, vengono poste alcune porte ed infissi nuovi che, paradossalmente, necessitano di essere invecchiati dal tempo per far perdere loro quell’immagine finta che avrebbero assunto su di un fabbricato di campagna di vecchia fattura se non fossero state appositamente “bruciate dal tempo”. Nel frattempo incominciano i provini per gli attori. Olmi incarica Enrico Leoni di cer-
care i protagonisti negli oratori e nei bar: è una ricerca che si protrae per molti giorni, in più cittadine della zona, attraverso un volantinaggio a dir poco serrato. I primi provini hanno luogo a Martinengo, seguono quelli di Treviglio, dove gli incontri serali avvengono alla Casa dell’Agricoltore. Ma, contrariamente a quanto avviene oggi, in zona sono ben pochi coloro che desiderano mettersi in mostra davanti alle telecamere: Leoni punta tutto sul volantinaggio, sulla serietà del progetto, sulla storia e su quell’immagine di tutela delle tradizioni del territorio che la pellicola di Olmi avrebbe promosso. In fondo Olmi è colui che ha girato già un film su Papa Giovanni e questo la gente lo ricorda bene. A ognuno di loro, durante i provini, Ermanno Olmi fa una fotografia e qualche domanda, segnandosi l’indirizzo. Così facendo riesce a trovare tutti gli attori: gente vera, dalle origini contadine, proprio quella che cercava e sperava di trovare. La produzione -precisa Leoni- non ha un fotografo di scena, pertanto, dopo aver svolto il suo compito nella ricerca degli attori, è lui stesso a essere ingaggiato da Olmi per assisterlo sul set, anche come fotografo di scena, compito che svolge dopo aver accompagnato
Uno degli attori in un momento di pausa dalle riprese. Sotto “Nonno Anselmo”, poi un’altra scena in via Cavallotti
gli attori in scena. La produzione gli fornisce una pellicola di scarto ricavata da ritagli del nastro Agfa da 35 mm utilizzato per le riprese che, appositamente collocato nella sua macchina fotografica Nikon 24x36, si presta a funzionare a mo’ di rullino. “Spesso non riuscivo a scattare le foto – dice Leoni- perché dovevo andare a prendere gli attori e magari mi toccava aspettarli che mungessero le mucche o che finissero di fare il bucato, o di falciare l’erba per il fieno”. Leoni ricorda tutti i personaggi del film, uno fra tutti il poverello che va a pregare un tozzo di pane o un po’ di polenta nelle cascine (era così anche nella realtà ci confida…). Lo stesso Olmi –continua Leoni- dovette interrompere più volte le riprese perché il fonico scoppiava letteralmente a ridere per la naturalezza e la particolarità della sua recitazione. Ricorda anche il prete con la tunica difforme da quella immaginata da Olmi, poiché priva della fascia sui fianchi che il parroco di Treviglio indossava nei suoi ricordi talmente
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Cinema/Il “dietro le quinte”
vivi, da costringere la troupe a cercarla in extremis per ultimare la scena. Sul set ci sono sempre poche persone, al massimo due, poiché il regista non vuole che la naturalezza degli attori venga sconvolta dalla presenza della troupe. Sono piccole cose, semplici indicazioni di una regia che vuole preservare la massima naturalezza e semplicità, la stessa intrinseca in ogni attore che oggi Leoni ci riporta attraverso i suoi appassionati racconti. Tanti gli aneddoti e gli episodi curiosi ricordati mentre ci parla del film: dalle palline di polistirolo lanciate in scena attraverso una rete per simulare una nevicata in atto, al sale in terra a sostituire l’immagine del giorno seguente la nevicata. Sono riprese effettuate in notturna, alle 4:00 circa, al termine delle quali la troupe mangia le costine, tutti insieme.
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E come in ogni lavoro, ci sono momenti ricordati da scene che potrebbero essere definite quasi comiche: Enrico Leoni ce ne racconta una in particolare, proprio relativa alla finta nevicata descritta. Dopo il lancio del polistirolo, infatti, si rese indispensabile ripristinare il set per un altro ciak; per far ciò fu necessario che la troupe ripulisse il letame dal polistirolo che vi era caduto sopra! Qualcosa che farebbe rabbrividire ogni attrezzista dei nostri tempi. Ricordi semplici e allo stesso modo importanti, fatti di sacrificio, collaborazione e amicizia, quella che tutt’oggi lega coloro che a quel film hanno preso parte e che, periodicamente, si ritrovano per ricordare quei giorni. Leoni segue (per volere dello stesso Ermanno Olmi) anche la post produzione del doppiaggio in un bergamasco, che viene volutamente “italianizzato” per renderlo
A sinistra una scene girata in via Cavallotti e sopra in cascina, mentre Olmi istruisce gli attori. Sotto a sinistra fasi del doppiaggio eseguite nei pressi della cascina e mentre si prepara la scena dell’uccisione del maiale a Casina Sole
più fruibile e che viene realizzato a cura del fonico e del collaboratore di Olmi, il signor Torricelli, proprio nel campo antistante la Cascina Sole di Palosco. E’ un lavoro duro, che lo costringe a intere nottate di trascrizioni e traduzione. Della pellicola sono andati perduti i negativi ma, proprio grazie a Torricelli, oggi Enrico Leoni possiede alcune rarissime bobine in “positivo” da cui è riuscito a ricavare alcune immagini che, gentilmente, ha concesso a La Nuova Tribuna come testimonianza di un’opera importante per il territorio la cui vocazione agricola, nonostante tutto, è ancora molto sentita.
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Leggende/L’antica palude e il drago
Tarantasio, mostro di Gera d’Adda di Fabio Conti
Il giornalista trevigliese ci ha concesso di pubblicare uno stralcio del libro “Gerundo passato”, dove si racconta la storia del mitico lago e del suo mostro Tarantasio, un mostro di “Lochness” di casa nostra
L
a tarantola è un ragno, anche parecchio pericoloso. Il lago Gerundo aveva un suo mostro, con un nome che ricorda un po’ quello della tarantola. In realtà era un drago, leggendario, e si chiamava Tarantasio. Un nome forse macchinoso e diverso dai nomi dei draghi di fiabe e film. Però anche Tarantasio ha la sua bella leggenda, indissolubilmente collegata a quello del lago che lo ospitava. Del resto, ogni lago che si rispetti ha il suo mostro. Il Loch Ness è il più famoso al mondo. Probabilmente quello meno famoso, invece, è proprio Tarantasio. Le leggende della zona ci hanno tramandato di questo misterioso drago, cattivo, che terrorizzava gli abitanti della zona della Gera d’Adda e, aspetto forse più drammatico ancora, pare mangiasse i bambini. Difficile immaginare quali fatti di cronaca possano aver alimentato, in tempi passati, questa leggenda. Di certo episodi drammatici, forse vere scomparse di bambini della zona, magari davvero inghiottiti nelle paludi dell’ex lago Gerundo. Non solo le scomparse dei piccoli erano addebitate al mostro Tarantasio, ma anche tutti gli incidenti che coinvolgevano imbarcazioni sul lago. Quando una barca andava a sbattere da qualche parte, o si rompeva, la ‘colpa’ era di Tarantasio. Il drago aveva un fiato insopportabile: la sua aria provocava
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una malattia, conosciuta in zona come febbre gialla. Probabilmente l’alito erano in realtà i gas provenienti dal sottosuolo e che si diffondevano nelle paludi del lago, fantasiosamente addebitati al fiato di Tarantasio. Oggi dell’antico drago non resta che il nome della località Taranta, pronunciato con l’accento sulla seconda “a” e dunque non come il nome della citta di Taranto. La località Taranta è in provincia di Milano, ma si trova a est dell’Adda, quasi al confine con i territori di Treviglio e Fara d’Adda, che sono invece in provincia di Bergamo. Proprio come la vicina località Cascine San Pietro, pure in provincia di Milano, anche Taranta ricade sotto il territorio di Cassano d’Adda, che si spinge oltre l’Adda, nella parte bergamasca. Come già accennato in precedenza, si tratta dell’unico tratto in cui il confine tra le province di Bergamo e Milano non corrisponde con il corso del fiume Adda. La località Taranta si chiamerebbe così, ma il condizionale è d’obbligo, proprio perché in questa zona venne ucciso il drago del lago Gerundo. Dopo la sua uccisione -tutte le leggende in questo senso sono concordi- il lago venne prosciugato (o si ritirò). Ma in che modo Tarantasio fu ucciso? La leggenda ci ha tramandato ben cinque varianti, con altrettanti eroi che hanno liberato la zona della presenza malefica del mostro del lago. È
chiaro che, trattandosi di un essere leggendario, non è possibile fornire una risposta certa e storicamente attendibile sulla fine di Tarantasio. Però è piacevole ripercorrere le ipotesi, senza dubbio una più suggestiva dell’altra. Diciamo subito che i candidati per il ruolo di assassino di Tarantasio sono, nell’ordine, San Cristoforo (o, meglio, attraverso la sua intercessione), il vescovo di Lodi Bernardo Talenti, San Colombano, Federico Barbarossa e il capostipite dei Visconti. Forse proprio quest’ultima è la leggenda più radicata nel territorio lombardo, visto che il simbolo del biscione che mangia un bambino è stato tramandato, nel corso dei secoli, proprio nello stemma dei Visconti ed è stato ripreso, successivamente, dal Comune di Milano, dal ‘biscione’ prima Fininvest e poi Mediaset (fino al 1985 era presente anche nel logo di Canale 5, poi rimosso quando il simbolo è stato ulteriormente stilizzato) e pure dall’Eni per il logo dell’Agip, con il cane a sei zampe. Insomma, quando si guarda la tv oppure si va a fare benzina, si può essere in qualche modo orgogliosi del fatto che quei loghi derivino dal mostro del ‘nostro’ lago, Tarantasio appunto. La leggenda più nota, in merito all’uccisione di Tarantasio, è però legata alla figura del
capostipite della nobile famiglia milanese dei Visconti, vale a dire Umberto Visconti, morto nel XII secolo. Fu proprio lui a dare origine al ramo nobile della famiglia. Va però detto subito che gli stessi Visconti, durante l’apice del proprio potere, alimentarono numerose leggende sulle origini della casata, quindi non è possibile escludere che l’uccisione di Tarantasio da parte del loro capostipite possa essere frutto della mitizzazione della famiglia. I Visconti governarono Milano dal Medioevo fino all’inizio del Rinascimento e, precisamente, dal 1277 al 1447. E chiunque sa che il simbolo araldico della casata è un biscione che ingoia un fanciullo. Anzi, il Biscione. L’interrogativo è dunque automatico: il biscione dei Visconti è Tarantasio? Secondo alcuni sì, appunto perché il capostipite, secondo la leggenda, avrebbe ucciso il mostro del lago Gerundo proprio nel XII secolo. Con l’ascesa al potere dei Visconti il biscione divenne simbolo della città di Milano e del Ducato (venne poi preso in prestito anche dagli Sforza, legati ai Visconti da una parentela e che ereditarono la guida di Milano). Leggende a parte, i Visconti devono aver preso da qualche parte il simbolo del biscione che mangia un bambino.
Da dove? Impossibile dare una risposta certa a questo interrogativo. Ma è però possibile ripercorrere le ipotesi che sono arrivate fino ai giorni nostri. Il dilemma iniziale è: i Visconti hanno adottato uno stemma già esistente o l’hanno inventato di sana pianta, magari basandosi su una leggenda come appunto quella di Umberto che ammazza Tarantasio? Accanto a questa ipotesi ce n’è un’altra, meno fantasiosa e più realistica, anche se non esente da una certa dose di simbologia: lo stesso capostipite della casata, combattendo durante le Crociate, avrebbe strappato a un infedele uno scudo con impresso questo simbolo. Episodio però che porta lontano dalle terre del lago Gerundo. La morte di Tarantasio per mano del capostipite dei Visconti è leggendariamente localizzata nella campagna attorno a Calvenzano, paese della provincia di Bergamo al confine con il Cremasco. Se così fosse, il lago Gerundo e il suo mostro potrebbero rivendicare una certa notorietà che non avrebbe nulla a che vedere con i parenti più famosi, in primis il leggendario mostro di Loch Ness. Perché, se il biscione visconteo è Tarantasio, va ricordato che il simbolo, già di per sé importante nella storia della Lombardia, è poi stato ripreso e riutilizzato in diver-
Una rappresentazione del mostro Tarantasio a Pizzichettone. A sinistra l’immagiine popolare del rettile del lago Gerundo, sotto zone lacustri e stemmi dei Visconti
si campi e ambientazioni. Per esempio, lo stesso Dante cita Tarantasio nel canto VIII del Purgatorio, definendolo “la vipera che il milanese accampa”. Ancora oggi il biscione è simbolo di Milano ed è stato adottato da diverse aziende, in passato ma anche oggi. Basti ricordare, per esempio, la Fininvest e Mediaset, la squadra di calcio dell’Inter e l’Alfa Romeo. Per non parlare dei simboli araldici di diversi comuni d’Italia (Brignano Gera d’Adda, Misano Gera d’Adda e Pagazzano, in provincia di Bergamo, Azzanello, Bertonico e Castelnuovo Bocca d’Adda nel Lodigiano, soltanto per citarne alcuni). E poi c’è l’ipotesi che rende ancor più internazionale Tarantasio: il mostro avrebbe ispirato, come già illustrato, il cane a sei zampe diventato simbolo dell’Agip. Proprio l’Eni, infatti, scoprì diversi giacimenti di gas metano nella zona dell’antico Lago Gerundo. Gli stessi giacimenti che, in passato, probabilmente alimentarono le leggende secondo le quali Tarantasio aveva un alito assassino. Se fosse vero, come sembra, sarebbe un bel riconoscimento al mostro del Gerundo.
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Storie di trevigliesi
Storie della Grande Guerra
L’eroica storia di Francesco Maggioni
Da Caravaggio
gli scalda rancio
di Carmen Taborelli
I caravaggini contribuirono ad alleviare i disagi dei soldati al fronte producendo una grande quantità di “Scaldarancio”, aggeggi che accesi sotto la gavetta permettevano di mangiare il rancio
In un generoso slancio salvò un commerciante caduto nelle acque del Parma, poi scomparve nei flutti. All’eroico giovane trevigliese venne concessa la medaglia d’argento al valor civile e ai genitori una somma di denaro
L
’eroe è colui che compie un atto di coraggio straordinario, mettendo a rischio la propria vita. La definizione calza a pennello al trevigliese Francesco Maggioni, che annegò dopo aver tratto in salvo una persona. Maggioni, nato a Treviglio il 29 marzo 1866 da Agostino e Giovanna Leoni, era granatiere in forza alla Regia Scuola Normale di Fanteria di Parma. La sua storia è legata a quella di un commerciante di polli, che, la mattina del 16 maggio 1888, venne all’improvviso travolto dalle acque impetuose del Parma, mentre guadava il fiume con cavallo e carretto. Maggioni e il suo compagno d’armi Marco Valentini, richiamati dalle grida di aiuto, si buttarono con eroico slancio nel fiume e trassero in salvo il malcapitato che, nel frattempo, si era stretto alla groppa del suo cavallo. Meno fortuna ebbero i due granatieri. Quando tentarono di uscire dal fiume, forse perché impediti nei movimenti dagli abiti che indossavano, ma anche per il venire meno delle forze, furono trascinati via dalla corrente. Il Valentini riuscì ad afferrare una corda che alcuni soldati gli avevano gettato, guadagnando così la riva. Il trevigliese, invece, scomparve sott’acqua. I soccorritori, soldati e borghesi, si gettarono nel fiume, scandagliandone inutilmente anche il fondo. Dopo un’ora di ricerche, il bersagliere Vittorio Andreoni trovò il cadavere del povero Maggioni. La notizia del luttuoso fatto si diffuse per tutta Parma. Nel riportarla, i giornali la accompagnarono con parole di encomio e di elogio, esaltando l’eroismo del giovane granatiere, che, al principio ed erroneamente, chiamarono Maggiori, appartenente al Distretto di Pavia. Chiarito ogni equivoco, si seppe poi che l’eroico granatiere era il trevigliese Francesco Maggioni. La comunicazione della morte seguì la via gerarchica, nel senso che fu notificata prima alla Pretura, poi Municipio di Treviglio e, infine, alla famiglia. Il funerale si svolse a Parma, partendo dall’ospedale militare. Così ne parlò il quotidiano “Gazzetta di Parma”: “Le onoranze funebri furono quali meritavano il coraggio,
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la generosità e la pietosa fine del povero giovane. Apriva il corteo la musica del 64° Fanteria; veniva poi la carrozza col sacerdote, indi il carro, contornato da zappatori armati. Reggevano i cordoni quattro soldati scelti. Dietro il carro erano il generale Campo, il sindaco di Parma Ferdinando Zanzucchi, il Comandante la Regia Scuola Normale di Fanteria colonnello Conti Vecchi e il colonnello Rastellini comandante il 64° di linea. E dietro di essi tutti gli ufficiali della Scuola e della guarnigione, e poi i sottufficiali e soldati della Scuola. Il corteo percorse la strada Vittorio Emanuele, il ponte Caprazucca e la strada NinoBixio e al suo passaggio, mesta e commossa, s’arrestava e si scopriva numerosa popolazione, sì che ai funebri del povero Maggioni si può dire che, almeno col cuore, vi concorse tutta quanta la cittadinanza. Il Sindaco cav. Zanzucchi e il colonnello Conti Vecchi, pronunciando l’elogio funebre (vedi box 1 e 2), fecero risaltare l’atto generoso e la sublime virtù del sacrificio che
Elogio funebre del Sindaco della città di Parma
“Alle onoranze tributate coll’intervento di tanta parte della guarnigione, superiori e compagni, e di tanto numero di cittadini, all’intrepido soldato che fece volontario olocausto di sé, votandosi giovanissimo alla morte per la salvezza altrui, mi associo di gran cuore in nome del Municipio e dell’intera cittadinanza, commossa pel triste caso di ammirazione e di pietà. L’eroismo semplice e modesto dell’ardimentoso, che ci siam qui raccolti ad onorare, è novella testimonianza che l’esercito amma-
A ha animato lo sventurato Maggioni, generosità e virtù degne d’esempio e d’imperituro ricordo. I commilitoni dell’estinto ne accompagnarono la salma fino al cimitero”, ove avvenne la sepoltura decisa dalla Giunta Municipale di Parma, d’intesa con il Comandante della Scuola Militare”. Nei giorni successivi, ai genitori del valoroso granatiere, il Municipio di Treviglio consegnò, a nome del colonnello Conti Vecchi, la somma di cento lire. L’elargizione, anche se per quei tempi molto generosa, non bastò a lenire il dolore della famiglia, una famiglia che, nella luttuosa vicenda, ebbe un estra alle più alte e nobili virtù del soldato e del cittadino; e che a questa scuola anche i caratteri semplici e incolti si temprano a straordinaria fortezza e intendono e sentono la bellezza ideale del sacrificio intero di sé per l’adempimento del dovere. La patria darà al nome dell’ardimentoso soldato l’onorificenza che è premio ai più valorosi. Qui tra noi la sua memoria sarà custodita con religiosa cura e devoto affetto, per esempio di forti fatti e incitamento alle opere generose”. cav. Ferdinando Zanzucchi
Elogio funebre del Comandante la Regia Scuola di Fanteria
“Signori! Il soldato Maggioni Francesco, zappatore nel I Reggimento Granatieri, nel breve tempo che passò a questa Scuola, per la sua modestia, la sua disciplina, abnegazione e cameratismo, si accattivò l’amore di noi tutti. Buono tra i buoni, egli possedeva a fondo il sentimento del dovere, come del resto lo ha splendidamente dimostrato ieri, sacrificando la vita per il bene altrui.
ruolo marginale, subordinato alla rigida ed egemone organizzazione militare. Quella del trevigliese Francesco Maggioni, che fu decorato con medaglia d’argento al valor civile, è una storia un po’ datata; nonostante ciò potrebbe suggerire a noi, oggi, quanto possa essere vantaggioso per tutti recuperare alcuni valori dei nostri antenati, come, ad esempio, il senso del dovere e del sacrificio. Valori che il Maggioni imparò in famiglia, specie dal padre Agostino, caporale del 44° Reggimento Fanteria, che, nel 1866, partecipò a una delle sette Campagne combattute per la nostra Indipendenza.
Non descriverò il fatto perciocché voi tutti lo conoscete: ricorderò soltanto come siffatti esempi di nobilissimo sacrificio, fortunatamente non infrequenti, onorino una nazione e siano sicura garanzia di forza per un esercito. La morte s’è preso il corpo del nostro commilitone; ma la memoria della sua bell’anima rimarrà sempre viva in noi, esempio di sublime abnegazione. A nome anche degli ufficiali della Scuola, io ringrazio i qui convenuti ad onorare il Maggioni, e specialmente il Sindaco di questa illustre città, il quale è sempre primo ov’è un’opera buona da compiere”. Colonnello Conti Vecchi
lice Castelli, Ufficiale d’Anagrafe del Comune di Caravaggio, in atteggiamento di collaborazione e in risposta a specifica richiesta, mi ha trasmesso l’estratto dell’atto di nascita di Ottorino Zibetti, figlio di Giuseppe e di Giuseppina Rocchi, nato il 27 maggio 1896. Il documento conferma l’esistenza del personaggio attorno al quale ruota tutta la storia degli scaldarancio. Una storia collocata nella cornice temporale della Grande Guerra; storia di cui Caravaggio, rispetto ad altri Comuni della Bassa Bergamasca, poteva e può ancora vantarne l’esclusiva. Infatti, non c’è traccia degli scaldarancio nemmeno a Treviglio, dove pure erano attivi molti Comitati di solidarietà per rendere meno profondi gli strappi, le lacerazioni e i drammi che purtroppo ogni guerra porta con sé. Che cosa erano e a che cosa servivano gli scaldarancio? Erano dei rotolini di carta, molto ben pressati e imbevuti di paraffina, che venivano accesi sotto le gavette, permettendo ai soldati di consumare un pasto caldo anche in condizioni climatiche difficili e tra i disagi della trincea. Oltre a essere dei semplici e geniali mezzi per riscaldare il rancio, servivano anche per intiepidire l’aria all’interno delle tende, consentendo l’apertura e la chiusura dei teli, senza correre il rischio di lacerarli. Mutuando l’iniziativa ideata dall’Opera Nazionale dello Scaldarancio, con sede a Milano in via Broletto, Ottorino e Zaffira (sorella di Ottorino?) Zibetti, con la collaborazione di altri “giovanetti e signorine” di Caravaggio, si misero all’opera per realizzare gli utilissimi precursori delle tavolette Meta. Innanzitutto, i giovani volontari, andando di casa in casa, fecero una provvista di vecchi giornali, e li ammucchiarono nei locali messi a disposizione da Ida Rocchi, nonna materna di Ottorino. Entrando, poi, nella vera e propria fase operativa, procedevano così: sovrapponevano alcuni fogli di carta che poi tagliavano a piccole strisce. Queste, una volta arrotolate, venivano ridotte a cilindri ben pressati e compatti, successivamente immersi nella paraffina per quattro/cinque minuti e, infine, lasciati asciugare. In appena venti giorni, i volontari caravag-
gini realizzarono ben novantamila scalda rancio. Un vero primato! Ispezionati dal Maresciallo dei Carabinieri e imballati in pacchi e scatole, li spedirono al Centro Raccolta di Milano, per l’invio al fronte. Anche se non ho trovato alcun riscontro documentale, è assai probabile che l’impegno dei volontari sia continuato per molto
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Grande Guerra
Pedalando nel tempo
Storia/L’agricoltura nella Gera d’Adda
Angelo Polloni,
Quando l’uva e il
a cura di Ezio Zanenga
a cura di Giorgio Vailati
Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Il ricordo del personaggio di questo mese è ancora vivo in molti trevigliesi …di una certa età. Un vero globe-trotter della bicicletta, tanto che morì sulla sua “Cinelli”: era “Papà ‘Ngiulì”
Con l’uva “americanina” inizia la prima puntata di una rubrica, si tratta della elaborazione di una ricerca agroalimentare, di Treviglio e della Bassa, elaborata da Luigi Minuti e Maurizio Monzio Compagnoni
vino erano buoni
una vita in bicicletta
tempo ancora, entrando in competizione con chi decise di speculare su questi provvidenziali cilindri di carta, traendone ovviamente profitto. “Comperate tutti lo Scaldarancio “Span” –Il più bel dono per i nostri soldati al fronte– suonava così l’avviso pubblicitario messo allora in circolazione per promuovere l’acquisto di “una scatola da cento pezzi a £.2,20 e una confezione di prova da venti pezzi, a £. 0,55”. Come conclusione, ecco una perla: “Si raccontava a quel tempo, che gli austriaci, in una improvvisa irruzione in una nostra trincea sul Carso, ne avessero trovati molti di scaldarancio e, spinti dalla fame, li avessero inghiottiti golosamente, scambiandoli per generi alimentari commestibili”. Non me ne vogliano gli austriaci. Carmen Taborelli
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er tutti era ‘l Pulù, il ciclista di via Portaluppi, per i più affezionati era Papà ‘Ngiulì. Da quarant’anni la saracinesca è abbassata, in alto la scritta è ancora leggibile. Nel degrado in cui si presenta, nessuno penserebbe ad un luogo che per molti anni costituì un punto d’incontro, di aggregazione, di storia trevigliese. Nemmeno San Giuseppe la guarda più, visto che la statua del Santo che era di fronte è stata spostata. Ma molti ricordano ancora la figura caratteristica di Angelo Polloni accovacciata sullo sgabello, con la ‘rosea’ spalancata alla sacra pagina in cui è scritto di ciclismo, tutte le mattine dell’anno dalle 7.30 alle 8.00 in punto, ora nella quale iniziava il suo lavoro quotidiano di meccanico ciclista. Angelo Polloni nasce a Treviglio il primo giorno dell’estate del 1909 e giovanissimo è già al lavoro come fabbro-calderaio a Milano dove si reca in bici da corsa costruita con le sue mani: 35 chilometri all’andata, 35 al ritorno. Addirittura si racconta che al mattino, se il tempo era favorevole, se ne partiva alle cinque per una sgambata in Brianza prima di recarsi al lavoro. Voler affermare che Angelo Polloni sia stato un corridore è come dire la più grossa bugia ‘ciclistica’. Non era nella sua mentalità. Però a qualche gara vi ha preso parte. Nel 1931 partecipa al Criterium di apertura a Milano con ben 374 dilettanti. Si classifica 37°, anticipando di qualche posizione nientemeno che un certo Learco Guerra. Erano i tempi, a Treviglio, del Velo Club Costa con la sede sociale presso il Bar Margherita ed i suoi compagni erano Pesenti, Vitali, Dondossola, Luinetti, Belloni, Scotti. Quasi tutti diventarono corridori veri, Angelo Polloni invece restò, anzi divenne, un vero globetrotter in bici. Dal ’40 la guerra, la campagna di Russia, il rimpatrio e l’addio al lavoro di Milano. Apre bottega a Treviglio in via Portaluppi: si
S
dedica alla riparazioni delle bici da viaggio e alla preparazione e manutenzione di quelle da corsa. Ben presto la ‘bottega’ diventa punto di incontro, un ‘tempio’ del ciclismo dove trevigliesi di due generazioni ebbero un punto di riferimento per il loro entusiache Angelo Polloni non smise mai di pedalare, tutti i giorni, tutte le domeniche, come turista s’intende, ma che ‘turista’! Anche l’ultimo gesto della sua vita è stato fedele alla sua immagine di pedalatore incantato ma forte e tenace: colpito da malore mortale mentre pedalava con la sua ‘Cinelli’ color nero, non si è fermato, ha stretto per l’ultima volta i denti ed è rimasto ‘in sella’ stringendo con forza il manubrio, per l’ultima pedalata della sua vita. Era un mattino di sole, maggio 1978, sullo ‘strappo’ di Vaprio d’Adda, aveva appena 68 anni.
Le foto
Sopra (1970): In maglia ‘Cicli Polloni’ al via di una gara cicloamatoriale. A sinistra (1964):Angelo Polloni e la figlia Elisa in occasione di una manifestazione di ‘Lui e lei’. Sotto (1960): Papà ‘Ngiulì in una sua caratteristica espressione. smo ciclistico. Alle sue cure si affidarono in tanti, ciclisti alle prime armi e corridori affermati come Pierino Baffi, Marino Morettini, Campiglio, Tanfoglio, Vertova. Per tutti Papà ‘Ngiulì aveva un consiglio, un rimprovero, umano prima ancora che tecnico. Seguì tantissime gare, come meccanico, come tifoso, come ‘osservatore’ di giovani promesse, collaborò con le società ciclistiche locali. Ancor oggi, e di tempo ne è passato, c’è gente che ne parla con commozione. La sua passione è trasmessa anche ai figli, soprattutto ad Emilio, corridore vincente negli anni ’50, dilettante nelle file del Pedale Bergamasco, nella Trevigliese Olter e nella Fiorenzo Magni di Boltiere. Anche la figlia Elisa corre in bicicletta e nel 1964 e 1965 è tra le prime ciclo-girls d’Italia. Abbiamo dimenticato però di sottolineare
criveva Emanuele Lodi nel suo volume “Breve storia delle cose memorabili di Trevì” (Treviglio), da cui Tommaso Grossi ne trasse suggerimenti per Alessandro Manzoni mentre stendeva i Promessi sposi: “… Ivi sono e Vigne, e Selve, e Giardini, e Prati; e tutto ciò, che può apprestare la Natura per far di se ricca, e profonda mostra. Ivi è l’aria felicissima, il Ciel benigno. Ivi si gode la fertilità de’ campi, la bontà de’ vini, la limpidezza, e sanità dell’acque; come anche la copia de’ frutti, e l’abbondanza di quasi tutte le vettovaglie necessarie al vivere umano...”. Infatti nelle campagne trevigliesi sino al XV- XVI secolo si coltivava prevalentemente la vite, questo all’escavazione della roggia Moschetta, della roggia Vignola e le loro capillari diramazioni. Infatti, portando acqua abbondante dal fiume Brembo per irrigare la nostra terra a forte contenuto sabbioso, altre tipologie di coltivazioni presero a loro volta piede: gli alberi da frutto in genere, in particolare ciliegi, albicocche, susine, prugne, mele, pere, pesche e molte, moltissime noci. La coltivazione della vite restò comunque costantemente presente fino alla devastazione della fillossera, il terribile parassita apparso nei primi anni dell’Unità nazionale con effetto terrificante sui vigneti nostrani e di tutta Europa. La consistenza delle produzioni di frutta e di verdura, ma soprattutto di uva e vino, deve essere stata comunque ben rilevante, questo si deduce anche dalla valutazione che ne dava l’erario ducale milanese. Valutazione che si può rilevare dall’inventario, nella seconda metà del XVIII secolo, del nuovo catasto, piuttosto che dalle tariffe del trasporto fluviale delle uve di Treviglio dai porti dell’Adda, in particolare da Canonica verso Milano tramite del Naviglio della Martesana. La produzione di uva era di certo volta al consumo diretto ed alla sua esportazione, ma soprattutto, stante la qualità, destinata alla trasformazione in vino. Al riguardo “Il Torchio del vino si trovava sotto un piccolo portico, in una piazzetta che ora non esiste più, perché la sua area è sta incorporata (nel XVIII secolo) in quella del Teatro Sociale. In proposito, è opportuna un’osservazione di sapore attuale. La vendemmia si faceva
contemporaneamente in tutte le vigne di Treviglio, dietro ordine della Comunità e per la produzione del vino esistevano norme preci-se. Evidentemente, per ragioni inerenti all’esportazione del prodotto, si era realizzata allora quella produzione in pochi tipi fissi, genuini e controllati, che oggi si invoca nel settore vitivinicolo come indispensabile”. Così perlomeno scrivono, Ildebrando Santagiuliana e don Piero Perego, nella loro “Storia di Treviglio”. Da tempo immemorabile l`unica vite coltivata nel vecchio Continente era la “Vitis
vinifera”, che -come accennato- venne massivamente aggredita nel XIX secolo dalla fillossera, che ne minacciava la distruzione. Unica soluzione per salvare i nostri vigneti fu di importare, come porta innesti, dei vitigni americani, già precedentemente intaccati e divenuti perciò resistenti al parassita, alcuni puri, altri ibridi di specie americane e, successivamente, altri ibridi di specie americane con specie europee. Vennero compiuti anche degli esperimenti di ibridazione tra specie europee ed americane, questo per cercare di evitare l`innesto sul piede americano (e vennero detti perciò ibridi produttori diretti), tra i più noti il Clinto. La vite americana fu importata in Europa intorno al 1860 e l’americanina è un incrocio diretto (non innestato) tra la Vitis labrusca e la Vitis riparia. Il Clinto ha grappolo regolare, cilindrico piccolo, con acini regolari dal gusto morbido e -come tutte le viti ibride americane- ha una elevata resistenza al terreno acido ed una elevata resistenza alle malattie. Con l’avvento di questo vitigno si riprese a coltivare massivamente la vite e sino alla seconda guerra Aprile 2015 - la nuova tribuna - 55
Storia/L’agricoltura
L’industria del giocattolo
L’Atlantic giocattoli non si dimentica! a cura di Mauro Menghini
“Ragazzo hai cento lire?”, con questo slogan ammiccante l’azienda trevigliese catturò l’attenzione di centinaia di migliaia di adolescenti. Oggi alla ricerca di quegli attimi di felicità regalati dai soldatini
mondiale le campagne di Treviglio si presentavano con appezzamenti attraversati da lunghi filari paralleli di Clinto, maritati ai gelsi che producevano foglie per l’allevamento del baco da seta e svolgevano la funzione di sostegno del filare stesso. Terminati negli anni trenta gli allevamenti del baco da seta, i gelsi furono sostituiti da alberi da frutto, dove dominavano diverse varietà di pesche che producevano frutti di forma irregolare, a polpa bianca o gialla, con buccia pelosa, molto profumati. Varietà resistenti a diverse fitopatologie, ma di scarso valore commerciale, tanto che dopo l’avvento di nuove coltivazioni più remunerative vennero abbandonate. Tra le curiosità, le foglie e i rami giovani dei peschi venivano usati, dopo la bollitura, come sanificante dei tini di pigiatura e delle botti di fermentazione del vino.
La produzione del vino nostrano
Dopo l’avvento della fillossera e la scomparsa dei pregiati vitigni di un tempo, ci si dovette accontentare del vitigno del clinto, che veniva coltivato a filare e la potatura veniva eseguita generalmente con la luna calante, del mese di febbraio, lasciando due tralci di 8-10 gemme e due speroni di 3-4 gemme. Ogni anno si sostituivano i pali secondari di sostegno sorretti dalle piante di gelso, oppure di pesche, ai quali si fissavano due fili di ferro sui quali legare i tralci. La legatura si effettuava rigorosamente con legacci (strupei) di salice giallo, per i pali di sostegno, e salice rosso per i tralci, perché più flessuoso e sottile. Come si può intuire dietro questa pratica ci doveva essere una preparazione con allevamenti di diverse piante, robinia per i pali di sostegno, allevata lungo le rive dei canali irrigui perché con le sue radici particolarmente fascicolate. Infatti, fungevano da sostegno alle sponde dei fossi per il legno dritto e resistente, mentre il salice giallo e rosso veniva usato per produrre ceste. Pianta questa particolarmente esigente d’acqua, quindi allevata
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nei terminali delle scoline delle marcite. Alla fase di chiusura del grappolo dell’americanina si eseguiva la spollonatura e il diradamento delle foglie, operazione eseguita per cercare di far aumentare il grado zuccherino delle uve di per stesse povero. Verso la prima decade di agosto (San Lurens l’ua la tens) i grappoli incominciavano a prendere colore e per la fine di settembre/ ottobre si procedeva alla raccolta.
La raccolta delle uve e la vinificazione
I grappoli raccolti venivano posti in ceste e trasportate in azienda in attesa della pigiatura nei mastelli, mentre si predisponevano le botti di fermentazione. Infatti, dopo un anno di inutilizzo questi contenitori costruiti con doghe di legno, necessitavano di una particolare manutenzione. Venivano da prima riassettati, battendo i cerchi in ferro che univano le doghe, sostituite quelle eccessivamente usurate, poi si riempivano le botti d’acqua per renderli impermeabili (...ntisac), lavoro questo che richiedeva due o tre giorni perché il legno ritrovasse l’elasticità giusta chiudendo tutti i pori, con ciò impedendo la
fuoriuscita del mosto. Constatata l’ermeticità dei contenitori, venivano raschiati, puliti a fondo e -non esistendo i prodotti industriali attuali- sanificati con un decotto che si produceva mettendo a bollire notevoli quantità di acqua a cui venivano aggiunte foglie e rametti giovani di pesco, con tale decotto venivano irrorati tini e botti ripetendo tre o quattro volte la pratica. Era una sorta di blanda sterilizzazione, non si è mai potuto verificare quale potere effettivo avessero le foglie e ramo di pesco, ma al contrario il vino che ne risultava, poi si ammalorava e acidificava prima. Questa pratica veniva definita come preparazione del “sbruentù”. Con i tini e le botti pronte si iniziava la pigiatura, che avveniva con i piedi, poi il vino ottenuto veniva versato nelle botti di fermentazione con le vinacce e i graspi fino ad essere riempite. Iniziata la fermentazione, al mattino e alla sera, grazie ad uno spino, le vinacce affiorate erano sospinte verso la sommità dell’impasto e riemerse nel mosto. La pratica proseguiva fino al termine della fermentazione. Il mosto, diventato vino novello, veniva spillato dalle botti e messo in damigiane a maturare. Veniva travasato due o tre volte per renderlo più limpido e cristallino. Il vino così ottenuto aveva bassa gradazione alcolica, il che lo rendeva di difficile conservazione; infatti, non durava oltre la primavera. Aveva un colore violaceo intenso, che lasciava una traccia densa sia nelle bottiglie che nei bicchieri e macchiava pesantemente le tovaglie, poi emanava un forte profumo fruttato e un inconfondibile sapore che a molti era gradito.
Il lavoro però non era terminato perché le vinacce residue venivano portate al torchio per estrarre ancora del vino residuo. A Treviglio sino agli anni settanta esistevano ancora due torchi per tale servizio, uno gestito dalla famiglia Carioli in via Camillo Terni (attuale oratorio San Zeno), e uno gestito dai fratelli Ronchi in via Del Bosco. Torchi che venivano azionati dalla spinta dei muli o dei cavalli. Dal processo di torchiatura risultava un vino molto denso e colorato, ricco di tannino il quale richiedeva parecchi travasi per poter essere bevuto (...l turciat), veniva infatti utilizzato per correggere il caffè di cicoria, il brodo di gallina, per farne digestivi per le vacche -previo riscaldamento- o per ricavarne un aceto debole. L’utilizzo del torchio generalmente veniva pagato in natura lasciando al gestore o proprietario del torchio le vinacce i graspi e i vinaccioli. In annate particolarmente fortunate il ricavato della vendita delle vinacce e dei graspi per farne grappa e dei vinaccioli per farne olio forniva un notevole guadagno forse più dello stesso vino che se ne era ricavato. Con l’avvento della meccanizzazione agricola e conseguente necessità di avere appezzamenti di terreno sempre più vasti, i filari del clinto divennero un impedimento, così vista la scarsa qualità del vino e la possibilità delle famiglie di poter comprare vino migliore, determinò la scomparsa di questo tipo di uva anche a Treviglio.
Danni alla salute
Da studi fatti è stato evidenziato che questo metodo di vinificazione portava ad un arricchimento di alcool metilico, aveva una presenza di sostanze tossiche nelle bucce, poi un valore tannitico molto elevato. Pertanto l’assunzione in grande quantità del vino Clinto poteva provocare danni gravi, per esempio al nervo ottico e alla retina, questo per le interazioni che provocava al sistema nervoso. Risultati che portarono al divieto di commercializzazione del vino prodotto con quest`uva nostrana e con questa tecnica rudimentale di vinificazione.
T
reviglio - “Ragazzo, hai cento lire?”, “Il Supermarket Atlantic, il supergioco della spesa”, “Sempre in marcia i soldatini Atlantic”. Questi slogan, ammiccanti sulle pagine delle più importanti riviste per ragazzi, negli anni ’60 e ’70 hanno promosso i giocattoli della ditta Atlantic e catturato l’attenzione di migliaia di adolescenti dell’epoca. Chi non ricorda quelle coloratissime pagine pubblicitarie e gli splendidi quanto semplici prodotti realizzati dall’azienda di Milano? Forse qualcuno rammenta ancora il Bersaglio del West, i corredi di carnevale e le barche a vela in plastica colorata, mentre altri avranno giocato almeno una volta con il GiocaGoal, oppure con gli scaffali e il carrello della spesa del Supermarket, si saranno immedesimati nelle avventure spaziali dei personaggi della serie Galaxy o imitato le avventure televisive di Goldrake e Capitan Harlock, utilizzando le splendide repliche realizzate per l’occasione. Ma senza ombra di dubbio, noi bambini dell’epoca, abbiamo passato parte del nostro tempo libero, in casa o in cortile, da soli o con gli amici, con i famosi soldatini Atlantic. Un vero esercito di “ridotte dimensioni”, in produzione dal 1971, costituito da una ressa di miniature, dagli alpini ai paracadutisti, dagli aviatori agli artiglieri, senza trascurare i carri armati, gli aerei e i plastici, di ogni forma e dimensione, da utilizzare quali base di gioco. Come non ricordare i personaggi del West, gli eserciti della seconda guerra mondiale e del mondo antico, tutti arricchiti e completati da accessori e scenografie, compreso diorami, mezzi, macchine da guerra e costruzioni del passato, dalla città del West al Colosseo romano. Ci abbiamo giocato a lungo! Stringevamo tra le dita le piccole figure in plastica morbida, monocromatica o dipinta, o facevamo “volare” aerei ed elicotteri per inventare inedite battaglie o per ricreare le atmosfere di reali avvenimenti. I prodotti Atlantic erano raccolti e organizzati in linee produttive pensate per i bambini o le bambine. Per attirare la nostra attenzione venivano confezionati in splendide scatole di cartone o blister, di svariate dimensioni, in bella mostra nei negozi di giocattoli e “casa-
linghi”, nelle catene dei supermercati, nelle cartolerie, nei bazar dell’epoca o nelle edicole. I giocattoli Atlantic e soprattutto i suoi soldatini, saranno conosciuti e apprezzati in Italia e all’estero, in Francia, in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti, tanto che l’azienda, nel lasso di pochi anni, divenne una delle più quotate nella produzione giocattoliera. Per oltre vent’anni i giocattoli tradizionali prima e i soldatini in seguito, ci hanno fatto compagnia! Le origini dell’azienda e lo stabilimento di Treviglio. La ditta Atlantic di Milano si è affacciata nel panorama del giocattolo, timidamente, agli inizi degli anni ‘60. Sono di quel periodo infatti i primi giochi di fattura modesta, sovente realizzati in pochi esemplari e destinati agli acquirenti più piccoli. I processi di lavorazione erano seguiti da pochi addetti e gli ambienti di lavoro precari o di ridotte dimensioni. Per tutto il decennio l’azienda produrrà simili articoli, con particolare predilezione per le barche e i motoscafi giocattolo (probabilmente proprio questa tipologia Aprile 2015 - la nuova tribuna - 57
L’industria del giocattolo
costruttiva, barche e motoscafi, ispirerà il nome Atlantic dell’azienda), le autopiste e i semplici giochi del tiro al bersaglio. Per l’affermazione nel settore dovrà aspettare i successivi anni ‘70, quando, dopo la costruzione della fabbrica, la produzione si sposterà a Treviglio. Nel nuovo stabilimento l’Atlantic si dedicherà in larga parte alla realizzazione dei figurini e dei modellini militari, relegando i giocattoli tradizionali ai margini dell’esercizio industriale. Una parte consistente dell’attività societaria rimase comunque a Milano, soprattutto quella dirigenziale e creativa. Gli anni ‘70 sono stati di intensa vitalità per l’azienda, il periodo della crescita industriale e della notorietà internazionale, con una produzione in quantità e qualità senza eguali. Per questo la ditta Atlantic Giocattoli è ancora oggi ricordata con affetto... e rimpianto. Lo stabilimento di Treviglio, con il prospetto principale rivolto sulla via Calvenzano (a seguito dello sviluppo futuro dell’area industriale, la sua urbanizzazione e la realizzazione di altre strade, muterà poi il nome in via Redipuglia 53-55, oggi via Montesanto 6) fu inaugurato il 4 Ottobre 1970, alla presenza di numerose autorità civili, militari e religiose. La ditta di giocattoli Atlantic, per la
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città di Treviglio, ha rappresentato un’importante realtà economica, avendo offerto opportunità lavorative a decine di famiglie. Tra gli estimatori della fabbrica Atlantic sono senz’altro da annoverare i numerosi bambini dell’epoca, di Treviglio e dintorni, che ogni pomeriggio aspettavano trepidanti davanti ai cancelli dello stabilimento sperando in qualche regalo! La nascita dei soldatini Atlantic. Negli anni ‘70 altre ditte italiane e straniere occupavano il mercato di genere, con produzioni in plastica di fattura diversa. L’inglese Airfix, alla quale si deve la diffusione di massa dei primi soldatini in plastica nella scala minore, era sicuramente la più affermata, con articoli di elevata fattura. Alcune case italiane, dalla Nardi alla Dulcop, dalla Cané alla Baravelli, cercarono di imitare il concorrente inglese, non riuscendo però a eguagliare la qualità delle miniature, spegnendosi in breve creativamente. Quando l’Atlantic, nel periodo, tentò di ritagliarsi uno spazio nel settore, dovette scontrarsi con la realtà del mercato. L’azienda milanese era già presente con una discreta produzione di serie, comprendente soprattutto giocattoli in plastica termo sagomata e prodotti di modesta fattura, tutti general-
mente indirizzati a un pubblico infantile, ma era tutt’altro che affermata. Per acquistare notorietà accettò la scommessa di produrre delle serie militari tematiche, totalmente riservate all’esercito italiano, confidando nell’”amor di patria” dei giovani acquirenti. Per raggiungere il successo economico questo non era però sufficiente. La concorrenza era forte e radicata. Pensò allora di fondare la commercializzazione dei soldatini sulla loro economicità, proponendo alcune scatole a solo cento lire, molto poco anche per l’epoca. Decise inoltre di accompagnare la produzione con un adeguato lancio pubblicitario e di presentare i soldatini soprattutto nei negozi di giocattoli e presso la grande distribuzione, evitando i punti vendita di nicchia del modellismo. Lentamente i soldatini Atlantic entrarono nelle case di molti bambini, trascinando al successo anche le altre serie di giocattoli, dal Supermarket al GiocaGoal, e trasformarono l’azienda in un’importante realtà internazionale, per quasi dieci anni incontrastata leader del settore. L’epilogo Dopo anni di successo e di produzione irrefrenabile, purtroppo negli anni ‘80, a causa della crisi del settore e della naturale evoluzione del mercato, la ditta entrò in difficoltà
e fu costretta alla chiusura. I giocattoli che l’azienda aveva prodotto e commercializzato con alterne fortune erano ormai dimenticati: troppo tempo era passato dal Supermarket e dal GiocaGoal, dai soldatini e dalla serie Galaxy. I bambini e i ragazzi, sensibili a nuove sollecitazioni, nei loro interessi e nei loro giochi li avevano ora sostituiti con i Transformers e i modellini radiocomandati, le Micro Machines e i giochi elettronici di società, la Barbie e i videogames. Nei primi anni ’90 però, i prodotti realizzati dalla ditta di Treviglio cominciarono a essere riscoperti da un sempre crescente numero di nostalgici, non più in età scolare..., desiderosi di ricomprare gli oggetti dell’infanzia e ritrovare i giocattoli amati da piccoli. Attorno alla memoria Atlantic, stava infatti prendendo vita il fenomeno del collezionismo, favorito da pubblicazioni e articoli sui quotidiani che iniziarono a far riemergere i ricordi e a interessarsi allo storico marchio di giocattoli. Nel 1995, Roberto “Rog” Gigli, ideatore e curatore di giochi, pubblicherà in formato tascabile il wargame: “Atlantic Wars”, con il quale era consentito l’uso di figure, soldatini e mezzi esclusivamente a marchio Atlantic. La pubblicazione ebbe
grande successo e risalto mediatico e favorì la produzione di alcuni soggetti, tramite gli stampi originali, da parte della Nexus Editrice. In seguito sarà un crescendo! Al wargame e al fenomeno del collezionismo presterà attenzione anche la stampa e alcune trasmissioni radiofoniche e televisive. La curiosità dei media, il passa parola tra gli appassionati e successivamente l’eco di Internet contribuiranno così alla riscoperta della produzione Atlantic e dei soldatini in particolare, da parte di un pubblico adulto. Dopo sarà un frugare nelle soffitte di casa, alla ricerca dei giocattoli dimenticati e nelle nascoste cartolerie di provincia, nei negozi di giocattolo, tra i fondi di magazzino, nei mercatini di paese e nelle fiere di settore. Lentamente i giochi e i giocattoli Atlantic, a pieno titolo da considerarsi un fenomeno di costume degli anni ‘60 e ‘70, si stavano affermando come oggetti da collezione e di culto, coinvolgendo gli amanti del soldatino e del figurino storico e gli amarcord del giocattolo e della cultura d’epoca. Ricordando i soldatini Atlantic! Per molti i giocattoli e i soldatini Atlantic rappresentano un ricordo dell’infanzia o dell’adolescenza, di cui parlare nei momenti di nostalgia con gli amici, per altri, oggi ap-
passionati, sono oggetti da recuperare e collezionare con cura. Si trovano ancora, nelle abituali fiere di settore o nelle bancarelle dei mercatini di provincia, talvolta in scatole praticamente nuove provenienti da giacenze di magazzino, spesso sfusi o in confezioni usurate dal tempo. I giocattoli Atlantic e i soldatini in particolare hanno rappresentato un’epoca! Il soldatino e il “gioco della guerra”, così diffusi in quegli anni, hanno caratterizzato il modo di giocare di una intera generazione e sono normalmente valutati da pedagogisti e educatori quale aspetto sociale del tempo. Nelle abitudini ludiche sono rappresentativi degli anni’70, tra il Big Jim e il cubo di Rubik, in un periodo di grandi fermenti culturali, il punk e l’arte di Andy Warhol, e rivoluzioni televisive e cinematografiche da Dancin’ Days a Spazio 1999 da Grease a Guerre Stellari. Ancora oggi ricordando i giocattoli Atlantic, il collezionista pensa ai modellini da costruire a incastri senza collante, ai plastici in vacuform e ai figurini militari, gli articoli che hanno fatto la fortuna dell’azienda; questa produzione si identifica infatti con la ditta di Treviglio: l’Atlantic Giocattoli adesso e allora è sinonimo di soldatino in miniatura! Tutta la produzione Atlantic è comunque generalmente rammentata con affetto tra gli appassionati del giocattolo, rappresentativa di un’epoca e menzionata, seppure saltuariamente, in libri, pubblicazioni, articoli e recensioni sul Web. In Rete è possibile infatti visitare Forum, Topic e Blog consacrati alla memoria dei giocattoli anni ‘70 e della produzione Atlantic, così come numerose sono le pagine riservate alla ditta aperte su Facebook e Twitter. Per chi fosse interessato di seguito si segnalano alcuni Siti, tra i più rappresentativi. atlanticgalaxy.com, atlanticmania.com, atlanticplus.eu, viaggionellatlantic.wordpress. com -Da non perdere inoltre una recente trasmissione radiofonica curata da Andrea Angiolino: “I soldatini Atlantic”, reperibile in podcast sul sito di WikiRadio Radio Tre. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 59
Lettere & Commenti
Numero Verde 800 121 997 Le vecchie rotatorie di Treviglio sono pericolose
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Caro Direttore, negli ultimi tempi la nostra città ha sapientemente eliminato alcuni incroci semaforici a favore delle più efficaci e scorrevoli rotatorie. Ma proprio due rotatorie già presenti da molti anni in città non sono state adeguate alle nuove precedenze “alla francese”, dove cioè la fermata per dare precedenza a destra è dovuta solo all’ingresso della rotatoria e non anche al suo interno, creando qualche piccolo tamponamento tra guidatori distratti: si tratta della rotatoria di Piazza Insurrezione e quella tra via Moro e via Calvenzano tra i due PIP. Mi aiuti a far arrivare questa voce a chi di dovere?
L’ecografia tra duecento trentuno giorni
f.t.
Caro Direttore, il 24 marzo 2015, ho prenotato presso l’Ospedale Treviglio-Caravaggio un’Ecografia all’addome superiore. Tempo di attesa: 231 giorni!! L’esecuzione dell’esame è, infatti, prevista per il 10 novembre 2015. Sono tempi di attesa, quasi biblici, in antitesi sia con il concetto di prevenzione sia con la “mission” dell’Ospedale, che vanta di essere “dotato di moderne infrastrutture, per il complesso di tecnologie di elevato livello, di specifiche professionalità polispecialistiche che operano al suo interno, rappresenta un qualificato punto di riferimento per gli atri presidi dell’Azienda, oltre che per il vasto bacino di utenza che comprende anche pazienti afferenti a territori di provincie limitrofe”. Esiste però un modo per ridurre l’attesa. Basta sborsare 77,47 euro e la prestazione viene erogata nel giro due giorni (dico 2!!). Per ragioni di tempo, io ho scelto questa seconda opzione, di palese ingiustizia sociale. Quello delle liste di attesa è purtroppo un problema annoso; chiede di essere risolto nel rispetto delle persone e soprattutto senza creare disuguaglianze. Mi permetta, caro Direttore, almeno di rimetterlo sul tappeto e di denunciarlo ad alta voce. Con stima. Carmen Taborelli
“Che fai, ci cacci?”
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato inviato dall’assessore Pinuccia Zoccoli, che si riferisce alle dichiarazioni del gruppo consiliare di Forza Italia riguardo una presunta loro “cacciata” dalla maggioranza dopo un voto contrario in consiglio. il direttore
L’assessore rimprovera Pignatelli: “Che sia una questione di visibilità?
Caro direttore, ti chiedo uno spazio in merito al comunicato di Forza Italia Treviglio, ricevuto per interposta persona dal momento che non sono mai stata invitata agli incontri in qualità di tesserata della prima ora, vorrei sottolineare che mai ho sentito il Sindaco della città esprimere alcun giudizio in merito alla paventata espulsione (termine usato nel documento) dei componenti la maggioranza consiliare di Forza Italia. Ma veniamo ai fatti: i consiglieri Gianluca Pignatelli e Paolo Melli hanno più volte votato con i consiglieri di opposizione del PD, contravvenendo ad una condivisione programmatica elettorale sancita -ulteriormente- da un documento del 2011 e sottoscritto da tutti i candidati, di convinta
Presentazione
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QUADERNO N. 21
Data richiesta
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Data esame
DOMENICA 19 APRILE 2015 ore 10,00 Auditorium BCC - Cassa Rurale di Treviglio via Carlo Carcano, 15 - Treviglio - Al termine della manifestazione la Crat offrirà a tutti i presenti una copia del libro
Sommario
Giuseppina Donzelli Possenti: “Cucina trevigliese, che passione!”. Roberta Lilliu: “L’Ultima Cena di Rivolta d’Adda, un affresco ancora poco conosciuto”.
lealtà al Sindaco Beppe Pezzoni. E’ ormai un’abitudine che Gianluca Pignatelli, Presidente del Consiglio, disattenda tutti gli accordi politici verso la fine del mandato: così è stato con l’amministrazione Minuti sull’acquisto dell’Upim; così è stato con l’Amministrazione di Giorgio Zordan sul tema Sai e Triade; così è stato ricoprendo il ruolo di Presidente del Consiglio con l’Amministrazione di Ariella Borghi... e ora con quella Pezzoni! Che sia per un’evidente questione di mera visibilità personale? Nell’ultima frase del documento, (che non porta nessuna firma) si invita a trarre le conseguenze a chi ricopre ruolo nell’esecutivo del Sindaco: conseguenze di cui non raccolgo l’indicazione e che giro coerentemente allo stesso Presidente del Consiglio eletto con i voti dei consiglieri PdL e Lega Nord ,tuttora convinti sostenitori dell’esecutivo. Pinuccia Zoccoli Prandina (Assessore ai Servizi Sociali - Treviglio)
La libertà del matto vale più della sua tutela
Caro direttore, ormai da diverso tempo a Treviglio, nella frazione Geromina, mi è stato segnalato un problema riguardo il disagio di una persona. Questa, iin evidente stato confusionale, trascorre le giornate camminando per le vie della importunando i passanti, oppure, con aria assolutamente smarrita, tenta di entrare in proprietà private. So che sono state fatte molteplici segnalazioni alle autorità competenti, anche a tutela di questa persona, ma nessuno è stato in grado di risolvere concretamente la questione. Le forze dell’ordine e il servizio sanitario d’emergenza, prontamente intervenuti, hanno dovuto tener conto con la normativa che, mentre impone la tutela la libertà dell’individuo psichicamente alterato, dall’altra limita il potere d’intervento degli organi preposti ad aiutare il malato. Mi domando del perchè, visto che questa tematica è nota da decenni, nessuno lo rilevi a livello politico e ne tragga le conseguenze. Giulia Carboni
Luigi Minuti: “L’antichissimo mercato di Treviglio, dalle origini ai giorni nostri”. Maria Antonia Moroni e Adriano Carpani: “Uno sguardo al mondo rurale: l’inchiesta promossa dal Regno d’Italia (1807)”. Carlo Piastrella: “Sulle tavole cremasche dei tempi passati: note scarse sull’alimentazione”Francesco TADINI: “Cibi, fame, malattie e morte a Fornovo San Giovanni nell’Ottocento”. Walter Venchiaruti: “Pani e pane. Il pane nella tradizionale cultura cremasca, dalle origini ai forni comunitari”. Adriano Carpani: “La comunità rurale di Mozzanica nell’antico estimo (1501-1502)”. Aprile 2015 - la nuova tribuna - 61
Lettere & Commenti
Il tormentone: concertazione
Caro direttore, hai perso la grinta
Caro Roberto, scartabellando fra le carte di mio padre ho trovato un articolo de “La Tribuna” del 1994, un’intervista fattami in sede dell’incarico affidatomi dall’allora sindaco Luigi Minuti per lo studio degli impianti sportivi trevigliesi. Erano tempi eroici quelli, più ancora quelli precedenti, anche perché credo di aver scritto per il tuo giornale già forse alla fine degli anni ’70, periodo in cui con l’amico Dario Piacentini diedi vita a quattro fogli, poco più di un ciclostile, che voleva parlare di cultura, di certo dai primissimi anni ’80. “La Tribuna” era scomoda, un giornale dove la voce della gente si faceva sentire, dove la politica giocava un ruolo alto, non ci si perdeva in scaramucce, la vis polemica era così forte da svegliare anche le coscienze dormienti. E’ vero: navigavi in mille problemi. La ricerca spasmodica della pubblicità, le querele, la caccia ai sostenitori, per un paese che faceva fatica ad accettare un giornale diverso da “il Popolo Cattolico”, era una sorta di lesa maestà. Hai dato spazio a penne “importanti” e molte scelte della nostra Treviglio hanno avuto modo di nascere o morire fra quelle pagine, di certo nulla è stato mai dato per scontato. Ecco perché quando ho avuto fra le mani, il primo numero sono rimasto basito e insoddisfatto. Nulla da dire sul formato, bello, patinato, naturalmente ben impostato grazie alla tua esperienza giornalistica, insomma, una bella pin up dalle forme straripanti che vorresti toccare ma che sai non potresti mai amare. Mi sono allora interrogato sul perché di questa scelta editoriale, a tratti un Reader’s Digest di facebook, con qualche lampo qua e là grazie agli articoli di tuoi “vecchi” collaboratori. Mi sono chiesto se il fermento culturale trevigliese si è ridotto a un autodafé, alla seppur travolgente energia popolare sostenuta da pochi cittadini che s’inventano di riempire piazze e campanili con costanza e abnegazione, senza che ci sia una cabina di regia, senza un indirizzo che tracci un solco. Mi sono chiesto se la politica trevigliese, la stessa che era in grado di capire i mutamenti, la stessa che decise che era tempo di avere un sindaco socialista, la stessa che, armata di clave e di coltelli si affrontava nelle sedi appropriate uscendone con una sintesi spendibile, non sia più in grado di affrontare oggi le sfide per il futuro. E naturalmente mi sono chiesto quale classe politica esista oggi, chi sono i giovani delfini che ci governeranno nei prossimi decenni, se avranno la forza di rappresentare Treviglio nelle sedi istituzionali regionali e nazionali come facevamo un tempo. Tutte cose che la “La Tribuna” non avrebbe mandato a dire, sollecitando così un dibattito che avrebbe significato una cre-
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scita culturale e politica di tutto il territorio. Non chiamarmi nostalgico, ma mi manca il Fabbrucci col sigaro a mo’ del Che. Con affetto, Giovanni Senziani Caro Giovanni, tra i mille complimenti ed elogi per “la nuova tribuna”, ben venga la critica, ma non è l’unica, altre simili mi sono giunte da vecchi amici appassionati del territorio e delle discussioni accese di un tempo. Quel tempo e quella politica non ci sono più, e quanti l’hanno vissuta o sono spariti dall’attività pubblica o si sono adeguati. Per ora, caro Giovanni, cerchiamo di dare una visione del futuro, intervenendo dove esiste un nostro sentire comune, come il problema del collegamento Pedemontana-Brebemi. Poi cerchiamo di stimolare la politica chiedendo di riorganizzarsi, di essere più democratica, meno ombelico-centrica, per il resto sta ai lettori, alla gente del territorio inviare il proprio contributo d’idee. E’ pur vero che rientrare dopo quindici anni in gara implica un po’ di cautela, proprio perché “la tribuna” non è Facebook, non è un servizio tv, è uno strumento che a livello locale, se ha spessore e la stima della gente, può davvero cambiare le cose. Essendo persone serie e lavorando in squadra, dobbiamo cercare di muoverci individuando una linea che serva -onestamente e convintamente- al “bene comune”, quello vero, non quello che si proclama perché è una moda. Dacci tempo. Un abbraccio Roberto Fabbrucci
Il grazie del Gruppo Meucci
Caro Roberto, a nome personale e di tutti i Soci del Gruppo Meucci Treviglio ti ringrazio di cuore per l’eccellente servizio ,sul nostro Gruppo, apparso sul tuo giornale “La Tribuna”. Lavoro professionale e superlativo. Complimenti !!!. Grazie di cuore ancora, per noi è stato un grande onore essere stati ospiti nella tua testata. Un caro saluto Gianni Cortesi con tutti i Soci del “Gruppo Meucci Treviglio
ramai tutti abbiamo imparato che non esiste iniziativa del governo del territorio che sia in grado di accontentare tutti. Non c’è strada, parcheggio o piazza che non sia utilizzata come cavallo di troia per i benaltristi e contestatori cronici. C’e’ un sostantivo che si sente sempre più spesso nei discorsi degli amministratori -o dei comitati contrari a questo o quello- ed è “concertazione”. Esempio: “è stata presa la decisione di costruire un parcheggio senza la concertazione con gli abitanti del quartiere”. Tralasciando il fatto che è sottilissima la linea tra concertazione e demagogia -e stiamo sempre parlando di scienze politiche e non di sociologia– il dialogo non manca e nemmeno lo sforzo di ascoltare prima di decidere. Quello che gli abitanti del quartiere realmente intendono dire è che loro il parcheggio lo volevano in un’altra strada ma chi ha deciso lo ha fatto senza accontentarli. Anche il Presidente della Provincia non lesina il famoso sostantivo nei sui discorsi anti autrostada Bergamo–Treviglio. Stavolta è qualcosa del tipo “nel 2012 abbiamo votato a maggioranza per il sì, ma se oggi votassimo nuovamente vincerebbe il no: non dobbiamo ignorare la mutata posizione degli amministratori facendo concertazione tra gli attori coinvolti”. In tre punti. Primo: il voto c’è già stato e quello è un punto di partenza e non di ritorno. Poco importa se una nuova votazione potrebbe avere risultati differenti. Forse anche l’elezione del Presidente di Provincia se fatta oggi avrebbe un risultato differente, ma non per questo Matteo Rossi mette in dubbio le sue funzioni. Secondo: chi deve partecipare alla concertazione? Non si trova giusto che oltre ai Sindaci dei Comuni toccati dal tragitto partecipino alla discussione anche i rapprensentati di cittadini che quel tragitto lo utilizzeranno? Oppure si pensa che l’autostrada sarà un’infrastruttura solo per i Trevigliesi e non anche per i Caravaggini, Cremaschi o Lodigiani? Terzo: il ruolo del Presidente di Provincia. Ma è davvero pertinente la marcia indietro promossa direttamente dal Presidente? Ci era stato spiegato che i nuovi Presidenti sarebbero stati dei “traghettatori” amministrativi in attesa dell’imminente abrogazione dell’Ente. Nel caso di Matteo Rossi e delle sue preoccupazioni sulla “governance del territorio” non si trova la differenza con i predecessori eletti dai cittadini. E per concludere con un sorriso tragicomico riportiamo la sofisticata argomentazione di Dalmine al no dell’autostrada. Non (ci) serve. Si faccia piuttosto lo spostamento del casello A4 da Guzzanica a Sabbio. Eh beh, in effetti... Ettore Rossoni Aprile 2015 - la nuova tribuna - 63
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