Tribuna 06 2015

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TREVIGLIO/Fotografia

Roberto Pazzi conquista il “Daily Mail”, “The Times”, il “Daily Telegraph” e non solo...

CARAVAGGIO

Centro Storico: aree e volumi che attendono un piano per essere recuperati

EURO 2,00

N° 6 - Giugno 2015 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda

Trevigliesi

in

Fotografia di Enrico Appiani

vetrina all’Expo

Chi sono e cosa producono le nostre aziende presenti alla manifestazione

• Speciale “Cassano Festival” • Treviglio Vintage • Ti ricordi della Murano? Giugno 2015 - la nuova tribuna - 1


l’Editoriale

Un bilancio di questi sei mesi e un accenno alla politica

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di Roberto Fabbrucci

ono passati sei mesi dall’inizio della nuova avventura editoriale de “la tribuna”. Certamente non saremmo in edicola se non ci fosse stato Fiorenzo Erri che, per nulla sollecitato, ha chiesto di poter vestire i panni del mecenate dicendomi: “Fai un bel prodotto, non curarti di altro”. Forse non come Gaio Clinio Mecenate (’70 avanti Cristo) che favorì e protesse artisti e studiosi come Virgilio e Orazio, visto che noi non siamo artisti; ma certamente con lo stesso spirito, riconoscendo nel progetto de “la nuova tribuna” tensione morale, entusiasmo e una storia da salvare. Siamo, infatti, una squadra che, grazie a questo mecenatismo, ora può investire energie fisiche e intellettuali in grande misura. Tutto ciò senza nessun secondo fine se non la passione e spirito di servizio, per fornire alla comunità uno strumento utile. La risposta dei lettori nelle edicole e quella del mondo imprenditoriale -che sta iniziando ad usare la rivista per far conoscere i suoi prodotti ad un pubblico esigente- sta dimostrando che abbiamo imboccato la strada giusta e la nostra energia è stata ben investita. C’eravamo dati un anno di tempo per capire se l’avventura appassionata si poteva trasformare in un impegno professionale, ovvero se l’investimento del mecenate –assieme a quello di noi redattori- poteva trasformarsi in un prodotto che camminasse con le proprie gambe; una prima analisi ci pare porti verso quel traguardo. La risposta è arrivata dal rinnovato ottimismo che ci anima, che ha portato a costruire un’organizzazione professionale nata con l’ambizione di dar voce ai progetti “visionari”. Quelli di “Città dell’Adda” (pensare a un futuro osservando l’insieme del territorio e non solo il dettaglio), per mettere in evidenza il meglio e lasciar traccia di persone, storie e memorie che stanno scomparendo. In sei numeri abbiamo rispettato questo iniziale progetto, ora stiamo cercando di affinarlo, trasformando i singoli giornalisti in un’equipe. Ovvero un’orchestra composta di bravi solisti che stanno iniziando a suonare insieme, interagendo con il direttore d’orchestra, costruendo una proposta a più voci. Rimane inevaso il tema della politica locale, che noi ora affrontiamo dall’alto, entrando nel merito dell’insieme, dei rapporti tra i comuni del bacino, delle infrastrutture, della cultura e dell’arte, ecc. Però secondo alcuni lettori non basta, dovremmo entrare più nel dettaglio dei temi sul tappeto, soprattutto in previsione delle elezioni amministrative di Treviglio e Caravaggio

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del 2016. Vero, ma questi lettori, quelli che ricordano le battaglie della vecchia Tribuna, non sembrano aver percepito fino in fondo che i tempi sono cambiati e con loro chi fa politica, anche perché ora sono le singole persone che la fanno e i partiti sono solo spoglie funebri di una democrazia che non c’è più. Prendiamo il tema incandescente del “Parcheggio Setti”: come dovremmo trattarlo, visto che l’attualità la seguono benissimo il “Popolo Cattolico”, “l’Eco di Bergamo”, il “Corriere della Sera”, mentre il “dietro le quinte” lo segue e lo interpreta il “Giornale di Treviglio”? Ebbene, se dovessi iniziare a scrivere di ciò (uso il singolare per non coinvolgere la redazione) dovrei dire che la politica locale non sta dando il meglio: perché per decenni si toglieranno centinaia di migliaia di euro di spesa corrente per pagare l’opera, perché l’opposizione non può essere così sguaiata e perché un Presidente del consiglio comunale (eletto dall’attuale maggioranza) non dovrebbe perdere stile e attendibilità facendo anche il capo dell’opposizione. Problemone, il nuovo Parcheggio Setti? Certamente, ma visto che la decisione è presa, non mi pare urgente fossilizzarsi su questo argomento, perché diventa evidente che, continuando la polemica, si fa solo propaganda per la campagna elettorale. Ci sono temi ben più urgenti, temi da far tremare i polsi, lasciati inevasi a morire. Ne abbiamo messi sul tappeto diversi da gennaio, abbiamo lavorato su dati, sulle situazioni, fatto studi, facendo il lavoro che i partiti non si sognano di affrontare perché sono morti. Questo con l’augurio che qualcuno, nella stanza dei bottoni o all’opposizione, li cavalcasse: zero. Uno per tutti, il tema della mancata vendita di 1400 appartamenti nuovi nella sola Treviglio, una sofferenza economica che si avvicina ai 250 milioni di euro, in prevalenza nella “pancia” delle banche che hanno finanziato le imprese. Qualcuno ha pensato ad un gruppo di lavoro, a un progetto, magari messo assieme le imprese, le agenzie immobiliari, un po’ d’imprenditori con liquidità, per pensare a qualcosa di utile ad attrarre utenza da fuori Treviglio, soprattutto perché siamo l’unica città in Europa ad avere una situazione infrastrutturale, economica e ambientale così vantaggiosa? «Figùras’!»: silenzio totale. Eppure 250 milioni di liquidità che rientrassero in un lustro a Treviglio significherebbero l’America. Ogni nuova famiglia, inoltre, porterebbe altra liquidità nel trasloco, mobili nuovi, l’idraulico, il falegname, gli elettrodomestici, gli accessori (20 mila euro a famiglia?); poi ogni anno spenderebbe i suoi 15/20 mila euro in città. Arriverebbero nuove attività professionali, nuove imprese, il mercato degli affitti si muoverebbe, il commercio riprenderebbe e il Comune avrebbe più entrate. Ma questi sono temi per perditempo come me, come noi; portare cartelli e conigli di peluche in Consiglio Comunale, invece, fa parlare i giornali e ti permette di avere un posto in consiglio comunale dal 2016 al 2021. Per fare che ...per fare che? Giugno 2015 - la nuova tribuna - 3


il Sommario

Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 23 dell’8/8/2003

QUESTO MESE

06-07 L’Expo è arrivato, forse ci sfiorerà (Roberto Fabbrucci). E se i turisti arrivano, dove accoglierli? (Ivan Scelsa); 08-09 Per andare all’Expo meglio il treno, comodo e veloce (Ivan Tassi), Treviglio: trampolino per il mondo agricolo (Cristina Signorelli); 10-11 Non basta produrre formaggio buono (Cristina Signorelli). Un libro nato per caso a tavola (Daniela Invernizzi); 12-13 La filiera corta: buona come il pane. Imparare a fare il pane a Treviglio (Daniela Regonesi); 14-15 Studenti si fanno le ossa all’Expo (Daniela Invernizzi); Non solo basilico, latte e pomodoro (Giorgio Vailati); 16-17 La Gera d’Adda rende omaggio all’Expo. I ragazzi disabili bloccati all’Expo (Daniela Invernizzi); 18-19 La potenza nella bellezza dell’Italia. Dalla Germania l’invito a far spettacolo all’Expo (Lucietta Zanda); 20-21 Se lo sviluppo è senza progresso (Angelo Sghirlanzoni); 23-24 La Brebemi de sùra e chela de sòta (Ezio Bordoni). Era un ragazzino, ma già partigiano (Carmen Taborelli); 25-26 “Volevo restituire dignità a quei morti”. Un libro per risanare quelle antiche ferite. TreVille: ecco i vincitori del con-corso letterario (Daniela Invernizzi); 29-36 Inserto speciale di 8 pagine dedicato a “Cassano Festival” ; 37 Treviglio è la nuova capitale del Vintage (Daniela Invernizzi); 38-39 Uomini e motori d’epoca a Treviglio (Ivan Scelsa); 40-41 Possenti: “Ho iniziato sul Popolo Cattolico” (Chiara Severgnini), Razzini e il suo libro “La lettura

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dei fatti” (Daniela Invernizzi); 42-43 Il mondo fantastico delle lumache, “Cavalieri della vista” in piazza(Daniela Regonesi); 44-45 Gerosa: la fabbrica di vetri speciali (Lucietta Zanda); 46-48 Un viaggio nella storia di Treviglio (Paolo Furia). Tra Franza e Spagna purché se magna (Elio Massimino); 48 Misano, restaurato l’antico campanile (Ivan Tassi); 50-51 Giovani talenti di casa nostra (Anna Fresia). Antonio Locatelli, il mago del violino (Hana Budišová); 52-53 Icat - Di bene in meglio, poi il secondo Lp (Tienno Pini); 56-57 Tasca, ristoratore con il ciclismo nel cuore (Ezio Zanenga); Giulio Ferri, una vita a squarcia54 gola (Roberto Fabbrucci); 58-59 In ginocchio sulle pietre accanto ai fossi (Carmen Taborelli). Ciaffaglione: “Il mercato immobiliare riprende” (Cristina Signorelli); 60-61 Lettere & Commenti: C’è gente che non sa cosa sia il rispetto. Dopo le separazioni l’affidamento dei figli. Giochiamo al Toto sindaco con “la nuova Tribuna”? Don Bosco e l’errore di stampa. Adotta un museo è stato un vero successo; Studio Blu ti fa ottenere il giusto 62 risarcimento (Cristina Signorelli).

Anno 1 - n° 6 - Giugno 2015

Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Comitato di redazione Coordinatrice: Daniela Invernizzi Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli Collaborano Ezio Bordoni, Laura Borghi, Hana Budišová, Marco Carminati, Michela Colombo, Ennio Dozzi, Fabio Erri, Marco Ferri, Anna Fresia, Paolo Furia, Marco Galbusera, Silvia Martelli, Ennio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Stefano Pini, Tienno Pini, Cristina Ronchi, Chiara Severgnini, Angelo Sghirlanzoni, Franca Tarantino, Ivan Tassi, Giorgio Vailati, Romano Zacchetti, Lucietta Zanda, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani, Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni: Giulio Ferri, Sacha Parimbelli, Paola Picetti, Matteo Preziuso Stampa Laboratorio Grafico Via dell’ Artigianato 48/50 Pagazzano (BG) Giugno 2015 - la nuova tribuna - 5


Expo/L’offerta alberghiera Foto di Enrico Appiani

Expo/Treviglio e le occasioni storiche

L’Expo è arrivato, forse ci sfiorerà di Roberto Fabbrucci

La grande occasione è arrivata senza che i trevigliesi si siano agitati più di tanto: pochissime le aziende presenti alla manifestazione mondiale, poco o forse inesistente il materiale per far conoscere Treviglio e cosa offre

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a grande occasione dell’Expo è arrivata e passerà senza che la nostra città abbia saputo coglierla con un minimo di strategia e coordinamento. E’ un fatto storico che i bergamaschi abbiano una capacità del “fare” straordinaria, ma non sappiano, addirittura sfuggano, il “far sapere”. Ricordo che a metà degli anni ’60, quando Tullio Santagiuliana pubblicava “i Giorni di Treviglio”, mi dedicai alla raccolta pubblicitaria per qualche ora alla settimana, non tanto per il denaro, che già guadagnavo con il mio lavoro, ma per “costringere” Tullio a pubblicare i miei articoli. E Tullio ne aveva ben ragione di nicchiare, erano scritti davvero male, se pure sotto c’era la sostanza della cronaca o dell’inchiesta. Fatto sta che nel mio girovagare tra le aziende mi ritrovai da un falegname, bravissimo, come sono bravi solo i nostri artigiani. Feci i miei complimenti per la qualità della produzione, poi chiesi come si era organizzato per far sapere che faceva, per vendere quei mobili. La risposta che mi diede è la chiave di lettura che permette di capire, anche nel 2015, una certa mentalità molto diffusa: «Ié che de et’», ovvero, “Sono qui da vedere”. Sono qui da vedere gli spettacoli, le mostre, i musei, i prodotti agroalimentari, le officine, l’Adda, il Serio, la campagna, i Santuari, la storia di Alessandro Manzoni e Giuseppe

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Foto di Daniele Raimondi

A sinistra il Padiglione Italia, sopra il fascicolo Expo di Lodi, sotto piazza Manara e il campanile visti dall’obiettivo di Daniele Raimondi

Verdi a Treviglio, i mobili d’arte. Tutto «l’è che de et’», sono gli altri, il pubblico che si deve organizzare a scovare le cose. Scrivo questo per introdurre gli articoli sulla presenza dei trevigliesi e della Gera d’Adda all’Expo, che pure non mi pare inferiore a Lodi, città di 45.000 abitanti, che però si è almeno preoccupata di far sapere che c’è. Anche perché a Londra o Pechino non è che ci sono comitive che prendono l’aereo per vedere Lodi o Treviglio. Infatti, mi sono ritrovato tra le mani un fascicolo a colori di ventiquattro pagine, 10x21, diviso in argomenti, che riporto augurandomi che lassù, in qualche oscuro ufficio dove organizzano circa un milione di manifestazioni l’anno per Treviglio, prendano spunto: Lodi è vicina all’Expo, come arrivarci, perché visitare Lodi: l’arte, l’architettura, le mostre e i concorsi, la natura, il fiume, la produzione agro alimentare, l’associazionismo, ecc. Poi tutto il calendario da maggio a ottobre delle iniziative cui partecipare. Perché Lodi sa organizzare e Treviglio no? Eppure ultimamente c’è un fervore culturale mai visto, iniziative di qualità che si susseguono una via l’altra, ma che messe tutte assieme non ottengono neppure il 10% dello sforzo impiegato per organizzarle, fatta eccezione per “Treviglio Vintage”, dimostrazione di capacità organizzativa, strategia e cervello. Sottolineo questo perché sono anni che in molti preghiamo l’assessorato alla cultura, la Pro Loco, le associazioni di categoria, di dedicarsi in prevalenza al coordinare più che produrre, ma senza ascolto. Infatti, com’è nella natura del bergamasco, il fare è più importante del far sapere.

E se i turisti arrivano, dove accoglierli? a cura di Ivan Scelsa

L’Expo è davvero a due passi, ma non tutta l’offerta alberghiera potrà recepirne a pieno i benefici e le potenzialità. Abbiamo cercato di capirne i motivi che sono tutt’altro che scontati, per esempio i tour operator...

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iviamo in un territorio alle porte di Milano che, seppur diametralmente opposto all’asse logistico in cui sono ubicati i padiglioni espositivi di Expo 2015, è tra i più interessanti per i collegamenti e per l’offerta ricettiva proposta. Quest’ultima, infatti, sostanzialmente non subisce alcuna variazione economica per il fruitore, a differenza di quanto già dai mesi scorsi è accaduto nell’area metropolitana del Capoluogo di Regione e nella zona immediatamente a nord, dove i prezzi delle camere d’albergo e dei bed & breakfast hanno visto un importante aumento. E’ questa Treviglio ed il suo hinterland: un’area in cui, contrariamente a quanto si pensi, non mancano le strutture alberghiere. Sono attività nate alcuni anni or sono, il cui sviluppo non è sicuramente collegato al ‘fattore Expo’ bensì ad una più radicata presenza cresciuta con le attività cittadine tanto quanto alle porte del Santuario di Caravaggio, per anni centro aggregante della fede. Sono aspetti a cui va ad aggiungersi quanto finora portato sul territorio dal progetto Bre.Be.Mi. che, nel bene e nel male, ha dato modo alle attività commerciali (sia agli alberghi che ai ristoranti) di diversificare l’offerta, rivolgendosi anche all’ospitalità del personale impiegato nella costruzione dell’infrastruttura. E’ importante sottolineare come questo sia avvenuto in un periodo di grande crisi

A sinistra lo staff del Cavallino: Paola Carminati, Ivan Cela, quindi le sorelle Rosy e Rachele Perego. Sopra sullo sfondo l’Hotel Atlantic. Sotto l’ingresso dell’Hotel Borghetto di Bariano

economica che, come per il resto d’Italia, ha colpito anche il nostro territorio. Una ventata d’aria nuova, quindi, che ha raggiunto albergatori e ristoratori dando loro la possibilità di affrontare il grigiore di questi anni. Tra l’altro, tra eventi, prodotti ed opportunità per l’accoglienza e l’enogastronomia, tutta la provincia di Bergamo rappresenta ‘un fuori salone’ di primaria importanza, secondo noi complementare all’Expo. Ad oggi dobbiamo prendere atto che forse sul nostro territorio è mancata una vera comunione d’intenti volta a promuovere quest’offerta in modo che potesse essere realmente attrattiva, al di là della sola visita ai quartieri espositivi. Un’attenta analisi potrà sicuramente essere fatta a posteriori, ma per ora possiamo constatare che in questi mesi è forse mancata la capacità di proporre itinerari enogastronomici alternativi e ‘di spalla’ a quello che è la proposta nel milanese. Non bastano, quindi, i vini i salumi ed i formaggi. La nostra provincia è in grado di offrire molto di più, grazie ad un territorio ricco di percorsi suggestivi tra i quali, come abbiamo detto, non manca certo la capacità di accoglienza per un turismo diversificato ed improntato alla ricerca della tranquillità, genuinità ed attenzione per l’ambiente. Per proporre questa alternativa, però, è indispensabile un altro requisito: la pubblicità. Molte delle strutture che abbiamo contattato e con cui abbiamo avuto il piacere di scambiare idee e considerazioni in merito, ha infatti evidenziato alcuni interessanti aspetti. Intorno ad Expo 2015, come era immaginabile prevedere, si sono mossi molti tour operator ed agenzie viaggi (di cui molte straniere), tutte attratte dalla possibilità di offrire pacchetti preconfezionati ai visitatori, sfruttando aree geografiche meno a ridosso delle aree espositive, per questo meno interessate da prenotazioni dirette e capaci di offrire prezzi nettamente più bassi. Questa, a dire il vero, avrebbe potuto rapGiugno 2015 - la nuova tribuna - 7


Expo/L’offerta alberghiera

Expo/L’offerta agroalimentare

Treviglio: trampolino per il mondo agricolo di Cristina Signorelli

La Copagri Expo ha sede a Treviglio ed è un consorzio di aziende italiane del settore agroalimentare che ha il compito di coordinare e gestire la presenza delle imprese consorziate durante la manifestazione fieristica presentare un’ulteriore opportunità. Di fatto, però, non sembra esserlo stato. Il motivo è semplice: l’offerta economica riservata all’albergatore che avrebbe accettato la convenzione. Le cifre? Davvero ridicole: tra i 18 ed i 20 euro a persona per il pernotto e la prima colazione. Non è un solo esercente a rappresentare questa problematica, anzi. Nella migliore delle ipotesi le offerte ricevute sono state per 25 euro (pernotto e colazione compresa) a persona con il vincolo di offrire una camera gratis ogni dieci prenotate. Com’è facile intuire, nessun esercizio della zona ha accolto con favore l’offerta, tutt’altro. Con una cifra così bassa non è difficile calcolare il margine di guadagno per l’attività aderente: “Praticamente a noi non sarebbe rimasto nulla” -ci dice Giovanni Verri -responsabile prenotazioni dell’Hotel Verri di Caravaggio- la stessa, identica risposta ricevuta a Treviglio presso l’Hotel Atlantic. Lo stesso Verri, però, ci segnala la presenza di due gruppi di circa cinquanta persone lì alloggiate in questo inizio estate e la cui prenotazione, pur non essendo direttamente legate ad Expo, ha portato un surplus di lavoro per una media di due o tre notti pro capite. Anche Emanuele Gatti di Villa Belvedere, storico Albergo Ristorante di Caravaggio, pone l’accento su una vera mancanza di richiesta di alloggi, ad eccezione di alcune prenotazioni pervenute dalla Russia, anch’esse non direttamente riconducibili all’esposizione mondiale. Ma nonostante la mancanza di concertazione ed il tentativo di ‘giocare al ribasso’, piccoli segnali positivi ci sono. Ad approfondire l’argomento è Ivan Cela, dipendente dell’Hotel Cavallino di Treviglio, che con la Rosy Perego (una delle sorelle titolari), hanno raccolto prenotazioni di diverse stanze per alcuni turisti provenienti dal sud Italia e, per questo mese di giugno, di un gruppo proveniente dall’Inghilterra proprio per Expo. Anche in questo caso il contatto è stato diretto, senza la mediazione ed il supporto di siti specializzati e specifica pubblicità. Come ci tiene a sottolineare lo stesso Ivan Cela: “la forza di Treviglio è il suo strategico snodo ferroviario”. Di questo abbiamo già

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avuto modo di parlare nei precedenti numeri de “la tribuna” ma non per questo vogliamo che il concetto perda la sua forza: Treviglio si trova in una posizione invidiabile, a pochi passi dai maggiori capoluoghi di provincia lombardi (e non solo), perfettamente collegati da due stazioni ferroviarie e dalla neonata autostrada A35 che verrà ben presto supportata da altre importanti infrastrutture viarie in fase di ultimazione. Soltanto spostandoci un po’ più in là, nell’Hotel Borghetto di Bariano, comprendiamo a pieno quanto è avvenuto. Ad accoglierci ci sono Rita Ceruti e suo marito Cosimo Sergi. Entrambi sottolineano come

A sinistra l’Albergo Ristorante Tre Re, sopra l’Hotel Verri, sotto la Stazione Centrale di Treviglio

negli ultimi anni la costruzione dell’autostrada abbia portato un po’ di ossigeno alle casse degli esercizi di settore, grazie ad un surplus di lavoro dovuto all’alternanza delle ditte impiegate. A questo, però, non è seguito un piano trascinante che abbia portato all’auspicato ‘effetto Expo’, per il quale ci si sarebbe aspettato perlomeno qualche prenotazione. L’Hotel Borghetto, infatti, è stato volutamente inserito dai suoi proprietari tra i Partner riconosciuti ‘Wonderful Expo 2015’: finora senza alcun risultato. Eppure il casel-

Per andare all’Expo meglio il treno, è comodo e veloce

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xpo è a due passi da noi. Un’occasione storica per l’Italia e, soprattutto, per la nostra regione che ha l’onore (e l’onere…) di ospitare una manifestazione di rilevanza mondiale. Tantissimi i visitatori attesi, che già nel primo mese hanno deciso di recarsi al sito espositivo numerosi. Come possiamo raggiungere Expo? Dall’apertura dell’autostrada BreBeMi, inaugurata lo scorso anno, raggiungere Milano è facile e veloce. Con la nuova infrastruttura dalla Bassa bergamasca si può arrivare in pochi minuti nel capoluogo meneghino tappezzato di cartelli che ci guidano verso il sito espositivo. Raggiungere Expo in auto è diventato ancora più facile con l’inaugurazione della TEEM, la tangenziale esterna milanese, avvenuta il 16 maggio scorso. Tuttavia andare in auto all’esposizione universale non sempre può essere una buona scelta. C’è il rischio di rimanere imbottigliati nel traffico, che dire poi del tempo che si perde nel cercare un parcheggio… Forse è

meglio andare in treno. È lo stesso principio che ha spinto Regione Lombardia e Trenord a predisporre un piano straordinario con lo scopo di invogliare i cittadini a preferire le rotaie all’asfalto. Alla fine di aprile, l’assessore regionale ad Infrastrutture e Mobilità Alessandro Sorte, bergamasco, affiancato dall’amministratore delegato di Trenord Cinzia Farisé, ha presentato in conferenza stampa il piano attualmente in vigore che accompagnerà la mobilità lombarda fino al 31 ottobre prossimo. I numeri sono rilevanti: 379 i treni al giorno per Rho-Fiera, da tutta la Lombardia,

lo autostradale della A35 è lì, a meno di un chilometro dalla sua attività: possibile che nessuno colga la facilità di spostamento che una posizione così privilegiata può rappresentare? Indispensabile porsi delle domande, per evitare che queste grandi opere restino delle cattedrali nel deserto. Le difficoltà e le necessità rappresentate dagli albergatori, di Treviglio e della Gera d’Adda, sono le stesse. Le risposte, però, ancora mancano. Mal comune, mezzo gaudio, potremmo dire. E’ questo un detto a cui in Italia ormai da tempo siamo abituati, ma la cui incontrovertibile tendenza potrebbe essere alla fine, se solo lo volessimo veramente. praticamente un treno ogni sei minuti da e per Milano; 9 mila i posti offerti in più ogni ora che significano 400 mila posti in più al giorno. Ci sono poi nuove corse e fermate per il servizio “Malpensa Express” e il potenziamento di alcuni servizi serali. Globalmente il piano prevede 1 milione di chilometri in più. Non è tutto: ci sono 39 nuovi treni in servizio, 190 nuove carrozze che equivalgono a 13mila posti a sedere. Per arrivare in treno ad Expo ci sono quattro linee suburbane che collegano il sito direttamente a 49 stazioni lombarde, tra cui troviamo Treviglio da cui si arriva all’esposizione in soli 66 minuti. Le tariffe invogliano ancora di più a lasciare l’auto parcheggiata a Treviglio per salire sul primo treno che passa. Per tutti i treni Trenord il giornaliero costa 13 euro. Se, invece, si vuole viaggiare ovunque in Lombardia (metro, bus e treno) il biglietto costa 16 euro. Inoltre i ragazzi fino a 14 anni viaggiano gratis. Per finire, con 45 euro potrà essere acquistato un biglietto utilizzabile per cinque giorni e con validità sull’intera rete lombarda. Ivan Tassi

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a nostra campagna, negli ultimi anni, è stata erosa dagli insediamenti produttivi, residenziali e dalle infrastrutture viarie; con ciò la tradizione agricola trevigliese è stata sostituita da un’economia manifatturiera ed ora si sta ampliando in quella dei servizi, caratterizzandosi come polo economico e sociale per la Bassa Bergamasca. La tendenza naturale ad evolversi nell’offerta dei servizi, ma nel rispetto delle sue radici legate alla terra, sembra aver fatto di Treviglio il luogo ideale dove dar vita a “Copagri Expo”, per coordinare e gestire la presenza ad EXPO 2015 dei produttori agricoli associati. La partecipazione ad un evento di risonanza mondiale, il cui obiettivo è “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, è apparsa anche la migliore occasione per presentare un progetto, “LOVE IT” Real Italian Food, nuovo brand dell’eccellenza del cibo italiano che, proprio nell’area trevigliese ha il suo centro di sviluppo e coordinamento. Questo per mostrare al mondo la capacità di produrre, nel pieno rispetto della natura, prodotti di qualità. In prossimità dello specchio d’acqua che ospita l’Albero della Vita, simbolo di EXPO Milano, Copagri Expo ha allestito un padiglione nel quale sono previsti, oltre alle singole postazioni dove i visitatori potranno

ricevere ogni informazione riguardo ai prodotti esposti, una zona di vendita concepita come un mercato di zona, affiancata da un’area di ristoro dove gustare le prelibatezze della nostra terra. Lo spazio espositivo, di oltre 500 mq, è costituito da una grande struttura in legno formata da due cupole rovesciate, all’interno della quale sono stati predisposti speciali espositori su tre livelli: sul piano più basso verrà mostrata la nuda terra, su quello mediano il prodotto non lavorato e sul banco vero e proprio il prodotto finito. In tal modo il produttore che presiede la postazione potrà raccontare la storia dei propri prodotti lungo tutto il suo cammino. Gli agricoltori associati si alterneranno di settimana in settimana, così da fornire, nei sei mesi di apertura di Expo 2015, l’occasione a oltre trecento realtà produttive italiane di mostrare ciò che producono, fornendo al visitatore ogni indicazione riguardante il percorso che gli alimenti compiono prima di raggiungere la tavola. Tra i produttori presenti, un’azienda trevigliese che esporrà i suoi gustosi prodotti, i formaggi: si tratta dell’Azienda Agricola Ciocca (vedi articolo) che ha sede in Treviglio. L’obiettivo di Copagri Expo, che dedica grande attenzione alla qualità del prodot-

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Expo/L’offerta agroalimentare

to, è anche impegnata nell’obiettivo di dare remunerazione al produttore, tema particolarmente presente in momenti di grave crisi economica, nei quali i margini sono sempre più ridotti. Copagri Expo si propone di raggiungere questo obiettivo attraverso il progetto LOVE IT, marchio con il quale commercializzare, soprattutto sui mercati esteri, l’intera gamma di prodotti dei propri associati, sfruttando appieno la visibilità offerta da EXPO 2015 per costruire nuovi rapporti commerciali. E’ nota la fama e l’attrattiva che ha il cibo italiano all’estero, e chiunque abbia fatto la spesa in un supermercato straniero ha visto quanti prodotti alimentari del nostro Paese siano malamente imitati, se non addirittura contraffatti. In tale contesto LOVE IT è un marchio che, a partire dai suoi colori che rappresentano la bandiera italiana, promuove e garantisce -attraverso una filiera di produzione completamente italiana- la genuinità ed autenticità dei prodotti nazionali, proponendosi di contrastare in modo efficace il falso cibo italiano sui mercati esteri. Per il singolo produttore agricolo, infatti, sviluppare il proprio mercato all’estero è spesso al di sopra delle sue forze. La neonata Copagri Expo si propone di rispondere a queste esigenze, favorendo lo sviluppo delle aziende del food italiano e la diffusione del Made in Italy autentico. Tutto ciò con una rete di vendita, ma anche punti vendita ad hoc, grazie all’attivazione di un canale e-commerce nel quale proporre l’intera gamma di prodotti, nel rispetto della stagionalità a garanzia di autenticità e qualità.

Due parole su Copagri

Nata nel 1990 come coordinamento di diverse organizzazioni professionali agricole, COPAGRI in seguito si è costituita in una confederazione che assicura oggi, a livello nazionale, servizi altamente qualificati e specialistici ad oltre 300.000 produttori, risultando un interlocutore importante ai tavoli di programmazione e attuazione della politica economica e sociale del Paese, in qualità di organizzazione rappresentativa dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli. A Treviglio ha sede COPAGRI Lombardia che opera da tempo sul territorio regionale al servizio del mondo agricolo.

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Non basta produrre formaggio buono di Cristina Signorelli

Alla Geromina Antonella Viola e Antonio Ciocca producono il formaggio per passione, si sente dal sapore. Sono associati a Copagri-Expo e sono tra i pochissimi trevigliesi presenti all’appuntamento internazionale

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ntro nel piccolo spaccio dove fa bella mostra di sé la scritta Latte e formaggi e trovo Antonella Viola che propone all’assaggio delle sue clienti l’ultima creazione del marito Antonio Ciocca: un formaggio ancora innominato, che naturalmente le signore acquistano a man bassa. È subito chiaro che i coniugi Ciocca lavorano nell’Azienda Agricola di famiglia con passione e in questa recente avventura della produzione dei formaggi si sono lasciati trasportare dall’entusiasmo di creare qualcosa di buono e sempre diverso con il latte delle loro mucche. Racconta Antonella: ”Cinque anni fa, dopo molte insistenze, ho finalmente seguito il consiglio di un vecchio amico che voleva insegnarmi a produrre formaggi: la prima volta che ho immerso le mani nella cagliata ho capito che la mia nuova sfida sarebbe stata pasticciare con i miei formaggi. Tornata a casa, ho convinto Antonio a mettere in produzione qualche formaggio e oggi è lui stesso che si dedica a prove e sperimentazioni. Il Geromina è il nostro formaggio di punta ed è il risultato di una prova apparentemente non riuscita”. Ed è questo formaggio stagionato che insieme agli altri prodotti caseari, stagionati e freschi come la ricotta e il primo sale, la crescenza e gli erborinati, creati per andare incontro al gusto dei palati più esigenti, verranno proposti in esposizione ad EXPO

Expo/Associazionismo

Servizio fotografico di Enrico Appiani

2015, nel padiglione di Copagri Expo (vedi articolo). “La sfida di EXPO è un altro discorso – dice Antonella– lì proviamo a giocarci il futuro”. Infatti il progetto di partecipare ad EXPO 2015 è la spina dorsale di un progetto ambizioso e nel contempo coraggioso che nel lancio del marchio LOVE IT, garanzia e tutela del cibo italiano, vede la conquista di nuovi mercati esteri per la rete di produttori riuniti in Copagri (Confederazione Pro-

duttori Agricoli). Nelle parole di Antonella, donna pratica ma capace di grandi sogni, si delinea la sua visione del futuro, per assicurare ai produttori la giusta remunerazione del loro lavoro e nel contempo garantire ai consumatori la migliore qualità e genuinità dei cibi che portano in tavola. “Oggi -sottolinea- i piccoli produttori, se lasciati soli, vengono schiacciati dalle grandi realtà produttive. Inoltre non hanno forza sufficiente per aprirsi ai nuovi mercati, soprattutto all’estero, dove il Made in Italy alimentare è sempre più richiesto ed imitato. Di contro il consumatore non sempre è informato correttamente circa il suo acquisto. Per questo in Copagri crediamo nella necessità di fare rete e muoverci verso obiettivi comuni che salvaguardino sia gli interessi dei produttori che dei consumatori”. Nel rispetto di questi presupposti Copagri Lombardia, che ha sede in Treviglio e della quale Antonella Viola è vicepresidente, ha ideato in collaborazione con l’European Milk Board, che aggrega le federazioni dei produttori di latte di molti paesi europei, tra cui per l’Italia anche l’Associazione Produttori Latte della Pianura Padana, il progetto “Buono ed Onesto”, che prevede la commercializzazione del latte e dei suoi derivati ad un prezzo equo e con la garanzia di genuinità. Il marchio è costituito da una mucca che prende i colori della bandiera nazionale del paese di produzione, per l’Italia la mucca “Onestina” vestita del tricolore; mentre il nome Buono ed Onesto definisce le caratteristiche del prodotto, come spiega Antonella: ”Buono perché è latte certificato, che proviene integralmente da allevamenti lombardi, è controllato in tutte le fasi di lavorazione, è tracciabile, a garanzia della qualità oltreché del gusto. Onesto perché garantisce la giusta ripartizione del valore economico per tutti i soggetti della filiera fino al consumatore, perché sostiene l’agricoltura, l’ambiente e l’economia del proprio territorio”. Alla fine l’entusiasmo che anima Antonella rende credibile che anche il progetto più ambizioso sia raggiungibile se affrontato con passione e amore.

Un libro nato per caso a tavola di Daniela Invernizzi

“Scritto e mangiato”, storie di cibo e ricordi nel volume di racconti e ricette nato, in occasione di Expo 2015 da un’intuizione di Maria Gabriella Bassi, presidente del Soroptimist di Treviglio

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a una felice intuizione di Maria Gabriella Bassi, Presidente del club Soroptimist di Treviglio, nasce, in occasione di Expo 2015, “Scritto e mangiato”, un volume di racconti e ricette scritto a più mani da amici e scrittori, cultori sia del buon cibo che delle buone letture, tutti di Treviglio e dintorni. Quasi per scherzo gli autori si sono cimentati in questa avventura, sfociata ora in una piacevole raccolta che è stata presentata ufficialmente il 27 maggio scorso all’Auditorium della BCC. “Ho cercato di apparecchiare una bella tavola dove i commensali si presentano, si scambiano le ricette, si raccontano storie, si confrontano sulle questioni della vivibilità del pianeta e del genere umano” dice Pinuccia D’Agostino, che ha curato l’editing e la grafica del volume. “Non ci sono introduzioni, spiegazioni, capitoli: tutto è stato distribuito come si distribuiscono a tavola le diverse portate”. Tra le pagine troviamo racconti legati a ricette del cuore, a tradizioni di famiglia, o riferiti a periodi storici ben precisi: “Anche dolorosi” precisa Maria Gabriella Bassi “...come i ricordi di guerra, occasione per parlare dello spreco del cibo”. E ancora, giochi di parole, modi di dire, proverbi e ricette vere e proprie, fino alla

parte dedicata alla sostenibilità del pianeta o all’aspetto medico della nutrizione. Il libro comprende anche le biografie di tre donne trevigliesi la cui vita si è legata in qualche modo al cibo: Francesca Bellini, che si occupa spesso di catering, Eugenia Ferrari,

del locale Big Mamy e Valentina Canò, del negozio Via Lattea di Brignano. Il progetto di questo libro si inserisce nel panorama più complessivo di Soroptimist International in occasione dell’Esposizione Universale di Milano e contribuisce ad evidenziare lo stretto legame fra cibo e cultura. Il volume sarà esposto allo stand Soroptimist nel Padiglione Cascina Triulza di Expo ed è disponibile a chi ne fa richiesta presso le associazioni Soroptimist e Clementina Borghi. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 11


Expo/L’offerta agro alimentare

Fare lo chef, ma non solo

Imparare a fare il pane a Treviglio Il Centro di Formazione Professionale di Treviglio, meglio conosciuto come “l’Alberghiero”, prevede corsi per panificatori. “Ci vuole gran passione, ma si hanno anche grandi soddisfazioni personali”, spiega Massimo Ferrandi

La filiera corta: buona come il pane di Daniela Regonesi

Massimo Ferrandi, membro del Consiglio direttivo dei panificatori (Aspan), spiega come si possano trovare nuovi modelli di sviluppo globale partendo da azioni locali, alla riscoperta della nostra cultura e delle nostre colture.

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na cosa semplice e quotidiana, come il pane, può essere il primo tassello di un progetto di sovranità alimentare. Ne è convinto Massimo Ferrandi, amministratore unico dell’omonimo panificio trevigliese di via dei Mille, membro del consiglio direttivo dell’Associazione Panificatori provinciale (Aspan) e docente presso il centro di formazione professionale di Treviglio (ABF Bergamo). Le radici del suo impegno nel progetto dell’Aspan “Bergamo, la mia terra il suo pane” (patrocinato da EXPO Milano 2015), affondano nel ricordo delle feste per le mietiture estive dai nonni, nel passato di un uomo che ha “respirato farina fin da piccolo”, è “venuto grande nella cesta del pane”, e che afferma: “in un mondo globale io penso locale”. Nelle campagne bergamasche la coltivazione del grano tenero, abbandonata perché considerata poco redditizia, soprattutto rispetto agli incentivi della Politica Agricola Comunitaria degli anni ‘80, offerti ad un settore economico già sofferente per la crisi petrolifera del decennio precedente, è stata via via sostituita con mais, colza e soia. Nel 2009, quindi, parte la sfida della filiera corta del pane, con 100 ettari riconvertiti a frumento (dei quali 60 a Seriate e 40 a Treviglio), la cui superficie nel 2014 è quin-

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tuplicata. Le spighe di qualità “Bologna” e “Valbona” spuntano, tra gli altri, nei campi di Caravaggio, Arcene e Treviglio, con un raccolto annuo di circa 27.000 quintali di frumento, che rendono dai 22.000 ai 24.000 quintali di farina, pari al fabbisogno della provincia di Bergamo per otto/dieci giorni. Massimo sa bene che, per raggiungere l’obiettivo prefissato per il prossimo quinquennio, ossia arrivare a produrre i quantitativi necessari per cinque mesi, “c’è ancora molta strada da fare e molte teste da convincere”, ma è altrettanto convinto dell’importanza del riappropriarsi della gestione del nostro cibo. Le difficoltà incontrate sono diverse: innanzitutto il paziente lavoro di persuasione al

A sinistra le spighe di grano tenero pronte alla mietitura, sopra la farina di tipo uno, a destra il pane appena sfornato. Sotto Massimo Ferrandi al lavoro, a destra la scuola alberghiera CFP di Treviglio e in basso l’impasto della pagnotta

cambiamento nei confronti degli agricoltori, quindi la ricerca del consenso tra i colleghi panificatori, non tutti convinti della bontà della farina e, infine, riuscire a conquistare il gusto della clientela. Il progetto prevede la semina ad ottobre, la coltivazione basata sul disciplinare predisposto dalla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Bergamo, secondo criteri biodinamici (un appezzamento di Castel Cerreto è addirittura certificato biologico), il deposito del grano raccolto presso il Consorzio Agrario di Bergamo e un deposito privato di Cremona e, infine, la macinazione in quattro mulini in provincia di Brescia, Mantova, Milano e Alessandria. Un percorso breve, dunque, di tutt’altro ordine di grandezza rispetto alle distanze normalmente coperte dai semi importati dall’estero (in prevalenza da Francia, Germania, paesi dell’est europeo, Canada, Australia) per garantire l’80% del fabbisogno nazionale, per un’eccellenza alimentare così tipicamente made in Italy: il pane. L’ambiente ne giova, dunque, con una riduzione delle emissioni di gas serra derivanti dal trasporto, e il territorio è valorizzato attraverso l’utilizzo delle aree agricole per una coltura locale che garantisce un maggior rapporto qualità/resa. Inoltre, nei tempi scuri della crisi economica, la proposta del grano bergamasco ha permesso di creare 25 nuovi posti di lavoro con contratto a tempo indeterminato, suddivisi tra 4 agronomi e 21 agricoltori, ed un conseguente ritorno economico anche nell’indotto di settore, come ad esempio quello delle macchine agricole. Si è instaurato un circolo virtuoso, dunque, la cui bontà non è sfuggita neppure all’Unione Europea, tant’è vero che, il 9 maggio scorso, il presi-

dente della Federazione Italiana Panificatori ha presentato il progetto presso Expo 2015 nella giornata dedicata all’Europa, nonostante la guerra di Bruxelles alla legge lombarda sulla panificazione. Il pane a filiera corta, o a km zero, infine, è un prodotto che costituisce un buon compromesso tra presentabilità, in termini di colore e sapore, e bontà (è un alimento che fa bene) per diversi elementi: innanzitutto è stato scelto di produrlo con farina di Tipo 1 (laddove le farine si classificano in integrale, 2, 1, 0, 00 e 000 in una scala che quantifica il contenuto di fibre presenti, da maggiore a minore), ricca di crusca, ossia l’involucro esterno del seme, e quindi apportatrice di più fibre, sali minerali e vitamine, che la rendono più completa dal punto di vista nutrizionale. Viene prodotta anche una versione della farina bergamasca di tipo 1 senza glutine, ottenuta tramite un sistema di ventilazione, per chi soffre di celiachia. Per prevenire i problemi di ipertensione e i disturbi ad essa connessi, inoltre, nel progetto è prevista anche l’applicazione del protocollo d’intesa per la riduzione del quantitativo di sale nel pane, siglato tra il Ministero della Salute e le principali associazioni di categoria della panificazione, al fine di favorire la produzione e la vendita di pane con contenuto di sale non superiore al 1,7%, riferito al peso della farina. Oltre che al Panificio Ferrandi, dove ogni prodotto è a base esclusivamente di frumento km zero, il pane “bergamasco” a Treviglio si può trovare anche presso i panifici Testa e Maggi (l’elenco completo è disponibile sul sito Aspan). Un pane buono, dunque, sotto punti di vista diversi, ed un progetto non basato sull’autoreferenzialità, sul chiudersi su se stessi, ma di apertura al mondo, a partire dalla riappropriazione delle proprie fonti di sostentamento, in un’ottica di sostenibilità costruita giorno dopo giorno, per assicurare un’alimentazione sana e capace di tutelare la biodiversità: temi basilari dell’Esposizione Universale in corso a Milano. Perché non si perdano “né la coltura né la cultura del nostro cibo”.

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l CFP di Treviglio è l’ultimo nato tra i Centri dell’Azienda Bergamasca Formazione e dal 2013 è presente con una struttura, accreditata a norma della Legge Regione Lombardia n° 22/’06, che eroga servizi che concorrono alla realizzazione delle politiche attive del lavoro. Luogo di formazione di riferimento per molte categorie professionali, che chiedono di poter avere un supporto formativo, organizzativo e gestionale per l’inserimento o il reinserimento lavorativo, il Centro opera su due ambiti formativi: il Socio Sanitario e l’Alimentare/Ristorazione; quest’ultimo prevede corsi di panificatore, pasticcere, pizzaiolo, chef-cuoco, HACCP, servizi di sala/bar, e operatore della ristorazione. Massimo Ferrandi, quale membro dell’Aspan, è docente di panificazione, attività per la quale, dice, “ci vuole gran passione, ma si hanno anche grandi soddisfazioni personali”. Soddisfazioni che sono condivise anche dai corsisti, se si pensa che, sui 28 studenti uscenti quest’anno, la metà ha assicurato un contratto di apprendistato, mentre i restanti 14 hanno deciso di proseguire con la specializzazione del quarto anno. Ci si potrebbe chiedere se, vista la presenza di corsi analoghi in altri centri provinciali, l’offerta formativa esistente non fosse sufficiente: la risposta è data dai circa 70 nuovi aspiranti iscritti rifiutati per mancanza di posti. “La scuola nasce perché è un’esigenza molto sentita. I ragazzi italiani sono motivati, tornano a voler imparare a fare un mestiere, sebbene gli

studenti extracomunitari abbiano più fame di imparare e più passione”, spiega il docente, orgoglioso anche del secondo posto conquistato dalle sua Classe III^ al concorso “Bread in the school”: la sfida, lanciata dall’Aspan alle scuole professionali per realizzare con la materia prima locale (almeno l’80% di farina ricavata dalla macinazione di grano locale del programma di filiera, e altri ingredienti di pregio del territorio) ricette inedite capaci di interpretare, nel rispetto della tradizione, l’evoluzione del gusto, ha visto il suo culmine durante la fiera Campionaria del dicembre scorso. (d. r.)

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Expo/Studenti che si fanno le ossa

Studenti si fanno le ossa all’Expo di Daniela Invernizzi

Gli studenti dello “Zenale e Butinone”, alle prese con numerosi progetti legati all’Expo, hanno sperimentato cosa significae lavorare concretamente alla realizzazione di un evento pubblico in tutte le sue fasi

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olte scuole, in tutta Italia e anche nel nostro territorio, parteciperanno a Expo, portando i ragazzi a vivere da vicino l’esperienza di un evento di portata mondiale. Ma ci sono realtà scolastiche che hanno visto in Expo un’occasione di crescita e formazione, mettendo in campo numerose iniziative. Così ha fatto l’Istituto superiore Zenale e Butinone di Treviglio, che prepara futuri grafici e operatori del turismo. Ne abbiamo parlato con la dirigente scolastica Paola Pellegrini, che insieme alle docenti Anna Maria Di Pierro e Pinuccia Barazzetti, ha seguito con entusiasmo tutti i progetti messi in campo dagli studenti, in collaborazione con alcune realtà del territorio. “Tre sono i progetti ai quali abbiamo lavorato e che si concluderanno con la visita, dal 20 maggio in poi, dei nostri ragazzi fra i padiglioni dell’Expo”, ci racconta la dirigente, “Il progetto della cena interattiva, in collaborazione con la Caritas, che si è svolto lo scorso dicembre; Il progetto happy hour, grazie al supporto di Slow food, la Coop e l’associazione Alboran di Cassano d’Adda, svoltosi lo scorso 22 aprile; e il progetto alloggi, in collaborazione con l’associazione Pianura da scoprire. Tutti questi lavori hanno avuto una fase preparatoria e di ricerca e una fase realizzativa vera e propria, dove i ragazzi hanno dovuto mettersi in gioco, dimostrare di saper fare e non solo

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chiacchierare”. Ma vediamo questi progetti da vicino. Il primo, “Pane e Pesci”, ha visto una fase di ricerca e studio, grazie ai dati della Caritas, su diversi Paesi del mondo e il loro facile o difficile accesso al cibo. La fase di studio si è poi conclusa con una cena interattiva, aperta anche ai genitori, che si è svolta nei locali della scuola, momento conviviale molto apprezzato e durante il quale sono stati trasmessi filmati inerenti allo studio svolto dai ragazzi. Gli studenti hanno poi realizzato uno splendido video della

Expo/Un libro di Marco Carminati

Nelle immagini alcuni momenti dell’happy hour tenutosi lo scorso aprile al Centro Commerciale Tdi reviglio, con i cibi e l’organizzazione curati dagli studenti dell’Istituto superiore Zenale e Butinone.

serata, visibile su YouTube e sul sito della scuola. I ragazzi del Grafico si sono occupati anche delle locandine, mentre quelli del Turistico si sono occupati dell’evento e dei piatti. Il secondo progetto, che si è appena concluso nel mese di aprile, è partito dall’analisi del cibo, alla ricerca di ciò che è sano sulle nostre tavole e ciò che non lo è e cosa significa mangiare sano; per poi approdare a scoprire quali sono i prodotti del nostro territorio che rispondono all’esigenza di nutrirsi correttamente. Anzi, di più: cibo sano sì, ma anche a Km. 0 e ottenuto senza lo sfruttamento dei lavoratori. Dopodiché i ragazzi hanno dovuto pensare all’evento più giusto per far conoscere questi cibi e hanno scelto un momento molto caro ai giovani, cioè l’Happy hour. Il progetto è stato curato dai ragazzi in tutte le sue fasi, dalla scelta e allestimento dello spazio, alla preparazione delle ricette, l’accoglienza, comprese ovviamente le scelte comunicative e la realizzazione grafica dei volantini. “Gli esperti di Alboran e Slow food hanno coinvolto ogni classe in quattro incontri, durante i quali hanno sviscerato le tematiche del Km.0, della filiera corta e dell’impatto ambientale che producono le diverse scelte alimentari”, ci dice ancora la dirigente scolastica, “ma sono stati affrontati anche temi tipici dell’organizzazione di un evento, come la gestione di un budget, la scelta del target da colpire, o il focus sui concetti da comunicare”. La preparazione delle ricette per l’aperitivo sano ed ecologico è stato poi realizzata dai ragazzi stessi grazie al finanziamento della Coop locale, che ha messo a disposizione i corridoi dell’ipermercato per realizzare l’evento; evento che si è tenuto, con grandissimo successo di pubblico, lo scorso 22 aprile. Il pubblico ha dimostrato di apprezzare il cibo, ma anche la presentazione che i ragazzi del

Turistico hanno fatto, spiegando il progetto ai numerosi avventori. I ragazzi del Grafico hanno invece preparato locandine, manifesti e video (pronto nei prossimi giorni). Tutti i video realizzati verranno poi proiettati anche nel padiglione della Coop all’Expo. Il grande successo di questo happy hour sano ed ecologico si deve soprattutto alle aziende del territorio che hanno partecipato, come Panificio Ferrandi di Treviglio, leader nelle farine pregiate; l’azienda agricola Ciocca della Geromina e la sua ricotta, Podere Monotizzolo di Caravaggio con il salame 13 Lune; l’azienda agricola Cascina Pelesa di Castel Cerreto e i suoi famosi asparagi biologici; l’azienda dei fratelli Casarotti di Casirate d’Adda e l’ormai mitica Bufadelfia; la Latteria sociale di Calvenzano e il suo lonzino. “Il terzo progetto, di respiro più ampio”, conclude la dirigente Paola Pellegrini “si è svolto in collaborazione con l’associazione Pianura da Scoprire; i ragazzi del Turistico hanno lavorato al censimento di appartamenti vuoti o stanze per l’accoglienza dei visitatori di Expo. Cinquanta le strutture individuate, sulle quali forse è un po’ presto per dire come è andata, ma per i ragazzi lavorare a questo censimento è stato molto importante, perché ancora una volta sono stati messi alla prova sul campo”.

Non solo basilico, latte e pomodoro Abbiamo chiesto a Marco Carminati di descrivere il libro da lui redatto in collaborazione con il fotografo Nevio Doz. Un appassionato omaggio al cibo italiano

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reviglio - “Il cibo crudo è natura, quello cotto cultura” sosteneva il filosofo e antropologo Claude LéviStrauss. E quale Paese, a buon diritto, può parlare di natura e di cultura, se non il nostro, pur fra gli eccessi, in entrambe le direzioni, che l’Italia è abituata ormai a registrare da secoli e secoli, nella sua lunga storia? Ora, in occasione dell’ appuntamento con Expo 2015, il cui tema è “Nutrire il pianeta-Energia per la vita”, ecco che l’argomento cibo –e nella fattispecie cibo italiano– mi è parso meritasse più di una riflessione e, perché no, almeno un appassionato omaggio. Ho dunque posto mano, insieme al bravissimo ed eccentrico fotografo istriano, Nevio Doz (nella foto), ad un volume edito da Grafica & Arte di Bergamo, sempre molto sensibile ai temi dell’arte, della cultura, del bello e del buono del nostro essere Italiani e Bergamaschi. Ecco che è nato “Italia patrimonio ambientale e cultura gastronomica”, pensato per testimoniare l’identità culturale di un Paese con una tradizione alimentare di grande importanza. L’Italia non è famosa solo per i suoi monumenti o per le località turistiche, ma anche per la tipicità che contraddistingue i prodotti di ciascuna regione. La varietà dei suoi pae-

saggi e le risorse ambientali di cui dispone, ma soprattutto la diversità di clima e di ambienti che la caratterizza, favorisce la crescita di una cospicua varietà di ortaggi, frutti, cereali e legumi. Questi alimenti sono uno dei più preziosi tesori del nostro Paese e la loro coltivazione, abbinata al complesso sistema di produzioni certificate, ne fanno un’eccellenza sul mercato globale, un valore riconosciuto in tutto il mondo. L’Italia è infatti al primo posto nella classifica dei prodotti tipici con quasi 200 alimenti DOP e IGP. Partendo dalle risorse ambientali di cui gode per posizione geografica, il nostro Belpaese ha saputo sviluppare, regione per regione, una vera e propria cultura gastronomica e del territorio, rispettando le tradizioni locali e trasformandole nel marchio di qualità di una nazione. Le immagini proposte nel volume spaziano dal paesaggio, appositamente trasformato dall’uomo per produrre cibo, al rapporto diretto tra il prodotto e la gente che lo lavora, espresso nei ritratti del bravo fotografo, che interpreta il “Made in Italy” in ambito enogastronomico con il gusto della rivisitazione a volte anche ironica, ma con un grande orgoglio di appartenenza al Paese del Tricolore.

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Expo/Centro Studi Storici

La Gera d’Adda rende omaggio all’Expo di Daniela Invernizzi

Il 21° Quaderno della Gera d’Adda dedicato al cibo e alle nostre consuetudini culinarie. Il Centro Studi Storici ha voluto rivolgere uno sguardo affettuoso alle nostre tradizioni, dal mercato del sabato ai momenti conviviali

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ell’anno dell’Expo, il 21° Quaderno della Gera d’Adda, a cura del “Centro Studi Storici della Gera d’Adda”, che da oltre vent’anni segue questa collana di studi sulla vita, la cultura e le tradizioni della nostra terra, non poteva che avere, come filo conduttore, il cibo. Come è noto, infatti, il tema che caratterizza l’Esposizione Universale è “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”, tema caro all’Italia per la sua eccellente tradizione gastronomica, ma anche di importanza vitale per il futuro del Pianeta, sia per la necessità di trovare nuove risorse per sconfiggere la fame nel mondo, sia per un rapporto più equilibrato fra salute e nutrizione. Molteplici sono le modalità con cui il tema cibo può essere trattato, e il 21° Quaderno della Gera d’Adda lo fa rivolgendo uno sguardo affettuoso alle nostre tradizioni, dal mercato del sabato al pranzo della domenica, come momenti di convivialità e condivisione, alla riscoperta di tradizioni perdute oppure ancora oggi consolidate. Grazie alla collaborazione di numerosi e prestigiosi autori (Pina Donzelli Possenti, Roberta Lilliu, Luigi Minuti, Maria Antonia Moroni, Adriano Carpani, Carlo Piastrella, Francesco Tadini e Walter Venchiarutti), il Quaderno ci dà un quadro completo della nostra tradizione e della nostra arte sul tema cibo. E così l’indimenticata maestra Pina Donzelli Possenti ci fa fare

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un tuffo nei ricordi, proponendoci con ironia prima un alfabeto mangereccio, poi le ricette trevigliesi, o meglio certi piatti poveri che erano la consuetudine fino a cinquant’anni fa: la polenta con la pucia (che doveva essere abbondante, perché la carne scarseggiava o non c’era affatto); i risi e le minestre, gli gnocchi; o certe usanze come l’andare a comprare “al scartòs de fregóe”, cioè le briciole dei biscotti, perché i biscotti interi mica ce li si poteva permettere...con una punta di nostalgia ma anche con la consapevolezza che

Expo/Storie di ordinaria burocrazia

si trattava di combattere la miseria, di portare ogni giorno sul tavolo un piatto per tutta la famiglia, anche se allora, in una civiltà contadina, si mangiava (poco) per vivere e non si viveva per mangiare (tanto) come accade oggi a molti di noi. Luigi Minuti, con la sua consueta precisione storiografica, ci racconta dell’antichissimo mercato di Treviglio, che si tiene ogni sabato mattina. Seppur cambiato in molti suoi aspetti, il nostro mercato ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per il commercio di tutto il territorio. Minuti ci regala una serie di dati con i quali possiamo curiosare, attraverso il tempo, quali merci giravano sulle bancarelle ieri e quali hanno preso il sopravvento oggi. E poi, ancora uno sguardo sulla tavola, questa volta dei cremaschi, grazie allo studio di Carlo Piastrella, o alla storia dell’alimento forse più antico del mondo, il pane, con il saggio di Walter Venchiarutti. Excursus storico importante anche sulla cittadina di Fornovo grazie allo studio di Francesco Tadini, mentre uno sguardo all’arte viene dato da Roberta Lilliu, che ci presenta la poco conosciuta Ultima cena di Rivolta d’Adda, affresco presente nella basilica di San Sigismondo. Il Quaderno è stato dedicato a tre illustri personalità che ci hanno lasciato nel corso dell’ultimo anno e che hanno svolto sempre un ruolo primario nell’Associazione dalla fondazione ad oggi: Marcello Santagiuliana, figlio d’arte (il padre Tullio e lo zio Ildebrando), presidente dell’associazione; Alfredo Ferri, ispiratore e fondatore del “Centro Studi Storici” nonché personaggio di spicco in ambito bancario locale e nazionale; Paolo Origgi, eminente studioso, la mente organizzativa del centro studi storici, innamorato del suo paese, Vailate, che gli ha intitolato la biblioteca civica dopo la sua scomparsa.

I ragazzi disabili bloccati all’Expo di Daniela Invernizzi

Malinteso o malafede? Come sono andate le cose riguardo la mancata partecipazione di tre disabili della Cooperativa Insieme a cui è stato impedito l’ingresso ai lavori per Expo. Ne parliamo con Stefano Cerea, volontario di “Insieme”

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e hanno parlato tutti i giornali, poi i fatti di Milano hanno fatto passare in secondo piano la vicenda. In breve: tre ragazzi disabili della Cooperativa Insieme di Treviglio, che dovevano partecipare ai lavori per l’allestimento di aiuole all’interno di Expo, non sono stati fatti entrare. Il perché ancora non è chiaro. Lo abbiamo chiesto a Stefano Cerea, volontario della cooperativa e presidente nazionale dell’associazione direttori Tecnici dei pubblici giardini. “Proprio attraverso questa associazione, che raggruppa duecento città in tutta Italia, ci siamo attivati fin da subito per essere presenti in Expo. E ci siamo riusciti grazie a Bologna Fiere, cui è stato affidato il padiglione della Biodiversità. L’ente ci ha chiesto di lavorare al Bio Tour Italia, una sorta di passeggiata nella parte esterna del padiglione, importante perché proprio di fronte all’entrata Est. Fra i diversi capitoli del paesaggio italiano da rappresentare, Alpi, Appennini, Pianura Padana, Tavoliere, coste e isole e Agricoltura urbana, ci è stata affidata proprio quest’ultima, riguardante le piante che producono cibo coltivate in città. Allora io ho proposto a Bologna Fiere di coinvolgere i ragazzi della Cooperativa Insieme, dando loro la possibilità di realizzare una delle fioriere previste, in particolare quella delle piante aromatiche. Bologna Fiere ha

risposto in maniera entusiasta, anche perché saremmo stati gli unici a coinvolgere i disabili nella realizzazione dei padiglioni Expo. Un bel ritorno di immagine nei confronti del mondo che ci sta guardando”. Ed ecco che i sette tecnici incaricati, fra cui Cerea, preparano tutti i documenti richiesti, compresi quelli dei ragazzi disabili. Ma alla vigilia dell’inizio lavori le cose si complicano. L’architetto Fabio Fornasari, responsabile del Bio Tour Italia, chiama Cerea per dire che ci sono problemi per l’accesso dei tre disabili, adducendo problemi di responsabilità circa l’incolumità dei ragazzi. “Allora ho chiamato il ministro Maurizio Martina, che conosco -racconta ancora Cerea- ma non mi ha risposto. Gli mando un messaggio e mi richiama il dott. Roberto Arditti, responsabile della comunicazione per Expo, che mi dice che c’è stato un disguido e di rinviare subito tutti i documenti. Intanto le ore passavano. Alla sera, ancora niente. Chiamo Armando Ambivero, presidente della Coop Insieme e gli chiedo consiglio su cosa fare. Si decide di andare tutti l’indomani, giorno di apertura dei lavori, e vedere il da farsi. Se il problema era l’assun-

zione di responsabilità, l’avremmo risolto, avendo già le autorizzazioni dei genitori e assumendomi io la responsabilità dei ragazzi durante la loro permanenza all’interno di Expo”. Il giorno dopo i sette tecnici del verde più i tre disabili accompagnati dal loro presidente sono al Campo Base dell’Expo. Dopo ore di attesa arrivano i tabulati degli accrediti, tutto ok per i tecnici, ma i ragazzi non sono inclusi. Quindi se ne tornano a casa con il presidente. Una volta dentro, ai tecnici viene detto che sarebbe servito -per l’accesso dei ragazzi disabili- un certificato di idoneità al lavoro, che però fino a quel momento non era mai stato richiesto. La cosa arriva ai giornali e sfocia in un’interpellanza al Senato presentata da nove senatori al ministro del Lavoro e al ministro per le Politiche agricole. E’ una regola di Expo non accettare i disabili per eseguire i lavori, oppure si tratta di un semplice malinteso, un intoppo burocratico? Dai vertici di Expo arriva la rassicurazione che si è trattato di un errore, che non c’è nessuna avversione alla condizione della disabilità. “Fatto sta che alla fine non se n’è fatto nulla” dice ancora Cerea, molto rammaricato “ci eravamo presi tutte le responsabilità, presentato tutti i documenti richiesti, i ragazzi, che sono comunque dotati di una certa autonomia, avrebbero lavorato in condizioni di assoluta sicurezza, ...quindi non ho proprio capito dove fosse il problema. Pensi che, dopo questa esperienza avvilente, siamo andati a Cervia in fiore, dove non c’è il mondo ma ben sette paesi europei che partecipano, e dove abbiamo lavorato con serenità senza alcun intoppo. Resta il disappunto per questa vicenda che non solo avrebbe fatto bene ai ragazzi, ma avrebbe lanciato un messaggio positivo a tutto il mondo”. Pochi giorni dopo questa intervista, gli organizzatori concedono ai tre ragazzi un pass di sei mesi per Expo: meglio tardi che mai. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 17


Expo/Professionisti dell’impossibile

Dalla Germania l’invito a far spettacolo all’Expo

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La potenza nella bellezza dell’Italia di Lucietta Zanda

All’Expo, nel Padiglione Italia, sfilano le incredibili immagini del nostro Paese filmate dal nostro concittadino Paolo Majolo e da Loris Coniglio, tanto che il pubblico rimane attonito davanti a tanta spettacolarità

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ello scorso numero di maggio avevo concluso l’articolo sul plastico di Dario Majolo anticipando il suo interesse per i “droni” costruiti dal figlio Paolo, di cui avrei trattato più compiutamente in un prossimo della “Tribuna”. In questo numero però vorrei fermare l’attenzione sul contributo essenziale dell’azienda “Action Drone” di Paolo Majolo e Loris Coniglio nell’allestimento dell’installazione che ha per tema “La potenza della bellezza” nel Padiglione Italia di EXPO 2015. Paolo e Loris hanno interamente, con grande impegno e professionalità, filmato tutte le immagini del nostro Paese che vengono proiettate e fatte continuamente passare nel Padiglione, utilizzando per le magnifiche riprese i loro droni, fatti volare a diverse altitudini. Per chi non ne fosse al corrente, il drone è un mini elicottero telecomandato a otto eliche funzionante a batteria. Decolla tenendo agganciata sotto di sé una potente telecamera, anch’essa telecomandata a parte da un altro operatore, in grado di riprendere qualsiasi veduta di esterni o interni a differenti altezze. Non avendo ancora visto il Padiglione – unico e grandissimo punto di forza della presenza italiana in EXPO- mi faccio fare una descrizione sommaria da Dario Majolo,

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che lo ha invece recentemente visitato. “Le parole a poco servono” mi spiega “per descrivere l’unicità e la magia sprigionati da questo luogo. Il secondo piano del Padiglione, dedicato ai filmati, consta di tre diversi ambienti, le cui pareti, completamente

rivestite di specchi, fanno sì che i giochi di luce e le immagini create e moltiplicate tra loro esplodano in un fantasmagorico gioco di paesaggi, una fornace continua di immagini ed elementi architettonici così bello da togliere il respiro. Il pubblico è attonito di fronte a tanta spettacolarità e del tutto in preda a un forte impatto emotivo”. Vado a trovare nella loro azienda -recentemente trasferitasi da Treviglio a Caravaggio- Paolo Majolo e Loris Coniglio, i due giovani trentottenni titolari della “Action Drone”. Loris è assente giustificato e mi faccio quindi spiegare da Paolo in cosa esattamente sia consistito il lavoro della loro Società all’interno dell’Expo. Innanzitutto le riprese per l’installazione dell’intero Padiglione sono state loro commissionate dalla grossa Casa di produzione cinematografica Bedeschi Film, la quale ha richiesto i filmati aerei di ben sessantasei “locations” ovvero di tre diversi aspetti caratteristici per ogni regione italiana, comprendenti un’opera architettonica, un interno artistico e un paesaggio tipico. “Le riprese -mi spiega

Sopra due foto del “Padiglione Italia” dell’Expo, dove si evidenziano scatti realizzati da Action Drone e proiettati sulle pareti. Sotto Paolo Majolo (a destra) e il socio Loris Coniglio con l’attrice Angela Finocchiaro sul set di uno film nei quali i trevigliesi sono presenti con i loro droni

Paolo- sono iniziate a febbraio e sono durate due mesi; non si può dire che seguissimo un itinerario fisso e programmato preventivamente con logica, rincorrevamo più che altro il ….bel tempo! Oggi si era in Piemonte, il giorno dopo in Sicilia, il seguente ancora in Veneto….L’equipe era composta da ventotto persone di cui otto utilizzate per le riprese esterne tra cui Loris e me, e venti in studio per visionare il materiale che spedivamo per il montaggio, durato a propria volta più di due mesi. L’ineguagliabile nitidezza e il fermo immagine delle riprese e i particolari accorgimenti tecnici con cui sono state trattate le immagini sono tali da garantire come risultato finale un’autentica opera d’arte”. Nonostante la loro giovane età, questi due ragazzi hanno potuto portare a termine l’impresa artistica grazie alla loro notevole capacità tecnica e al fatto che sono in grado di assicurare anche ai clienti più esigenti elevati standard di sicurezza e affidabilità. Soprattutto se si pensa che per girare questi filmati sono stati impiegati più droni di dimensioni diverse, compreso l’ultimo gigante in grado di portare la pesantissima macchina da ripresa. Al suo volo, ma soprattutto alla sua pancia, era infatti affidata, non senza qualche accorata apprensione da parte del cliente, una preziosa e massiccia telecamera del valore di circa duecentomila euro! Congratulazioni quindi a Loris di Settala e a Paolo di Treviglio –sottolineiamolo per bene- per la formidabile prestazione all’Expo. Noi de “la nuova Tribuna” ci riserviamo di approfondire la loro storia su uno dei prossimi numeri, certi che il trevigliese o il settalese che andranno alla EXPO, ammirando le bellezze artistiche che sfilano sugli specchi del Padiglione Italia, non mancheranno di apprezzare con giusto orgoglio campanilistico i meriti dei propri rispettivi e già grandi concittadini Paolo e Loris.

arlare di Diana Tedoldi come carismatica e gioiosa “facilitatrice” di drum circle, è per me che sono la mamma, troppo di parte. Potrei dire che questa mia unica figlia durante i suoi spettacoli irraggia energia più che una tempesta solare, coinvolge tutti divertendo e appassionando, insomma è una vera forza della natura, ...sì potrei ma sarebbe veramente scorretto da parte mia, essendo come dicevo la mamma, e quindi tacerò! Piuttosto voglio segnalare che dal 27 al 31 maggio è stata presente all’Expo con la sua organizzazione “Drum Power” nel padiglione della Germania per allietarne i visitatori con ben cinque spettacoli al giorno. La intervisto brevemente attenendomi, con qualche resistenza ma scrupolosamente, ai più rigidi criteri di obiettività. Un “drum circle, cioè un cerchio di tamburi -così spiega Diana Tedoldi- è il solo spettacolo di musica partecipata dove tutti, riuniti in cerchio, sono coinvolti a suonare strumenti a percussione di ogni tipo da me stessa forniti, creando ritmi sotto la mia guida. L’unico spettacolo che non si guarda, non si ascolta ma si crea tutti insieme attivamente in grande allegria. E’ un po’ come tornare a vivere nella dimensione del villaggio di una volta quando tutti gli appartenenti si trovavano insieme per mangiare, cantare e ballare. Sono stata invitata dall’Accademia musicale della Sassonia all’Expo proprio perché il drum circle permette di celebrare la forza della condivisione e dell’essere insieme richiamando tra l’altro metaforicamente uno dei temi cuore di Expo,

la biodiversità: nel drum circle infatti si valorizzano e si integrano le diversità di suoni e di voci che rappresentano metaforicamente le diversità di culture, tradizioni e saperi dei popoli della terra”. Diana dal 2009 con la sua organizzazione ha già coinvolto più di 27.000 persone in oltre 700 eventi in contesti di ogni tipo, dalle manifestazioni di piazza, alla formazione aziendale sull’ascolto, ai team building, al lavoro nel sociale con la disabilità per il Comune di Bergamo attraverso il gruppo da lei fondato “La voce dei tamburi”. Quindi... ”Uno, due, tutti insieme!” come dice lei, ...agli spettacoli con Diana -di cui reperire il calendario nel suo sito “drumpower.net”- per ritrovarsi tutti quanti nello stesso battito, il battito del cuore della terra! (l. z.)

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Caravaggio/Opinioni & Commenti

Se lo sviluppo è senza progresso

FABBRICATI DI PROPRIETA’ DEL COMUNE

Via Fabio Mangone

Adibiti ad uffici pubblici Adibiti ad abitazione

Via Polidoro Caldara

Inutilizzati

Circonvallazione Seriola

di Angelo Sghirlanzoni

“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, ucciso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora sapranno di non poter mangiare il denaro che hanno ammucchiato”. (Toro Seduto)

Q

uarant’anni fa casa mia era abitata da ventuno persone. Ora ce ne sono cinque. Non è vero che non significa nulla. Quello che è successo nella mia famiglia si è ripetuto a Caravaggio su scala più larga. Nel 2012, gli abitanti di Caravaggio hanno raggiunto i 15.905 dopo un lungo periodo di stabilità che si è protratto dal 1971 al 2001 in cui eravamo tra 13 e 14.000. L’incremento è certamente dovuto all’arrivo degli immigrati che attualmente sono 1.743, cioè l’11% della popolazione residente, contro i circa 500 del 2004. Nello stesso tempo la superficie occupata dalle costruzioni (abitazioni, capannoni, negozi), senza ancora comprendere le nuove strade come la BRE-BE-MI e le sue pertinenze, ha raggiunto un totale complessivo pari al 14% della superficie agricola disponibile. Si è verificata una riduzione della popolazione negli stabili del vecchio Centro Storico (compreso all’interno delle diverse circonvallazioni: Seriola, Pulcheria, Calandra, XXV Aprile) con una “migrazione” nelle nuove abitazioni che hanno via via occupato su scala sempre più larga i terreni attorno alla città. Contemporaneamente, si sono svuotati molti edifici pubblici o privati, anche di pregio, del centro (vedi cartina). Solo per dare un esempio dettagliato: in via Mangone è quasi vuoto e con la facciata transennata quello che è stato il Comune Vecchio (ex Scuola del Legno); proseguendo poi fino all’incrocio con la via Michelangelo Merisi, proprio all’inizio di via Polidoro Caldara, sulla destra, è disabitata da circa trent’anni e ha il balconcino transennato, la casa che fu della signorina Teresina Bonomi (già crocerossina del ricovero per i malati di pellagra che era malattia frequente tra i “mangia-polenta”). Subito di fronte, a sinistra, sempre all’inizio di via Caldara, è vuoto l’ex Monte di Pietà. Proseguendo, è deserto, l’edificio di angolo tra via Caldara e via Cavour. Dopo un centinaio di metri, sulla destra, è desolante, anche se parzialmente occupato da diverse associazioni, l’edificio dell’ex Asilo Infantile, malauguratamente abbandonato e sostituito per fini elettorali da “La Margheritina” in via Porta, 2. Annesso al vecchio asilo infantile è ab-

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bandonato da decenni quello che fu l’Orfanotrofio Femminile, lasciato a se stesso al punto che nessuno, in oltre trent’anni di incuria, ha trovato il tempo di far almeno mettere delle reti alle finestre per impedire il deposito degli escrementi di tutti gli animali che, come i piccioni, ci possono entrare. Idem per il cortile subito successivo. Quella del complesso Asilo e orfanotrofio è un’area centrale e meravigliosa che dà sulla roggia, anch’essa desolata come tutte a Caravaggio, e sul parcheggio della Circ. Seriola. Per finire con questi esempi. A Caravaggio, come in molti altri centri, ci sono circa 400 alloggi invenduti. Ma le lottizzazioni in corso per complessivi 235.500 metri quadri in via Brignano, via Capuccini e sulla via Fornovo corrispondono a circa 500 nuovi alloggi. Sempre in via Fornovo, sono previsti 460.000 metri quadri da lottizzare per nuove aree sportive e sulla sinistra della via Panizzardo altri 460.000 metri quadri sono programmati per una nuova zona industriale. Perché? Per chi? A Caravaggio è mancata completamente la politica di recupero di settori del centro storico che in molti casi è ben riuscita a Treviglio, a Cassano, a Romano. Si è preferito e si preferisce continuare a consumare il territorio nonostante la Regione Lombardia, con la legge 31/A2014. abbia deciso di aderire alle raccomandazioni della Comunità Europea per attuare un modello di sviluppo delle città che non preveda più consumo del territorio (sviluppo a consumo zero), tale cioè che ogni nuovo insediamento edilizio sia compensato da un’area già fabbricata da riqualificare con la rimozione del cemento. Praticamente dal dopoguerra non abbiamo avuto a Caravaggio una singola Amministrazione che possa vantare di aver governato decentemente dal punto di vista urbanistico. Anche la Lega, grande e critica moralizzatrice nei confronti delle azioni altrui, non ha modificato nulla. Per rendersene conto basta fare un giro a partire dalle aree ex-IMEC sulla destra della provinciale per Treviglio per continuare verso via Vidalengo. O guardare gli interventi abborracciati (non a responsabilità Leghista) dell’area industriale in via Panizzardo: una sorta di intrico di strade che si chiudono all’improvviso in cui si rischia di perdersi. E

Via XXV Aprile Circonvallazione Calandra Circonvallaz. Porta Nuova Circonvallazione Pulcheria Circonvallazione Specchio

FABBRICATI PROPRIETA’PRIVATA Inutilizzati interamente o in parte

ancora, l’area artigianale di via Calvenzano; un esempio di come si consuma il suolo senza un progetto razionale di fondo. Tutte queste aree sono caratterizzate dall’essere prive di servizi (negozi, marciapiedi aree di aggregazione), e non c’è un albero. La trasformazione della terra agricola in suolo occupato dal cemento vale per gran parte della Lombardia, ma non è un buon motivo per non parlarne anche qui. Il nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT) approvato dal consiglio comunale nel 2014 e la cui validità è di cinque anni, annuncia un ulteriore estensione delle aree fabbricabili a completamento “riempimento” degli appezzamenti rimasti nelle aree abitate, tra casa e casa. Sommando aree lottizzate e invenduto saranno circa 800-900 gli appartamenti potenzialmente disponibili. Le considerazioni generali riportate nel PGT prescindono e non riportano quanti siano i vecchi appartamenti vuoti e quanti siano i nuovi non venduti il cui numero è tale da soddisfare le più larghe previsioni del PGT che, non si sa in base a quali presupposti, quantifica in circa 18.000 i possibili abitanti di Caravaggio nel 2019. Forse, in questi ultimi anni, la crisi economica rallenterà il consumo del nostro territorio. Speriamo che ci risparmi almeno l’interporto di Treviglio-Caravaggio per il quale è prevista una superficie di un milione e 65 mila metri quadri (265 mila per Treviglio, 800 mila per Caravaggio). Sembra cioè che la crisi possa costringerci a rinviare la perdita di terreno coltivabile e gli inesorabili danni in termini di inquinamento delle acque, dell’aria, di qualità della vita. Che si dirà di noi tra cinquant’anni? Che molto abbiamo operato e che molto abbiamo devastato per incapacità e per avidità collettiva. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 21


Treviglio/Infrastrutture

La Brebemi de sùra e chela de sòta di Ezio Bordoni

Non è uno scherzo, volevano far passare l’autostrada Milano-Brescia a nord di Bergamo, oltre Città Alta. Per saperne di più, questa è la storia di come sono andate le cose e come Treviglio non ha saputo farsi sentire

T

utto comincia nel 1997 quando le Camere di Commercio di Brescia, Bergamo e Milano (da qui Bre. Be.Mi.) incaricano il Centro Ricerca Trasporti dell’Istituto Carlo Cattaneo di Castellanza di fare uno studio di fattibilità tecnica “per risolvere i problemi di congestionamento del traffico lungo l’autostrada Milano-Brescia”. I bresciani vogliono arrivare più direttamente a Milano, i bergamaschi vogliono più

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capienza sulla A4, ai milanesi importa che arrivi più gente a Milano a “spent’ i dané”. A Banca Intesa, capitanata dal bresciano Giovanni Bazoli, preme che i conti reggano. L’Istituto di Castellanza partorisce 4 ipotesi (vedi tavola in alto): 1 - un tunnel autostradale passante a nord di Bergamo, con tracciato di 75,2 Km di cui 68,7 in tunnel e costo di 6.599 miliardi di lire; 2 - un tracciato diretto passante a sud di Tre-

viglio di 77,1 Km di cui 71,1 in tunnel, con costo di 5.609 miliardi; 3 - un’autostrada tradizionale a raso, passante a sud di Treviglio, con un costo di 1.850 miliardi e tracciato di 75,2 Km; 4 - l’ampliamento della A4 con un costo di 918 miliardi. Questa soluzione (poi realizzata indipendentemente da BREBEMI), comporta un potenziamento di 20.000 veicoli/ giorno, mentre le altre tre hanno potenzialità di 60.000. Le ipotesi uno e due sono accantonate per i costi troppo elevati, ma i bergamaschi non demordono dal volere due autostrade fuori casa, lasciando a piedi “la Bassa”. Nel 1998 sono formulate due alternative (vedi tav. in basso). L’ALTERNATIVA NORD - Consiste in un nuovo tracciato che passa a nord dell’A4 fino a Seriate e poi scende a fare da tangenziale sud di Bergamo fino a connettersi in A4 a Dalmine. Il costo è stimato in 1580 miliardi per 43 Km, ma questa ipotesi non si connette a Milano. L’ALTERNATIVA SUD - Prevede il collegamento diretto dalla tangenziale di Brescia a Melzo e la connessione con la tangenziale Est Esterna di Milano. Il tracciato orizzontale -affiancato alla ferrovia di Alta Capacitàconsente di sfruttare le sinergie inerenti gli espropri e la realizzazione di ponti e infrastrutture. La scelta ricade su questa seconda possibilità anche perché “sembra soddisfare meglio la domanda di mobilità generata dal territorio”, inoltre questa nuova utenza della pianura bergamasca e bresciana è giudicata decisiva per far tornare i conti. Il progetto prevede 60,9 Km complessivi di cui trentacinque in rilevato,18,5 in trincea, 5,2 su viadotto e 2,2 in galleria sotterranea con un costo complessivo di 1310,25 miliardi. Il tempo di realizzazione è previsto in sette anni, quattro dei quali dedicati alla progettazione esecutiva e alle “procedure di concertazione e acquisizione del consenso” e solo tre alla costruzione. Oggi sappiamo che dal 1998 alla inaugurazione del luglio 2014 sono trascorsi sedici

Foto di Enrico Appiani

Treviglio/Mostra sulla Liberazione

anni e solo il 16 maggio scorso è avvenuta la connessione al sistema autostradale di A1 e A4 tramite la Tangenziale Est Esterna di Milano, operazione necessaria perché BreBeMi entri realmente in funzione. Sappiamo anche che le opere di compensazione e completamento tra cui la riqualificazione di Rivoltana e Cassanese hanno costituito un impegno temporale e finanziario notevolissimo che per ora costituiscono la più apprezzata ricaduta sul territorio, oltre ad aver sgravato le Province da un compito che sarebbe stato loro. La viabilità di connessione realizzata è di 17,5 Km e quella compensativa di 17,1. Ma non tutti i Comuni sono stati adeguatamente protetti e compensati. Per Treviglio non è stato così: nel tratto che la attraversa erano previsti ben 2,2 chilometri in galleria sotterranea, il che avrebbe lasciato libero il piano campagna per la viabilità esistente, ma la galleria è stata ridotta a soli 456 metri, così come è stato ridotto il tratto su viadotto. Scelte che hanno portato l’autostrada ad assumere modalità molto più invasive. Ciò ha comportato diverse conseguenze negative permanenti: l’interruzione di diversi percorsi campestri (tra cui l’antica strada romana “Argentea” che dal Roccolo andava verso Milano) e l’impossibilità di realizzare la tangenziale sud con il tracciato previsto dagli strumenti urbanistici locali. Si deve allo sforzo di volontà e d’intelligenza di alcuni cittadini dei nostri Comuni, tra cui l’Associazione Città dell’Adda, se si è posto rimedio ad alcune negatività, ma le responsabilità delle varie Amministrazioni Comunali trevigliesi che non hanno controllato e discusso i progetti esecutivi, sono evidenti.

Era un ragazzino, ma già partigiano di Carmen Taborelli

La mostra organizzata in occasione del 70° della Resistenza, ha visto la presenza di visitatori persino dalla Svizzera, e ci ha dato modo di conoscere Cloridano Spadon, partigiano adolescente ad Adria

D

a Coriolano, nome scelto dai genitori, a Cloridano imposto, per opportunità, dall’Anagrafe di Adria. Da Shakespeare ad Ariosto, dal leggendario condottiero traditore della patria al giovane soldato saraceno amico fraterno di Medoro. Così si spiega il nome del nostro personaggio, Cloridano Spadon, ottantacinque anni portati alla grande, vivida memoria, garbato e disponibile a raccontare brevemente la sua storia. L’ho incontrato alla mostra “La Repubblica nata dalla Resistenza”, organizzata a Treviglio, nel 70° anniversario della Liberazione. Mi spiega che è durata oltre un triennio la ricerca, oculata, laboriosa e paziente di documenti, testimonianze, immagini e notizie. Il tutto è poi confluito nei circa cento pannelli della mostra, che ovviamente porta la sua firma e che in molti hanno visto e apprezzato. “A visitarla, sono venuti persino dalla Svizzera” – precisa, con legittimo orgoglio, Cloridano. La mostra, inaugurata dal sindaco Giuseppe Pezzoni il 25 aprile scorso, si sviluppava in tre sedi espositive: lo Spaziomenouno di piazza Garibaldi, la Cooperativa Famiglie Lavoratori e l’Ipercoop. “L’interesse per la Resistenza –racconta– nasce da lontano, quando ancora, pur ragazzino, mi rendevo conto di quanto fossero in fermento i movimenti politici e militari che si opponevano

Nella foto Cloridano Spadon in uno scatto di Enrico Appiani durante la mostra sulla Resistenza

al fascismo. Stare a guardare era segno di disimpegno. E allora, con l’incoscienza della nostra età, ma anche con la voglia di fare la nostra parte, io e alcuni miei amici siamo entrati nella schiera dei partigiani, dei combattenti non armati, ma partigiani a tutti gli effetti”. Aladino, Bruno, Cloridano e due altri loro coetanei: tali i nomi dei coraggiosi e temerari adolescenti al servizio dei partigiani veneti, questi ultimi guardati a vista e con sospetto dai fascisti. “Noi, invece, potevamo muoverci e agire liberamente, come quando, al mercato di Adria, ci siamo messi a distribuire dei volantini contro il fascismo. A un certo punto, però, siamo stati costretti a scappare e a metterci in salvo, inseguiti da chi aveva una gran voglia di darci una sonora lezione e, soprattutto, di costringerci a fare i nomi dei partigiani autori dei volantini”. In seguito, Cloridano e i suoi amici, osando oltre misura, si recarono alla caserma dei fascisti per chiedere l’iscrizione al partito, intenzionati a fare il doppio gioco. In questa occasione, lo stop arrivò dai familiari, che bloccarono in tempo il loro rischioso progetto. “Mia sorella –aggiunge Cloridano– mi afferrò per un braccio e mi trasciGiugno 2015 - la nuova tribuna - 23


Mostre nò fino a casa. Ad aspettarmi c’era mamma Angela che, a suon di ceffoni, cercò di farmi capire quanto fossi stato irresponsabile e imprudente. Pur sentendo il male, io, con stoica sopportazione, non versai nemmeno una lacrima. Questo atteggiamento indusse mia mamma a rincarare la dose e a rendere più efficace e persuasiva la lezione. Prese a morsicarmi“. Morsi d’amore, morsi legittimi di una mamma, alla quale la guerra aveva già portato via Deodato, il maggiore dei figli maschi. La lezione servì a calmare gli animi? Assolutamente no! Seguì l’episodio delle armi nascoste nella botola di casa Spadon, in obbedienza ai partigiani locali, ovviamente all’insaputa dei padroni di casa. Che dire, poi, della pistola sottratta a un fascista, dopo aver abilmente raggirato l’ingenuo bambino di questi? Il buon senso degli adulti prevalse sull’incoscienza dei ragazzi; l’arma fu prontamente restituita al proprietario, evitando così ritorsioni e rappresaglie. Dopo altre “bravate” compiute in assoluta buonafede e nella certezza di essere nel giusto, la Resistenza di Cloridano e compagni, iniziata dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, terminò nei primi giorni del maggio 1945. A intervista quasi conclusa, a me era però rimasta una curiosità. Mi interessava sapere quando e perché questo distinto signore veneto fosse approdato a Treviglio. Geometra, dipendente dell’impresa Valsecchi & Ratti di Dalmine, fu incaricato, negli anni Sessanta, di dirigere, nella nostra città, i lavori per la costruzione di due condomini in via Matteotti, dell’hotel Atlantic, degli edifici scolastici alle frazioni Pezzoli e Geromina. In seguito, per conto della famiglia Radaelli, si occupò dell’ampliamento della concessionaria Fiat, di Largo I° Maggio. Negli uffici della Fiat conobbe Mariuccia, che divenne la sua compagna di vita, con la quale, una volta andato in pensione, ha condiviso e continua a condividere un importante impegno sociale: prima all’Auser, alla Protezione Civile, alla Cooperativa Sirio, all’associazione Diversamente e poi in molti altri ambiti e in tante altre occasioni. Un servizio gratuito, generoso, reso alla comunità con passione e competenza. E proprio alla comunità Mariuccia e Cloridano donerebbero molto volentieri la loro mostra sulla Resistenza, perché possa essere fruita da tutti, così da tener viva la memoria e il ricordo riconoscente dei fautori della nostra Liberazione. Chi scrive, ad esempio, valuterebbe positivamente la collocazione permanente della mostra nel Museo storico della Cassa Rurale, dove già esiste una sezione relativa alla Grande Guerra. Prima di salutarci, Cloridano ci tiene a ringraziare pubblicamente quanti hanno collaborato all’allestimento della mostra, in particolare Matteo De Capitani, Giuseppe Didu, Patrizio Dolcini, Marino Mariani, Lucia Profumo, Emilio Pietroboni e Vittorio Scaravaggi.

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Libri/La guerra civile a Treviglio

«Volevo restituire dignità a quei morti» a cura di Daniela Invernizzi

Ad un anno dalla pubblicazione del libro scritto dal nostro direttore, di cui “la nuova tribuna” è in qualche modo figlia, ricostruiamo le situazioni che hanno portato a scriverlo, oltre ai motivi del grande successo di pubblico e critica

R

oberto Fabbrucci, giornalista molto conosciuto in zona, nonché direttore di questa rivista, ha scritto un libro, “Una tragica primavera”, che non è passato inosservato. Uscito l’anno scorso a fine maggio, ha riportato alla memoria di tanti trevigliesi persone e storie che rischiavano di finire nel dimenticatoio e che, dato il loro legame con gli eventi legati alla fine della Seconda Guerra mondiale, assurgono al rango di documento storico. Roberto, come ti è venuta l’idea di scrivere questo libro? «Premetto che non ho mai avuto velleità di scrittore. Non leggo molti romanzi, non mi ha mai sfiorato l’idea di scriverne uno. Invece, sono stato sempre molto sensibile ai ricordi di famiglia. Ogni famiglia porta con sé storie straordinarie che però spesso muoiono con i loro protagonisti. Così, partendo dalla voglia di raccontare la storia di famiglia e iniziando dal nonno, ferito durante la Prima Guerra Mondiale, ho cominciato a raccogliere testimonianze dai cugini sparsi un po’ ovunque: Roma, Londra, Foligno, Chieti. Mio nonno era molto restio a parlare di se, del periodo militare, del resto si comportavano così molte persone che, come lui, avevano vissuto direttamente le tragedie della guerra. Se ho testimonianze, è perché sono arrivate quasi tutte

dai “bambini” di allora, sia quelle dell’ultima guerra sia quella di mio nonno sul Carso. Di nonno so qualcosa perché lui a volte, rimanendo solo con mio cugino Fausto Moretti bimbetto, lo intratteneva con le sue storie. Storie che neppure mia padre e i suoi fratelli e sorelle hanno mai saputo.

Auditorium Crat - Roberto Fabbrucci durante la presentazione del libro il 30 Maggio 2014. Da sinistra: Marco Carminati (moderatore), l’allora presidente della Bcc di Treviglio Gianfranco Bonacina, il relatore prof. Giuseppe Piantoni e il sindaco Beppe Pezzoni. Sopra Antonio Semenza con figlia Graziella e il nipote Severo (la sua villa venne occupata da tedeschi e dagli Usa). A destra sfilata di giovani fasciste in via Roma

Insomma, comincio a raccogliere il materiale e nel giro di due estati metto insieme il tutto, anche grazie all’incontro casuale con uno scrittore di Milano (Elvis Crotti) che, durante i giorni trascorsi insieme in Grecia, mi ha spronato a continuare. Rimaneva però aperta, tra i vari ricordi, la questione delle fucilazioni di Arcene (l’uccisione di fascisti, n.d.r.) e avevo bisogno di approfondimenti, non potevo restare ai “sentito dire”, né ad una storia senza nomi, numeri e date. Vado al Caffè Milano e comincio a interrogare gli avventori più anziani. Pezzo per pezzo metto insieme la vicenda fino a che, qualche mese dopo, a ferragosto, mi presentano la figlia di una di queste camicie nere fucilate ad Arcene».

Un libro per risanare quelle antiche ferite

Roberto Fabbrucci: “La cosa più gratificante è stata rivedere il sorriso sui volti dei familiari degli uccisi”

U

na tragica primavera - Luci e ombre nella Gera d’Adda, ripercorre i tragici eventi che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando la guerra civile fra partigiani e fascisti continuò, drammaticamente e a lungo. Partendo dai ricordi sommari di alcuni episodi avvenuti a Treviglio e dintorni, l’autore compie un

Quindi niente più storia di famiglia? «Messa da parte, almeno per il momento. D’altronde la storia di famiglia era già pronta e documentata, invece i testimoni della guerra civile erano molto anziani (In un anno ne sono mancati tre). Poi era una storia che mi aveva preso, man mano che andavo avanti scoprivo nuove storie, nuovi particolari sempre più interessanti. Non mi sono mai appassionato tanto nella vita, quanto in questo lavoro di ricerca. Ero eccitato, avevo quasi tutto il puzzle di quegli eventi ricomposto, mentre i trevigliesi avevano in mano, ciascuno per sé, un pezzettino di storia. Dovevo farli partecipi. E poi mi sono impuntato a farlo, anche quando qualcuno cominciava a dirmi di lasciar perdere, che erano storie pericolose, che rischiavo. Questo accadde soprattutto quando mi resi conto che Alda Pezzotta (la figlia di uno dei fucilati) portava, ancora dopo settant’anni, tutto intero il dolore di quella morte, come se fosse accaduta il giorno prima. E questo perché è stato un dolore che

non aveva potuto esternare, che non era stato “partecipato”, condiviso. Il padre era stato fucilato senza un processo, e se pure una camicia nera che aveva con tutta probabilità partecipato a pestaggi, non aveva ucciso nessuno, un’ingiustizia palese rimasta congelata fino all’uscita del libro. Insomma, avevo la conferma che, come sempre accade, non è tutto bianco e nero, non ci sono i bravi da una parte e i cattivi dall’altra. Poi a livello locale c’erano amicizie che andavano all’aldilà delle ideologie e di conseguenza, si era capaci di aiutarsi l’un con l’altro, pur essendo avversari. Insomma, ho proseguito perché mi sembrava una cosa giusta, sia per memoria storica, sia per restituire dignità alla morte di queste persone, ree di essersi trovate dalla parte sbagliata nel momento sbagliato, di essere state uccise prigioniere e disarmate da chi aveva il compito di custodirli e portarli a processo». Hai incontrato molte resistenze durante le ricerche?

A destra Alda Pezzotta (figlia del fascista fucilato ad Arcene nel Maggio 1945), con la madre Maria Cereda in uno scatto di quel periodo

poderoso lavoro di ricerca e ricostruzione storica, ricomponendo quel puzzle, che si era scomposto in tanti frammentari ricordi, nella mente dei trevigliesi. La finalità di questo lavoro non è stata quella di riaprire vecchie ferite, ma anzi di sanarle, riportando alla luce la memoria di episodi rimasti nascosti, o solo sussurrati, per troppo tempo, trovando così il modo di giungere a una definitiva pacificazione, nel ricordo dei morti, dell’una e dell’altra parte, indistintamente. “La cosa più gratificante è stata rivedere il sorriso sui volti dei familiari degli uccisi”, racconta Fabbrucci, “per il semplice fatto di averne parlato. Abbiamo restituito dignità a queste morti, a prescindere dalle appartenenze politiche e per la semplice aspirazione di una ricostruzione storica il più possibile obiettiva e a 360 gradi”. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 25


Premi Letterari

Assoc. Clementina Borghi

“Tre Ville”: ecco i vincitori del concorso letterario

G

rande successo anche quest’anno per il Concorso Letterario nazionale “Tre ville”, giunto ormai alla sua XVII° edizione. Quasi seicento le opere pervenute da tutta Italia per questo concorso che è ormai un punto di riferimento importante per chiunque ami la narrativa e la poesia. Dall’anno scorso le opere premiate vengono anche pubblicate in un volume dal titolo “In prosa e in versi”, disponibile su richiesta presso l’associazione culturale Clementina Borghi, organizzatrice del concorso. Ecco l’elenco completo dei vincitori e degli autori segnalati, che verranno premiati il 6 giugno alle 10,30 presso l’Auditorium della banca di Credito cooperativo di Treviglio.

Poesia

1° premio Francesco Setticasi per l’opera “Venivano dal mare”. 2° premio Rodolfo Vettorello per l’opera “Indossavo un kaftan fino ai piedi”. 3° premio Marisa Provenzano per l’opera “Soltanto una clessidra”. Segnalati Aurora Cantini per l’opera “Il mio nome come fiamma accesa”, Paolo Borsoni per l’opera “Timore/Coraggio”, Rosy Gallace per l’opera “Un tempo senza tempo”, Marino Ranghetti per l’opera “Vento di tramontana”, Roberto Ragazzi per l’opera “Canto di solitudine”, Rita Imperatori per l’opera “Lei che lavorava

26 - la nuova tribuna - Giugno 2015

Una tragica primavera

Nella foto la prof. Maria Palchetti Mazza (Presidente Associazione Clementina Borghi)

a maglia”, Dario Marelli per l’opera “Torno spesso”.

Narrativa

1° premio Ivana Saccenti per l’opera “Il nonno e la bambina”. 2° premio Piero Malagoli per l’opera “La sentinella”. 3° premio Sibyl von der Schulenburg per l’opera “Memorie e melanzane”.

Segnalati Nicoletta Sudati per l’opera “A piedi nudi”, Annalisa Giuliani per l’opera “Cercasi commessa”, Luciana Censi per l’opera “Verde smeraldo”, Lauro Zanchi per l’opera “La casa sul mare”, Marta Folcia per l’opera “La casa dei ricordi”, Piercarlo Bettini per l’opera “Il viaggio”, Anna Bruni per l’opera “Monetine al caffè”.

Junior Poesia

1° premio Ex aequo Marco Castelli per l’opera “Pioggia”, 1° premio Ex aequo Valentina Barbieri per l’opera “Paphos”

Narrativa

1° premio Ex aequo Paul Gatti per l’opera “Il talento del clochard”. 1° premio Ex aequo Edoardo Tura per l’opera “L’ultimo giorno”.

Premio Speciale di Merito Associazione Sorotimist di Treviglio e Pianura Bergamasca (per le opere che valorizzano la figura femminile) Premio racconto Sara Boccassi “La fata dai capelli neri”. Segnalazione poesia Rita Imperatori “Lei che lavorava a maglia”. Segnalazione racconto Elisabetta Ghiselli “I pensieri di Felicita”.

Sopra l’eroe partigiano Emanuele Piantoni (Misano) con il commilitone, l’avv. Carlo Venturati

«Tutt’altro, alla fine, nonostante qualche difficoltà, ho trovato molto materiale e ricostruito vicende che nemmeno i familiari di vittime di quei giorni confusi sapevano. E devo dire che anche le reazioni, all’uscita del libro, sono state più che positive. Ho cercato di raccontare tutto il contesto, quindi anche i partigiani, le loro storie. E’ stata una grande soddisfazione vedere che il libro è stato accolto favorevolmente all’unanimità, la gente mi fermava per strada, mi scriveva, mandava altro materiale. Persino un giornalista importante come Gianpaolo Pansa, a cui avevo mandato il libro, senza che lui mi conoscesse, mi ha telefonato per complimentarsi in modo molto caloroso: “Un impianto iconografico e una documentazione straordinaria”. Questo libro mi ha confermato che senza il recupero della memoria, le ferite restano sempre aperte. Insomma, nel mio piccolo ho avuto la soddisfazione di aver contribuito a risanare qualche ferita. L’ho capito quando, durante la presentazione del libro, figli di fascisti e partigiani erano seduti ad ascoltare di queste vicende. Tutti hanno partecipato, si sono commossi ed hanno applaudito insieme, soprattutto i figli dei fascisti fucilati li ho visti ritrovare il sorriso. E’ stato il momento più bello. Il mio auspicio è che in futuro il 25 aprile diventi finalmente un giorno di festa e non più di contrapposizioni ideologiche astiose e pericolose». Il libro piace anche perché ci sono molte fotografie. «Sì, perché non volevo finisse in qualche polveroso scaffale di biblioteca ed essere letto da pochi. L’ho voluto con un impianto grafico da rivista e con molte fotografie proprio per questo motivo. La nuova Tribuna, in effetti, è figlia di questa concezione. Insomma volevo un libro che invogliasse ad essere letto, ad essere sfogliato. Che rimanesse sul tavolino in soggiorno o sul comodino per un po’. E così è stato».

Treviglio/Fotografo giramondo

Su “The Times” e “Daily Telegraph” di Roberto Fabbrucci

Nel 1992 Roberto Pazzi arriva a Treviglio da Milano, ingegnere informatico con la passione dei viaggi e della fotografia, si fa notare dal “Daily Mail”, quindi altre grandi testate mondiali si innamorano di lui

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o scorso mese inizia a girare la notizia in rete che un trevigliese, Roberto Pazzi, ha pubblicato articoli e sue foto su “The Times” e “Daily Telegraph”, qualcosa appare anche sulla stampa italiana. Il fatto incuriosisce, inorgoglisce e stupisce; «E’ proprio vero che “Nemo profeta in patria”». Finalmente lo rintraccio al telefono e dopo un minuto ci

diamo del tu. Mi racconta la sua vita, io la mia, alla fine scopriamo che entrambi arriviamo da mestieri “tecnologici”, ma siamo finiti a fare altro. Lui ha 43 anni, trevigliese nato a Milano, laureato in Ingegneria presso il Politecnico della stessa città, finiti gli studi trova lavoro nell’informatica e telecomunicazioni, ricoprendo ruoli manageriali di buon livello. Sin da ragazzo i viaggi rappresentano

una delle sue grandi passioni, che da sempre interpreta con la filosofia “zaino in spalla”, spesso anche in solitaria. Skipper dal 2012, solo recentemente alla passione per i viaggi aggiunge anche quella per la fotografia. Dal quel momento in avanti Roberto non si limita più a fissare semplici ricordi ma, attraverso i suoi scatti, inizia a raccontare ed a condividere la sua interpretazione del viaggio stesso e -più in generale- della realtà che lo circonda. A Febbraio 2015 la svolta: decide di cambiare completamente il modo di interpretare la propria vita abbandonando il “dover fare” a favore del “voler fare”, decidendo così di assecondare le proprie passioni. Fanno la loro comparsa il sito web (http:// robertopazziphotography.weebly.com) e la pagina Facebook (https://www.facebook. com/robertopazziphotography) ed iniziano le prime collaborazioni nei settori dell’arredamento e della moda. Ad Aprile 2015 la prima mostra fotografica dedicata ad una viaggio esplorativo effettuato Papua. A Maggio 2015 Pazzi viene notato dai maggiori quotidiani della stampa britannica: il “Daily Mail” per ben due volte, il “The Times” ed il “Daily Telegraph” pubblicano alcuni articoli su di lui e sulle sue foto. In risposta, altri media in tutto il mondo, e riviste di settore, pubblicano articoli e contributi che coinvolgono le sue foto. Tra questi “Life Force Magazine”, “Fliiber.com”, “Shot! Magazine”, “Dagospia.com”, “Index” ed altri ancora. Allo stato attuale, Roberto ha pubblicato due libri dal titolo “Il volto di India” e “La valle senza tempo”, mentre un terzo libro, “Street of the World”, è prossimo alla pubblicazione. L’obiettivo finale del nostro concittadino è di riuscire ad unire le proprie passioni per i viaggi e la fotografia, così da poterne fare non un semplice lavoro ma un vero e proprio stile di vita. Dice di se stesso: «Continuare a guardare il mondo con gli occhi e la curiosità di un bambino mi aiuta a ricordare che le cose più semplici sono anche quelle più importanti...». Giugno 2015 - la nuova tribuna - 27


Eventi/Cassano Festival

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Foto di Marino Nicola

Eventi/Cassano Festival

Un importante evento che valorizza la città di Roberto Maviglia (*)

Pochi immaginano che a pochi chilometri da Milano si possano trovare luoghi come questi, dove storia, natura e bellezze ambientali lasciano ogni volta stupiti. L’idea del “Cassano Festival” nasce come una sfida per coniugare questa bellezza con spettacoli di grande qualità

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’incontro tra la musica classica e la musica pop, la sperimentazione di nuovi campi dell’espressione artistica da parte degli artisti, la proposta di classici rivisti in chiave moderna, il confronto e la fusione di diversi stili musicali: tutto questo è il “Cassano Festival” 2015. Dopo la fortunata anteprima dello scorso anno, che ha raccolto grandi consensi e apprezzamenti, siamo arrivati al Festival vero e proprio. Un’occasione per Cassano d’Adda di offrire un programma di spettacoli di grande qualità in una atmosfera particolare che si può creare solo in ambienti in cui la storia, la cultura e la natura si fondono. Per un mese, sotto il cielo estivo nel grande parco della Villa Borromeo, saranno ospitati eventi ricercati e di qualità, che sono sicuro faranno vivere emozioni indimenticabili a tutti coloro che vorranno vivere insieme a noi questa esperienza. Qualcuno potrebbe chiedersi perché organizzare un nuovo Festival in un panorama musicale e culturale che offre molti Festival di diverse località italiane, affermai da anni e con un pubblico affezionato. L’idea del “Cassano Festival” nasce come una sfida partendo proprio dall’esperienza dei grandi festival

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italiani, che coniugano località incantevoli con spettacoli di musica ed arte varia. Siamo convinti che il nostro territorio non abbia nulla da invidiare alle tante località dove vengono organizzati i festival più affermati. Nella nostra terra abbiamo, storia, natura e bellezze ambientali che lasciano ogni volta stupiti i visitatori che vengono a trovarci. Pochi immaginano che a pochi chilometri da Milano si possano trovare luoghi come questi. Eppure questo aspetto è poco conosciuto; veniamo accomunati a volte alla operosa Brianza altre volte alla rurale Bergamasca, ma raramente viene riconosciuto un carattere autonomo e caratteristico ai nostri paesi. Quello che è mancato negli anni passati è stata la capacità di valorizzare adeguatamente il nostro territorio, forse anche perché in molti dei suoi residenti manca la consapevolezza di abitare in uno dei luoghi più belli della pianura lombarda. Ora invece è il momento di investire sulla valorizzazione e la promozione di questo angolo di Lombardia attraverso una offerta turistica che passa da incantevoli percorsi ciclabili, a dimore e fortezze storiche di grande bellezza, ad un fiume che stupisce per la sua maestosità. Il tutto da coniugare ad una offerta culturale di qualità. E’ questo in estrema sintesi il senso del Cassano Festival, è questa la sfida che vogliamo affrontare e che siamo convinti raccoglierà il favore ed i consensi di un pubblico sempre più vasto. *(Sindaco di Cassano d’Adda) Giugno 2015 - la nuova tribuna - 31


Eventi/Cassano Festival

Un grande successo e ora si replica di Marco Calamari

La genesi di “Cassano Festival” 2014, un evento che nasce dall’innamoramento per questa città, realizzato grazie al coinvolgimento e alla partecipazione di tutti. Quest’anno dal 17 giugno al 15 Luglio si replica con nuovi grandi nomi

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l mio amore (perché di questo bisogna parlare) per Cassano d’Adda in particolare e per il territorio nel suo insieme, parte per caso. Il mio lavoro di organizzatore di eventi internazionali ha avuto sempre la necessità di una base Italiana a Milano, come punto di riferimento strategico. Mia moglie Laura, da sempre delegata del settore “immobiliare” di famiglia, s’imbatte in internet in una proposta di vendita Cassanese, la visita e ne rimane affascinata. Con un sotterfugio mi porta a Cassano d’Adda e da lì scocca la scintilla. Una Città che trasmette un senso del tempo ancora lontano da quella frenesia che ci accompagna solitamente nel quotidiano, con i suoi colori reali e profumi naturali. La Storia, la vera Storia si rivela in mille angoli e l’acqua, (un elemento per me ispiratore) che con il suo intreccio di fiumi, canali e navigli dona quella serenità positiva e favorevole all’intraprendenza. In questi tre anni ho potuto anche conoscere e apprezzare l’area limitrofa, che con caratteristiche differenti, ma assolutamente piene di personalità, si presenta come un territorio ricco di possibilità da far apprezzare ad un pubblico (sempre alla ricerca di nuove destinazioni). Così, un po’ per deformazione professionale, un po’ per sentimentalismo, scattava in me la molla per la creazione di un Evento che

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potesse essere utile al territorio e che mettesse in risalto l’orgoglio della tradizione. Dopo qualche sondaggio di confronto con Istituzioni e Privati locali per verificare il gradimento dell’idea, partiva così il “Cassano Festival” alla fine Agosto dello scorso anno, con un anteprima per scaldare i motori, presentarsi sul panorama musico/culturale nazionale e dimostrare che la fortuna aiuta gli audaci. L’obiettivo è stato raggiunto grazie ad artisti che hanno saputo rendere magica anche la particolare location scelta,(il parco di Villa Borromeo) e grazie ad un pubblico che ha gremito sia i tre spettacoli principali sia i tre destinati ad artisti del territorio. Un grazie all’importante supporto dell’Amministrazione Comunale e a quei privati che

Da sinistra: Franz di Cioccio, leader della PFM accanto a Marco Calamari.

fin da subito hanno creduto nel progetto con impegni e consigli. Questo il lavoro che ha dato il la al vero start, il via alla Prima Edizione del “Cassano Festival”. Siamo alle porte: nove Eventi, di cui cinque più prestigiosi (tendenti a caratterizzare lo stile, la serietà, la qualità del Festival) e altri quattro spettacoli di Artisti locali (che avranno così la possibilità di esibirsi), saranno il messaggio positivo di inizio estate. Grande soddisfazione del Festival sono stati gli ospiti dell’anno scorso, il Maestro Angelo Branduardi e il M° Nicola Piovani, oltre ai Ballerini del “Corpo di Ballo della Scala” che con grande maestria hanno saputo disegnare un cameo durante la “Rock Opera The Wall”. Quest’anno grande orgoglio presentare tra i cinque momenti principali, anche il legame con uno dei Festival Lirici più importanti d’Italia: “Il Pucciniano”, che farà esibire la Sua Orchestra nel ricordo del Maestro, in una serata che si annuncia di grande fascino. Importante nell’anno dell’EXPO è essere stati invitati a “movimentare” (con diversi momenti artistici) Milano sul Naviglio Grande e in Darsena. Operazione che ci ha permesso di far crescere visibilità e prestigio di tutto il nostro territorio (oltre alla soddisfazione). Questi sono i fatti, i segnali che, lavorando con metodo, passione, professionalità e serietà, si possono raggiungere grandi risultati, anche con un progetto giovane. Il crescente interesse al progetto da parte di Comuni e Privati vicini è importante e stimolante: la dimostrazione che tutto il territorio può diventare un grande ”palcoscenico”, dove spettacoli di Cultura e Qualità potranno presentarsi nelle diverse espressioni esaltati dalle preziosità locali. Infine un grande Grazie a tutte quelle persone che hanno apprezzato e che apprezzeranno il “Cassano Festival” e a tutti quelli che con entusiasmo hanno operato per la riuscita del progetto. Buon Spettacolo. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 33


Eventi/Cassano Festival

Grandi artisti a Villa Borromeo

La dimora settecentesca, edificata dal Piermarini, riapre il suo suggestivo parco per dar spazio a cinque straordinari appuntamenti. In evidenza anche gli artisti del territorio con quattro appuntamenti di “Anche noi Cassano Festival”

A sinistra “l’Orchestra Festival di Puccini” di Torre del Lago, sopra Stefano Belisari (in arte Elio)

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opo il grande successo dell’anteprima della scorsa stagione, con i concerti di Angelo Branduardi, Nicola Piovani e l’opera rock “The Wall” impreziosita dalla partecipazione di alcuni ballerini del Teatro alla Scala, parte la prima edizione del “Cassano Festival”. L’organizzazione della manifestazione, ideata da Marco Calamari, promotor di iniziative internazionali, con la fondamentale partnership di Battista Ceragioli, show manager e produttore di spettacoli, e l’Amministrazione Comunale, con gli assessori Simona Merisi e Vittorio Caglio accompagnati dallo staff dell’Ufficio Cultura, sono coinvolte positivamente per la piena riuscita di questa nuova edizione e soprattutto per dare lustro e vivacità culturale a questa zona che ospita una delle ville neoclassiche più belle del Nord-Italia, Villa Borromeo, dimora storica dichiarata monumento nazionale. L’intento è ancora una volta quello di valorizzare le potenzialità culturali e artistiche della città attraverso un cartellone di spettacoli musicali e non, ma è anche una grande opportunità per le realtà produttive della zona che, sempre più numerose, collaborano attivamente con gli organizzatori per la piena riuscita della manifestazione. Un modo per portare notorietà e prestigio al territorio, un’occasione di crescita dell’offerta culturale locale destinata ai suoi abitanti ma anche ai turisti e ai visitatori che con Expo 2015 si trovano sul territorio lombardo. La manifestazione si svilupperà sempre all’interno del suggestivo parco di Villa Borromeo, dove verrà allestito il palco che nel periodo estivo che va dal 17 giugno al 15 luglio e ospiterà tutti gli appuntamenti in cartellone. Il debutto della nuova edizione sarà mercoledì 17 giugno con un omaggio all’insuperabile Lucio

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Battisti, i gruppi musicali “2 Mondi” e “Vente Ensemble”, già ampiamente accreditati a livello nazionale a ripercorrere il percorso artistico dell’innovativo e influente cantante, si esibiscono insieme per commemorare la grande voce italiana per eccellenza con uno spettacolo raffinato, eseguito con professionalità e caratterizzato da una interessante ricerca sonora. Un momento di grande lustro di questa edizione sarà la serata del 22 giugno, sia per gli appassionati della lirica che non. La “Fondazione Festival di Puccini” di Torre del Lago presenta “l’Orchestra del Festival di Puccini” con i cantanti dell’Accademia in Concerto Lirico Pucciniano. Un entusiasmante viaggio nella fantasia pucciniana e nella melodia della tradizione popolare italiana. La presenza del “Festival Lirico Pucciniano” è motivo di grande orgoglio per l’organizzazione del Festival, perché questa sorta di gemellaggio tra il “Cassano Festival” e uno dei Festival Lirici Internazionali più famosi, significa che è stata riconosciuta la bontà delle idee, la serietà e qualità organizzativa, oltre al fascino della location ospitante. Il 1 luglio una carica di energia e adrenalina

Per informazioni e prenotazioni tel. + 39 391.4868088 + 39 327.2906869 www.cassanofestival.com https://www.facebook.com/CassanoFestival Email: info@cassanofestival.com Prevedita: infoline: 391.4868088 – 327.2906869 www.bookingshop.it www.vivaticket.it

Orario spettacoli – ore 21.30

allo stato puro investirà il “Cassano Festival”: l’arrivo della PFM, la leggendaria “Premiata Forneria Marconi”, con “All the best”. Tutto il meglio del repertorio musicale del gruppo musicale rock progressivo italiano che ha riscosso grandissimi successi negli anni settanta. Nel 1971 qualcosa di epico, e nel contempo di ancestrale, riuscì a scuotere l’ascoltatore dal profondo, proiettandolo in un nuovo mondo musicale dove la canzone lasciava spazio agli strumenti, ai suoni e all’immaginazione. La ricerca costante sostenuta dalla poliedricità dei linguaggi, ha spinto PFM a maturare uno stile inconfondibile, capace di far apprezzare la musica italiana in campo internazionale al di là della sua tradizione melodica. Altro grande appuntamento musicale d’autore sarà l’8 luglio con Gaetano Curreri, voce unica e storica degli Stadio, e l’ensemble raffinato dei “Solis String Quartet” in Canzoni da Camera, un omaggio appassionato alla canzone, nella sua accezione più ampia, un viaggio con tante sonorità che si fondono per dare vita ad una sola matrice artistica, per un evento irripetibile nel suo genere. Ultimo, ma non meno importante, l’appuntamento con Elio in “Largo al Factotum”. Un suggestivo recital in compagnia del pianista Roberto Prosseda, un viaggio originale, divertente e raffinato nella storia della musica classica, da Gioacchino Rossini a Mozart e Weill, alle canzoni moderne del compositore contemporaneo Luca Lombardi, che vedranno Elio interpretare “Don Giovanni” e il “Barbiere di Siviglia”, così come odi musicali alla zanzara, al criceto e al moscerino. Come da caratteristica del Festival, sarà data la possibilità ad artisti del territorio di esibirsi con la programmazione de “Anche noi Cassano Festival”, quattro spettacoli selezionati che sapranno arricchire le serate estive cassanesi. Non resta che attendere con impazienza il 17 Giugno, per far riaccendere i riflettori su Cassano d’Adda che con un orgoglioso impegno vuole diventare un punto di riferimento dell’area, convinto che la Cultura e la qualità siano elementi strategici per favorirne lo sviluppo generale. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 35


Treviglio/Eventi spettacolari

Treviglio è la nuova capitale del Vintage di Daniela Invernizzi

Torna con tante novità la fortunata manifestazione che l’anno scorso ha richiamato migliaia di visitatori. «Non è un appuntamento commerciale -ci spiegano gli organizzatori-non si vende, non si guadagna niente, ma ci si diverte»

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opo il grande successo dell’anno scorso torna Treviglio vintage, la fortunata kermesse rievocativa che si prefigge di diventare un appuntamento fisso, non solo per i trevigliesi. Un format fortunato e intelligente che quest’anno vuole crescere, mantenendo sì le sue caratteristiche fondamentali, ma cercando anche di fare e offrire di più. Ne parliamo con uno dei suoi ideatori, Ivan Blini. «Tengo a precisare che, diversamente da tanti altri Festival, il nostro non è un appuntamento commerciale: non ci sono bancarelle, non si vende o guadagna niente. Questo format è partito da un’idea ben precisa, scaturita dalle conversazioni nel gruppo “Sei di Treviglio se...” in Facebook, dove ci siamo detti: apriamo i cassetti dei ricordi, vediamo cosa ne viene fuori. E così l’anno scorso c’è stato chi ha portato le sue collezioni (lui per primo, colleziona moto d’epoca, ndr), chi ha messo a disposizione gli spazi, chi si è impegnato come volontario. Quest’anno ci sono arrivate offerte di ampliamento a livello commerciale, ma per ora preferiamo mantenere il format originario». Quindi nessuna novità? «Al contrario, tenteremo di alzare il livello dell’evento: non solo faremo vedere, ma cercheremo di dare qualche informazione in più,

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di tipo storico-culturale, su quello che i visitatori si troveranno davanti. Per esempio, nel cortile che dedicheremo alla Vespa (grazie alla partecipazione dei Vespa Club di Pinerolo, Pontedera e Chiari), ci saranno pannelli informativi che racconteranno la storia di questo mezzo di trasporto tanto amato». Qualche anticipazione sulle altre esposizioni? “Quest’anno ho la disponibilità di un maggior numero di spazi e cortili, che dedicheremo alle auto e alle moto. Via San Martino sarà dedicata alle vecchie radio e ai primi computer; via Verga sarà la via del red carpet, perché dedicata al cinema, con le vetrine vestite per l’occasione grazie alla collaborazione del cinema Ariston. Ma non svelo altro. Mi piacerebbe che la gente partecipasse attivamente, magari vestendo vintage, come meglio crede, mentre venerdì sera ci sarà un Aspettando Treviglio Vintage con un gioco in piazza Garibaldi, dove diverse squadre si sfideranno sulle tradizioni, usi, costumi e dialetto della cultura trevigliese. Ci saranno momenti di gioco, alternati allo spettacolo, grazie alla conduzione del mattatore Walter Danelli. Sabato sera, musica con un gruppo rockabilly, tema che il Jammin’ manterrà per tutto il week end. Domenica ci sarà anche una corsa ciclistica d’epoca, mentre alla sera si balla la dance; e poi

Ivan Blini in uno scatto di Enrico Appiani, accanto ad una delle volontarie in abito d’epoca, durante “Treviglio Vintage” 2014 in un cortile di via Galliari. Sotto un’altra volontaria con Walter Danelli

ancora, una radio che trasmette davvero, con la postazione nel negozio Finardi, un mega trenino funzionante presso la BCC...insomma, tantissime cose da scoprire, un museo interattivo a cielo aperto”. Presumo che tutto ciò richieda un grande sforzo organizzativo. “Grazie all’effetto domino del successo dell’anno scorso, quest’anno è andata benissimo per la collaborazione di tutti, commercianti in primis, il distretto del commercio, ma anche i privati. Ognuno ha fatto la sua parte al massimo delle sue possibilità; come l’anno scorso, del resto, ed è per questo che è venuto così bene. E’ un evento nato dal basso, non pensato a tavolino, ma frutto dell’entusiasmo di tante persone e tale vorrei che rimanesse, Anche se i costi aumentano e dovremo pensare presto a forme di autofinanziamento. Anzi, ci stiamo già pensando, per esempio realizzando magliette ricordo (la prima dovrebbe essere disegnata da Battista Mombrini). Vorrei però fosse chiaro che noi organizzatori vogliamo che questa festa non pesi sulle spalle dei trevigliesi ma sia e rimanga sempre una festa per tutti”.

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Servizio fotografico di Enrico Appiani

Treviglio/Associazioni, passione e tradizione

Uomini e motori d’epoca a Treviglio di Ivan Scelsa

Il Club Automoto Storiche Treviglio raccontato dal suo Presidente, Flavio Nava, appassionato collezionista trevigliese, alla guida del sodalizio dal 2012. “Treviglio Vintage” l’occasione per far conoscere meglio il gruppo

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l “Club Automoto Storiche Treviglio” è un’associazione che negli ultimi anni i cittadini trevigliesi (e non solo) hanno imparato a conoscere in occasione di alcuni eventi promossi ed organizzati in concomitanza con importanti manifestazioni locali (prime fra tutte Treviglio Vintage) e -lo scorso mese di settembre- un esclusivo evento dedicato proprio ai festeggiamenti per i cinque anni di vita del club. E’ un sodalizio giovane il CAST, ma che vanta già un curriculum di tutto rispetto. Per scoprirlo più da vicino abbiamo voluto lasciare la parola a Flavio Nava, classe 1984, socio fondatore del Club, già vicepresidente all’atto della fondazione nel 2009 e da circa tre anni alla Presidenza. Non è difficile far parlare del club a Flavio Nava: chi lo conosce sa che lo promuove sempre con passione ed orgoglio. Probabilmente non ci si aspetta che dietro l’apparente tranquillità di un impiegato di banca si nascondano spirito di iniziativa e capacità di tenere unito un gruppo fatto di persone molto diverse tra loro, per diversa generazione e passione verso l’uno o l’altro marchio. “L’inizio della mia passione per le automobili -dice Nava- nasce, come per molti, da bambino quando ancor prima di saper leggere divoravo le immagini delle riviste automobilistiche sperando che ad ogni occasione

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utile giungesse in regalo un modellino. I miei genitori fin da subito capirono che ad attirarmi non erano le vetture di ultima generazione bensì le auto d’epoca. A 15 anni ricordo che perdevo le ore ad ammirare una Lancia Fulvia coupé rossa, era una terza serie, parcheggiata spesso in via Ariosto a Treviglio. Quel ricordo deve essere rimasto latente dentro di me per molto tempo visto che poi, già a vent’anni, acquistai con i primi risparmi proprio una Lancia Fulvia coupé del 1971. Ricordo che era una

Flavio Nava, presidente Club Automoto Storiche

seconda serie di colore grigio con interni in panno blu”. Da allora le autovetture storiche succedutesi nell’autorimessa di Flavio, storiche e non, sono state molte. Fu proprio grazie a quella Lancia che iniziò a frequentare l’ambiente dell’automobilismo storico dove strinse le prime amicizie e conobbe molte persone, tutte accumunate dalla sua stessa passione. Attualmente la piccola collezione di Flavio Nava ospita una Fiat 600 del 1955, una Fiat 850 familiare del 1976, una Ferrari Mondial del 1986, un’Alfa Romeo 33 1.5 Sport Wagon del 1988 ed una Lancia Thema 2.0 Turbo LX del 1992. La Fiat 600 è l’auto più anziana che ha: si tratta di un raro esemplare di prima serie con targhe ancora in metallo e documenti originali, sempre più difficile da trovare. Nello specifico, quello di Nava apparteneva ad un nipote del podestà di Soresina. “Era ferma dal 1968 ma con una batteria nuova e un po’ di benzina nel carburatore è partita quasi subito -ci dice il suo proprietario- ed in questo momento sto ultimando il restauro della carrozzeria con mio padre Giovanni”. La Fiat 850 Familiare, invece, è il classico ‘pulmino delle suore’, un mezzo in dotazione anche alle Stazioni dell’Arma dei Carabinieri e i più se lo ricordano, infatti, proprio per questo utilizzo. L’esemplare è di fine produzione e montava già il motore ‘903’. Apparteneva ad un artigiano della Valle Seriana: anch’esso conservato con targhe originali, a causa dell’abbandono all’aperto per molti anni, è stato sottoposto ad un importante intervento di restauro. Gli esemplari di 850 Familiare in queste condizioni in Italia sono veramente pochi, soprattutto a causa dell’utilizzo a cui sono stati sottoposti

che li ha portati spesso alla demolizione. La Ferrari Mondial 3.2, invece, è il classico coronamento del sogno di un ragazzo cresciuto a pane e motori: quello di possedere un’auto del ‘cavallino rampante’. Non si tratta sicuramente di una Ferrari di pregio, visto le basse quotazioni del mezzo, ma le sue linee classiche anni ‘80 sono quelle rimaste impresse nella mente di Nava tanto quanto in quelle dei suoi coetanei. Dotata di un motore aspirato da 3.2 litri capace di erogare 250 cavalli di potenza, questa Gran Turismo vanta dimensioni generose che consentono di viaggiare comodamente (contrariamente alla maggior parte delle vetture supersportive) anche a persone di statura elevata. L’Alfa Romeo 33 1.5 Sport Wagon è invece un salvataggio dalla rottamazione certa. Non è sicuramente l’Alfa Romeo di maggior fascino e ricercatezza storica ma, il cuore Boxer a cilindri contrapposti ha incontrato quello da appassionato di Flavio che proprio non ce l’ha fatta a vederla finire sotto la pressa. Ultima (ma solo per data di immatricolazione) la Lancia Thema. È quella che in gergo viene definita una Young Timer: si tratta dell’ultima vera ammiraglia della Lancia, in questo caso nel suo allestimento più pregiato, il 2.0 Turbo LX (dopo l’eccezionale esclusività della versione 8.32 meglio conosciuta come ‘Thema Ferrari’). La particolarità di questa vettura è rappresentata dagli interni che ritrovano la plancia e le sedute tipiche della Thema Ferrari abbinate ad una dotazione di bordo di tutto rispetto. Cinque vetture, quindi: una diversa dall’altra per epoca e tipologia. Quella per l’auto d’epoca è una passione viscerale, una di quelle passioni che ti spinge sempre più dentro l’argomento, ti cattura, ti coinvolge e non ti lascia più. Ed è così che, insieme ad altri amici, Nava inizia a non essere più contento di essere solo un partecipante degli eventi promossi dall’uno o dall’altro club, tanto da portarlo in poco tempo a ragionare sulla possibilità di dar vita ad un club cittadino (il “Club Automoto Storiche Treviglio”, appunto) ufficialmente costituito la sera del 7 settembre 2009 con altri trevigliesi ed amici della bassa bergamasca. All’inizio i soci fondatori credettero che sarebbe stato un piccolo club frequentato da un

manipolo di amici, ma ben presto dovettero ricredersi. Capirono che il seme gettato sul territorio stava dando vita ad un movimento nuovo, aggregante, capace di riunire un considerevole numero di appassionati che aspettava solo di essere stimolato nel giusto modo. Iniziarono ad organizzare i raduni, ogni volta diversi, richiamando un sempre maggior numero di appassionati e arrivando all’attuale numero di 150 soci, tutti regolarmente iscritti. In cinque anni oltre 50 eventi organizzati: tutti all’insegna della passione per il motorismo storico, sempre vissuto con grande spirito di amicizia ed aggregazione, lontano dai salotti di élite. “A me piace spesso sottolineare – prosegue Nava - come nel nostro Club nessuno viene valutato in base al valore dell’auto che possiede (sia essa una supercar o una piccola utilitaria). Entrambe hanno fatto la storia della motorizzazione italiana ed hanno la medesima importanza! Soprattutto, è bello notare come sempre più nuovi iscritti non siano possessori di autovetture storiche ma si avvicinino al mondo del collezionismo e dell’associativismo un po’ per curiosità e, forse, per coltivare una passione sana, latente, frutto di ricordi di gioventù. Questo, ovviamente, in attesa di coronare il proprio sogno acquistando l’auto storica che hanno sempre desiderato o sulla quale andavano al mare da bambini”. Come ogni club che si rispetti, anche il CAST si prefigge di incoraggiare, promuovere, perfezionare e favorire la conservazione ed il recupero di qualsiasi veicolo a motore che abbia compiuto almeno vent’anni, valorizzandone l’aspetto tecnico e la storia, anche di costume. Per il raggiungimento di tale scopo vengono promosse attività turistiche, espositive e di consulenza verso i soci per il recupero, il restauro dei mezzi e gli aspetti burocratici ad essi connessi. Ma a parte l’attività prettamente statutaria, l’associazione è a tutti gli effetti un centro di aggregazione dove nascono amicizie e collaborazioni tra automobilisti, nonché un punto di riferimento per tutti gli appassionati della bassa bergamasca, del cremasco e delle limitrofe zone milanesi. Un altro punto di orgoglio, che ci tiene a

sottolineare Flavio Nava, è la forte presenza di giovani, che assicura al motorismo storico ed in particolare alla sua associazione, il ricambio generazionale per tramandare notizie, conoscenze ed aneddoti. A discapito dei luoghi comuni che vedono la passione per i veicoli d’epoca come tipicamente maschile, all’interno dell’associazione è forte anche la presenza femminile, anche questo un chiaro motivo di soddisfazione. A livello organizzativo il “Club Automoto Storiche Treviglio” è un sodalizio snello e funzionale, ma allo stesso tempo ben strutturato con competenze chiaramente ripartite tra i membri dello staff: i sette Consiglieri del Direttivo sono il chiaro esempio della sinergia che si può creare tra generazioni diverse, proprio grazie alla varietà di visioni ed esperienze di ciascuno. Il segreto del Club Automoto Storiche Treviglio? Ci risponde Flavio Nava: “Semplice: i suoi iscritti! Persone straordinarie e veri appassionati: è grazie al loro impegno, partecipazione agli eventi e fiducia verso il Direttivo, che la nostra associazione è diventata quel che è oggi. Prima di fondare il CAST ho frequentato altri club ma devo dire che lo spirito, unito a quel pizzico di ordinaria follia, che si respira in ogni occasione di incontro non mi era mai capitato di sentirlo così vivo e forte. E non è cosa facile mantenere questo spirito e questa spensieratezza che si vive nella frequentazione del club gestendo però l’associazione, pur senza grandi flussi di denaro, come se fosse una azienda ben strutturata, il che garantisce una qualità per i soci ampiamente riconosciuta e apprezzata da questi. Sarà anche vero che, come si dice, ‘ogni scarafone è bello a mamma soja’, ma io sono ogni giorno sempre più orgoglioso e fiero di ciò che siamo riusciti a creare e sono onorato di essere il Presidente di questa meravigliosa, grande famiglia che ripaga il forte spirito di appartenenza il grande impegno che tutto lo staff presta a titolo gratuito”. Presente anche in internet (www.automotostorichetreviglio.it) con un sito ricco di contenuti, negli ultimi mesi questo “sguardo sul futuro” è stato ancora di più curato. Non a caso il motto dell’associazione è Guidiamo il passato nel futuro. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 39


Treviglio/Personaggi

Caravaggio/Editoria

Possenti: “Ho iniziato sul Popolo Cattolico” di Chiara Severgnini

Il decano dei giornalisti trevigliesi dirige il “Popolo Cattolico” da trent’anni, settimanale che aveva visto l’inizio della sua carriera nel 1950. “Il giornalismo significa mediare tra il pubblico e la notizia”

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e il giornalismo trevigliese avesse un volto, sarebbe quello di Amanzio Possenti. Direttore del Popolo Cattolico dal 1983, detiene un titolo tutt’altro che banale: nessun’altro, in Italia, dirige un settimanale da più tempo di lui. Trentadue anni non sono pochi, neanche per chi, come Possenti, scrive dal 1950. E non certo per caso: “A 14 anni -afferma- avevo già le idee chiare: volevo fare il giornalista”. Quello del giornalismo è un vizio di famiglia. L’apripista fu il fratello maggiore di Possenti, Manlio, che negli anni ‘40, prima di avviare la sua carriera di commercialista, collaborava con diversi giornali. Poi venne il turno di Renato, il secondo fratello, futura colonna portante dell’Eco di Bergamo. E, infine, toccò anche ad Amanzio. Il suo esordio? Proprio sul Popolo. “Lo scorso gennaio –racconta- la mia famiglia mi ha fatto un regalo inaspettato per il compleanno: hanno ripescato il mio primo pezzo, una cronaca della Trevigliese. Proprio io che con lo sport non ho più avuto a che fare ho iniziato la carriera scrivendo di calcio!”. Così nel 1950 Possenti inizia a lavorare per il Popolo: dopo essersi occupato di sport passa alla cronaca locale, soprattutto la nera. Di lì a poco sbarca anche sull’Eco di Bergamo come corrispondente dalla Bassa e collaboratore per le pagine culturali. Perché la cronaca nera è la sua passione, ma a pari merito con la cultura –o, come dice lui stesso- con “tutto ciò che riguar-

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da la bellezza dell’arte, la forza della letteratura e il cinema”. Già, il cinema. “La mia futura moglie –racconta- mi aveva regalato i libri del critico cinematografico Guido Aristarco: li ho studiati a fondo, anche se il suo approccio era di stampo marxista, ben diverso dal mio”. La domanda sorge spontanea: conosce Ermanno Olmi? “Certo: ero con lui nel 1958 al Festival di Venezia quando venne proiettato il suo primo lungometraggio, ‘Il tempo si è fermato’. All’epoca la critica non si era ancora accorta del suo talento”. Vent’anni dopo, però, Possenti è accanto a Olmi anche nel momento della gloria: “quando l’Albero degli Zoccoli vinse

Da sinistra: Amanzio Possenti ad Arzago d’Adda -accanto all’allora sindaco Antonio Leoni- alla presentazione della mostra del pittore Cristoforo De Amicis (1980). Sopra con la moglie Maria Vittoria e il piccolo Andrea, oggi importante astrofisico. Sotto, il cardinale Carlo Maria Martini benedice la nuova sede del Popolo Cattolico. A destra, la presentazione dello “speciale” del Popolo Cattolico per il nuovo Millennio (2000)

la Palma d’oro a Cannes, nel ’78, fu organizzata una proiezione privata per il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Eravamo io, Olmi, il Presidente e il Segretario Generale Antonio Maccanico. Pertini in certe scene rideva, rideva…!” E come mai? “Aveva avuto, in passato, un attendente di Villa d’Almè. E il dialetto del film glielo ricordava”. La svolta nella carriera di Possenti arriva nel 1963, quando il Direttore dell’Eco in persona, don Andrea Spada, gli offre un posto come redattore. “Me lo ricordo bene: era il 10 marzo. Per me è stata la cosa più bella del mondo…”. All’Eco Possenti rimarrà fino al 1994, prima come responsabile della cronaca provinciale, poi come caposervizio e infine come caporedattore. Del resto, la provincia di Bergamo era ormai il suo pane quotidiano: “conoscevo tutti i 244 comuni, tutti i 244 sindaci e gli oltre 450 parroci, e nel corso degli anni ho visto grandi cambiamenti: basti pensare che quando ho iniziato come cronista la provincia aveva meno di 700.000 abitanti mentre oggi ne ha più di un milione”. In prima linea per la cronaca

nera, Possenti segue alcuni dei casi più tristemente celebri di quegli anni, come la valanga di Foppolo del ’77, che uccise otto persone. Quando gli viene offerta la carica di Direttore del Popolo Cattolico, nel 1983, Possenti è ancora ben lontano dal lasciare l’Eco, e così per più di dieci anni porta avanti i due incarichi contemporaneamente. Uno stress non da poco, ma il Direttore oggi non ha dubbi: ne è valsa la pena. “Quella di Treviglio era ed è una realtà piccola, ma è stupefacente la quantità di cose che accadono in città: basti pensare che finché non abbiamo ridotto la foliazione del giornale, pochi anni fa, riempivamo 32 pagine di cronaca locale ogni settimana!”. Lasciato l’Eco nel 1994, Possenti si dedica al Popolo a tempo pieno - al netto dei suoi numerosi impegni culturali e della collaborazione con altre testate. E lo rivendica anche oggi: “faccio il direttore al 100%, perché seguo il giornale dalla prima all’ultima pagina: stabilisco il colonnaggio, mi occupo delle fotografie, passo tutti gli articoli, curo titoli e sottotitoli”. La responsabilità non è certo poca: il Popolo, nato nel 1921, è un giornale storico e gli abbonamenti sono ben 9000. La crisi dell’editoria si fa sentire anche qui, ma Possenti vede un futuro roseo per la testata, a patto di non dimenticarsi che il rapporto col pubblico va coltivato: “il Popolo si fonda sulla collaborazione con i propri lettori e lo dice sin dalla testata. La forza di un giornale sta nel dialogo: se ci si arrocca è la fine”. E cosa fa il Popolo per tenere vivo il legame con la città? “Dedichiamo intere pagine agli istituti scolastici della zona e diamo spazio ai comitati di quartiere. Non mi piace chi fa giornalismo riportando solo le dichiarazioni dei politici: l’informazione completa viene dal basso”. Intende dire che chiunque può fare informazione? “Chiunque può scrivere quello che vuole, è un diritto garantito dalla Costituzione, però a fare la differenza è la professionalità, che non si acquista né scribacchiando quattro cose né con una laurea, ma solo con la pratica e la preparazione personale”. Un’ultima domanda: cos’è per lei il giornalismo? “Prima di tutto è mediare tra la notizia e il pubblico. Ma al Popolo puntiamo ancora più in alto: vogliamo informare, ma anche formare, sempre dialogando con chi ci legge”.

Razzini e il suo libro “La lettura dei fatti”

Posti a sedere esauriti alla presentazione del volume del giornalista della “Gazzetta dello Sport”, seguita da una lezione del prof. Tancredi Bianchi, già presidente dell’Abi e docente della Bocconi

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ARAVAGGIO - “Sono molto contento che la Banca di Credito Cooperativo abbia promosso l’opera prima di un giovane professionista nato e cresciuto a Caravaggio. Dopo qualche anno di torpore, la nostra realtà torna protagonista con un nome da spendere a livello nazionale”. Le parole del presidente della BCC, Carlo Mangoni, hanno aperto l’incontro che ha battezzato il libro di Pietro Razzini, giornalista della Gazzetta dello Sport. La presentazione de “La lettura dei fatti” all’auditorium “Massimiliano Merisio”, ha avuto un completo successo: pubblico numeroso (posti a sedere esauriti e diversi curiosi rimasti in piedi), temi affrontati assolutamente coinvolgenti, personalità eccellenti nel parterre e relatori trascinanti. Già perché oltre al presidente Mangoni e all’autore Razzini, i presenti hanno avuto l’occasione di ascoltare una lezione del Professor Tancredi Bianchi, Cavaliere del Lavoro, già presidente ABI, emerito docente all’Università Bocconi di Milano. Il volume ha raccolto le conversazioni tra due professionisti, ognuno nel proprio settore: un giornalista e un cattedratico hanno percorso una via comune. Notizie di stretta attualità sono state utilizzate come sollecitazioni per proporre “una savia lettura dei fatti”. Alcuni dei temi affrontati? La situazione della Grecia e il debito pubblico, il terrorismo e la corruzione ma anche il mondo dello spettacolo, Calciopoli, il doping e le motivazioni

che portano gli allenatori di pallone a così alti compensi. Per ogni argomento, spunti interessanti. A ogni questione, il giusto spazio di analisi. “Attualmente vivo con grande intensità e professionalità il mondo dello sport e dello spettacolo, sia a livello nazionale che internazionale. Grazie a questo libro ho avuto modo di approfondire argomenti economici che mi hanno profondamente arricchito. La mia volontà è quella di trasmettere le nozioni di Tancredi Bianchi anche a chi non ha potuto assaporarle dal vivo.

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Treviglio/Aziende innovative

Lions di Treviglio e Pianura

Il mondo fantastico delle lumache

“Cavalieri della vista” in piazza

di Daniela Regonesi

Centocinquanta adulti e cinquanta bambini hanno potuto usufruire di un controllo gratuito della vista

La “Lumacheria del Cerreto” si fa spazio tra le eccellenze del territorio. Origine e prospettive di un progetto locale di alta qualità gastronomica. Ne parliamo con GianPrimo Riva, trevigliese “emigrato” a Badalasco

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a voglia di fare bene mette le ali ai piedi, se si è motivati e preparati. Ne sono la dimostrazione tre intraprendenti e distinti signori che, in barba all’età -da tempo la pensione per loro è una realtà- hanno deciso di mettersi alla prova con un progetto sul territorio. GianPrimo Riva, natali trevigliesi e residenza a Badalasco, fa da portavoce al progetto “Lumacheria del Cerreto”, idea nata “Forse casulamente, perché sono disgustato dall’insieme di produttori che si propongono sul mercato con prodotti sulla carta eccezionali, ma che di eccezionale di fatto non hanno niente”, e da una semplicissima considerazione, formulata qualche mese fa: “È un po’ che non mangio lumache”. Da queste due riflessioni scaturisce dapprima un lavoro di indagine sul campo, per capire la provenienza delle chiocciole offerte in vendita: la risposta unanime alla domanda “Da dove vengono?” è “Da là”, dove “là” sta ad indicare i Paesi dell’Est europeo. Quindi la ricerca su internet permette loro di scoprire l’esistenza, a Cherasco (CN), dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura, con il quale intessono un fitto scambio epistolare e una serie di incontri. Valutando impegno, costi e fatiche, viene presa la decisione imprenditoriale, a cui si contrappone subito un primo problema: trovare l’area adatta per concretizzare il progetto

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di produrre cento quintali di lumache da gastronomia all’anno, per i quali è necessario un allevamento di un ettaro di superficie. E anche questa scelta arriva quasi per caso durante una passeggiata fino alla Cascina Pelesa, ove ha sede la “Società Agricola il Cerreto”, i cui soci si sono dimostrati interessati ad inserire l’elicicoltura nel loro progetto di rendere l’azienda agricola trevigliese un polo di eccellenza. Essendo i terreni da loro coltivati di proprietà degli Istituti Educativi di Bergamo, è stata presentata la richiesta di subaffitto, con la formalizzazione del contratto lo scorso febbraio. Da qui è partito il lavoro sul campo, in senso letterale: è stato realizzato un recinto esterno in lamiera ondulata, zincata a freddo in elettrolisi cosicchè a contatto con la terra rilasci un lievissima scarica elettrica (1 Volt), sufficiente a scoraggiare la fuga delle lumache e a bloccare l’accesso ad eventuali predatori; poi sono state posizionate speciali reti a tre balze e dei paletti, ed è stata realizzata una vasca di accumulo per l’acqua. L’area attualmente attrezzata si estende per 3.000 mq dove, quando la vegetazione (quattro o cinque tipi di insalata, i cui semi sono stati forniti dall’Istituto stesso) avrà raggiunto un’altezza minima di 10 cm, potranno essere inseriti 15.000 riproduttori, che si prevede genereranno 300.000 piccoli, da portare all’ingrasso la pros-

sima primavera; per fare ciò sarà necessario realizzare un secondo recinto, nel quale sarà inserito un unico tipo di insalata. Un primo punto fondamentale da rispettare, per ottenere carni pregiate che garantiscano alti livelli di qualità e salubrità, per intenderci le uniche ammesse e richieste nei ristoranti stellati, è l’alimentazione: farine e mangimi sono totalmente esclusi e, qualora la vegetazione seminata non sia sufficiente, viene integrata con girasole selvatico, carote e zucchine, alimenti zuccherini graditi dalle chiocciole e capaci di garantire dolcezza e tenerezza delle loro carni. Poichè le lumache si cibano anche di vegetali velenosi per l’uomo, come ad esempio l’oleandro, a cui loro sono invece immuni, è comprensibile come possa diventare rischioso un prodotto non allevato ma raccolto nei campi siriani, marocchini o dell’Est Europa. L’alta qualità del prodotto è poi determinata dal tipo di razza allevata, l’Helix Aspersa, e dalla modalità di spurgamento; quest’ultimo non prevede, come tradizione, il mettere gli animali nella farina e/o nella crusca, bensì nel porli in casse di legno o gabbie aerate per almeno dieci/quindici giorni senza alcuna alimentazione. Dopo questo periodo si può procedere alla selezione dei soggetti adatti, e al confezionamento in casse o in sacchi di rafia, destinati agli acquirenti. Se con i sistemi tradizionali da un chilo di chiocciole non spurgate si ottengono 200 grammi di carne, con l’allevamento a ciclo biologico completo si ottengono 500 grammi di carne. In attesa della propria prima produzione, sul mercato dal prossimo settembre, la “Lumacheria del Cerreto” ha proposto, durante l’edizione appena conclusasi della “Fiera Agricola di Treviglio”, uno stock di chiocciole procurato dall’Istituto di Cherasco, con positivi riscontri sia da parte degli acquirenti che dei ristoranti locali omaggiati del prodotto; e non si esclude, in futuro, di invitare gli studenti dell’Istituto Agrario “Cantoni” per degli stage formativi. In Italia più del 60% delle lumache consumate è importato: nella nostra regione, ad esempio, esistono alcuni piccoli allevamenti “amatoriali” o di integrazione di reddito da altre attività, con estensioni limitate a 1000/2000 mq. Non esiste una cultura di questo allevamento: tradi-

Sopra esemplari di Helix Aspersa. In basso l’allevamento delle chiocciole trevigliesi presso la Cascina Pelesa e lumache pronte per la commercializzazione

zionalmente le lumache venivano raccolte nei campi dopo i temporali. Ma esse non sono solo un alimento ricercato, ricco di proteine (13,4%) e dietetico (ipocalorico e con l’1,5% di grassi); da questi molluschi si ricavano, oltre alla carne, diversi prodotti: i gusci sono utilizzati sia per le lumache alla borgogna che per gli acquari, la bava ha impiego estetico e curativo, e dalle uova si ricava il caviale. Al Cerreto, dai dodici recinti iniziali, di cui cinque da riproduzione e sette da ingrasso, si passerà a quaranta (rispettivamente dieci e trenta), per cui l’auspicio, alla Lumacheria, è quello di riuscire ad assumere almeno una persona, sperando di essere più fortunati rispetto alla ricerca di un giovane da coinvolgere nel progetto: non si è infatti trovato chi fosse disponibile a concorrere al rischio d’impresa. Eppure “tre scribacchini trasformati in contadini”, come da loro definizione, stanno dimostrando che la voglia di fare può portare lontano, anche muovendosi a quattro metri al minuto, la velocità delle lumache.

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a tre giorni di screening della vista, tenutasi in Piazza Garibaldi a Treviglio dall’8 al 10 maggio scorsi, ha lasciato gli organizzatori, i quattro Lions Club del territorio (Treviglio Host, Treviglio Fulchèria, Romano di Lombardia, Città di Dalmine), soddisfatti oltre ogni previsione. Prestando fede all’impegno assunto nel 1925 a favore dei non vedenti, che è valso ai soci dell’Associazione Umanitaria l’appellativo di “Cavalieri della vista”, l’iniziativa ha permesso a 150 adulti e 50 bambini di fruire gratuitamente del controllo della vista. Ciò è stato possibile grazie alla presenza di uno staff sanitario composto da medici oculisti e ortottisti delle Aziende Ospedaliere Papa Giovanni XXIII di Bergamo e di Treviglio-Caravaggio, delle Cliniche Castelli, e di specialisti oculisti del territorio, che hanno potuto appoggiarsi ad una Unità Mobile Oftalmica, fornita dei più avanzati strumenti per la diagnosi e lo screening delle malattie oculari. L’iniziativa godeva del patrocinio delle suddette Aziende Ospedaliere/Cliniche, dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di Tre-

viglio, dell’Università degli Studi di Bergamo-Scuola di Ingegneria di Dalmine, del Comune di Treviglio e della IAPB (Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità), ed è stata supportata dalla presenza delle associazioni di riferimento che operano sul territorio: Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (UICI), ASD Omero Bergamo e Associazione Arlino Onlus (quest’ultima operativa sul target infanzia e adolescenza). Sono stati inoltre raccolti occhiali usati rotti o non più idonei che, conferiti al “Centro Italiano Lions raccolta occhiali usati- Onlus” dove vengono puliti e rigenerati, sono poi inviati nelle nazioni povere africane e distribuiti tramite le Missioni presenti. Consci che almeno il doppio degli utenti avebbe desiderato sottoporsi alle visite oculistiche e spronati dalla palese soddisfazione di chi ha usufruito del servizio, i Lions Club

sono già all’opera per organizzare ancora meglio la prossima edizione, spinti e uniti dalla volontà di fare, poichè l’Associazione Umanitaria, fondata da Melvin Jones a Chicago nel 1917, per adoperarsi a migliorare la propria comunità ed anche il mondo nella sua globalità, a livello mondiale è impegnata in quattro settori -giovani, vista, fame, ambiente- e a livello locale promuove e attua un volontariato di servizio nelle comunità in cui vivono i suoi soci. (d. r.)

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Treviglio/Aziende del ‘900

Gerosa: la fabbrica di vetri speciali di Lucietta Zanda

Conosciuta come “Murano”, la Gives fu un’azienda che diede lavoro a Treviglio e vanto all’Italia intera, produceva vetro speciale per evitare alterazioni ai medicinali. Era situata all’angolo tra viale Piave e via Curletti

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er la serie “Le storiche realtà commerciali trevigliesi”, tra quelle che hanno scolpito la storia e il cammino evolutivo, un riconoscimento speciale va certamente alla “Gerosa”, chiamata anche “Murano”, come pure e soprattutto negli anni più recenti “G.I.V.E.S.” cioè “Gerosa Industria Vetri Speciali”. Ed è proprio con questo nome che ne ricorderemo le vicende. Due ne sono gli iniziatori e i protagonisti: Anacleto Gerosa e Giuseppe Toso, che per una serie di circostanze fortuite legate al commercio, si erano incontrati negli anni ‘20. Non essendo Anacleto più tra noi, ci racconta la sua storia l’omonimo nipote: Ato Gerosa. Vengo invitata nella sua luminosa casa di Calvenzano. Data l’attinenza, mi aspetto vetri e cristallerie disseminati un po’ ovunque e un’atmosfera un po’ demodé da antichi lampadari a goccia, …e invece niente di più sobrio e accogliente di questo ampio soggiorno con le grandi vetrate che danno sul giardino. Mi mette subito a mio agio col magnanimo sorriso di chi nella vita ne ha viste e superate un bel po’. Mentre inizia a raccontare, mi mostra alcune vecchie foto della fabbrica tolte da una cartella; suppongo rappresentino dei cimeli, vista la cura con cui le conserva. Sono tutte in bianco e nero e rappresentano i momenti

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più salienti della storia di quest’azienda che cercherò di riassumere per quanto possibile brevemente. Il tutto prende dunque il via dal connubio commerciale tra lo zio Anacleto e Giuseppe Toso. Quest’ultimo negli anni ’20 a Murano aveva fondato una fabbrica di cristallerie e vetri speciali che si chiamava “Società Anonima Cristalleria Murano” insomma la “Murano”. Questa società aveva come presidente il neo fondatore Toso e come consigliere delegato -guarda caso- proprio il Gerosa. I due si conoscevano perché a quei tempi lo zio era un grosso commerciante di cristallerie presso la ditta “Panzeri-GerosaBresciani” di Milano che era appunto tra i migliori clienti della vetreria di Murano. In questa sede già allora veniva prodotto il famoso “vetro neutro” che serviva alla produzione di tutti gli strumenti e le fiale medicali. «Questo vetro era speciale e veniva chiamato neutro –mi spiega Ato- per evitare che al contatto coi medicinali non cedesse le sue componenti, alterando la loro struttura. Veniva infatti fabbricato con un procedimento particolare e la ditta Gerosa-Panzeri si era fatta mediatrice per la vendita di quel genere di vetro molto richiesto che immagazzinava a Milano». Ecco perché i due pensano di stipulare un accordo su base societaria. Dato infatti

il favorevole esito incontrato da questo tipo di vetro prodotto dalla Murano, si pensò di fondare a Treviglio nel 1930 un nuovo stabilimento per la produzione di apparecchi scientifici, fiale, graduazione e taratura di precisione, nonché decorazione a stampa su vetri per uso scientifico. Treviglio era stata scelta perché qui abbondavano la forza lavoro prevalentemente femminile e la disponibilità di risorse organizzative logistiche e strutturali. Lo stabilimento era disposto su un’area di circa 6.000 mq. e ne copriva 3.500. Si partì con circa 200 operai, ma nel ’39 contava già 600 dipendenti. Le donne, in netta maggioranza, erano addette per lo più alla lavorazione delle fiale e al loro delicato trasporto in cassette per trasferirle da un reparto all’altro per le varie fasi di lavorazione. Il tutto, ovvio, ancora manualmente. Gli uomini erano invece responsabili della manutenzione dei macchinari.

A sinistra un’illustrazione grafica dello stabilimento Murano di Treviglio, poi costruito in viale Piave, all’incrocio di via Curletti. Accanto Ato Gerosa, ultimo erede e dirigente dell’azienda. Sopra una foto con dirigenti e mestranze. Infine due foto storiche dei locali di produzione prima della meccanizzazione avvenuuta nel dopo guerra

Le fiale venivano spedite direttamente da Treviglio alle ditte richiedenti, mentre la sede di Milano era il deposito delle vetrerie di laboratorio. Le fiale in un primo tempo erano tutte confezionate a mano una per una, mediante fiamma all’acetilene ma dopo il ’40 verranno fatte a macchina. In quello stesso anno il Toso lascia la fabbrica al figlio Lino che la continuerà, insieme al Gerosa, sin dopo la seconda guerra mondiale, quando i due soci si divideranno. L’azienda di Murano continuerà a chiamarsi “Murano”, mentre quella di Treviglio diventa “Gives”, ma per anni e anni la gente continuerà a ricordarla come “Murano”.

Intorno alla fabbrica sorgevano inoltre una serie di piccole aziende meccaniche che costruivano i macchinari per la fabbrica madre, dando così lavoro a molti operai. Già fin da ragazzino Ato si era abituato ai lunghi corridoi e ai grandi stanzoni dell’azienda, entrandovi negli anni ’50 come “nipote del commendator Anacleto”. «Ricordo lo zio -mi dice- come un gran personaggio, spigliato, molto sicuro di sé e con quell’aria gioviale e disponibile che piaceva ai dipendenti. La collaborazione e la solidarietà con essi era scontata, nonostante il rigido orario di lavoro e le fatiche fisiche di quegli anni, davvero un altro pianeta se paragonato ai sistemi d’oggi. Ricordo lo zio entrare il mattino nel grande cancello con il suo macchinone guidato dall’autista ed essere ricevuto con grandi ossequi da tutto il personale. Ma soprattutto, abitando di fronte alla fabbrica, ricordo il rosario che veniva spesso declamato con grande dedizione dal coro delle 80 operaie del reparto confezionamento». Anacleto muore proprio in quegli anni e l’azienda -trasformatasi in S.p.A.- prosegue con il nipote Agostino Gerosa, papà di Ato, e altri stretti collaboratori. Ed ecco qui il nostro Ato negli anni ’70 entrare fattivamente in fabbrica. Comincia dalla gavetta come disegnatore, poi addetto alla manutenzione dei macchinari, direttore tecnico, fino a ricoprire i ruoli più rappresentativi. In questo periodo la Gives è giunta ad una completa meccanizzazione di tutta la produzione, diventando una delle industrie leader del settore per la lavorazione dei vetri speciali, occupando i primissimi posti tra le aziende italiane. Ogni fase della lavorazione è estremamente accurata e precisa, soprattutto improntata all’osservanza scrupolosa della massima igiene per poter garantire agli Istituti farmaceutici, all’atto della consegna dei prodotti, la massima sicurezza e un alto livello di qualità. L’esperienza accumulata in quegli anni e il grande entusiasmo, unitamente alla preparazione tecnica di tutto il giovane staff, fanno sì che la fabbrica sviluppi sempre nuove tecno-

logie e sia all’avanguardia sul mercato. Già in quegli anni, dopo la grande meccanizzazione, il personale si riduce significativamente fino ad arrivare ad un centinaio di addetti. Dopo la morte del padre, Ato assume il comando dell’azienda con il socio Mercandalli. «La portiamo avanti tra varie vicissitudini economiche -prosegue- anche perché il vetro a poco a poco perde richieste e viene sostituito da altri materiali più pratici da maneggiare, come la plastica. Nell’’82 l’azienda è fortemente in crisi: interviene la Siris Intervitrum, che rileva l’azienda permettendo a noi due soci di continuarne la produzione con le stesse identiche precedenti mansioni. Fino al 1987, in un crescendo di vicende negative che porteranno la Gives alla chiusura finale». Ato, con altri collaboratori, continuerà il suo cammino acquisendo un altro stabilimento di fiale a Burago, come responsabile dell’Assicurazione Qualità, fino al pensionamento. “Cosa rimpiangi del tuo lavoro?” gli chiedo. «Il contatto umano -risponde d’istinto- basato sulla fiducia e una corrente di simpatia umana profonda, irraggiungibile al giorno d’oggi». Mi congeda affidandomi, come se fosse un figlio appena natogli, la preziosa cartella con le foto. Mi vedo costretta a garantirne con la mia vita la sicurezza, promettendogli di custodirle con turni di guardia anche notturni! Mi piace immaginare questo ragazzo di poco più di settant’anni -ma ancora così vitale ed energico- con questo grande sorriso e i modi signorili delle famiglie di una volta, dietro la sua scrivania, in quel mondo che era la Gerosa un po’ di anni fa, tra il sommesso tintinnio dei vetri, il sussurrare delle donne durante le lavorazioni e forse qualcuna di loro camminare in punta dei piedi per non disturbare. È grazie a famiglie come la sua se l’Italia è riuscita a crescere, ed è grazie a gente così se i valori e la forza imprenditoriale di quei grandi capitani d’industria sono riusciti a dar lustro a quest’Italia che continua indomita, e nonostante tutto, a remare sempre avanti. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 45


Treviglio/Storia e Arte

Treviglio/Storia e Arte

Un viaggio nella storia di Treviglio di Paolo Furia

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fogliando i testi vecchi e antichi riguardanti la storia di Treviglio si trovano chicche sconosciute ai più. Mi riferisco alle varie visite pastorali che si sono succedute nei secoli, al testo del sacerdote Giammaria Camerone, a quelli di Emanuele Lodi, del notaio Casati, di Marco Carminati caravaggino e insegnante a Treviglio, dei fratelli Tullio e Idelbrando Santagiuliana, senza ignorare i testi promossi dal sottoscritto, in particolar modo quello sulla Basilica, per il quale mi avvalsi di qualificati storici dell’arte. Quante notizie, quanta storia! Molte sono le curiosità che suscitano interesse nella storia di Treviglio. Scrive il Camerone in una nota del 1698 tratta dall’Archivio della Comunità: “Ebbero allora il passaggio per Trevì tre grosse truppe di Alemanni infetti da eresia ognuna delle quali ripartitamente vi soggiornò tre dì in alloggio non senza esempi di superstizione, onde, per soffocarne i semi rei che ne potessero esser rimasti nel popolo, il Cardinale Arcivescovo Federico Cac-

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cia mandovvi fervorosa missione di quattro Gesuiti li quali ripurgarono la moltitudine introducendovi l’uso dei Sacramenti che a bene delle anime continuava fino al presente con grande emendazione dei costumi”. Vediamo di capire meglio: passarono per Treviglio truppe tedesche che convertirono al protestantesimo alcuni cittadini. Situazione che impose al cardinale Federico Caccia di inviare in loco quattro Gesuiti, con compito di missionari, per riconvertirli al cattolicesimo. Bella notizia sapere che Treviglio ebbe dei missionari per la riconversione! Ancora il Camerone si sofferma sulla creazione di due grandi opere ancor oggi poste nel presbiterio: Vedesi pure scoperta in quest’anno 1601 la vaga opera del coro, onde pagaronsi a Gianpaolo e Francesco Cavagna (n.d.r. padre e figlio) 410 scudi e altri 110 un anno dopo sborsaronsi loro per due ammirabili tavole in tela che veggonsi laterali nel coro… (n.d.r. l’Utima Cena e la Caduta della manna). Aggiunge che nel 1603 “Mirabile riusciva la vaga maestà del coro ornatasi a pitture, stucchi et oro dal pennello dei Cavagni, onde ammiraronsi i fabbriceri della chiesa a volerla tutta illustrata dall’opera dei due celebri maestri e convenuti con loro nel prezzo di 400 scudi posesi subito al lavoro la mano…” Nel 1603 Paolo Cavagna con il figlio Francesco, detto il Cavagnolo, affrescarono tutta la collegiata di San Martino in Treviglio. Affreschi di cui rimane ancora traccia sotto l’organo, dietro il polittico e sotto i quadroni della vita di San Martino. Del figlio Cavagnolo pos-

Foto di Tino Belloli

Sbirciando negli antichi testi da Camerone ai Santagiuliana si scoprono curiosità, per esempio tra le visite pastorali si legge: “Ebbero allora il passaggio per Trevì tre grosse truppe di Alemanni infetti da eresia…” Sopra il cardinale Caccia, a destra Papa Martino V°. In basso a sinistra affreschi di Paolo Cavagna, accanto il cardinale Giuseppe Pozzobonelli

siamo ammirare tre tele poste sul parapetto dell’attuale organo. Si sa che, com’era d’uso nell’antichità fino alle disposizioni napoleoniche che imposero il decentramento dei cimiteri, la parrocchiale era circondata dal cimitero comune. Anche la pavimentazione interna era colma di lapidi sepolcrali di ecclesiastici e di laici. Orbene, nella relazione della sua visita pastorale del 1744, il cardinal Giuseppe Pozzobonelli scrisse che molti sepolcri esalavano odore di cadaveri in putrefazione, quindi imponeva un’adeguata risigillazione con calce delle lapidi, perché il fatto era indecente. (Considerazione: La segnalazione del cardinale Pozzobonelli è la ripetizione di quel che già scrissero altri suoi predecessori. Non doveva essere piacevole e tantomeno salu-

bre entrare in chiesa nei tempi più remoti). Prima delle trasformazioni, per mano dei fratelli Galliari, la Basilica non aveva il deambulatorio. In fondo alla navata centrale c’era l’altare maggiore, al termine della navata sinistra c’era la cappella dei Santi Antonio Abate, Antonio da Padova e San Girolamo; al termine della navata destra la cappella della Madonna del Rosario; lungo la navata sinistra la cappella di Maria Assunta con l’ancona ed altri dipinti di Camillo Procaccini (attualmente posti nel deambulatorio); lungo la navata destra la cappella di Santa Caterina e San Martino (con la tela che Paolo Cavagna copiò da un’incisione). Il coro della chiesa, prima dell’intervento dei Galliari, non aveva il colonnato, ma era di pareti che lo chiudevano. Per disposizione del Cardinale Pozzobonelli vi si collocarono due lapidi in memoria del vescovo di Sagona Giovanni Maria Butinone e del vescovo di Lodi Giovanni Maria de Federici, entrambi illustri prelati di origine trevigliese (lapidi non più visibili). Sempre lo stesso cardinale Pozzobonelli sottolinea che la dedicazione della Basilica all’Assunta si deve celebrare il 31 Agosto di tutti gli anni. Chiesa ampliata nel 1481. Lo stesso cardinale si sofferma descrivendo la maestosa facciata “del celebre Ruggeri” che la concepì con grande dispendio. Bella anche la descrizione del novo organo intagliato da Alessio Prata e dorato da Francesco Montano (organo che si trovava dove ora c’è il polittico di Zenale e Butinone). Altra chicca storica, nel 1418 il Pontefice Martino V° transitò per Treviglio, provenendo dal Concilio di Costanza, per recarsi a Roma. Fatto questo che rimase negli annali della storia trevigliese. È bene sapere che nel 1646 il sacerdote Francesco Pellegrino con uno dei parroci di San Martino ricorsero al Comune perché si chiudesse l’antica strada di Caravaggio che s’allungava oltre la Porta Oriano. La Porta, chiusa dopo l’uscita del Papa Martino V, era chiamata la Stoppa.

Tra Franza e Spagna purché se magna di Elio Massimino

Treviglio verso la fine del ‘500 giocava un ruolo importante nell’arte e la cultura lombarda, e non solo. Infatti in quegli anni Bernardo Zenale incontrava Leonardo da Vinci a Milano

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uando nella rievocazione storica Miracol si grida vediamo i consoli trevigliesi, scalzi e tremebondi, inginocchiarsi davanti al Generale Lautrec, dovremmo chiederci come una resa così umiliante si sia potuta verificare in una città del Nord Italia, dove fino a pochi anni prima la pace era stata garantita da due potenti stati, la Serenissima e il Ducato di Milano, per di più formati da tanti comuni che, prima ancora che fiorissero le Signorie, erano stati capaci di opporsi con grande fierezza niente meno che agli imperatori del Sacro Romano Impero. E invece i figuranti che nella nostra manifestazione si inginocchiano rievocano, prima ancora del miracolo, l’inizio di una stagione storica durata tre secoli, in cui le città italiane avrebbero aperto le porte senza colpo ferire allo straniero di turno. Noi siam da secoli calpesti, derisi, avrebbe scritto Goffredo Mameli nel suo “Canto degli italiani”, ora nostro inno nazionale. Il Guicciardini, uomo del ‘500, avrebbe definito quella decadenza morale, prima ancora che politica, con il famoso detto “Franza o Spagna, ecc...”. Eppure, solo pochi anni prima, Milano rivaleggiava con le altre grandi capitali per potenza militare e capacità di attrarre i più grandi artisti. Alla corte di Ludovico il Moro, preceduto da una lettera di presentazione in cui, tra l’altro, si dichiarava capace di produr-

Sopra particolare del Polittico di San Martino realizzato da Bernardino Butinone e Bernardo Zenale. A destra un ritratto che raffigura Leonardo Da Vinci

re «bombarde, mortai e catapulte bellissime ed efficienti» giungeva nel 1582 un trentenne Leonardo da Vinci. A Milano Leonardo rimarrà quella prima volta per quasi venti anni e si occuperà più che di bombarde, di opere ingegneristiche per «condurre l’acqua da un luogo all’altro». Nella citata lettera si dichiarava anche pittore, ma solo “normale”: «nel campo della pittura so fare come chiunque Giugno 2015 - la nuova tribuna - 47


Gera d’Adda/Luoghi da vedere

Treviglio/Storia e Arte

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oggi conservata nel Getty Museum di Los Angeles. Se poi confrontiamo questo quadro con La vergine delle rocce di Leonardo, appare evidente l’ispirazione Leonardesca, e non solo per le rocce che in entrambe le opere fanno da sfondo. Leonardo alla fine del secolo ritenne prudente lasciare la Lombardia. Quel mondo stava crollando, perché? È vero che cinque anni prima dell’arrivo di Lautrec era iniziata in Germania la Riforma protestante e che nel 1492 c’era stata la scoperta dell’America. Ma non sono stati questi eventi ad alterare la situazione politica italiana, i loro effetti si avvertiranno in Europa solo più tardi. L’eSopra un’altro dettaglio del Polittico, sotto a sinistra Bernardo Zenale, “Adorazione del Bambino” (dal Polittico di Cantù), del ‘500 circa, (Getty Museum, Los Angeles), in centro il Polittico di Treviglio di Zenale e Butinone (Basilica San Martino), quindi la “Vergine delle rocce” (‘485) di Leonardo da Vinci (Museo del Louvre, Parigi)

quilibrio italico risentì piuttosto della morte (1492) a Firenze di Lorenzo il Magnifico. Lorenzo era stato anche uomo di pace e di visioni politiche lungimiranti. Finché visse, la sua autorità morale ebbe un ruolo decisivo nel mantenere l’equilibrio e quindi la pace tra gli stati della penisola, che comunque rimanevano divisi e relativamente deboli, mentre nel resto d’Europa si andavano consolidando le grandi monarchie nazionali. Alla sua morte esplosero sospetto e rivalità. «La paura spinse Ludovico -ricorda Indro Montanelli nel sua Storia d’Italia- a chiamare in proprio aiuto contro altri italiani un padrone straniero». Il francese Carlo VIII fu solo il primo di una lunga serie. Tutto questo si sarebbe concluso tre secoli dopo con il Risorgimento e si può dire che a quel punto, ancora una volta, Treviglio abbia avuto una parte nella “Grande storia”. Infatti il delegato di Treviglio Giovan Battista Nazari, membro della “Congregazione centrale”, che era una specie di Consiglio regionale che però rispondeva agli austriaci, presentò una mozione in cui si invocava una certa autonomia per il Regno Lombardo-Veneto. «Immediatamente a Venezia -ancora Montanelli- Daniele Manin faceva suo il voto di Milano». Era la scintilla che avrebbe fatto scoppiare i moti del ‘48. elio.massimino@gmail.com

Misano, restaurato l’antico campanile di Ivan Tassi

Foto di Tino Belloli

altro al paragone». Durante quel soggiorno milanese Leonardo avrebbe dipinto capolavori assoluti come La vergine delle rocce, La dama con l’ermellino o il Cenacolo. Bisogna dire che anche Treviglio in quegli stessi anni giocò un ruolo di tutto rispetto nella storia dell’arte ed infatti venne dato incarico a due pittori locali già affermati, Bernardino Butinone e Bernardo Zenale, di realizzare il famoso “Polittico di San Martino”. Accadde anche che mentre Leonardo era a Milano, il trevigliese Zenale venisse chiamato da Ludovico il Moro ad ornare la Sala Balla del Castello Sforzesco e dunque mi sembra molto probabile che i due si siano conosciuti, come usava tra colleghi al servizio dello stesso principe. Possiamo presumere che Leonardo abbia visto il lavoro dello Zenale al Castello, dove era di casa; certamente il trevigliese ha studiato le opere del maestro toscano disponibili a Milano. Il loro non può essere stato un rapporto tra maestro e allievo, perché erano praticamente coetanei e lo Zenale, come detto, era già un pittore affermato. Mi pare però plausibile immaginare una certa cordialità fra i due, vista anche la fascinazione che Bernardo ha subìto davanti alla grandezza di Leonardo, al punto che arrivò a cambiare stile, divenendo un pittore “leonardesco”. In realtà Leonardo ebbe numerosi seguaci tra i suoi giovani allievi, come quel Francesco Melzi autore, nella villa di famiglia a Vaprio d’Adda, del “Madonnone”, a cui forse ha collaborato lo stesso Leonardo durante i suoi soggiorni in quella dimora. Il caso dello Zenale però è particolare perché quando conobbe Leonardo era uomo e artista ormai maturo. La trasformazione del suo stile appare evidente se si guardano in contemporanea il nostro Polittico (a cui ha collaborato anche il Buttinone) e una sua opera successiva, l’Adorazione del Bambino (dal Polittico di Cantù)

Gli acciacchi del tempo erano ormai evidenti, così i cittadini hanno costituito un comitato, raccolto fondi e partecipato all’opera di restauro. Anche le campane sono state risanate e la tecnologia è salita sul campanile

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rmai mostrava tutti i segni dell’età. Dopotutto non è facile portare 300 anni senza accumulare acciacchi… Stiamo parlando della torre campanaria di Misano. Inaugurata il 7 dicembre del 1713, vanta i suoi tre secoli di storia dall’alto dei suoi 30 metri. È un campanile che non ha subito grandi rimaneggiamenti e interessante la storia delle sue campane. Durante gli anni della seconda guerra mondiale vennero rimosse per realizzare attrezzature belliche, ma nel 1948 vengono rifuse, benedette e nuovamente installate sul campanile. Le cinque campane tornano alla comunità misanese a bordo di carretti trainati da buoi, come ricordano i più anziani. Di lì a poco un evento singolare: durante una messa nel 1968 una campana si stacca dalla torre, precipita sull’organo distruggendo la tastiera, terminando poi la sua corsa sulla cantoria. Per fortuna nessuno rimane ferito, ma quel momento rimase impresso nella memoria di tutto il paese. Un’altra curiosità riguarda la campana più piccola che, negli anni ’70, venne fatta distruggere: era stonata e il parroco di allora decide di farne realizzare una nuova. Ora, grazie ai restauri che si sono conclusi nell’ottobre scorso, che la comunità misanese ha riscoperto il valore del monumento più importante del paese. Dall’interessamento e forte volontà di un comitato nato ad hoc, su iniziativa di alcuni parrocchiani, sono iniziati i lavori. Grazie poi ad una perizia si è scoperto che la base della torre è ben più antica di quanto si sapesse, ovvero del ‘400, inoltre si è scoperto che ha una leggerissima pendenza. Era il 14 maggio del 2014 quando le cinque campane sono state calate dalla torre: viaggiano poi in direzione Uscio(Genova), dove ha sede la ditta “Trebino”, azienda che si occupa del restauro delle campane. Dopo poche settimane vengono innalzati i ponteggi per permettere il restauro del campanile. Pulitura dei mattoni, stabilizzazione della torre, rimozione dell’intonaco applicato in “restauri” del secolo scorso. Dopo mesi di lavori il campanile torna al suo antico splendore. Nel frattempo, però, i misanesi non sono stati a guardare, molte associazioni si sono mobilitate per studiare iniziative al fine di raccogliere fondi a favo-

re dei lavori di restauro. Non è mancato il coinvolgimento delle scuole, i bambini delle elementari hanno preparato libri, cartelloni e ricerche esposte nella parrocchia. Biciclettata, vendita di torte, vendita di campanelli e via discorrendo. Così grazie al forte impegno dei cittadini, in pochi mesi sono stati raccolti ben 50mila euro. Ovviamente ci vorranno ancora anni per pagare il totale dei lavori -che ammonta a 168mila euro- ma grazie al forte impegno e alla generosità dei cittadini, si è potuto raccogliere quanto necessario per pagare quasi un terzo della spesa totale. Nell’ottobre 2014 è il vicario della Diocesi di Cremona, mons. Mario Marchesi, a presiedere la messa solenne e benedire la torre campanaria restaurata. La tecnologia è arrivata anche in sacrestia da anni: addio ai campanari, grazie ad un computer le suonate sono tutte programmate. E se per caso il parroco è al cimitero per una messa, gli basta premere il pulsante di un telecomando per avviare questa o quell’altra suonata. Le campane tornano a segnare l’inesorabile

trascorrere del tempo, le nascite, le morti, gli sposalizi e le ricorrenze religiose. Insistentemente svegliano il paese con il suono dell’Angelus mattutino, segnalano il mezzogiorno e l’arrivo della sera. Certamente oggi -grazie alla tecnologia- non c’è necessità del campanile per conoscere l’ora. Tuttavia, ormai, fa parte del paese, delle nostre tradizioni e della nostra identità. Se in quel di Misano non si sentissero più le campane, tutti ne percepiremmo la mancanza. E per scongiurare che ciò accada, ancora oggi, poco per volta, i fedeli contribuiscono con le offerte per il campanile.

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Musica/Giovani e antichi artisti

Giovani talenti di casa nostra di Anna Fresia

Claudia Ceruti, giovane soprano di talento, abita con la famiglia a Bariano, paese nella cui parrocchia ha iniziato a farsi apprezzare. Ora calca i palchi dei più prestigiosi teatri, sia italiani che internazionali

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a grande appassionata di Giuseppe Verdi non può essere che un piacere parlare di musica lirica e di giovani talenti bergamaschi. Infatti, in occasione di una rappresentazione al teatro Filodrammatici di Treviglio, rimango colpita da un soprano, Claudia Ceruti, così decido di farle qualche domanda sulla sua professione. Classe 1984, residente a Bariano, inizia a cantare nella Parrocchia del paese per caso, poi a Treviglio, privatamente, inizia gli studi. Il salto qualitativo arriva però grazie all’ammissione al Conservatorio di musica Gaetano Donizetti di Bergamo, dove frequenta il triennio accademico e il biennio.

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Nonostante la giovane età Claudia Ceruti ha già cantato nei più prestigiosi teatri italiani: il Teatro Donizetti di Bergamo e il Teatro Sociale nella stessa città, il Teatro Municipale di Piacenza, poi il Teatro Luciano Pavarotti di Modena, del Giglio a Lucca, il Grande di Brescia, il Ponchielli di Cremona. Ancora. Il Teatro Sociale di Como, quello Fraschini di Pavia e molti altri, esibendosi in opere come la Traviata, il Trovatore, l’Elisir d’amore, Poliuto, Il Campanello, Gemma di Vergy, Maria di Rohan, Madama Butterfly, Cosi fan tutte, Lucia di Lammermoor, i racconti di Hoffmann. Attualmente sta lavorando per la produzione di Carmina Burana di Orff, con il

A sinistra il Teatro Donizetti di Bergamo, poi scatti con Claudia Ceruti in costime di scena, e in basso la basilica di Bariano

Coro municipale di Piacenza. Non mancano le esperienze estere e gli insegnamenti che ne ha ricavato: «Sono stata in trasferta in Giappone nel gennaio 2010 con il Teatro Donizetti e ciò che mi ha colpito è stato il grande rispetto di quel popolo per la cultura musicale. Difficile il paragone con l’Italia, se non negativo». Dopo queste affermazioni immaginiamo che esperienze all’estero siano gradite, magari una carriera internazionale. «Sicuramente, è fondamentale per il mio lavoro viaggiare e confrontarmi con realtà nuove, in Italia i giovani musicisti non hanno abbastanza opportunità, il problema è che in generale la cultura, anche quella musicale, da noi non è valorizzata». Che ne dice la famiglia di questa scelta professionale, la sostiene? «Si ho una famiglia che ha sempre creduto in me, nelle mie capacità, mi ritengo molto fortunata». Un riferimento tra le varie cantanti del mondo lirico? «Magda Oliviero, scomparsa, lo scorso 25 marzo». Ci salutiamo lasciando Claudia nel suo camerino ancora vestita del suo abito da scena, ben portato; sì perché essere cantante lirica non significa solo saper cantare, ma anche saper recitare, interpretare vari ruoli, dare tutta se stessa al personaggio, al pubblico.

Antonio Locatelli, il mago del violino di Hana Budišová

Un mostro di tecnica violinistica, appena sedicenne si esibì a Roma per poi trasferirsi ad Amsterdam dove aprì un’attività editoriale. La sua composizione più famosa è la Raccolta dei Concerti Op III, “L’arte del violino”

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l nostro territorio nella storia ha dato la nascita ad un discreto numero di artisti più o meno famosi; tra di loro alcuni hanno portato all’estero l’arte della musica italiana per diffonderla e per contaminare lo stile musicale del posto. Uno di questi artisiti è Pietro Antonio Locatelli, violinista e compositore bergamasco di cui quest’anno ricorrono 320 anni dalla nascita. Nel ‘700 fu uno dei più famosi virtuosi del violino, era considerato un mostro di tecnica violinistica. Si narra che non avesse mai suonato una nota sbagliata (tranne una volta quando il suo mignolo scivolò e toccò il ponticello del violino). Nato a Bergamo il 9 settembre 1695, della sua formazione musicale non si hanno molte notizie, probabilmente è stato allievo di uno dei violinisti attivi presso la basilica Santa Maria Maggiore a Bergamo. A 16 anni si trasferì a Roma dove suonò in diverse orchestre ed è molto probabile che qui, in varie occasioni, frequentò personaggi di spicco del panorama musicale romano come Arcangelo Corelli, Giuseppe Valentini e persone a loro molto vicine. Intorno al 1722 Locatelli se ne andò da Roma e iniziò a viaggiare soprattutto in Germania, dove svolse un’intensa attività concertistica. Nel 1729 giunge ad Amsterdam, attirato dalle buone prospettive di guadagno legate alla commercializzazione delle pro-

prie composizioni favorite da una fiorente industria tipografica che coniugava qualità tecnica con un’ottima rete di distribuzione a livello europeo. Nel territorio olandese, Locatelli riuscì ad

ottenere, per i propri lavori, il privilegio di stampa che lo tutelava da edizioni pirata, tuttavia la gran parte delle sue opere apparve anche in diverse edizioni estere non autorizzate. Accanto al lavoro in campo editoriale e al commercio delle corde (Locatelli infatti vendeva corde romane per gli strumenti ad arco), Locatelli svolse ad Amsterdam una regolare attività concertistica. Si esibiva settimanalmente in concerti privati, dove non erano ammessi i musicisti professionisti. Varie testimonianze mettono in risalto l’estrema facilità con la quale suonasse il violino, le sue straordinarie capacità tecniche e l’incredibile vitalità del suo modo di suonare. Ad eccezione di pochissimi brani, Locatelli ha scritto musica orchestrale e cameristica, quest’ultima spesso dedicata ad alcuni dei suoi allievi privati dell’alta borghesia di Amsterdam. La composizione più famosa è la raccolta dei Concerti Op.III, programmaticamente intitolata “L’arte del violino”, con la presenza, nei movimenti veloci, di un Capriccio (ad libitum), ovvero di un lungo intervento solistico destinato a far mostra delle capacità tecniche del violino principale. Questi Capricci, a partire dal 19° secolo, vengono pubblicati separatamente dai Concerti originali e utilizzati come brani concertistici o come studi didattici di tecnica superiore. Locatelli morì ad Amsterdam il 30 marzo 1764 lasciando una ricca collezione di oggetti pregiati (libri, ritratti, stampe, strumenti ecc.) che documentano non solo gli interessi ma anche il benessere ed il prestigio sociale raggiunto dell’artista bergamasco. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 51


Coro Icat/Una storia Trevigliese

Di bene in meglio, poi il secondo Lp a cura di Tienno Pini

Dopo la trasferta in Toscana, l’Icat, allora sotto la guida di Paolo Bittante, affida ad Amanzio Possenti la presentazione al Filodrammatici del suo secondo 33 giri, frutto delle fatiche e delle gioie di anni di lavoro

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ncora non si era spenta l’eco del pieno successo della 2a Rassegna di Canti Popolari “Città di Treviglio”, svoltasi il 6 ottobre 1973 al Cinema Ariston, che altri importanti impegni bussavano alle porte, in primis la partecipazione al “6° Festival Nazionale di Gruppi Corali di Volterra”, cui l’ICAT era stato invitato unitamente ad altri nove complessi corali provenienti da tutta la penisola: da Bolzano a Salerno, da Verona a Ravenna, da Forlì a Carrara, solo per citare alcune delle provenienze. La sera del 13 ottobre al “Teatro Persio Flacco”, un bellissimo teatro dei primi dell’800 disposto su quattro ordini di palchi, davanti a un pubblico delle grandi occasioni, ancora una volta “gli ispirati canti del Coro ICAT di Treviglio” (recita testualmente l’articolo de “Il Telegrafo”) seppero cogliere nel segno suscitando ampi consensi. A due mesi dall’importante ed impegnativa trasferta in Toscana, il Coro pose poi un’altra pietra miliare del proprio cammino: sempre sotto la guida di Paolo Bittante, il 13 dicembre presso il “Teatro Filodrammatici”, l’ICAT presentò il suo secondo LP 33 giri, frutto delle fatiche e delle gioie di anni di lavoro, conclusesi con il consueto gratificante, ma stressante andirivieni da/per Milano per diverse serate consecutive, per la registrazione dei brani.

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La serata, presentata dall’amico giornalista Amanzio Possenti, ebbe il consueto buon riscontro di pubblico trevigliese e non solo, ormai affezionato al Coro. La veste grafica della copertina, con un organo a mano e il campanile tra i coristi con la loro camicia rossa, richiamava in toto la provenienza trevigliese e ne ribadiva l’appartenenza la tela firmata dal celebre pittore concittadino Trento Longaretti. Più che l’elenco dei

dieci brani incisi, penso che particolarmente significativo dello spirito del tempo del Gruppo possa essere la presentazione/introduzione dell’opera, posta sul retro della copertina, predisposta da uno dei coristi storici, Amilcare Borghi, per tutti Milco, per molti anni vero e fedele cantore dell’animus corale. Mi sembra quindi doveroso e corretto riproporne integralmente il testo: “Licenziare questo secondo volume di canti tradizionali è per noi conchiudere un ciclo triennale di vita corale. Siamo rimasti gli stessi, salvo uno, trapassato a miglior vita; rarissime defezioni sono state colmate da nuovi allievi. I difetti di sempre: una passionaccia che t’invade al primo contatto e ti ribolle nel sangue, una gran voglia di fare e di strafare, e lunghe interminabili discussioni sul genere, poetica e tradizione. Così tra un Bon e un Malatesta proviamo a infilarci uno Schumann o un Listz per i romantici sognatori e attingiamo al sacro fonte della polifonia; se non altro ci serve per riassaporare in tutto il suo calore il gusto del canto popolare, tanto denso di vita e di sentimenti. Proprio come quel ritorno di Paolo alla terra dell’infanzia vista con occhi incantati di bambino nel livido bagliore della guerra, o l’urlo lacerante

A sinistra l’Icat in partenza per Oristano (1974), sopra il manifesto del concerto di Chiasso, poi la copertina del 33 Giri disegnata dal maestro Trento Longaretti. Accanto il favoloso Coro Incas diretto da Mino Bordignon. Sotto momenti di svago al mare nei pressi di Oristano e accanto l’ esibizione nella stessa città in Piazza Duomo

della madre sarda nell’umanissima tragedia di Crestani”. Questo era lo Spirito del Coro di quegli anni, a chiusura di uno splendido 1973.

1974 – Un anno di grandi rassegne e concerti

Dopo diversi mesi riservati alla preparazione di nuovi brani, il Coro si presentò all’incipiente primavera con un programma di impegni serrati e importanti, a partire dal concerto in Svizzera, per la Società Alpinistica Ticinese, tenutosi il 25 aprile presso il Teatro Excelsior di Chiasso, con la precedente registrazione di un ulteriore performance presso gli studi della Radio della Svizzera Italiana. Ma il “concerto dell’anno” fu certamente quello dal titolo “Il favoloso INCAS canta con noi”: il 22 maggio presso il cinemateatro Ariston il coro trevigliese celebrò il ritorno sulle scene del coro di Fiorano al Se-

rio (l’INCAS per l’appunto, diretto da Mino Bordignon, uno dei più grandi cori anche sulla scena mondiale). Dopo oltre cinque anni di inattività il Coro della Valle Seriana tornava ad esibirsi: un avvenimento eccezionale e indimenticabile, avuta presente l’altissima levatura dei seriani e considerato che lo stesso coro anni prima aveva superato nella finale di un’importante rassegna radiofonica il tanto celebrato Coro SAT di Trento. Nell’Ariston stipato in ogni ordine di posti, presenti moltissimi coristi provenienti da Lombardia, Veneto ed Emilia, con la presentazione di Giancarlo Bregani, direttore di coro e cultore della musica corale, già conosciuto dal pubblico trevigliese, si tenne uno dei concerti più emozionanti e partecipati in assoluto. Tutto quanto venne dopo nell’anno passa quasi in secondo piano: dalla Rassegna di Asti alla Rassegna di Padova in Piazza dei Signori () presentatori Maria Giovanna Elmi e Vittorio Salvetti, alla seconda vittoria a Toano (alla 6° edizione del Festival dell’Appennino Reggiano), alla terza rassegna trevigliese. Merita peraltro un particolare cenno la partecipazione in settembre al 3° Incontro Musicale Polifonico di Oristano, in Piazza Duomo, con la presenza di soli tre cori e l’ICAT a rappresentare tutto il nord Italia, con presentatori d’eccezione per l’epoca: Silvio Noto e Beatrice Cori. Furono giorni indimenticabili, sia per la cornice storica in cui si svolgeva la manifestazione e l’importanza della stessa, sia per gli incontri e i ricevimenti organizzati a cornice delle serate di canto. Si trovò persino il tempo per un bellissimo bagno nel mare di Sardegna, con tutti i coristi a giocare come bambini. Ma l’altra esperienza importante fu quella dell’aereo: per la prima volta il gruppo affrontava una trasferta così impegnativa e per molti fu il battesimo del volo. Per darvi l’idea di quanto tempo sia trascorso basti sapere che, con volo Itavia, si partì da Bergamo, si fece scalo (?!) a Bologna per poi giungere a Cagliari! Altri tempi. E con un viaggio di ritorno un po’ tribolato dovuto al maltempo e qualche giro di troppo sopra la pista di Orio

prima dell’atterraggio di ritorno, qualcuno rischiò di alzarsi dal proprio sedile portandosi appresso il bracciolo, per poi baciare, sollevato, i “predù de Ore”, prima di promettere solennemente che mai più avrebbe volato in vita sua. Anche questo era il Coro, fonte di tante occasioni e di nuove esperienze.

Lo spirito del groppo

Gli anni trascorrevano veloci (il settimo anno, quello della crisi, era stato brillantemente superato), i successi certo non mancavano, ma nel contempo non venivano mai meno lo spirito critico, la volontà di fare sempre meglio, il desiderio di confrontarsi con gli altri ma, soprattutto, il piacere di dedicare ore e ore a lunghissime discussioni volte a delineare il futuro del Coro, perfezionarne la preparazione, migliorarne l’organizzazione, crescendo tutti insieme musicalmente, ma anche umanamente e culturalmente, con tutte le occasioni che il Coro offriva numerose! Mai dimenticando Treviglio, con l’ambizione di farne un punto di riferimento nazionale per il movimento corale italiano.

Diminutivi e soprannomi, “scurmagne” e altro

Alcuni dei diminutivi, soprannomi, scurmagne e quant’altro con cui venivano talvolta chiamati, sempre con rispetto e simpatia, alcuni coristi: Angelo Casirati, il Biondo; Arnaldo Bellini, Cecca o Ceccone; Carlo Pennati, Penna Bianca; Cesare Ravazzi, Cesi; Luigi Casirati, Gino Colli; Luigi Cologni, Culugnì; Daniele Imeri, Pustì; Enrico Giovansana, Giovi; Cristoforo Casirati, Cristo; Rino Gatti, Gatì; Franco Buttinoni, Butti; Franco Buttinoni, Trento o Trentin; Tienno Pini, desmila; Stefano Baffi, Bafì; Giuseppe Gatti, Bafì Brot; Luigi Rozzoni, Gigi Spiù; Vittorio Menegotto, Menego; Mario Moro, Mario Slack; Agostino Melli, Preside; Mario Ferrandi, Mariolino; Antonio Sala, Tonino; Amilcare Borghi, Milco, Fermo Corio, Firmino; Caterina di Rico, Lilla; Mario Costa, Custì; Carlo Ceruti, Cerutì; Piero Danelli e Piero Ferri, i du Piero de Careas, Ernesto Leoni, Leù. (6 – continua) Giugno 2015 - la nuova tribuna - 53


Treviglio/Musica e personaggi

Giulio Ferri, una vita a squarciagola di Roberto Fabbrucci

Eclettico e superattivo, una vita tutta di corsa e con passione, soprattutto musicale. Ha iniziato nel 1957 “al Pulverù” sotto la Stazione di Milano, fino a salire sul palco con l’Orchestra Ceresoli presentato da Mike Bongiorno

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iulio Ferri è un personaggio che a Treviglio e nella Gera d’Adda molti conoscono, un po’ per l’attività cooperativa, un po’ perché aveva fatto il postino, ma soprattutto perché era facile trovarlo in qualche matrimonio o festa dove è d’obbligo l’orchestrina. Poi Giulio non passa certo inosservato, è quello che canta e canta bene, anche perché come artista non si è improvvisato, iniziando a studiare nel 1957 a Milano con il direttore d’Orchestra Calzolari. In quel tempo cantava e suonava sotto la Stazione Centrale di Milano in uno spazio soprannominato “al Pulverù”, per la gran polvere che girava. Nello stesso anno partecipa a un concorso canoro a Inzago e vince il microfono d’argento. A Milano ci andava un po’ in bici e un po’ in tram da Cassano d’Adda, in altre parole arrivava da Treviglio con la bicicletta e saliva sul tram qualche centinaio di metri dopo Villa Borromeo, appena si allargava a destra uno spiazzo. Scendeva a Milano in via Padova, vicino alla stazione ferroviaria. «D’inverno però usavo il treno», chiarisce Giulio. Lì sotto la stazione aveva iniziato con il suo repertorio melodico, meravigliando per la sua bella voce di ‘Baritono alto’: “Bambina innamorata”, “Ma l’amore no”, “Abbassa la tua radio”, “Firenze sogna”, “O sole mio”, “Granada”, ecc.

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Era il repertorio dei grandi cantanti di cui le nostre mamme e nonne erano innamorate, per esempio Alberto Rabagliati, Odoardo Spadaro, Claudio Villa, Gino Latilla, Arturo Testa, ecc. Ora fa parte della “Schola Cantorum Cattaneo” di Treviglio e “Barbarossa” di Lodi. L’incipit per questa intervista è nato da una vecchia foto pubblicata sul volume “Il tempo e la memoria” edito dall’Auser trevigliese nel 2005: in quella pagina appariva con il complesso “The King” del 1964, con lui due trevigliesi

Sopra Giulio Ferri si esibisce con l’orchestra Ceresoli presentato da Mike Bongiorno. Sotto il complesso The King. Da sinistra: Mario Lorenzi, Giulio Ferri, Angelo Legramandi (batteria), Pino Galimberti e Mario Aresi

(Angelo Legramandi, Pino Galimberti), e due bergamaschi (Mario Aresi e Mario Lorenzi). «La prima orchestrina però si chiamava “Golden Boy”, eravamo nel 1961, sempre con Pino Galimberti, poi altri nuovi orchestrali: un certo Taiocchi, Pinuccio Rocchi ed Ernesto Roversi», chiarisce Giulio Ferri. «Poi nel 1970 ho cambiato due o tre complessi ed ho avuto la fortuna di cantare con l’Orchestra Ceresoli durante il Festival del Mediterraneo, a San Pellegrino Terme, presentato da Mike Bongiorno». Essendo Giulio Ferri instancabile dal 1957, ovvero da quasi sessant’anni, la descrizione delle sue avventure canore potrebbe riempire diverse decine di pagine, perciò per ora -inevitabilmente- ci limitiamo a citare i momenti che gli sono rimasti nel cuore: l’esibizione con un suo complesso al Teatro Comunale di Treviglio, diretto dal maestro Luciano Fanton, quella settimana di ferie passata a Sorrento come cantante in un grande ristorante, pagato con la sola cena, quindi le esibizioni con il coro Barbarossa: “Bellissime, con loro ho girato tutta Europa”. Avanti così Giulio!

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Storia/Pedalando nel tempo

Tasca, ristoratore con il ciclismo nel cuore a cura di Ezio Zanenga

Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Prosegue l’alternanza di eventi e personaggi con il ristoratore Luigi Tasca, che negli anni ’50 era considerato un ‘panzer’ in bici. Terminata l’esperienza agonistica, si dedicò al suo albergo-ristorante

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agli appunti ritrovati in occasione di una intervista nel lontano 1974. Il nome di Luigi Tasca rimarrà legato alla sua attività di ristoratore, tutti o quasi lo hanno conosciuto, molti sapevano della sua passione ciclistica, pochi però lo ricordano come corridore, passista potente, generoso e vincente! Certamente difficile immaginarlo in sella ad una bicicletta da corsa, quando, terminata l’attività agonistica la sua stazza atletica era diventata da super peso massimo. Lo ricordo sempre in gilè e con le maniche rimboccate, d’estate come d’inverno, il suo ciondolare apparentemente sempre stanco, il suo accogliere amici e clienti presso l’Hotel La lepre con spontanea cortesia, alla buona, senza smancerie. Nato alla cascina Mulazzana (sulle rive della “rusa nöa”) il 25 febbraio 1935, giovanissimo aiuta papà Giovanni nella gestione della trattoria in viale Ortigara. Nasce in lui una irresistibile passione ciclistica e pur con qualche resistenza familiare riesce ad avere la prima bicicletta da corsa, una ‘Bianchi’, acquistata nella bottega di Trambaglio in via Portaluppi. Nel 1951 a Treviglio, dopo tre anni alla ‘grande’, il “Pedale Sportivo Trevigliese” entra in crisi e non allestisce alcuna squadra. Come tutti gli aspiranti corridori trevigliesi è

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obbligato ad emigrare e si tessera per l’Unione Ciclistica Bergamasca. Dopo una prima stagione di ‘apprendistato’, l’anno successivo (1952) mette a segno due splendide vittorie per distacco a Brugherio e a Paullo. Esuberante, generoso, la sua caratteristica è la ricerca del successo di forza. Gli piace essere solo, con il ‘vento in faccia’ un vero e proprio

A sinistra Luigi Tasca, solitario vincitore (1953). Sopra mentre riceve una targa di riconoscimento da Guerino Cornelli in occasione di una festa di ciclismo. A destra nel 1953, “Allievo”, con la maglia del U.C. Bergamasca. Sotto l’Hotel Lepre.

ContoMelograno clessidra87.it

nuovo locale in via Caravaggio che diventerà l’Hotel Ristorante ‘La Lepre’. In occasione della sua apertura organizza una gara ciclistica per dilettanti: la ‘Coppa Tasca’, ospite d’onore il mitico ‘Leone delle Fiandre’ Fiorenzo Magni. Una delle nipoti si chiama Fiorenza, una coincidenza? Un’intera vita dedicata alla famiglia ed al lavoro, ma nel cuore sempre il ciclismo. Promuove e sponsorizza la gara ciclistica “Trofeo Hotel La Lepre”: ventitre edizioni, dal 1973 al 1978 organizzato dal G. S.. Audax, e dal 1995 al 2011 dalla Ciclistica Trevigliese. Per molti anni L’Hotel La Lepre, meglio dire Luigi Tasca, è stato punto di riferimento logistico per stage, ritiri, allenamenti di compagini ciclistiche provenienti da tutta Italia. Così come sede di grandi eventi sportivi, non solo ciclistici. Un mondo che non è più, da quando l’Hotel la Lepre ha chiuso i battenti ma soprattutto da quando il ‘panzer in bici’ Luigi Tasca non è più tra noi. Ci ha lasciati nel dicembre del 2010. Giusto sottolinearne il ruolo particolarmente significativo svolto nella nostra Treviglio per oltre 50 anni.

‘panzer in bici’. Oltre alle due vittorie, nei tre anni di attività agonistica, sempre per l’U.C. Bergamasca, ottiene 4 secondi posti e una ventina di piazzamenti nei primi dieci. Il suo accompagnatore di fiducia è il cognato Franco Brambilla che lo segue con una moto Bianchi 125 che funge da ammiraglia. Altri tempi. A Treviglio, nell’unica gara organizzata nel 1952, non gli riesce di offrire il mazzo di fiori della vittoria alla sua prima tifosa, la ‘morosa’ Luisa, piazzandosi 4° dopo una tumultuosa volata in viale Montegrappa. Mi piace ricordare una sua affermazione: “La soddisfazione vera, quella più intima, non era quella di vincere, ma quella di lottare per vincere”, una filosofia che Luigi Tasca seguì non solo per le corse in bici, ma anche nella vita. Terminata l’esperienza agonistica, si dedica completamente (e con successo) al lavoro di ristoratore; nel 1956, con il fratello apre un

zero

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Antichi mestieri/Le lavandaie trevigliesi

Aziende & Territorio - Tecnocasa

In ginocchio sulle pietre accanto ai fossi

A sinistra lavandaie in via Cavallotti, presumibilmente negli anni ‘70, in basso un lavatoio in un paese delle Gera d’Adda e “la bradela”, accessorio per inginocchiarsi

di Carmen Taborelli

Nei lavatoi costruiti a fianco delle rogge trevigliesi o in quelli coperti come sulla “Rampada di àsen”, si inginocchiavano sulla pietra, le più fortunate, invece, su una predella di legno denominata “la bradela”

U

n tempo lavare i panni era un’avventura capace di armonizzare utilità, fatica e un po’ di forzata socialità. Il bucato era il rito per eccellenza del lunedì, con un cerimoniale preciso e consolidato. Di primo mattino, le lavandaie raggiungevano la roggia, che correva lungo tutta la circonvallazione interna. Chi abitava lontano raggiungeva il lavatoio in bicicletta, appendendo al manubrio il secchio di ferro stagnato, oppure caricava il bucato sulla carriola multiuso. Dentro c’erano i panni messi in ammollo il giorno prima con la lisciva: una soluzione sbiancante, un detergente acquistato in drogheria, ottima alternativa alla cenere del camino. Inginocchiate sulle pietre, che allineate formavano la spalletta della roggia, le lavandaie insaponavano i panni, li spazzolavano per bene. Poi, con un gesto ampio della mano, li affidavano all’acqua, che limpidissima scorreva appena più in basso. Li ritraevano subito dopo per sbatterli e strizzarli sulla pietra, ripetendo l’operazione più volte, finché del sapone non c’era più traccia. Le più fortunate non si inginocchiavano sulla pietra, ma su una predella di legno: la “bradèla”, di proprietà, in uso specie tra chi lavava i panni all’inizio di via Cavallotti, là dove la roggia Mulini si divide, ancor oggi, in Castolda e Murena.

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Chi disdegnava il lavatoio a cielo aperto frequentava quello coperto, vicino alla “ràmpada d’i àsen” (“la salita degli asini”), in viale Cesare Battisti. Lo sciabordio dell’acqua indicava che il lavatoio era lì, appena sotto rispetto alla strada. Per accedervi bastava scendere quattro gradini. L’acqua lambiva il piano di appoggio fatto di pietra serena ben levigata, lunga più di tre metri. In questo modo le donne potevano lavare più comodamente, stando in piedi, una accanto all’altra. Se avevano tra le mani un capo di biancheria con pizzi o ricami, potevano più facilmente ostentarlo, girandolo e rigirandolo sulla pietra, nella speranza fosse notato, apprezzato o, meglio ancora, invidiato. Chi, invece, aveva un lenzuolo giuntato o i panni un po’ lisi, preferiva lavarli di nascosto, magari di mattino, molto presto, quando al lavatoio non c’era anima viva. D’estate l’acqua della roggia calava perché i contadini, a monte, la usavano per irrigare i campi. L’abbassamento del livello dell’acqua costringeva le donne a entrare nel fosso. A piedi nudi, ovviamente. La frescura era piacevole. Non era, invece, per nulla piacevole il fatto che le sanguisughe si attaccassero alle parti meno callose dei loro piedi. Un irritante tributo che pagavano con rassegnata docilità.

D’inverno le mani, arrossate dal freddo, tendevano a irrigidirsi; veniva meno la presa, e spesso i panni “scappavano” via, trascinati dalla corrente. In questo caso occorreva essere rapide; emulando Nettuno e tridente alla mano, le donne recuperavano sia i panni “scappati”, sia quanto era rimasto impigliato nelle maglie di sbarramento: qualche pezzetto di legno, una bottiglia, un barattolo vuoto da riutilizzare. Tra i lavatoi a sud della città, quello in piazza San Rocco non era regno esclusivo delle donne. Di tanto in tanto compariva un uomo: il maestro Alcide Pellegrini, che insegnava nella vicina scuola elementare. Chiesta in prestito una spazzola, strofinava i piedi a qualche alunno malcapitato, soffocando sul nascere, con piglio severo, il più timido dei lamenti. Il fatto non destava particolare stupore. Si era agli inizi del secolo scorso. Le

strade non erano asfaltate. Gli zoccoli imperavano e l’igiene, invece, un po’ meno. In genere, tra le lavandaie c’era un buon rapporto. Si conoscevano tutte e capitava che ridessero del loro abbigliamento un po’ a strati: una sorta di divisa sociale. Indossavano il grembiule per proteggere il vestito. Sopra il grembiule ne mettevano un altro più pesante, legato attorno ai fianchi, con la funzione di riparare quello di sotto. Sulla testa un fazzoletto annodato dietro la nuca e, quando il freddo era pungente, un berrettone di lana. Oltre alla fatica, le lavandaie condividevano le chiacchiere. Mani e lingua lavoravano all’unisono e in continuazione. Fluivano chiacchiere non sempre bonarie, non sempre innocenti. Tra gli spruzzi dell’acqua, risuonavano le beghe accadute fra suocera e nuora, tra moglie e marito. Si diffondeva rapidamente la notizia di qualche episodio amoroso non del tutto canonico o di un fatto piuttosto piccante. A queste notizie ogni lavandaia aggiungeva qualcosa di suo: un po’ di colore, un po’ di sapore e un po’ di …veleno. Lavoravano, facevano amicizia, chiacchieravano, spettegolavano, ma erano anche capaci di rivendicare i propri diritti. Quello, ad esempio, di chiedere, nel marzo 1896, all’Amministrazione Comunale, la sistemazione del lavatoio posto tra viale Filagno e piazza san Rocco. Nella lettera, le lavandaie chiedevano che “il guado, posto in quel tratto di roggia che lambisce la casa della signora Delfina Crippa Bogianchino, venga riparato in modo da poter servire, con qualche comodità, da lavatoio”. La domanda, firmata da centodiciassette donne, fu accolta dalla Giunta Municipale, che eseguì i lavori durante l’asciutta primaverile delle rogge. Il nuovo lavatoio fu molto apprezzato, anche se le lavandaie avrebbero gradito qualcosa di più: una piccola tettoia in lamiera, che le avrebbe protette dalla pioggia e dal sole.

Immagine fornite dia Enrico Appiani

Ciaffaglione: “Il mercato immobiliare riprende” Un servizio al cliente che si avvale di professionalità e del supporto di un grande network

L

’agenzia immobiliare Tecnocasa di viale Partigiano a Treviglio, opera sul territorio ormai da molti anni, mettendo a frutto la conoscenza acquisita nell’ambito territoriale per soddisfare le richieste dei clienti con professionalità. Titolare dell’Agenzia è Cesare Ciaffaglione, esperto del settore, al quale abbiamo chiesto di descrivere la situazione del mercato immobiliare trevigliese: “Negli ultimi trimestri abbiamo incominciato a osservare una sicura ripresa che, dopo la grave crisi economica che ha investito pesantemente anche il mercato immobiliare (facendo crollare i volumi di compravendita e contestualmente abbassando i valori degli immobili di circa

il 30/35%), oggi consolida un rinnovato interesse degli investitori nel mattone”. Il consistente abbassamento dei prezzi, insieme a una maggior facilità ad accedere ai mutui bancari, ora invoglia i potenziali acquirenti a effettuare l’acquisto a lungo rimandato. Dall’altro canto, i proprietari, avendo preso coscienza della situazione, hanno adeguato le loro aspettative economiche alla nuova realtà. Ciaffaglione, insieme al suo staff di viale Partigiano, in sinergia con la rete Tecnocasa -che in modo capillare copre l’intero territorio nazionale- offre un servizio di guida e supporto ai clienti. Soprattutto in fase di trattativa, punto nodale e delicato durante l’acquisto della casa. Momento decisamente importante nella vita di una famiglia, che ha quindi necessità di una figura professionale seria, competente, ovvero un interlocutore apprezzato. Inoltre, l’agenzia trevigliese fa parte di uno dei maggiori network immobiliari italiani, che garantisce qualificati supporti in diverse aree professionali, per esempio le valutazioni e l’intermediazione finanziaria. Sono competenze che permettono a Cesare Ciaffaglione e alla sua equipe di garantire che possono “porre sempre il cliente al centro del servizio che offriamo”. Cristina Signorelli

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Lettere & Commenti

Il comunicato del Sindaco

C’è gente che non sa che cosa sia il rispetto

Si può essere favorevoli o contrari alla posa degli speed-check, ma rispettare la proprietà pubblica, così come quella privata, è un prerequisito minimo di legalità oltre che di educazione. Nessuno, in questa Amministrazione Comunale, ha intenzione di “fare cassa”

con questo provvedimento come con nessun altro intervento sulla sicurezza stradale: l’intenzione è ridurre l’incidentalità, rammentando la necessità del rispetto dei limiti di velocità, soprattutto sulle strade urbane. Ci è stata rimproverata -e sbagliando anche in quel caso- la stessa colpa quando abbiamo sollecitato il posizionamento dell’autovelox in via Bergamo: non abbiamo imposto nessuna “riduzione artificiosa” della velocità, che è rimasta ai 90 Km/h. Anzi, in quel caso abbiamo ottenuto dalla Provincia di poter posizionare dei cartelli che ricordano che il limite è a 90 Km/h, di per sé non posizionabili, per evitare improvvise decelerazioni. E, da allora, nessun incidente. Quanto agli speed-check, un ultimo chiarimento. Abbiamo predisposto un piano per il miglioramento della sicurezza stradale che prevedeva anche la posa di queste apparecchiature, che saranno attivate con la presenza di una pattuglia della Polizia Locale. Complessivamente il piano costerà 700.000 euro: gran parte sarà dedicata alla sistemazione degli incroci pericolosi ed alla messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali (i lavori sono già in corso). Gli speed-check sono una parte di questo piano. Regione Lombardia ha approvato la proposta e riconosciuto al Comune di Treviglio un contributo straordinario di 350.000 euro a fondo perduto: quindi rimane a carico nostro il 50% della spesa. E, in queste spese, ci sta anche quella per gli speed-check, che tra

Giochiamo al Toto Sindaco?

Uno speed-check simile a questo è stato vandalizzato a 24 ore dalla sua installazione

acquisto e posa costano complessivamente circa 20.000 euro; 10.000 a carico della Regione, 10.000 a carico del Comune (meno di quanto costerebbe posare i dossi rallentatraffico negli stessi punti, dove spesso sono stati richiesti). Se questa spesa contribuirà a ridurre l’incidentalità e la rischiosità di alcune vie, evitando incidenti più o meno gravi, saranno, come sono, soldi ben spesi. Beppe Pezzoni (Sindaco di Treviglio)

Papà Separati e Nuove norme di legge

Dopo le separazioni, l’affidamento dei figli

Dopo l’intervento del segretario dell’Assoc. PapàSeparati, Diego Alloni, un approfondimento e puntualizzazioni dell’avv. Laura Rossoni

Don Bosco e l’errore di stampa

N

el numero di maggio 2015 de la nuova Tribuna, il trevigliese Diego Alloni, responsabile provinciale della onlus “PapàSeparati”, nello spazio messo a disposizione dalla rivista, lamentava la condizione dei padri che, per effetto di una sentenza di divorzio o di separazione, si trovano “a fare il papà in modi e tempi stabiliti dal giudice”, lamentando la sofferenza e il senso di impotenza di fronte a una decisione che magari si trova ingiusta e limitante il ruolo di padre. Nel 2006 è stata introdotta la Legge n. 54 che ha radicalmente mutato i principi in tema di affidamento dei figli: prima del 2006 infatti la regola era quella dell’affidamento esclusivo a uno dei genitori e la facoltà per l’altro di vedere e tenere con sé i figli in determinati periodi. La legge n. 54/2006, mutuando dalle legislazioni di molti paese europei, ha invece stabilito il così detto “principio di bigenitorialità” che prevede, come regola standard e di partenza per tutte le separazioni, l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori. Il minore ha diritto a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori e dunque l’affidamento condiviso è ora la regola generale rispetto alla quale costituisce, invece, eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo. Sempre nell’ottica della tutela del minore, si ricorrerà all’affidamento esclusivo a uno dei genitori (garantendo il diritto/dovere di visita al genitore cui non

60 - la nuova tribuna - Giugno 2015

Caro Direttore, siamo dei cittadini appartenenti alla categoria dei cosiddetti “senza partito”. Votiamo le persone, prescindendo dal loro gruppo di appartenenza. Che cosa chiediamo alle persone che si candidano ad amministrare la città? Chiediamo il possesso di sei requisiti: sei “C”, ossia: 1. competenza; 2.credibilità; 3. capacità; 4. concretezza; 5. coerenza; 6. consapevolezza che “Politica” è sinonimo di servizio alla Città. “Merce rara” verrebbe da dire. Sì, merce rara, ma ancora reperibile sul mercato. Provando a fare il gioco proposto nell’editoriale de “la nuova tribuna di maggio”, siamo riusciti a mettere, nero su bianco, otto nomi di possibili candidati alla guida della nostra città. Dopo una scrematura condivisa, i nomi sono scesi drasticamente a tre. A questo punto, la discussione si è fatta vivace e appassionata, quasi destinata a non finire. Finché a pacificare gli animi, si è levata una voce a ricordare un antico adagio: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel lascia, ma non quel che trova”. Per chiarire le idee e orientare la scelta, dopo la saggezza popolare, può essere d’aiuto una saggezza più autorevole, quella biblica tratta dal libro del Siracide: “Dell’artista si ammira l’opera, del politico la saggezza delle proposte. Ma se parla a vanvera, è una minaccia per la città; se propone cose inconcludenti si fa odiare. Il politico saggio educa il suo popolo e governa in modo intelligente e costruttivo. Un sovrano ignorante porta il popolo alla rovina, e una comunità, per fare progressi, ha bisogno di governanti intelligenti”. Carmen Taborelli e un gruppo di amici

sono affidati) quando ad esempio l’altro si disinteressa della cura, dell’educazione e del mantenimento del minore. Le visite saranno limitate –ovvero garantite in modalità protetta- solo ove si ravvisi pregiudizio per il minore. Per evitare di subire la decisione del Giudice è sempre opportuno tentare di trovare un accordo sulle condizioni di separazione e divorzio, attraverso il deposito di un ricorso congiunto, anziché affrontare una vera e propria causa. La recentissima legge 162/2014 ha poi fornito l’ulteriore strumento della negoziazione assistita con il quale i genitori, attraverso la stipula di una convenzione di negoziazione davanti a un avvocato, si impegnano a cooperare in buona fede e lealtà, cercando un accordo sugli obiettivi educativi e garantendo il profondo rispetto dei rispettivi ruoli. Laura Rossoni (Avvocato)

Miracolosa cura per la sciatica, quella della signora Clotilde Lecchi di Cassano d’Adda, ma non per i refusi di stampa, è così accaduto che nell’articolo pubblicato sullo scorso numero de “La Tribuna” il buon Don Bosco, visitava la terra cassanese nel 1822, anno nel quale il futuro santo aveva la tenera età di sette anni: un periodo della vita solitamente indenne da fastidi reumatoidi. Risale infatti a cinquant’anni più tardi la visita di don Giovanni Bosco, come testimonia questa lettera datata 18 ottobre 1873, scritta dall stesso alla Signora come ringraziamento delle cure ricevute l’anno precedente: “Mi è importante assicurarla che nelle vegnenti feste - scriveva in un curioso italiano ottocentesco - non sarà ella obbliata tra quei cari per chi porgerò al cielo caldi voti e non indifferenti auguri, onde possano riiscirle liete e proprio come il suo cuor può desiderarsele e sarà questa una prova del come io la desidero felice e contenta!”. Marco Galbusera

Treviglio/Amici del Chiostro

“Adotta il museo” è stato un vero successo

A

conclusione della prima edizione di “Adotta il museo”, la presidente dell’associazione Amici del Chiostro-Onlus, Maria Pasquinelli, ha inviato un comunicato alla stampa nel quale “Esprime la propria soddisfazione per il grande successo ottenuto dall’iniziativa nata con l’intenzione di animare il museo civico ‘Ernesto e Teresa Della Torre’ di Treviglio”. L’iniziativa, infatti, attraverso il coinvolgimento delle scuole superiori del territorio “…ha visto l’entusiastica partecipazione di due classi del liceo “Simone Weil” di Treviglio, la 3/E e la 4/D, guidate dalle professoresse Francesca Possenti e Laura Seragnoli”. I ragazzi, su proposta dei volontari dell’Associazione, sono stati invitati a “rielaborare”, studiare e approfondire alcune opere presenti nel museo cittadino. Lavoro iniziato a Ottobre del 2014 che ha coinvolto gli studenti nel corso dell’intero anno scolastico, mentre sabato 23 maggio, nel museo, si è svolta la giornata conclusiva. “I ventitrè ragazzi –spiega la Presidente- divisi in gruppi, hanno esposto davanti ad un numerosissimo pubblico quindici relazioni centrate su altrettante tematiche sviluppate ,a partire dalle opere contenute nella sala espositiva trevigliese”.

Presente all’incontro anche il sindaco di Treviglio Giuseppe Pezzoni, che ha poi consegnato ad ogni ragazzo i crediti formativi guadagnati grazie al lavoro svolto, oltre ad una copia a testa del catalogo del museo civico ‘Ernesto e Teresa Della Torre’. “I volontari dell’Associazione –conclude Maria Pasquinelli- desiderano ringraziare il sindaco Pezzoni, l’Amministrazione e l’ufficio Cultura per aver creduto nel

il progetto e averlo sostenuto”, ringraziamento che la presidente estende al liceo ‘Simone Weil’, in particolare alle insegnanti Francesca Possenti e Laura Seragnoli, per aver aderito all’iniziativa. “Così come va un ringraziamento particolarissimo ai ragazzi che hanno partecipato, portando il loro entusiasmo e le loro originali intuizioni al museo”. g.v. Giugno 2015 - la nuova tribuna - 61


Aziende & Territorio

Leader in Italia nel recupero stragiudiziale

Studio Blu ti fa ottenere il giusto risarcimento

Invece di imboccare l’intricata strada del risarcimento fai-da-te, cura direttamente gli interessi del danneggiato verso le assicurazioni, allestisce la pratica e consente di arrivare velocemente al risarcimento in via stragiudiziale

A

molti di noi è capitato di essere coinvolti in un incidente stradale, subendo danni di varia forma e dimensioni. Circostanze in cui abbiamo tutti sperimentato quanto sia faticoso ottenere un giusto risarcimento, questo per mille motivi: per la mancanza di tempo nel seguire le pratiche, per le difficoltà nel districarsi nei meandri della burocrazia, oppure per l’impossibilità di avere pareri di esperti professionalmente adeguati. Sulla base di queste esigenze dell’utenza, è nato a Padova nel 2001 Studio Blu, un network di agenzie che si sono diffuse su tutto il territorio nazionale, costituendo la prima realtà italiana di risarcimento danni. Un network in grado di garantire al danneggiato un servizio di completo supporto e tutela, finalizzato a un risarcimento adeguato dei danni.

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Viale De Gasperi 12 B – Treviglio (BG)

0363/305060 - devizi@infortunisticablu.com

A Treviglio il titolare di Studio Blu è Guido Devizi, al quale ci siamo rivolti per saperne di più: “La nostra mission è di mettere a disposizione del danneggiato un servizio mirato, rapido, efficiente e ad alta professionalità, per affrontare e risolvere -in via stragiudiziale- tutte le problematiche derivanti da incidenti stradali, infortuni, danni contrattuali e per responsabilità di terzi”. Cinque anni fa Guido Devizi ha avviato la sua attività a Treviglio, un tipo

di servizio allora non ancora conosciuto, ma che si è fatto apprezzare negli anni, allargando rapidamente la clientela. Questo offrendo alle vittime d’incidenti un supporto altamente specializzato e che ha permesso ai clienti di poter ricevere il giusto indennizzo. E’ anche prassi di Studio Blu di Devizi, prima di affrontare la pratica, di vagliare attentamente i casi che i clienti presentano, accertando la validità delle richieste per dare concretezza alla risposta, questo senza anticipi di spesa. Un’intera struttura che possiede diverse professionalità: medici specialisti, figure sanitarie intermedie per il recupero funzionale e fisico dell’infortunato, medici legali per la valutazione del danno, professionisti abilitati a effettuare le necessarie perizie. Esistono poi convenzioni con altre figure professionali, dalle officine e carrozzerie, per le necessarie riparazioni dei mezzi incidentati, oltre che professionisti utili a garantire l’intero risarcimento del danno al danneggiato. Inoltre, a conclusione, Guido Devizi ricorda che hanno trattato e risolto quasi mille casi: “…di cui il 90% per incidenti stradali, alcuni anche molto gravi, con perdita di uno o più familiari. In tali circostanze, oltre a sentirci inevitabilmente coinvolti umanamente, riteniamo essenziale fornire un supporto psicologico professionale al nostro cliente, questo per facilitargli il cammino verso il risarcimento, un percorso che spesso è davvero difficile e doloroso. Siamo consapevoli che il nostro cliente è una vittima, anche quando ha subito un danno davvero lieve, e come tale va assistito con scrupolosità e impegno”. Cristina Signorelli

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