Tribuna 07 08 2015

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Musica

L’INTERVISTA

Riky anelli, ovvero da Misano parte l’avventura di un musicista di grande talento

Lucia Blini: «Iniziai con “la tribuna”, poi subito nella redazione dei canali Fininvest»

EURO 2,00

N° 7/8 - Luglio-Agosto 2015 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda

Treviglio: l’estate di oggi e quelle di ieri

Dove si va e Dove

anDavamo in vacanza e chi sta a casa?

IL CD IN OM AGGIO

• TrevIglIO: vInTage bagnaTO • barTalI, COppI e Il CIrCuITO deglI aSSI

Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 1

Fotografia di Enrico Appiani

• In OmaggIO Cd deI“Save Our SOulS”


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l’Editoriale

A Treviglio c’è chi vive in un acquario

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esterà quel minimo di meraviglia la copertina di questo numero, la prima studiata a tavolino e non costruita su fotografie d’archivio usate per l’occasione, piuttosto che disegni realizzati da Gabriele Bellagente, Carmelo Silva o altri artisti nelle edizioni fino al 1999. Lo scatto di questa copertina è uno dei tanti eseguiti da Enrico Appiani a tre gentili signore che ringraziamo vivamente -assieme all’amico fotografo- per aver speso un pomeriggio per noi. Sono le “Femmes fatale burlesque”, ovvero Nadia Nicoli, Susanna Rossoni e Laila Rossoni. L’idea è sorta dalla necessità di abbinare l’argomento d’apertura, dedicato alle vacanze, alla seconda edizione di “Treviglio Vintage”, certamente bagnata, ma sempre straordinaria. Tanto straordinaria che i quotidiani provinciali e il settimanale cittadino (il Popolo Cattolico), non l’hanno trascurata, anzi, gli hanno offerto generosamente ampio spazio. Abbiamo scelto come argomento l’estate e le vacanze perché non sempre le aperture delle riviste devono essere problematiche. Abbiamo tutti attraversato un anno difficile e offrire qualche indicazione su come vivere piacevolmente l’estate e ricordare come la si viveva, ci è sembrata la cosa giusta. Oltretutto osservare il passato aiuta a capire la politica e i politici, e questo lo diciamo a chi insiste nel dire che non facciamo politica su la Tribuna. Perché per possedere una visione del futuro è necessario avere i piedi ben piantati nella propria storia, solo così si riesce ad amare il prossimo e pensare al futuro delle generazioni che mai conosceremo. Giuseppe Grossi (sindaco dal 1889 al 1894, in questo numero citato più volte da Carmen Taborelli), aveva questo spirito quando pensò come far sorgere dei luoghi salubri per i bambini e ragazzi trevigliesi che necessitavano di soggiorno al mare o in montagna. Così come altri amministratori “visionari” e onesti pensarono di prepararci i viali alberati, le scuole, l’ospedale... Ora, invece, i partiti sembra facciano attività in un acquario, spazio chiuso e ben illuminato che impedisce di osservare oltre il riflesso dei cristalli. Così coloro che dovrebbero progettare il nostro futuro, ma soprattutto quello dei nostri figli e nipoti, finiscono per vedere un popolo che non esiste, perché nel gioco degli specchi vedono le loro immagini moltiplicate all’infinito, godendone confusamente perché colpevolmente ignari. E’ però anche ciò che accade alla gran parte delle associazioni culturali e artistiche che operano in piccole comunità come la nostra: si impegnano all’inverosimile, producono spesso qualità, ma i loro sforzi rimangono all’interno di questo gioco di specchi, mentre l’intero mondo (letteralmente) passa accanto distratto. E

quando dico il mondo inizio da Milano e dalla Lombardia, pensando alle nostre case invendute (1.400 appartamenti) o sfitte, agli spazi che potrebbero essere riempiti da aziende del terziario avanzato e da giovani valenti (ce ne sono e tanti), che potrebbero lavorare e portare ricchezza alla città. In sintesi, invece di usare la qualità prodotta per i soli parenti e clan, non è possibile iniziare a pensare di attrarre l’utenza nel raggio di una almeno quarantina di chilometri? Scrivevo lo scorso anno sul “il Popolo Cattolico” rispondendo al direttore Amanzio Possenti: «Direi che Treviglio è un alveare perennemente animato a cui manca un senso comune perché ha troppe api regine. E se questa anarchia poteva essere da molti tollerata (...) ai tempi delle vacche grasse, ora non è più sostenibile, è necessario un progetto condiviso. Mi spiego. Le infrastrutture si stanno completando, manca solo il tracciato stradale tra Bergamo e Treviglio, quindi il suo proseguimento verso Melegnano e l’A4 (...)». «Da ciò la convinzione che la prima cosa da fare è attrarre a Treviglio chi, visitandola, comprenda la qualità delle vita, i servizi e la vicinanza strategica con Milano, Bergamo e con tutto ciò che significa anche in termini di collegamenti aerei internazionali. Non farlo significa lasciare che il destino ci cada addosso e non è detto che non ci faccia male». (...) «Voglio dire che non possiamo chiedere una risposta alla Politica, che non c’è più, o agli amministratori oberati dal quotidiano, se noi non siamo neppure capaci di costruire un rapporto solido tra associazioni. Addirittura abbiamo il doppio o il triplo di tutto, magari anche il quadruplo». E’ passato un anno e tolto “Treviglio Vintage” non è accaduto molto in questo senso, così come non è cambiato quasi nulla dal 1970, quando Tullio Santagiuliana suggerì una sorta di “Consulta” delle associazioni culturali, come poi fece intelligentemente Don Piero Perego negli anni ‘90 fondando una “Consulta del Volontariato” dedicate al servizio alla persona. A chi questo compito? Senza dubbio all’Ufficio Cultura e all’Assessorato (magari con un assessore presente), poi alla Pro Loco, che nelle altre comunità fa proprio questo senza mettersi in concorrenza con le associazioni. Succederà qualcosa? Nulla! Così tra qualche decennio il direttore di un giornale cittadino, riprendendo queste parole, scriverà che «A Treviglio -in troppi e da sempre- stanno per proprio conto litigando con tutti, così quanto di buono e cattivo è capitato in questa città l’hanno raccolto inconsapevolmente perché stavano rimirandosi sul vetro dell’acquario. Dentro l’acquario». Roberto Fabbrucci Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 3


Fotografia di Enrico Appiani

il Sommario

06-07 Internet non ti parla, non ti chiama a casa (Daniela Regonesi, Daniela Invernizzi); 08-09 “Fuori il Cinema” raccoglie la sfida (Chiara Severgnini); 10-11 Festa della birra ma con prodotti italiani (Cristina Signorelli). Festa di Sant’Anna tutta sul sociale (Daniela Invernizzi); 12-13 Treviglio Vintage, oltre il collezionismo. I nostri commercianti sono stati in prima fila (Ivan Scelsa); 14 Dopo trent’anni ritorna la diretta (Giorgio Vailati); 16-17 Biennale del dialogo tra i castelli (g. v.); Goditi l’inquietudine tranquilla d’Agosto (Stefano Pini); 18-19 La “fatica bella” dell’Oratorio Estivo. Le vacanze degli scout di Treviglio. Baden-Powell e lo scoutismo (Daniela Regonesi); 20 Per i bimbi in città gioco e studio (Carmen Taborelli); 21-22 L’estate e i giochi ai Bagni di Sole. Quelle belle estati degli anni ‘50 (Roberto Fabbrucci); 23 Le colonie di Oltre il Colle e Varazze (Roberto Fabbrucci); 24-27 L’idea di Varazze nasce a Treviglio. Come nasce la colonia montana di Piazzatorre. La villa del “Messagiù” a Oltre il Colle (Carmen Taborelli); 28-29 I 70 anni del Cai e le nuove escursioni. Il Cai nasce il 15 Giugno 1945 (Daniela Invernizzi);

30-31 Era il 1946, per fortuna c’erano truppe alleate (Mario Longaretti); La prima “piscina” era per soli uomini (Carmen Taborelli); 32-33 In Indonesia alla ricerca dei Toragja (Marco Facchetti); Giro del mondo in tre settimane (Giancarlo Maretta). 34-37 In due, pedalando incontro al mondo. Bonanza Viaggi: l’essenza del viaggio (Daniela Regonesi); 38-39 A Treviglio, ma non sempre per vacanza. A Caravaggio non volevano la ferrovia (Marco Carminati); 40-41 L’arte del cuoco si insegna a Treviglio (Maria Palchetti Mazza). Gli USA, la scuola e le differenze con l’Italia (Silvia Martelli). 43-45 Se c’è l’impegno arrivano risultati (Ivan Tassi). Ravasio: “Riky Anelli è la mia anima gemella musicale” (Luciano Ravasio). Anime rock di nuovo salvate dagli S.O.S. “Negli occhi - Remastered” (Daria Locatelli); 46-47 L’epopea Bittante finisce nel 1976 (Tienno Pini); 48-49 Mario Bettinelli, Parigino a Treviglio (Silvia Bianchera Bettinelli).Gastoldi, musicista raffinato (Hana Budišová); 50-51 Roma e le genti della Gera d’Adda (Elio Massimino). Tomba celtica scoperta a Treviglio (Roberto Fabbrucci); 52-54 Il campano Romeo e la lombarda Alfa (Giorgio Vailati). Lucia Blini iniziò dalla Tribuna... (Roberto Fabbrucci); 55-57 La Bussola per educare al calcio (Ivan Scelsa). Il Circuito degli Assi del 1949 (Ezio Zanenga). Calcio: preziosi reperti dal passato (Daniela Invernizzi); 59 Appuntamenti (Daniela Invernizzi, Ivan Scelsa); 60 Lettere & Commenti: Il giro del mondo sotto il campanile. Accoglienza e prossimità. Una moschea al posto della Lepre o dell’Albergo Sole. 61 Opinioni: Che c’entra l’Area Fiera alla Stazione Centrale? 62 Lettere & Commenti: Strisce pedonali e bici. Il colpo di frusta non è più risarcito? (Guido Devizi).

Torneremo Venerdì 4 Settembre

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l problema dei graffiti e dell’imbrattamento dei muri pubblici e privati sarà l’argomento d’apertura che affronteremo sul prossimo numero de “la nuova tribuna”, e che abbiamo sintetizzato con il fotomontaggio provocatorio riprodotto in questa idea di copertina. Lo affronteremo sotto i vari aspetti, dall’origine del femomeno, alla tipologia, ascoltando le componenti coinvolte e gli esperti. Cercheremo di capire come prevenire questa vera e propria calamità e come affrontarla, anche alla luce delle iniziative che si stanno proponendo in città ad opera di encomiabili volontari.

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Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 23 dell’8/8/2003

Anno 1 - n° 7/8 - Luglio-Agosto 2015

Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Comitato di redazione Coordinatrice: Daniela Invernizzi Laura Borghi, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli Collaborano Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Laura Borghi, Hana Budišová, Marco Carminati, Michela Colombo, Ennio Dozzi, Fabio Erri, Marco Ferri, Anna Fresia, Paolo Furia, Marco Galbusera, Daria Locatelli, Silvia Martelli, Ennio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Stefano Pini, Tienno Pini, Cristina Ronchi, Chiara Severgnini, Angelo Sghirlanzoni, Ivan Tassi, Giorgio Vailati, Lucietta Zanda, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni: Giulio Ferri, Ugo Monzio Compagnoni, Sacha Parimbelli, Paola Picetti, Matteo Preziuso, Franca Tarantino, Romano Zacchetti Stampa Laboratorio Grafico Via dell’ Artigianato 48/50 Pagazzano (BG)

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Agenzie Viaggi/Dove vanno i trevigliesi

Internet non ti parla, non ti chiama a casa a cura di Daniela Regonesi e Daniela Invernizzi

Come cambiano le vacanze, carrellata di interviste ai quattro operatori turistici di riferimento per la gran parte degli utenti di Treviglio e territorio: Adda Viaggi, Asperti Ravelli Viaggi, Bonanza Viaggi, Viaggi Al Portico

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nterrogandoci sul tema delle vacanze incontriamo i professionisti di quattro storiche agenzie di viaggio per capire con loro come sia cambiato il modo di viaggiare, anche in considerazione di fenomeni quali i voli low-cost, le formule last minute ed il prendere piede del fai da te. Innanzitutto ci hanno confermato che il mercato tiene, nonostante la crisi economica: chi si muove per il mondo resiste, sebbene indubbiamente tempi, modi e durate dei soggiorni siano mutati. Anche l’assunto stesso della vacanza estiva traballa: «le persone non vanno in vacanza solo ad agosto, i viaggi sono destagionalizzati; anche la durata è cambiata: non si fanno solo i canonici quindici giorni, si viaggia tanto anche nei week-end», ci spiegano Elena Ronchi e Roberta Chiari di “Viaggi Al Portico”. Il fatto è che «il turismo è diventato di massa dappertutto, non ci sono più mete elitarie. Sono cresciute le destinazioni accessibili, anche grazie all’avvento dei voli charter», proseguono, e concordano con loro anche Simonetta Bamfi e Valentina Russo di “Bonanza Viaggi”, che affermano «una volta il viaggio era per pochi, oggi è per tutti». Fa loro eco per “Asperti Ravelli Viaggi”, agenzia in attività dal 1999, Federica Pala che, nonostante un indubbia flessione riscontrata dal 2008 ad oggi, rileva che «resiste lo zoc-

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colo duro di chi viaggia: chi partiva prima della crisi lo fa ancora, magari riducendo il numero di giorni di vacanza, non più i classici quindici giorni ma dieci o sette». Anche secondo Giancarlo Maretta, uno dei titolari e responsabile della sede caravaggina di “Adda Viaggi”, con oltre trent’anni di

attività, «è cambiato il modo di fare vacanza: adesso la gente non prenota più in base alla destinazione, ma in base ai costi. Si abbandonano certe località perché considerate troppo onerose a vantaggio di altre più a buon mercato o che offrono promozioni. Anche la situazione politica può influenzare molto, anno per anno, la scelta delle destinazioni». Ad aver colpito le agenzie di viaggio, ci fa notare Elena, non sono stati tanto il fai da te ed il low-cost, «il problema è stato la liberalizzazione del mercato, che ha fatto sì che aprissero agenzie dall’oggi al domani», e lo dice chi è in agenzia dal 1983 e ricorda bene quando «una volta i biglietti erano scritti a mano, le prenotazioni erano telefoniche, dovevamo venire presto in agenzia per riuscire a prendere la linea con FFSS o Tirrenia»; su questi elementi, senz’altro, l’aiuto di internet è grande. C’è un altro aspetto su cui i nostri interlocutori concordano: le persone si divertono ad improvvisarsi agenti di viaggio, salvo poi invocare l’aiuto di chi lo fa di mestiere, quando i guai sono seri, oppure tacere eventuali in-


A sinistra lo staff dell’agenzia “Viaggi Al Portico” (da destra Elena Ronchi e Roberta Chiari), qui sopra uno scorcio dell’Agenzia “Adda Viaggi” di Caravaggio, a destra Simonetta Bamfi di Bonanza Viaggi, quindi il titolare dell’agenzia Asperti-Ravelli Viaggi, Raffaele Ravelli con la sua collaboratrice Federica Pala

convenienti e disguidi subiti o, infine, tornare ad avvalersi dei servizi d’agenzia dopo aver provato la strada del fai da te, modalità che pare prediletta soprattutto dall’utenza giovane e per i fine settimana, specie nelle capitali europee. Ma Simonetta, dalla nuova sede della sua agenzia che vanta quarantacinque anni di attività, ricorda che «internet non ti parla, non ti chiama a casa, non ti assiste, non ha professionalità. Fornisce solo informazioni, da prendere con riserva». Ecco un altro punto di contatto che emerge dalle chiacchierate con i professionisti del viaggio: i clienti, grazie alla rete, conoscono molte località poco note, sono molto informati o credono di esserlo. Se infatti è stimolante poter accontentare chi realmente conosce la propria destinazione, indubbiamente in agenzia c’è una consapevolezza costruita grazie ai viaggi intrapresi per conoscere i prodotti

venduti, alla partecipazione a corsi mirati e ad aggiornamenti. A tutto ciò i nostri interlocutori danno un duplice nome, che ricorre in tutti gli incontri: passione e professionalità. E si tratta di un binomio che paga, in termini di soddisfazione dei clienti e di fidelizzazione: «l’essere un’agenzia viaggi comporta l’essere aperti al mondo» mi spiegano da Bonanza, e chi si affida a loro ed ai colleghi sa che nel costo affrontato per partire c’è sì il viaggio, ma accompagnato dalla professionalità. Come da Viaggi Al Portico, dove asseriscono: «Lavoriamo anche a discapito nostro, ma non vendiamo tanto per vendere, se un prodotto non è valido non lo proponiamo». Giancarlo, dal canto suo, concorda ed entra ancor più nel dettaglio: «Internet offre una vastità tale di offerte che districarsi non è facile, non è semplice capire e selezionare. Non è semplice nemmeno comprendere se stai risparmiando oppure no, anzi, spesso l’agenzia gode di promozioni che in Internet non trovi. E poi nel fai da te manca totalmente il “fattore protezione” il sapere che qualunque cosa accada c’è qualcuno che ti può seguire».

Per questo la crisi ed il fai da te non hanno scalfito il rapporto di fiducia dei clienti che si rivolgono alle agenzie chiedendo di dar vita ai loro sogni, con prodotti sempre più “tailor made”, ossia sartoriali, confezionati su misura; e sono fondamentalmente tre i tipi di viaggi maggiormente richiesti: i viaggi di nozze, le vacanze per famiglie e per un pubblico medio-alto più esigente, oltre che il cosiddetto “traffico commerciale” dei clienti business. Da Adda Viaggi ci offrono anche un’interessante riflessione sulla meta Italia, in crescita nelle scelte dei viaggiatori, ma che purtroppo è ancora economicamente «poco conveniente e a livello alberghiero è rimasta agli anni Settanta. La gente sceglie l’estero perché a parità di prezzo offre molto di più. Noi ci siamo fermati alla cucina, che è importante, ma non basta più. E poi c’è l’annosa questione dei ragazzi: spesso gratuiti o fortemente scontati all’estero, da noi continuano a pagare prezzo pieno o quasi. È chiaro che una famiglia sceglierà l’estero, o la crociera, dove addirittura i ragazzi non pagano fino ai diciotto anni». Giancarlo Maretta continua spiegando che noi italiani non l’abbiamo ancora capita «perché non siamo capaci di fare squadra, ognuno pensa per sé. D’altra parte siamo il Paese che dovrebbe fare del turismo il suo fiore all’occhiello e, nonostante questo da più di vent’anni non abbiamo più il Ministero del turismo! Se non c’è una testa, una regia, un coordinamento ognuno pensa al proprio orticello. E intanto gli altri vanno avanti, ci bagnano il naso, ci fanno scendere nella classifica dei Paesi più ambiti». In conclusione, quindi, sebbene nell’ultima decina di anni si sia ridotto il numero di tour operator -complici diversi fallimenti- e di conseguenza è calato anche il numero di cataloghi proposti, «un tempo non riuscivano nemmeno a trovare spazio per essere esposti tutti quanti!», ricorda Federica Pala, l’agenzia resiste perché «professionalità ed esperienza pagano, soprattutto in caso di problematiche (ad esempio disabilità, celiachia, bambini piccoli): in questi casi l’agenzia fa la differenza». Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 7


Treviglio/Per chi resta in città

“Fuori il Cinema” raccoglie la sfida di Chiara Severgnini

Basta pellicole: si proietta in digitale. Anche al cinema all’aperto di Treviglio la tecnologia soppianta i vecchi proiettori, quelli a pellicola. Così la magia del cinema si ripeterà anche questa estate, per ben quaranta giorni

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el 2015 è arrivata una svolta epocale nel mondo del cinema: l’avvento della proiezione digitale, che ha sostituito quella in pellicola. Anche “Fuori il cinema”, l’arena estiva di Treviglio, raccoglie la sfida. Il cinema all’aperto è un servizio molto apprezzato, dai trevigliesi e non solo. Anzi, è molto più di un semplice servizio: è cultura, intrattenimento e un’occasione per stare in compagnia. Tutto questo è Fuori il Cinema, organizzato dall’associazione culturale “Nuvole in viaggio” in collaborazione con l’Ariston Multisala di Treviglio. L’iniziativa, giunta quest’anno alla sua decima edizione, offre una programmazione ricca: ai film più appezzati della stagione si affiancano una rassegna tematica con i classici del passato e le proiezioni speciali organizzate con le associazioni del territorio, da Legambiente a Slow Food. Quando scatta l’intervallo tra primo e secondo tempo, gli spettatori si sgranchiscono le gambe, si incontrano al bar allestito dai volontari, discutono del film: la magia del cinema si ripete ogni estate, per ben quaranta giorni. I trevigliesi, ormai, ci sono abituati. Eppure, a ben vedere, è un piccolo lusso: sono ben poche le città a poter vantare un simile cinema all’aperto. E nell’estate 2015 potrebbero essere ancora meno. La ragione? Il passaggio al digitale: da gennaio i film non vengono più

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distribuiti in pellicola e la nuova tecnologia ha reso inutilizzabili i vecchi proiettori. Per sopravvivere è necessario investire in nuove, costose attrezzature: una sfida non da poco, soprattutto per realtà come Fuori il Cinema. Che però ha deciso di non mollare, nonostante le difficoltà. Il lavoro di chi organizza il cinema all’aperto di Treviglio inizia ben prima di luglio. Bisogna scegliere i film, sbrigare le

pratiche burocratiche, fare pubblicità. E poi allestire il cortile Cameroni, predisporre e rifornire il bar, pianificare i turni per ogni serata. L’Ariston dà un apporto fondamentale per quanto riguarda la programmazione e il Comune mette a disposizione lo spazio e alcune attrezzature. Tutta l’organizzazione, però, si regge sulle spalle di un’associazione culturale animata quasi esclusivamente da volontari, alcuni dei quali giovanissimi. «Tutto nasce come volontariato: il gruppo dei fondatori ha dato vita a “Fuori il cinema” per passione» –spiega Gianni Barcella, presidente di Nuvole in Viaggio. «Oggi solo le due persone che lo gestiscono nei mesi estivi percepiscono un compenso. Ma senza i volontari sarebbe impossibile andare avanti». Gli sforzi di tutti sono ripagati dal successo dell’iniziativa: nell’estate del 2014, nonostante il maltempo, gli spettatori sono stati 3000; l’anno precedente, più di 4000. Il cinema si finanzia con bar e biglietteria, nonché con gli sponsor: Avis, Cooperativa Famiglie Lavoratori, BCC, Fondazione Bergamasca, Coop, ma anche molti commercianti della città, piccoli o grandi che siano. I costi, comunque, sono tanti: bisogna


PITTURE DECORATIVE RIFINITURE D’INTERNI

pagare i proiezionisti, i grafici, il materiale pubblicitario, la SIAE e, ovviamente, i film. Quest’anno, alle spese ordinarie si aggiungono anche quelle straordinarie. La scorsa estate alcuni vandali hanno danneggiato il telone del Comune su cui venivano proiettati i film e l’associazione deve contribuire all’acquisto di quello nuovo. Già da un anno, poi, anche l’allestimento dell’arena è a carico suo, e non più del Comune. «L’Amministrazione non ha mai smesso di sostenerci, nonostante il periodo difficile –spiega Barcella– ma c’è qualche onere in più per noi». E da quest’anno, come se non bastasse, c’è la digitalizzazione. Per quanto riguarda i film, la novità permette qualche piccolo risparmio. Se fino all’anno scorso affittare un classico in pellicola per la rassegna poteva arrivare a costare più di 300 €, dal 2015 con la nuova tecnologia i prezzi scendono anche del 50%. Il problema è il proiettore. Quello digitale costa parecchio, dai 40 agli 80 mila euro, e ha una vita più breve dei suoi predecessori: un proiettore a pellicola acquistato 20 anni fa poteva ancora essere utilizzato, ma quelli nuovi ogni cinque o sei anni diventano obsoleti a causa del rapido

sviluppo tecnologico. Enrico Signorelli, titolare del Multisala Ariston e presidente dell’Associazione Esercenti Cinema (ANEC) della Lombardia, conosce bene il problema. «A soffrire di più per il passaggio al digitale –spiega– sono state le sale piccole, ma nonostante tutto oggi il 95% dei cinema lombardi ha un proiettore digitale, anche grazie a un finanziamento che l’ANEC ha ottenuto per aiutare chi era più in difficoltà». Signorelli è realista sulle difficoltà, ma crede che il gioco valga la candela: «con il digitale la qualità dell’immagine è ottima, ed è possibile ampliare l’offerta trasmettendo la diretta di concerti o spettacoli teatrali». Nel caso del cinema all’aperto, però, l’acquisto del proiettore digitale si è rivelato impossibile. «Per noi che lo utilizziamo solo 40 giorni l’anno –dice Barcella– sarebbe un investimento azzardato: i prezzi, per ora, sono ancora troppo alti». Proprio per questo, dopo mesi di valutazioni, l’associazione “Nuvole in Viaggio” ha optato per il noleggio. Una scelta consigliata anche da Signorelli: «In un panorama in continua evoluzione come quello delle tecnologie per il cinema, bisogna riflettere bene prima di fare acquisti così importanti: noleggiare il proiettore permetterà all’arena estiva di offrire un servizio continuativo e di qualità senza dissanguarsi dal punto di vista finanziario». Anche affittare, però, ha i suoi costi: l’ennesima spesa straordinaria che va ad aggiungersi alla lista. Per cercare di ammortizzare, Fuori il Cinema non ha alzato i prezzi: ha scelto invece di allestire una raccolta fondi aperta a tutti. In questo modo, i cittadini che vogliono contribuire possono fare una donazione per sostenere l’arena estiva, e in cambio ricevono piccoli segni di gratitudine: biglietti omaggio, riduzioni o, per i più generosi, un tesserino che vale come ingresso gratuito per l’intera stagione. Barcella è ottimista: «ogni anno ci sono persone che avrebbero diritto al biglietto ridotto ma insistono comunque per pagare il prezzo pieno: questo ci ha insegnato che il cinema all’aperto, fortunatamente, ha tanti amici, e noi speriamo che si facciano avanti per dare una mano».

di Lazzarini Luigi & C. s.a.s. Via Milano 69/D 24047 TREVIGLIO (BG) Tel. e fax 0363 419406 Cell. 3356259152 e­mail: 2llazzarinisas@libero.it

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Per chi resta/Gerundium Fest

Festa della birra ma con prodotti italiani di Cristina Signorelli

Partita come imitazione dell’Oktober Fest, l’appuntamento d’agosto che si svolge a Casirate si è pian piano convertito ai prodotti italiani, prima di tutto la birra, ma non solo. L’appuntamento è il 13 Agosto nell’abituale tensostruttura

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vrà inizio il 13 agosto la 17° edizione del Gerundium Fest, il festival della birra, che anche quest’anno verrà allestito nell’area attrezzata a questo scopo che si trova nella zona industriale di Casirate d’Adda. Sono ormai quindici anni che l’Associazione Gerundium Fest organizza nel periodo estivo questa manifestazione a Casirate d’Adda dove è stata predisposta una grande tensostruttura fissa, dotata di parcheggi e servizi, che durante l’anno viene occasionalmente utilizzata per ospitare eventi diversi, secondo una convenzione stipulata con il Comune. Il Gerundium Fest è nato dall’idea di alcuni amici che, dopo aver partecipato all’Oktoberfest, hanno deciso di proporre in Italia un analogo del più celebre festival della birra che si svolge in Baviera, e così nelle prime edizioni della manifestazione si potevano degustare birre e piatti tipici della Germania, mentre si suonavano musiche tradizionali tedesche. «Dal 2007 –ci spiega Leonardo Remonti, che insieme agli amici Giovanni Salvatori, Lorenzo Cassani e Alberto Pescali, dà vita all’Associazione Gerundium Festabbiamo deciso che il Gerundium Fest ormai con una tradizione consolidata e un bel successo di pubblico, potesse privilegiare i prodotti italiani ed allora abbiamo stipula-

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to accordi con produttori del Trentino Alto Adige, sia per le forniture di birra che proponiamo durante il Festival che per i cibi di accompagnamento. In tal modo perseguiamo lo scopo dell’associazione che consiste nel promuovere il mondo culinario che ruota intorno alla birra, dando visibilità ai prodotti italiani». Che in questi anni il Gerundium Fest sia cresciuto affermandosi come una delle ma-

nifestazioni estive più importanti della zona, che ormai attrae pubblico anche al di fuori dei confini regionali è confermato dai numeri: un’affluenza di quasi 150.000 persone nei trenta giorni di apertura, 150 addetti che lavorano nella struttura, 2.500 posti a sedere in una superficie coperta di oltre 3.500 mq. L’ingresso è libero senza obbligo di consumazione ma l’abilità degli organizzatori ha garantito un’offerta culinaria molteplice che soddisfa praticamente tutti i gusti. Sono presenti diverse soluzioni dal ristorante al self-service, al chiosco degli hamburger a quello delle pizze, alla pasticceria e alla paninoteca, sempre accompagnati dalla degustazione di birre diverse. Un elemento particolarmente caratteristico è rappresentato dallo stand dei bretzel, pane intrecciato tipico altoatesino, il cui ricavato viene interamente devoluto all’Associazione Paolo Belli di Bergamo, che promuove la lotta alle leucemie. Un secondo stand posto all’ingresso è gestito in ognuna delle quattro settimane da una diversa associazione della zona di Treviglio: quest’anno parteciperanno l’Avis di Casirate, la Polisportiva Libertas e la Solida-


Treviglio/Pro Loco

Festa di Sant’Anna tutta sul sociale di Daniela Invernizzi

Anche quest’anno Treviglio, dal 24 al 26 luglio, sarà tutta colorata di rosa, per dire no alla violenza sulle donne, sottoilineata da una marcia, una mostra fotografica sulle donne africane e altro ancora dedicato al sociale femminile

rietà Casiratese. Naturalmente una particolare attenzione è data all’intrattenimento musicale, anche quest’anno la serata di apertura verrà inaugurata da una band tirolese, in seguito ogni sera vedrà in calendario un concerto diverso eseguito da gruppi locali e cover band di successo. «Sull’esperienza maturata nelle prime edizioni del Gerundium Fest –ci dice Leonardo– abbiamo portato qualche piccolo correttivo alla manifestazione, quale per esempio l’orario di chiusura previsto inderogabilmente per l’una di notte, per assicurarci che sia una festa adatta anche ad un pubblico di famiglie, dove giovani e meno giovani abbiano spazi adeguati e possano divertirsi, sempre nel massimo rispetto reciproco e del civile convivere. In particolare una grande area attrezzata con i giochi per i bambini invoglia molti genitori a trascorrere una serata all’aperto lasciando che i bambini giochino tra loro». Gerundium Fest, nata come festa della birra tedesca ha assunto una fisionomia tutta italiana, declinando tutto ciò che gravita intorno alla famosa bevanda al meglio del gusto e del divertimento.

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ilanciata già vent’anni fa dalla Pro Loco per recuperare un’antica tradizione legata al culto di Sant’Anna, mamma della Vergine Maria (prova ne sono le “Santelle” sparse per la città, una delle quali è visibile, per esempio, nella centralissima via Roma), la festa di Sant’Anna, che cade il 26 luglio, è stata per anni una tre giorni di spettacoli, mostre, esibizioni e iniziative varie, legate al mondo della donna. Così non sono mai mancate le mostre di antichi lavori tipicamente femminili, come l’uncinetto, o i ventagli, o spettacoli di vario genere che potevano piacere alle donne (ma non solo), come le commedie, le gare fra fioristi o le sfilate di moda. Da un paio d’anni a questa parte però, la festa di Sant’Anna ha cambiato un po’ registro, virando sull’impegno sociale e sull’aspetto religioso, pur non tralasciando occasioni di divertimento e di spettacolo. Ce ne parla il presidente della Pro Loco, Giorgio Zordan: «Già dallo scorso anno abbiamo legato la festa di Sant’Anna alla denuncia della violenza contro le donne, coinvolgendo le associazioni che se ne occupano in una serie di eventi volti a sensibilizzare i cittadini su questo tema purtroppo ancora molto drammatico. L’anno scorso, alla marcia di solidarietà contro la violenza di genere hanno partecipato moltissime persone, che con i loro palloncini rosa hanno pacificamente e festosamente invaso le vie di Treviglio. La marcia verrà riproposta anche quest’anno. La sera di sabato 25 luglio ci ritroveremo in piazza Cameroni alle 20 per fare una passeggiata per le vie del centro; approderemo poi in piazza Garibaldi per chiudere in bellezza con il lancio di lanterne cinesi, la consegna di fiori e messaggi di buon augurio alle partecipanti; e infine uno spettacolo di ballo a cura delle scuole di danza del territorio». La marcia sarà preceduta alle 18 dalla Messa in Basilica con i canti della “Schola Cantorum”. Sempre in piazza Garibaldi sarà allestito un grande pannello chiamato il Muro del

Pensiero, dove chi vorrà potrà scrivere le proprie riflessioni, un pensiero, una semplice firma per dire “Io ci sono”. Nella sala adiacente il teatro Nuovo sarà possibile visitare una mostra fotografica, sempre a tema “La donna”, a cura dell’associazione “Terza Immagine”, mentre a cura dei Padri Bianchi ammireremo una serie di suggestivi scatti dedicati alle donne africane. Per una fortunata circostanza sarà presente a Treviglio anche il coro inglese di Romsey che si esibirà al centro civico nella serata di venerdì, mentre il pomeriggio della domenica presenterà il suo repertorio sacro con un concerto in basilica. Da venerdì a domenica, inoltre, il nostro bel campanile sarà colorato di rosa, piccolo particolare molto suggestivo che anche lo scorso anno ha lasciato a bocca aperta ben più di un visitatore della nostra città. «La cosa che mi piace sottolineare –chiude Zordan– è che per la prima volta tante associazioni stanno collaborando su un piano di assoluta parità, cosa non scontata a Treviglio, e ciò sta dando ottimi frutti». Collaborano alla realizzazione di questa festa la Pro Loco, “Commercianti Trevigliesi, professionisti e artigiani”, il gruppo giovanile “Noi per Treviglio”, l’Avis, il Consiglio delle Donne, Soroptimist, Centro antiviolenza sportello donna.

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Treviglio/Eventi straordinari

Treviglio Vintage, oltre il collezionismo di Ivan Scelsa

Nonostante il maltempo, a metà Giugno la città è diventata un centro aggregante per appassionati collezionisti, nostalgici e giovani curiosi che hanno animato la città in un lungo week end di inizio estate

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utt’altro che autoreferenziale. La città apre le porte a collezionisti provenienti da varie aree geografiche della Lombardia (e non solo…) diventando un punto di riferimento tra gli eventi di settore. Tantissime le adesioni di club ed associazioni, sportive e culturali, che hanno dato vita ad un week-end importante vissuto all’insegna della spensieratezza. Il merito? In primis di chi ci ha creduto dal primo momento, sicuramente Ivan Blini, instancabile promotore dell’iniziativa e collante essenziale delle realtà che vi hanno preso parte. Non ci sono attività commerciali ambulanti che propongono merce, tantomeno interessi di sorta dei singoli: Treviglio Vintage è questo. Niente è nascosto ed orientato politicamente. Nasce (e cresce) piuttosto dalla forza del gruppo, delle associazioni locali che hanno recepito la necessità di unirsi in un progetto comune, al di là della voglia di mettersi in mostra nella più classica delle sfide individualiste lanciate all’insegna del “io sono più bravo di te…”. Tutto è migliorabile, ovvio, ma crediamo che la strada intrapresa sia quella giusta. Un centro storico vivissimo reso ancora più speciale dalla grande partecipazione e collaborazione della cittadinanza ormai immersa nel clima amarcord che ancora si respira. Già sul numero di giugno, prima che la manifestazione avesse inizio, abbiamo avuto modo di scoprire l’iniziativa dalle parole del suo ideatore. Ma come si suole dire: è giunta l’o-

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In questi pagine alcune istantanee scattate durante “Treviglio Vintage” da Enrico Appiani, mentre lo scatto della bimba è di Domenico Vailati Canta e quello dell’ambulanza storica di Ivan Scelsa. Sotto a sinistra gli appassionati dell’Atlantic giocattoli, poi Marco e Piero, ideatori dell’evento “costruzione del Colosseo”

ra di tirare le somme. Maltempo domenicale che ha guastato parzialmente i programmi di chi ha animato intere vie (tutte centralissime, tra l’altro), da segnalare sicuramente l’altissimo afflusso di veicoli d’epoca: splendidi esemplari (tra l’altro alcuni di particolar pregio collezionistico) dei soci dei sodalizi locali, Associazione CinemAlfa e Club Automoto Storiche Treviglio. A loro cura anche l’allestimento delle postazioni di piazza Garibaldi dedicate agli intramontabili anni Cinquanta e Sessanta ed ai più recenti, ma non per questo meno affascinanti, Settanta ed Ottanta. Ai loro mezzi si sono uniti quelli americani, le preparazioni sportive che hanno fatto la storia delle corse

e quelli degli enti ed associazioni, tra cui Vigili del Fuoco e Croce Rossa Italiana che, tra l’altro, ha festeggiato i suoi cento anni di attività esponendo in piazza Manara. Bellissimi e vivissimi anche i cortili, grazie all’allestimento di postazioni dedicate: dalle immancabili motociclette Vespa, icone di tante pellicole cinematografiche e sicure testimoni della storia d’Italia, ma anche biciclette, radio d’epoca, macchine per scrivere, computer e telefonia (con un apprezzatissimo gruppo Meucci a cui in tanti si sono avvicinati incuriositi). E ancora: giocattoli (per esempio il “negozio” Atlantic giocattoli), modellismo, abbigliamento, set fotografici, poster ed attrezzatura cinematografica. Tutto è rigorosamente vintage. Essenziale anche il ruolo dell’animazione: nulla è lasciato al caso, dal venerdì sera alla


Treviglio/Il contributo dei negozi chiusura, con la partecipazione di più gruppi musicali. Tante le iniziative, per tutti i gusti. Ancor di più le idee, che già fervono nella mente degli organizzatori per l’edizione 2016. Pensare che Treviglio Vintage possa rimanere una manifestazione autoreferenziale che rimandi ai ricordi dei trevigliesi è giusto e sensato. Ancor di più è credere che possa diventare un trampolino di lancio che discosti l’iniziativa dalle altre, simili, promosse sul territorio nazionale sulla scia dei ricordi. Apprezzando il pieno supporto fornito dall’Ente comunale, dal Distretto del Commercio, dalla Pro Loco, la BCC e tutte le attività commerciali che hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa, è possibile sperare in una comunione d’intenti di ampie vedute che porti alla consacrazione della manifestazione con una pubblicità mirata che varchi i confini della provincia e si rivolga ad un nuovo, più ampio, bacino d’utenza. La crescente vitalità del borgo non è una novità. Sempre più numerose sono infatti le iniziative che dalle vie centrali a quelle limitrofe alla circonvallazione coinvolgono più realtà. E sono tutt’altro che scontate. Parliamo delle esposizioni artistiche che animano le strade: dai coloratissimi pesciolini di Battista Mombrini che dalla scorsa primavera fanno bella mostra in via Sangalli, agli spazi espositivi dell’Accademia Cesni di piazza Setti che più recentemente ha inaugurato la mostra “Franco Fontana & Quelli di Franco Fontana”, protrattasi fino alla manifestazione. Cresce Treviglio, cresce. E lo fa rapidamente, all’insegna della cultura. Ne abbiamo parlato con alcuni partecipanti all’evento Treviglio Vintage tra cui Giancarlo Poli, cremasco, che con la sua Alfa Romeo GT 1300 Junior giallo ocra, fiammante e lucida come se i suoi 47 anni non fossero mai trascorsi, ha preso parte all’evento coinvolgendo altri sei amici con le loro vetture d’epoca, tutti provenienti dalla vicina Crema, ma affezionati alla nostra città. Al lui fanno eco le tante voci dei visitatori, entusiasti di poter rivivere i ricordi passati di un paese in rapida espansione. Ma crediamo che siano le immagini a trasmettere le emozioni più forti, pertanto non potendolo fare interamente ora ne riparleremo presto.

I nostri commercianti sono stati in prima fila Hanno operato fianco a fianco dei volontari che hanno allestito “Treviglio Vintage” sostenendo economicamente e significativamente questa manifestazione, fiore all’occhiello della città

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l di là dell’impegno delle singole associazioni che gratuitamente hanno messo a disposizione tempo e risorse per aderire all’evento, il successo di questa seconda edizione di Treviglio Vintage è da attribuire ad un cambiamento radicale di mentalità ed un impegno profuso da tutti i commercianti trevigliesi nel rendere “viva” la città. A sottolinearcelo è Gabriele Anghinoni dell’associazione Commercianti Trevigliesi Professionisti e Artigiani che, sulla scorta del successo della prima edizione, ha fortemente creduto e voluto sostenere l’edizione appena conclusa. Dalla pubblicità alle spese per i permessi, dai concerti ai tributi per gli eventi, anche minori, che sono stati proposti per l’edizione 2015. Un considerevole impegno economico che, con il Distretto del Commercio, l’associazione commercianti ha supportato sullo slancio di una rinnovata sinergia di intenti con gli altri Enti locali: Pro Loco, Ente Fiera e Amministrazione Comunale in primis. L’enfasi con cui il Presidente Gabriele Anghinoni lo sottolinea ci fa ben sperare. Ci hanno creduto, i commercianti trevigliesi. E lo testimoniano le tante location “food” disseminate per il centro storico, il tappeto rosso voluto lungo la via Verga e le aperture straordinarie di negozi (anche

di quelli non direttamente interessati da un immediato “ritorno economico” dell’evento). Pubblicizzarsi per essere attrattivi. Lanciare un messaggio all’esterno per dire: Treviglio c’è. Per dire: adesso miglioriamo ancora per la prossima edizione e per il futuro della Città. Il ringraziamento di Anghinoni è tutto per loro, commercianti e Distretto del Commercio, senza il quale –ci tiene a sottolineare– nulla di quanto fatto sarebbe stato possibile. (i. s.)

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Treviglio Vintage/Emittenti locali

Dopo trent’anni ritorna la diretta di Giorgio Vailati

Le radio libere di Treviglio unite per realizzare il sogno di tornare in onda. Realizzato lo studio di regia, l’antenna in piazza, poi con l’aiuto di Pienneradio per due giorni i ragazzi degli anni ‘70 hanno riacceso i microfoni

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he fossero un gruppo affiatatissimo lo avevamo già visto in occasione della scorsa edizione di “Treviglio Vintage”, quando in poco meno di tre settimane hanno ricostruito uno studio radiofonico con tutte le attrezzature ed i particolari dell’epoca. Abbiamo anche capito che sono un gruppo di amici che dopo 30 anni si ritrovavano come fosse il giorno prima, pronti a darsi man forte uno con l’altro e con l’inevitabile magone di chi incontra un pezzo della sua storia dopo tanti anni. Ma che non ci saremmo aspettati una trasmissione in diretta durante “Treviglio Vintage” di quest’anno, dopo una pausa totale delle emissioni radio durata trent’ anni. Abbiamo chiesto al coordinatore del gruppo Sandro Oggionni (nella foto accanto) come sono riusciti a realizzare un miracolo da loro atteso da decenni. «Ci dicevamo “un giorno torneremo in diretta”, ma un po’ per gli impegni di ognuno e soprattutto per l’impossibilità di avere una frequenza, il sogno è rimasto nel cassetto. Con “Treviglio Vintage 2014”, e la possibilità di ritrovarsi per ricordare quell’esperienza, siamo tornati ragazzi per un giorno e così abbiamo deciso che nell’edizione del 2015 -in un modo o nell’altro- avremmo trasmesso anche per un solo giorno, ma in diretta! Tutto ciò è stato possibile in quanto

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abbiamo trovato un gruppo di amici più giovane di noi, ma con la stessa passione per la radio: precisamente PienneRadio di Pontirolo Nuovo e il suo direttore Fabio Conti. Hanno accolto con entusiasmo la nostra proposta ed il 13 e 14 giugno siamo stati

ospitati sulla frequenza 89,700 fm con una programmazione tutta nostra. Abbiamo allestito gli “studi” presso lo spazio Finardi in piazza Garibaldi con tanto di mixer, piatti e registratori a bobine ed uno studio esterno». Come è stata la programmazione ? «Una programmazione non stop molto particolare: grazie a due vecchie volpi dell’etere, abbiamo restaurato tutti i jngle delle radio trevigliesi recuperabili (ad eccezione di Stereo Radio Treviglio Sound, ndr) e ogni jngle è stato trasmesso accompagnato da una canzone che caratterizzava quella radio: ad esempio i Doors per Radio Mirtillo; Disco anni 70 per Radio Liberty; liscio per Radio Treviglio e mix per Radio England. La domenica poi, a cadenza oraria, un presentatore dell’epoca ha raccontato la sua storia radiofonica personale presentando un paio di brani; interventi intervallati da dediche in diretta, interviste alla gente e l’immancabile quiz con il buono pizza in palio. Abbiamo anche realizzato due notiziari in stile decisamente vintage. Il tutto rigorosamente in diretta dalle 9 alle 22». Chi sono i membri di questo gruppo? «Citare tutti è difficile, posso solo dirti che oltre a noi vecchi dinosauri c’erano due giovani leve di una web radio a rappresentare il vecchio ed il nuovo e naturalmente i presentatori di Pienneradio. Tra i “vecchi” Lionello Lavezzari, Angelo Bertolini, Sergio Aralla, Eros Prati, Roberto Valentin e Antonio Marinelli, solo per citarne alcuni e per precisare che non è importato da che radio venivamo, ma che tutti hanno portato un esperienza che ha superato le diatribe competitive di allora. Un ringraziamento particolare a tutto lo staff di Pienne Radio per questa opportunità ed Ivan Blini per avere creduto anche quest’anno in noi».


Musica/Cassano Festival

E’ appena iniziato ed è già un successo Il 17 giugno è ripartita una nuova grande edizione del Cassano Festival e già i primi appuntamenti hanno colto nel segno.Il prossimo è per martedì 8 Luglio con il poprock d’autore, i Solis String Quartet e Gaetano Curreri

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a manifestazione che ha debuttato in anteprima la scorsa estate nell’affascinante Parco di Villa Borromeo a Cassano D’Adda, è appena iniziata ed è già un grande successo. Il primo appuntamento musicale di giugno ha visto sul palco un omaggio all’indimenticabile Lucio Battisti, 2 Mondi e Vent Simphony Orchestra insieme hanno scaldato l’atmosfera ripercorrendo il percorso artistico di uno dei più grandi cantanti italiani e dei suoi intramontabili successi. Il 22 giugno abbiamo assistito ad un esclusivo appuntamento con l’Orchestra del Festival di Torre del Lago e gli allievi dell’Accademia di Alto Perfezionamento del Festival Puccini. Un momento unico e magico, diretto dalla bacchetta del M° Massimiliano Piccioli, con la partecipazione del tenore Mirko Matarazzo e la soprano Anna Maria Stella Pansini, per una serata dedicata al grande Maestro Giacomo Puccini. Un appuntamento imperdibile per gli appassionati della lirica, reso possibile grazie al gemellaggio con il Cassano Festival la cui organizzazione, gestita da Marco Calamari e Battista Ceragioli ha saldato un legame unico tra il Festival e la Fondazione Festival Pucciniano, prevedendo all’interno del suo programma un importante spazio dedicato alla grande musica lirica. Il primo luglio una carica di ha invaso il palco del festival con mitica PFM (foto):. Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Lucio Fabbri, Alessandro Scaglione, Marco Sfogli, Alberto Bravin e Roberto Gualdi, che hanno spaziato musicalmente e vocalmente tra i grandi successi della rock band più famosa al

mondo con il loro All The Best. Il suono della Premiata era, ed è tutt’oggi, un marchio di fabbrica, quasi a sottolineare quel lungo nome distintivo di una capacità artigiana nel concepire e trattare le note, la musica e gli arrangiamenti. Mai un disco uguale al precedente, ma una lunga evoluzione nel tempo a venire che cambiava insieme a mode e modi di suonare. La ricerca costante sostenuta dalla poliedricità dei linguaggi, ha spinto PFM a maturare uno stile inconfondibile, capace di far apprezzare la musica italiana in campo internazionale al di là della sua tradizione melodica. Mercoledì 8 luglio arriva il pop-rock d’autore accompagnato dall’ensemble che l’ha più “contaminato”, un happening live con i Solis String Quartet e con Gaetano Curreri, voce tra le più originali della musica italiana e leader degli Stadio. Le strade del quartetto d’archi e di Curreri si erano già incrociate in occasione della registra-

Per informazioni e prenotazioni tel. + 39 391.4868088 + 39 327.2906869 www.cassanofestival.com https://www.facebook.com/CassanoFestival Email: info@cassanofestival.com Prevedita: infoline: 391.4868088 – 327.2906869 www.bookingshop.it www.vivaticket.it

Orario spettacoli – ore 21.30

zione del disco “R-EVOLUTION”, dove i Solis ripresero alcune tra le più belle canzoni d’autore interpretandole con i grandi nomi della nostra musica, per portarle in una dimensione sonora più intima. Oggi, finalmente, quell’idea diventa anche un concerto, che vede sul palco artisti che vantano collaborazioni con i più grandi musicisti italiani ed internazionali, un “absolutely live” ricco di stile ed eleganza che spazia “a tutto tondo” nella musica, con omaggi inediti, dai Beatles a Lucio Dalla, partendo proprio da “Chiedi chi erano i Beatles”, che Curreri compose con Roberto Roversi. In repertorio, tra i momenti più attesi, anche alcune delle canzoni più conosciute degli Stadio e quelle scritte da Gaetano Curreri con Vasco Rossi (“Un senso”; “Prima di partire per un lungo viaggio” e “Dimmi che non vuoi morire”). Una voce unica ed un ensemble raffinato per un omaggio appassionato alla canzone, nella sua accezione più ampia, un viaggio con tante sonorità che si fondono per dare vita ad una sola matrice artistica, per un evento irripetibile nel suo genere. Ultimo ma non meno importante l’appuntamento di mercoledì 15 luglio con Elio in Largo al Factotum. L’intento dell’artista è quello di far ascoltare della buona musica, senza etichette di alcun genere, a chi non ne avrebbe mai avuto l’occasione o la voglia di farlo. Sarà un suggestivo recital in compagnia del pianista Roberto Prosseda (foto): un viaggio originale, divertente e raffinato nella storia della musica classica, da Rossini a Mozart e Weill, alle canzoni moderne del compositore contemporaneo Luca Lombardi, che vedranno Elio interpretare Don Giovanni e il Barbiere di Siviglia, così come odi musicali alla zanzara, al criceto e al moscerino. Allora largo alla musica d’autore, vi aspettiamo numerosi per questi tre suggestivi momenti musicali di grande qualità che illuminano il Palco del Cassano Festival e rivitalizzano Cassano D’Adda che sempre di più, grazie agli organizzatori della manifestazione, agli sponsor e all’Amministrazione Comunale, desidera diventare punto di riferimento per attività di sviluppo a carattere culturale. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 15


Gera d’Adda/Tra arte e marketing

Biennale del dialogo tra i castelli Un programma ambizioso, poi ridimensionato, per un evento che si annunciava dal sapore internazionale, oltre che di promozione di alcuni pittori di Eclettica

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uattro firme della Biennale di Venezia, un variegato parterre di artisti da sedici nazioni del mondo, pittori, scultori, letterati, ballerine di tango e le bellezze storiche del territorio dell’Adda. Questi gli ingredienti principali della prima edizione della “Biennale del dialogo e dei castelli” che va concludendosi in questo mese in tre comuni della Gera d’Adda a cavallo tra le province di Bergamo e Milano: Pagazzano, Brignano e Cassano. Ideatore di questo evento di ambizione mondiale, Giuliano Ottaviani. Scultore, pittore, orafo, tele-venditore, fantasista pirotecnico e ipnotico presidente di Eclettica, organizzatrice della “Biennale dei castelli della Gera d’Adda”, un’associazione che promuove la produzione e le iniziative di alcuni artisti, ma in modo specifico publicizza lo stesso Ottaviani oltre che le sue televendite: (http:// eclettica.giuliano-ottaviani.it). La presentazione della kermesse, che si annunciava ricca -ma ridimensionata con il passare dei giorni- si è svolta presso la nobili sale del Palazzo visconteo di Brignano, introdotta dall’esecuzione di sedici inni nazionali che hanno messo a dura prova ospiti e autorità, sull’attenti per 20 minuti. “La biennale nasce all’insegna del dialogo tra diverse nazioni e vuole proseguire sul territorio bergamasco le esperienze delle biennali di Spoleto e di Durazzo –ha illustrato il maestro Giuliano Ottaviani, non nuovo a questo genere di iniziative fantasmagoricheUna rassegna di arte in tutte le sue forme che, grazie all’interessamento di numerose realtà diplomatiche e consolari, intende diventare anche veicolo di promozione e di divulgazione delle attività produttive”. “L’idea è nata per rilanciare il territorio della Bassa bergamasca e il suo eccezionale patrimonio artistico –ha commentato il Sindaco di Brignano Beatrice Bolandrini nella conferenza stampa di presentazione– Una sfida che andava lanciata, soprattutto in coincidenza con Expo 2015”. “Sarebbe interessante intercettare parte dei visitatori dell’Esposizione universale – ha aggiunto il primo cittadino di Pagazzano Raffaele Moriggi– Sicuramente la Biennale dei Castelli è una occasione da sfruttare

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in pieno e rappresenta anche una valida opportunità per collaborare con altri Comuni del territorio, unendo le risorse per offrire un prodotto culturale di alto livello”. “Cassano d’Adda è ben lieta di ospitare una parte delle manifestazioni della rassegna, collaborando con due comuni bergamaschi –ha infine precisato l’Assessore al turismo di Cassano d’Adda Angelo Colombo– Nei limiti delle risorse disponibili abbiamo volentieri aderito alla proposta, certi di coinvolgere un pubblico variegato e attento”. Ciascuna delle tre località scelte qualche scenario dell’iniziativa, ha goduto di proprie particolarità. A Cassano d’Adda, dove le opere sono state esposte, oltre che alla Fortezza Viscontea, anche nell’ottocentesco Palazzo Berva, si è dato maggior spazio alla scultura; a Pagazzano nel millenario castello si è assistito ad una miscellanea tra pittura, arte “digitale” (letteralmente con le dita), tango argentino, il Petrarca ed un’esposizione fotografica. A Brignano, infine, nelle nobili aule del Palazzo visconteo si è voluto porre l’accento sui principali artisti

promossi dall’associazione Eclettica: lo stesso Ottaviani, Giuseppe Menotti, Liliana Marescalchi e Mafalda Pegollo. Pittura e scultura ma non solo: musica, danza e letteratura hanno infatti dato corpo ad alcuni eventi mirabolanti di corredo alla rassegna, spaziando dalla rievocazione del Petrarca al tango argentino, fino a giungere al premio internazionale Juan Moncalvo, assegnato alla presenza della rappresentanza consolare ecuadoregna. Un programma ambizioso quindi, che tuttavia è stato costretto -come dicevamo- a significativi ridimensionamenti e acrobazie organizzative. “E’ stato avventuroso realizzare questa biennale -precisa Ottaviani- L’idea è stata accolta con favore da parte delle amministrazioni comunali, ma poi ci sono state delle situazioni che hanno costretto a reinterpretarne alcuni ambiti. Vi è inoltre difficoltà a far capire un evento internazionale in un ambiente che favorisce principalmente le manifestazioni puramente locali”. “La Gera D’Adda è comunque un territorio ricco di ispirazioni artistiche, tanto che per dipingerla userei le cromaticità luminose delle sue acque e le tinte calde dei suoi muri antichi e ricchi di storia”, spiega. Conclusa la Biennale dei Castelli nuovi progetti sono in cantiere da parte della associazione promozionale Eclettica. “Sono già attive le selezioni per le prossime biennali che intendiamo dedicare all’ecologia. Stiamo pensando a installazioni artistiche che rinascano dalla natura -anticipa il presidente- Pulire la natura trasformandola in arte, senza mutilare alberi e magari recuperando vecchi percorsi come le gallerie dismesse della ferrovia a Spoleto, dove saranno messe della opere fruibili dal pubblico”. La prima serata a cui ha partecipato un nostro collaboratore si è svolta presso il Castello di Pagazzano il 19 Aprile ed ha visto la partecipazione di una mezza dozzina di spettatori. Forse perché l’operazione artistica era impegnativa: conciliare la lettura di brani di Francesco Petrarca con un’esibizione dal vivo di tango argentino e una performance dell’artista Ottaviani che disegnava un ritratto dello stesso poeta con fondi di caffè. Effettivamente stravagante.


Opinioni & Commenti

Goditi l’inquietudine tranquilla d’Agosto di Stefano Pini

Viaggio immaginario ma non troppo nell’estate possibile della Bassa. La città deserta è un’occasione unica per dedicarsi a scoperte e riscoperte di ambienti agresti, piuttosto che di video appuntamenti

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ice: c’è la crisi e quest’anno niente vacanze. Intanto i vicini di casa preparano i bagagli, appesantiscono automobili allo stremo, con borse-borsoni-frigo-figli&parenti assortiti, strepitano per i ritardi già accumulati in partenza e, quando pensate che ormai non accadrà più, accendono il motore e spariscono. E voi restate soli: Treviglio ad agosto e in giro non c’è nessuno. Più nessuno del solito. Il borgo si svuota, l’umidità si alza, il sole batte: e voi soli a casa, con un occhio alle repliche di Maigret su Rete 4, un altro alle balle spaziali del calciomercato su Gazzetta.it, la mano sinistra folgorata dal telecomando della tv, la destra che non molla quello del condizionatore. Treviglio d’agosto, tutta la solitudine che meritate. La città deserta e abbandonata è un’occasione unica per dedicarsi a scoperte e riscoperte di ambienti agresti, angoli urbani e libri impolverati lasciati per troppo tempo a ingiallire sugli scaffali della vostra libreria. Inutile recriminare la mancanza di tempo, il portafogli prosciugato da IMU, TASI e altri acronimi; dannoso vagheggiare di spiagge esotiche e vibranti metropoli: per combattere lo sconforto del solleone sul balcone di casa, tanto vale inventarsi nuovi percorsi a Treviglio e dintorni. Si parte il mattino presto, per dribblare la canicola: inforcando una bicicletta si corre nelle campagne a nord ovest di Treviglio, la Gera d’Adda che anche d’estate ribollisce di fontanili, un’emergere d’acqua che caratterizza tutta la Bassa e vale la pena di esplorare: l’acqua sbuca dappertutto, quasi d’improvviso, ricordandoci perché le campagne della zona sono sempre state così fertili, così facili da domare e difficili da vivere, così adatte a trasformarsi in area industriale. Dall’acqua tutto comincia e tutto evolve, come hanno capito Emanuele Rozzoni e Livio Leoni, due trevigliesi d.o.c. autori del progetto (www.busterfilm.it/progetto-fontanili), che racconta per immagini un po’ della storia dei ‘nostri’ fontanili. Seguendo le strade minori verso il corso d’acqua principale della zona (il fiume Adda) si attraversano piantagioni, i resti di una società contadina soppiantata ormai definitivamente

da industria (prima) e terziario (poi). Tra le smagliature di statali, tangenziali e autostrade -i veri monumenti postmoderni della zona- si può ancora immaginare il lavorio lento dei campi, una vera e propria lezione di storia in movimento. Risalire l’Adda per qualche chilometro porta inevitabilmente al crocevia di tutte le contraddizioni sociali, spaziali, ambientali della zona: la città-fabbrica di Crespi (www.villaggiocrespi.it). Nota ai più, vale comunque la pena perdersi una volta ancora tra il reticolo di strade della Spoon River bergamasca, costruita poco più di 120 anni or sono, in cui tutto era votato alla produzione: là dove la felicità era manifatturiera e ineluttabilmente piramidale, si finisce per soffermarsi a leggere i nomi e date di morte sulle croci del piccolo cimitero in cui gli operai riposano sotto l’erba fina bruciata dal sole e gli industriali stanno due passi più vicini al celeste, nel mausoleo che ricorda le civiltà precolombiane. Tutte le strade di Crespi portano qui: sarà che lavorare stanca… A sole ormai altissimo, con l’afa che fa boccheggiare, tanto vale rimettersi in moto e riscendere verso Treviglio. I prati, più lontani dal fiume madre, si fanno lievemente ondulati: passato Pontirolo, si incontra obbligatoriamente Castel Cerreto, che è Treviglio ma non è Treviglio, non ancora. Una sosta e qualcosa di fresco,

nella depandance agricola della città favolosamente a sé stante, non si negano a nessuno: alberi a largo fusto, gli steli del grano pronti al raccolto, poco traffico e una miriade di improbabili insetti danno all’estate, qui a pochi chilometri dal campanile, un sapore particolare. Forse più vero, certamente più rustico e infantile. Ora che è tempo di tornare tra i confini cittadini, quando la fatica sale e il fiato si fa corto, si aprono miriadi di possibilità su come passare il tardo pomeriggio e la serata: c’è il Museo Civico, che sonnecchia a fianco del chiostro della biblioteca e, a ritmi alterni, apre i battenti anche d’estate; ci sono le sagre e le manifestazioni che animano l’area mercato, piazza Garibaldi e non solo; c’è Fuori il Cinema (www. fuorilcinema.it), il cinema all’aperto di Nuvole in Viaggio che dal 6 luglio a fine agosto trasforma il cortile delle scuole Cameroni nella fabbrica dei sogni (audio) visivi; ci sono i bar e i cortili, quelli che non chiudono (suggerimenti sempre validi: il cortile al numero 6 di via Galliari e quello di Casa Bacchetta, sulla stessa strada); c’è il sempreverde polittico della Basilica di San Martino. Oppure, per riscoprire il valore aggiunto del vostro divano preferito, a finestre spalancate, potreste riprovare a leggere. Si parla di fiumi, acqua, della frontiera americana, di letteratura, arti e lotte sociali in Mississippi di Mario Maffi (Il Saggiatore); Crespi e i toni lombardi ricorrono spesso in Le terre emerse di Fabio Pusterla (Einaudi), ospite prestigioso di Trevigliopoesia qualche stagione fa; tutta la lentezza e lo spasmo dell’estate si trovano in Feria d’agosto di Cesare Pavese (Einaudi) e se proprio vi mancano il mare, le bruniture e le case bianche del mediterraneo sarete illuminati da L’estate di Albert Camus (Bompiani). E mi raccomando: godetevi l’inquietante tranquillità di agosto, la pervasiva solitudine delle vacanze in città: settembre è dietro l’angolo e, quasi senza accorgervene, vi troverete a rimpiangere il silenzio di questo ideale sabato del villaggio. La domenica tornerà ad attanagliarvi con la sua nostalgia autunnale, il lavoro, i pranzi dai suoceri, la palestra, le scadenze da rispettare, i primi cenni di freddo. E i vicini, che tornati da Cattolica, Rovetta, Sharm El Sheik, non avranno certo imparato a passare l’aspirapolvere dopo le otto del mattino, a guardare la tv a volumi umani o a salutare quando li incrociate sulle scale. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 17


Treviglio/L’estate e i ragazzi in città

La “fatica bella” dell’Oratorio Estivo La proposta della Comunità Pastorale, durante cinque settimane di giochi ed attività di squadra, lega la fede all’attualità come il tema dell’Expo 2015 dedicato all’alimentazione e agli aspetti sociali che ne conseguono

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ome consuetudine a giugno, chiusi i cancelli delle scuole, nelle varie parrocchie aprono quelli degli oratori estivi, per accogliere centinaia di ragazzi. Sull’onda di Expo 2015, il tema individuato dalla Federazione degli Oratori Milanesi per tutte le realtà della diocesi è “Tutti a Tavola!”, declinato via via secondo tempi e modalità differenti. La comunità pastorale “Madonna delle Lacrime” ha pertanto presentato, attraverso una lettera del proprio Direttivo indirizzata alle famiglie, la sua proposta per vivere insieme cinque settimane di vacanze scolastiche. Giochi, attività e canti portano i ragazzi a riflettere, quest’anno, sul tema dell’alimentazione, “invitandoli sia alla tavola dell’oratorio -affinché si lascino coinvolgere, stiano insieme, condividano quello che hanno e aggiungano sempre più posti perché nessuno venga dimenticato- sia alla tavola del mondo, con i suoi squilibri e contraddizioni”. Il sottotitolo dello slogan, infatti, è “Non di solo pane vivrà l’uomo”: facendo proprie le indicazioni di Papa Francesco sono chiamati a riflettere su come le azioni quotidiane di ciascuno possano cambiare il mondo. Si tratta di un’esperienza progettata ed intesa come complementare al cammino di fede seguito dai giovanissimi durante l’anno e che coinvolge, in qualità di fruitori, i ragazzi dall’ultimo anno di scuola dell’infan-

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zia alla seconda media; quelli di terza media e delle superiori in veste di animatori, e gli adulti, chiamati a collaborare in svariati modi. Se infatti i più giovani, oltre che negli immancabili giochi e canti, sono coinvolti in laboratori di diverso tipo (ad esempio sport, punto croce, studio, bricolage, ecc.), in uscite sul territorio, o in gite vere e proprie, tutto ciò è reso possibile dalla disponibilità di

adulti che offrono tempo e competenze per la segreteria, l’organizzazione, l’accompagnamento, la vigilanza, le pulizie, e così via. Questa stessa logica di volontariato sottende anche alla presenza degli animatori, cioè gli adolescenti impegnati a seguire, aiutare ed accompagnare i più piccoli: la loro formazione è stata unitaria, proprio per sottolineare che il percorso educativo in atto è unico. Nella lettera di presentazione ricorrono alcune parole fondamentali per comprendere cosa sta alla base di un oratorio estivo: la testimonianza della fede, lo spirito collaborativo, la responsabilità e la fiducia, l’integrazione ed il dialogo. Si tratta di termini idealmente elevati, che concretamente rimandano a sforzi ed impegni gravosi, ma che ogni anno vengono affrontati nuovamente grazie al compenso restituito dai ragazzi in termini di gioia e gratitudine: si propone l’oratorio estivo perché si è “contenti di farlo”, perché, appunto, è una “fatica bella”. Se la presentazione e la proposta sono unitarie, vanno comunque declinandosi con tempi e modi diversi: gli oratori di Sant’Agostino, di Castel Rozzone, della Geromina e di San Pietro prevedono attività sia al mattino che al pomeriggio, mentre al Conventino e a San Zeno le attività sono esclusivamente pomeridiane. Infine è comunitaria anche la proposta dei soggiorni estivi in montagna: “Casa Gavazzo”, nell’omonima frazione di Valbondione, ospiterà i ragazzi di terza, quarta e quinta elementare dal 13 al 19 luglio, mentre quelli delle medie e del triennio delle scuole superiori campeggeranno dal 13 luglio al 2 agosto, in due turni di dieci giorni ciascuno, a Madonna di Senales in provincia di Bolzano. Daniela Regonesi


Treviglio/L’estate e i ragazzi nei boschi

Le vacanze degli scout di Treviglio Qualche accenno ai programmi estivi dei Campi Scout proposti dall’A.G.E.S.C.I. I Lupetti ai campi di Dezzo di Scalve, gli adolescenti a Vilminore e i grandi -i Rover- nel campo di Val di Vara in Liguria

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’Associazione A.G.E.S.C.I. opera nella fascia d’età che va dagli 8 ai 21 anni, con l’obiettivo di formare i giovani educandoli alla responsabilità e alla solidarietà attraverso il metodo scoutistico, ossia sviluppare le proprie attitudini fisiche, morali, sociali e spirituali imparando attraverso attività all’aria aperta e in piccoli gruppi. Come ogni estate, mi spiega Franco Galli, le attività annuali scout culminano con i campi estivi: sette giorni vissuti secondo le metodiche scout nella cornice della natura, spesso montana, nella quale vengono incorporate le attività proposte. Una vacanza vissuta dai partecipanti come un’avventura, di cui rimangono ricordi indelebili. Secondo consuetudine anche quest’anno i ragazzi del “Treviglio 1” vivranno i loro campi in tre diverse località. I Lupetti, i più piccoli del gruppo, con età comprese tra 8 e 11/12 anni, saranno a Dezzo di Scalve -frazione del comune bergamasco di Colere- dal 24 al 29 agosto, per vivere la vacanza di branco in una casa in muratura dove, oltre alle attività di gioco e natura, sperimenteranno un importante momento formativo, cimentandosi nella collaborazione per la gestione dei lavori domestici e di pulizia della casa. Anche gli adolescenti del reparto saranno in Valle di Scalve, ma a Vilminore dove, nell’ultima settimana di luglio, proveranno la costruzione delle tende sopraelevate, ossia

poggiate su una struttura sollevata da terra: è un’operazione affascinante e molto avventurosa che accende gli entusiasmi dei ragazzi e alimenta la loro attesa per il campo, nel quale come consuetudine si alterneranno i giochi, le attività natura e la conduzione dei fuochi all’aperto (sui quali saranno anche cucinati i pasti dagli esploratori stessi). Infine nella prima settimana di agosto gli scout più grandi, quelli dai 16 ai 21 anni della branca Rover/Scolte, si avventureranno in un campo mobile: attrezzati con piccole tende intraprenderanno, nei pressi della base scout ligure di Vara, un cammino a tappe nel quale momenti di discussione e confronto si alterneranno a periodi di servizio spicciolo. (d. r.)

Baden-Powell e lo scoutismo

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l movimento nasce nel 1907 in Inghilterra dove Baden-Powell organizzò il primo campo scout del mondo nell’isola di Brownsea, nella baia di Poole, sulla Manica. Nel 1910 Baden-Powell fondò ufficialmente l’Associazione delle Girl Guides e il movimento parallelo del Guidismo. La parola scout in lingua inglese significa ricognitore, esploratore, e viene usata in ambito militare per indicare tutti quei mezzi e quelle attività volte a localizzare il nemico. Fu scelta da Baden-Powell pensando ai ragazzi e ai molteplici orizzonti che potevano scoprire, cavandosela da soli nelle situazioni più svariate e in ogni evenienza. Lo scautismo è caratterizzato da un metodo educativo e un codice comportamentale non formale, il cui fine ultimo è dare la possibilità ai giovani di diventare “buoni cittadini”, responsabilmente impegnati nella vita del loro paese e predisposti a essere futuri “cittadini del mondo” volenterosi di migliorare la propria società. In primo piano il dovere nei confronti del prossimo e della collettività, quindi un forte spirito di servizio che si basa su di un semplice codice di valori di vita: sul principio dell’imparare facendo, quello che delinea la crescita personale degli individui tramite l’esperienza attiva e partecipata, attraverso la metodologia di attività per piccoli gruppi, atta a sviluppare la responsabilità, la partecipazione, le capacità decisionali. (w. p.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 19


Treviglio/L’estate e i bimbi in città

Per i bimbi in città gioco e studio di Carmen Taborelli

Il Cred comunale, un’opportunità educativa e ricreativa per i minori dai tre ai tredici anni erede degli antichi Bagni Elioterapici. Ne parliamo con l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Treviglio, Pinuccia Zoccoli Prandina

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al 29 giugno scorso funziona il Centro Ricreativo Estivo Diurno (CRED) organizzato, anche quest’anno, dall’Assessorato ai Servizi Sociali di Treviglio. Si tratta di un servizio socialmente utile e indispensabile che, proprio per questo, l’Amministrazione comunale ha scelto di erogare in modo prioritario e con carattere di continuità, nonostante la perdurante crisi economica e i trasferimenti di risorse, sempre più esigui, da parte del Governo. Il CRED è articolato in due sezioni funzionanti entrambe presso gli edifici scolastici della frazione Geromina: la prima sezione (“Natural-mente Bambini!”) è riservata ai minori frequentanti la scuola dell’infanzia, la seconda (“Dirittingioco”) è per i minori della scuola primaria e secondaria di primo grado. L’orario in vigore è molto flessibile: dalle 9.00 alle 16.00, con possibilità di ingresso a partire dalle ore 7.30 e di uscita fino alle ore 18.00, di ogni giorno feriale, fino al 28 agosto, con una breve interruzione ferragostana di cinque giorni, dal 10 al 14. L’assessore ai Servizi Sociali Giuseppina Zoccoli Prandina spiega così l’esperienza in atto: «Si tratta di una piacevole opportunità educativa e ricreativa per bambini e ragazzi dai tre ai tredici anni, accompagnati nel percorso da un consolidato e qualificato

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staff di Educatori professionali. Nella gestione del servizio, prosegue l’esperienza della Cooperativa Città del Sole di Bergamo, che si è aggiudicata il bando per un altro triennio. Il servizio si propone di offrire ai suoi protagonisti occasioni di socializzazione e crescita anche nel tempo estivo al termine degli impegni scolastici, accogliendo i bambini nella loro originalità e nelle loro potenzialità, e rispondendo contemporaneamente in modo efficace ai bisogni di affido e di cura delle famiglie che lavorano. Il servizio esprime la sua forza e il suo valore attraverso la stesura di un articolato progetto educativo e la scelta pedagogica del “tema conduttore” quale cornice della proposta estiva; le attività, le gite e le varie esperienze vengono così pensate e programmate per essere coerenti e in linea con il tema annuale; viene inoltre adottato un approccio flessibile e rispettoso dei bisogni dei bambini». Entrando, poi, nel merito delle singole proposte, è interessante evidenziare che il logo “Natural-mente Bambini!” prende spunto dalle riflessioni del pedagogista Gianfranco

Alcune immagini dell’attività del Cred (Centro Ricreativo Estivo Diurno), sotto l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Treviglio Pinuccia Zoccoli Prandina.

Zavalloni e al suo manifesto dei “Diritti Naturali” dei bambini più piccoli: il diritto, ad esempio, a sporcarsi, il diritto all’ozio, il diritto agli odori ecc. Un “Diritto” a settimana fa da cornice al gioco e alle attività dei laboratori creativi. Lo stesso tema è il filo conduttore anche del progetto “Dirittingioco” per i più grandi: un percorso alla scoperta dei diritti di base dell’infanzia, per veicolare, attraverso giochi e laboratori, messaggi educativi profondi: il diritto all’identità, alla diversità, alla casa, al sogno ecc. «Anche quest’anno -ci tiene a precisare l’Assessore Zoccoli- siamo riusciti a mantenere tariffe decisamente calmierate: la quota per i residenti è pari a 49,50 € settimanali per il BABY CRE e a 55,50 € settimanali per il CRE, con un incremento di 10,00 € a settimana se si opta per il PRE (7.30-9.00) e POST (16.00-18.00). Le tariffe sono comprensive di gite, uscite, piscina, laboratori, interventi di esperti esterni, serate a tema. Il Comune, inoltre, continua a fornire gratuitamente il servizio mensa ai bambini frequentanti, sia residenti che non residenti. Da evidenziare l’attenzione all’inserimento di bambini diversamente abili, la collaborazione con enti e associazioni del territorio, l’attivazione della figura della Psicopedagogista per serate di formazione genitori e per lo Sportello Psicologico mensile, la riedizione dell’apprezzata “Notte sotto le stelle” sul CRE e della “Serata delle mamme e papà” sul BABY CRE». Molto apprezzata e ben riuscita è stata l’edizione 2014 del CRED, frequentata da n. 129 bambini della scuola materna, n. 111 della scuola elementare e n. 15 della scuola media. Il Comune ha fornito loro ben 4.800 pasti e altrettante merende. Quest’anno gli iscritti sono ben 306.


Treviglio/Vacanze d’altri tempi

L’estate e i giochi ai Bagni di Sole di Roberto Fabbrucci

I meno giovani ricordano con particolare entusiasmo i “Bagni di Sole” che si svolgevano nel Campo Sportivo di via Milano. Tutti in corteo partendo dal Santuario, l’alzabandiera, la colazione, i giochi e le “signorine”

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urante l’estate a Treviglio, nel campo sportivo comunale di Via Milano, erano installate delle coperture in tela lungo i lati del prato. Ovvero scheletri di paletti di acciaio coperti da tende di tela beige, aperte ai lati e sotto le sdraio dove i bambini, rigorosamente divisi tra maschi e femmine, sostavano per il pisolino pomeridiano o per le attività che le assistenti proponevano. La giornata era impegnata nei giochi, nel prendere il sole, stare all’ombra dei teloni o ascoltare le storie di qualche “signorina”. Alcune erano maestre, altre delle mamme che si prestavano in cambio di un modesto compenso, come mia madre Anna o la signora Anita Remonti Boschiroli della Case Nuove di Via Redipuglia. Lo fecero per qualche anno, coinvolte dalla mia maestra delle elementari, Bianca Bianchi, assessore comunale responsabile dei servizi sociali e della sanità comunale, già un’autorità nel ventennio. Le “signorine” vestivano con un grembiule azzurro, un foulard dello stesso colore in testa, organizzavano i giochi dei bimbi e li sorvegliavano. La mattina si partiva dal Teatro Filodrammatici in viale Partigiano, s’imboccava via Mazzini e quindi in via Milano. Chi era sul percorso veniva prelevato dalle “maestre” sul portone o direttamente sulla porta di

casa. Arrivati, così come accadeva alle scuole elementari in quei tempi, ci mettevamo tutti in fila attorno all’asta in mezzo al campo, dagli altoparlanti suonavano l’Inno di Mameli e si assisteva all’alzabandiera. Stessa cosa alla sera prima dell’uscita, attorno alle 17,30. Mia madre anche in quest’occasione ebbe un grande successo, per il garbo e la capacità di affabulare nel raccontare favole o fatti vissuti. Ancor oggi, conoscenti come il parrucchiere Stelvio Spadavecchia e altri coetanei, raccontano di quell’esperienza “meravigliosa” vissuta in quelle estati, conquistati dalla “signorina” Anna e dalle sue storie. Ambrogina Donghi è una di queste e ricorda così quelle vacanze: «Si partiva dal piazzale del Santuario, ma un gruppo di bambini -che come me abitava in zona viale De Gasperi- aveva il permesso di aggiungersi alla fila “alla fontana”, nei pressi della stazione Ovest. Passati i girelli, si arrivava al campo sportivo. Tutti schierati in squadre per l’alzabandiera poi giochi di gruppo. Pranzo cucinato dalle cuoche sul posto. Di pomeriggio altri giochi organizzati a squadre, poi preghiera, ammainabandiera, quindi tutti in fila per il ritorno a casa. Il mio ricordo più bello di quel periodo è legato alla mia “signorina” mera-

vigliosa, paziente, dolcissima signora Anna Fabbrucci». Facendo un giro di opinioni, è risultato che le bambine di allora ricordano con maggior entusiasmo la “Colonia elioterapica”, come Chicca Sporchia: «Ci andavo volentieri, la mia “signorina” era Laura Busnè. Ricordo che a merenda ci davano una colombina di sfoglia e un bicchiere di the al latte. Per quanto riguarda il pranzo a me piaceva tutto... con una zia per cuoca ero forse privilegiata. Ricordo le “direttrici”, per esempio per un paio d’anni c’è stata la signora Pacini, poi la dolcissima signora Ferrari. Ricordo anche la divisa: pagliaccetto azzurro scuro con maglietta bianca e rossa a righe per le femmine, bianca e blu per i maschi...». Noi maschietti ci lamentavamo sempre, soprattutto degli elastici dei pantaloncini, stringevano la coscia. Riccardo Boleri detestava, come tutti, il sonnellino pomeridiano, ma rammenta un gioco dimenticato che si faceva nel prato del campo: «Con il nocciolo delle albicocche si costruivano dei fischietti raschiandone la parte appuntita sulle pareti di cemento. In seguito si svuotava utilizzando del semplice filo di ferro, per estrarne infine un seme dal gusto amarissimo. Ricordo anch’io che ci davano il the al latte, talvolta i panini con la mortadella. Di certo la cosa peggiore, lo confermo, era il sonnellino pomeridiano. Piccola tortura». Pinuccia Zoccoli Prandina, attuale assessore ai Servizi Sociali, è tra le persone entusiaste di quell’esperienza e ricorda con nostalgia e affetto i maestri, le maestre, le mamme che li vigilavano. «Abitavo in via Mazzini, passavano le signorine a prendermi fuori casa, mia madre mi dava sempre dello zucchero e del cacao che mettevo nel latte caldo che ci davano per colazione. A sinistra il personale dei Bagni di Sole, molti volti conosciuti, pochi nomi: nella terza fila -da sinistra- la quinta è la signora Anita Remonti (Boschiroli), l’ottava è la maestra Bianca Bianca e la penultima, Anna Aurori (Fabbrucci). Seconda fila: seconda da sinistra è la maestra Maria Vinco (Braga), l’ultima nella stessa fila è Giovanna Zanoni (Pennati). Nella prima fila a destra, il maestro Mario Pennati

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Treviglio/Vacanze d’altri tempi

Infatti, sapeva spesso un po’ di bruciato e così diventava più gradevole». “Accidenti è vero!” mi son detto mentre al telefono m’illustrava questo dettaglio. Io invece non ricordo molto di quelle giornate, anche perché non riuscivo a praticare i miei giochi. Lì non c’era la mia banda, quella composta da Armando Manenti, dai ragazzini di via Calvenzano e via Curletti, come Roberto Fumagalli, Stefano Boschiroli, Dario e Bruno Gatti, Angelo Possenti e Angelo Pennati. Soprattutto ai “Bagni di sole” non c’era il sottoscala con i giocattoli come il Meccano, la pista delle automobiline a molla, la morsa, le lime, la raspa e tutto ciò che poteva servire a costruire qualcosa: un periscopio, le marionette, le spade di legno e i fucili a elastico, il carrellino, le zattere, o la “scatola magica”: una sorta di proiettore costruito con una scatola delle scarpe, una piccola lente regalata da qualche fotografo e una lampadina all’interno. Mettevamo una cartolina capovolta e la proiettavamo sul muro. Una magia. La cucina ai bagni “elioterapici” –a parte il latte scaldato in pentole con il residuo di bruciature precedenti e non ben lavate- era buona, le cuoche e le inservienti simpatiche, a volte un po’ ruvide, ma come non potevano esserlo con centinaia di vivaci “sciuscià” che gridavano. Finita quella giornata sotto il sole, ogni squadra si metteva in fila per due e in colonna si tornava verso il centro, prima arrivando dal girello della Stazione Ovest in via Mazzini, poi in viale Partigiano fino al Santuario, un paio di chilometri. Una bella sgambata durante la quale le “signorine” intonavano canzoni che poi i bimbi seguivano in coro. Non era però un’abitudine accompagnare i bambini in quegli anni, infatti, a parte questi tratti di strada organizzati, giravano liberamente per chilometri senza la necessità di essere vigilati da adulti. Per esempio, pur abitando oltre la ferrovia di via Curletti, spesso andavo e tornavo dall’asilo Carcano da solo, così alle elementari, poiché non solo i pericoli viabilistici erano minimi, ma anche perché ogni passante sentiva il dovere e la responsabilità di curarsi della sicurezza degli altri, certamente dei bimbi. Preistoria.

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Quelle belle estati degli anni ‘50

A differenza delle Colonie, i Bagni di Sole trevigliesi hanno lasciato un buon ricordo, ecco quello di Pinuccia Zoccoli

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’assessore ai Servizi Sociali di Treviglio Pinuccia Zoccoli Prandina, omologa della maestra Bianca Bianca degli anni ’50, della Colonia Elioterapica è ancora un’entusiasta, tranne che per i pasti: «Nel 1956 avevo 5 anni e mia sorella Linda uno in più, frequentavamo i “Bagn de Sul” (sembra un gallicismo!), organizzati dal Comune di Treviglio soprattutto per i genitori che lavoravano. Ricordo che la squadra con a capo la “signorina” (ora si

A sinistra la “signorina” Anna Aurori Fabbrucci e la sua squadra. Sopra le cuoche dei Bagni di Sole durante una pausa e sotto le “signorine” in posa per una foto ricordo

direbbe l’Assistente educatore) passava alle 8,00 del mattino a prelevarci sul portone di casa: io abitavo in Via Mazzini dove mia nonna gestiva la trattoria detta “Luce elettrica”. Da qui, a piedi e rigorosamente in fila, arrivavamo al campo sportivo di via Milano e iniziavamo la giornata in compagnia di tantissimi altri bambini. Il Comune forniva la divisa che consisteva in un “pagliaccetto” (salopette) color beige e sulla pettorina la stampigliatura “Comune di Treviglio”; poi una maglietta azzurra che completava l’abbigliamento. La merenda era un supplizio e consisteva solitamente in un panino con la cotognata: una barra di marmellata solida che non piaceva a nessuno. Era invece molto gradita la merenda con pane e cioccolata bianca e nera, tipo cremino. Eravamo spensierati e si giocava tutto il giorno con giochi semplici come la “mèla”, usando i noccioli della pesca, il gioco del “mondo” o il gioco con l’elastico. Se si vinceva, il premio consisteva in un tappo/corona applicato alla maglietta e fermato sotto da un altro tappo che tratteneva quello in evidenza. La maestra Bianca Bianca era la direttrice dei Bagni di Sole: severa e un po’ bacchettona, ma anche sempre pronta a rispondere alla città con servizi per l’infanzia e per gli anziani che in quegli anni hanno dato ossigeno a tante famiglie con fragilità sociale. Oggi i Servizi Sociali organizzano il Cred (Centro ricreativo estivo diurno) con grande attenzione al progetto educativo e alla cura dei bambini attraverso personale molto qualificato (assistenti educatori, colloqui con psicologo, visite culturali, piscina, scoperta del territorio attraverso associazioni locali) e servizi idonei all’età dell’infanzia e della pre-adolescenza» Vedi a tal proposito articolo a pagina 20 di Carmen Taborelli.


Le colonie di Oltre il Colle e Varazze di Roberto Fabbrucci

Un aiuto alle famiglie trevigliesi arrivava dalle Colonie estive di Varazze e Oltre il Colle, ma le vacanze spesso erano tristi

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er qualche anno io e i miei fratelli abbiamo frequentato oltre i “Bagni di Sole”, la Colonia Estiva: Alfredo quella della Montecatini, Enrico ed io quella Bergamasca a Varazze o quella trevigliese a Oltre il Colle, ai piedi del Monte Alben. Forse anche Massimo, il nostro “piccolino” la frequentò, ma non ricordo né purtroppo posso più chiederglielo. Perlopiù questi soggiorni di un mese intero, terribili perché lontano da casa, erano per me mortali per la presenza ossessionante degli appuntamenti di preghiera. Appena alzati, prima di vestirsi, poi in refettorio prima e dopo la colazione, prima e dopo il pranzo, di pomeriggio, verso le 17,30, un bel rosario e tutte le sue stazioni, quindi preghiera della cena, poi quella comunitaria prima di salire in camerata, infine in ginocchio davanti al letto. Un incubo. Per il resto a Oltre il Colle nella villa Messaggi si stava bene, il cibo era mangiabile, le passeggiate e i giochi in pineta fantastici. L’organizzazione di Varazze, invece, oltre che essere altrettanto opprimente riguardo alla religione, era autoritaria, tranne che per le passeggiate in pineta, dove potevamo camminare respirando il profumo dei pini che di tanto in tanto si mescolava con la brezza del mare. In quella circostanza evitavamo di essere inquadrati e raccoglievamo liberamente le cortecce

dei pini marittimi cadute a terra, questo perché nei momenti liberi le incidevamo con il temperino per realizzare barchette, piccole navi, automobiline. Non tutte le cortecce erano però adatte, quindi la sfida si basava sulla fortuna di trovare pezzi larghi, spessi e stagionati, quelli che si lavoravano meglio con il temperino e permettevano “opere” di dimensioni apprezzabili. Io realizzavo barche. Un altro gioco, quando c’erano le mele a tavola nel grande refettorio che guardava sul mare, era quello di prendere il “picciolo” della mela e sospenderla con la mano, quindi con l’altra ruotarla e ogni mezzo giro recitare “pacco, posta, visita, partenza”. E a ripetere fino a quando il picciolo si staccava e quindi, la “predizione” si doveva avverare: l’arrivo di un pacco da casa, di una lettera, o l’altoparlante che avvisava di un parente o che dovevamo tornare a casa. A casa non si tornava, pacchi non ne arrivavano, nè parenti, arrivavano le lettere e con loro le calde lacrime -nostre e delle mamme- che “spantegavano” l’ultima riga d’inchiostro: “Ti vogliamo bene”. Dopo pranzo ci scatenavamo sul grande cortile, in realtà un terrazzo che si affacciava sull’Aurelia e il mare, poi ci si fermava nel refettorio a fingere di appisolarsi sul tavolone e verso le 15 si scendeva in spiaggia dai gradi che, passando sotto l’Aurelia, portavano al mare. La cosa divertente che ricordo mi capitava di vedere in quelle occasioni, era il passaggio del treno nella galleria sotto la colonia, e il treno si fermava proprio lì sotto per scaricarci e riprenderci al ritorno. Superata l’Aurelia un altra discesa ci aspettava, quindi si iniziava a soffrire in spiaggia, una terribile esperienza. Ogni squadra aveva la sua area, i maschi erano divisi dalle femmine da una rete, tutti controllati come in una caserma. Ci si doveva sdraiare allineati e il bagno si faceva al comando del fischietto del direttore. Personaggio tutto impettito, vestito in modo molto formale, che “se la tirava” retaggio della rigidità del regime crollato alla fine della guerra sei o sette anni prima. Amici mi rammentano che anche i tempi di cottura al sole -davanti e dietro- erano calcolati e comandati dal fischietto dal direttore;

A sinistra una squadra di ragazze trevigliesi a Varazze, nella prima fila a sinistra Edi Zeni Colombo, che ci ha fornito la fotografia. Sopra “Villa Messaggi” come appariva negli anni ‘60 (foto di Fabrizio Cornalba). La vigilante del gruppo è la maestra Giulia Galimberti.

medesima cosa per l’entrata e l’uscita dall’acqua. “Innn... piediii, ...allliiiineeatiii” quindi una bella fischiata e tutti in acqua urlando, ma solo cinque minuti, non oltre la corda e altra fischiata per il rientro. Per me in quell’epoca anche cinque minuti erano troppi, così un giorno decisi di nascondermi in un grosso tubo di cemento depositato in spiaggia per dei lavori in corso. Dopo un po’ due signorine si accorsero, mi cercarono e scovatomi mi afferrarono per i piedi e trascinarono fuori. Poi con la stessa delicatezza, prendendomi una per le mani e l’altra per le caviglie, mi fecero dondolare un po’ per prendere lo slancio e mi buttarono in mare in mezzo a dei cavalloni terrificanti, questo nonostante urlassi e fossi terrorizzato. Al nostro bagno settimanale totale, con acqua e sapone, ci pensavano le maestrine a Varazze, invece a Oltre il Colle le cuoche. In montagna però, a differenza della colonia ligure, non c’erano bagni adatti e docce, così ci mettevamo in fila all’esterno dell’edificio, a Ovest, dove c’erano dei lunghi lavatoi e rubinetti (o le pompe?) d’acqua gelata; ognuno di noi si spogliava e le cuoche si prendevano cura di un bimbo a testa. Ritti nudi dentro il grande lavabo, le donne con delle grosse spugne ci insaponavano, strofinavano, sciacquavano, asciugavano. Poi in braccio ci portavano all’interno dell’edificio per la “vestizione”. Insomma, a Oltre il Colle l’ambiente era un po’ più familiare, ma la nostalgia non passava. Eppure la colonia trevigliese a fianco del Bottiglione (una colonna di roccia alta una decina di metri con una testa rigonfia a mo’ di tappo che era anche un po’ palestra d’alpinismo per gli appassionati), era davvero in una posizione splendida. Posta ai piedi del Monte Alben, aveva tre lati che guardavano su tre valli, anche se per farlo era necessario attraversare i magnifici boschi che circondavano su tre lati l’edificio. Sotto c’era una conca, circondata da abeti, luogo ideale per giochi, scorribande, gare, ma anche per essere percorso in circolo per recitare il rosario Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 23


Vacanze a Varazze e Oltre il Colle

Accanto, partendo dal basso, Enrico e Roberto Fabbrucci, poi Gianvittorio Boschiroli nei pressi di “Villa Messaggi” in posa davanti al Bottiglione. A destra donne accanto alla Colonia Bergamasca appena costruita (fine ‘800), sullo sfondo Varazze.

guidato dalla suor Albina. Una volta un giovane prete ci portò fino alla punta dell’Alben, poi essendo tardi e avvicinandosi il tramonto, decise di farci scendere a valle in un modo poco urbano ma veloce: dove c’era un grande ruscello sassoso, non troppo ripido e asciutto, ci sedavamo sui sassi e scendevamo con il sedere frenando con i piedi. Arrivammo alla conca della colonia che il sole era già tramontato e la penombra s’insinuava, le inservienti erano affacciate verso di noi con le mani e le braccia in agitazione sopra la testa, suor Albina ribaltò il sacerdote vedendo come eravamo conciati, ovvero sporchi di terra e con i pantaloni da buttare, ma non c’eravamo mai divertiti tanto. Lontano da casa, da mamma e da papà, dagli amici, era una sofferenza che terminava solo il giorno della partenza e doveva essere così per molti di noi bambini, cosa che si evidenziava quando eravamo a qualche chilometro da Treviglio -attraverso lo sfogo di felicità irrefrenabile- quando dal finestrino del treno o del bus (se arrivavamo dalla montagna), qualcuno scorgeva la punta del campanile e immediatamente gridava, “Al campanil!”. Così le urla di gioia coprivano ogni altro suono. Qualche secondo dopo ritornava un attimo il silenzio e partiva il ritornello che ripetevamo fino alla fermata del treno o del bus: “Maccchinista, maccchinista treviglieseee, metti l’olio nei stantuffi, di Varazze (o Oltre il Colle) siamo stuffi e a Treviglio vogliam tornar”. L’italiano era sbilenco, ma l’emozione era vera e grande. Mamma ci veniva a prendere, ci abbracciava, ci baciava e si tornava a casa a piedi mentre raccontavamo le esperienze, le avventure, le liti e i dispetti. Poi appena fatto merenda e lavati, si correva in cortile a chiamare con urla gli amici, riprendendo i giochi di sempre, quelli nella campagna attorno alla Montecatini in via Sant’Eutropio o negli spazi proibiti del deposito ferroviario a giocare all’assalto al treno, nel campetto di via Murena.

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L’idea di Varazze nasce a Treviglio di Carmen Taborelli

La colonia nacque dall’iniziativa della Società Maschile di Mutuo Soccorso di Treviglio, che coinvolse personalità della provincia, fino ad organizzare la fondazione dell’Opera Bergamasca per la Salute dei Fanciulli

È

partita da Treviglio l’idea di costruire l’Ospizio di Varazze: una struttura destinata ad accogliere i bambini “scrofolosi”, affetti da una malattia a carico delle linfoghiandole, causata soprattutto da un’alimentazione scarsa e non equilibrata. Che la remissione della malattia passasse attraverso la terapia climatica al mare fu chiaro alla Società Maschile di Mutuo Soccorso (SMS) di Treviglio, impegnata, dal 1862 al 1952, a

sostenere iniziative a vantaggio dei soci e dell’intera comunità trevigliese, anticipando forme di assistenza e previdenza sociale. Si impegnò anche sul fronte della salute dei bambini, promuovendo, attraverso i suoi soci Teodoro Frizzoni e Giuseppe Grossi (futuro Sindaco di Treviglio), la fondazione dell’”Opera Bergamasca per la Salute dei Fanciulli”, e la successiva realizzazione dell’ospizio marino, inaugurato nel 1895 a Varazze, sulla riviera ligure di ponente, con


Sopra il sindaco di Treviglio Giuseppe Grossi, ideatore e promotore della colonia di Varazze. Sotto un gruppo di bambine trevigliesi a Varazze, riconosciamo nella seconda fila -quarta da sinistra- Adi Colombo Zeni, poi con le trecce e nella stessa fila, l’autrice di questo articolo, Carmen Taborelli. L’assistente è Edvige Fumagalli.

lo scopo di “fornire alle famiglie povere o poco agiate i mezzi per combattere nei loro fanciulli la scrofola”. Un’apposita commissione della SMS impiegò dieci anni, dal 1886, a raccogliere fondi per finanziare la costruzione dell’Ospizio; organizzò veglioni in maschera, concerti, feste di beneficenza, ma anche conferenze per sensibilizzare i cittadini a sostenere il progetto. I fondi raccolti permisero alla SMS di entrare come socio fondatore nella costituenda Opera Bergamasca, alla quale aderì anche il Comune di Treviglio con una quota iniziale di £. 2.500, corrispondenti alla prenotazione di cinque posti letto. Il 16 dicembre 1888, l’Opera Bergamasca per la Salute dei Fanciulli divenne fatto compiuto con l’elezione del Comitato esecutivo composto dal presidente conte Gianforte Suardi (sindaco di Bergamo), dal vicepresidente cav. Teodoro Frizzoni, dai consiglieri ing. Giuseppe Grossi di Treviglio, Gian Battista Zitti di Lovere, rag. Galbiati di Romano, canonico Marinoni di Clusone, nob. Alessandro Colleoni di Bergamo, Felice Mapelli di Bergamo e dal segretario avv. Emanuele Quarenghi. Con Decreto Reale del 17 novembre 1889, l’Opera bergamasca fu dichiarata Ente Morale: un passo importante e decisivo per la sua definitiva costituzione. Il 5 settembre 1892 l’assemblea ordinaria dei soci dell’Opera provinciale deliberò l’acquisto dell’area su cui costruire l’Ospizio. Sulla stampa di allora, l’area, acquistata dal Bernardo Camogli di Varazze, viene descritta così: “È una punta che si spinge in mare, a mezza strada fra Varazze e Celle in direzione di Savona. Misura 20mila metri quadrati circa; comprende un’elevazione di terreno da assomigliare ad una collina, da cui si gode un magnifico ed esteso panorama. La spiaggia è bellissima e presenta Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 25


Vacanze a Varazze e Oltre il Colle A sinistra una vecchia immagine della spiaggia della Colonia di Varazze di inizio ‘900, sotto uno scatto di fine ‘800, che mostra il padiglione Teodoro Frizzoni progettato dall’ing. Giuseppe Grossi e appena costruito. Successivamente la colonia sarà ampliata

tutte le comodità e le condizioni che si desiderano per la cura marina d’una comunità. Appartiene al Demanio, col quale si avvieranno le pratiche per ottenerne gratuitamente il permesso”. Un anno dopo, il 18 settembre 1893, l’assemblea approvò il progetto della struttura, preparato gratuitamente dal trevigliese ing. Giuseppe Grossi. Spesa prevista novantamila lire, aumentabile sino a centomila. “Il progetto – secondo il settimanale locale “Cronaca Trevigliese” - per la disposizione, il numero e la capacità degli ambienti risponde perfettamente alle esigenze inerenti a siffatti edifici, tutti speciali, principalmente per quanto riguarda l’igiene, le comodità e la sorveglianza. L’edificio, che poggia a mezzo versante di una collina, si compone di due piani sopra terra e di uno sotterraneo, il quale però verso il mare per l’abbassamento del terreno diventa piano terreno, e di un terzo piano che si eleva solo su una parte dell’edificio. La fronte dell’edificio misura verso il mare più di 48 metri. Verso Varazze, dove l’edificio conta il terzo piano, misura una profondità di 27 metri, verso Celle, dov’è praticato l’ingresso carrozzabile, misura 16 metri. Il sotterraneo ha una magnifica terrazza che si protende

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al mare lunga 36 metri e larga metri 6,40, contiene amplissimi refettori arieggiati, illuminati, le cucine, la guardaroba, le cantine ed altri ambienti di servizio. Il piano terreno, cui dà accesso un largo atrio, contiene la direzione, l’infermeria per 10 letti, e tre dormitori capaci complessivamente di 56 letti. Il primo piano sopra terra ha dei dormitori per 80 letti, ed il secondo (quello che s’eleva solo in parte) ha dormitori per 38 letti. Ad ogni piano v’hanno camere per il personale di sorveglianza e di servizio; i locali sono disimpegnati da un amplissimo corridoio e contano lavatoi, latrine ecc. Per andare al mare, l’uso della cui spiaggia, per un insignificante canone annuo (£.2) è stato concesso dal Governo, i ricoverati si può dire non usciranno dall’ospizio, recandovisi direttamente senza passare per la strada pubblica, attraversando una copertura a volta che sotto passa a questa”. In seguito, ad accrescere il patrimonio dell’Opera arrivarono due cospicue elargizioni: il lascito di 35mila lire del comm. Luigi Fuzier e, dal sig. Bernardo Camogli (lo stesso dal quale l’Opera aveva acquistato il terreno per l’Ospizio), la donazione di altri dodicimila mq. di terreno, donazione fatta in memoria del figlio Ernesto.

Alla fine del 1892, le oltre 150mila lire disponibili, perlopiù investite in cartelle del Credito Italiano, permisero la costruzione dell’Ospizio marino, che iniziò a funzionare l’8 agosto 1895, giorno in cui, col treno diretto delle 13,53, partì un primo gruppo di fanciulli (quindici erano trevigliesi, di cui quattro mandati a spese della SMS), per trascorrere a Varazze un intero mese di cura. Tutti soddisfattissimi della vacanza loro offerta e della possibilità di avere garantiti, ogni giorno, tre pasti abbondanti e sostanziosi: “Al mattino, verso le 7, a colazione vien loro dato zuppa o caffè e latte; a mezzogiorno minestra, un piatto di carne con polenta e un quinto di vino; alla sera un piatto di formaggio o di salame, frutta e un altro quinto di vino. Pane a volontà”. Il primo anno, l’Ospizio accolse in tutto 270 fanciulli bergamaschi. Numero che andò crescendo di anno in anno: 352 nel 1896, 369 nel 1897 e così via fino a toccare la cifra di 494 nel 1903 e di 800 nel 1912. La direzione dell’Ospizio, che funzionava anche d’inverno, venne affidata a suor Santina Murer della Congregazione Suore di Carità. Intanto, sul territorio bergamasco, cresceva l’attenzione e il sostegno di enti pubblici e privati nei confronti di questa Opera benefica e altamente umanitaria. Tra gli oblatori, si distinse in particolare la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde con un primo contributo di 700 lire, seguito da un secondo nel 1912, che permise l’ampliamento della struttura “con nuovo padiglione capace di 100 letti e dotato di altre opere complementari rese necessarie dalla cresciuta affluenza dei fanciulli”. Durante la Prima Guerra Mondiale non fu possibile mandare i bambini al mare, perché tutti gli Ospizi esistenti sul territorio nazionale, compreso quello di Varazze, furono requisiti dall’Autorità Militare. Nel 1924, in vista di un ulteriore ampliamento dell’Ospizio, diventato ormai insufficiente per le crescenti richieste dell’intera provincia, l’Opera Bergamasca fu costretta a batter cassa ai Comuni. Aderendo all’appello, il Comune di Treviglio concorse alle spese di ampliamento con un contributo di 500 lire. Dopo gli anni Quaranta, le migliorate condizioni alimentari e sanitarie modificarono la destinazione della struttura che, da Ospizio per la cura degli scrofolosi, divenne una colonia: una casa-vacanze per i fanciulli bergamaschi, che funzionò sino alla fine del secolo scorso. Dopo un parziale utilizzo da parte di alcune enti varazzini, l’ex colonia, che vanta oltre tredicimila metri quadrati di superfici interne e settantamila metri quadrati di parco, è stata venduta, nel 2009, alla società “Punta dell’Olmo spa”, società di cui ha la maggioranza l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero della diocesi di Savona.


Treviglio/Le origini dei siti montani

Come nasce la colonia montana di Piazzatorre di Carmen Taborelli

«Per portare sollievo alla salute cagionevole dei bimbi», Grossi, Frizzoni e Suardi definirono le linee generali dell’ospedale montano. Così dopo aver vagato per le valli, scelsero quell’angolo di Val Brembana a mille metri

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ome avvenuto per la colonia di Varazze, sempre a Treviglio, in casa dell’ing. Giuseppe Grossi (sindaco della città per più mandati), si gettarono le basi di un’altra istituzione destinata a “portare sollievo alla salute cagionevole dei bambini, ai quali la miseria dei genitori impedisce di trovar ristoro di aure pure, sulle vette dei monti”. Alla fine dell’estate del 1898 si riunirono Giuseppe Grossi, Teodoro Frizzoni e il conte on. Gianforte Suardi; insieme definirono le linee generali del nuovo Ospizio montano, inizialmente riservato soltanto ai maschi. Dopo un sopralluogo compiuto nelle Prealpi bergamasche, scelsero il paese di Piazzatorre, nell’alta val Brembana, ritenuto migliore per posizione e per facilità di comunicazione. Come fece in passato per la cura marina degli scrofolosi, la Società Maschile di Mutuo Soccorso trevigliese, presieduta dallo stesso ing. Grossi, aprì una sottoscrizione per costituire un fondo a sostegno della nuova benefica istituzione, che verrà poi gestita dall’Opera Bergamasca, in collaborazione con le suore di Carità. Il fabbricato, costruito dalla ditta Testa e Passera su progetto degli ing. Oberto Fuzier e Gaetano Carminati di Bergamo, venne edificato nel centro del paese, vicino alla frazione Cà Montani.

Furono ventinove i primi fanciulli bergamaschi che trascorsero un mese di cura climatica a Piazzatorre. Tra questi, c’era un solo trevigliese, figlio dell’operaio Mazza, “partito mingherlino, anemico, è tornato in carne, di colorito sano, irrobustito e vispo”. A detta dei genitori “I pasti erano frugali ma abbondanti e frequenti; le passeggiate gradatamente regolate e ripetute in ore diverse della giornata; alloggio comodo e salubre”. Durante l’epoca fascista, sull’onda della politica di organizzazione di massa del regime, si moltiplicarono le colonie montane. A Piazzatorre, a quella già esistente se ne aggiunse un’altra intitolata a Mussolini. Entrambe furono attive fino al 1998. (c. t.)

La villa del “Messagiù” a Oltre il Colle

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l tempo, l’incuria e il progressivo abbandono l’avevano vistosamente segnata. Oggi è rinata grazie ad un radicale intervento di ristrutturazione finanziato perlopiù dal Comune di Treviglio. Sto parlando di quella che, alla fine del 1800, era ancora la casa di villeggiatura del trevigliese Giuseppe Messaggi, commerciante vinicolo e benefattore, meglio conosciuto come “Messagiù” per via della sua figura imponente e dei suoi centocinquanta chili di stazza. Alla sua morte, la casa passò prima all’orfanotrofio “Sangalli” e, poi, al Comune di Treviglio che, per molti anni, l’adibì a colonia montana e a base d’appoggio per gruppi e società sportive. Situata sopra l’abitato di Oltre il Colle e sobria nella sua architettura, l’ex colonia Messaggi s’inserisce, in modo armonico, nel bosco di faggi che la circondano quasi completamente, lasciando appena intravedere la dolomia svettante dell’Alben. A ridare all’ex colonia la sua originaria dignità e la funzione sociale di un tempo, ci ha pensato la cooperativa “La Bonne Semence” di Treviglio, istituita nel luglio del 1996 con l’obiettivo di prendersi cura dei pazienti psichiatrici. Siglata una convenzione trentennale col Comune di Treviglio, la cooperativa ha deciso di adibire l’immobile in parte a comunità terapeutica per circa venti malati psichici, e in parte ad albergo, con una capienza di ventitre posti letto. Nel ritratto di Brandino Santagiuliana, Giuseppe Messaggi (18751952). (c. t.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 27


Treviglio/Per chi ama la montagna

I 70 anni del Cai e le nuove escursioni di Daniela Invernizzi

Numerose le iniziative per l’estate di chi ama la montagna: si propone la vacanza estiva nei masi, non più nei campeggi, come si faceva dal 1966. Ne parliamo con il Presidente Antonio Rivoltella

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ue ricordi incredibili mi legano al Cai di Treviglio: quella volta che presentai la serata con Walter Bonatti e la gita in canoa all’Ardèche nel 1996. Del primo ricordo la mia assoluta ignoranza, in quel momento, su chi avevo davanti, e l’indiscusso carisma di quest’uomo straordinario. Del secondo resta un raccontino, a detta di alcuni esilarante, che comparve sull’edizione del Biligot’ dell’anno successivo: i protagonisti erano personaggi noti e meno noti della Treviglio anni Novanta, alle prese con le rapide del fiume francese. Questo per dire che praticamente ogni trevigliese ha, direttamente o indirettamente, avuto a che fare con il Cai cittadino: chi per lo sci, chi per le passeggiate, chi per la palestra d’arrampicata… e chi per le vacanze estive. Ed è per parlare di queste che mi reco nella sede di via dei Mille, dove mi aspetta il presidente Antonio Rivoltella. «La nostra vacanza estiva classica, quella che dal lontano 1966 proponiamo ogni anno ai trevigliesi amanti della montagna, è quella che fino a due anni fa veniva chiamata campeggio estivo: ora dovremo trovargli un altro nome, perché non si fa più campeggio, ma si alloggia nei masi». Ci siamo rammolliti? «No, è che le esigenze sono cambiate. I

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tempi, anche. Abbiamo tante famiglie con bambini, e tanti anziani. C’erano problemi logistici, legati al montaggio/smontaggio delle tende, fasi che richiedevano alcuni giorni, fino ai permessi per campeggiare, che al giorno d’oggi sono molto più restrittivi rispetto al passato». Qualcuno sente e commenta: «Ma l’era mei prima, quando sa naa an campeggio!». Per rivivere quei momenti, apro il bel libro che il Cai Treviglio ha scritto per i cinquant’anni di attività, ricco di testimonianze e fotografie. Leggo il racconto di Gian Marco Cerea, quello del primissimo campeggio, in Val di Fassa, anno 1966: «Le tende? Poche e tutte in prestito. La cucina? A cielo aperto. I servizi? Da inventare sul posto. Le esperienze? Nessuna. Le autorizzazioni? Nessuna. Il pronto soccorso? Qualche cerotto e siero antivipera… Con le macchine stracariche ci avviamo lungo la strada statale del Brennero, dato che l’autostrada non esisteva ancora… Troviamo un posto straordinario, ci accampiamo entusiasti… quando, verso sera, arriva il non previsto proprietario del fondo: una signora con un brutto bastone nodoso fra le mani». Per fortuna finisce tutto bene e si può proseguire con la vacanza. Ma piove tutti i giorni. I nostri non si scoraggiano, non per-

dono l’entusiasmo, malgrado il freddo e le difficoltà; e anzi progettano fin da subito il campeggio per l’anno successivo. E poi per quello dopo, e ancora, ancora, ogni anno per tanti anni, fino ai nostri giorni. Adesso le cose sono un po’ cambiate, il maso assicura più comodità e un riparo asciutto sulla testa: ma lo spirito di condivisione e amicizia non è cambiato: «La scelta del maso rientra nel nostro obiettivo di rendere la montagna accessibile a tutti» -dice ancora Rivoltella- «e ciascuno la può vivere come meglio crede e secondo le proprie possibilità». Quest’anno, per chi fosse interessato, la meta è la Val di Fassa, dal 19 luglio al 9 agosto. Ognuno può scegliere di fare pochi giorni fino alle tre settimane complete. Tra le altre attività 2015, oltre alle uscite estemporanee per le passeggiate sulle Orobie (le informazioni si possono reperire in sede il martedì e il venerdì sera, oppure sul sito internet www.caitreviglio.it), spicca la “70 cime”, nata per celebrare il settantesimo di attività, che ricorre quest’anno: «Dedicheremo la salita a una cima per ogni anno di attività


e ne faremo una documentazione fotografica, che poi diventerà una mostra presso il Centro civico» spiega Rivoltella «anche queste escursioni sono aperte a tutti; ovviamente presentano livelli di difficoltà diversi, c’è la cima accessibile e quella solo per esperti. Il programma è visibile sul sito e anche sulla nostra pagina Facebook, Cai Treviglio». Sul libro dei cinquant’anni abbiamo letto della nascita del Cai Treviglio, del campeggio estivo, della scuola sci… Cosa è successo, invece, in questi ultimi vent’anni? «Oltre alla creazione dell’alpinismo giovanile, che si prefigge lo scopo di far conoscere la montagna ai ragazzini, è nata la palestra d’arrampicata, in via Vespucci (una delle attività che attira di più i giovani), la scuola di sci di fondo, e da tre anni a questa parte anche il gruppo Seniores, con lo scopo di avvicinare o riavvicinare i non più giovani all’escursionismo in montagna. Quindi percorsi facili, con punti d’appoggio, adatti veramente a tutti. Il 27 maggio abbiamo partecipato al raduno nazionale dei seniores, e devo dire che il gruppo dei trevigliesi era uno

dei più numerosi». Altra iniziativa importante, sempre aperta a tutti, è il Cammino delle Orobie, in collaborazione con gli alpini di Treviglio. Si tratta di un cammino lungo tutti i rifugi delle Orobie, importante anche dal punto di vista naturalistico, che la Provincia di Bergamo sta cercando di valorizzare e far conoscere. In quest’ottica è nata l’Unione Bergamasca Cai, cioè il raggruppamento di tutti i Cai bergamaschi, allo scopo di promuovere un’azione comune per la valorizzazione del territorio. «Uno degli obiettivi già raggiunti da questa neo-associazione -racconta Rivoltella- è stato quello di mettere pannelli topografici all’inizio dei sentieri più importanti delle Orobie, con tutte le segnalazioni e indicazioni necessarie, affinché all’escursionista anche meno esperto non manchino le informazioni e gli strumenti per orientarsi. Tutto questo è stato raggiunto grazie alle sponsorizzazioni ottenute e al lavoro dei volontari. Oggi anche il turista straniero che arriva a Orio può avventurarsi sulle nostre montagne grazie alla segnalazione e alla cura di questi sentieri. A tal proposito è nato anche un libretto molto utile, che riporta la storia di tutti i rifugi e i sentieri del cammino delle Orobie: un altro risultato tangibile dell’attività dei Cai bergamaschi. Il libretto è scaricabile dal sito internet, ma è disponibile anche in forma cartacea presso la sede. Ora con la Provincia stiamo portando avanti un altro progetto, la riparazione dei sentieri che, durante l’ultimo inverno, a causa delle abbondanti nevicate, hanno subìto notevoli danni. Forse non tutti sanno che il sentiero necessita di costante manutenzione, altrimenti la montagna se lo mangia. E questo lavoro viene svolto dai volontari come noi, che mettono impegno e lavoro affinché il territorio si conservi. Finalmente anche la Provincia ha capito che se il territorio si presenta al meglio, la gente arriva: ci aspettiamo dunque dei fondi per queste attività». E sul territorio di Treviglio, cosa proponete? “A parte qualche biciclettata e qualche

serata informativa, qualche mostra, oppure incontri con alpinisti più o meno famosi, fra le ultime attività c’è stata quella della salita al campanile: un evento che è piaciuto molto ai trevigliesi. E poi non dimentichiamo la Casina Bianca (la casa di proprietà del Cai trevigliese a Oltre il Colle): aldilà delle due consuete riunioni di primavera e d’autunno, alle quali partecipano sempre molti trevigliesi, c’è anche la possibilità di affittarla: ora è stata ristrutturata ed è un po’ meno spartana rispetto a prima». In questo numero parliamo di viaggi strordinari, ne ha uno da raccontarci anche lei? “È un circuito di fondo, a tappe, di livello internazionale, che ho deciso di fare per festeggiare la pensione. Sono quattordici tappe in tutto, sparse per il mondo, ma basta farne dieci per avere l’attestato di riconoscimento internazionale (Worldloppet). E’ una sfida che ho voluto fare con me stesso, insieme a qualche amico, ma soprattutto per vedere posti straordinari in diversi angoli del pianeta».

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Il Cai nasce il 15 Giugno 1945

l 15 giugno 1945 nasce a Treviglio la sezione del Cai grazie all’interessamento di un giovane trevigliese che, con non poche difficoltà, dato anche il periodo post bellico, riesce a reperire i fondi per costituire l’associazione e trovare una sede. Da quel momento le adesioni e le attività sono cresciute rapidamente e oggi, a distanza di settant’anni, il Cai di Treviglio raccoglie oltre 500 iscritti, un numero notevole per un Cai “di pianura”, con un trend in continua crescita e in controtendenza al dato nazionale, che invece è in costante flessione. Nel 1982 la sezione riceve il San Martino d’Oro per “la meritevole attività a favore dell’alpinismo e come segno di presenza sociale nella nostra città”. Molteplici le attività: escursionismo, arrampicata, uscite sul territorio, scuola di alpinismo, sci alpino e sci di fondo, vacanza estiva, alpinismo giovanile e Seniores, mostre, serate informative, eventi. La sede è in via dei Mille 4/a. sito internet www. caitreviglio.it Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 29


Treviglio/Quella vacanza del Cai

Era il 1946, per fortuna c’erano truppe alleate di Mario Longaretti

In questo racconto del compianto Mario Longaretti, il diario della prima escursione del dopoguerra della sezione trevigliese del CAI. C’era ancora l’esercito d’occupazione al quale i trevigliesi chiesero soccorso

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’ l’inverno del 1945/46. Un gennaio insolitamente freddo e nebbioso. La nebbia grava su Treviglio ininterrottamente da due settimane. Il freddo si fa sentire anche nelle case riscaldate alla bell’e meglio da quella poca legna disponibile e preziosa che si cerca di consumare con molta parsimonia nelle stufe. Nei fossi l’acqua che lambisce le sponde è gelata. La brina ed il freddo intenso hanno creato sui rami delle piante dei ricami meravigliosi a vedersi. Si sente una gran voglia di sole e del suo tepore. Finalmente, una mattina, una leggera brezza porta via la nebbia ed appare uno splendido cielo, terso ed azzurro. Il tiepido sole fa brillare i bei ricami che la brina ha formato sui rami delle piante e pian piano li fa sciogliere. Nel cielo limpido e nell’aria nitida, in lontananza, è chiaramente visibile il maestoso massiccio del Monte Rosa. Guardando verso nord appaiono le belle Prealpi Orobiche, candide di neve: in chi ama la montagna nasce una immensa voglia di raggiungerle e di poter godere, magari con una sciatina, i loro pendii innevati. Fra i soci della novella Sezione del Club Alpino Italiano di Treviglio c’è animazione e tanta, tanta voglia di montagna. Ma per raggiungere, in compagnia, le pur vicine Prealpi occorre un mezzo di trasporto. Dopo molte

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ricerche viene rintracciato un camioncino che pare possa funzionare. Ma qui nasce un grosso problema: dove trovare l’indispensabile e prezioso carburante? L’unico posto dove reperirlo è presso l’esercito alleato che, con i suoi efficienti automezzi, occupa il mercato ortofrutticolo. Armati di buona dose di faccia tosta due rappresentanti del CAI si presentano ad un ufficiale del distaccamento militare. Espongono il loro problema, le ragioni della loro richiesta, lo scopo dell’uso del camioncino e domandano un po’ di benzina. Con un largo sorriso e un’affettuosa ma vigorosa manata sulle spalle, l’ufficiale dice che non c’è problema. Probabilmente anche lui doveva essere un innamorato della montagna e dello sci. Mette a disposizione ben due taniche di ottima benzina. Felice di questa soluzione è anche il proprietario del camioncino. Quale suo compenso per l’uso dell’automezzo chiede che una tanica del prezioso carburante (che lui non vedeva da molto tempo) resti a lui per la sua attività. Dopo i lunghi, tremendi anni di guerra e di forzate rinunce, i soci del CAI vedono, esultanti, la concreta possibilità di una gita collettiva in montagna e di una tanto agognata discesa con gli sci. Sistemate sul camioncino delle panche, seduti sotto un telone tutto sbrecciato dove abbondano gli spifferi di aria fredda, ma felici, parte la prima gita dei soci dei CAI di Treviglio. Destinazione: una località della vicina Valle Brembana. L’abbigliamento dei partecipanti è quanto mai vario. Tutti capi reperiti alla bell’e meglio. Scarponi militari, molti calzoni con toppe sul didietro e i rammendi abbondano. Non parliamo delle attrezzature: dai solai sono usciti sci, attacchi e racchette di ogni tipo, molti sono i lacci e laccioli di cuoio e di corda che tentano di tenere uniti gli scarponi agli sci, con attacchi di ogni genere, alcuni dei quali malamente raggiungono

Sopra il rag. Mario Longaretti (sotto un suo scatto originale) e accanto con alcuni dei fratelli Longaretti e un’amica. Da sinistra: Carlo, Mario, Trento e Vittorio

lo scopo. Tutti questi particolari, e tutti gli inconvenienti incontrati, nulla sono rispetto alla gioia ritrovata di poter godere una tanto lungamente desiderata gita in montagna, in compagnia di amici che si incontrano dopo un triste periodo di distacco dovuto al servizio militare e alle rinunce imposte dalla lunga guerra. Non esistono impianti di risalita. Le discese si succedono su un pendio in precedenza preparato dai partecipanti stessi che lo hanno faticosamente risalito a “spina di pesce”. Le discese sono vissute da tutti, anche da coloro che vi partecipano in qualità di spettatori: ogni caduta sulla neve diventa ragione di spontanee e sane risate e motivo di affettuose, cordiali ma impietose critiche sulle capacità sciatorie del malcapitato. A questa prima uscita, con lo stesso sgangherato e rabberciato mezzo di trasporto e la solita gratuita fornitura di carburante, sono seguite le altre gite dell’inverno 1945/46. La gioia di godere in compagnia l’amata montagna, con la novella Sezione di Treviglio del CAI, cominciava a concretizzarsi dopo i tremendi e duri anni di guerra.


Treviglio/Estate d’altri tempi

La prima “piscina” era per soli uomini di Carmen Taborelli

Lo slargo della roggia Mulini, una sorta di vasca di quaranta metri per venticinque, era luogo di ritrovo per rinfrescarsi e tentare di nuotare, ma soltanto un’ora, nel bagno pubblico riservato ai soli uomini

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on una precisa ordinanza, il sindaco Giuseppe Grossi inaugurava, il I giugno 1903, l’opera denominata “bagno pubblico”. I trevigliesi, giocando al rialzo, la chiamavano “piscina comunale”. In realtà altro non era che uno slargo della roggia Mulini, a nord della città: una sorta di vasca rettangolare di 40 per 25 metri con una profondità media di 86 cm. costata, arredi compresi, 10.500 lire. L’opera metteva fine alle lamentele di quanti si servivano dell’acqua dei fossi per lavarsi o come refrigerio alla calura estiva. L’uso del bagno era così regolato: “Nei giorni di lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì: apertura dalla mattina alle ore 14: tariffa centesimi 5; dalle 14 alle 18 cent. 20; dalle 18 a sera cent. 5. Al sabato, dalla mattina alle 14 gratis; dalle 14 alle 18 cent. 20; dalle 18 a sera cent. 5. Per l’uso della cabina cent. 20”. Il biglietto d’ingresso dava diritto a restare nel recinto della piscina soltanto un’ora. I bagnanti dovevano essere rigorosamente “coperti con mutandine. L’Ispettore Urbano e le guardie comunali erano incaricati della sorveglianza del servizio e del regolare esercizio del bagno nei riguardi della morale, dell’igiene e della sicurezza pubblica”. Pochi giorni dopo l’inaugurazione giunsero puntuali le critiche degli eterni incontentabili; critiche sull’ubicazione dell’impianto ritenuta troppo periferica rispetto al centro abitato; cri-

tiche sul regolamento, sull’orario, sulle tariffe: insomma su tutto. Fu anche evidenziato un errore nella costruzione delle bocche di presa e di scarico che, “trovandosi al centro dei due lati minori della vasca, determinavano una forte corrente nel mezzo e una vorticosa ai lati maggiori”, dove si depositava il fango trasportato dalla corrente. I muri dell’edificio, soltanto intonacati, necessitavano, a detta dei bagnanti più esigenti, di un ultimo strato di malta fine. Mancavano gli attaccapanni e la recinzione doveva essere migliorata. C’erano, poi, le donne che rivendicavano il diritto di accesso alla nuova piscina: “Il bagno -dicevano- è una necessità igienica. Ma sembra che a Treviglio questa necessità sia assolutamente imperiosa per gli uomini e di nessuna utilità per il sesso gentile, giacché si è trascurato di stabilire un giorno almeno la settimana, esclusivamente riservato per il bagno delle donne”. Tra consensi e dissensi, la prima stagione balneare si concluse dopo tre mesi: alla fine di agosto. L’anno successivo, in sede di approvazione del conto consuntivo 1903, il consigliere comunale Luigi Vertova suggerì di migliorare l’impianto natatorio con più alberi e di immettere l’acqua a mo’ di ventaglio per evitare l’accumulo del fango sul fondo e ai lati della vasca. Vertova chiese, inoltre, di estendere l’ingresso al bagno pubblico anche alle donne,

Sopra “la piscina” dei Mulini, uno slargo della roggia. Sotto un’immagine di Piazza del Popolo di inizio ‘900

in ore e giorni determinati. Il sindaco Grossi, nella risposta, elogiò innanzitutto il nuovo servizio ritenendolo, per scorrevolezza e chiarezza dell’acqua, uno dei migliori fra i molti visti da lui, appassionato nuotatore. Non fu d’accordo, per mancanza di fondi, di mettere altri alberi. Si dichiarò, invece, propenso a modificare l’immissione dell’acqua nella vasca di contenimento. “Quanto alle donne -scrisse un cronista di allora- il sindaco osserva che a Milano sono pochissime quelle che frequentano i bagni. Ritiene che a Treviglio, con ogni probabilità, non ve ne sarebbe alcuna. Non crede sia il caso quindi di curarsi della questione”. Nelle stagioni successive l’apertura estiva del bagno pubblico avvenne regolarmente fino allo scoppio della Prima Guerra mondiale, durante la quale la struttura fu requisita dall’autorità militare e adibita a lavanderia. Rimasti senza piscina, “ragazzi e ragazzotti” ripresero le vecchie abitudini: “usarono le rogge della circonvallazione, e vi si buttarono senza alcun vestimento. E’ uno scandalo”: urlarono i moralisti di turno, ritenendo offesa la morale e oltraggiato il pudore. Conclusa la parentesi bellica e a seguito di un intervento radicale per rendere agibile l’impianto, la tariffa d’ingresso fu elevata a 15 centesimi e a 30 centesimi l’uso della cabina. Nel 1919, il Comune decise di condurre il servizio in economia tramite un agente della Polizia Urbana. Affidò al custode Abramo Riva la riscossione delle tariffe, compensandolo con 2 lire al giorno, concedendogli gratuitamente l’abitazione e autorizzandolo a noleggiare ai bagnanti mutandine, salviette e sapone. L’anno dopo Bonaventura Assanelli eseguì alcune opere di adeguamento e di riparazione del bagno pubblico. La spesa totale dell’intervento, ammontante a £. 1.500, provocò un ulteriore aumento delle tariffe. Dal 1921, risultando la gestione diretta in deficit, l’amministrazione comunale decise di appaltare la conduzione dell’impianto al canone annuo di 200 lire. Il primo gestore fu Abramo Riva, al quale subentrò il figlio Giovanni. Il bagno pubblico, alias “Prima Piscina Comunale” funzionò all’incirca mezzo secolo. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 31


Treviglio/Viaggi straordinari

In Indonesia alla ricerca dei Toragja di Marco Facchetti

Un viaggio molto avventuroso in Indonesia di uno sparuto gruppo di amanti dell’avventura tra cui Piero Angela. L’episodio racconta dell’isola di Sulawesi e del suo gruppo etnico, i Toragja, e del culto dei morti ...in casa

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arco Facchetti, (vedi foto sulla scalinata), è stato un amico di tante avventure trevigliesi con il Circolo Artistico, ma in particolare ideatore e compagno della vacanza a Persepoli, ...con il Maggiolino di mio papà. Era il 1972. Questo arrivando a Istambul e poi sul Mar Nero, il Monte Ararat e il Kurdistan (nella foto Marco è dietro di me, ospiti di una tribù curda), Aleppo, poi la costa turca fino in Grecia. Nell’estate del 1978 decide di fare un viaggio ancora più avventuroso, uno di quelli in posti strani ma anche un po’ rischiosi su barche sbilenche e mangiando quello che capitava. Vizio che ha ereditato dal padre Ambrogino e non l’ha ancora perso. Tornò entusiasta dall’Indonesia per il viaggio avventuroso e perché fatto in compagnia -tra gli altri- di Piero Angela e la bella figlia del giornalista Rai. Così qualche mese dopo, volendo parlare di viaggi su “la tribuna”, gli chiesi di raccontarlo. Ecco dunque una breve sintesi di quel viaggio che ripropongo. Roberto Fabbrucci

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Abitavamo con una donna morta da due anni, ma lì è normale Osservando la mappa dell’Indonesia incuriosisce la strana foggia della Sulawesi, una delle 3.000 isole che compongono l’arcipelago. A forma di orchidea adagiata nell’oceano, per le sue sinuosità ha ingannato per secoli i marinai che la credevano un gruppo d’isole. A decidere un viaggio per le Sulawesi è stato l’interesse per uno dei gruppi etnici che vi abitano: i Toragja. Giungiamo all’aeroporto di Udjung Padang, l’antica Makasar, nel sud dell’isola, nel tardo pomeriggio. Il desiderio di raggiungere al più presto la Tanah Toregja ci induce a partire subito con una macchina presa in affitto a caro prezzo. Il percorso è facile nella pianura coltivata a riso, attraversiamo molti piccoli paesi abitati dai Toala (popolazioni della pianura). Verso mezzanotte cominciamo a salire verso l’altipiano, per la stanchezza ci fermiamo in un piccolo villaggio bughinese. Dopo aver mangiato del riso e qualche banana in una locanda, i nostri ospiti ci accompagnano al piano superiore per riposare qualche ora su di un pavimento di legno quasi pulito. Partiti di buon mattino viaggiamo tutta la giornata, una molto mal ridotta strada sale tra le montagne della regione abitata dai Toragja. A Rantepao, il più importante centro del-

lo Tanah Toragja, si trasborda su di un fuori strada, il cielo sempre plumbeo rovescia ininterrottamente da più giorni una pioggia fitta. Ovunque è fango e la nostra Toyota rischia di rimanervi intrappolata più volte, molto tempo e molta fatica per pochi chilometri. E’ quasi buio quando arriviamo in un villaggio Toragja, ove chiediamo ospitalità per la notte. Le capanne dei Toragja sorgono su palafitte fatte con grandi tronchi di bambù, l’abitazione è rettangolare costruita con tavole di legno policrome e riccamente intagliate a motivi geometrici, il tetto a sella, molto slanciato, ricorda antiche imbarcazioni in uso a Sulawesi ed è ottenuto dalla sovrapposizione di vari strati di canne di bambù per un’altezza che raggiunge anche i due metri. Sulla facciata della casa spicca una grossa testa di bufalo di legno dipinto e talvolta vi si allineano le lunghe fila delle corna dei bufali sacrificati. Le capanne sono allineate su di un lato di uno spazio rettangolare detto Tong Konan, dal lato opposto si allineano i granai costruiti con la stessa tecnica delle abitazioni. 0ffriamo ai nostri ospiti un maiale selvatico da mangiare tutti insieme. Ucciso l’animale, viene raccolto con delle canne di bambù il sangue che servirà poi per condimento. Ta-


gliati in piccoli pezzi: carne, grasso e visceri, il tutto viene messo a cuocere sul fuoco in canne di bambù. Pochi minuti per preparare un servizio di piatti con foglie di banano e i bicchieri tagliando del bambù e finalmente inizia il banchetto: riso, maiale, banane e l’immancabile vino di palma che si ottiene dai frutti della pianta fatti fermentare. Abita con noi anche una donna morta da due anni e questo non deve stupire conoscendo le curiose usanze funebri di queste popolazioni. Quando un Toragja muore il suo corpo avvolto in una coperta viene tenuto nella capanna per alcuni mesi e si dice ammalato. Intanto si prepara la cerimonia e sono costruite delle abitazioni provvisorie per ospitare parenti e amici. La cerimonia funebre che decreta la morte del defunto consiste in danze e sacrifici di animali ai quali assiste anche il morto che, di tanto in tanto, viene lanciato in alto per essere poi nuovamente deposto sul terreno. Finita la cerimonia, il cadavere chiuso in una bara è conservato nella casa per molto tempo, di tanto in tanto lo si onora con una cerimonia funebre. Giunto il tempo del funerale definitivo si prepara una bara a forma di barca che porterà il defunto alla necropoli costituita da loculi scavati nelle alte pareti di roccia, nelle nicchie sono allineati dei pupazzi di legno, detti tan tan, che rappresentano il morto indossando persino i suoi abiti. Giungendo in questi luoghi si è colpiti dall’inconsueta visione di queste processioni lunghe di pupazzi che a diverse altezze si affacciano ai balconi scavati nella roccia. Ma per il cadavere non è ancora terminata la peregrinazione, infatti, dopo molti anni, si recupera il loculo per un nuovo venuto, levando la vecchia bara che viene scaraventata lungo il pendio e che sfasciandosi mette a nudo il suo contenuto. Dopo gli attributi di affetto e le onoranze rese ai propri defunti, potrebbe sembrare illogico ed immorale questo abbandono, ma, secondo le credenze animistiche dei Toragja, ciò che rimane nelle bare è solo materia inerte e l’anima finalmente, con la reincarnazione, trova espressione in un altro essere.

Giro del mondo in tre settimane Giancarlo Maretta accenna ai suoi viaggi avventurosi e a volte drammatici

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n oltre trent’anni di viaggi ce ne sono stati parecchi che potrei definire “straordinari”, ma due, soprattutto, li ricordo con grande piacere. Il primo fu un viaggio veramente straordinario, perché venne fatto una volta sola, circa quindici anni fa, grazie a un tour operator e un gruppo di agenzie tra cui la mia. Il giro del mondo in ventitre giorni, sempre con lo stesso aereo, lo stesso equipaggio, gli stessi accompagnatori. Fu un viaggio bellissimo e molto coinvolgente. Il secondo è più che altro un luogo, dove sono tornato per ben tre volte, un luogo che mi è rimasto nel cuore: lo Yemen. Uno dei Paesi più belli del mondo per storia, cultura, tradizioni, paesaggi. Purtroppo è uno di quei Paesi che non potremo visitare per un po’ di

tempo, data la situazione politica. Per quanto riguarda invece un episodio strano, particolare, ricordo quella volta nelle Andamane, quando con il gruppo andammo a visitare -via acqua- l’interno di una foresta, con le canoe, senza sapere che in quel tratto le correnti cambiavano spesso e che le maree ci avrebbero fatto un brutto scherzo. Infatti, quando fu il momento di rientrare, ci rendemmo conto che era impossibile. La corrente ci spingeva indietro, le canoe si ribaltavano. Non furono bei momenti. Fu molto difficile sostenere psicologicamente tutto il gruppo, che aveva davanti a se la prospettiva di passare la notte nella foresta. Per fortuna, quando ormai da ore eravamo lì bloccati, chi ci aveva noleggiato le canoe, intuendo quello che poteva essere successo, venne a salvarci con una barca e tutto finì per il meglio. D’altra parte, quando si viaggia bisogna aspettarsi di tutto, specie in viaggi avventurosi come questo: ho visto terremoti, rapine a mano armata, persino un colpo di Stato a Bogotà… ero all’Heysel, per esempio, quando avvenne la tragedia, e molti miei amici rimasero feriti. Questi non sono bei ricordi, ma tutto sommato l’importante è essere qui a raccontarli. Giancarlo Maretta (Adda Viaggi)

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Trevigliesi/Viaggi straordinari

In due, pedalando incontro al mondo di Daniela Regonesi

Ricordi da un viaggio in bicicletta alla scoperta del mondo e dell’essenzialità: dalla Nuova Zelanda all’Australia e l’Estremo Oriente, poi fino in Turchia e i Balcani, l’Italia, un po’ d’Europa e poi giù fino al Portogallo e in Marocco

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o che uso la bici solo per brevi spostamenti e che difficilmente mi muovo se non ho a disposizione il bagno in camera, voglio raccontarvi la storia emozionante di un viaggio su due ruote, libero e spontaneo. Ad intraprenderlo una coppia di software engineers: Ermanno Strepparola, trevigliese e amico di vecchia data -da una quindicina d’anni di stanza negli Stati Uniti e da una vita appassionato di ciclismo- e

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Mary Brookman, americana, sua compagna di viaggio e di vita. Dal dicembre 2010 al dicembre 2012 la coppia -all’epoca nemmeno settant’anni in due- ha percorso circa 20.000 km a bordo di bici da turismo pieghevoli, agevolmente riponibili in una valigia o in una scatola durante i passaggi aerei, e costruite con telaio d’acciaio, in modo tale da essere facilmente riparabili in caso di rottura. Il loro punto di

partenza è stato letteralmente “in capo al mondo”: hanno colto l’occasione e hanno cominciato la pedalata dalla Nuova Zelanda, percorrendo tutta l’Isola del Nord e quella del Sud. Da lì si sono susseguite le varie tappe: Australia, Indonesia, Malesia, Singapore, Thailandia, Laos, Cambogia, Cina, Nepal, Turchia, Grecia, Bulgaria, Macedonia, Montenegro, Albania, Kosovo, Croazia, Slovenia, Italia, Austria, Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Marocco. Ma se decidi di partire per il giro del mondo in bicicletta, cosa metti in valigia? Innanzitutto i bagagli sono «le classiche borse da bici che si attaccano al portapacchi. Non porti jeans che pesano e non si asciugano; scarpe da ciclismo e infradito per quando ti fermi; tenda e sacco a pelo, fornello e un paio di pentole, due forchette; parti di ricambio per le biciclette (sono servite tutte); un paio di outfits per la bici, un paio di pantaloni lunghi, calze impermeabili, giacca per la pioggia, vestiti caldi (abbiamo trovato neve in alta quota in Cina); un netbook, sempre un paio di libri, un filtro per l’acqua, vivande varie e snacks, a volte anche per quattro o cinque giorni, quando eravamo fuori dalle zone battute, crema solare, macchina fotografica, niente cellulare». Mi hanno spiega-


Da sinistra: sulla riva del lago Wakatipu (Nuova Zelanda); ravioli al vapore cinesi e colazione in “albergo” in Cina. Sotto da sinistra: lungo le vie polverose d’oriente, foratura a Sumatra (Indonesia); Mary al mercato thailandese e nel centro malese di salvaguardia delle tartarughe

to che hanno dovuto rimpiazzare quasi tutti i vestiti, poiché non durano se li usi per due anni in maniera “intensa” e, soprattutto, che è «davvero liberatorio vivere solo e soltanto col contenuto dei bagagli». Si tratta di un viaggio veramente libero, nel quale tra le cose più belle c’è il fatto di «non avere data o biglietto di ritorno, avere il tempo per cogliere occasioni che in generale non hai mai il tempo di cogliere». Ad esempio, capitando a Pulau Tioman, un’isoletta della Malesia, Mary ed Ermanno hanno scoperto che il centro di salvaguardia delle tartarughe marine (l’isola è uno dei pochi siti di riproduzione al mondo) aveva bisogno di aiuto, per cui si sono ritrovati a dirigere il centro per un mese e mezzo, studiando un po’ di biologia, raccogliendo uova di tartaruga in spiaggia, facendo da ciceroni ai turisti, per poi di nuovo montare in sella e continuare il loro viaggio. E se durante il tragitto si incontrano dei contrattempi, possono essere occasioni per imparare: ad esempio appena prima di Ban-

gkok le alluvioni in città hanno imposto loro una sosta forzata in una località in cui si pratica il kite surf; la fermata si è protratta per due mesi nei quali non solo hanno imparato a surfare trainati dagli aquiloni, ma addirittura si sono innamorati di questo sport. I due viaggiatori mi spiegano che «in realtà il viaggio non è stato niente di difficile o straordinario. La parte difficile è stata partire, poi il resto è stato davvero una pedalata dopo l’altra. La nostra storia in realtà fa solo notizia per chi queste cose non le ha mai fatte. Se ti metti sulla strada, incontri e conosci molta altra gente che sta facendo o ha fatto lo stesso o giri ancora più incredibili in bici. Insomma tanti fanno cose simili, in silenzio e per il puro piacere di farlo». La difficoltà del partire va cercata nel sospendere sino a data indeterminata la zavorra quotidiana fatta di utenze e relative bollette, decidere cosa fare della propria casa e del suo contenuto, organizzare la messa in stand-by della propria routine giornaliera fino ad una data di rientro sconosciuta: insomma «la parte difficile è stata la logistica, non quella del viaggio, ma della vita di tutti i giorni!». E allora grazie al loro racconto io posso provare ad immaginare di essere in Cambogia, a seguire il corso del Mekong su strade

polverose e fangose, passando in mezzo a paesi con centinaia di bambini che, anche se sono in aula a scuola, corrono per salutarmi, con intorno pagode e vari Buddha; oppure ancora andare in bici allo scalo aereo, volare sopra il mare, uscire in sella dall’aeroporto dall’altra parte e ripartire. Oppure ancora i cibi le diverse routine alimentari, i colori e gli aromi dei mercati, «il posto migliore per vedere cosa mangia la gente e per assaggiare»: quelli marocchini traboccanti di olive e datteri e con più muli che auto nel parcheggio, lo spettacolo delle bancarelle notturne thailandesi e della realizzazione al momento dei ravioli cinesi. È un tuffo nelle sfumature dell’umanità e nella realtà di un turismo lento ed ecologico che ti porta a scoprire colleghi cicloturisti di 79 anni, con figli e con cani, soli o in gruppo, uomini o donne. Un’esperienza che regala nuove amicizie, tutt’ora solide, e porta ad intessere nuove trame su due ruote: «abbiamo conosciuto tanti altri viaggiatori in bici come noi, alcuni ci sono poi venuti a trovare (in bicicletta, ovvio) a Seattle, uno arrivando dall’Alaska in rotta per la Patagonia, altri dalla Costa Est degli Stati Uniti; altri conosciuti in Laos, siamo andati a trovarli noi in Svizzera».

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Viaggi straordinari

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Sopra Ermanno presso il sito archeologico di Angkor, simbolo della Cambogia

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LA MIA BANCA È DIFFERENTE

È anche un’incredibile lezione di storia e geografia sul campo: «nei Balcani per la prima volta ho imparato dove sono tutte le nazioni della ex Jugoslavia, che cos’hanno di diverso e che bello è attraversarle in bici!» mi confida Ermanno. Mi spiega anche quanto può essere emozionante attraversare un confine semplicemente pedalando, in mezzo al niente come tra Cambogia e Laos, o in Macedonia «con le guardie di frontiera fiere del loro paese nuovo e bandiera sgargiante», oppure ancora ricordando che dove ora c’è solo un cartello, settant’anni fa una frontiera separava pace da una parte e guerra e persecuzioni dall’altra, come tra Svizzera e Germania. Perché aprirti al mondo in un’esperienza “bella e pura” quale il partire in bici, anche solo per un fine-settimana, significa abbattere innanzitutto i confini eretti nella nostra mente: è affidarsi ad un saldatore turco, una domenica mattina alle 7 vicino ad Edirne, affinché ti ripari la bicicletta rotta in tre punti, e sentirti dire, dopo che alla sua curiosità sul dove stai andando hai risposto “Portogallo”, “Inshallah” (se Dio vuole); è, ancora, dover rinunciare solo poche volte, in due anni, alla propria doccia quotidiana, anche se vuol dire farla con un secchio d’acqua del Mekong, come ha fatto Mary, ideatrice del viaggio pur non essendo grande appassionata di bici. E a questo punto mi sono resa conto di aver posto l’interrogativo sbagliato, perché in esperienze come queste -anzi in qualunque viaggio, breve o lungo che sia- non è importante cosa ti porti appresso dalla tua partenza, ma quanto si riempiano le tue “valige” di paesaggi, incontri ed emozioni, e sicuramente la bicicletta non offre solo un modo di viaggiare lento ed amico dell’ambiente, ma ti permette di avere come bagaglio solo ciò che conta. È un approccio che può essere applicato anche ad una semplice passeggiata, magari nella nostra campagna: partiamo attrezzati, non da sprovveduti, ma accendiamo i nostri sensi, apriamo la mente e lasciamo abbastanza spazio in valigia per ciò che il viaggio può donarci.


Bonanza Viaggi: l’essenza del viaggio Trasferiti nella sede di via Zara 1, si è accolti con la cortesia e la professionalità che derivano da una lunga esperienza e dalla grande passione. Per esempio costruire una vacanza su misura per il cliente

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el 1970 un uomo molto lungimirante, forte delle sue esperienze lavorative in Francia e Gran Bretagna, decide di dar vita e luce ad alcune vetrine lungo viale De Gasperi a Treviglio: nasce così, dall’intuito del dottor Felice Stucchi, Bonanza Viaggi, terza agenzia per data di costituzione in tutta la provincia di Bergamo. Tra le pochissime realtà presenti all’epoca tra Milano, Bergamo e Treviglio, in un tempo in cui la stragrande maggioranza della gente non conosceva i viaggi, né era informata grazie ad internet, l’attività prende sempre più piede e negli anni ‘80, complici radio e televisione, il pubblico comprende pienamente cosa sia un’agenzia di viaggi: l’unico e solo mezzo, allora, per poter fare un viaggio o una vacanza. Dai tempi in cui era impensabile prenotare un volo o un soggiorno in autonomia, le ricerche e le opzioni erano effettuate solo telefonicamente, i biglietti e le prenotazioni erano rigorosamente scritti a mano, l’avvento della rete telematica ha reso il lavoro più snello, accedere alle informazioni è più facile e veloce, ma l’agenzia Bonanza continua ad offrire con successo il proprio know-how. Oggi un pannello di cristallo, la cui trasparenza è interrotta dalla scritta “l’essenza del viaggio” riprodotta in dieci lingue diverse, è il primo benvenuto che si riceve entrando al numero 1 di via Zara

a Treviglio, nella loro nuova luminosa e spaziosa sede. Infatti Simonetta Bamfi, in agenzia come collaboratrice dal 1982 e titolare dagli anni ‘90, ed il suo staff tutto femminile, garanzia di pazienza ed empatia, sono disponibili ad accogliere e soddisfare clienti di tutte le età e provenienze, questo grazie all’esperienza consolidata da oltre quarant’anni nel campo del viaggiare. Profonde conoscitrici di tutte le sfaccettature del mestiere, sono abili nel confezionare su misura il sogno di ognuno: dal viaggio di nozze alla vacanza in famiglia, dal week-end con gli amici alla trasferta aziendale, il tutto cucito su misura ed im-

Fotografia di Enrico Appiani

Aziende & Territorio

Simonetta Bamfi mostra le due importanti riviste specializzate che hanno dedicato ampio spazio e giudizi lusinghieri all’attività di Bonanza Viaggi

preziosito dalla certezza dell’affidabilità. Per loro viaggiare è sperimentare l’altro, la cultura, il cibo, il clima, le sensazioni, le emozioni e i sentimenti; è conoscere il mondo per affrontarne tutti i colori, le facce e le nazionalità. Il biglietto da visita è la cortesia, il loro punto forte la professionalità: c’è qualcosa che solo loro sanno, perché viaggiano per conoscere cosa vendono, partecipano a corsi e ad aggiornamenti. Nulla è lasciato al caso,

dalla vacanza più semplice al giro del mondo aggiungono alla loro esperienza professionale quella personale, curando ogni particolare dei servizi offerti. Società iscritta nel maggio 2000 all’Albo d’Onore della città di Treviglio, con il riconoscimento del suo ruolo di riferimento come modello per la creazione di altre agenzie di viaggio, da Bonanza Viaggi il cliente acquista ciò che immagina, l’esperienza che desidera vivere, perché l’essere un’agenzia viaggi comporta l’essere aperti al mondo, ed è questa la vera ricchezza, l’essenza del viaggio. (d. r.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 37


Personaggi storici di passaggio, in treno

A Treviglio, ma non sempre per vacanza di Marco Carminati

Grazie alla ferrovia Treviglio era meta di vacanza o ristoro per Giuseppe Verdi e Don Bosco, dluogo i passaggio per Hermann Hesse o Fogazzaro e di missione per don Angelo Roncalli, tanto che Alberico Sala la definì...

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n una delle sue pagine migliori, Alberico Sala, grande cantore della nostra Bassa, scomparso nel novembre 1991, dopo averla esaltata sulle pagine del Corriere della Sera, oltre che nei romanzi e nelle poesie, definì Treviglio “nodo guizzante di binari”. Modo folgorante ed efficace, proprio di un poeta, di cogliere l’essenza di uno status e di un modo d’essere. Quello appunto di luogo strategicamente rilevantissimo sin dagli albori della strada ferrata imperiale e, successivamente, cresciuto nell’importanza delle vie di comunicazione fra i quattro punti cardinali, un tempo solo del Lombardo-Veneto, oggi d’Europa. Un sostantivo dunque, più un aggettivo e un complemento che specifica: tanto è bastato ad Alberico per cogliere con efficacia straordinaria l’essenza d’un luogo e di un destino. L’essenza ed il destino di Treviglio, appunto, terra di snodo e di passaggio, luogo di flussi vivacissimi, dove s’incrociano notte e giorno merci ed idee, gente e cultura: del resto non era forse l’antico Trivilium incrocio di tre vie, piuttosto che insieme di tre ville? Già dal 1846, con l’inaugurazione della tratta ferroviaria da Milano a Treviglio, molti grandi personaggi del tempo ebbero modo di viaggiare sui “nostri binari”. Da Giuseppe Verdi, che da noi giunse per una convalescenza lunga e, sembra risolutiva dei suoi problemi di salute, trascorsa

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chiacchierando amabilmente con Tommaso Grossi e Andrea Verga, a Don Bosco, che ripetutamente in visita al Vescovo di Bergamo, Mons. Pietro Luigi Speranza, per certi incarichi che lo vedevano mediatore fra l’intransigenza clericale più conservatrice e il nuovo stato sabaudo-massone, dovette fare i conti coi ripetuti ritardi dei treni, che già allora soffrivano della malattia endemica del nostro sistema ferroviario. Sembra che una mattina San Giovanni Bo-

Da sinistra: Giuseppe Verdi, Antonio Fogazzaro, Don Giovanni Bosco, a destra il cappellano militare don Angelo Roncalli (futuro Papa). Sotto a sinistra Alberico Sala e Herman Hesse

sco , avendo dovuto attendere per ben tre ore di ripartire da Treviglio, abbia approfittato per visitare il Santuario e deciso la collocazione di un istituto salesiano proprio in questo territorio, così sensibile alla devozione mariana. Splendido esempio delle “magnifiche sorti e progressive”, il treno però sembra non sempre riuscisse a soddisfare proprio in tutto le esigenze dei viaggiatori, specie di quelli illustri e forse pretenziosi, se è vero che al primo sbuffo della locomotiva nostrana, Antonio Fogazzaro, nel romanzo “Piccolo mondo moderno” dirà “il treno aveva fatto ritardo alla stazione di Treviglio”. Sui treni, che per semplicità chiameremo “trevigliesi”, trovarono posto altri singolari viaggiatori, alcuni illustri, come Hermann Hesse, che giunse qui a Treviglio, attratto dalla magia brumosa della pianura, vista dall’alto delle mura bergamasche, altri del tutto anonimi, ma che non sono, per questo, lontani dal nostro cuore, come le centinaia e centinaia di feriti, che tornavano dai fronte trentino e friulano, durante la Grande Guer-


Era il 1862/Caravaggini in rivolta

ra, per trovare rifugio negli ospedali militari bergamaschi, ove operava il Cappellano Angelo Roncalli, che sarebbe poi divenuto Papa Giovanni XXIII, e vennero “smistati” alla Casa del Soldato, voluta da don Ambrogio Portaluppi. Una storia dunque varia e articolata, quella delle ferrovia in terra nostra, che meriterebbe spazio e attenzione. Ma intanto, come è logico e corretto, i tempi mutano e siamo giunti agli attuali cambiamenti: affascinati oppure ostili, secondo quanto dettino il nostro cuore e la ragione -meglio comunque siano solo il cuore e la ragione a dettare, piuttosto che schieramenti miopi e strumentali– troviamo fra la gente della Bassa chi è contraria e chi propensa all’Alta velocità in terra di Gera d’Adda. Chi attende fiduciosa e chi ostile il Corridoio trasversale Kiev-Lisbon e quello perpendicolare Lione-Palermo, ‘incrociati’ sul nostro spazio e forieri di grandi innovazioni, che ci auguriamo avvengano all’insegna d’uno sviluppo sostenibile. Se sarà così, allora davvero ci sntiremo legittimati ad usare la bella e lapidaria definizione di Alberico Sala, che coglie a pieno il ricco e controverso rapporto con che la nostra città ha con le ruote d’acciaio: “Treviglio, nodo guizzante di binari”.

A Caravaggio non volevano la ferrovia

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n un passato tutto sommato neppure molto remoto, la gente delle nostre campagne e dei nostri comuni rurali non faceva gran distinzione fra le vicende civili e quelle religiose, specie quando queste, per un verso o per l’altro, finivano per toccarla sulla pelle. Ecco, ad esempio, cosa successe a Caravaggio nel 1862. Poco più di una manciata di mesi era trascorsa dall’Unità d’Italia e la linea ferroviaria per Cremona doveva porre i binari, facendo scempio del bel viale del Santuario, che sarebbe stato tagliato in due con un terrapieno soprelevato d’un metro e mezzo rispetto al suolo. Una vera e propria rivolta popolare cercò di opporsi ai disegni dell’amministrazione delle Regie Ferrovie, che, controverso simbolo del progresso, riuscivano ancora a catalizzare l’opinione pubblica. C’era, nei confronti del moderno e luciferino mezzo di locomozione (di carducciana suggestione), chi plaudiva e chi esprimeva esecrazione, a secondo dei personali convincimenti e, manco a dirlo, del rispettivo tornaconto. Qui, come altrove. E nel popolo minuto, non diversamente del resto dai notabili e dai potenti, se è vero, com’è vero, che la tempestività con cui era stata realizzata la tratta Milano-Treviglio, già nel 1846, potè imputarsi ad “atti di influenza e nepotismo da parte di un Arciduca austriaco, il quale aveva un esteso latifondo nelle vicinanze di Casirate”. Dunque la popolazione di Caravaggio scese in piazza, per far valere le proprie ragioni, recandosi in folla al municipio ed ottenendo infatti dalle autorità paesane l’impegno ad esporre immediatamente le motivate rimostranze davanti al Ministro dei Lavori Pub-

blici. Ma i tecnici intanto proseguivano coi loro strumenti a tracciare i piani di lavoro e la decisione nel frattempo assunta a Torino di modificare il progetto, abbassando la massicciata a soli sessanta centimetri dal suolo, impiegò più giorni del dovuto, per giungere a tranquillizzare i dimostranti. Che, spinti anche da agitatori, pronti ad approfittare del malcontento, resero necessario l’intervento di un Corpo di Truppe regolare, corso in aiuto della locale Guardia Nazionale. Ci furono arresti, processi, otto condanne. Seguì un’interpellanza governativa del deputato Martinenghi, mentre le maestranze addette alla costruzione della linea si illusero di zittire i più facinorosi, accelerando la realizzazione dell’opera. La manovra, che doveva essere attuata nella notte del 24 luglio, con l’impiego di molte braccia straordinarie forestiere, non passò però inosservata ai Caravaggini. La sentinella corse dunque in sagrestia della Chiesa Parrocchiale e, col pretesto di suonare l’agonia per un morente, ottenne le chiavi della Torre maggiore, dove salì, per dare inizio ad un infernale concerto di campane a stormo, che durò ben cinque ore. Intanto dalle campagne, dalle officine, dalle case, la popolazione furente accorse a buttare all’aria il lavoro compiuto, restituendo al viale l’antico aspetto. L’invito alla calma, rivolto dal Sindaco e dalle Autorità del Circondario, a loro volta sopraggiunti, ottenne che la situazione rientrasse e venisse ristabilito l’ordine in paese. Sebbene la sofferta vittoria si rivelasse inutile, perché comunque il progresso non poteva certo arrestarsi, davanti alle “fisime” di quattro contadini: i lavori per la ferrovia ripresero e già l’8 settembre transitò il primo convoglio di prova: quattro mesi più tardi iniziarono le corse regolari sino a Soresina e, nel maggio dell’anno dopo, venne inaugurata la linea completa per Cremona. Linea che alla fine si rivelò comunque provvidenziale, anche per la nuova massa di fedeli, che da ogni parte del Paese veniva ad ingrossare l’eterogeneo mare di devoti in visita al Santuario della Beata Giannetta. (m. c.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 39


Scuole/L’alberghiero

L’arte del cuoco si insegna a Treviglio di Maria Palchetti Mazza

Viaggio all’interno dell’Istituto alberghiero ABF di Treviglio, la scuola che prepara i futuri professionisti del cibo, tra tante soddisfazioni ma anche tanti problemi, soprattutto di tipo economico

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’è una bella torta trionfante nella locandina posta nell’atrio dell’Istituto alberghiero, datata 10/05/2015, creata dall’alunno Matteo Manzotti, dell’ABF di Treviglio per il Concorso Nazionale di “Golositalia”, la Fiera enogastronomica di Brescia. Fra i ragazzi in movimento durante l’intervallo, indicazioni inusuali in tutti gli altri indirizzi di studio: laboratorio di cucina, laboratorio di pasticceria, laboratorio addetti alle sale bar… L’ABF di Treviglio è nato solo due anni fa ed è frequentato da giovani che si preparano a gestire attività nell’ambito dell’alimentazione. «Abbiamo ricevuto 50 domande, ma ne sono state soddisfatte solo 30», mi dice il Preside, Dott. Silvano Baretti. «Delle nostre 8 classi, cinque, quelle dei pasticceri, sono al terzo anno; due, quelle dei cuochi, al secondo e al primo anno una classe, quella per gli addetti alle sale bar. Abbiamo cinque Laboratori alimentari e uno di Informatica. Dai Centri regionali la Formazione professionale è stata delegata alle Province e nel 2010 è stato indetto un Concorso per 100 posti». Quali le tipologie dei docenti che svolgono la loro attività professionale presso di voi?

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«Abbiamo incarichi diversi: i Coordinatori di settore, i Docenti delle discipline, i Responsabili degli alunni diversamente abili, i Facilitatori, cioè coloro i quali aiutano gli studenti ad affrontare e superare le difficoltà in itinere. I diversamente abili assegnati alle classi sono seguiti in numero di 6 da un Docente specializzato. A Castel Rozzone, 20 ragazzi dell’ABF in gravi difficoltà, vengono accompagnati nel mondo del lavoro senza qualifica. Gli allievi assolvono l’obbligo scolastico nel triennio previsto: i primi 2 anni seguono l’iter curricolare comune agli altri indirizzi di studio, nel terzo si ampliano gli spazi previsti per la specializzazione richiesta. L’orario è di 30 ore settimanali con una forte presenza nei laboratori. C’è un quarto anno facoltativo che dà accesso al Diploma». Quali accorgimenti vengono presi in relazione alla peculiarità di certe attività? «Abbiamo un costante controllo sanitario dei locali e del cibo, una visita ispettiva mensile, un corso sulle norme di Sicurezza di 40 ore. I nostri stages nelle aziende (200 ore nelle seconde e 200 nelle terze per tutti gli alunni) sono garantiti dalla sorveglianza sanitaria». Eccellenze? «Più di quante se ne conoscano sul terri-

torio: per esemplificare, gli studenti hanno vinto un Concorso di durata triennale sul tema “Un menu a km. 0”, hanno preparato un nuovo piatto con prodotti locali che fungerà da attrazione in tutti i ristoranti della zona coinvolti nell’iniziativa. Con la Federazione Italiana Cuochi è stato vinto un Concorso interregionale, ‘Arte in cucina’, con argento e due bronzi nel settore cuochi, un oro e un argento nel settore pasticceri. La locandina che lei ha visto, rappresenta la Delizia al Cioccolato di Matteo Manzotti (foto in basso) che ha avuto le lodi del guru dei dolci Iginio Massari il 10 Maggio scorso». Può darmi in sintesi una definizione della sigla ABF che connota le vostre attività? «ABF significa Azienda Bergamasca Formazione, ente accreditato per erogare servizi al lavoro in tutte le fasce d’età, con compiti di informazione e di orientamento rivolti ai lavoratori, alle imprese, alle Istituzioni scolastiche e formative, alla pubblica Amministrazione. Sono previsti anche l’accompagnamento agli alunni diversamente abili nell’inserimento nel mondo del lavoro, la guida all’utenza per la fruizione dei servizi, tirocini ed altre forme di work esperiences.


Trevigliesi nel mondo

Gli Usa, la scuola e le differenze con l’Italia

T

Per quanto attiene le imprese, viene effettuata una rilevazione dei fabbisogni formativi e professionali, oltre alla consulenza sulla ricerca del personale e sulla normativa del lavoro; si effettuano, inoltre, attività di orientamento di gruppo». Gestite anche attività serali? «Sono previsti corsi di 400 ore per gli adulti che mirano a cambiare professione ed altri corsi brevi per l’utenza mista. Dall’anno prossimo dedicheremo due giornate alla cucina vegana in collaborazione con la Biblioteca di Treviglio». Quali le difficoltà incontrate nella gestione di una realtà così complessa? «Soprattutto difficoltà di natura economica. Fino a giugno dell’anno scolastico in corso l’Istituto fruisce di 5.000.000 di euro per gli stipendi: dopo questa scadenza, nuove direttive prevedono la diminuzione delle sovvenzione di 1.700.000 euro». Come farete fronte a questi problemi? «Si cerca di rimediare con provvedimenti di vario genere, con un piano aziendale di riduzione delle spese, ricorrendo, ad esempio, alla chiusura della scuola il sabato per diminuire i consumi e all’alleggerimento delle prestazioni degli ausiliari. Sono in corso trattative della Regione mirate alla graduale diminuzione delle ritenute. Il Consiglio di amministrazione si dà da fare per trovare soluzioni accettabili. D’altra parte, l’importanza dei servizi resi al territorio ci fa procedere con la massima cautela: i servizi al lavoro e alle imprese, il Corso di 80 ore per i cassintegrati che prenderà avvio lunedì prossimo sono attività irrinunciabili». Come altrove, anche qui i problemi non mancano… alleggeriti però dalla Delizia al Cioccolato. Auguri per future soluzioni ottimali. I ragazzi sono rientrati nelle aule, l’atrio è immerso nel silenzio. Sarà suggestione o realtà? Mi pare aleggi nei corridoi un vago profumo di cioccolata.

ermina con questo resoconto della consegna dei diplomi l’esperienza americana della nostra “corrispondente” dagli Usa Silvia Martelli, giovane trevigliese che ci ha mostrato come si vive in un college d’oltre oceano, evidenziando le differenze con la scuola italiana. Partita fanciulla torna donna pronta ad affrontare un’Italia difficile dove spesso la competizione è peccato mortale così come la responsabilità individuale. Ovvio il paragone con le cerimonie della consegna delle lauree nelle nostre università, dove l’evento avviene nella stessa aula dell’esame, nella quale i docenti sono vestiti -se va bene- casual e la confusione regna sovrana, tanto da umiliare i parenti dei laureandi presenti. Contiamo su Silvia e i giovani come lei -quelli che hanno vissuto uno spicchio di mondo in più- per migliorare un po’. questo paese sciatto e appiattito troppo spesso sulla mediocrità e il servilismo. il Direttore

Una bella cerimonia in grande stile

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e maniche della toga nera erano un po’ troppo lunghe, la vita un po’ troppo larga, la cerniera si tirava su a fatica. Il tocco era scomodo e instabile. Il giorno del diploma, fissando nello specchio una ragazza che non riconoscevo in quella che sarebbe stata la mia camera ancora solo per poche ore, la mia mente era invasa da queste futili considerazioni, la grande emozione che provavo mi impediva di concentrarmi su qualcosa di anche solo vagamente più importante. Avevo visto così tante foto del cosiddetto “Commencement” (inizio), cioè la cerimonia del diploma, sentito così tanti racconti, creduto che fosse un giorno così lontano che non potevo capacitarmi di come quella ragazza con una toga un po’ troppo grande fossi davvero io, sembrava solo la settimana precedente quando, totalmente disorientata, ero entrata per la prima volta in quella stessa camera. Meno di un’ora più tardi io e tutti gli altri seniors, gli studenti della Class of 2015, eravamo allineati in fila per due, percorrendo il sentiero che ci avrebbe portato fino al tendone dove la cerimonia si sarebbe svolta. Avanzando a passi lenti ma decisi, eravamo un’incombente grande massa che marciava speranzosa verso il proprio futuro. Guardandomi intorno non vedevo, infatti, che sorrisi raggianti accompagnati, tuttavia, dalla paura negli occhi di lasciare il luogo che ci aveva cullato dolcemente per gli anni più belli della nostra vita:

mancavano solo tre ore al momento in cui avremmo detto addio al campus che era diventata la nostra casa e alle persone che erano diventata la nostra grande, amatissima famiglia. La cerimonia è stata in grande stile, così come piace agli Americani, con tanto di rappresentante ufficiale del Massachusetts, una decina di fotografi e come oratore il capo del dipartimento di inglese di Harvard University. Seduta al posto prestabilito, mi immaginavo fra una trentina d’anni, intenta a raccontare ai miei figli la realizzazione del mio sogno americano; mi chiedevo come avrei riassunto il mio anno all’NMH, per poi capire che non avrei mai potuto “riassumere” un’esperienza come questa, ma semplicemente blaterare per ore e ore, ricordando l’incontro con la mia compagna di stanza ed il caldo abbraccio in cui mi ha subito avvolta, le ore passate a notte fonda su problemi di matematica apparentemente irrisolvibili, la fatica degli allenamenti quotidiani che mi lasciavano completamente esausta, le riunioni di dormitorio ogni domenica sera, le pizze condivise quando i 29 gradi del Massachusetts rendevano impossibile andare in mensa, la passione tangibile di qualunque insegnante io abbia avuto, le riunioni del giornale della scuola, ed infine il modo in cui ero stata incondizionatamente accettata ed amata. Soprattutto, però, sapevo che avrei raccontato loro come l’NMH mi abbia trasformato in una giovane donna pronta a lasciare il nido, insegnandomi giorno dopo giorno che non c’è limite che io non possa superare e che non c’è sogno che io non possa realizzare. Sapevo che avrei raccontato loro che quella cerimonia non era la fine di qualcosa di magnifico, ma semplicemente l’inizio di qualcosa di più grande, così come la parola “Commencement” suggerisce. Silvia Martelli Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 41


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Talenti musicali/Riky Anelli

Se c’e l’impegno arrivano risultati di Ivan Tassi

Dopo il successo di Sanremo del 2001 ha continuato il suo percorso artistico con grande serietà accumulando successi. Viene considerato «uno dei musicisti italiani più talentuosi e multiformi degli ultimi anni»

Ravasio: “Riky Anelli è la mia anima gemella musicale”

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lasse 1981, misanese doc. E’ il modo più veloce per presentare Riky Anelli: una persona semplice e piacevole come le sue canzoni. Il suo successo è frutto dell’impegno e della gavetta fatta negli ultimi dieci anni. Sin da giovanissimo muove i primi passi nell’ambiente musicale esibendosi in diversi locali. Come dimenticare quando, a soli 19 anni, è il vincitore dell’accademia Sanremo (Sanremo Giovani) primo tra 1400 partecipanti. Il concorso nel 2001 lo porta sul palco dell’Ariston nel prestigioso Festival di Sanremo come “nuova proposta”. Il festival diventa un trampolino di lancio che gli permette di espandere la sua attività lungo tutta la Penisola, la Francia e la Germania. «E’ stato formativo. Mi ha fatto imparare un sacco di cose; mi ha insegnato come dosare la fiducia, a riconoscere gli “arrampicatori sociali” lontano un chilometro. Soprattutto ha fatto luce su cosa non volevo fare e cosa non volevo diventare» ricorda il polistrumentista bergamasco. Nel 2002 inizia un’importante desiderio di crescita che risulterà determinante per la formazione artistica, e Riky -armato solo della sua Gibson- rinunciando ai fasti del pop. parte e va a suonare praticamente ovunque per pochi spiccioli. Nel 2004 è musicista e “one man band” della trasmissione “L’Alieno” su Italia Uno

di cui è autore della sigla, nello stesso anno inizia l’attività di “session man” in qualità di polistrumentista ed arrangiatore. Il numero dei concerti via via cresce, una selezione di “covers” accompagna i pezzi inediti e tra un concerto e l’altro Riky studia all’Accademia Musicale di Treviglio dove, dal 2005, è insegnante di canto e chitarra. È il 2013 quando vince la targa Repubblica.it -con il brano “Svuota Tutto”- come artista più ascoltato dai lettori in occasione della partecipazione alla fase finale del “Premio De Andrè”. Si tratta di un singolo «nato in breve tempo -come ha spiegato Riky- la musica, il testo, l’arrangiamento sono quasi del tutto “buona la prima”. Succede quando hai degli ottimi collaboratori e ti senti in perfetta sintonia con te stesso. Ho composto prima la musica, il riff mi è uscito per caso, un pomeriggio prima di un concerto». Nel brano spicca il tema della crisi con «parole vicine a chi soffre per la mancanza di lavoro e per la povertà; uno sfottò ai potenti e ai party mondani». Protagonista del video della canzone è il Pinocchio collodiano, adulto, rappresentato in chiave goffa. Un’idea nata a sei mani «con Francesco Matano e Marco Pedrazzetti protagonista del video. Abbiamo rivisitato la figura del burattino bugiardino in un contesto moderno- spiega il cantautore- Pinocchio adulto è sempre l’adorabile

regamo - «Riki Anelli l’ho conosciuto grazie ad un amico cantautore dialettale che si era affidato a lui per la realizzazione di alcuni suoi brani. Da tempo sentivo magnificare dal suddetto il talento creativo dell’Anelli, le sue doti compositive, le sue capacità di arrangiatore o per dirla all’inglese di producer... “Ghe crède”... rispondevo, ma già al liceo i prof. mi definivano uno “scettico blu” (personaggio di una canzone degli anni venti), per cui ascoltavo con sufficienza quanto mi si diceva. Sempre per compiacere l’amico in questione ho accettato di cantare alcune strofe di una canzone nello studio di registrazione Anelli-Matano e fin da quel primo incontro sono rimasto ben impressionato dalla professionalità del binomio e soprattutto dalla simpatia e dal clima sereno che i due creavano in studio. Forse l’aura conviviale ci ha fatto stappare qualche bottiglia di troppo, ma vuoi mettere che soddisfazione incidere divertendosi, rimanendo tranquilli e concentrati dopo anni in cui mi è sempre pesato tale passaggio nella preparazione di un cd. L’apprezzamento per l’artista è successivo al feeling che mi suscitava la sua compagnia... L’amìs, l’è spècc indo che s’vèd i stèss pensér... quando si dice affinità elettive... Non è mai troppo tardi (mi vien da concludere) per trovare l’anima musicale gemella, pur nella diversità dei generi. Entrambi cantiamo le nostre emozioni con autenticità e per quanto ci è concesso con un gran desiderio di far poesia... Perché come dice Paolo Conte: “Noi suoniamo e suscitiamo sentimenti / e i sentimenti se ne vanno/a impigliarsi nei capelli tutti biondi /della moglie di Angiolino”». Luciano Ravasio Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 43


Riky Anelli

Il Cd in omaggio e le origini

Anime rock di nuovo salvate dagli S.O.S. di Daria Locatelli

Il Cd che avete trovato in questo numero de “la tribuna” è un omaggio dei Save Our Souls (prodotto da NDS Music), tornati dopo vent’anni a calcare le scene in occasione dell’anniversario dell’album “Negli Occhi” con un tour internazionale e la stessa missione salvare le anime rock

menzognero di una volta, solo che ora le bugie fanno male…». Agli inizi del 2014 arriva la firma del contratto discografico con la “Saar records” storica etichetta discografica milanese con cui il singolo vincitore del premio Repubblica.it inizia a girare in radio. Nell’estate dello stesso anno Riky è il vincitore assoluto del premio “Anacapri Bruno Lauzi - Canzone d’Autore 2014”, con il brano inedito “Una mattina che vale”, e vincitore della targa S.I.A.E. come migliore autore. Premiato da Roberto Vecchioni e da Giordano Sangiorgi del MEI, al cui festival si è esibito come ospite lo scorso settembre a Faenza. Il brano lo ritroviamo nell’album “Considerazioni Notturne” che ha lanciato nel novembre scorso «Contiene racconti di vita. Parla della strada, delle scelte, dei momenti di solitudine alternati a quelli di festa. Parla di pace, di indulgenza, del percorso difficoltoso che ho deciso di intraprendere unendo musica impegnata e impegno sociale». Riky è infatti testimonial di Amnesty International da alcuni anni e ci piace ricordare il bel concerto che da oltre dieci anni offre gratuitamente in quel di Offanengo, vicino a Crema, dove in occasione del Carnevale viene organizzata una festa in cui i protagonisti sono i ragazzi disabili. Le soddisfazioni sono arrivate dopo anni di impegno e gavetta, i premi e poi l’album abbinato a numerosi concerti qua e là per il Paese, spesso accompagnato dalla sua band, “The Good Samaritan”. Stiamo parlando di un album che indubbiamente è stato apprezzato dagli esperti del settore, come testimonia l’articolo apparso in merito sul prestigioso magazine “Guitar Club”, che definisce il cd «da ascoltare con attenzione» e Riky Anelli «senza dubbio tra i musicisti italiani più talentuosi e multiformi degli ultimi anni». Per trovare la conferma di questi giudizi basta semplicemente ascoltare l’album.

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I

l 2015 è l’anno della reunion di un gruppo che negli anni ’90 ha fatto innamorare del rock italiano tantissime anime: gli S.O.S. Save Our Souls. La band ha deciso di riunirsi ed iniziare un nuovo cammino celebrando con un CD Remastered ed un tour internazionale l’anniversario ventennale dall’uscita dell’album “Negli occhi”. Il disco, che vide Paolo Fanzaga alla produzione artistica e l’ingegnere del suono John Grimes (già al lavoro con gli U2) alla consolle, nel 1995 registrò la vendita di oltre 5000 copie da etichetta indipendente e portò agli S.O.S. ad essere uno tra i più noti gruppi italiani emergenti del panorama musicale. Gli anni ’90 hanno regalato agli S.O.S., oltre che più di 300 concerti in tre anni, anche importanti riconoscimenti da pubblico e critica in concorsi e rassegne nazionali dedicate alla musica: è del 1993 la vittoria di “Rock Targato Italia”, seguita due anni dopo da “Ritmi Globali” e “Top Rock”. Sui palchi nazionali solcati dalla band si sono avvicendati negli anni numerosi musicisti, rendendo gli S.O.S. una sorta di “bottega artigiana” che si vede oggi riunita sotto la luce della passione per il rock inedito e la voglia di proseguire un cammino mai abbandonato. Il tour ha avuto inizio lo scorso marzo, toccando in poco tempo numerose tappe: Crema (The Beat Cafè), Genova (Fiera Internazionale della Musica), Castelleone CR (Triantan), San Pellegrino (Beerghem), Bergamo (Happening). Chi ha assistito alla performance degli S.O.S. in uno di questi live ha avuto modo di conoscerne i protagonisti: Marco “Bruco”

Ferri (autore, voce e frontman), Simone Trevisàn (chitarra), Nicola Mazzucconi (basso) e Milly Fanzaga (batteria). Il tour #negliocchianniversario si è aperto a Crema in memoria di Marco Manai, scomparso prematuramente nel 2003, cui è stato reso omaggio dai membri e dai fan della band, cantando numerosi brani scritti e suonati dal compianto bassista degli S.O.S. «Era nell’aria da diverso tempo -spiega Marco “Bruco”- e sappiamo che ci sono

“Negli occhi Remastered”

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ono sette le tracce contenute nell’album “Negli occhi” registrato tra il 6 ed il 18 marzo del 1995, non in uno studio di registrazione ma nel locale Piper Rock Cafè a Calvenzano. Una scelta voluta dell’ingegnere del suono John Grimes per catturare in modo fedele ciò che lo aveva colpito assistendo alle esibizioni dal vivo dei “salvatori di anime rock”, così come quella della strumentazione tra cui un registratore a 24 tracce ed un banco di missaggio rigorosamente analogico. Sotto la direzione artistica di Paolo Fanzaga il risultato è uno spaccato fedele di un periodo importante del rock italiano. “Cuore” e “Paese di sabbia” sono i brani forse più rappresentativi e


ancora molte pagine da scrivere di questo viaggio sulla “nave dei sogni”. Ci divertiamo molto sul palco o in studio, anche perché ognuno di noi in questi anni ha acquisito un bagaglio di esperienze ed una maturazione musicale e professionale che sono forti stimoli per il processo creativo». Quando i musicisti della band escono sul palco e viene accennato l’attacco della prima canzone, ecco che si crea un quadro la cui didascalia riporta “Salveremo le vostre anime rock”. Guardando il pubblico si possono osservare i fan di allora, che cantano a squarciagola le canzoni che conoscono a distanza di 20 anni e si scambiano sguardi d’intesa dai sottotitoli che rimandano a esperienze, serate, trasferte condivise e chissà quali ricordi cui le note li riportano; poi si intravedono persone che per la prima volta assistono a un live degli S.O.S., incuriosite da quella passione rock che inonda dal palco, forse un po’ malinconiche per non poter far parte di coloro che con orgoglio affermano “io c’ero” con la voce, con una maglietta storica, con un CD autografato o una fotografia che viene assunta a testimo-

nianza. Ci sono anche coloro che si chiedono come sia possibile che il tempo non abbia scalfito il potere degli S.O.S. e la risposta la ottengono assistendo al concerto, venendo inglobati nei ricordi degli altri, nell’amore per la musica e dal rock che illumina i presenti “negli occhi”. «Il supporto e l’affetto del pubblico sono sempre stati elementi importanti -continua Marco “Bruco”- presenti anche nei momenti di inattività della band e che ci hanno regalato tantissime emozioni e ricordi indelebili». Gli S.O.S. ripartono proprio da qui, registrando i brani, incisi già nella memoria dei fan, arricchendoli del bagaglio di esperienze che hanno collezionato in questi anni. Ascoltando “Negli occhi remastered”, disponibile sia sugli store digitali che in CD, si ha come l’impressione di bere un buon vino, per il quale si è atteso il tempo necessario affinché divenisse ancora più buono. Il tour #negliocchianniversario proseguirà nel mese di luglio a Morengo il 4 (Festa delle Associazioni), il 7 a Caravaggio (Beer on the road) e il 10 a Brescia (Tana degli Elfi). Sul sito www.sosrock.

Sotto il titolo uno scatto della formazione ’93-’96 degli S.O.S. Da sinistra: Milly Fanzaga, Bruco, Simone Trevisàn, Marco Manai. A sinistra Marco “Bruco” Ferri alla Fiera Internazionale della Musica a Genova. Sopra e sotto due scatti del servizio fotografico realizzato da Tiziano Ornaghi per NDS Music.

band sono disponibili tutti gli aggiornamenti delle iniziative in programma. I live degli S.O.S. sono aperti dagli Scaremen, rock band capitanata dalla giovanissima cantante calvenzanese, Asia Pascal, che insieme agli altri membri del gruppo, a suon di note ed una carica travolgente, fa capire al pubblico che il rock è una passione senza età e che passa di generazione in generazione come il testimone di una staffetta che viene cedutao dagli S.O.S. agli Scaremen quando si danno il cambio sul palco. In autunno gli S.O.S. saliranno sui palchi di Shanghai, esibendosi alla fiera internazionale Music China e nei club della città. Sarà l’occasione per la band di far valicare i confini continentali al “rock made in Italy” e di “salvare le anime” anche a più di 10000 km di distanza da qui, ma sempre con la stessa passione per il rock “negli occhi”.

caratterizzati dagli assolo del chitarrista Simone Trevisàn. L’album segna anche l’inizio della collaborazione nella scrittura tra Marco Ferri e Marco Manai. La ristampa del 2015 “Remastered” è stata realizzata graficamente da Juri Brollini, che già aveva curato la precedente edizione. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 45


Coro Icat/Una storia Trevigliese

L’epopea Bittante finisce nel 1976 di Tienno Pini

Dopo la consueta pausa di preparazione invernale, anche il 1975 sembrava presentarsi sotto i migliori auspici, ma Paolo Bittante -direttore e vero fondatore artistico dell’Icatvenne promosso capo area commerciale Same in Puglia...

I

l 1974 si concluse quindi con la 3a Rassegna Canti Popolari “Città di Treviglio”, sempre con cori ospiti di prestigio (nella fattispecie il Monte Cesen di Valdobbiadene, il Rosalpina di Bolzano ed il Castel di Conegliano Veneto), manifestazione avviata a divenire in breve tempo una delle “classiche” nel suo genere a livello nazionale. Dopo la consueta pausa di preparazione invernale, anche il 1975 sembrava presentarsi sotto i migliori auspici. Il Coro era oggetto di molte attenzioni ed altrettanti inviti: ecco dunque la partecipazione in marzo alla 2a Rassegna di Canti Popolari a Lodi, il concerto per gli Amici del Rwanda tenutosi a Treviglio al Cinema Ariston con l’altro coro cittadino l’Ars Nova, diretto da Luciano Fanton, manifestazioni che contribuirono alla messa a punto dell’ICAT in previsione di impegni più importanti e probanti.

Paolo Bittante, direttore pendolare

Ma la vera e più importante novità non riguardò nè il repertorio nè la partecipazione a importanti manifestazioni corali. Dall’inizio dell’anno Paolo Bittante, direttore del Coro praticamente dalla fondazione e certo uno dei maggiori artefici delle affermazioni del sodalizio trevigliese, era stato trasferito dalla SAME Trattori, di cui era dipendente, dalla locale Direzione Vendite alla Puglia, quale Responsabile di Area. Si apriva così un grosso punto di domanda circa il futuro prossimo del Coro, cui tutti i componenti risposero decidendo di stringersi intorno a Paolo, confermandogli affetto e stima, chiedendogli di non abbandonare il Coro: Paolo sarebbe rimasto il Direttore dell’ICAT, avrebbe approfittato delle periodiche visite presso gli uffici SAME di Treviglio per “provare” con i suoi coristi, mentre tutti gli inviti ed i conseguenti impegni sarebbero stati valutati in funzione della loro importanza (essendo giocoforza non poter aderire a tutti indiscriminatamente viste le ovvie difficoltà), facendosi carico il Coro delle spese di trasferta di Paolo dalla Puglia alla sede dei vari impegni corali. A tal proposito il primo vero banco di prova fu dapprima la partecipazione in maggio alla 2a Rassegna Internazionale di Canti Popolari e della Montagna di Asti e poco dopo

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alla 3a Rassegna Cori di Ispirazione Popolare tenutasi a Bologna il 21 ed il 22 giugno. In particolare per Bologna Paolo ed i coristi giunsero nel capoluogo felsineo nella tarda mattinata di sabato 21, il primo con il pendolino proveniente da Bari ed i secondi con il solito pullman granturismo da Treviglio. Il pomeriggio venne occupato in gran parte dalle prove, volte soprattutto a ricompattare le voci ed il gruppo, considerata anche l’importanza dell’impegno serale: un concerto presso la Sala Bossi del Conservatorio di Bologna. L’accoglienza ed il riscontro del pubblico furono tali da far dimenticare a tutti le difficoltà degli ultimi tempi e da moltiplicare le forze e gli ardori dei componenti il Coro, coristi e staff. Dopo il concerto si fece notte fonda cantando in molti angoli della vecchia Bologna e ad ogni brano si andava riannodando il rapporto direttore-coristi. Il giorno successivo altra scorpacciata corale tra ricevimento ufficiale in comune, in Piazza Grande, esibizioni estemporanee in diverse piazze del centro per finire con il concerto pomeridiano all’aperto. Ed ecco al calar del sole i coristi riprendere l’autostrada per casa e Paolo il pendolino per tornare alla propria sede di lavoro, tutti fortificati dalla distanza e dalla nuova esperienza della direzione pendolare.

Sabato 19 luglio replica in quel di Susa, dove il Coro fu l’ospite clou della manifestazione tenutasi all’interno del suggestivo Teatro Romano. Ed anche in autunno pur a fronte di impegni probanti e della massima importanza, l’assetto, pur provvisorio che il coro si era dato, tenne benissimo, con solo qualche piccolo problema economico dovuto alle impegnative trasferte che ogni volta Paolo Bittante doveva sobbarcarsi. Fu così che nel giro di meno di un mese il Coro sì esibì, tra settembre ed ottobre, prima a Massa Lombarda, quindi a Conegliano Veneto, poi a Volterra ed infine a Treviglio, per l’ormai immancabile Rassegna di Canti Popolari. Si chiudeva in tal modo un anno difficile ma anche ricco di grandi soddisfazioni, capace di allontanare i sinistri presagi che diversi avevano paventato. Nel 1976, dopo il travagliatissimo ritorno di Bittante alla Direzione SAME di Treviglio, il Coro poteva riprendere con maggiore tranquillità l’attività concertistica, con prove meno sporadiche e casuali. Ecco in sintesi i principali impegni di quell’anno: in febbraio


ospiti d’onore ad un concerto a Monfalcone, nel mese di maggio esibizioni varie per la raccolta fondi per i terremotati del Friuli e partecipazione alla rassegna di canti popolari a Castelfranco Emilia, nella splendida cornice del parco di Villa Sorra, residenza patrizia settecentesca. In tale occasione il presentatore della manifestazione (musicologo) definì l’ICAT “perla della rassegna, certamente uno fra i più splendidi cori oggi in attività in Italia”. In giugno altra partecipazione, l’ennesima, al Festival Corale dell’Appennino Reggiano di Toano, ormai affrancatosi da ambizioni di graduatoria. Quindi in luglio partecipazione in Piazza Grande a Modena alla Rassegna di Complessi Corali di Ispirazione Popolare, organizzata dal Teatro Comunale (con ingresso a pagamento a 1.500 Lire, equivalenti a circa 7 euro attuali!); per la cronaca, in tale circostanza il depliant della manifestazione riportava l’opera del maestro trevigliese Trento Longaretti tratta dalla copertina del secondo 33 giri dell’ICAT! Dopo una breve pausa estiva pronta ripresa dell’attività in settembre con concerto

a Carpi, quindi a Bergamo in occasione del raduno europeo dei ferrovieri (i cosidetti “cheminots”), poi la partecipazione ad una rassegna corale a Brescia, per poi giungere in ottobre alla consueta rassegna corale trevigliese, giunta alla 5° edizione ed alla definitiva consacrazione. Ma tutto quello che poteva apparire come una ripresa beneaugurante per il futuro del Coro a breve avrebbe lasciato spazio ad un vuoto incolmabile.

Paolo Bittante lascia il coro Infatti, la soluzione che aveva riportato Bittante a Treviglio come sede di lavoro evidenziò da subito significative problematiche per lo stesso Paolo Bittante che in breve tempo si acuirono oltremisura e che lo indussero a valutare altre possibilità di lavoro, lontane da Treviglio, con il trasferimento dell’intera famiglia. Fu così che all’inizio dell’autunno 1976 Bittante concludeva la sua magnifica avventura con l’ICAT e il Coro si trovò, suo malgrado, senza Direttore, un apprezzato armonizzatore e autore, ma soprattutto senza

un amico ed una figura carismatica che tanto aveva contributo alla sua rapida ascesa in ambito corale nazionale. Si chiudeva il primo grande capitolo della Storia del Coro. (7 – continua)

Le immagini

Nella prima fotografia a sinistra, scattata ad Asti, la “Seconda Rassegna Internazionale di Canti Popolari e della Montagna”, quindi Paolo Bittante mentre dirige il coro Icat. Sopra l’Icat mentre si esibisce con un suo concerto nel Teatro Romano di Susa (To). In basso a sinistra Concerto in Conservatorio nella Sala Bossi di Bologna, poi l’8° Festival dell’Appennino Reggiano a Toano. Sotto Paolo Bittante in uno scatto emblematico e di qualità.

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Personaggi/I nostri grandi artisti

Mario Bettinelli, Parigino a Treviglio di Silvia Bianchera Bettinelli

Di famiglia trevigliesissima, cresce a Brescia dove frequenterà ragioneria, ciò non gli impedirà di far valere il suo talento pittorico che lo trasformerà in uno dei più valenti artisti di spessore internazionale dell’800

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ilano - “Un parigino di Treviglio“.Con queste parole il critico d’arte Mario Soresina, sulla rivista ‘La Scala’ del giugno 1954, intitolava un lungo esame critico sulla personalità pittorica di Mario Bettinelli (1880 -1953). Proprio a Treviglio si è svolta ad opera di Malala, lo scorso aprile, la terza edizione del Concorso Pianistico Internazionale Bruno Bettinelli, il grande compositore e didatta milanese, figlio di quel Mario cui dedichiamo queste righe. Ma andiamo per ordine. Intorno al 1850, Giovan Battista Bettinelli sposa Francesca Assandri, entrambi trevigliesi. Dal matrimonio nasceranno Cina, Lina, Battista, Mario e Angelo. Questi ultimi diverranno importanti figure del mondo dell’arte: noto pittore il primo, come già detto, pianista, compositore, maestro sostituto alla Scala, il secondo. Una bella strada di Milano, nella zona dei Navigli, li ricorda entrambi. Soffermiamo ora l’attenzione su Mario. Nel 1882, quando egli ha solo due anni e Angelo quattro, la famiglia da Treviglio si sposta a Brescia, a causa del trasferimento lavorativo di papà Giovan Battista. A Brescia, Mario completerà “obtorto collo” gli studi di Ragioneria, per soddisfare le esigenze paterne, ma poi potrà, finalmente, dedicarsi a tempo pieno alla sua propensione artistica frequentando la Scuola ‘Moretto’, presso la

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quale troverà un grandissimo Maestro: Cesare Bertolotti, che fu a sua volta allievo del Bertini. Per Mario l’applicazione e l’impegno divengono quasi forsennati e le prime gratificazioni non si fanno attendere. Nel 1898, a diciotto anni, ottiene la sua prima medaglia d”argento. Al termine del servizio militare (sottotenente e tiratore scelto) guadagna una seconda medaglia d”argento, sempre presso la Scuola ‘Moretto’. A vent’anni iniziano per

lui le prime mostre collettive, anche a fianco dello stesso Bertolotti, e le personali nei luoghi-culto bresciani: la Pinacoteca TosioMartinengo, palazzo Bargnani. Con Giovan Battista Bosio presenta in quegli anni un buon numero di quelle caricature (ma Mario

preferiva chiamarle “maschere caricaturali“), che lo avrebbero reso celeberrimo. A proposito di questa sua propensione alla “deformazione” dei lineamenti, un notevole stuolo di critici tra cui il Marangoni, il Salvaneschi, Bisi e lo stesso Carlo Carrà volle dare una chiave di lettura anche di tipo psicanalitico, proprio per questo suo voler evidenziare nel soggetto raffigurato, il lato “grottesco” oppure “tragico” o “beffardo”. A chi gli chiedeva da dove gli venisse il gusto per quella sua dote, rispondeva sorridendo: ho preso da mia madre, lei con due frasi tracciava con arguzia il ritratto di amici e parenti, io lo faccio con due pennellate! Proprio con la caricatura vincerà due medaglie d’oro; la prima nel 1913 a Bergamo all’Esposizione d’Arte Umoristica, la seconda nel 1914 presso l’Associazione La Patriottica a Milano. A Milano vive ormai da alcuni anni con la moglie Cesira Busi. Il figlio Bruno vedrà la luce nel 1913. È di quegli anni la sua nomina a Socio Onorario dell’Accademia di Brera e della Permanente. All’Esposizione Nazionale delle Belle Arti del 1916, il dipinto Ebbrezza viene premiato con la Grande Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione. Le numerosissime esposizioni presso le gallerie d’arte più prestigiose diedero dunque a Mario Bettinelli una fama straordinaria. Si diceva che le più belle (e ricche) signore milanesi dovessero appendere in salotto un loro ritratto dipinto da Bettinelli. “Il pittore della bellezza e della grazia femminili” così lo definì in un suo celebre saggio il critico d’arte Vittorio Giglio. Mi piace ricordare a tale proposito due splendidi ritratti compiuti negli anni 40, che esaltano il fascino di due signore: le bellissime Adriana Poletti Galimberti e Renata Fercioni, figlia del noto sarto tosco-milanese. La lunga permanenza in Brasile, dal 1924 al 1925 per ritrarre il neo eletto Presidente della Repubblica e dei suoi famigliari e altri importanti nomi della politica, lo portarono


Da sinistra: la madre Francesca Assandri, autoritratto di Mario Bettinelli in veste wagneriana, ritratto di modella, il padre Giovanbattista, ritratto di giovinetta. Sotto da sinistra: la targa della via milanese, ritratto ad olio di Marisa e caricatura di Gabriele D’Annunzio

ad arricchire la sua tavolozza con nuovi panorami, nuove luci, nuove esperienze pittoriche. Ed è proprio a Rio de Janeiro, presso l’Ambasciata italiana, che si trova esposto l’enorme trittico ad olio “La Rinascenza Italica”. Nel 1928 sarà successivamente impegnato, in Italia, nel grande ritratto ad olio raffigurante i membri della famiglia del Presidente del Consiglio. Le assidue frequentazioni, talvolta l’amicizia, con intellettuali, musicisti, letterati, colleghi pittori e scultori, furono sempre per Mario Bettinelli un importante stimolo di confronto e rinnovamento. Penso agli artisti che con lui condividevano le serate ‘creative’ presso la società ‘Patriottica’ di Milano: Aldo Carpi, Galli, Greppi, Renato Simoni, Giuseppe Leoni, Paolo Sala, Giacomo Puccini all’apice della sua fama e il figlio Antonio, Ettore Tito, Umberto Giordano, il grande compositore di “Andrea Chénier”, con cui Mario, ma anche il fratello Angelo,

condivideva la passione per la fotografia, ed anche Achille Beltrame autore di un bellissimo ritratto di Mario. Mio marito Bruno, ovviamente, mi parlava spesso del suo papà, della sua amicizia con Filippo Turati cui dedicò un’importante caricatura, ed anche della frequentazione, per motivi di lavoro, con l’antiquario milanese Andreani, noto antifascista. Tale frequentazione gli costò alcuni giorni in guardina, trascorsi, ovviamente, ritraendo i secondini... Per concludere queste righe dedicate a Mario Bettinelli, mio suocero, con un pò di commozione, trascrivo quanto mi raccontava mio marito: “Pochi giorni prima di mancare, papà mi disse: sai Bruno, mi dispiace di morire perché non potrò più lavorare”. Più trevigliese di così! Lavori di Mario Bettinelli sono oggi conservati in importanti Gallerie, Musei, Collezioni private: Palazzo Reale, Palazzo Isimbardi, Istituto dei Ciechi, Museo Teatrale della Scala a Milano, Museo Tosio Martinengo a Brescia, Cassa Rurale di Treviglio, Accademia Tadini di Lovere, Collezioni Greppi Poletti Galimberti, Léonard Bernstein di New York.

Gastoldi, musicista raffinato

G

di Hana Budišová

iovanni Giacomo Gastoldi nasce a Caravaggio intorno al 1555. È stato cantante, compositore e maestro di cappella del periodo madrigalistico tardo rinascimentale. Il genere del Balletto da lui codificato fu ripreso con successo da numerosi musicisti in Inghilterra e in Germania. La sua formazione musicale avvenne a Mantova (dove lavorava suo padre come servitore della corte) nella cappella della chiesa di S. Barbara. Lì Gastoldi diventò maestro di canto figurato e contrappunto della chiesa ducale. Nel 1581 entrò come cantore alla corte di Mantova e nello stesso anno pubblicò a Venezia il suo primo libro di canzoni. Nel 1594 pubblicò i Balletti a 3 voci che, insieme con i Balletti a 5 voci, rappresentano le opere a cui il Gastoldi deve gran parte della propria fama e che furono successivamente ristampate decine di volte in Italia e all’estero. Nel 1608 si sarebbe trasferito a Milano, in qualità di maestro di cappella, dove morì un anno più tardi. È stato un musicista raffinato e versatile. Ha scritto numerosissimi brani sia della musica sacra sia quella profana. Incontrò un grande successo, soprattutto dopo la produzione dei Balletti, molto in voga ai suoi tempi. La fama di Gastoldi non si esaurì con la sua scomparsa e la pubblicazione delle sue opere proseguì incessante negli anni seguenti. (Balletto, nato dalle canzonette e dalle villanelle popolari, ha avuto origine nel sedicesimo secolo presso le corti rinascimentali italiane e veniva impiegato per accompagnare spettacoli di danze mimate. Dal balletto, successivamente, nasceranno le canzoni ballate.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 49


Treviglio/Viaggi nel tempo

Roma e le genti della Gera d’Adda Mediolanum da alleata di Annibale a capitale dell’Impero Romano d’Occidente. I romani scelsero di romanizzare la Gera d’Adda e l’intera Gallia cisalpina in maniera dolce, chiedendo solo truppe ausiliarie per le proprie legioni e forse il pagamento di un tributo

nero allertati dalle famose oche. La Gera d’Adda divenne terra di confine tra Insubri e Cenoni, secondo un destino che sarebbe continuato fino ai nostri giorni. A quei tempi doveva essere era poco popolata per via del lago Gerundo e dei suoi terreni acquitrinosi. Possiamo immaginare solo piccoli insediamenti sparsi di contadini e allevatori. I galli erano una presenza scomoda per i romani perché, insediati ai confini di quella che per loro era L’Italia, si davano a continui sconfinamenti con saccheggi e ruberie (Tumultus gallici). La campagna militare per domarli durò qualche anno con fasi alterne ma alla fine, con la conquista di Mediolanun (229 a.C.) si giunge alla pace, con l’imposizione di tributi, confisca di terre e la

Milano. I Cenomani si stanziarono in area bresciana e veronese, superando a occidente l’Oglio. I Boi scavalcarono il Po e scacciarono gli etruschi dalla Pianura padana meridionale. I Senoni, che si sistemarono nelle attuali Romagna e Marche, saccheggiarono Roma nel 390 a.C. guidati dal mitico re Brenno, quello di vae victis, guai ai vinti! La leggenda dice che però non riuscirono ad occupare il Campidoglio perché i difensori romani ven-

fondazione di due colonie latine strategiche, Piacenza e Cremona. Quando nel 218 a.C. Annibale cala in Italia la pax romana non si è ancora consolidata ed è comprensibile che le tribù Galliche d’Italia in buona parte si siano alleate con i cartaginesi, vedendoli come liberatori. Truppe Galliche hanno partecipato a tutte le battaglie contro i romani, compresa quella di Canne dove Annibale (che sembra non si fi-

di Elio Massimino

N

el nostro titolo abbiamo parafrasato quello di una bella mostra in corso a Brescia (Museo di Santa Giulia, fino al 16/1/2016), intitolata “Roma e le genti del Po”, che descrive le fasi della romanizzazione delle regioni padane dal III al I secolo a.C. Noi, più modestamente, vorremmo ripercorrere tale processo guardando soprattutto alla Gedda d’Adda e spingendo lo sguardo fino alla caduta dell’Impero Romano e oltre. Diciamo subito che dei Celti italici sappiamo davvero poco. Non lasciarono testi di nessun genere e nemmeno edifici o monumenti. Erano organizzati in confederazioni di tribù, vivevano sparsi in piccoli agglomerati «privi di mura» (Polibio) e non fondarono città, ad eccezione di Mediolanum. Di loro rimangono solo delle tombe piuttosto povere, contenenti pochi oggetti e, quando si trattava di uomini adulti, una spada. Per intenderci, nulla di paragonabile a quelle etrusche. I Celti (o Galli, come li chiamarono i romani) scesero in Italia tra il VI è il V secolo a.C. «a ondate successive nel tempo, provenienti da diverse aree dell’Europa centrale, ed in possesso di differenti culture» (Maria Teresa Grassi, “I Celti in Italia”). Inizialmente erano nomadi o seminomadi, «ignari di ogni scienza ed arte» dice lo storico greco Polibio, ma poi gli Insubri occuparono il milanese sino all’Adda ed oltre e fondarono

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A sinistra spada e tomba celtica del primo secolo a. C., ritrovate a Treviglio ed esposte presso il Museo Archeologico di Treviglio. Sopra il busto di Annibale di epoca romana, mentre il dipinto di Évariste-Vital Luminais rappresenta cavalieri celti che si apprestano ad attaccare l’esercito romano

dasse molto di loro) lì utilizzò al centro del suo schieramento che secondo i suoi piani doveva cedere per potere poi accerchiare i romani. Sappiamo com’è andata a finire ed è comprensibile che i romani, liquidati i cartaginesi, abbiano subito pensato bene di regolare i conti con i Galli padani. A conclusione delle vicende militari (Guerra gallica 200-191 a.C.) i Boi che tenacemente avevano difeso la loro pianura emiliana furono completamente distrutti, mentre diverso fu l’atteggiamento dei romani verso Cenomani e Insubri, ma solo perché questi avevano abbandonato per tempo i Boi al loro destino. La Gera d’Adda quindi non conobbe la vendetta di Roma che invece scelse una politica di romanizzazione dolce. I trattati (foedera) contemplarono soltanto la fornitura all’esercito romano di truppe ausiliarie e forse il pagamento di un tributo. Non vi furono confische di terre e la classe dirigente tribale non venne rimossa. La romanizzazione si realizzò quindi attraverso una lenta penetrazione di superiori modelli culturali ed economici. In Gera d’Adda in particolare si deve essere sentita molto l’influenza della colonia latina di Cremona. I rapporti pacifici tra romani e galli cisalpini favorirono la diffusione di manufatti, tecnologie e idee provenienti dal mondo romano, oltre ai nuovi costumi che i giovani portavano a casa dopo aver prestato per anni servizio nell’esercito romano. I ricchi cominciarono a mandare i figli a studiare a Roma e la classe dirigente, pur di origine celtica, gradualmente cominciò a parlare in latino e a studiare i classici greci. Cesare avrebbe combattuto i Galli transalpini utilizzando i cisalpini ormai perfettamente integrati nelle sue legioni e per gratitudine avrebbe ispirato nel 49 a.C. la concessione agli abitanti delle province cisalpine della cittadinanza romana. Ma questa era solo la formalizzazione una situazione di fatto che si era consolidata da decenni. Le “Genti del Po” infatti erano

ormai pienamente romanizzate ed esprimevano fior di letterati e poeti, addirittura capaci di portare nuova linfa alla cultura latina. Basti pensare al veronese Catullo (n. Verona circa 85 a.C., m. Roma 54 a.C.) o al mantovano Virgilio (n. Mantova 70 a.C., m. Brindisi 19 a.C.). Le tradizioni celtiche alla vigilia dell’era cristiana ormai sopravvivevano solo in località prealpine isolate oppure nelle classi subalterne, come testimoniano le tombe del primo secolo a. C. ritrovate anche nella Gera d’Adda. Nel Museo Archeologico di Treviglio è ben conservata una tomba celtica scoperta in via XXIV Maggio risalente alla metà del I secolo a.C. (L’età di Catullo e Virgilio). Risalenti allo stesso periodo, ancora a Treviglio, in Campo San Maurizio sono stati ritrovati i resti di un bambino di circa otto anni con accanto qualche vasetto di ceramica, delle fibule, una lucerna e una spada di fattura celtica. Forse i suoi genitori, seguendo l’uso celtico, avevano voluto far riposare il bambino insieme a una spada che in casa avrà ammirato sognando di diventare un guerriero. L’impronta romana a Treviglio è riconoscibile «nel tracciato viario di alcune strade urbane e periferiche, il cui andamento perfettamente ortogonale è ascrivibile alla matrice della centuriazione che i romani impressero nell’ “ager bergomensis” in età augustea». (Barbara Oggionni, Guida turistica di Treviglio) ed è noto che l’origine della città venga fatta risalire alla riunione di tre nuclei abitativi di agricoltori di epoca romana (villae). La ex Gallia cisalpina divenne quindi uno dei poli della romanità al punto che -facciamo un balzo in avanti- ragioni strategiche consigliarono alla fine del III secolo d.C. di trasferire la capitale dell’Impero d’occidente da Roma a Mediolanum. Si ricorderà che il famoso Editto di Milano (313 d.C.), con cui l’imperatore Costantino concedeva libertà di culto ai cristiani, è stato promulgato appunto nella nuova capitale. Erano trascorsi esattamente cinque secoli da quando quella stesa città, capitale dei Celti, era alleata di Annibale. Caduto l’impero d’Occidente anche le province cisalpine vennero travolte dalle ondate dei barbari, ma forse seppero resistere meglio di altre dal punto di vista culturale e credo non sia un caso che la prima civiltà nata dalla fusione delle tradizioni latine con quelle barbariche sia nata qui in Lombardia. Sto parlando dei Longobardi, che poi estesero il loro regno su gran parte dell’Italia, tanto che stavano riuscendo ad unificarla con mille anni di anticipo. Ma quello straordinario popolo non riuscì a completare l’opera perché venne sconfitto dai Franchi di Carlo di Francia, poi chiamato Magno. Nello scorso numero di questo giornale avevo scritto che nel 1500 iniziò la calata di eserciti stranieri in Italia invitati da principi italiani. Ma, per la precisione, v’è un precedente ben più antico, che è quello di papa Adriano I. Fu lui a provocare la distruzione della civiltà longobarda chiamando i Franchi, perché temeva un’Italia unita. Ma questa è un’altra storia.

“la tribuna” Febbraio ‘80

Tomba celtica scoperta a Treviglio

Arriva in redazione la notizia del ritrovamento durante dei lavori stradali

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omba romana scoperta in Via XXIV Maggio durante i lavori di scavo della rete fognaria. Il ritrovamento è avvenuto mentre gli operai dell’impresa Milesi S.P.A. di Telgate stavano azionando l’escavatrice, di fronte alla villa della famiglia Baruffi, all’incrocio con Via Crivelli. Gli operai constatando l’improvviso cedimento del terreno hanno bloccato i lavori, scoprendo un muricciolo di mattoni e una lastra di pietra spezzata, spostati i frammenti della lastra è apparso uno squarcio. All’interno sono apparsi due piatti in terracotta nera ed una brocca probabilmente di rame. I tecnici della Soprintendenza all’archeologica di Milano in questi giorni stanno effettuando i rilievi e le ricerche del caso, ma appare comunque probabile che la tomba appartenga al periodo della Repubblica Romana, approssimativamente attorno al 200 a.C. È questa una scoperta insolita, poiché nella nostra zona si sono per lo più localizzate tombe risalenti al Tardo Romano Impero, nonché della tetrarchia (Massimiano-Costanzo-Diocleziano) risalente al 300 d.C. 1 rilievi effettuati con il contenuto della tomba, sono stati trasferiti alla Soprintendenza archeologica di Milano per ulteriori studi. Auspichiamo che presto possano ritornare al luogo d’origine dove, ci consta, nel Centro Culturale (ex ospedale S. Maria), si stia dando l’avvio ad un museo composto da Pinacoteca, Gliptoteca (raccolata di gemme incise), un settore per la toreutica, nonché un’esposizione per la paleografia d’arte. r.f. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 51


Libri/Nicola Romeo

Il campano Romeo e la lombarda Alfa di Giorgio Vailati

Il libro di Ivan Scelsa ripercorre le vicissitudini del Marchio visconteo tra l’intuito dell’imprenditore campano, la politica, l’equilibrio economico e le corse. Oltre cento pagine ricche di documentazione e immagini fotografiche

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reviglio - 1915-2015: Cento anni da quando l’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili), già al suo quinto anno di vita, viene rilevata dall’ingegnere Nicola Romeo, uomo del sud mosso da idee imprenditoriali che si legano dapprima alla produzione bellica, poi al settore ferroviario, minerario, aeronautico ed automobilistico. Il libro appena pubblicato dal nostro redattore Ivan Scelsa è proprio questo: un viaggio che dura circa un decennio e che ripercorre una storia nella storia, fatta di uomini, politica, azioni svalutate ed interessi bancari e forse da quell’idea un po’ romantica di chi, nel potenziale di quest’azienda, ha creduto sin dal primo momento. Oltre cento pagine, ricche di un considerevole corredo documentale e fotografico proveniente da importanti Archivi nazionali, tra cui proprio quello degli eredi della famiglia Romeo e della stessa Casa automobilistica e da cui emerge la figura di un uomo di quella provincia napoletana operosa e ricca di buoni propositi che, partito con una piccola impresa di 50 operai, la rende un complesso industriale tra i più importanti del Paese, riuscendo a donare una seconda vita ad un’azienda lombarda in crisi. Come dice l’autore: «Il suo sogno dura giusto il tempo di riconvertire l’A.L.F.A.

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alla produzione bellica per lo scoppio del primo conflitto mondiale e per vederla rivivere, di nuovo, per una rinascita carica di successi commerciali e sportivi. Tra personalissimi successi e alterne vicissitudini imprenditoriali, la figura dell’abilissimo

finanziere spicca e si erge a capo di un gruppo con diverse attività nel settore meccanico, ferroviario e minerario nel quale vengono incorporati gli stabilimenti milanesi del Portello con l’intenzione di riprendere la produzione automobilistica trasferendo a Pomigliano d’Arco la costruzione dei motori aeronautici». «Nicola Romeo –prosegue Scelsa– era un uomo dalle caratteristiche fisionomiche marcate: non molto alto, glabro di capelli e con folti baffi, ironico, affabile e cortese, legato alla famiglia e alla forte voglia di creare un impero grazie al suo potere di persuasione che gli vale il nomignolo di “la Sirena”. Sin dall’inizio assume l’immagine del padrone, pur rimanendo uno degli azionisti di una società spesso in debito con le banche. Al suo fianco uomini d’altri tempi: il cavalier Ugo Stella, amministratore delegato dal posto di lavoro a rischio in quella Darracq appena rilevata sull’orlo del fallimento e quel Giuseppe Merosi a cui viene attribuita proprio la nascita dell’A.L.F.A e che, tra alterne vicende, restò al suo fianco fino all’arrivo dalla Fiat dell’ingegner Vittorio Jano ed il seguente passaggio nell’orbita statale e della gestione Gobbato». Accanto a loro anche nomi entrati nella leggenda del mondo dei motori: Antonio Ascari, Giuseppe Campari, Ugo Sivocci, Louis Wagner, un giovanissimo Tazio Nuvolari, il mantovano volante e quell’Enzo Ferrari che riteneva gli uomini dell’Alfa in grado di fare anche i guanti alle mosche! «Tutti artefici del successo di quel Marchio nato, se vogliamo, anche in modo un po’ anonimo, unendo i gradevolissimi simboli del capoluogo al Biscione vi-


Personaggi/Eccellenze del giornalismo

Lucia Blini iniziò dalla Tribuna... a cura di Roberto Fabbrucci

A dodici anni scriveva e impaginava articoli sportivi, durante il liceo intervistava i giocatori dell’Atalanta, finita l’università scriveva per “la tribuna” e frequentava la scuola di giornalismo, nel settembre del 1992 nella redazione Fininvest

Sopra Paolo Romeo, mentre a sinistra l’ing. Rimini, Merosi e Ferrari alle prove del 1° Campionato d’Europa in cui l’Alfa partecipò con la G.P.R. (Monza, settembre 1923). Sotto a sinistra Ivan Scelsa mostra il suo libro

sconteo» sottolinea Scelsa. «Da qui parte la storia dell’Alfa di Romeo, legando le sue origini a quelle del suo nuovo proprietario, affrontando oltre un secolo di storia d’Italia, alternando avventure sportive a disavventure economiche». Importante, tra l’altro, l’introduzione firmata dagli ex piloti Alfa Romeo Tamara Vidali e Fabrizio Tamburini: due nomi sicuramente noti in ambiente automobilistico, capaci di evocare indimenticabili ricordi agonistici negli appassionati di motori degli anni Ottanta e Novanta. Dopo aver firmato Alfa Romeo Amarcord, Milano-Taranto. Una leggenda di macchine, chilometri e arditi piloti e Uomini e Motori. Storie e passioni bergamasche, con questo libro, Scelsa realizza l’ennesima opera di rottura con gli schemi classici dei libri di settore, proponendo uno stile di scrittura romanzato, di facile comprensione ed accessibile ai più. Anche coloro che non sono prettamente interessati al mondo dei motori, infatti, possono leggere tra le sue pagine un pezzo di storia italiana attraverso le vicende di un uomo che ha reso il marchio lombardo tra i più importanti e blasonati al mondo.

C

hiamo al telefono Lucia Blini, come sempre risponde con grande affabilità e le spiego che ho ripreso a pubblicare “la tribuna”. «Ho visto, mi fa davvero piacere, in bocca al lupo». Le spiego che mi farebbe piacere intervistarla, non tanto perché è un’amica che ha iniziato la sua avventura pubblicando i primi articoli sul nostro giornale, ma soprattutto perché è un’eccellenza del campo dell’informazione e con ciò fa onore a Treviglio e alla Gera d’Adda. Accoglie l’invito con piacere e ci diamo appuntamento presso la sede de “la tribuna” in via Roggia Vignola. Ci incontriamo di venerdì rubando un po’ di tempo ai suoi genitori che stava andando trovare a Calvenzano, per me è un piacere mostrarle la sede della Qcom che ci ospita e l’ufficio del giornale. Lucia rimane molto colpita dall’azienda, dagli spazi, dalla bellezza degli uffici e dalla gran quantità di giovani che vi lavorano. Prima di entrare nel mio ufficio le chiedo della sua attività di caposervizio della redazione sportiva di Mediaset, «Magnificamente risponde con un gran sorriso, un lavoro che mi appassiona ogni giorno, sempre...» Sono un po’ orgoglioso del suo percorso professionale, anche se non ho merito, Lucia Blini si è fatta da sola, ma qualche articolo per “la tribuna” l’ha firmato iniziando l’avventura professionale negli uffici del mio giornale, allora in piazza Insurrezione. “Come sei arrivata alle reti di Berlusconi?”, le chiedo appena ho la penna tra le mani. «I miei genitori, sapendo di questa mia passione per lo sport, mi fecero frequentare i corsi dell’Ordine dei Giornalisti a Milano, poi dopo sei mesi, tenendo conto delle attitudini, fui tra i corsisti mandati alla Fininvest a fare degli stage. Così finii nella

redazione sportiva e terminata la scuola di giornalismo fui assunta, era il 13 Settembre del 1992». Lucia spiega che giunta alla Fininvest, ha iniziato la vera e propria gavetta «Avendo la fortuna di avere accanto giornalisti molto bravi, ma anche la caparbietà e la passione per il lavoro. Infatti non mi è mai costata fatica accettare gli impegni senza badare agli orari, il sabato o la domenica...». Da brava bergamasca... «Tengo tanto alla mia origine e al fatto di avere avuto genitori grandi lavoratori con il senso del sacrificio, della serietà, dell’impegno, del rispetto dell’altro. Sono convinta che si può avere successo nel lavoro in ogni campo, se cresci in una famiglia così, se cresci con questi esempi davanti. Così anche se fai l’intervista a un grande sportivo o alla regina di Inghilterra, rimani sempre tu, con i piedi ben piantati per terra e sempre impegnata a migliorarti». Il papà però non è un appassionato di sport, tantomeno del calcio... «Il papà non è mai stato in uno stadio, non è mai andato a una partita di pallone, non gli piace il calcio. È un mugnaio da tre

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Personaggi/Eccellenze del giornalismo

generazioni, ha un mulino a Calvenzano e ha vissuto solo per il lavoro e la famiglia. Lo ricordo ancora con i sacchi di farina in spalla». Lucia spiega che la passione, forse, le è derivata da uno zio, certo è che lei seguiva alla tv ogni sport e poi, a dodici anni, scriveva già i suoi articolini sui suoi quaderni a quadretti. «Mi piaceva molto scrivere, poi corredavo i miei articoli con fotografie ritagliate dai giornali. Finite le medie al Collegio degli Angeli di Treviglio, le stesse suore mi indirizzarono al “Liceo Linguistico Capitanio” di Bergamo, anche lì continuai a fare intervistine, ma ai giocatori dell’Atalanta che si allenavano a Zingonia. Ricordo che la prima la feci in terza liceo, a Lars Larsson (giocatore svedese morto a soli cinquantatré anni lo scorso marzo). Allora facevamo cose oggi impossibili, bastava telefonare -tieni conto che avevamo quindici o sedici anni-, ci passavano i giocatori e concordavi l’intervista: “Va bene, ci vediamo davanti alla stazione dei treni”. Tu arrivavi con il registratore e facevi l’intervista». Quale è il segreto del successo nel lavoro? «Grande impegno, dedizione e mantenere sempre, anche dopo anni il desiderio di imparare, apprendere, migliorarsi. Passione. Poi devi saper ascoltare e seguire chi è più bravo di te». Chi più bravo di te, visto che sei a capo dei quarantaquattro redattori della redazione sportiva di Mediaset? «Ho un direttore molto bravo, lo ascolto e capisco che ho spazi per migliorare. Poi è importante avere il desiderio di confrontarsi con gli altri, con tutta la redazione, non sentirti mai superiore, essere consapevole di giocare in una squadra, sentirti nel luogo giusto a fare il lavoro che ti piace». E il personaggio che ti è rimasto nel cuore? «Marco Pantani, che ho avuto l’occasione di intervistare più volte, soprattutto seguendo il Giro d’Italia. Forse perché l’abbiamo visto cadere, rialzarsi e ogni volta che aveva un incidente mi mandavano a intervistarlo, ascoltarlo. Lui che mi accoglieva sorridente dicendo “lo sapevo che saresti arrivata” e

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mi parlava del ciclismo, della passione e dei suoi problemi. Si tra i grandi personaggi che ho intervistato, molti, Pantani è quello che ricordo con più affetto». Torniamo indietro di un passo, come sei arrivata alla Tribuna? «Mio zio Andrea (lo zio sportivo) nel 1991, quando vide che la mia passione per il giornalismo era una cosa seria, mi consigliò di iniziare a sperimentarla su di una rivista vera, non sui giornalini scolastici, così mi indirizzò alla Tribuna, dove scrissi qualche articolo prima di iniziare la scuola di giornalismo a Milano. Ti avevo chiesto di fare qualcosa anche per la Tv -voi allora facevate il Tg per Studio Uno- ma non era compatibile con i miei impegni a Milano. Ricordo che il primo articolo per la Tribuna non fu di sport ma sulle donne, un convegno all’Hotel Cristallo Palace di Bergamo, mi accompagnò una tua collaboratrice, ricordo che andammo a Bergamo con la sua Y10». Come sono i rapporti con Calvenzano, il tuo paese di nascita? «Vorrei tornarci più spesso, ci sono i miei genitori è il luogo dove c’è l’aria che respiravo, ma gli impegni non me lo consentono. Ho comunque conservato tutte le amicizie antiche, soprattutto quelle delle elementari e delle medie a Treviglio, al Collegio degli An-

A sinistra Marco Pantani, sopra l’Atalanta 1984-1985: il secondo accosciato da sinistra è Lars Larsson. Sotto Lucia Blini in un collegamento da Londra durante le Olimpiadi.

geli, in particolare con Cristina Moscatelli, la mia amica del cuore, la mia compagna di banco con cui mi sento due o tre volte la settimana. Poi sono rimasta amica di Alessandra Ferri, anche lei trevigliese, con la quale ho preparato gli esami di giurisprudenza e li abbiamo fatti insieme all’università. Per motivi logistici ho dovuto avvicinarmi a Cologno Monzese, dove ci sono gli studi, ma quando posso torno a casa volentieri. Fare per esempio una passeggiata a Treviglio in via Roma mi piace sempre». E di Calvenzano cosa ricordi? «L’estate e le biciclette. Le biciclettate, sempre: per venire a Treviglio, per fare una passeggiata, per andare a prendere un gelato ad Arzago». Per riposarti quale è il luogo che preferisci? «Gli unici luoghi dove trovo la familiarità di casa, di Calvenzano e Treviglio, sembrerà davvero curioso, sono Londra e la Sardegna. La Sardegna per il suo mare che amo tanto e mi rilassa, Londra perché ci sono stata spessissimo e con le persone a me più vicine, più care: mia madre, mia figlia, il fidanzato, il marito, le amiche...». Quale è la domanda che non ho fatto e ti piacerebbe facessi? «Mi piacerebbe mi domandassi quale sogno ho nel cassetto...» Quale sogno hai nel cassetto? Lucia sorride e risponde: «Vorrei partecipare ancora una volta a un’Olimpiade. Ho fatto Atene, Pechino, Londra. L’Olimpiade ti da così tanta energia che poi vivi di quella per anni».


Associazioni/Il volontariato sportivo

La Bussola per educare al calcio di Ivan Scelsa

Lo sport non è solo competizione, ma anche un valido strumento per educare bimbi e ragazzi a socializzare e lavorare in gruppo. E’ la missione della Scuola Gioco Calcio “La Bussola”

U

n bambino di sei anni a cui viene posta la domanda: “vuoi giocare a baseball?” (disciplina sportiva per lui sconosciuta) ha risposto: “è un gioco per giocare o un gioco per vincere?”. La sua interpretazione così spontanea, apparentemente banale, sottolinea la sostanziale differenza in essere tra il gioco e lo sport. E lo fa in modo alquanto evidente. Lo sport, infatti, nasce come un gioco, caratterizzato però dalla presenza di finalità agonistiche. In tal senso, allora, il gioco diventa una motivazione primaria allo sport. La scuola calcio di Treviglio vuole sottolineare questa motivazione primaria e l’attività svolta al suo interno non è ‘sport’ ma ‘gioco’. Il calcio, se vissuto ed agito secondo gli schemi del bambino è un gioco altamente educativo ed un valido mezzo di formazione; infatti inteso come momento ludico-educativo va oltre l’insegnamento del gesto tecnico, degli schemi tattici e dell’allenamento muscolare e diviene un importante strumento educativo, per vari aspetti. In primis dal punto di vista psicomotorio, in quanto migliora i vari aspetti di tipo coordinativo. Poi dal punto di vista cognitivo e sociale nell’educare alla progettazione e alla concretizzazione di attività di gruppo. L’Associazione “La Bussola” è ormai da tempo impegnata in questo progetto. Affiliata al CSCN e registrata al registro nazionale del CONI, durante l’anno organizza anche incontri di formazione per i genitori su tematiche specifiche, sia tecniche che educative, nonché tornei e partite dimostrative per gli allievi più grandi. Vanta uno Staff altamente qualificato, all’interno del quale sono racchiuse diverse figure professionali, sia dal punto di vista sanitario, con la presenza di medici psicologici e reflessologi, che dal punto di vista sportivo, con allenatori e responsabili dall’indiscusso

curriculum. A parlarcene è uno di loro, volto noto dello sport bergamasco: Giorgio Magnocavallo, bandiera dell’Atalanta degli anni Ottanta, è oggi il Responsabile e l’Allenatore della Scuola Calcio presieduta dal Dottor Paolo Bonetti, psicologo. La grinta che Magnocavallo mette nell’insegnamento ai bambini è la stessa che metteva in campo con la Dea. E’ un caldo pomeriggio di inizio estate, e lo incontriamo proprio alla fine degli allenamenti, sul campo adiacente l’oratorio della chiesa San Francesco di via Milano 28, in zona ovest, dove hanno luogo le lezioni. Intorno a lui, oltre ai bambini e all’allenatore dei Pulcini, Salvatore Di Meo, tantissimi genitori che vivono l’associazione come un’esperienza di crescita, aggregativa anche per loro. «Educare i bambini a socializzare, questo è il nostro compito -dice Magnocavallo- La nostra non è una società sportiva, ma un’associazione. E la differenza è sostanziale. I giochi vengono vissuti senza patemi d’animo: non è importante vincere o perdere, ma partecipare. Anche durante le partite cerchiamo di alternare le vittorie alle sconfitte, in modo che i bambini si abituino ad entrambe le sensazioni. Tanta l’importanza all’attività motoria,

soprattutto alla coordinazione, altro elemento distintivo dell’associazione dalle società sportive, dove spesso –prosegue l’allenatore– si tende comunque a far giocare l’allievo senza particolare cura per questo aspetto. L’attività aerobica degli ostacoli, dei birilli e dei cerchi viene alternata. E’ infatti risaputo che questi esercizi possono essere svolti tranquillamente da ogni bambino se svolti singolarmente; diversamente possono rappresentare un problema se alternati tra loro: questo è un problema di coordinamento, proprio l’aspetto che ci preme di più». A quanto spiegato da Giorgio Magnocavallo fanno eco le parole del reflessologo Angelo Goisis, sempre attento alle esigenze del suo quartiere e della sua comunità. «L’anno 2014-2015 è stato ricco di soddisfazioni -dice Goisis – ed i corsi riprenderanno a settembre, quando l’intero Staff sarà nuovamente impegnato in quest’avventura che da anni ci vede protagonisti di un piccolo, grande, progetto da portare avanti anche grazie all’impegno e all’interazione con le famiglie». Riprenderanno, infatti, anche i cicli di incontri per costruire insieme, attraverso l’esperienza reciproca e scambievole, nuove chiavi di lettura dei bisogni e dei comportamenti dei figli per individuare gli atteggiamenti educativi più adatti alle varie fasi di crescita. I corsi dell’anno appena terminato sono stati riservati ai bambini nati tra il 2006 ed il 2010 e, all’atto dell’iscrizione, i genitori hanno ovviamente presentato la certificazione attestante l’idoneità a svolgere attività sportive. Agli allievi, poi, è stato fornito il vestiario occorrente per frequentare i corsi tenutisi due volte la settimana, sempre di pomeriggio. Un’occasione, questa, per crescere e guardare con speranza al futuro di queste generazioni. Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 55


Storia/Pedalando nel tempo

Il Circuito degli Assi del 1949 a cura di Ezio Zanenga

Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Ricordiamo l’evento ciclistico trevigliese più eclatante di sempre: il Circuito degli Assi del 1949, con Gino Bartali, Fausto Coppi e Fiorenzo Magni. Fu un tripudio di folla

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reviglio -”...dalle ore 13 alle 16 di domenica scorsa è stata simile ad una colossale piovra succhiante ininterrottamente nelle sue arterie una colonna interminabile di folla, folla di tutte le età e condizioni, proveniente non solo dal circondario ma anche da Bergamo, Milano, Brescia, Crema, Lecco e chissà da dove ancora…un vero esercito in movimento…diecimila persone ed oltre non è un numero detto a vanvera…”. E’ un ‘estratto’ dalla cronaca sul ‘Circuito degli Assi’ de ‘Il Popolo Cattolico’ del 30 aprile 1949 a cura di Pino Maccagni, mitico addetto stampa del Pedale Sportivo Trevigliese e giornalista degli anni ’40 e ’50 per il ciclismo e il calcio. Una prosa fantasiosa e ridondante, ma rendeva l’idea! La domenica pomeriggio del 24 aprile 1949, Gino Bartali, Fausto Coppi e Fiorenzo Magni si ritrovarono a gareggiare, scattare, sprintare sulle strade del nostro centro storico. Fu un evento epocale per Treviglio ciclistica. Riunire i tre grandi del ciclismo mondiale di allora è come se oggi Contador, Nibali, Aru, Quintana venissero a Treviglio ad esibirsi sul ‘circuito’ di Via Matteotti/Via Filagno. Grazie alla macchina del tempo ci ritroviamo nel saloncino del Bar Mercato la sera del 27 gennaio 1949 dove, nel corso dell’Assemblea dei soci, il presidente del Pedale

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Sportivo Trevigliese, Michele Cavallo, illustra il progetto per un Circuito cittadino con Bartali, Coppi e Magni. I vice-presidenti Felice Ghidotti e Virgilio Pellacani ne sono al corrente, così come il segretario Angelo Cassinelli e il suo vice Enrico Frecchiami, ma per gli altri 57 presenti è una ‘bomba’ che fa subito il giro della città. Quale prova generale dell’evento e come ‘collaudo’ dell’anello individuato (Via Matteotti, Via 25 aprile, via Filagno, Piazza Insurrezione, di 520 metri, il ‘Vigorelli’ trevigliese) domenica 6 marzo viene organizzato l’incontro ‘Italia-Svizzera’ tra ciclisti professionisti per lo più pistard. Tra i partecipanti Nando Terruzzi, campione olimpico a Londra e il neo professionista trevigliese Erminio Leoni. L’ottima riuscita della manifestazione è il via libera per il Circuito degli Assi in calendario il successivo 24 aprile. Unica variante, viene spostata la linea di partenza e di arrivo da viale Filagno a Via Matteotti. Si ricorda poco dell’incontro ‘Italia-Svizzera’, forse perché surclassato dal successivo Circuito degli Assi, ma la risonanza sulla stampa nazionale è ampia e positiva. Per il grande evento il circuito è completamente recintato, tre gli accessi posti in vicolo Poggetto, in vicolo Mulazzani e in vicolo Nazari, le prenotazioni dei biglietti d’entrata sono più di mille, le iscrizioni fioccano da tutta Italia: non solo Bartali, i fratelli Coppi, Magni, ma anche Adolfo Leoni, Oreste

Conte, Mario Ricci, Vittorio Seghezzi, Erminio Leoni, Rigoni, Casola, Recalcati, Malabrocca, Zanazzi ed altri ancora. In via Matteotti, sino a pochi anni prima Via dell’Impero, dove ora i trevigliesi passeggiano sotto i portici, vengono allestite tribune per centinaia di posti. I segni dello ‘sventramento’ dei quartieri adiacenti a Via Verga (il ‘Lazzaretto’) sono ancora evidenti. Ma la cornice più vera è il pubblico, numeroso, plaudente. Il 24 aprile è una giornata di sole, all’Albergo Treviglio, ove tutti gli Assi alloggiano prima e dopo la gara, Fiorenzo Magni (unico tra i ‘prof’ presenti) pranza insieme alla moglie Liliana. Grande folla di cacciatori di autografi e le cronache di allora riportano che a Oreste Conte è trafugata la penna stilografica, che un autografo di Fausto Coppi su una banconota di mille lire è venduta per 1.500, che Adolfo Leoni non firma perché a Napoli gli fecero fare l’autografo su una cambiale…. Bartali, ’Gino il Pio’, proveniente da Milano in auto, sbaglia strada e finisce a Bergamo, ma è in anticipo, riesce ad incontrarsi con i Salesiani e promette un contributo per l’eri-


Stadio Marassi 1925/Trevigliese-Genoa

Calcio: preziosi reperti dal passato

U gendo ‘Oratorio Nuovo’. Pronti, via! Sono scrosci di applausi ad ogni metro della gara. Nell’individuale vince Adolfo Leoni, nell’handicap Vittorio Seghezzi, nella prova più importante, sugli ottanta giri, è Oreste Conte a trionfare su un certo …Fausto Coppi! Gino Bartali giunge quarto, con la sua bonaria brontolata per un presunto danneggiamento. Purtroppo l’iniziativa avrà vita breve, Alla seconda edizione, nel 1950, Fausto Coppi è assente per un grave infortunio, ma numerosi sono comunque i professionisti al via, anche stranieri, in primis il Campione del Mondo Rik Van Steenbergen. Ma senza Coppi è un’altra cosa… Nel 1951 il Circuito degli Assi è riservato ai soli dilettanti, poi il silenzio per 25 anni. Su iniziativa delle Botteghe del centro e con l’organizzazione congiunta di Pedale Sportivo e G.S. Audax viene riproposto negli anni ’70 per le categorie esordienti, allievi e Juniores. Una decina in tutto i ‘caroselli’ ciclistici cittadini, ma per Treviglio e i trevigliesi, il ‘Circuito degli Assi’ è rimasto quello del 1949, quello dei tre uomini d’oro del ciclismo italiano.

Immagini scattate in occasione del ‘Circuito degli Assi 1949 Due primi piani, il primo di Gino Bartali in una sua caratteristica espressione, poi Fausto Coppi. Accanto, da sinistra: Fiorenzo Magni, Gino Bartali e Fausto Coppi che, sorridente, riceve tra le braccia una bambina. Accanto Gino Bartali che si intrattiene con due Salesiani: alla sua destra don Antonio Bergonzi, alla sua sinistra don Mario Cortesi. Dietro si intravede un giovanissimo Enrico Frecchiami.

na chicca per gli amici della Trevigliese Calcio e della storia del calcio: l’amico Marco Montaruli (disegnatore sportivo, ammiratore del compianto vignettista trevigliese Carmelo Silva) ha scovato su una vecchia rivista sportiva queste belle immagini che risalgono al lontano 1925. Sono alcune fasi dell’incontro di calcio amichevole tra il Genoa e la Trevigliese svoltosi a fine giugno 1925 allo stadio Marassi di Genova, lo stesso che ancora oggi utilizzano Sampdoria e Genoa, ma all’epoca quasi del tutto privo di tribune e gradinate. La compagine trevigliese, che giocava nella Seconda divisione sfidava, in questa partita, niente popò di meno che i campioni d’Italia! Il cronista dell’epoca riferisce che i nostri, pur battuti con un perentorio 3-0, si difesero bene e “sovente seppero portarsi minacciosi nell’area rosso-bleu”. La formazione trevigliese veniva definita anche “leggera e veloce”. Nelle foto, che riportano alcune fasi concitate dell’incontro, possiamo ammirare i calciatori del Genoa con lo scudetto al petto, i calzettoni pesanti o il berretto in testa, emblema di un calcio che non c’è più. Ecco cosa scrive il giornalista sportivo a proposito di questo incontro, svoltosi sotto la pioggia e su un campo mezzo scalcagnato: «Domenica scorsa i campioni d’Italia hanno ospitato sul loro campo, per una partita di allenamento, la leggera e veloce squadra dell’Unione sportiva Trevigliese. La squadra genoana, mancante di De-Prà e Leale, allineava per la prima volta l’inglese Grant che, salvo ...imprevisti, occuperà il posto di ‘inside’ durante la prossima stagione. Da questa prova l’inglese non può essere giudicato perché, oltre a non giuocare al suo posto abituale, ha avuto contro il terreno e la pioggia. I lombardi, rinforzati dal cremonese Puerari III, si difesero assai bene e sovente seppero portarsi minacciosi nell’area rosso-bleu. I goals genoani vennero segnati tutti nel primo tempo, e cioè al 34° minuto da Moruzzi con un’azione individuale, al 35° da Alberti, su centro di Santamaria e al 36° da Catto, che riprende un debole rimando del portiere tre-

vigliese. Arbitro Carlo Dani del Genoa. Ecco la formazione delle squadre: GENOA: Granotti, Bellini, De Vecchi, Barbieri, Burlando, Grant, Neri, Alberti, Catto, Moruzzi, Santamaria. C.S. TREVIGLIESE: Somigliana, Muttoni, Terni, Basetti, Orsenigo, Cologno, Vertova, Grandi, Motta, Puerari III°, Bevilacqua». Insomma, tre belle pappine in soli tre minuti consecutivi sono un bel record: ma anche questo, tutto sommato, da ricordare! Daniela Invernizzi

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a cura di Daniela Invernizzi e Ivan Scelsa

Mostra a Romano di Lombardia

Treviglio: camminate

Piazza Manara - Giuseppe Felisetti

Appuntamenti

Treviglio: Arte Contemporanea

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el parco della biblioteca (Largo Marinai d’Italia) arriva Ecoismi! Un evento internazionale di arte contemporanea nel territorio di Adda Martesana con 16 installazioni. A Treviglio l’installazione “site specific” si trova in largo Marinai d’Italia: un acer negundo centenario è stato circondato da un’installazione che consente di “immergersi” nell’albero, poiché nel gioco di riflessi tra chioma e pavimento, oltre che tra le pareti verticali, si aprono scenari inediti di riflessione ed ascolto interiore. Tutto ciò grazie a Matteo Rota, l’artista casiratese che ha ideato questa installazione. Fino al 27 settembre

Treviglio: mostra fotografica

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l Macs, mostra «Carlo Previtali. Vino, mito, simbologia, sacralità, sculture»; in programma fino al 26 luglio. Informazioni: tel. +39 0363 902507

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Pontirolo: festa del Bersagliere

Treviglio “Al chiaro di Luna”

rosegue fino al 14 settembre l’iniziativa “10000 per star bene”, tutti i lunedì alle 20:30 con nuovi percorsi, punti di ristoro e tanto divertimento con percorsi per tutti dai 3 ai 4 chilometri. E’ un’iniziativa promossa dal Centro Commerciale Treviglio.

mercoledì sera di Treviglio sono all’insegna dello “Shopping al chiaro di luna” con apertura straordinaria degli esercizi commerciali del centro fino alle ore 23:00. Ultimo appuntamento della stagione estiva il 5 agosto.

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Treviglio: “Antico in via”

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el centro storico, il 19 luglio, mostra mercato di mobili, porcellane, dipinti, orologi, vetri, libri, stampe, collezionismo, accessori vintage e bijoux. In piazza Garibaldi, esposizione di artigianato tipico creativo.

Caravaggio: “La Bohème”

Treviglio: “Antico in via”, tardizionale appuntamento mensile

niziata lo scorso mese di maggio, è in programma fino a giovedì 16 luglio presso il bar AL D. in via Fratelli Galliari, 6 la Mostra fotografica “Fra la potenza dei motori e l’emozione dell’equilibrio” a cura di Francesco Vara e Alessandro Frecchiami. Maggiori informazioni allo 0363.343301.

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enerdì 10 luglio alle 21:30 avrà luogo la guida all’ascolto de “La Bohème”, conversazione di Vittorio Sabadin che precede l’appuntamento di sabato 11 luglio ore 21:30 in piazza del Castello di Caravaggio con l’esecuzione dell’opera di Giacomo Puccini, un incontrospettacolo a cura dello stesso Sabadin.

Caravaggio: “Esposizione contemporanea”

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ella sagrestia della chiesa di S. Giovanni, Largo Donatori di Sangue, «Esposizione contemporanea 0.3», mostra curata dall’associazione «Caravaggio contemporanea» con opere di Sergio Besutti e Giorgio Ferri; in programma fino al 21 luglio

Visite guidate ai castelli

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ltimo appuntamento della stagione Domenica 5 luglio con le visite guidate ai castelli, palazzi e borghi medioevali. Dal castello del Colleoni di Malpaga, poi Cologno al Serio, Urgnano, Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda, il castello visconteo di Pagazzano, poi Romano e Martinengo. Per info, prenotazioni e costi: www. bassabergamascaorientale.it

al 1 al 12 luglio a Pontirolo Nuovo, presso Area Feste, avrà luogo la 13° Festa del Bersagliere con apertura ristorante e bar dalle 19:00 con tombolata gigante, ballo liscio e spettacoli.

Brignano: a Palazzo visconti

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ino al 26 luglio l’appuntamento è alla 1° Biennale del dialogo dei castelli della Gera d’Adda a Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda.

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ntico in via è una delle manifestazioni trevigliesi più conosciute, perché da alcuni anni, ogni terza domenica del mese, escluso agosto, raccoglie nelle vie del centro storico circa 100 espositori provenienti da tutta Italia, che propongono oggetti d’antiquariato e modernariato capaci di stuzzicare i collezionisti più esigenti. Vi si possono trovare mobili, porcellane, dipinti, orologi, stampe, accessori vintage, bijoux, vestiti, libri e fumetti. Un evento sempre molto seguito sia dai trevigliesi che da molti visitatori provenienti anche da lontano. Visitatori che, passeggiando tra le bancarelle, hanno modo di scoprire le vie del nostro antico centro storico e gli angoli più suggestivi della nostra città. Le bancarelle degli espositori rendono ancora più magica l’atmosfera un po’ retrò che tanto piace alla nostra città, a conferma della sua vocazione “vintage” e di punto di riferimento per la riscoperta di tradizioni della Bassa, della nostra cultura e della nostra civiltà artigiana e contadina. Da qualche anno in piazza

Garibaldi si tiene anche “Artigianato in via”, con lo scopo di promuovere e valorizzare i prodotti artigianali artistici del territorio. Orario continuato: 8,30 - 18,00. (d. i.) Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 59


Lettere & Commenti Il giro del mondo sotto il campanile

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Fotografia di Enrico Appiani

ssistere alla “magia rosa” del 98 mo Giro d’Italia ha dato il “la” a queste mie riflessioni. Perché le numerose piste ciclabili sono sempre deserte? Perché questi investimenti pubblici non riescono a generare un incremento del traffico ciclabile? Non si tratta di passione sportiva allo stato puro, di sfrenata ambizione professionale, di sfide estreme … di prestazioni legate al mezzo-uomo. Le mie riflessioni vogliono solamente considerare alcuni benefici ambientali e salutistici legati all’uso della bici. La bicicletta è forse la macchina più perfetta costruita dall’uomo; l’unica che non mortifica i suoi sensi rispettandone l’ambiente. Da qui dovremmo partire per trovare le giuste motivazioni

solo migliorare. Basta osservare le rastrelliere disseminate un po’ dappertutto per capire che i trevigliesi non hanno una grande passione per la bicicletta. Non fanno eccezione quelle imbullonate nei cortili delle scuole e negli spazi antistanti le palestre, i campi sportivi e le piscine. Unico bel vedere è la selva di biciclette ammucchiate il sabato mattina sotto il porticato prospiciente il mercato e quelle ben allineate davanti alle chiese durante le funzioni religiose. La riconquista della strada come luogo per tessere nuove relazioni umane e migliorare la nostra qualità della vita, dovrebbe diventare il nuovo “motus symbol” quotidiano, oltre che un “moderno” diritto-dovere dei cittadini. Imbocchiamo allora con vigore la strada del cambiamento, cercando di mettere in pratica alcuni significativi comportamenti: 1) Usiamo l’autovettura solo per scopi, destina-

psicologiche per avvicinarci a lei. Uso questo mezzo ogni giorno, sforzandomi di arrivare a sera con una decina di chilometri nelle gambe. Qualcuno si metterà a ridere, ma questi 3.650 Km l’anno costituiscono il mio personalissimo Giro d’Italia. Treviglio potrebbe diventare l’Amsterdam della Gera d’Adda solo attraverso questa riconoscenza all’invenzione leonardesca? Forse no, ma con l’aiuto di qualche esperto e/o educatore (“Datemi buoni maestri e vi darò un mondo migliore”) potremmo capire come far pedalare qualche trevigliese in più. L’Italia è il primo produttore di bici in Europa ma solo il quarto nelle vendite. Negli ultimi anni la vendita di biciclette ha superato quella delle automobili. Nel contesto urbano la bici ormai sfreccia alla velocità dell’automobile (15 Km/h). In compenso siamo il paese con la più alta densità di automobili in Europa: sessantacinque unità ogni 100 abitanti. Tralascio le informazioni da bollettino rosso sulla sicurezza del traffico veicolare per non suggestionare i possibili neofiti e non far arrossire i responsabili della sicurezza stradale. Lasciatemi però dire che negli ultimi dieci anni abbiamo avuto, sulle nostre strade, più del doppio di ciclisti uccisi che nel Regno Unito. La riscoperta della bicicletta come mezzo di trasporto urbano dovrebbe basarsi anche su questi fatti. Ma i fatti (come diceva Lenin) hanno la testa dura e possono far male. Per fortuna (si fa per dire) a Treviglio il grado di “feeling” con il mezzo è vicino allo zero e quindi possiamo

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zioni e percorrenze “significative”. Incominciamo a depennare un paio di viaggi dal nostro “foglio macchina” giornaliero. Ogni volta che giriamo la chiave nel cruscotto pensiamo che stiamo commettendo un “nano” attentato alla salute e all’ambiente. 2) Consideriamo la bicicletta come mezzo di trasporto vero e proprio. Conosco fior fior di professionisti olandesi (ma anche gli scandinavi non scherzano) che macinano decine di chilometri al giorno per recarsi al lavoro sulle due ruote. 3) Impariamo ad usare la bicicletta sempre. All’inizio accennavo al mio personale Giro d’Italia di 3.650 Km l’anno. Essendo in pensione dal 2004, credo di aver superato ormai anche la cifra di 43.150 Km; vi dice qualcosa questo numero? E’ la circonferenza media della Terra. E’ il giro del mondo in bicicletta di un trevigliese. Buona bici a tutti! Ennio Dozzi

Accoglienza e prossimità

Caro Direttore, io amo la Chiesa specie quando ha il coraggio di uscire dalla sacrestia, ossia quando dimostra di avere piena consapevolezza di essere inserita in un contesto sociale e di dover con esso interagire. Un plauso dunque alla recente scelta di cedere ai profughi alcuni spazi liberi dell’ex orfanotrofio di via Casnida, in ossequio al monito, tutto ecclesiale, secondo il quale “occorre che siano rese accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come l’abitazione”. Esprimo quindi l’auspicio di vedere la Chiesa e le realtà a essa collegate capaci di coniugare sempre, con slancio e prontezza, il criterio di accoglienza con quello, altrettanto evangelico, di prossimità, qui inteso come vicinanza fisica. Mi riferisco alle famiglie trevigliesi prive di alloggio perché sfrattate. Famiglie povere, spesso con minori a carico, costrette a vivere in condizioni di estrema precarietà perché senza casa. Famiglie alle quali l’Amministrazione Comunale, istituzionalmente a ciò preposta, non è in grado, pur volendo, di dare risposte abitative immediate. Carmen Taborelli

Una moschea al posto della Lepre o dell’Albergo Sole

Gentile direttore, a Treviglio ci sono tre aree dismesse, le seguenti: villa Ida, l’Albergo Ristorante “La Lepre”, l’Albergo Sole. Lei cosa ne pensa di poter costruire una Moschea a Treviglio? Sono anni che i musulmani presenti sul territorio richiedono di poter professare la loro fede in un luogo di culto degno di essere chiamato tale. Vede, noi abbiamo l’arroganza di professarci aperti verso le esigenze altrui, ma le posso assicurare che siamo molto più attenti ad esigere ciò che fa comodo o interessa a noi come popolo. Abbiamo la pretesa di chiedere libertà di culto in paesi stranieri di fede diversa, lamentandoci se non ci mettono a disposizione luoghi adatti, chiese, ma neghiamo loro la possibilità di costruire una Moschea. L’ideale sarebbe avere sinagoghe, moschee, chiese, templi, ciò che occorre per incontrare


Opinioni

Che c’entra l’Area Fiera alla Stazione Centrale?

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a diversi anni l’Associazione “Città dell’Adda” ha posto in evidenza la straordinaria importanza della Stazione Centrale di Treviglio, punto strategico per la mobilità su ferro che offre, per il ruolo propulsivo dello sviluppo del territorio e la qualità della vita di chi vi abita. Così in questi anni hanno anche preso corpo e avuto consenso una serie di proposte finalizzate a migliorare queste qualità, strutturando al meglio le aree a ridosso della ferrovia. 1) potenziare i parcheggi a sud della stazione; 2) completare la tangenziale sud affinchè -senza attraversare Treviglio- si riesca ad accedere alla Stazione, all’Ospedale e al plesso scolastico dai Comuni vicini; Ma ciò non basta, perché la straordinarie qualità e ricchezza della mobilità su ferro vanno colte e sfruttate come occasione di sviluppo di Treviglio e della Gera d’Adda. Per esempio diventando attrattiva per le nuove attività che sono interessate a un rapporto facile ed efficiente con l’area milanese. Non ci riferiamo alla logistica -che impegna in modo invasivo molto territorio restituendo pochi posti di lavoro molto traffico ed inquinamento- facciamo riferimento al terziario di nuova generazione, quello che richiede pochi spazi ma connessioni efficienti, la banda ultralarga anzichè i piazzali, bassi costi di insediamento e la prossimità alla rete di trasporto metropolitano. Appunto ciò che oggi può offrire la Stazione Centrale di Treviglio! Sì, la nostra proposta è attrezzare le aree immediatamente a sud della stazione, non solo con parcheggi ma con un Nuovo Pip Tecnologico: aree a basso costo collegate direttamente ai sottopassi ferroviari (il secondo sottopasso è già fatto a metà) ed attrezzate per attirare attività innovative, dinamiche, che forniscano posti di lavoro

Nella foto parcheggi a sud della stazione: un campionario di contraddizioni con auto ammassate sui marciapiedi, mentre la via Murena è un’autostrada deserta con una sola fila di parcheggi e il divieto di sosta nei pressi della mensa...!

qualificati e -col tempo- nuove famiglie residenti. Ma c’è un ma...! Nelle scorse settimane l’Amministrazione Comunale ha presentato il programma che conferma la destinazione di queste aree alla costruzione di una nuova fiera. Che ci azzecca la Fiera con la Stazione ferroviaria, non sarebbe più logico nei pressi dell’uscita autostradale (ne abbiamo due)? Niente. Fosse la Fiera di Milano... capiremmo. Ma nessuno va alla Fiera di Treviglio usando il treno e nessuna delle due funzioni si valorizza con la presenza dell’altra. Diciamo di più: le aree-fiere sono ovunque in crisi economico-strutturale, quelle più grandi e prestigiose non sono in grado di sopportare i costi di investimento e di gestione. Nessuno si illuda che Treviglio possa fare diversamente usando la Fiera per manifestazioni poche settimane all’anno. Ci sono le feste popolari ed il Luna-Park, ma che c’entra la Stazione? Per la Fiera si utilizzi un’area a basso costo, magari già di proprietà pubblica e facilmente dotabile di parcheggi e la si attivi con poca spesa. Le poche risorse disponibili vanno investite per la crescita, sia a livello nazionale che locale, sfruttando le peculiarità che si hanno e Treviglio le ha nella straordinaria qualità della sua mobilità. Le aree di cui parliamo sono le più interessanti e strategiche per il nostro sviluppo futuro. Pochi giorni fa Assolombarda ha proposto per Milano un futuro STEAM (Science Tecnology Engineering Arts Mathemetics) e questo è il futuro cui dobbiamo cercare di agganciarci. Associazione “Città dell’Adda” Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 61


Aziende informano/Studio Blu

Lettere

Il colpo di frusta non è più risarcito? di Guido Devizi

No, continua ad esser risarcito, anche se le nuove norme introdotte dal Governo Monti richiedono più documentazione e più impegno

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ominciamo spazzando via qualsiasi dubbio: il colpo di frusta continua anche oggi ad essere risarcito, sia per quanto riguarda l’invalidità, permanente e temporanea, che per tutte le spese sostenute (esami, visite specialistiche e fisioterapia). Ma allora perché, tre anni fa, arrivarono improvvisamente voci che proclamavano la fine dei risarcimenti per il “trauma distorsivo del rachide cervicale” (definizione tecnica del colpo di frusta),

senza dubbio la più comune tra le lesioni lievi dovute ad incidenti stradali? Nel 2012 il governo Monti approvò, all’interno del decreto Liberalizzazioni, due modifiche alle procedure di risarcimento delle lesioni lievi: la prima introdusse la necessità di un “accertamento clinico strumentale obiettivo” per il risarcimento dell’invalidità permanente; per questo è ora indispensabile produrre un esame clinico, una radiografia, una risonanza o una Tac, che certifichi la lesione subita nell’incidente per ottenere la liquidazione di questa parte del danno. La seconda modifica riguarda invece “un riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata

l’esistenza della lesione”: oltre agli esami strumentali, il danneggiato deve quindi assicurarsi che la sua lesione sia verificata da un medico legale. Ecco quindi che il governo Monti, con l’obiettivo di ridurre le truffe assicurative, inserì queste restrizioni: intento sicuramente lodevole ma di delicata applicazione, considerato che la vittima di un incidente stradale deve essere sempre e comunque tutelata. Quando il decreto entrò in vigore, un’incompleta e superficiale semplificazione portò, anche attraverso i mass-media, alla diffusione di queste voci per cui il colpo di frusta non sarebbe più stato risarcito, cosa che però non è assolutamente corretta; le modifiche introdotte chiedono invece al danneggiato di investire più tempo e più denaro per soddisfare la legge ed ottenere il giusto risarcimento: un’ulteriore complicazione nella giungla normativa attuale nella quale diventa quindi sempre più importante evitare il fai-da-te. Per questo, scegliendo di farsi assistere fin dall’inizio da Studio Blu, il danneggiato ha la certezza di percorrere nel modo migliore la strada del risarcimento, rispettando anche le più recenti prescrizioni di legge e senza più doversi preoccupare della burocrazia assicurativa. Potrà inoltre decidere di avvalersi di specialisti in campo medico e di fisioterapisti convenzionati per curarsi fino al completo recupero fisico, di medici legali che redigano i loro pareri secondo le nuove indicazioni, il tutto senza doverne anticipare le spese. Se hai subito una lesione, anche lieve, hai il diritto di essere risarcito. Non fidarti di chi ti dice il contrario! Rivolgiti a Studio Blu per una consulenza gratuita: saremo il tuo punto di riferimento!

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spiritualmente il proprio Dio, questa è libertà di espressione della propria fede. Eppure ad alcuni si concede questa possibilità e ad altri no. I vari punti si collegano fra di loro, se non si aspetta un’ordinanza comunale che risolva la questione dell’area dismessa in evidente stato di degrado, ma ci si attivi per proporre progetti di abbellimento senza guardare a propri interessi di quartiere e di partito. Qualcuno può presentare,un progetto per la costruzione di una Moschea sull’area ex Lepre previa vendita della stessa? Altri hanno voglia di preparare una proposta di progetto sulle aree sopra menzionate? Attivarsi anticipatamente per proporre, non aspettare a farlo, se altri fanno qualcosa che a noi non piace, come la vendita del Foro Boario. Com’è che anni fa la vendita dell’area per costruire case sarebbe stata fattibile se proposta? Spero di essermi spiegato, cordialità. Pierpaolo Maria Brembati

Strisce pedonali e bici

Gent. direttore, vorrei fare una domanda ai genitori che insegnano ai bimbi come attraversare le strisce pedonali a cavallo della bicicletta. Ovvero hanno mai pensato che la velocità di un pedone è di 5 km/h e quella di una bicicletta in città di 20/30 km/h? Fatto questo ragionamento a livello di Albert Einstein, sanno costoro che l’attraversamento di 10 metri in bicicletta implica una velocità da un quinto a un sesto rispetto all’attraversamento a piedi? Semplifico: significa che se un pedone impiega dieci secondi ad attraversare le strisce, una bicicletta ci mette cinque volte meno, ovvero due secondi. Bene, domandatevi quanto ci mette un’auto che va a 30 km orari a vedere vostro figlio che sta pensando di passare sul passaggio pedonale come fosse un ponte, quindi azionare il freno e non investirlo al momento che è sulle strisce. Auguri! Grazie dello spazio. Carlo Assanelli


Ascoltare Cercare Sorprendere Viviamo in stretto legame con il mercato immobiliare e siamo un consolidato riferimento per il mercato locale. Preferiamo contatti diretti, immediati ed informali con l'obiettivo di costruire servizi su misura facendo incontrare, con forte capacità, la richiesta e l'offerta. La nostra struttura organizzativa è collaudata ed efficace, vanta esperienza e competenza nel settore sin dagli inizi degli anni '80. Il nostro punto di forza è l'attenzione riservata ai clienti creando un rapporto di fiducia costante e duratura. La Fumagalli immobili di Giancarlo Fumagalli è iscritta alla CCIAA ed alla FIAIP di Bergamo.

TREVIGLIO – QUADRILOCALE CON TERRAZZO DI 43MQ – RIF. Q01 Quadrilocale posto al piano primo con mansarda e terrazzo di 43mq. L'appartamento è composto da soggiorno con terrazzino, cucina abitabile con balcone, disimpegno, camera matrimoniale, doppi servizi e altre due camere da letto. Al piano secondo troviamo un secondo salotto o studio con uscita su un terrazzo di 43mq. Ottime finiture, tutto parquet, aria condizionata, antifurto. Box e cantina. € 299.500,00 (Classe D – I.P.E. 105,96kWh/mqa)

CASSANO – 4 LOCALI CON TERRAZZO Q02 Ampissimo quadrilocale al piano terzo con terrazzo di 160mq al piano quarto. La casa è composta da ingresso, ampio soggiorno con balcone, cucina abitabile con balcone, disimpegno, doppi servizi, ripostiglio, camera matrimoniale con cabina armadio, studio e camera. Al piano quarto si trova un vano studio/camera con accesso al grandissimo terrazzo di 160mq. Box e cantina. (classe G – 175,20 kWh/mqa)

€ 255.000,00

PAGAZZANO – BILOCALE B53 Bellissimo e moderno bilocale al piano terra con giardino fronte e retro. L'appartamento è composto da ingresso, ampio soggiorno con angolo cottura ed uscita sul giardino, disimpegno, bagno con vasca, vano lavanderia e grande camera matrimoniale con bagno padronale ed uscita sulla zona esterna piastrellata. Ottime finiture, riscaldamento autonomo. Ampio box al piano interrato.

CALVENZANO – TRILOCALE DUPLEX T43 In recentissimo intervento proponiamo appartamento in villa su due livelli. L'appartamento al piano primo è composto soggiorno con terrazzino, cucina abitabile e bagno. Al piano secondo è presente una mansarda con due camere da letto, un ampio disimpegno ed un bagno. Ottime finiture extra capitolato, parquet, aria condizionata, riscaldamento autonomo. Box e cantina al piano (classe C – 73,10 kWh/mqa) interrato. (classe D – 99,39 kWh/mqa) € 130.000,00 € 217.000,00

Luglio/Agosto 2015 - la nuova tribuna - 63


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64 - la nuova tribuna - Luglio/Agosto 2015


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