Sfoglia il n°4 - Aprile 2016

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QUANDO C’ERANO LE CASE CHIUSE

I NEGOZI E LA CRISI N° 4 - Aprile 2016 - Euro 2,50

Foto by Enrico Appiani

Foto by Enrico Appiani

Rivista mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda fondata nel 1975 - Seconda edizione

La Fiera dell’Agricoltura cambia sede

Treviglio: i volontari dei Vigili del Fuoco

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Foto Attualità Cesni

Confronto tra candidati sindaco


l’Editoriale

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ffrontare la pagina bianca dell’Editoriale sapendo che dovrai scontrarti con l’ipocrisia di chi crede che l’obiettività sia misurabile è faticoso, soprattutto per chi come me non ci ha mai creduto. Tutto, infatti, è relativo, perché la costruzione di una notizia ha molti passaggi, spesso neppure consapevoli. Domandiamoci come si sceglie un argomento. Perché sembra interessi il pubblico, il giornalista, oppure è utile a chi lo propone perché lo aiuta nella carriera professionale, in quella politica o sentimentale? Con quale sequenza metti gli articoli, con quante fotografie e che didascalie? Insomma la costruzione di un giornale o di una rivista (ma anche di un video) è frutto di tanti e tali passaggi soggetti a sensibilità, interessi evidenti o subconsci, che affermare di credere all’obiettività è sciocco. Il giornale è una cosa viva ed ha una personalità complessa, disegnata dal suo direttore dopo essersi confrontato con la redazione, ma che di volta in volta si potrà modificare un po’, così come le persone si modificano se operano in un’equipe che lavora in un mare mosso. Il giornale è come un essere umano, uno qualsiasi. Lo frequenti se ti piace, se non mente, se è affidabile, se non t’imbroglia. Quanti amici hai che non la pensano come te, probabilmente cento o forse tutti, ma non t’importa – almeno se non sono fanatici esaltati - t’interessa al massimo sapere se le motivazioni che hanno formato il loro pensiero sono corrette, corrispondono a verità. Già, perché la verità esiste, ma solo se due osservatori sono ugualmente onesti e hanno gli strumenti

per capire quanto stanno guardando, soprattutto in politica. Mi spiego. Il mio amico edicolante di Melzo è un comunista, quelli duri e puri che uscirono dal Pci/Pds per fare Rifondazione. Ebbene, io con lui, come con tutti i comunisti veri, non il risotto post Pci, parlo delle ore condividendo sempre tutto quando si discute dei problemi. Già perché i problemi sono lì da vedere, poi divergiamo quando dobbiamo decidere come risolverli. Ecco, questa si chiama capacità di analisi, alla quale deve seguire la sintesi che ti permette di capire come la complessità di un tema può convergere verso l’obiettivo della soluzione. La scelta della soluzione, quella sì, è politica ed è la scelta che divide. In sintesi, il giornalista, se onesto, disdegna gli impegni professionali, amministrativi e sociali che possono entrare in conflitto con la sua integrità morale. Allora al direttore di una rivista come la mia non si chiede l’obiettività, si chiede l’integrità morale, magari condita con un po’ di coraggio, spregiudicatezza e capacità di separare la sua opinione personale, ma anche quella dei suoi redattori, dalla notizia. Sì, quella cosa che io e il mio amico di Rifondazione Comunista vediamo in egual modo. Insomma, è quarantuno anni che faccio “la tribuna”, tanto che addirittura la mia faccia si confonde con la testata. Siamo tornati in edicola e abbiamo fatto boom, si vende, c’è pubblicità e questo che vuol dire se non che i giornali, così come le persone, si pesano in base alla loro storia? E mi pare che la nostra storia parli molto chiaro e non dispiaccia. Un abbraccio ai miei lettori, vi voglio bene.

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il Sommario

la tribuna

di Treviglio e la Gera d’Adda Autorizzazione Tribunale di Bergamo n° 23 dell’8 Agosto 2003

Anno 41° - Seconda edizione, anno 2° n° 4 - 1 Aprile 2016 Editore: “Tribuna srl” Viale Partigiano, 14 - Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1971553 Amministratore Unico: Marco Daniele Ferri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci roberto.fabbrucci@gmail.com Vice Direzione Daniela Invernizzi, Daniela Regonesi Comitato di Redazione Daniela Invernizzi, Daria Locatelli, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Lucietta Zanda Social Media Manager Daria Locatelli Hanno collaborato a questo numero Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Juri Brollini, Hana Budišová, Mina D’Agostino, Daria Locatelli, Federico Fumagalli, Silvia Martelli, Elio Massimino, Luciano Pescali, Paolo Taddeo, Maria Pasquinelli, Stefano Pini, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Romano Zacchetti, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1971553 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani, Luca Cesni (Foto Attualità), Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni Laura Borghi, Giulio Ferri, Daniela Leidi, Mirella Mandelli, Ugo Monzio Compagnoni Stampa: Laboratorio Grafico - via dell’Artigianato 48 Pagazzano (BG) - 0363 814652 Grafica pubblicitaria: Antonio Solivari via Vidalengo, 4 - Caravaggio - Cell. 348 515471

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06 - 07 “Parte dalla web tv la tribuna elettorale” (D. Invernizzi); “Gera d’Adda: le elezioni alla prova di internet” (S. Pini) 08 - 09 “Laura Rossoni, una moderata di sinistra” (I. Scelsa); “Mangano: la mia politica del fare” (D. Regonesi) 10 - 11 “Interporto: Meglio un referendum” (D. Invernizzi): “Caravaggio: Più viva e più bella” (D. Regonesi) 12 - 13 “Caravaggio: la gioia non abita più qui” (Associazione Città dell’Adda); “Caravaggio e la chiesa di San Bernardino” 14 - 15 “Perché tanti negozi chiusi ovunque?” (D. Regonesi); “Centro storico: cambiare è possibile” (C. Signorelli) 16 - 17 “Quando il Centro Commerciale soffre” (D. Regonesi); “La storia del commercio in mostra” (L. Zanda) 18 - 19 “Ora la Fiera Agricola nel nuovo spazio” (C. Signorelli); “Treviglio: gli imbrattatori seriali ritornano” (O. Scelsa) 20 - 21 “Una sosta golosa da Paolo Riva”; “Gli artigiani del cibo” (C. Signorelli) 22 - 23 “La Cfl e Il Susino, due storie importanti” (D. Locatelli) 24 - 25 “L’Enfapi e la formazione” (C. Signorelli) 26 - 27 “Caloriferi e valvole obbligatorie” (C. Signorelli); “Recessione: distinguiamo i fatti dalla fantasia” 28 - 29 “La mia vita da pediatra a Treviglio” (D. Regonesi) 30 - 31 “Alcol: se ne può uscire” (D. Invernizzi); “La biblioteca in ginecologia” (I. Scelsa) 32 - 33 “Le Domeniche della Salute” (C. Signorelli); “Tutti possiamo scalare l’Everest” (D. Regonesi) 34 - 35 “I Vigili del Fuoco di Treviglio” (D. Regonesi) 36 - 37 “Qui abita il jazz di Trullu” (H.

Budisova Colombo); “I racconti emozionanti di Enrico Appiani” (D. Regonesi) 38 - 39 “Grande Teatro a Calvenzano” (D. Invernizzi); “Un amore duraturo per il blues” (D. Locatelli); “Scacchi: la vittoria dei trevigliesi” (I. Scelsa); “Incontri letterari” (M. D’Agostino) 40 - 41 “Tutti conoscono Sara di Treviglio” (D. Invernizzi) 42 - 43 “Bartolomeo Colleoni e Treviglio” (E. Massimino); “La baia dell’Hudson”, “Il Tè al Museo di Aprile” (Amici del Chiostro) 44 - 45 “Le stelle in una stanza” (D. Regonesi) 46 - 47 “I residuati bellici di Longaretti” (C. Taborelli) 48 - 49 “Longaretti, i nove vice papà di Silvio Gelmi” (D. Regonesi) 50 - 51 “Quelle Case Chiuse di Treviglio” (L. Zanda) 52 - 53 “La polenta di Rita e la siora Marani” (R. Fabbrucci) 54 - 55 “Fondazione e successi del G.S. Audax” (E. Zanenga) 56 - 57 “Benvenuta Pallanuoto” (S. Martelli); “Franco Donadelli, eroe del CST” (P. Taddeo) 58 - 59 “Il buon pesce fresco lo si gusta all’Osteria da Zio Nino” (C. Signorelli) 60 - 61 “Come si fa un Martini a Treviglio?” (F. Fumagalli) 62 - 63 “A Melli subentra Bellini” (R. Zacchetti) 64 - 64 “Bonus arredo o bonus mobili?” (G. Ferrari); Lettere al direttore; “Il ben-essere passa dalla prevenzione” (Associazione Culturale MensCorpore) 65 - 66 “Primo: non nuocere!” (A. Sghirlanzoni); Lettere al direttore; “Un primo campanello d’allarme” (A. Di Mauro) 68 - 69 “Euro ed economia: la primavera porta nuove Risorse nella Gera d’Adda” (L. Profumo)

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Commenti/La campagna 2.0

Treviglio/Commenti dopo il confronto servizio fotografico di Enrico Appiani

Gera d’Adda: le elezioni alla prova di Internet

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Parte dalla web tv la tribuna elettorale di Daniela Invernizzi

Con il confronto in diretta web sul sito di “tribunaTv” è iniziata la campagna elettorale dei primi cinque candidati presentatisi alla data della tribuna elettorale. Inizio teso e scoppiettante, ma subito ricondotto all’equilibrio

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a diretta televisiva organizzata da TribunaTv nella sala conferenze della Qcom è stata una “Prima” non solo per noi, che da pochissimo abbiamo intrapreso anche il cammino web/ tv, ma anche per i candidati alla carica di sindaco a Treviglio, per la prima volta riuniti tutti insieme davanti a un pubblico. Possiamo dire di aver dato ufficialmente il via alla campagna elettorale, se è vero che fino a quel momento non c’era stato ancora nessun confronto diretto. I tempi televisivi non concedevano la possibilità di spaziare su diversi argomenti; ed è per questo motivo che il direttore de la tribuna, Roberto Fabbrucci ha scelto, per questa prima uscita, i temi cari al nostro giornale: il territorio, le opere pubbliche, la viabilità. Con ciò non volendo omettere, come ha insinuato qualcuno, di toccare alcuni argomenti spinosi per l’amministrazione uscente, ma solo di trattare temi sviluppati sul mensile e che richiedono, in chi risponde, di avere una visione politica più ampia, che vada oltre il contingente e pensi alla città nel prossimo futuro. Ciò non toglie che nei successivi incontri si possa trattare anche degli altri temi al momento più scottanti e urgenti. È stato un incontro equilibrato, che ha dato un primo assaggio agli spettatori sulle capacità, anche comunicative, dei candidati. Per questo motivo abbiamo chiesto ad alcune

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persone che hanno seguito l’incontro quali sono state le loro impressioni “a caldo”. Le risposte sono state precise, i giudizi sui candidati sono stati spesso antitetici, certamente un poco influenzati dall’orientamento politico degli intervistati. Così, se per la signora Roberta, 50 anni, libera professionista, Juri Imeri (candidato per Lega Nord, Fratelli d’Italia, “Con Mangano per Imeri” e “Io Treviglio”) è sembrato un po’ «piatto, sembra un funzionario vecchia maniera», per Mauro, 46 anni, imprenditore, è invece apparso il

Sopra due immagini del confronto condotto dal direttore de “la tribuna”, sotto i candidati in posa per la stampa: da sinistra Emanuele Calvi, Giuseppe D’Acchioli, Juri Imeri, Erik Molteni e Gianluca Pignatelli

più «deciso e concreto»; mentre per Maria Teresa, casalinga, è stato «equilibrato, anche se a volte ha avuto qualche eccesso di legittima difesa dell’operato dell’amministrazione uscente». Gianluca Pignatelli (Forza Italia), artefice della polemica iniziale sul presunto schieramento di Fabbrucci e della rivista a favore della giunta uscente, che avrebbe addirittura scelto le domande per favorire Juri Imeri, è il più criticato: «cattivo e subdolo» per il signor Mauro, «irritato» per la signora Roberta, mentre per Maria Teresa è stato «l’unico che ha cercato di portare l’attenzione sulle responsabilità etiche e amministrative del sindaco e dell’amministrazione uscente. Da un lato uno scandalo grave e con risvolti penali e dall’altra scelte amministrative che avranno ripercussioni sulla città negli anni a venire. Una posizione di certo non facile. Il rischio è un arroccamento». Erik Molteni (PD, “Molteni Sindaco”, “Treviglio in centro” e “Lista arancio”) per Roberta è stato «convincente su alcune cose, in altre un po’ fumoso», per Mauro «troppo idealista» e per Maria Teresa «È

stato concreto e senza i pregiudizi, su certi temi, tipici di un certo mondo di sinistra. Aperto e ricettivo a tutte le sensibilità sul tavolo della riflessione politica. Inclusivo». Emanuele Calvi (5 Stelle) per Mauro vive su un altro pianeta, per Mariateresa è «moderato», mentre il web appoggia la sua linea di sostanziale no ad altre colate di cemento sul nostro territorio. Giuseppe D’Acchioli (lista civica “Treviglio è nostra”) è risultato il più simpatico, essendo stato anche l’artefice del siparietto “bersaniano” con il conduttore su bambole da pettinare e giaguari da smacchiare, per alcuni anche troppo: «sembra che voglia risolvere tutto davanti a pane e salame», dice Mauro. Invece per Maria Teresa ha dimostrato «una buona retorica. Dietro c’è una forte esperienza e si sente. Tuttavia, la metafora dei sogni secondo me è un po’ datata: la gente mai come oggi ha bisogno di grande concretezza». Tralasciando le risposte alle singole domande, alle quali i candidati hanno già replicato, prima dalle pagine di questa rivista e poi sui quotidiani all’indomani del confronto, riportiamo l’appello finale che il nostro direttore ha richiesto loro al termine della diretta web. Molteni: «vogliamo essere concreti, la parola d’ordine è innovazione, sulla quale dobbiamo puntare, con i piedi ben piantati per terra, ma pensando alla Treviglio che vogliamo da qui a vent’anni». Imeri: «Abbiamo impegni da mantenere e molte cose da fare. Vogliamo continuare ciò che è stato intrapreso dall’amministrazione Pezzoni». Pignatelli: «Bonus bebè per i nuovi nati e riduzione degli oneri di ristrutturazione, queste le promesse che manterremo. Treviglio merita di più». Calvi: «Non voterete me, ma un programma condiviso. Basta con le colate di cemento, le alternative ci sono». D’Acchioli: «Parlare di sogni non vuol dire non essere concreti; sì alle cose da fare, ma anche una visione più ampia per il futuro della città».

ui, una volta, era tutta campagna. Elettorale, ovviamente. I candidati alla poltrona di sindaco di Treviglio hanno ufficialmente incrociato le armi venerdì 11 marzo, in una inedita diretta streaming organizzata da TribunaTv. Proprio internet e le piattaforme digitali potrebbero essere decisive per l’elezione del prossimo primo cittadino: dove una volta c’erano l’erba, i teatri e le piazze, oggi ci sono Facebook e le schermaglie via computer. Dal primo dibattito pubblico, in cui ogni candidato è stato bene attento a non esporsi troppo sui temi più scottanti (opere pubbliche, viabilità, servizi sociali), si passerà presto a toni più accesi. I canali privilegiati per concentrare gli sforzi comunicativi e di reclutamento, sinora, sembrano quelli del web. Una novità per Treviglio, che nel rispetto della “linea Pezzoni”, il primo sindaco a fare di Facebook un (auto) ufficio stampa permanente, vede nascere pagine ufficiali e ufficiose dei contendenti e scopre il potenziale aggregativo dei social network sulla campagna elettorale. Linguaggio e immagine vanno declinandosi secondo specifiche che non sono necessariamente quelle note a tutti: cartellonistica, spot televisivi, gazebo e palchetti lasciano spazio a post, note, like, immagini pubblicitarie fatte su misura per la rete. Sinora, ad approcciare con più veemenza Facebook & Co. sono stati Juri Imeri ed Erik Molteni. I candidati di Lega Nord e PD contano al momento (domenica 13 marzo, ndr) rispettivamente 721 e 617 adepti digitali. Il primo ha una linea comunicativa ben delineata: ripresa quasi live delle attività di campagna sul territorio, post molto lunghi su vecchi successi e nuove proposte, colori di battaglia verde e blu onnipresenti, con lo slogan “#Avantitutta! a dettare i ritmi di ciascun intervento. Un coordinamento completo, ben costruito e già rodato. Molteni, dal canto suo, propone una comunicazione più naif, meno caratterizzata graficamente e linguisticamente: post sintetici, immagini evocative della città, gallerie di imprese compiute in prima persona. Uno punta al presidio robusto, l’altro a un orizzonte meno definito ma che promette assolato. Entrambre le pagine raccolgono un buon numero di interazioni, con rilanci polemici contro i rispettivi avversari e spunti interessanti per interpretare

l’umore dell’elettorato: sicurezza, pulizia e continuità con l’ultima amministrazione sul fronte Juri Imeri; irrobustimento della comunità, dei servizi pubblici e voglia di cambiamento sul fronte Erik Molteni. E gli altri? Non pervenuti o quasi. Il candidato di Forza Italia, Gianluca Pignatelli, irrora Facebook con tre pagine personali, nessuna delle quali da candidato ufficiale, creando uno strano senso di straniamento: pochi post, nessuna linea comunicativa per contenuti e grafica. Più curata l’immagine di Emanuele Calvi, candidato del Movimento 5 Stelle, che però conta su pochi

fan e ancora meno interazioni. Curiosa la presenza online di Giuseppe D’Acchioli, candidato della lista “Treviglio è nostra”: un profilo personale con il Mel Gibson riottoso di Braveheart a fare da vessillo sembra indicare volontà indipendentiste: forse dalla politica dei partiti, o forse dalla comunicazione politica efficace. Per quanto si possa pensare che una cittadina tradizionalista e relativamente anziana come Treviglio badi più al sodo, alle parole dette faccia a faccia, che agli sviluppi della politica in rete, ogni candidato dovrà confrontarsi con il potere pervasivo dei social network, della loro capacità di radicare il consenso, dando forza alla base già orientata degli elettori e magari attirando l’attenzione di qualche giovane. Chi farà finta di non vedere può dire addio sin d’ora ai sogni di gloria. D’altronde, il ballottaggio di giugno sembra già scritto: non lo dice il cronista, basta dare retta a Facebook. Stefano Pini Nella foto Daniela Invernizzi, volto e direttore operativo di “tribuna.tv”, prima di dare la parola al direttore per il confronto, ha presentato i vari candidati e una sintesi del loro percorso professionale e politico

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Treviglio Elezioni/Capilista a confronto

Laura Rossoni, una moderata di sinistra di Ivan Scelsa

Possibile candidato sindaco del PD, oggi la capolista ci parla delle scelte di partito e della sua visione delle necessità del territorio

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e scelte ed i buoni propositi di un esponente politico, spesso, si scontrano con le scelte di partito. Da possibile candidato sindaco per il Partito Democratico, Laura Rossoni, ne è diventata la capolista lasciando spazio a Erik Molteni il cui nome è emerso a seguito del congresso che ha anticipato l’inizio della campagna elettorale. Avvocato Rossoni, parliamo di candidature. Alcuni mesi fa lei aveva avanzato la sua disponibilità a candidarsi al ruolo di Sindaco di Treviglio. Cosa è successo dopo? «L’idea espressa era all’insegna del rinnovamento, con proposte nuove da esprimere anche nelle candidature. Nel dialogo interno del coordinamento era emersa la necessità di avere una figura aggregante che non avesse ruoli politici. Quasi contemporaneamente, però, lo stesso percorso aveva portato a ragionare su una figura di partito più delineata. Così la mia candidatura non è stata accolta, facendo venir meno l’appoggio della corrente renziana a favore di quella di Erik Molteni». Appunto. Qual è il suo rapporto con il neocandidato sindaco? «Con Molteni abbiamo avuto un confronto molto serrato nella fase di scelta del can-

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didato. Chiusa quella parentesi, il mio sostegno al progetto, alla lista ed al suo nome è effettivo ed è rivolto ad una campagna elettorale per la vittoria». Pur venendo da una scuola di estrazione comunista, lei risulta essere più moderata rispetto ad altre correnti interne al suo partito. Come riuscite a colmare le divergenze, ad esempio, con Francesco Lingiardi? «Con Francesco Lingiardi vige un rapporto personale di stima che credo sia reciproca. Nel posizionamento del partito, invece, le nostre posizioni sono diverse. Abbiamo avuto molte divergenze, soprattutto in merito al fatto che io considero chiusa l’esperienza della giunta Borghi e sono fermamente convinta della necessità di guardare avanti. Ci sono state cose positive in quell’esperienza, ma è una stagione politica chiusa e c’è un grande bisogno di rinnovamento e di un segnale di discontinuità con il passato». Qual è il primo problema che affronterebbe a Treviglio? «Sono due i temi, uno correlato all’altro: sicurezza e lavoro. Per sicurezza non intendo solo la prevenzione dei furti, ma anche sociale, fatta di supporto a chi perde il lavoro o a chi vive un momento di difficoltà. C’è poi un altro aspetto: una città che funziona bene con parcheggi, una buona viabilità ed un servizio di autobus efficiente, aiuta a far sentire più sicuro il cittadino. Credo anche in una città in cui i rapporti sociali siano forti e la rete funzioni. Ecco, a me piacerebbe portare il mio contributo anche in questo». E a più lungo termine? «Il ruolo che Treviglio deve svolgere. Le aree della Stazione, della BreBeMi e della cosiddetta “mezza luna” sono strategiche. Treviglio deve candidarsi ad un ruolo sovracomunale per la fornitura di servizi, per costruire le condizioni per lo sviluppo. Si è sicuramente lavorato molto per mettere in ordine la città, abbellendone viabilità e palazzi, ma la partita a lungo termine è sul ruolo di Treviglio. La posizione centrale che assume verso la pianura grazie ai tanti servizi - come le scuole - va esercitata a pieno.

Faccio un altro esempio, anche l’iniziativa ‘“Pianura da scoprire” è importante e potrebbe essere aiutata a crescere per diventare importante. Esserci di più e determinare di più per il territorio». Proprio in questi giorni ha ricevuto il plauso del Sindaco uscente, Giuseppe Pezzoni, per la causa che ha seguito per il Comune contro gli scavi eseguiti dalla Holcim e che consentirà un introito di oltre mezzo milione di euro nelle casse comunali. «Quando l’ex Sindaco Pezzoni mi ha conferito l’incarico, mi ha convocata dicendomi che mi aveva scelta per la competenza professionale, senza guardare il colore politico. Ho accettato con entusiasmo, anch’io con la determinazione a lavorare nell’esclusivo interesse dei cittadini di Treviglio. Credevo nelle ragioni del Comune e nella possibilità di vittoria, i cittadini avevano diritto ad avere questo risarcimento. Devo dire che ho avuto un importante supporto dall’Ufficio Tecnico e da tutte le figure professionali del Comune che con me hanno collaborato. È una vittoria di tutti, senza bandiere politiche, solo per il bene di Treviglio. Spero che il denaro versato nelle casse comunali possa essere utilizzato anche come contributo alle tante associazioni che operano sul territorio ed in opere di sostegno a chi ne ha bisogno».

Mangano: la mia politica del fare di Daniela Regonesi

Incontriamo Basilio Mangano, ex assessore ai Lavori Pubblici e candidato come capolista della lista civica “Con Mangano per Treviglio”

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asilio Mangano, ex assessore ai lavori pubblici, rinnova il suo impegno politico a sostegno di Juri Imeri: cerchiamo di capire scelte, motivazioni e programmi della sua candidatura a capolista della lista civica Con Mangano per Treviglio. Perché non si fanno congressi e/o primarie per scegliere il candidato sindaco? «Le primarie devono essere fatte se non c’è un candidato condiviso. Abbiamo dato un giudizio positivo all’amministrazione uscente, e vogliamo dare continuità alla giunta Pezzoni. Il vice sindaco era il candidato naturale per continuare ad amministrare la città». Come mai avete detto no a tutti i costi alla presenza di Forza Italia nella coalizione di centro destra? «Nel 2011 è stato sottoscritto un documento programmatico e di lealtà a chi sarebbe stato sindaco della città. Non c’è stata una presa di posizione contro Forza Italia, è una sua parte che durante il mandato ha deciso di schierarsi, con una serie di scelte, dalla parte dell’opposizione, e quindi di venire meno ad impegni assunti con gli elettori».

È una rottura definitiva? «Non è stato condiviso l’operato politico ed amministrativo. Forza Italia ha fatto scelte diverse, tant’è che ha proposto liberamente un suo candidato. Non c’è una chiusura nostra. Ha fatto la chiara scelta politica di allearsi con Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico, opponendosi all’operato dell’amministrazione». Può essere un vostro punto di debolezza? «No. L’elezione amministrativa comunale si basa molto sulle persone e su ciò che è stato promesso o fatto. I cittadini non sono interessati a formule politiche, quanto piuttosto alle risposte ai loro bisogni e necessità, a cosa c’è nel programma e come viene realizzato». Come mai l’amministrazione non ha tenuto conto delle firme raccolte e del Comitato Referendum Piazza Setti? «Uno dei nostri impegni era la riqualificazione del centro storico e piazza Setti è l’ultimo tassello del mosaico. Il progetto non è il parcheggio, ma uno spazio di relazioni e di iniziative: la piazza. In secondo luogo bisognava rispondere all’esigenza di box dei residenti. Le polemiche sono solo strumentali. Abbiamo messo a gara 3.666.000 euro, contro i 5 della giunta Borghi, con ribasso di gara siamo scesi a 3,3. Abbiamo a bilancio box prenotati per 926.000 €, per i quali sono già state versate le caparre, quindi la cifra scende a circa 2,4 milioni, senza contare le altre possibili prenotazioni. Parte degli incassi dei parcometri serviranno per pagare la struttura. Queste risorse vengono prese dalla viabilità, non dal sociale, dalla cultura o dallo sport. È un intervento che si finanzia da solo, e aumenta il patrimonio del comune di Treviglio, con una piazza e due parcheggi». Perché questi soldi non sono stati utilizzati per altro, come ad esempio la tangenziale sud? «Nel programma veniva prima piazza Setti. Per la tangenziale sud, alla luce dell nuova situazione, come lista civica abbia-

mo sottoposto al candidato sindaco il collegamento tra via Calvenzano, che punti a nord della Casa Albergo, e sfoci in via Caravaggio fino ad una rotatoria da inserire al posto degli attuali semafori». “I Trevigliesi” sostiene che i manifesti elettorali non dicano la verità, e che il ponte ciclo-pedonale sia opera di RFI, mentre merito suo sia l’ingresso scomodo: come risponde? «L’accordo di programma tra comune e RFI è del ‘95, i lavori sono iniziati nel 2013: è una fortunata coincidenza? L’ingresso ristretto è dato da condizioni oggettive, ossia la necessità di completare la riqualificazione dell’area Baslini. Andare in bicicletta al Pip 1 era pericoloso, quindi abbiamo dato priorità a questo. L’ingresso va rivisto con la proprietà dell’area. È un’opera compensativa che la giunta Borghi, con BreBeMi, non ha saputo ottenere». Lei è un’eccezione a Treviglio, per la sua longevità nell’attività politica: il suo segreto? «La passione. Sono stato eletto per la prima volta a Treviglio nel 1980, nelle file del Movimento Sociale Italiano. Era l’epoca delle dispute ideologiche, si operava con grandi difficoltà. Non sono di Treviglio, ma ho imparato ad amare questa città e, piano piano, abbiamo formato un grande gruppo. Sono stato all’opposizione per circa 25 anni, ma un oppositore serio, non strumentale, che ha fatto diverse proposte, spesso non accettate. Ho la voglia e il piacere di contribuire a far crescere la città, perché sono convinto che possa svolgere un ruolo più importante di quello che ha: Treviglio deve essere un punto di riferimento, non solo di passaggio. Le critiche sono giuste, le accetto quando non sono strumentali, ci passo sopra quando sono solo di parte e non hanno fondamento. La politica del fare è un atto di amore nei confronti della città, forza, coraggio e responsabilità di fare proposte e osservazioni».

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Caravaggio Elezioni/Candidati a confronto

Interporto: “Meglio un referendum” di Daniela Invernizzi

Augusto Baruffi, attuale presidente della Casa albergo ed ex assessore ai servizi sociali, risponde sul futuro di Caravaggio

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ugusto Baruffi è uno dei candidati alla poltrona di sindaco per la città di Caravaggio. Ex assessore ai servizi sociali, è sostenuto, al momento in cui scriviamo, dalle liste civiche “Prima Caravaggio” e “Caravaggio nel cuore”. La sua uscita dalla Lega Nord, della quale ha fatto parte, per presentarsi a candidato sindaco, ha suscitato polemiche da parte dei suoi ex alleati, che lo accusano di aver sfruttato la sua posizione per “farsi pubblicità”, ma soprattutto di aver voltato le spalle a tanti progetti da sempre condivisi, primo fra tutti l’Interporto. «La risposta è molto semplice» dice «vent’anni fa sono entrato nella Lega perché condividevo molte cose con il movimento, non tutte, ma la maggior parte. Non si va sempre d’accordo, ma si fa squadra. In questo stare insieme io ho portato le mie sensibilità - mi sono sempre occupato di disabili e anziani - altri hanno portato contributi diversi. Poi è nata la questione Interporto. È vero che nel 2004 ho approvato il progetto, ma adesso che dobbiamo cominciare a realizzarlo sono convinto che sia necessario sentire i caravaggini. Ho preferito uscire, mettermi in gioco, piuttosto che rimanere, perché mi sembra più importante il territo-

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rio. Credo nel mio paese, che viene prima di tutto, anche del mio partito, che comunque ringrazio per tutti questi anni di lavoro insieme. Ma se devo cambiare completamente la faccia di Caravaggio devo avere l’appoggio dei cittadini, ecco perché è necessario il referendum. E se dovesse vincere il sì all’Interporto chiederei ai soggetti interessati di mettere diecimila piante a compensazione del cemento, ma non i ramoscelli come quelli che han piantato per la Brebemi…». Perché ha cambiato idea sull’Interporto? «Più che altro sono scettico. Non conosco bene tutti gli aspetti, anche positivi, che potrebbe comportare, ma una cosa, anzi due, sono certe: un milione di metri quadrati di cemento (come Bariano, per intenderci) e tantissimi camion, con conseguenze per la viabilità e di inquinamento ambientale. E quando è fatta, è fatta, non si può tornare indietro. Non parliamo del parcheggio di piazza Setti o di quello davanti al Comune di Caravaggio, ma di cambiare per sempre l’aspetto del paese. Meglio invece recuperare le nostre aree industriali e valorizzare quelle». Quale è il primo problema da affrontare a Caravaggio, interporto a parte? «Due cose, da fare assolutamente. Tenere il paese come casa propria (pulito e in ordine, senza buche) e riqualificare le frazioni: abbiamo Masano che è lasciata a se stessa. Due rotonde, senza luci. E poi i sogni: il Cse-Sfa, progetto in cui ho sempre creduto, che chiuderebbe la “ filiera” della disabilità

(ovvero il centro per disabili gravi, che già esiste; il Cse-Sfa, che accoglierebbe i disabili che però non possono lavorare e la cooperativa ‹Il Susino› che accoglie i disabili che lavorano). E poi vorrei riuscire a realizzare gli appartamenti protetti per gli anziani, ovvero “legati” fra loro da un’infermeria, una mensa, ambulatori specialistici (dopotutto lo prevede anche la riforma ospedaliera, quello di decentrare sul territorio), un medico presente H24. È un sogno, ma non è irrealizzabile. Le due scuole, elementare e media, che sono vecchie e da sistemare: copio Bergamo, appoggiandomi a società che fanno progettazione per accedere ai bandi europei e ottenere i fondi. E poi recuperare il centro storico». Era la mia prossima domanda… «La vera domanda è: come riusciamo a non far chiudere tutti i negozi? Come aiutiamo i negozianti? La risposta non è ‹chiudiamo il centro›: li metteremmo in difficoltà. Dobbiamo fare in modo che chi c’è, resti e chi vuole venire a investire sia messo nella condizione di farlo». Caravaggio ha una risorsa che si potrebbe veicolare verso il centro storico: i pellegrini del santuario. Come invogliarli a venire in paese? «Per portare i pellegrini a Caravaggio occorre che ci sia qualcosa da vedere, no? Dobbiamo inventarci di tutto per farli venire, offrire qualcosa; una c’è già, la chiesa di San Bernardino, che è stupenda». A proposito, come giudica gli interventi di recupero fatti a questa chiesa? «Purtroppo non posso dire niente, perché non me ne intendo, non sono un tuttologo. Ma mi circonderei di persone che ne sanno più di me, per valorizzarla al massimo e convogliare il turismo in paese». La sua azione come assessore ai servizi sociali è stata caratterizzata dall’attenzione, che lei stesso ha sottolineato, agli anziani e ai disabili. E per i giovani? «Le pare che io, che ho 58 anni, conosca appieno le loro esigenze? È per questo che nella mia squadra ci sono molti giovani sotto i 27 anni. Saranno loro a dirmelo».

Caravaggio: “Più viva e più bella” di Daniela Regonesi

Incontriamo il prof. Claudio Bolandrini, candidato sindaco di Caravaggio per Partito Democratico e Lista Civica "Bolandrini sindaco per Caravaggio"

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andidato sindaco per Partito Democratico e Lista Civica “Bolandrini sindaco per Caravaggio”, dal 2007 insegnante di storia e filosofia al liceo “Galileo Galilei”: è Claudio Bolandrini, che ci spiega la sua visione futura della città. Qual’è il primo problema da affrontare a Caravaggio? «Una rivoluzione culturale: cambiare la mentalità a vantaggio della democrazia attiva e partecipata dal maggior numero di cittadini. C‘è bisogno di appartenenza e di trasparenza nella gestione, affinché cresca l‘interesse del bene comune. I cittadini devono essere propositivi e corresponsabili delle scelte, non le devono subire, come nel caso delle infrastrutture o della vocazione produttiva del territorio». Cosa pensa dell‘interporto? «Il benessere economico deve essere equo, sostenibile ed eco-compatibile. Quindi dico no all’interporto: il futuro del commercio è su rotaia, è necessario, ma non a Caravaggio, che ha già dato tanto in termini di infrastrutture. Segrate o Cortenuova sarebbero più adatti, senza distruggere altro territorio e suolo a vocazione agricola

e rurale. Non è rinunciare ai posti di lavoro. Vorremmo un‘occupazione diversa, nella new economy e in ambito europeo, creando uno sportello che si interfacci con le realtà economiche e incentivi l‘accesso ai bandi europei e regionali, per la riqualificazione delle attività produttive esistenti e la nascita di altre innovative e compatibili con la salvaguardia dell‘ambiente». Tanti pellegrini visitano il Santuario, ma quali servizi offre loro la città? «La vocazione turistica, sia di tipo religioso che culturale, è stata dimenticata. Va riscoperta per il valore intrinseco che il territorio ha. Dobbiamo intercettare i pellegrini, ma anche fare rete con le realtà locali e limitrofe. Coinvolgendo lavoratori, ristoratori e logistica si crea una microeconomia virtuosa che crea occupazione. Per fare ciò è necessario fare sistema e superare il campanilismo. Le aree omogenee sovracomunali permetteranno una gestione oculata delle risorse economiche e accresceranno anche quelle umane, come professionalità e genialità, da implementare e condividere: l‘amministrazione ne creerà l‘opportunità». Nel giugno scorso il dott. Sghirlanzoni, in un articolo pubblicato su “la tribuna”, denunciava il consumo di suolo caravaggino e il mancato recupero del centro storico: che ne pensa? «Nostro obiettivo è la riqualificazione urbana, abitativa e commerciale con una politica di agevolazioni per le abitazioni, intercettando i contributi al fine di riuscire a proporre affitti calmierati. Ci proponiamo di costruire sul costruito sia per le abitazioni che per i negozi, vista la riduzione delle attività commerciali. Faremo una proposta di partecipazione attiva della gestione di spazi, con eventi itineranti per aggregare e far vivere il centro, di cui i negozianti dovrebbero essere i protagonisti. Anche qui bisogna fare rete, con iniziative promozionali e servizi coordinati, senza rinunciare alla qualità e all‘eccellenza dei prodotti». Un gioiello di Caravaggio è la chiesa di

San Bernardino: come valuta gli interventi fatti? «Non basta lavorare sulla struttura, bisogna trovare un‘associazione che la faccia vivere. I lavori del tetto sono stati iniziati dall‘attuale amministrazione, bisogna darne atto, ma occorre continuare il lavoro interno per renderla fruibile e consolidare le superfici pittoriche. È destinata al culto, ma deve essere fruibile perché è un'opera d'arte: va inserita in percorsi di fede ma anche nella rete del turismo. La cittadinanza deve riappropriarsene in termini affettivi ed emozionali, per fare ciò è necessario non investire solo sui muri, ma anche sulle persone». Come valorizzare al meglio il fatto di essere la città del Caravaggio? «Il Caravaggio pittore ha fatto dimenticare la Caravaggio città. Dell‘artista, salvo smentite, non abbiamo nulla, gli abbiamo dato i natali e i parenti, ma non possiamo metterli in mostra. È un cono d'ombra con il quale si è cercato di giustificare un vuoto. Possediamo autentici gioielli, che vanno valorizzati, spiegati, resi fruibili. Bisogna creare utenza a cui offrire un pacchetto all inclusive. Vedere la realtà con occhi diversi, superando l'indifferenza e l'ovvio del quotidiano. Il patrimonio storico artistico alimenta il patrimonio umano». Come risponde a chi la accusa di non conoscere bene la realtà cittadina, essendo di Brignano Gera d‘Adda? «È vero, non sono nato qui, ciò nonostante vi abito da quasi dieci anni, e non mi sono mai risparmiato, sia nella scuola, sia nella partecipazione ad attività di volontariato. Non sono nato "imparato" di Caravaggio, ma studio ed ho imparato ad imparare. Credo che la tua città sia dove metti il tuo cuore e dove investi, non solo dove vai a dormire. Non sono né onnisciente né onnipotente, non credo ad un uomo solo al comando: coordino grandi professionisti che conoscono la realtà caravaggina per il loro vissuto, e la vorremmo più viva e più bella».

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Recuperi/Alterato il profilo della chiesa

Pre restauro

Caravaggio: la gioia non abita più qui Riassunto: Il tetto di San Bernardino è stato restaurato. Evviva? Purtroppo la facciata della Chiesa è stata definitivamente cambiata. Qualcuno dice rovinata

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uando, meno di tre anni fa, nell’estate del 2013, l’associazione “Città dell’Adda” ha promosso una conferenza stampa per lanciare l’idea del restauro della chiesa di San

Post restauro Bernardino di Caravaggio, nessuno prevedeva che il tetto sarebbe stato rifatto già nel 2015. Nessuno lo prevedeva, data l’incuria che aveva assistito, senza colpo ferire, alla crescita di erbacce che come le sterpaglie di un prato abbandonato si insinuavano tra i coppi; mentre il cedimento di una gronda sulla sinistra del portichetto d’ingresso aveva provocato un’infiltrazione di acqua sulla parete di facciata che aveva condotto allo sbriciolamento dell’intonaco e alla cancellazione dei dipinti che la decoravano. Il Cristo dell’affresco principale era ed è deturpato dai segni di infiltrazione di acqua piovana che percorrono la parte sinistra del volto fino alla metà del petto. Pure il rifacimento del tetto è stato fatto. “E miracol si grida!”, dicono da secoli a Treviglio. La sensibilità dei cittadini che hanno firmato in oltre 17.000 per il restauro della chiesa e lo splendido studio commissionato nel 2008 dalla BCC di Caravaggio all’architetto bergamasco Giamaria Labaa hanno sicuramente contribuito alla rapida realizzazione dell’opera.

Anche l’Amministrazione Comunale e tutti coloro, come la Presidenza della Provincia, che sono stati interpellati hanno però dimostrato la loro fattiva sensibilità. Alla fine, solo la Parrocchia di Caravaggio, nonostante avesse la Chiesa in comodato d’uso, non ha partecipato in alcun modo al movimento per il restauro. Però, ora che con soddisfazione si registra il rifacimento del tetto, dobbiamo anche dire chiaramente che, ancora una volta, “l’uggia greve e amara” di Caravaggio ha vinto, come dice Diego Valeri) sul “profumo di prato in fiore” del compiacimento per l’intervento sulla Chiesa. Non ci sono “rose che ridono come spose preparate per la festa” a celebrare questo restauro. Non c’è festa! Abbiamo segnalato al Soprintendente Belle Arti, architetto Giuseppe Napoleone, le modifiche peggiorative che alterano il profilo della facciata della chiesa. La sua rapida e cortese risposta ci ha informato che: Il tetto di San Bernardino è stato alzato per meglio arearlo (di almeno 60 cm in

Pre restauro gronda e di almeno 30 al culmine, secondo noi) La sua struttura lignea è stata irrobustita con travi metalliche perché troppo fragile. Le scossaline in rame delle gronde verranno modificate perché troppo vistose. Il muro aggiunto sopra il profilo destro della facciata si è reso necessario per evitare soluzioni peggiori (vedi foto). Resta il fatto che la facciata della Chiesa è stata a-variata, rovinata in modo grave e che (a parte le scossaline) ce lo dovremo tenere così. Ci sono delle colpe in tutto questo? Lasciamo perdere! Non la finiremmo più; come si sa la colpa è sempre vergine perché nessuno la vuole. Ci sono responsabilità? Sì, della sciatteria, con cui è stato effettuato il restauro. Il tutto alla modica spesa di circa 500.000 euro. Resta il fatto che nei prossimi secoli Caravaggio, “poverella”, non potrà più provare la gioia “perfetta” di ammirare la chiesa di San Bernardino nella sua bellezza originale. Associazione “Città dell’Adda”

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Caravaggio e la chiesa di San Bernardino

I

Post restauro

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l monastero di San Bernardino, consacrato a San Bernardino da Siena nel 1489, comprende la chiesa omonima. Edificata dai Caravaggini grazie alla predicazione del Santo che mise pace alla difficile contrapposizione tra Caravaggio e Treviglio. Il monastero fu soppresso dal governo francese una prima volta nel 1798 e in modo definitivo l’11 maggio 1810. In seguito gli edifici del convento furono rimaneggiati e adibiti a casa colonica e caserma, mentre la chiesa continuò ad essere utilizzata come luogo di culto e riuscì a conservare la sua forma originale. Nel 1970 il comune di Caravaggio acquistò parte della struttura e nel

1978 l’ospedale civile, che ne deteneva la proprietà, donò al comune la chiesa. Il complesso è stato quindi oggetto di restauro e in seguito adibito a centro civico e ad ospitare la biblioteca comunale ed un museo. Sono presenti alcuni affreschi di cui non è certo l’autore ma attribuiti ai pittori trevigliesi Bernardo Zenale e Bernardino Butinone. Sul muro che separa la prima e la seconda cappella vi è invece un affresco raffigurante la Madonna, san Bernardino e san Rocco firmato tramite un rebus dal pittore caravaggino Fermo Stella.

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Treviglio/Il Commercio e la crisi Servizio fotografico di Enrico Appiani

Centro Acustico Bergamasco

Perché tanti negozi chiusi ovunque? di Daniela Regonesi

Con la crisi economica che permane, aumentano le vetrine buie e le insegne oscurate anche nel centro storico di Treviglio: con Maurizio Ornaghi, direttore marketing Gdo, cerchiamo di capirne cause e rimedi

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ra le vie del centro insegne e vetrine vengono coperte, le luci spente: un altro negozio chiude. Spesso senza clamore, a volte nemmeno con un preavviso minimo fatto di svendite e “fuori tutto”. Qualche volta segna la conclusione di un capitolo di storia cittadina, come ha ben raccontato Lucietta Zanda nel numero di febbraio 2015 a proposito di “Magazzeno Moderno”; sovente è una pagina soprattutto personale, sfortunata, di qualcuno che ha tentato la via del commercio senza successo. E così passeggi per il centro storico di Treviglio e, tra una vetrina e l‘altra, i fotogrammi saltano, quello che era lo sgargiante, variegato e variopinto film dello struscio e dello shopping diventa una somma di spezzoni. Dispiace, soprattutto per quei negozi dei quali si era clienti affezionati, ma anche se si pensa a ciò che le serrande abbassate si portano dietro, in termini di sofferenze personali e di vuoti urbani. Chiedo dunque a Maurizio Ornaghi, direttore marketing Gdo, di aiutarmi ad andare oltre alle semplici considerazioni di utente e cliente, per capire come si possa spiegare questo fenomeno. «Oggi ciò che vince ancora rispetto all'ecommerce e che determina il successo di un esercizio commerciale è l'esperienza di acquisto, cioè non solo il portarsi a casa un determinato bene, ma farlo in un luogo con una certa ambientazione, magari con lo staff in divisa, che ti tratta in un certo modo e lo fa in un determinato contesto. Vi è un minor lega-

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me col possesso di una cosa, si è più legati ad un‘esperienza». In altri termini, il cliente sceglie di acquistare da un determinato retailer non solo ciò che desidera, ma come entrarne in possesso. Ma oltre all‘esperienza di acquisto, conta anche il bene venduto, e Maurizio me lo conferma: «Ho possibilità di stare sul mercato se mi differenzio dall'offerta di massa. Posso farlo se ho competenza e saper fare. Bisogna differenziarsi e sapersi reinventare. Altri punti fondamentali sono specializzazione e comprensione della domanda. Chi apre un'attività commerciale sa quale sia la domanda

del pubblico, o se esista veramente il bisogno al quale sta rispondendo? Spesso si apre un negozio perché è il proprio sogno, che non di rado va ad infrangersi contro la realtà di una clientela che non ha bisogno né desidera ciò che vendiamo. Diventa fondamentale comprendere come nel commercio al dettaglio subiamo una mancanza di polarizzazione: non c'è coordinamento né organizzazione nella scelta e distribuzione delle attività. Se ci fosse, accrescerebbe l'attrattività della città. Bisogna ragionare in termini di prospettiva strategica. È necessario ascoltare, indagare il consumatore sulle sue necessità e aspettative, detto semplicemente, bisogna fare marketing. Lo puoi fare se c'è una regia». In questo senso l'associazione Commercianti Trevigliesi professionisti e artigiani è sulla buona strada, laddove si pone come obiettivi “rafforzamento di iniziative coordinate tra attività commerciali ed eventi che attirino a Treviglio target trasversali, rafforzamento della comunicazione sia sull’offerta di eventi che sull’offerta commerciale, dialogo e confronto con le istituzioni”; ed iniziative di successo come i mercoledì estivi dello Shopping al chiaro di luna le danno ragione. Oltre a tutto ciò, anche il fatto di possedere i muri del proprio negozio, piuttosto che esserne inquilini, fa una grande differenza. E ne ho conferma: «I canoni di locazione rendono impossibile portare avanti l'attività. Il proprietario dell'immobile non deve "spennare" il retailer, deve essere suo partner». Ciò può essere fatto rivedendo periodicamente l'affitto, venendo incontro alle possibilità dell'inquilino, se l'alternativa è lasciare sfitto l'immobile; sempre che questa opzione non sia preferibile, dal locatore, rispetto al ritrovarsi la proprietà devastata ad ogni cambio di affittuario. In conclusione, chiedo a Maurizio un giudizio: «È un mondo che cambia molto velocemente e il centro di Treviglio non gli sta dietro. Dovrebbe essere una priorità in una città che ha una vocazione naturale ad essere, nel suo centro storico, centro commerciale, e la cui bellezza è indiscutibile». L'augurio è che chi sarà scelto per amministrare la città ne tenga conto. Maurizio Ornaghi, esperto marketing

Centro storico: cambiare è possibile

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I

l centro urbano delle città è un valore: sociale, economico, culturale e storico. È essenziale oggi riappropiarsene e valorizzarlo dopo che anni di sviluppo dei centri commerciali hanno spostato pesantemente l’interesse dei consumatori verso queste nuove realtà. In sintesi è quanto emerso nel convegno “Un futuro da Super?” organizzato pochi mesi fa dall’associazione DireFareTreviglio, durante il quale alcuni qualificati oratori hanno fornito spunti interessanti di analisi. Rivitalizzare il centro è possibile ma richiede innanzitutto la collaborazione di tutti. L’Amministrazione pubblica, alla quale è demandato il compito di fornire l’infrastruttura, in senso lato, come per esempio i parcheggi, la regolamentazione dei servizi, la pulizia delle strade e la loro sicurezza, ha l’obbligo di una visione di insieme del progetto. Così i commercianti devono poter partecipare, consapevoli di alcune scelte che li riguardano e che determinano, non solo, la vivibilità del centro, ma anche i suoi futuri sviluppi. Un interessante suggerimento, fornito durante il convegno da Monica Cannalire, Head of Retail Agency a JLL, consiste nel guardare al successo che, assai spesso, accompagna la nascita dei centri commerciali ed applicare questa formula al centro urbano. In pratica l’intera area deve essere pensata come un unicum e, conseguentemente, sviluppata in modo integrato. La partecipazione attiva im-

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Treviglio/Mostre ed eventi

Foto by Enrico Appiani

Treviglio/Il Commercio e la crisi

plica che i commercianti parlino con un’unica voce per dare un peso reale alle loro richieste; l’Amministrazione pubblica dovrebbe, nel contempo, dialogare con tutti gli attori, e farsi garante dell’attuazione di un progetto di lungo periodo. Probabilmente anche i proprietari degli immobili, se ci fosse un piano di sviluppo coerente, dimostrerebbero una maggior disponibilità a ridimensionare gli affitti che, soprattutto in alcune vie del centro, complice la tremenda crisi economica, stanno stritolando molte attività commerciali. Un serio programma di rilancio del centro storico suggerisce una pianificazione anche dell’ingresso delle nuove attività, per attrarre i consumatori, ormai sempre più abituati a un modello completo delle proposte di acquisto. L’uso della tecnologia, come per esempio lo smart parking, descritto da Pierpaolo Bardoni, Ceo di Things, un’applicazione attraverso la quale otteniamo l’indicazione del parcheggio più vicino alla nostra meta, è un ulteriore elemento di sfida. Un centro urbano vivace e sano costituisce un valore di conoscenza e relazioni per tutti i cittadini, che vivono più intensamente la loro città.

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Quando il Centro Commerciale soffre di Daniela Regonesi

Vetrine abbandonate da anni, porte chiuse, negozi disabitati, questo è lo spettacolo che appare a chi oggi entra nel Centro Commerciale Francesca. Pare di essere sul set di quei film catastrofici all’indomani della distruzione del genere umano

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n vago senso di straniamento coglie il visitatore del Centro Commerciale Francesca di Verdello che, inaugurato nel ‘92, è stato uno tra i primi centri commerciali della zona: tante vetrine abbandonate da anni, porte chiuse, negozi disabitati, al via vai dei clienti diretti al supermercato si contrappone un flebile flusso verso gli altri punti vendita. Per certi aspetti pare di essere sul set di quei film catastrofici all’indomani della distruzione del genere umano. Ma perché tutto ciò? Mi spiega Ezio Bordoni: «come intervento edilizio si inquadra nella politica regionale lombarda di fine ‘900, improntata a favorire gli interventi di recupero e trasformazione dell’esistente obsoleto. La legge Adamoli del 1990 consentiva di costruire Centri Commerciali in variante al Prg a condizione che all’interno del Centro la grande distribuzione occupasse non più del 40% degli spazi, destinandone il resto al commercio “al minuto”. L’intenzione era nobile, ma confliggeva con una regola ben precisa: l’attrattività di un Centro Commerciale è data dalla grande distribuzione che, se ben funzionante, trascina anche gli esercizi minori. Nel caso della Francesca le buone intenzioni della legge c’entravano ben poco con i luoghi, perché essendo lontana da Verdello, avrebbe comunque svuotato il paese dei suoi negozi». Concorda Maurizio Ornaghi: «Se prendo le botteghe di paese e le metto tutte in un luogo faccio danno due volte: svuoto il centro e

non attiro più utenti». Prosegue Ezio: «Col passare degli anni le regole fondamentali della distribuzione commerciale hanno avuto ragione, prima con il decadimento del Centro e poi con la chiusura della maggior parte degli esercizi. A dare una spinta negativa sono state anche le spese di gestione e di manutenzione dell’immobile: l’intervento, progettato dall’ arch. Carlo Ciocca, recupera dei capannoni in disuso unendoli sotto una volta in ferro e vetro che ricorda le campate della stazione Centrale di Milano. Effetto riuscito, ma spese di condizionamento alle stelle, oltre a qualche problema di condensa». E ora che «si inizia dare valore al tempo, si predilige il poter fare una spesa veloce, nei centri commerciali viene proposto il tema della shopping experience mi spiega Maurizio - ossia del far vivere ai clienti un’esperienza sensoriale, riducendo il numero di negozi, per aumentare i punti vendita di cibo e ristorazione. Nascono le food court, crescono le aree ludiche, compaiono le smart clinic. Una ricerca de Il sole 24 ore, tuttavia, dimostra come il 35% dei centri commerciali non rispondano ad un bisogno del territorio in termini di potere di spesa». Benessere e servizi alla persona salveranno il Centro Commerciale Francesca?

La storia del commercio in mostra di Lucietta Zanda

Un itinerario alla scoperta di cento anni di storia del commercio trevigliese in mostra dall’8 Aprile al 1° Maggio presso il Centro Civico

L’

idea di allestire una mostra sull’antico commercio trevigliese nasce da Lino Ronchi - ex commerciante titolare dell’ormai chiuso “Bottegone”- con il costruttivo e laborioso apporto del terzetto dei valenti studiosi e archivisti della nostra biblioteca: Fabio Celsi, Francesco Tadini e Franco Meni, sotto la formidabile direzione di Riccardo Riganti, responsabile dell’Ufficio Cultura cittadino. Da anni Lino - minuzioso ed eclettico collezionista di antiche cose - stava raccogliendo per conto proprio prezioso materiale che testimoniasse l’evoluzione delle attività commerciali, fino all’arrivo nel 1970 del primo supermercato - l’UPIM - decretando inesorabilmente la scomparsa quasi totale di tante piccole botteghe del centro. Mi spiega Lino, che incontro in biblioteca insieme agli altri organizzatori della manifestazione, che in via Roma in quegli anni c’erano ben sette esercizi di generi alimentari, tra salumerie e drogherie, più quattro panettieri, due macellai, due fruttivendoli e un pollivendolo. A cui si aggiungevano, colorando col loro variegato contenuto di merci, altri negozietti nei vari vicoli del centro. Ogni negozio serviva parecchi clienti al giorno, creando un indotto notevole verso altre attività del centro, ma soprattutto un certo movimento di persone, nelle vie più frequentate, fino a

tarda sera. Quando ancora non c’erano gli shopping center e i negozianti gestivano meno rigidamente gli orari di apertura e chiusura delle loro attività. Pensiamo ora a Via Roma alle sette di sera di un giorno qualsiasi... Deserta! Chi in quegli anni ha vissuto come protagonista - cioè come titolare di negozio - il collasso degli esercizi del centro, ne rivive ancor oggi con rimpianto i bei giorni. Da qui il proposito di una mostra dedicata sia a tutti coloro che di quella fulgente realtà hanno ancora qualche ricordo, sia a chi voglia rendersi conto di come sono radicalmente mutati i tempi. Celsi, Tadini, Ronchi e Meni mi illustrano brevemente le tre fasi in cui si articola la mostra: la prima parte va dal 1870 alla Prima Guerra Mondiale; la seconda comprende il ventennio fascista; la terza va dal dopoguerra fino al 1970. A fine ‘800 il mercato del centro guadagna spazi più ampi con l’esproprio e lo smantellamento di alcune abitazioni in piazza Garibaldi - allora Santa Marta – e alla mostra è esposto il progetto dei lavori. Nel 1928 il mercato viene spostato dal centro in piazza Cameroni, dove nel ‘34 viene rifatta tutta la parte delle tettoie.

La fase relativa al ventennio fascista ha come momento cruciale la grande mostra del 1934 comprendente otto settori di Commercio, Meccanica ed Artigianato: a testimonianza sono esposti numerosi strumenti come vecchi misurini del latte, pese, affettatrici e antichi vasi in vetro da farmacia. La fase del Dopoguerra, col suo grande sviluppo, vede la creazione da parte di alcuni commercianti di due importanti gruppi di acquisto per rendere i prezzi più convenienti e competitivi: la SA.DRO, dei salumieri e droghieri, e l’associazione Botteghe del Centro. Arriva l’UPIM nel 1971 la cui costruzione fu preceduta dall’abbattimento del nostro indimenticato Teatro Comunale. La sua parete confinante con l’azienda vinicola Bacchetta fu infatti abbattuta “per sbaglio” durante i lavori di costruzione del grande magazzino, dando così al Comune lo spunto per abbattere scelleratamente anche tutto l’edificio. Inaugurazione della mostra alle ore 17 di venerdì 8 aprile, con il tradizionale taglio del nastro ad opera dei titolari di tre attività commerciali centenarie della nostra città. Sarà una piacevole sorpresa per tutti anche il rinfresco offerto generosamente da Commercianti Trevigliesi professionisti e artigiani con la supervisione del presidente Gabriele Anghinoni, la consulenza gastronomica di Lino Ronchi in veste di chef, e l’ausilio di Confesercenti e Ascom. Ci sarà per tutti i golosi partecipanti un irresistibile, profumato risotto cinque stelle, che avrà come protagonista assoluta una succulenta salsiccia doc, offerta dalla pregiata macelleria di Aldo e Stefano di via XXV Aprile e altre squisite sorprese culinarie da scoprirsi “in loco” con un vivace appetito. Poiché la vastità del materiale raccolto renderà impossibile per ora la sua totale esposizione, si invita chiunque avesse oggettistica di quel tipo a metterla gentilmente a disposizione degli organizzatori, nell’ottica di una eventuale seconda edizione della mostra. Sopra a sinistra concerto in piazza Manara, anni ‘50, accanto il Bottegone e in basso fratelli Ronchi, figli del titolare del negozio di via Marconi

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Ora la Fiera Agricola nel nuovo spazio di Cristina Signorelli

Si rinnova l’annuale appuntamento della Bassa Bergamasca, il 35°, con un’inedita collocazione presso il nuovo polo Fieristico a sud della Stazione Ferroviaria

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iunta alla trentacinquesima edizione, anche quest’anno si rinnoverà l’appuntamento annuale con la Fiera Agricola della Bassa Bergamasca, in programma a Treviglio dal 22 al 25 aprile presso il nuovo polo Fieristico, posto a sud della stazione Centrale. L’inedita localizzazione costituisce

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un’importante novità per la Fiera Agricola, che sarà così l’evento inaugurale della nuova area fieristica trevigliese. Attrezzata su una superficie di oltre 19.000 metri quadrati, potrà ospitare fiere e manifestazioni durante tutto l’anno, e sarà inoltre dotata di parcheggi e di un tunnel pedonale che, passando attraverso la stazione, collegherà direttamente al centro cittadino. Giuseppe Fattori, referente e organizzatore, sottolinea: «La Fiera Agricola della Bassa è rimasta l’unico evento dedicato interamente al settore zootecnico nel raggio di chilometri. Dato che perdurano le difficoltà economiche per gli allevatori, riteniamo importante mantenere viva ed attiva la nostra manifestazione. Da molti anni, il prezzo del latte costituisce una questione irrisolta per i produttori, che lamentano una remunerazione del loro lavoro troppo bassa. Ciò diviene questione ancor più stringente, dopo che la crisi economica ha investito pesantemente l’intero settore». Nei giorni di apertura della Fiera, saranno presenti oltre 100 espositori del settore agroalimentare, delle macchine e produzioni agricole, dei mangimi, dei servizi per l’agricoltura, degli impianti fotovoltaici e a biogas, provenienti dalla Bergamasca, dal Bresciano, dal Cremasco e dal Milanese.

Giovani e degrado sociale In collaborazione con le Associazioni provinciali Allevatori (Apa) di Bergamo e di Brescia verranno allestite mostre interprovinciali di oltre 150 capi di allevamento della razza Frisona. «Purtroppo – dice Fattori – in questi ultimi anni si sono verificati tagli ai bilanci di tutti gli Enti, dei quali anche noi abbiamo risentito. Pur senza avere importanti supporti esterni vogliamo proseguire con il nostro impegno di dare visibilità e voce ad un settore fondamentale per il nostro territorio. Quest’anno esporremo solo la razza Frisona perché, originaria delle nostre zone, è la mucca da latte per eccellenza dei produttori padani». Come ormai da tradizione verranno esposti anche i suini e i conigli riproduttori, ai quali saranno dedicate particolari manifestazioni. Inoltre sarà allestito un grande bar ristoro, dove i visitatori potranno sostare per assaggiare i migliori prodotti del territorio. Si rinnova anche la consolidata collaborazione con diverse scuole trevigliesi tra cui lo storico Istituto Agrario Cantoni, l’Istituto Oberdan e l’Istituto Zenale Butinone, i cui allievi parteciperanno in diverse forme all’evento. L’inaugurazione è prevista alle ore 19.00 di venerdì 22 aprile, l’apertura nei giorni seguenti sarà dalle 9.00 alle 23.00. Neanche il tempo di smontare le tensostrutture che ospitano la Fiera Agricola della Bassa Bergamasca, che l’Ente organizzerà presso il nuovo polo Fieristico di Treviglio, l’undicesima edizione della Fiera dei Cavalli. Infatti, dal 29 aprile al 1 maggio, saranno esposti al pubblico oltre cinquanta cavalli, con i quali verranno organizzati diversi spettacoli per intrattenere gli spettatori. Verrà predisposta una pista di sabbia di oltre 2.000 metri quadrati, dove si terranno tutte le dimostrazioni, e neppure quest’anno mancheranno le carrozze d’epoca trainate da uno o più cavalli. In conclusione Giuseppe Fattori si dice fiducioso che il pubblico affluirà numeroso come accadeva nelle precedenti edizioni, incoraggiando l’intero settore agricolo, e zootecnico in particolare, a resistere e guardare al futuro con speranza.

Treviglio: gli imbrattatori seriali sono ritornati

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opo il recente intervento dell’Amministrazione Comunale volto a ripristinare il decoro delle pareti imbrattate dai writers, nel sottopasso ciclopedonale di via Caravaggio così come sui muri di cinta dell’oratorio San Pietro, proprio in corrispondenza dell’ingresso con le scuole, sono tornati in azione “i soliti ignoti” dell’imbrattamento. Certi che il problema sia da analizzare più sotto l’aspetto di un’abissale lacuna culturale che artistica, dobbiamo dare atto dell’impegno economico a cui le amministrazioni e gli enti tutti (ma sempre più spesso anche i privati) devono mettere in campo per limitare il dilagare di un fenomeno dall’impatto altamente deturpante ed incurante delle più basilari norme di civile convivenza (ndr. il rispetto del prossimo e

della proprietà d’altri). Di questo, tra l’altro, ci eravamo già occupati nel numero di settembre dello scorso anno, con particolare riferimento alle strutture e ai convogli ferroviari. Inutile poi illudersi che l’esperimento di alcune amministrazioni di fornire appositi spazi ai giovani, su cui esprimere liberamente la propria arte con progettualità, possa essere risolutivo: il brivido del rischio e del proibito prevalgono sempre e fanno parte di quella sfera più intima dell’essere adolescente e a cui solo la famiglia e la scuola possono dare un chiaro indirizzo. Peccato che entrambe siano lo specchio di una società in piena crisi di valori i cui effetti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. (i.s.)

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Treviglio/Qualità e sapori Slow Food

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T I N T E G G I AT U R E PITTURE DECORATIVE

Una sosta golosa da Paolo Riva di Cristina Signorelli

Un’azienda d’eccellenza spesso nasce da un sogno di un bambino, magari già alla elementari osservando le vetrine dei pasticceri

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el precedente numero de “la tribuna” abbiamo parlato con Candida Pelizzoli della gelateria “Oasi” situata nella frazione Badalasco, su questo numero continuiamo il nostro percorso incontrando le golose creazioni di Paolo Riva, il frutto di una passione manifestatasi già in tenera età Ecco la genesi dell’idea: «Ero alle elementari e mi fermavo davanti alle vetrine delle pasticcerie, affascinato dalle linee e dai co-

lori che davano forma ai dolci esposti, già allora avevo deciso che avrei fatto il pasticcere» e, per fortuna di tutti i golosi, non ha mai cambiato idea aprendo il suo locale a Treviglio, un paio di anni fa. La decisione di avviare una piccola attività imprenditoriale, quale è oggi la Pasticceria Paolo Riva, contando che vi lavorano quotidianamente oltre ventiquattro persone, è stata una scelta consapevole maturata già negli anni di formazione, trascorsi tra scuole e corsi specialistici e poi rafforzata durante le prime esperienze lavorative. «Considero fondamentale l’aspetto artigianale del mio lavoro - spiega Paolo - che mi dà la possibilità di giocare con le migliori materie prime e dare vita, di volta in volta, a prodotti di qualità dove la tradizione, avvalendosi delle nuove tecnologie, è migliorata per adeguarla ad un gusto più leggero e digeribile». Così la conoscenza della chimica alimentare insieme all’uso di apparecchiature tecnologicamente avanzate permettono, applicando la fantasia esperta del pasticcere, la realizzazione di torte, pasticcini e altre dolcezze che, pur nel solco della tradizione, incontrano meglio il gusto moderno, con una particolare attenzione dedicata al cioccolato. L’abilità di Paolo nella lavorazione del

cacao si esprime in una serie golosissima di praline, che spaziano tra molti ingredienti, dalla frutta alle spezie, in combinazioni di gusto e colori davvero sorprendenti: «la sfida è prendere la fava di cacao e, aggiungendo solo lo zucchero, ottenere un prodotto eccellente, ma altrettanto stimolante è sperimentare la materia prima in abbinamenti e consistenze nuove». Un nuovo laboratorio a vista, che aprirà nei prossimi mesi nei locali adiacenti alla pasticceria, sarà il luogo dove oltre al cacao nelle sue diverse declinazioni verrà trattato il caffè, ultima passione in ordine di tempo di Paolo, che vuole proporre alla sua clientela nuove miscele di chicchi, selezionati all’origine e trattati interamente in loco dai suoi collaboratori, per offrire la migliore qualità nella tazzina. «Ciò che faccio mi appassiona - aggiunge Paolo - ed è fonte di soddisfazione, ma un grande contributo è dato dai miei collaboratori ai quali delego volentieri molte responsabilità rispettando le diverse competenze. L’affiatamento e l’impegno del mio gruppo di lavoro si traduce oltre che nella qualità costante dei nostri prodotti anche nell’atmosfera che deve distinguere il nostro locale, accogliendo ogni cliente come un ospite sempre gradito».

Gli artigiani del cibo

Cambiare il modo di mangiare, questo il tema dell’assemblea annuale di Slow Food Bassa Bergamasca

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n occasione della assemblea annuale dei soci della Condotta Slow Food Bassa Bergamasca, tenutasi a marzo nel Castello di Pagazzano, il vicepresidente nazionale Lorenzo Berlendis ha ricordato: «Obbiettivo primario e linea guida di Slow Food è cambiare il mondo del cibo rilanciando la difesa della Biodiversità». La prima azione di tutela della Biodiversità è proprio nel salvaguardare e valorizzare i prodotti della terra, come ha spiegato Barbara Schiavino, fiduciaria della Condotta: «L’attività 2015 è stata caratterizzata da due interventi prioritari: il lavoro svolto per Expo e la valorizzazione dell’agroalimentare sul nostro territorio. La selezione degli artigiani del cibo, secondo i criteri di qualità e sostenibilità

ambientale, ha portato alla scelta di ben 25 aziende locali, pubblicate su “Fare la spesa con Slow Food”». Chicco Crippa ha annunciato un ricco calendario di appuntamenti che coinvolgeranno l’intero territorio: «Due gli ambiti prioritari che confermiamo nel 2016 per diffondere la cultura della Biodiversità e promuovere il diritto al “cibo buono, pulito e giusto” per tutti: la scuola e quella che noi chiamiamo la “Comunità del cibo”». I primi appuntamenti saranno domenica 10 aprile in occasione della ricorrenza dello Slow Food Day alla Cascina Pelesa di Treviglio, con la raccolta e la Sagra dell’asparago biologico, e il successivo giovedì 14 in piazza Garibaldi con la presentazione e degustazione del “menù biodiverso” preparato dagli studenti cuochi e pasticceri di ABF. Il 9 aprile a Bergamo verrà inaugurato il “Mercato della Terra”, organizzato insieme alle altre due condotte bergamasche. Due partecipazioni importanti: al Salone del Gusto-Terra Madre di Torino e al festival Bucineinfiore, in Toscana, dove con il patrocinio della Pro Loco trevigliese, verranno presentati alcuni prodotti tipici della nostra zona. A maggio è previsto un corso di degustazione della birra artigianale e in autunno un corso base di degustazione del vino. c. s.

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La “CFL” e “Il Susino” da oltre trent’anni operano con missioni diverse ma medesimi valori

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reviglio - “Consumare meno, consumare meglio”: è questa la visione che da oltre quarant’anni guida l’attività della cooperativa sociale e di consumo Cooperativa Famiglie Lavoratori (cfltreviglio.it), nata su iniziativa di alcune famiglie trevigliesi che nel 1972 diedero vita ad un gruppo d’acquisto per affrontare insieme l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Dal 1998 CFL, che ad oggi conta più di 4300 soci, ha sede in Viale Piave 43 a Treviglio, in quello che non si riduce ad un semplice punto vendita, ma che è lo specchio di una presenza propositiva sul territorio e una guida sui temi della sostenibilità e del consumo critico. «CFL non è un comune supermercato - sostiene il Presidente Angelo Jamoletti - ma è un luogo ove è possibile acquistare “prodotti etici”: privilegiamo alimenti garantiti per qualità ottenuti, confezionati e distribuiti nel rispetto dell’ambiente e scegliamo produttori che utilizzano metodi e processi equi, come testimonia la nostra attenzione ai prodotti di Libera Terra e Altromercato». A chi entra in CFL viene proposto un vasto assortimento di beni - il 50% dei quali è acquistato dal consorzio SAIT di Trento - che include prodotti biologi-

ci e generi a KM 0, come formaggio e carne di aziende del territorio locale. Coloro che diventano soci godono di svariate offerte, tra le quali uno sconto sull’acquisto di libri scolastici - CFL è stata la prima realtà italiana a vendere libri di testo ai propri soci - oltre che ricevere aggiornamenti sulle iniziative territoriali e della cooperativa mediante il periodico “Gente che coopera”. «Ci prepariamo alle sfide della concorrenza con diverse iniziative - aggiunge Jamoletti - come il neo servizio di rosticceria su prenotazione o il progetto di una nuova edizione del laboratorio di lingue; ma quello che differenzierà sempre CFL dalla grande distribuzione è che noi vendiamo quello per cui siamo nati, noi vendiamo i valori». Si festeggia quest’anno l’anniversario trentennale di un’altra storia di valori: Il Susino. La cooperativa, con sede a Caravaggio, si fonda sull’idea che la persona svantaggiata possa essere accompagnata in un percorso di introduzione nel mondo del lavoro, un affiancamento che ha come obiettivo l’inserimento in un contesto produttivo organizzato secondo criteri d’impresa. «Lo scopo che si prefigge la cooperativa - sottolinea il Presidente Angelo Soliveri - è quello di valorizzare le qualità di tutti i ragazzi e fare in modo che

La sede del “Il Susino” e a sinistra i ragazzi al lavoro. Sotto la sede della “Cfl” in viale Piave a Treviglio

venga loro riconosciuto il ruolo di lavoratori». All’interno de Il Susino vengono svolte attività per conto terzi, come l’assemblaggio e il confezionamento manuale di materiale plastico, minuterie metalliche, componenti meccaniche e il controllo di qualità, il tutto sotto la costante supervisione di operatori e volontari «che voglio ringraziare uno ad uno per il sostegno preziosissimo che danno e senza il quale tutto questo non potrebbe esistere», aggiunge il Presidente. Per alcuni il periodo trascorso nella cooperativa costituisce un’esperienza ponte prima dell’ingresso in altre realtà aziendali, come è avvenuto per 12 di loro, per altri che, invece, necessitano di una struttura protetta, si tramuta nell’assunzione da parte de Il Susino. Alcuni ragazzi sono protagonisti del progetto “Sit Down” presso il ristorante Matè di Treviglio, ove servono ai tavoli, al bancone o si occupano dell’accoglienza. «Tutte le nostre iniziative sono volte a rendere indipendenti i ragazzi, siamo orgogliosi di accompagnarli in questo percorso che regala e insegna tantissimo a tutti coloro che li affiancano» conclude Soliveri.

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Treviglio/Scuole professionali

L’Enfapi e la formazione di Cristina Signorelli

Un ottimo esempio di sinergia tra l’industria locale, la formazione di forza lavoro e la capacità di adeguarsi al cambiamento. Ne parliamo con il direttore della struttura Aldo Consoli

L Un viaggio apre sempre nuovi orizzonti e scrive pagine di vita uniche ed irripetibili, regalando piacevoli ricordi che restano impressi nella nostra memoria. Un viaggio di nozze è ancora, molto di più: suggella l’ingresso in una nuova fase dell’esistenza, consente di sperimentare la vita di coppia in una dimensione diversa da quella di ogni giorno, offre l’occasione di trascorrere magici momenti di intimità in cui ogni dettaglio assume i contorni ed i colori del sogno. Nella nuova edizione del catalogo Best Emotion l’offerta si articola in un’ampia serie di proposte studiate in esclusiva per gli sposi. Tour di grande interesse storico, culturale o naturalistico, si abbinano sempre ad un soggiorno sui mari più belli del mondo. BONANZA VIAGGI VI ASPETTA IN AGENZIA CON IL NUOVO CATALOGO BEST TOURS · BEST EMOTION 2016 PER TRADURRE I VOSTRI SOGNI IN FORMA DI VIAGGIO

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e scuole di formazione professionale hanno una particolare importanza per il territorio, in quanto formano manodopera specializzata che è, di solito, indirizzata ai settori produttivi presenti nell’area. Maggiore è la connessione tra la scuola e le aziende locali, più ampie saranno le opportunità di inserimento nel modo del lavoro. Enfapi costituisce a Treviglio un ottimo esempio di sinergia tra l’industria locale e la formazione di forza lavoro ad essa adeguata. L’Ente Nazionale per la Formazione e l’Addestramento Professionale nell’Industria (ENFAPI), in seguito divenuto Sistemi Formativi Confindustria, nasce nel 1969 per rappresentare l’ente di formazione nazionale nel sistema Confindustriale. Il Centro Operativo di Treviglio viene creato nel 1976 per rispondere alle necessità formative del personale della Same Trattori. In breve tempo altre aziende vengono coinvolte nel progetto, dando origine all’attuale Consorzio Enfapi di Treviglio, che aveva avviato l’attività formativa vera e propria nell’anno scolastico 1981/82. La scuola, accreditata dalla Regione Lombardia, costituisce un interessante sbocco per quei giovani che, terminate le scuole medie, hanno l’obbligo di altri anni di frequenza scolastica e vogliono prepararsi ad un lavoro manuale. «Molti ragazzi non sono predispo-

sti per l’attività puramente speculativa – ci dice Aldo Consoli, direttore della struttura – hanno quindi bisogno di una guida che li aiuti a crescere e completarsi come persone, dandogli nel contempo gli strumenti giusti per imparare un lavoro. Nella nostra scuola vogliamo formare i futuri lavoratori che, oltre a maneggiare con destrezza le macchine, siano rispettosi delle regole del vivere civile». Gli indirizzi di formazione sono operatore meccanico e operatore alla riparazione di veicoli a motore. I corsi hanno durata triennale, con possibilità di proseguire il quarto anno e ottenere il diploma regionale in tecnico di impianti automatizzati. Consoli, insegnante di matematica, con alle spalle una lunga carriera di preside di istituti pubblici, sottolinea: «La peculiarità di questa scuola consiste nell’introdurre fin dal secondo anno di frequenza gli allievi in realtà produttive. Gli stage annuali prevedono che gli studenti impieghino in azienda 250 ore al secondo anno e oltre 400 ore il terzo. I ragazzi, oltre ad imparare il mestiere, si abituano a relazionarsi in un contesto lavorativo. Sperimentano sulla loro pelle che l’organizzazione, la puntualità, il rispetto sono alcune delle caratteristiche imprescindibili, insieme alle competenze, che fanno un lavoratore serio ed affidabile». Sul territorio il Consorzio Enfapi dialoga con oltre 340 aziende, interessate variamente alle attività didattiche e pratiche della struttura. «Un ulteriore elemento di merito – pro-

segue Consoli - va riconosciuto al corpo docente, che con grande passione si dedica all’attività didattica, integrando la presenza in classe con molto lavoro di preparazione e supporto». Data la velocità con la quale le nuove tecnologie entrano in fabbrica e mutano le figure professionali e i processi produttivi, è necessaria un’attenta analisi della realtà imprenditoriale per anticipare e prevedere le future esigenze. Ciò consentirà di preparare adeguatamente gli attuali studenti e garantirà loro un più facile accesso al modo del lavoro. Il Consorzio Enfapi, a partire da quest’anno, sta differenziando ed ampliando l’offerta formativa. Ha infatti predisposto un catalogo di corsi per le aziende che coprono diverse aree: lingue straniere, commerciale, sicurezza, ecc. La flessibilità e l’impegno dei docenti, uniti alle competenze maturate nei diversi settori, costituiscono un’interessante risorsa per le aziende che decidono di integrare e completare la formazione dei propri dipendenti, a volte per adeguarsi ai nuovi disposti legislativi, a volte per esigenze organizzative. Il nuovo catalogo corsi del Consorzio, oltre a migliorare la gestione economica della struttura, costituirà nei prossimi anni un riferimento importante per le realtà produttive trevigliesi, poiché, interagendo con le richieste del territorio, verranno proposti corsi e approfondimenti didattici e pratici utili alle aziende della Bassa.

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Condomini e scadenze

Economia/Le News

Caloriferi e valvole obbligatorie

Recessione: distinguiamo i fatti dalla fantasia

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di Cristina Signorelli

Referente Medico Struttura: Dott. Stanislao Aloisi (Medico Chirurgo) Supervisore discipline non EBM: Dott. Michele Tumiati (Medico Chirurgo) Referente Discipline Integrate: Simona Ardemagni (Tecnico di laboratorio analisi / Naturopata) Convenzione tecnico-scientifica con l’ambulatorio di Medicina di Base: Dott. Armando Pecis

Ancora qualche mese per provvedere all’adeguamento degli impianti di riscaldamento centralizzato, un intervento che riguarda numerosi condomini. Parliamo di costi e vantaggi con Agostino Lombardi

I • Medicina Funzionale - Biochimica Clinica Medica • Nutrizione Metabolica Medico Nutrizionistica • Osteo-Fisioterapia - Massoterapia - Taping Neuromuscolare • Naturopatia D.B.N Regione Lombardia • Reflessologia Plantare D.B.N Regione Lombardia • Agopuntura Medica • Riflessologia auricolare funzionale F.A.S.T. Discipline Bio-Naturali • Detossicazione ionica plantare Iscritte ai Registri Ufficiali • Analisi di laboratorio con referto medico: - Mineralogramma / Indagine Gastrointestinale - Analisi dei Metalli Tossici / Tossicosi croniche - Intolleranze alimentari su sangue D.B.N Regione Lombardia - Check up Salute e Prevenzione La Nostra Mission: «Riconoscere il ruolo fondamentale della Medicina Ufficiale nell’ambito della salute, aprendo a nuove interpretazioni e reali possibilità di trattamento fornite dalle Discipline Bio-Naturali indicate nei registri della Regione Lombardia salvaguardando la valenza scientifica attraverso periodici case reports e meta-analisi caso correlate».

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prossimi mesi estivi saranno determinanti per provvedere ad adeguare gli impianti di riscaldamento centralizzato, negli immobili costruiti prima del 1976. Si tratta di una norma europea, recepita dallo Stato italiano nel 2014 (d. lgs. n. 102/2014), che avrà vigore a tutti gli effetti (sanzioni comprese) a partire dal 1 gennaio 2017. L’obiettivo è quello di calcolare l’esatto ammontare di calorie consumate dalle singole unità abitative, al fine di ridurre sprechi energetici che nei vecchi condomini erano molto frequenti. Spesso gli appartamenti collocati ai piani più bassi soffrivano un caldo esagerato, mentre chi era più in alto lamentava temperature sempre più basse del dovuto. Tecnicamente, per adeguarsi alle nuove leggi, si dovrà applicare ad ogni termosifone presente nella propria casa una valvola termostatica e un ripartitore dei consumi. Con l’uso della prima si potrà regolare la temperatura di ogni calorifero, mentre il ripartitore registrerà quante calorie vengono realmente consumate. A completamento dell’operazione, la caldaia dovrà essere adeguata con nuove pompe, che permettano di regolare i flussi di acqua a seconda della richiesta di ogni elemento riscaldante. I costi da sostenere per mettersi in regola con le nuove disposizioni possono variare molto, come spiega Agostino Lombardi, vice presidente di Anaci Lombardia: «Sul prezzo delle valvole termostatiche e dei ripartitori incide molto la tecnologia, più questa è intelligente maggiore sarà il costo. Possiamo comunque calcolare che per singolo termosifone l’applicazione di valvole e ripartitori tecnologicamente più semplici, la spesa si aggiri intorno ai cento euro. Per quanto concerne la caldaia centralizzata, il costo dell’intervento dipenderà dal tipo di impianto esistente». A Treviglio gran parte dei condomini esistenti sono stati costruiti tra gli anni sessanta e settanta: si tratta soprattutto di grandi complessi abitativi, che sono quindi direttamente

Agostino Lombardi, vice presidente Anaci Lombardia, illustra ai lettori de “la tribuna” le scadenze al 31 Dicembre 2016 relative agli impianti centralizzati

interessati ad adeguare l’impianto termico centralizzato alle nuove norme. Al contrario, non hanno alcun obbligo i possessori di case già dotate di un impianto di riscaldamento autonomo, poiché in tal caso la contabilizzazione individuale del calore e la ripartizione delle spese avviene automaticamente. «Sulla base della mia esperienza - prosegue Lombardi - direi che, ad oggi, la maggior parte dei soggetti interessati a Treviglio ha provveduto a regolarizzare gli impianti termici come previsto dal decreto legislativo 102/2014. In tal modo hanno anche beneficiato dei contributi statali previsti per la riqualificazione energetica». Il rapporto costi-benefici dell’operazione risulta di gran lunga a favore dei benefici, come descrivono gli utenti interpellati al riguardo. Per esempio, Paola afferma: «Nel nostro condominio abbiamo provveduto ad installare le valvole termostatiche quasi due anni fa, da allora abbiamo registrato un notevole risparmio energetico, sia a livello condominiale che per appartamento. Già nel primo anno abbiamo ripagato la spesa sostenuta con quanto risparmiato in bolletta». Anche Luigi condivide: «Oltre ai risparmi sul metano, abbiamo una migliore distribuzione del calore in tutta la casa, possiamo regolare le temperature stanza per stanza e nelle ore che preferiamo». Abituati a dover, spesso, rincorrere le norme europee per metterci in regola forzatamente, potremmo dire che in questo caso ben venga l’adeguamento alla contabilizzazione del calore consumato, se i cittadini ne ricavano un effettivo guadagno.

ui mercati oggi, il sentimento dominante è La Paura. I cali registrati dalle borse mondiali in questo primo periodo dell’anno inducono, infatti, gli investitori a temere che sia ormai all’orizzonte una recessione per l’economia mondiale, ma questa paura è davvero giustificata? Esistono concretamente segnali negativi sul comportamento dei fondamentali economici? La realtà è che “bisogna fare molta attenzione a distinguere i fatti dalla fantasia”. Cina in rallentamento, ma non si rischia il contagio E’ infatti rilevante sottolineare che, nel pessimismo generalizzato, non esiste una singola teoria coerente su come il rallentamento dell’economia cinese incida su fattori diversi dai prezzi per le altre economie mondiali. Petrolio più economico: toccasana per l’economia globale Fatta eccezione per i produttori di petrolio, l’energia a basso costo risulta indubbiamente positiva per la crescita globale. Bisogna ricordare, inoltre, che quando è scoppiata la crisi del 2008, di fatto non ne

esistevano precedenti di tale entità. Oggi, invece, il fatto di aver vissuto tale trauma congiuntamente alle riforme significative che ne sono seguite rende meno probabile il verificarsi di una nuova crisi sistemica della stessa portata. Perché bisogna essere più ottimisti “Una recessione diffusa tende a verificarsi quando i settori dell’economia sono colpiti da un fattore comune, come la contrazione delle condizioni finanziarie. Può essere il settore finanziario a fornire questo fattore di correlazione? Certo che può, ma dovremmo chiederci se il mercato stia sottovalutando questo rischio oppure se, considerando l’esperienza del 2008 e i movimenti di prezzo recenti, non stiamo focalizzando troppo l’attenzione sulla probabilità di un bis”, probabilmente l’unica a guadagnare di questa “volatilità” è la speculazione di pochi a danno dei molti. team.advisor3v@gmail.com

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1 Aprile 2016 - la tribuna - 27


Personaggi/Il medico dei bambini In questa fotografia del 1982, da sinistra la dottoressa Lina Cazzaniga, la caposala Beatrice Pagani, il prof. Federico Bergonzi, il dott. Renato Fenini e il dott. Luigi Re. In basso un ritratto del dott. Luigi Re realizzato per “la tribuna” da Mariella Mandelli

La mia vita da pediatra a Treviglio di Daniela Regonesi

Incontriamo il dottor Luigi Re, pediatra conosciuto ed apprezzato da generazioni di famiglie, che ci offre alcune interessanti considerazioni su cambiamenti ed opportunità legate alla sua professione e alla medicina in generale

M

alattie di stagione che impongono poco piacevoli - soprattutto per i genitori - assenze scolastiche, il malessere che affiora spesso e volentieri nel fine settimana, ansie ingiustificate e legittime paure dei genitori: ne parliamo con il dottor Luigi Re, pediatra conosciuto ed apprezzato da generazioni di padri e madri, che ci delinea l’andamento attuale del suo campo professionale. Come possiamo riassumere la sua carriera? «Dal ‘69 ho lavorato in ospedale come stipendiato, circa tredici anni fa sono andato in pensione, ma ho continuato a prestare servizio presso la struttura ospedaliera cittadina con contratti di collaborazione, fino al dicembre 2014, in ottemperanza alla legge vigente. Il mio maggiore interesse è sempre stata l’allergologia pediatrica, ma mi sono occupato anche di neonatologia, pediatria e malattie infettive». Cosa è cambiato nella pediatria in questi anni? «La pediatria di base ha ridotto l’attività in ospedale, spostandola sul territorio. L’ospedale mantiene alta l’attività nelle giornate in cui il pediatra di base è assente e quindi gli utenti si rivolgono alla struttura ospeda-

28 - la tribuna - 1 Aprile 2016

liera. Ultimamente sono nati ambulatori gestiti da pediatri in alcuni giorni in cui il medico di base non c’è: ve n’è uno, ad esempio, a Romano di Lombardia (Asl di Bergamo sta potenziando l’assistenza territoriale mettendo a disposizione delle famiglie un Servizio Pediatrico ambulatoriale territoriale gratuito, attivo il sabato pomeriggio. L’ultimo inaugurato, nel settembre scorso, è appunto quello di Romano, ndr). La percentuale prevalente di donne, in questa professione, fa sì che scelgano il lavoro territoriale, poiché il pediatra ospedaliero è vincolato a turni non conformi o poco conciliabili con tempi e necessità famigliari. Ciò fa sì che nelle strutture ospedaliere vi sia una maggiore rotazione: difficile trovare, come in passato, medici che sono lì da anni». La crescente immigrazione ha influito, in qualche modo, sull’evoluzione della sua professione e sull’andamento delle malattie dei pazienti? «Non ci sono grandi problemi con gli immigrati, è un falso problema. Non ho rilevato il manifestarsi di malattie obsolete, ad esempio c’è una scarsa incidenza della tubercolosi, non c’è un allarme al riguardo. Il problema dell’immigrato, dal punto di vista sanitario, non l’ho osservato, chi sostiene il contrario deve dimostrarlo». C’è stato un cambiamento nel ruolo e nell’atteggiamento dei genitori, nei confronti del suo lavoro? «No, non c’è stato un grande cambiamento. Dovrebbe essere incrementata l’educazione sanitaria volta a far sì che i genitori usino meglio le strutture che ci sono. Ad esempio, non è pensabile che i medici vadano a visitare a domicilio tutti i pazienti febbrili. La “mentalità del colpo d’aria“, con la paura di arieggiare i locali e di portare in ambulatorio i bambini con la febbre, si supera con l’educazione e l’informazione. Una novità è data dall’uso di internet: nessuno deve pensare di risolvere i problemi con il web, si corrono grossi rischi; i genitori spesso arrivano già informati, ma a modo loro. C’è un rischio, che va diffondendosi, ed è la voce di malasanità che accompagna la denuncia: si operano migliaia di interventi risolutivi, ma un solo caso di errore - che può capitare perché nessuno è infallibile - rischia di compromettere la credibilità e la professionalità di un medico. Ecco allora che si

COME LAVORIAMO

aumenta il numero di farmaci prescritti per tutelare la propria professione. Un esempio è l’uso improprio di antibiotici, anche quando non indispensabili, che determinano resistenze e rendono necessario l’uso di prodotti più tossici». Cosa pensa del dibattito in merito alla pericolosità delle vaccinazioni? «È un fobia che sta aumentando il rifiuto dei vaccini, ma riviste scientifiche di alto livello hanno escluso che siano rischiosi». In generale, come si potrebbe migliorare la situazione della pediatria? «Per diminuire e migliorare l’uso dei servizi potrebbe essere istituito un consultorio telefonico, in grado di rispondere a certi tipi di domande e alleggerire il carico di lavoro di chi visita. Potrebbe smistare l’utenza a seconda dei gradi di necessità di assistenza, restituendo all’ospedale il suo ruolo di secondo e terzo grado di assistenza. Con questo non intendo sminuire il primo – quello del medico di base – credo solo che tutti possano ammettere che spesso si ricorre al pronto soccorso inutilmente. Ho l’impressione che l’accesso sia spesso improprio, come quando si risolve con delle visite ambulatoriali per le quali si sarebbe potuto usare il servizio di guardia medica. È importante non sprecare le risorse. Un esempio sotto gli occhi di tutti è dato dalle dosi prescritte e dalle confezioni dei farmaci: se il paziente deve assumere 120 ml di sciroppo, deve procurarsi due confezioni da 100 ml, buttando via circa 80 ml di prodotto. Se il Ministero autorizzasse la vendita sfusa avremmo una sensibile riduzione delle spese». È impegnato in qualche attività di volontariato? «Collaboro con Carlo Bonacina nell’ideazione di un progetto per avviare una coltivazione di quinoa in Senegal. È un alimento pressoché completo, che potrebbe sfamare intere popolazioni con poca spesa e molta resa». Nella medicina, come nel quotidiano, piccole scelte possono fare una grande differenza.

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Treviglio/Libri in corsia

Treviglio/Alcolisti Anonimi

Alcol: se ne può uscire

A sinistra Eugenio ci mostra un quadro con i fondatori degli Alcolisti Anonimi. Sotto la sede di Treviglio in piazza Cameroni, accanto cartelli informativi dell’associazione

di Daniela Invernizzi

Visitiamo la sede degli Alcolisti Anonimi di Treviglio, frequentata attualmente da circa 140 persone che si sono date delle regole: “Tutto ciò che viene detto nei nostri incontri non uscirà mai all’esterno”

E

ugenio mi riceve nella stanza di piazza Cameroni messa a disposizione dal Comune. La sala è occupata quasi interamente da un grande tavolo rettangolare, mentre sulle pareti intorno campeggiano i cartelli che avvertono: “Quando un amico parla, gli altri ascoltano”; “Tutto quello che viene detto qua, rimane qua”; l’elenco dei nomi di chi ci sta provando, le “regole” da seguire, o meglio, i 12 passi che aiutano nel processo di riabilitazione. Acqua e caffè a volontà, grazie al contributo di chi partecipa alle sedute, e un mesto quadretto con le foto di chi non ce l’ha fatta. Il più anziano ha 70 anni, gli altri sono tutti molto giovani. Siamo nella sede degli Alcolisti Anonimi di Treviglio, associazione fondata nel 1935 negli Stati Uniti da due ex alcolisti e poi diffusasi in tutto il mondo, con lo scopo di salvare dalla malattia chi vuole essere salvato. «Perché di malattia si tratta - mi conferma Eugenio, 20 anni di sobrietà e che, da quando vi ha messo piede, è l’anima di questo posto - una malattia e una piaga sociale, che coinvolge non solo la persona interessata, ma anche le famiglie e la comunità nella quale vivono». Eppure uscirne si può. Su una trentina di persone che ogni anno varcano la porta dell’associazione trevigliese, più della metà ce la fanno, «gli altri vanno e vengono, non sono stabili - dice Eugenio - qualcuno lo perdiamo». Si avvicina al muro e accarezza

commosso il quadro con le foto dei morti, quasi fossero parenti suoi. Sono 140 circa le persone che attualmente partecipano agli incontri, tre riunioni alla settimana, il martedì e giovedì (21-23) e il sabato (14,30-16). «La porta è aperta a tutti, non facciamo distinzioni di razza, sesso o fede religiosa. Il nostro credo è uno solo: volersi bene, credere in sé stessi e nella possibilità di farcela. Con il gruppo ci si può sfogare, parlare, si può imparare un nuovo stile di vita, ci si può salvare. Questo è quello che è successo a me e a molti altri». Non ha problemi, Eugenio, a raccontarmi la sua storia da alcolista, iniziata quando aveva 11 anni: «Il processo che ti porta a diventare alcolista è lento, ma inesorabile, e quando meno te l’aspetti, ci sei dentro in pieno e non ne esci più. Per questo motivo mi preme avvertire i ragazzi più giovani: state attenti, dire “io bevo solo il sabato” non significa nulla». Continua raccontando di aver lavorato tutta la vita alla Same, e solo grazie alla fortuna non è mai successo niente di grave. «Ero sempre ubriaco, mi chiamavano in ufficio, promettevo di non farlo più, e poi regolarmente ricominciavo. Sono arrivato all’età di 44 anni che pesavo 27 chili, avevo smesso di mangiare. Ero distrutto. Se non avessi smesso sarei morto. La mia famiglia, mia moglie, che da anni mi sopportava, non sapeva più che pesci pigliare. Finché un giorno conobbi Giulio, anche lui ex alcoli-

sta, che mi fece conoscere il gruppo. Sono entrato nella sede (allora in via Roma) il 6 gennaio 1997 e da allora non ho più bevuto». Gli chiedo come abbia fatto. «Il gruppo ti aiuta, perché ti trovi in mezzo a chi sa cosa stai passando, nessuno ti giudica; poi, certo, ci vuole la forza di volontà, la voglia di uscirne: la ricaduta è sempre in agguato. Chi ha avuto problemi con l’alcool è difficile che possa riprendere a bere “normalmente”. Ma poi, perché dovrei bere? Sto benissimo così. Ho riavuto la mia vita, la mia famiglia. Non per niente il gruppo si chiama “Ritorno alla vita”. Che è difficile, e doloroso, perché spesso comporta l’avere a che fare con i cambiamenti, che prima non vedevi perché troppo ubriaco. Una moglie che non ti vuole più, per esempio. Bisogna fare i conti con la realtà, e non è sempre facile». Chi frequenta il gruppo? «Uomini e donne di tutte le età, moltissimi giovani, purtroppo, che spesso hanno una doppia dipendenza, droga più alcool. Fanno cose aberranti, come buttarsi la vodka negli occhi. È una piaga sociale, occorre che se ne parli di più. Occorre dire che la morte per alcool è una delle più tremende. Occorre che si sappia che esistono gruppi come questo, e che ci si può salvare». Nella sala accanto c’è la sede del gruppo Al-Anon, che si occupa dei famigliari degli alcolisti. Spesso la famiglia non sa come affrontare il problema, e il gruppo, che non pretende di fornire un aiuto specifico di tipo medico o psicologico, costituisce comunque un valido supporto per i parenti e gli amici degli alcolisti che non sanno come affrontare il problema. Eugenio oggi è un uomo felice; felice perché si è salvato, felice perché ha ritrovato la sua famiglia, felice perché riesce ad aiutare gli altri. Non ha paura della ricaduta, anche se a molti succede, anche se le scuse, o le occasioni per bere sono tante: «Ogni mattina mi alzo e mi guardo allo specchio - mi dice, risoluto - e guardandomi negli occhi ripeto ogni volta questa frase: “Sono Eugenio e sono un alcolista. Ma qualsiasi cosa succeda, non devo bere».

La biblioteca in ginecologia di Ivan Scelsa

Nel reparto di ginecologia dell’Ospedale di Treviglio nasce una biblioteca. Un supporto psicologico alternativo ai degenti

A

lcuni giorni fa, sul suo profilo facebook, il dottor Claudio Crescini, direttore del dipartimento materno infantile ASST Bergamo Ovest scriveva: “La biblioteca del reparto di ginecologia dell’ospedale di Treviglio sta crescendo. Grazie a tutte le donne che stanno portando i loro libri (per ora nessun uomo!)”. A questo post, inaspettatamente, ne era seguito un breve ma interessante scambio di opinioni sul rapporto tra i sessi, sul ruolo del “maschio” ed il suo rapporto con la maternità. Ed è così che, sulla scorta della provocazione, anche alcuni uomini si sono sentiti in dovere di supportare e promuovere l’iniziativa donando alcuni testi al Reparto. E’ noto come a fruire della ginecologia del nosocomio trevigliese siano migliaia di don-

SERVIZI DI CARPENTERIA

30 - la tribuna - 1 Aprile 2016

ne ogni anno. Degenti per pochi giorni in concomitanza con la nascita del figlio piuttosto che ricoverate per problematiche più complesse e non sempre facili, è chiaro che il tempo all’interno della struttura possa sembrar scorrere molto più lentamente. E al di là dell’utilizzo del telefonino e della connessione internet, occorre pensare ad attività alternative (come la lettura appunto, sicuramente più rilassante). Tra l’altro, stante la sempre maggior incidenza statistica di natalità da parte di donne straniere (la percentuale è ormai prossima al 50%), l’idea di realizzare una

piccola biblioteca interna al reparto potrebbe rivelarsi un supporto alle giovani madri per avvicinarsi ad una miglior comprensione della lingua italiana che, ovviamente, rappresenta un ostacolo importante alla vera integrazione. Non solo romanzi e libri di narrativa, ma anche testi illustrati, con un occhio alla storia del territorio e ai suoi personaggi e tradizioni. Ognuno di questi libri trova spazio nella saletta dedicata fruibile da pazienti e da chi si reca a far loro visita: un luogo di incontro tra la cultura e la solidarietà.

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1 Aprile 2016 - la tribuna - 31


Rotary Treviglio

Storie e personaggi della Gera d’Adda

Tutti possiamo scalare l’Everest

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di Daniela Regonesi

Le Domeniche della Salute di Cristina Signorelli

S

ono in pieno svolgimento le “Domeniche della Salute”, un’iniziativa promossa dal Rotary Club Treviglio e Pianura Bergamasca e patrocinata dall’Ospedale di Treviglio (ASST Bergamo Ovest). Il progetto prevede che nelle domeniche programmate, in piazza Manara a Treviglio, venga allestita una postazione dotata di strumenti diagnostici e informativi, presso la quale l’organizzatrice Martina Di Rubbo, medico ginecologo, insieme ai medici e al personale qualificato fornisce un’informazione medica corretta. Domenica 14 febbraio è stata dedicata alla ginecologia e urologia, con possibilità di effettuare pap test. Domenica 13 marzo è stata la volta delle malattie cardiovascolari e del diabete, con possibilità di fare uno screening glicemico. Domenica 10 aprile verrà fatta informazione e screening visivo, affrontando le problematiche riguardanti l’occhio e la vista. Il successo riscontrato dall’iniziativa dimostra quanta sensibilità, ormai, abbiamo alla prevenzione delle malattie.

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Monica Rozzoni ci racconta il progetto “My Everest”, ideato dal marito Luigi Sala: scalare montagne e superare i propri limiti, nonostante la malattia e aiutando la ricerca

L

uigi Sala, grande amante della montagna, ha concluso la sua scalata terrena il 14 marzo dello scorso anno, giorno del suo quarantottesimo compleanno, a due anni esatti di distanza dal primo manifestarsi della malattia. Ha lasciato un vuoto immenso ed un grande impegno, riuscendo a rendere partecipi del suo sogno anche tante altre persone. “I hope, I dream, I live” (Spero, sogno, vivo), è il motto del progetto My Everest, “personale iniziativa rivolta ai malati come lui, con l’obiettivo di sostenerli nella battaglia contro il male per non farsi sopraffare e, anzi, suggerendo di vivere con nuovi obiettivi”, come si legge sul sito dell’associazione. L’organizzazione no profit ha un “duplice scopo: da un lato voleva essere un aiuto concreto per il lavoro di medici e ricercatori, grazie alle donazioni in denaro, e dall’altro si proponeva, con il blog e la community, come un aiuto psicologico rivolto a coloro che quotidianamente erano come lui ‘in prima linea’ a dover tirare avanti”. Luigi voleva dimostrare che “ fare cose mai tentate prima della diagnosi della malattia è comunque possibile”; nel suo caso l’altitudine massima raggiunta prima della malattia era di 3.007 metri, l’anno seguente, dopo aver fatto chemioterapia ed essere piuttosto debilitato, 3.082 metri e quello dopo ancora, 3.585 metri. Avrei voluto conoscere di persona Luigi, perché i suoi racconti schietti, divertenti e al tempo stesso capaci di farti pensare, sorridere e commuovere, te lo fanno sentire vicino, familiare. Ho avuto comunque la fortuna di incontrare sua moglie, la trevigliese Monica Rozzoni, e di conoscerlo attraverso il suo ricordo. Mi spiega che il progetto nasce perché «Luigi non era rassegnato, è sempre stato consapevole: la diagnosi era tumore al pancreas, ma non voleva stare sul divano ad aspettare quel giorno, anche se non pensavamo che sarebbe arrivato così rapidamente». Non è semplice dar voce al dolore di chi ti racconta di un uomo «impegnato in tante attività, una persona positiva, che

ha lasciato tante cose, come lo sport e l’oratorio», e di cui è difficile accettare la mancanza. Ma, mentre chiacchieriamo sedute al tavolo della luminosa cucina di casa Sala a Rivolta d’Adda, tra noi c’è tanto di lui: è un’assenza ma anche una presenza, che si fa dialogo, coraggio di andare avanti e di prendersi cura di ciò a cui lui stava tanto a cuore. «L’organizzazione aiuta, ma riapre le ferite, perché non mi rassegno. Il progetto fa sì che sia come se fosse qui, ma al contempo ti rendi conto che non c’è. Tante piccole cose ci tengono impegnati. Andiamo avanti poco per volta, come in montagna. Luigi dava il passo, in arrampicata come con il progetto». E passo dopo passo, dall’obiettivo iniziale di raggiungere “l’Everest”, raccogliendo 8.848 € per supportare la ricerca sul tumore al pancreas, fatta all’Ospedale San Raffaele di Milano, «si è innescata una grossa catena di solidarietà, e - mi rivela Monica - è stata quasi una sorpresa: inizialmente avevo il timore che restasse deluso». Dal novembre 2014 il progetto ha raggiunto cifre pari a quasi sette cime superiori agli 8.000 metri ed è possibile contribuire all’arrampicata in diversi modi: con versamenti sul conto corrente bancario o su quello postale, attraverso donazioni in cambio di braccialetti, magliette, body da neonato e torte realizzate su richiesta. Sono stati organizzati anche diversi eventi, come aperitivi, galà di danza e offerta di cd musicali. Attività ed iniziative sono documentati puntualmente da Ana e Laura, le ragazze del marketing, che aggiornano il sito www. myeverest.it e la pagina Facebook. I soldi raccolti saranno inseriti in una ricerca o progetto - si sta cercando di scegliere il migliore - del quale nei prossimi mesi l’oncologo Michele Reni darà maggiori dettagli. «I tempi scientifici, del resto, sono lunghi - spiega Monica - ma abbiamo la massima fiducia nel dottore, come diamo un giudizio assolutamente positivo dell’ambiente medico: è stato fatto tutto quello che si poteva fare». Nei racconti di Luigi - che sono riportati sul sito - tante arrampicate, considerazioni lievi o profonde su vita, malattia, famiglia, fede e

Luigi Sala con la moglie Monica Rozzoni, sotto uno dei gadget proposti per sostenere “My Everest”

amici, si intrecciano a scene quotidiane e ricordi: «si è pentito di non aver cominciato subito a scrivere. Scriveva di giorno e, quando non riusciva a dormire, spesso, la notte. C’è il progetto di pubblicare i suoi 120 racconti, l’ultimo dei quali è datato 9 dicembre 2014». Speranza, empatia e consapevolezza, queste le caratteristiche che rendono i protagonisti di questa iniziativa così vicini a chi li incontra: «Non voleva né vogliamo piangerci addosso. Doniamo un briciolo di speranza: qualcun altro ci è già passato, anche se lui non ce l’ha fatta, altri vanno avanti comunque. Abbiamo la vicinanza di tante persone: la speranza e la sofferenza avvicinano, l’empatia permette di ridurre il senso di solitudine». Il progetto My Everest continua, grazie ai suoi sostenitori, a Monica e ai suoi figli, che affrontano ogni giorno il loro carico di dolore e speranza, con la grande mancanza e la preziosa presenza di una guida speciale.

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1 Aprile 2016 - la tribuna - 33


Gera d’Adda/Se si fermasse per un giorno il volontariato

I Vigili del Fuoco di Treviglio di Daniela Regonesi

Ettore Premoli, comandante del distaccamento cittadino, ci spiega esperienze, problemi e soddisfazioni di chi quotidianamente si impegna con generosità al servizio del prossimo

S

ono tante e differenti per natura, storia e bisogno a cui rispondono, le realtà del volontariato locale. Tra queste spicca senz‘altro il Distaccamento dei Vigili del Fuoco Volontari di Treviglio. Non sono (solo) io a dirlo, i numeri parlano chiaro: i comuni del loro bacino di utenza sono 18 (comprende anche Cassano d’Adda, Rivolta d’Adda e Vailate); contano circa 30 volontari, che operano quotidianamente in turni di 12 ore, ed eseguono circa 650 interventi annui. Incontro Ettore Premoli, capo distaccamento di Treviglio. È volontario da 35 anni, da quando, mi racconta, «dopo il terremoto dell'Irpinia ho provato e sono rimasto fino ad ora. Lo faccio per dare qualcosa di mio allo Stato, perché è bello spendersi per gli altri. È una scuola di vita, e mi fa stare bene con me stesso». Ma non pensiamo che essere un vigile del fuoco significhi stare comodamente rilassato ad aspettare una chiamata sul proprio cerca-persone: «ogni 15 giorni frequentiamo corsi di specializzazione; il sabato pomeriggio ed il mercoledì effettuiamo la pro-

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va di tutti i mezzi, che devono essere sempre sistemati e pronti ad intervenire». Il tutto inserito nel proprio quotidiano fatto di vita lavorativa, famiglia e amicizie. «Lo Stato ci riconosce 7 € l'ora lordi per intervento - prosegue Premoli - un sorta di rimborso spese, che però si applica solo quando si effettuano operazioni e, per esempio, non per le ore di istruzione o di manutenzione dei mezzi. I consumi (gasolio, luce, gas, ecc.), e i costi di riparazione degli automezzi sono coperti dal Ministero dell’Interno, per l’affitto siamo ospiti del Comune dal 1985». Non godono di particolari indennizzi, per assentarsi dal lavoro utilizzano le ferie o i permessi, dalla loro hanno la garanzia dell'obbligo del mantenimento del posto di lavoro. Persino la disoccupazione può avere un risvolto positivo, perché offre più persone disponibili, come mi spiega il comandante: «Parecchi giovani si avvicinano. È un'espe-

Da sinistra il Capo Distaccamento Ettore Premoli, quindi l’ex Capo Distaccamento Rolando Fagioli e un altro storico volontario, Gianpietro Cattaneo

rienza formativa e scuola di vita, positiva, che io propongo. È psicologia di vita, ti permette di capire quali sono i veri problemi». Premoli non nasconde che comporti difficoltà: «C'è chi non se la sente, chi molla, magari per la fidanzata, che non accetta di essere piantata in asso all'improvviso, magari durante una cena. Non tutte sono come mia moglie: io a due giorni dalle nozze ero in caserma! C'è sempre qualcuno in sede, sia di giorno che di notte. Il turno del fine settimana inizia alle 14 del sabato e termina alle 12 della domenica. È una scelta che comporta privazioni, molto, molto impegnativa, dura, ma scelta da noi». Prosegue: «Oltre al sostegno di banche e comuni contiamo sull’auto-finanziamento, tassandoci di 20 euro al mese, e la onlus ‘Amici dei pompieri di Treviglio’ offre un

aiuto non indifferente, per mantenere la nostra operatività, con diverse iniziative come il 5 per mille e pompieropoli, che ci consentono l’acquisto di attrezzature. I crescenti tagli riducono gli equipaggiamenti ed è in calo anche la sensibilità delle grosse ditte: manca il ricambio generazionale delle squadre interne». Premoli tiene a sottolineare come abbiano «ottimi rapporti con Treviglio e il territorio, basti pensare che i nostri automezzi sono 8, di cui 5 acquistati con l'aiuto di istituzioni e associazioni: siamo fornitori di automezzi al Ministero! Il problema è la spending review. Ad esempio utilizziamo un'autoscala del 1982, troppo corta per arrivare a soccorrere le persone (ad esempio nei piani più alti dei palazzi più recenti), ciò comporta una diminuzione di reattività e un aumento dei tempi di intervento. La scala funziona, ma comincia a diventare difficile trovarne i ricambi. Per una nuova ci vorrebbero 350mila

€. Ci accontenteremmo anche di una usata: con un bacino d'utenza di 110.000 abitanti basterebbe che tutti i comuni versassero 30 centesimi per ogni loro cittadino...». Non sono lamenti fini a sé stessi, ma considerazioni basate su dati di fatto: «La presenza dall’autostrada BreBeMi ha incrementato il numero di interventi. Abbiamo armadietti dappertutto e anche i mezzi sono alle strette, addirittura sono incrementabili, perché se l’A35 avesse il bacino di utenza della A4 servirebbe un’autogru». Tuttavia Premoli non lesina osservazioni positive: «Siamo messi bene grazie a quello che siamo riusciti ad acquistare come, recentemente, cesoie, divaricatore ed immobilizzatore di persone. Il Ministero fa quel che può, ma voler migliorare è nel nostro DNA. I nostri obiettivi sono maggiore velocità, operatività e professionalità: siamo un buon gruppo e il Comando sa che qui ha risposte, perché la crescita delle esigenze ci pone al

Come si diventa volontari

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al 1972 l’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco Volontari promuove il legame tra tutti i VVF volontari e dialoga con le autorità competenti per far presenti le necessità degli iscritti; vice presidente è Rolando Fagioli, precedente capo del distaccamento cittadino. Al comando di Bergamo fanno riferimento 4 distaccamenti permanenti - Clusone, Dalmine, Orio al Serio, Zogno - e 5 volontari - Gazzaniga, Lovere, Madone, Romano di Lombardia e Treviglio - tra i quali «c’è una buona sinergia. La divisa è la stessa, la responsabilità è uguale, sia che si sia volontari che permanenti», sintetizza Ettore Premoli. Mi spiega che «per diventare vigile del fuoco volontario è necessario presentare richiesta di iscrizione nei quadri del personale volontario del Comando provinciale

VV.F. di residenza, se ritenuti abili di prima si è iscritti temporaneamente. Seguono 200 ore di formazione e addestramento al polo didattico, dopodiché si è operativi». È un’esperienza che permette di imparare

sul campo, aperta a cittadini italiani che ne abbiano i requisiti, uomini o donne, con un’età compresa tra i 18 ed i 45 anni: sì, le donne sono ammesse e nella storia trevigliese ce ne sono state due.

pari dei professionisti. Dobbiamo confrontarci ed aggiornarci costantemente rispetto a leggi, procedure e specializzazioni». Qualcosa, però, sarebbe possibile fare, per migliorare la situazione: «È necessario unire le risorse. Sono 6 anni, da quando sono io al comando, che non riceviamo nulla dal comune di Treviglio. Il Ministero non dà nulla. Il nostro contributo mensile è riduttivo, per le esigenze che abbiamo. Ad esempio, a seconda della richiesta di intervento potrebbero essere istituiti dei codici, come nel triage ospedaliero e relative tariffe analoghe ai ticket del pronto soccorso, distinte o assenti in base all gravità della situazione. Dal sapone, al detersivo, all'acqua: tutto serve. Ma non voglio una guerra tra i poveri, tra volontari e volontari. Necessità e bisogni diversi delle varie realtà del volontariato andrebbero uniti e gestiti da una regia. Le associazioni presenti sul territorio sono tante, servono tutte? Per quante persone?». Sono interrogativi assolutamente legittimi, che mi sento di girare agli amministratori in carica e ai candidati. Ma tornando alla realtà dell'essere un vigile del fuoco volontario, le parole di Premoli toccano corde profonde, mentre mi spiega che «chi fa questo lavoro lo fa per piacere, ha poche soddisfazioni tangibili, grandi quando risolvi i problemi di chi sta peggio di te. Non siamo eroi, facciamo errori come tutti. Alla lunga ci si abitua a certe situazioni, ma importante è non perdere la propria sensibilità. È importante la calma per essere lucidi ed operare al meglio, fondamentali sono regole, rispetto e amor proprio». Piccole cose appagano chi non esita ad affrontare pericoli e sacrifici, come il bigliettino di ringraziamento recapitato nella cassetta delle lettere, che Premoli mi mostra con semplicità ed orgoglio, a testimoniare che «c'è un riscontro morale che dà un senso a ciò che fai». E mentre mi allontano dalla sede, il tarlo sgradevole e scomodo di una domanda che mi ha posto continua a tormentarmi: «Se un giorno, per 24 ore consecutive, si fermasse tutto il volontariato cosa succederebbe?».

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Personaggi/Talenti della Gera d’Adda

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Qui abita il jazz di Trullu di Hana Budisovà Colombo

Il jazzista Fabrizio Trullu, da poco trasferitosi a Treviglio, ci racconta la sua storia d’amore con la musica e la sua affascinante carriera

I

Dal 1975 una rivista che fa discutere, che racconta la vita di tutti i giorni, così come recupera la storia dimenticata. Una rivista che rimane nel tempo, ben oltre le nostre aspettative e assieme alla tua comunicazione Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858

36 - la tribuna - 1 Aprile 2016

l mio caro amico e collega Fabrizio Trullu, abile jazzista, si è trasferito da poco a Treviglio: ho colto subito l’occasione di intervistarlo, perché, attraverso il racconto della sua affascinante carriera, i nostri lettori possano approfondire la conoscenza di un musicista la cui evoluzione artistica è stata oggetto di grande interesse negli ultimi anni. Ti sei avvicinato alla musica molto giovane... «Non avevo neppure sette anni quando ho iniziato a studiare pianoforte e un anno dopo ho iniziato anche clarinetto. Ho continuato lo studio presso il Conservatorio di Cagliari diplomandomi in Organo e Composizione organistica sotto la guida della professoressa Mariateresa Nano». Come è stato il tuo incontro con il jazz? «I miei genitori ascoltavano volentieri i dischi e io, all’età di dieci anni circa, ho scoperto un vinile di Miles Davis, rimanendone particolarmente impressionato. Sono stato talmente catturato dalle sensazioni offertemi da questi suoni, da far nascere in me una passione illimitata. Mi sono iscritto alla classe di Organo presso il Conservatorio di Cagliari, ma ero convinto che si trattasse dell’Hammond. Sono rimasto sorpreso quando mi sono trovato davanti all’immensità di un organo liturgico. Lo studio d’organo, della composizione organistica e l’improvvisazione mi hanno dato una solida base, per affrontare il

mondo musicale una volta conclusi gli studi. Ho cominciato ad esibirmi nei vari jazz club da molto giovane e sono stato fortunato per le opportunità che ho avuto, perché ho suonato molto e sono riuscito ad esibirmi anche con musicisti importanti, come per esempio Paolo Fresu e Steve Grossman». Tu sei, oltre che un musicista, un prolifico compositore... «Fino ad oggi ho scritto molto, sia musiche originali che brani su commissione. Ho fatto un’infinità di arrangiamenti: l’ultimo progetto riguarda le canzoni di Mina, che abbiamo eseguito a febbraio al Blue Note di Milano con la cantante Rosalba Piccinni». Nella tua carriera hai collaborato con tanti musicisti importanti. Come riesci ad adattarti a tutti questi stili e personaggi diversi? «Ognuno di noi predilige un certo tipo di musica o un certo tipo di musicista. Suonando insieme, si crea uno scambio di energie ed è da quello che nasce la vera musica. Naturalmente capita di suonare con persone con le quali non c’è nessun feeling, e questo si ripercuote negativamente sul risultato dell’intera sessione. Nel jazz, la maggior parte dell’esecuzione si basa sull’improvvi-

sazione e, più che in altri tipi di musica, senza una profonda interazione tra i musicisti il risultato esecutivo rischia di essere sterilmente privo di emozioni». All’inizio di febbraio sei stato a New York e subito dopo ti sei esibito a Blue Note di Milano: come è andata? «L’esperienza newyorkese è stata per me molto importante. Suonare nei luoghi dove si sono esibiti i più grandi nomi del jazz è, per un musicista, un’esperienza unica. Al Blue Note di Milano mi sono esibito per l’ottava volta. É per me una grande soddisfazione perché è la conferma che questa musica piace non solo agli organizzatori, ma anche all’esigente pubblico del club milanese». Al pubblico trevigliese ti sei già presentato due volte in poco tempo... «La prima volta l’estate scorsa, presentando il mio cd “Visions”, con l’arpista La Fauci. La seconda volta, a gennaio, mi sono esibito con il Tulilem Trio. Con questo trio vocale abbiamo presentato uno spettacolo molto interessante, raccontando la storia del famoso Trio Lescano, attivo negli anni 19361950. Oltre allo swing, abbiamo proposto tutta una storia teatrale dove si racconta, attraverso vari aneddoti, uno spaccato di vita dell’epoca». Tu sei attivo anche come insegnante di pianoforte e di pianoforte jazz? «Mi piace tanto insegnare, perché mi piace trasmettere tanto. Insegnando si impara molto, perché dal momento in cui cerchi di spiegare un concetto, ti devi porre in maniera critica nei confronti delle conoscenze già acquisite e renderle esplicite per una terza persona. Un musicista spesso dà tutto per scontato, ma in realtà ci sono voluti anni di lavoro per assimilare certi concetti. Da tanti anni collaboro come insegnante con la Scuola di Musica C. Monteverdi di Crema, ho insegnato presso il Conservatorio di Alessandria e adesso collaboro con l’Accademia Musicale di Treviglio. Recentemente sono stato invitato a partecipare, come docente, alla masterclass all’Isola d’Elba». Quali sono i tuoi progetti futuri? «Per adesso porto avanti i progetti già consolidati, come “Love Songs” con l’orchestra di Alberto Mandarini, e sto lavorando in prospettiva sul mio prossimo cd con le composizioni originali per trio jazz pianoforte, contrabbasso e batteria».

I racconti emozionanti di Enrico Appiani di Daniela Regonesi

Sino all’8 aprile presso Accademia Cesni è possibile ammirare una serie di ritratti che Enrico Appiani ha dedicato a “Miracol si grida”

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na passione che nasce da bambino, quella di Enrico Appiani per la fotografia: «dalla prima macchina fotografica, ricevuta in regalo alla Prima Comunione, ho cominciato a fotografare, e non ho più smesso». L'occasione per ammirare le sue opere, che fanno spesso capolino in vari gruppi Facebook cittadini, riscuotendo sempre un grande consenso, la offre Accademia Cesni, negli spazi dell’omonimo negozio trevigliese: fino all’8 aprile le foto di Enrico sono esposte accanto a quelle di Luca Giudicatti, che dopo un corso avanzato tenuto dal dottor Mosè Franchi presso l’Accademia stessa, propone anch’egli, soprattutto con poetici paesaggi, la sua idea di fotografia. Sono otto le stampe in grande dimensione che danno “voce” agli attimi catturati dall’obbiettivo di Enrico. È una doppia dichiarazione d’amore, quella che si può leggere nelle opere scelte: verso i ritratti – con i quali rende omaggio a cinque edizioni della rievocazione storica Miracol si grida – e al controluce, la tecnica con la quale ama lavorare e che gli permette di “incorniciare” i suoi soggetti, appunto, con la luce. Lui che ha cominciato a lavorare con una reflex nell’attesa del suo primo figlio, grazie al digitale è passato dalla camera oscura tradizionale a quella virtuale, con programmi come Photo-

shop e Lightroom, che gli permettono di riuscire a «dare maggior dettaglio possibile alla cromaticità». Ed ecco allora le trame delle vesti dei figuranti, delle quali pare di riuscire a tastare la ruvidità, o il palco della rievocazione che si riflette negli occhi limpidi di una giovanissima popolana, o ancora la luce che accompagna la maestosa figura di Lautrec a cavallo (la nostra copertina del numero scorso). “Fermare il tempo che non si ripeterà” e “raccontare con la voglia di emozionare” sono, come lui stesso scrive, due degli obiettivi di Enrico, che siamo lieti di condividere anche con la bellezza dei suoi scatti che completano il nostro mensile.

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Calvenzano/Teatro

Calvenzano/Giovani talenti

Treviglio/Libri

Un amore duraturo per il blues

Incontri letterari di Mina D’Agostino

L’associazione Clementina Borghi riprende gli “incontri con l’autore”

di Daria Locatelli

Grande Teatro a Calvenzano

A

di Daniela Invernizzi

Calvenzano è partito nel mese di febbraio un progetto teatrale ambizioso e impegnativo, dal titolo “Il Teatro racconta”, a cura dell’Associazione Umani teatri, in collaborazione con Arhat Teatro e l’amministrazione comunale cittadina. Dopo il successo dell’anno scorso, con la rassegna “Il corpo e il sacro”, viene proposto quest’anno un ciclo di otto incontri che hanno come filo conduttore la parola, l’intreccio, l’affabulazione. Ogni gruppo teatrale affronta infatti il tema del racconto attraverso originali performance artistiche, che vanno dal balletto, al dramma, alla favola, alle marionette. Una sfida che l’amministrazione comunale di

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Calvenzano ha sostenuto fortemente, prima con il compianto sindaco Aldo Blini e oggi con l’attuale primo cittadino Fabio Ferla, anche lui convinto sostenitore del teatro e della sua capacità comunicativa. L’associazione Umani teatri ci tiene inoltre a ringraziare il regista Pierluigi Castelli e il suo gruppo Arhat Teatro per aver portato un cartellone così importante a Calvenzano. Tutte le rappresentazioni, tranne la prima (tenutasi nel teatro della Casa albergo “Maria Immacolata”) si svolgono all’Auditorium di Largo XXV Aprile. La prossima rappresentazione è un grande successo internazionale, dal titolo “Le rovine del tempo”. Ispirato alla storia della pittrice italiana Artemisia Gentileschi (1593- 1653) e al romanzo scritto su di lei da Anna Banti nel 1944, si articola come una conferenza durante la quale si evocano i fantasmi della storia, che prendono il sopravvento ed entrano in scena. Protagonista - e qui mai termine fu più appropriato - l’attrice Teresa Ruggeri, che farà tutto da sola: luci, musiche, proiezioni, continue trasformazioni da un personaggio all’altro. In programma il 4 aprile alle ore 21. A seguire, il 23 aprile, è in programma una particolare rappresentazione di un classico come Pinocchio. Alessandro Gigli, uno dei massimi conoscitori del testo di Carlo Collodi, ci guiderà in un viaggio alla scoperta della “meta bambino”, attraverso registri narrativi differenti e utilizzando l’arte antica del cantastorie, di cui Gigli è considerato un vero maestro. L’8 maggio sarà la volta di un altro classico: “Il piccolo Principe” in una rilettura del regista Pierluigi Castelli; e infine la chiusura della manifestazione con uno spettacolo d’eccezione, la Prima teatrale di “Beith-El”, spettacolo di Pierluigi Castelli (ispirato a Eliogabalo di A. Artaud), che in uno spazio scenico suggestivo affronterà alcuni nodi fondanti del pensiero e della storia dell’uomo: il rapporto fra maschile e femminile, la relazione con il mito e la trascendenza. Insomma, un programma davvero impegnativo e di grande spessore che però finora non ha scoraggiato gli spettatori, grazie alla capacità degli attori di fare “teatro credibile”, ovvero un teatro capace di suscitare emozioni genuine in chi guarda.

Con chitarra e voce Gabriele Scaratti trasmette la propria passione per la musica, nata da un colpo di fulmine e alimentata da continue scoperte

C

lasse, maturità e uno sviscerato amore per il blues: sono i segni particolari di Gabriele Scaratti, classe 1988, chitarrista e cantante di Calvenzano (scaramusic.wix.com/gabrielescaratti). Sia sul palco che con le sue parole, Gabriele trasmette con una professionalità che appartiene solo ai veterani della musica il proprio tesoro di note e melodie scoperte in un percorso iniziato da bambino. «Per me il blues è stato un colpo di fulmine e si è poi trasformato in un amore duraturo grazie a una scoperta graduale», spiega Gabriele, quando chiedo da dove provenga l’avvicinamento a un genere non così usuale per chi si approccia giovanissimo al mondo della musica. Il colpo di fulmine è scaturito grazie ai cd del fratello maggiore, “frugando” tra i quali Scaratti scopre quelli che per lui diverranno “leggende” ed esempi da seguire: Jay McShann, B.B. King, Eric Clapton, Mark Knopfler. L’ascolto dei “mostri sacri” del blues inizia a comporre il bagaglio musicale di Gabriele, che nella sua stanza simula di suonare la chitarra, sognando di poterlo fare

realmente un giorno. Il desiderio di Scaratti è stato ampiamente esaudito, dopo un percorso autodidatta che lo ha visto esercitarsi prima su una chitarra classica e successivamente su una Fender Stratocaster, lo stesso modello che oggi fa risuonare sul palco, con una maturità che fa quasi sorridere al ricordo di quel ragazzino che fingeva di esibirsi: «Mio padre a un certo punto mi ha detto: ‘Vai a comprarti una chitarra vera’ - ricorda Gabriele - e così ho fatto». Lo studio e l’impegno di Scaratti lo hanno portato a grandi traguardi, come la vittoria nel 2014 del concorso Young Bloom in Blues Challenge nella categoria acustica o alle parole di un chitarrista blues del calibro di Rudy Rotta, cui Gabriele ha aperto il concerto lo scorso anno: «ho avuto il piacere di condividere il palco con un chitarrista giovane e bravo, ma soprattutto che ama la musica prima del palcoscenico». Il bagaglio si accresce così di soddisfazioni, riconoscimenti e nuovi stimoli per il chitarrista, ma questo non esaurisce le aspirazioni di Scaratti: «il mio sogno è sempre stato quello di avere una band». Gabriele Scaratti Band: ecco il nome della realizzazione di questo sogno, che vede Gianluca Tilesi alla batteria, Cristiano Arcioni all’Hammond e Lu-

Scacchi: la vittoria dei trevigliesi

A

lcuni giorni fa gli scacchisti trevigliesi, sotto la guida del Direttore Tecnico Guido Tedoldi, hanno vinto il Campionato Italiano a squadre della categoria ‘Promozione’, svoltosi a Crema “Città europea dello Sport 2016”. Il primo posto, che vale il passaggio in serie C, è stato conquistato conservando l’imbattibilità dopo aver affrontato le squadre di Crema, Cremona, Wasken Boys di Lodi e Mantova. L’associazione fondata nel 1971 è affiliata alla Federazione Scacchistica Italiana (e per suo tramite al CONI) ed attualmente ha sede in Largo Lamarmora, nello stabile condiviso con l’Auser presso l’ex Foro Boario. Tante le iniziative promosse dal sodalizio presieduto da Valter Adriano Scotti che ad

oggi vanta oltre una cinquantina di associati in possesso di diversi tesserini FSI: Agonistico, Ordinario, Junior o più semplicemente solo iscritti al Circolo. «Sulla carta non partivamo favoriti - dice Tedoldi - perché il ranking medio dei nostri giocatori era il 4° su 5 formazioni al via. Però i favoriti mantovani non hanno portato i loro 3 giocatori più forti, i cremonesi hanno avuto una performance sotto le attese... E noi trevigliesi siamo stati bravi a sfruttare le occasioni

igi Sozzani al basso. «Questa è la band che ho sempre voluto avere e mi gratifica molto», sottolinea Gabriele. Quando si assiste ad un loro live si percepisce fin dalla prima nota che la passione per la musica è condivisa, scorre sulle corde della chitarra, del basso, sui tasti dell’organo o vibra su tamburi e piatti. «Non ambisco ai primi posti di un contest o di un concorso, la musica deve unire e non dividere, deve esserci lo spazio per tutti i giovani che meritano di esibirsi». Scaratti è proprio uno di questi, lo dice l’umiltà che dimostra quando racconta la sua storia, quando descrive i mostri sacri della musica che lo hanno fatto innamorare del blues, quando si esibisce con estrema professionalità e ringraziando per ogni applauso - meritato che riceve. «Il punto di partenza è quello di non ambire» dice prima di salire sul palco e poco dopo le sue Fender iniziano a risuonare i brani che lo hanno spronato ad uscire dalla sua camera e diventare un vero e proprio chitarrista. Negli occhi di Gabriele risplende la soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo di salire sui palchi con la sua band, con la quale sta arrangiando gli inediti dell’album in uscita nel 2016. Le scoperte di Gabriele continuano a suon di blues. che si sono presentate. In particolare il nostro Davide Gilardi ha ottenuto una prestazione ‘elo’ (così si chiama l’algoritmo che calcola la forza relativa degli scacchisti) di 2˙668, che in poche partite magari non fa statistica ma lo porrebbe tra i primi 150 giocatori al mondo». Così oltre alla promozione in C per la stagione 2017, i membri del la squadra hanno ottenuto 3 medaglie individuali: Gilardi in 1ª scacchiera, Bruno Silini in 3ª e Tedoldi in 4ª (in 2ª ha ottenuto il riconoscimento il cremasco Giovanni Righini). Da segnalare la prestazione di Domenico Acunzo, per circa 20 anni presidente del Circolo, che ha vinto due partite su due. Anche grazie al contributo degli altri componenti della squadra - Maurizio Scarabelli, Dario Rossetti, Fabio Maffeis e Lorenzo Bettoni - il circolo ottiene un risultato che gli consente di schierare nel prossimo campionato ben due squadre: una in serie C e l’altra in Promozione Lombardia. (i. s.)

È

stato presentato il 18 marzo scorso, dall’Associazione Culturale Clementina Borghi, il nuovo giallo di Fabio Bergamaschi, “Il labirinto del delitto”. Giunto alla sua terza fatica (il primo libro fu “Il veleno della vendetta”, il secondo “Natura morta con delitto”) Fabio Bergamaschi ripropone la figura di Massimo, nel primo libro investigatore per diletto, poi divenuto un detective privato professionista. Fabio Bergamaschi è un esempio di grande vitalità: è giunto alla narrativa in età pensionabile, come egli stesso racconta all’età di 70 anni: «Entrando nel merito della mia iniziazione alla scrittura di romanzi gialli, devo ammettere che è stato il caso, sotto la veste di una ‘serata in giallo’, a spingermi verso questa attività. Per serata in giallo intendo una cena in un ristorante dove i clienti devono indovinare l’assassino di una breve commedia, appositamente preparata dal proprietario. Quando rientrai a casa provai l’impulso di scrivere un mio giallo». Sono dunque ripresi gli incontri di presentazione degli autori da parte dell’Associazione Culturale Clementina Borghi. Il prossimo appuntamento sarà con uno scrittore eccellente, Marco Balzano (vedi foto) vincitore del Premio Campiello, che sarà a Treviglio il 5 aprile nella Sala di lettura della Scuola Tommaso Grossi, per presentare il suo libro “L’ultimo arrivato” edito dalla casa editrice Sellerio. Si tratta di un romanzo che racconta la storia di un bambino di nove anni che, a metà del secolo scorso, decide di lasciare il suo mondo povero e difficile per intraprendere un viaggio “all’altro mondo”: perché nel 1959 Milano, agli occhi di un bambino di San Cono, Sicilia, non poteva essere che un mondo esattamente agli antipodi del suo. Le mappe mentali, sociali ed economiche che Ninetto “pelleossa” porta con sé per districarsi nel nuovo mondo sono solo un coraggio al limite dell’incoscienza, una vita animata dalla voglia di vivere e dalla memoria delle lezioni scolastiche del suo maestro Vincenzo Di Cosimo, nume tutelare, i cui insegnamenti accompagneranno il protagonista per tutta la vita.

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L’Albero degli zoccoli - Foto by Enrico Leoni

Treviglio/Giovani emergenti

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Il pezzo di una giovane trevigliese dedicato alla nostra città impazza sul web e riceve premi

S

crive un articolo divertente su Treviglio, raccoglie il plauso dei suoi concittadini e si accaparra pure il Premio Treccani web* nel giorno della Festa della donna. Una bella soddisfazione per Sara Nissoli, giovane copywriter di professione, ma con talento da vera scrittrice. Scovarla sul web è stato facile, un po’ meno convincerla a parlare di sé, impossibile portarla davanti alla telecamera di tribunaTv. Ci accontentiamo dell’intervista, per parlare del pezzo che l’ha resa una beniamina fra i trevigliesi che frequentano Facebook e messa in luce su alcune testate. L’articolo si intitola Tutti conoscono qualcuno di Treviglio, sottotitolo Ma nessuno conosce la città, ed è un compendio di chicche che solo i trevigliesi doc possono capire fino in fondo, però raccontate talmente bene da far ridere tutti quanti. “Benvenuti a Treviglio! La perla della Bassa - scrive Sara - Non abbastanza bergamaschi da essere bergamaschi, non ancora milanesi per essere considerati tali, allarghiamo le braccia e ci ritroviamo tra Brescia e Cremona senza afferrare nessuna delle due...” A Treviglio, secondo Sara, succedono tante cose interessanti, e tra queste ricorda il matrimonio di Benito Mussolini, le riprese de “L’albero degli zoccoli”, le “tuonate” di Roberto Calderoli contro l’allora ministro Kyenge, il gay pride, ma anche: “La LM Management, agenzia di Lele Mora che ha sfornato talenti del calibro di Luisa Corna e Costantino Vitagliano […]. Ora che è

uscito di galera, ha perso 50kg e ha smesso di vantarsi di “Faccetta Nera” come suoneria del cellulare, potrebbe anche passare a fare un saluto”. Le chiedo se fosse la prima volta che scriveva di Treviglio. «Era la prima volta che scrivevo di Treviglio in modo che qualcuno leggesse, sì. Ma ho sempre scritto, in generale. E nei miei racconti, nelle mie storie, Treviglio è sempre stata in qualche modo presente. Penso sia normale, è stato il primo luogo che ho conosciuto e, ad oggi, che conosco meglio al mondo. Ci sarebbe molto altro da scrivere, ma c’è anche da andare oltre». Ti aspettavi tutto questo interesse? «Mi ha colpito molto il campanilismo che il mio articolo ha scatenato. Ho ricevuto tantissimi complimenti e qualche critica, e mi hanno fatto piacere entrambe le cose. Non mi ha fatto piacere essere condivisa sulla fanpage di Fratelli d’Italia, per esempio, perché sono di sinistra e il mio racconto non verteva su tradizioni, appartenenza e quant’altro. Erano parte della storia, ma non il suo fulcro. Non ho molta simpatia verso campanilismi e sensi di appartenenza, forse perché sento di non appartenere a

niente. Sembra brutto da dire, ma è anche una grande libertà». È per questo che ora vivi a Milano? «Sono andata a vivere a Milano perché era ora di andarsene da casa. Al primo stipendio che mi permettesse di pagare un affitto (ovviamente condiviso con altri ragazzi) sono partita per un lungo viaggio di 35 km e ora eccomi qui. Lavoro in pubblicità, sono copywriter (quella che scrive slogan, per intenderci). Treviglio non mi è mai stata stretta, anzi, è stato il mio mondo per tanto tempo. Qualche volta penso di ritornarci, ma poi cambio sempre idea. Pur non essendo sicura che Milano sia la città che fa per me, non sono convinta che Treviglio sia la soluzione. Insomma, vivo nell’incertezza, e, per ora, va bene così». Parlami di te. «Che dire, mi chiamo Sara, sono nata nel bel mezzo dell’estate 1984 a Treviglio e lì sono rimasta fino ai 28 anni. Ho frequentato sempre scuole cattoliche, prima il Collegio degli Angeli, poi il Classico dai Salesiani. Non sono credente e penso di non esserlo mai stata. Ho sempre avuto pochi amici, ma buoni. Ne ho perso qualcuno per strada (stanno tutti bene eh, non sono morti), perché crescendo si cambia, i percorsi si moltiplicano, i caratteri mutano e va a finire che non ci si conosce o non ci si interessa più. I miei amici di adesso però sono stabili e li amo tutti molto. Sulla mia famiglia posso dire che mi ha sempre sostenuta, a suo modo, in tutto. Non si è mai intromessa nelle mie scelte, scolastiche o meno, il che mi ha, devo dire, sempre un po’ disorientata. Ma mi ha anche permesso di sbagliare raramente ed essere io l’unica causa dei miei errori». Una ragazza di talento, con il raro dono dell’ironia, che non mi vuole confessare il suo sogno nel cassetto, per paura che non si avveri. Chiudo quindi con un’altra citazione, che suona per noi trevigliesi come un avvertimento: “Treviglio ha un centro che sono poche vie, poi ha una specie di periferia e poi c’è la campagna. Ha addirittura delle frazioni. La mia preferita si chiama Castel Cerreto, sono simpatici e indipendentisti e credo che un giorno isseranno la loro bandiera e si staccheranno da noialtri”. *Il Premio Treccani Web seleziona giorno per giorno le eccellenze tra i contenuti audio, video, grafici e testuali italiani e in lingua italiana che vengono pubblicati nel web.

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Museo/Un’opera d’arte al mese

Foto by Tino Belloli

Personaggi storici e territorio

Bartolomeo Colleoni e Treviglio di Elio Massimino

Le gesta del Capitano di ventura si incrociano con la storia della Gera d’Adda del ‘400

L

a storia d’Italia o meglio delle Signorie italiane del ‘400 è così ingarbugliata (continue guerre, tradimenti, ecc) che sarebbe impossibile riassumerla nello spazio di un articolo, ma credo che seguendo alcune gesta di Bartolomeo Colleoni, uno dei più valenti capitani di ventura di quel secolo, sia possibile tracciare a grandi linee lo spirito del tempo e le vicende che interessarono il nostro territorio. Il Colleoni (1395-1475) nacque a Solza (Bg) da un piccolo signore locale, che ebbe l’idea temeraria (talis pater...) di conquistare nientemeno che il castello visconteo di Trezzo. L’impresa riuscì e la famiglia di Bartolomeo salì di rango, ma durò poco perché per invidia alcuni parenti gli assassinarono prima il padre e poi il fratello maggiore, e tutto crollò. A quei tempi le alternative per un giovane ambizioso ma privo di mezzi erano due: la carriera ecclesiastica o il mestiere delle armi. Bartolomeo scelse il secondo perché i suoi miti erano i capitani di ventura che combattevano valorosamente per conto dei signori. Costoro in realtà cercavano ingaggi in maniera spregiudicata ed era quindi normale che un capitano di ventura nel corso della sua carriera passasse da una Signoria all’altra. Con la comparsa dei capitani di ventura finiva la gloriosa tradizione delle milizie co-

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munali, le Signorie esentavano il popolo dal servizio militare e così «non solo avevano reso imbelli gli italiani (Indro Montanelli, Storia d’Italia) ma avevano distrutto in loro il senso di quei valori che solo gli eserciti tengono vivi (...) ma un Paese senza soldati è anche un Paese senza “cittadini”». Montanelli individuava nella decadenza civile di quei tempi e nella ritardata unità d’Italia, le origini della diffusa carenza di senso dello stato tra noi italiani. La Gera d’Adda, vaso di coccio tra La Serenissima e il Ducato di Milano, apparteneva storicamente a quest’ultimo. Intanto il Colleoni, dopo essersi messo in luce combattendo per Giovanna II regina di Napoli e poi per il Papa, nel 1431 veniva ingaggiato dalla Serenissima, che per la sua politica di espansione sulla terraferma era di continuo in guerra con i Visconti. Bartolomeo al soldo di Venezia si coprì di gloria, come nel 1439 quando riuscì a rifornire Brescia assediata,

A sinistra un affresco del castello di Malpaga (foto a destra) che rappresenta una battuta di caccia in onore di Cristiano I° re di Danimarca. Sopra la Cappella Colleoni a Bergamo Alta, sotto il monumento a Bartolomeo Colleoni a Venezia

con il carico di sei galee e venticinque barche che tra mille difficoltà fece giungere via terra a Torbole sul lago di Garda, partendo dal fiume Adige. Ma nel 1441, deluso dalla mancata nomina a capitano generale, decise di cambiare casacca e passò agli ordini di Filippo Maria Visconti. Voleva prendersi la rivincita su Venezia, ma si pentì presto delle scelta, sentendosi usato per compiti minori. Alla fine, sospettato di tramare con i veneziani, venne imprigionato per quasi un anno nei terribili “forni di Monza”. Lo salvò la fuga, forse resa possibile dall’improvvisa morte di Filippo Maria Visconti. Dopo due mesi era di nuovo in forma, pronto a combattere contro Venezia, stavolta al soldo della Repubblica Ambrosiana in sott’ordine a Francesco Sforza. Quest’ultimo, con grande pragmatismo, da poco si era fatto assumere dai milanesi, lasciando Venezia di cui era il capitano generale. L’ho detto, erano dei professionisti... Le truppe milanesi con tali condottieri non potevano che passare al contrattacco e lo Sforza a «Caravaggio, Mozzanica e Fornovo, diede ai veneti una tale rotta da respingerli oltre il Garda» (Perego-Santagiuliana, Storia di Treviglio), ma la successiva pace di Rivoltella (1448) assegnò la Gera d’Adda ai veneti. L’appartenenza di Treviglio a Venezia durò solo quattro anni, che bastarono a realizzare delle mura difensive, anche se non poderose come quelle di Bergamo, che però sono di circa un secolo dopo. Nello stesso 1448 il nostro Bartolomeo, allettato da un ingaggio favoloso, torna sotto le insegne della Serenissima, ma non durerà molto. Infatti, presto sente crescere intorno a sè sospetti per via della passata militanza milanese e temendo di finire nuovamente in una prigione, stavolta veneta, fugge e si mette di nuovo agli ordini di France-

sco Forza, nel frattempo diventato Signore di Milano. Nel 1452 i Milanesi riprendono le operazioni e riconquistano la Gera d’Adda. Non dura molto questa nuova guerra, perché la caduta di Costantinopoli consiglia ai veneziani di chiedere la pace e così Treviglio ritorna definitivamente sotto Milano. I veneti, dal canto loro, devono aver compreso che i sospetti sul Colleoni erano ingiustificati, perché gli offrono, per tornare con loro, un ingaggio senza precedenti e soprattutto la promessa di nominarlo capitano generale non appena si fosse liberato il posto; e così il 15 febbraio 1553 Bartolomeo Colleoni, come un manager che cambi azienda, presenta una lettera di dimissioni a Francesco Sforza. Stavolta rimarrà fino alla fine con Venezia, ricambiato dalla sospirata nomina e da cospicue ricchezze. La pace di Lodi (1454) inaugurò un periodo di relativa quiete fino circa alla fine del secolo, anche se alla morte di Francesco Sforza (1467) il Colleoni accarezzò il sogno di diventare Signore di Milano. L’impresa fallì e per l’ormai ultra settantenne condottiero giunse l’ora del ritiro nei suoi feudi bergamaschi. Anche per la Gera d’Adda si aprì una lunga stagione di pace entro i confini del Ducato di Milano. Bartolomeo Colleoni fu figlio del suo tempo anche dal punto di vista culturale. Nei suoi ultimi anni si circondò di artisti e letterati ed ebbe anche ospite Cristiano I re di Danimarca che si recava a Roma per il giubileo. L’accoglienza fu regale e infine un pomposo corteo accompagnò il sovrano fino al confine con la Gera d’Adda. Quindi, raccontano il Perego e il Santagiuliana, «il sovrano passò per Treviglio dove era atteso con grandissime grida da 400 ragazzi a piedi, vestiti di bianco e con le insegne del Re e degli Sforza». Era l’apice di un’epoca di altissimi splendori e abissi di malvagità. Pochi decenni dopo le Signorie si sarebbero sciolte come neve al sole al primo urto degli eserciti stranieri e i consoli di Treviglio si sarebbero inginocchiati davanti a Lautrec. Ma questa è un’altra storia.

La baia dell’Hudson a cura degli Amici del Chiostro

Un’opera singolare di Eugene Louis Gabriel Isabey, dove il tema paesaggistico si fonde con il genere portuale

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a luminosità e la pacata rappresentazione del paesaggio non possono che attirare l’attenzione del visitatore che, all’interno del museo civico Ernesto e Teresa della Torre, si trova di fronte al notevole dipinto La baia dell’Hudson di Eugene Louis Gabriel Isabey. Nato a Parigi nel 1803, figlio del noto pittore e incisore Jean-Baptiste Isabey, studiò e lavorò al museo del Louvre, occupandosi inizialmente di vedute e paesaggi, per poi passare a soggetti storici. Le marine furono però di gran lunga il suo genere preferito, come dimostra proprio l’opera conservata nella sala espositiva cittadina, datata tra il 1850 e il 1860, quando già Isabey, artista maturo, aveva iniziato ad occuparsi principalmente di soggetti storici.

Il Tè al Museo di Aprile

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rosegue anche nel mese di Aprile l’appuntamento con Un tè al museo, l’iniziativa organizzata dagli Amici del Chiostro in collaborazione con l’ufficio Cultura del Comune di Treviglio per valorizzare il nostro splendido museo cittadino. Martedì 19 a partire dalle ore 16 sarà gradito ospite dell’Associazione il collezionista Virgilio Ferrari che, con Le donne, i cavalier, i semi, gli onori,

La baia dell’Hudson è opera singolare, in cui l’artista fonde il tema di genere portuale (la rappresentazione delle attività che quotidianamente si svolgono nei porti, che più volte aveva rappresentato in passato) con il tema paesaggistico. Isabey costruisce una sorta di “veduta ideata” e immagina l’approdo dei primi pellegrini nella baia del fiume Hudson, prima della fondazione della città di New York. In primo piano troviamo la fervente attività dell’uomo, intento al carico e scarico merci dall’enorme veliero fermo in rada, mentre il resto del dipinto è dominato dal paesaggio: il mare e il cielo, visti a mezzo di una prospettiva aerea, sono illuminati dalla luce del tramonto, mentre gli alberi sulla destra sono già in ombra. Il pittore sembra anticipare in parte il romanticismo: le figure degli uomini sono piccole, in controluce, e sono contrapposte ad una natura immensa e benevola. La luce, vera protagonista del dipinto, caratterizza fortemente l’atmosfera dell’opera, fissando il momento in una precisa fascia temporale della giornata e regalando a chi guarda una sensazione di grande serenità. Isabey dimostra, in questo dipinto, tutta la maestria di un artista che si muove tra contesti culturali diversi, riuscendo a riprendere l’accuratezza di certo paesaggio fiammingo del Seicento, e a mescolarla con le prime istanze del Romanticismo, che sarebbe esploso nel mondo dell’arte europea da lì a poco. porterà al museo il nobile gioco delle carte. Ferrari ricostruirà la storia del gioco in Italia e non solo, e mostrerà al pubblico presente innumerevoli tipologie di carte: francesi, napoletane, bergamasche, spagnole... Una conferenza che sarà, dunque, anche una piccola mostra, che incuriosirà e appassionerà chi vorrà intervenire. Al termine dell’intervento, come sempre, i volontari dell’Associazione offriranno al pubblico tè caldo e pasticcini.

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Treviglio/Una passeggiata nel museo

Le stelle in una stanza di Daniela Regonesi

Grande successo di pubblico per il planetario esposto presso il museo Explorazione di Treviglio, interamente realizzato dagli studenti dell’Istituto Comprensivo di Sergnano

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tarsene con il naso all’insù può essere molto affascinante, come dimostrato dal successo di pubblico riscosso dal planetario, esposto presso il museo Explorazione di Treviglio da gennaio fino al 3 aprile. Inquinamento luminoso, evoluzione tecnologica e dell’entertainment ci hanno progressivamente allontanato dallo spettacolo offerto dalla volta celeste, l’unico che era a disposizione dei popoli antichi. Loro che, non potendo dedicarsi a zapping forsennati, creavano storie, immaginando linee di congiunzione tra i puntini luminosi del cielo, hanno dato vita ai miti, e a termini e modi di dire che sono arrivati fino a noi (settentrione, canicola, solleone, per esempio). A far da guida nella passeggiata tra le stelle è il professor Francesco Darilli, apprezzato collaboratore del museo trevigliese per i laboratori di acustica ed ottica, che con accuratezza e semplicità cattura l’attenzione e la curiosità dei piccoli e dei loro accompagnatori, «permettendo di capire ciò che a volte si fatica ad immaginare». Quello che rende questa esperienza ancora più speciale è il fatto che gli artefici del planetario siano dei ragazzi: la struttura, infatti, è stata realizzata presso l’Istituto

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Comprensivo di Sergnano, in provincia di Cremona. L’idea è nata durante un laboratorio pluridisciplinare di astronomia ed è stata realizzata nel triennio 2004/2007. Sotto la supervisione del prof. Darilli gruppi di 7/8 studenti di terza media, nelle due ore settimanali del laboratorio di tecnologia, hanno interamente ideato, progettato e realizzato il planetario. Ciò non significa che si siano limitati ad assemblare la cupola, realizzata con 12 semicerchi in pvc tamponati con spicchi in cartoncino nero, o che ne abbiano costruito la struttura di base (un cerchio in tubolare di ferro con 12 montanti di legno e tamponamento con fogli di legno compensato verniciato in nero). La struttura che oggi vediamo, alta 4 metri e di pari diametro, è frutto di ragionamenti e ipotesi, domande e progetti: quali dimensioni? Quanto materiale occorre? È frutto di una staffetta, nella quale ogni tappa è fondamentale: «alcuni hanno curato l’abbozzo, i calcoli, la progettazione e le tracciature, altri - delle classi successive - hanno proseguito il lavoro. Vi è stato un collegamento costante tra i predecessori e gli “eredi”,

che a loro volta hanno recepito le motivazioni delle scelte precedenti». Le classi si sono susseguite, ma disegni e progetti sono stati conservati per spiegare via via, ai nuovi venuti, i passi e le fatiche di chi li aveva preceduti, che a loro volta hanno continuato a seguire “a distanza” l’evoluzione del progetto. All’inizio il planetario consisteva esclusivamente nella cupola, ma era decisamente poco fruibile per via della scarsa altezza. La realizzazione del tamburo cilindrico che oggi accoglie gli osservatori ha risolto il problema, ma la soluzione non è stata raggiunta in modo immediato. Ad ogni step, comunque, i ragazzi hanno potuto imparare e fare esperienze diverse. Matematica, fisica, educazione artistica e tecnologia si sono mescolate via via che la struttura prendeva forma. Gli studenti hanno rappresentato l’emisfero boreale all’interno della cupola, riportandolo in scala dalle mappe celesti: bollini di carta bianca e punti fatti con tempera fluorescente sono diventati stelle, linee tracciate con pastelli fluorescenti evidenziano le costellazioni, con una linea tratteggiata è stata tracciata l’Eclittica, cioè il percorso apparente del sole attorno alla Terra, mentre puntini finissimi di tempera fluorescente costituiscono la Via Lattea. Il tutto sprigiona il suo fascino e la sua meraviglia all’accensione della lampada di Wood. «I ragazzi hanno manifestato reazioni diverse: c’è chi si è impegnato, chi l’ha preso come un gioco, chi come un paio d’ore di riposo, chi come occasione di scherzo. Si sono divertiti, erano entusiasti, ma non sono mancati grandi divagazioni e rimproveri: anche le boccette di tempera rovesciate sono diventate occasione di imparare, ponendo i ragazzi di fronte alla necessità di dover sistemare, mettere una toppa e affrontare le conseguenze dei propri errori. Oltre a quelli didattici si sono raggiunti anche obiettivi trasversali». Chi ha l’occasione di visitare il loro planetario rimane col naso all’insù. E a bocca aperta.

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Personaggi/Centenario Grande Guerra (3ª e ultima puntata)

I residuati bellici di Longaretti di Carmen Taborelli

I reperti recuperati da Amanzio Longaretti nelle zone di guerra e donati, nel 2009, al museo della Cassa Rurale perché divenissero patrimonio comune

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ollezionava cimeli e reperti della Grande Guerra non per hobby e nemmeno per venderli, ma per una ragione più profonda: per un dovere, un debito di riconoscenza nei confronti di quanti, durante il primo conflitto mondiale, avevano combattuto e sacrificato la vita per la Patria. Sto parlando del trevigliese Amanzio Longaretti, che incontrai, nel 2008, per un’intervista, nella sua casa di via Garzoneri. Intenso e lucidissimo nei ricordi, pacato ed essenziale nell’eloquio, Amanzio, nato proprio durante la Grande Guerra, mi confidò di avere anche un secondo nome: Montello, con chiaro riferimento all’omonima altura di origine carsica alla destra del Piave, sulla quale l’artiglieria italiana resistette agli austro-ungarici, nel giugno 1918. Un nome imposto dal patriottismo di due genitori che avevano chiamato Trento, Vittorio e Trieste (Triestina, Tina - vedi pag. 48 e 49) altri tre figli a ricordo di momenti gloriosi della guerra. Longaretti collezionava lettere, cartoline, libri, giornali di allora, ma soprattutto “residuati” di guerra, da lui recuperati dal 1950 al 2000, durante le escursioni estive nelle zone

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di Ortles, Passo del Tonale, Riva del Garda, Pasubio, Asiago, Ortigara, Cima d’Asta, Pale di San Martino, Marmolada, Col di Lana, passo Falzarego, Tofane e valli laterali delle Dolomiti. «Mi piaceva andare a visitare i luoghi dove i soldati avevano combattuto - mi spiegò durante l’intervista - spinto dalla curiosità, ma anche per rendermi conto delle condizioni e delle difficoltà, anche ambientali, nelle quali operarono i nostri militari. Mentre camminavo, trovavo, abbandonati sui sentieri o appena affioranti dal terreno, molti oggetti. Su cento pezzi rinvenuti, ne trattenevo uno, al massimo due. Mi è capitato di trovare in una trincea molti coperchietti, ormai arrugginiti, di scatolette di carne: alcuni erano di marca italiana, altri austriaca. Questo fatto confermava l’alternanza, nella stessa trincea, di soldati appartenenti a nazionalità diverse e tra loro nemiche». Il più delle volte la sua era una ricerca fatta in solitudine, in un silenzio quasi religioso (del resto quei luoghi lo esigevano!); in mano un sacchetto di tela nella quale riporre quanto trovava, e intanto il pensiero correva ai giovani soldati, a tanti fanti costretti a combattere fra disagi e pericoli d’ogni genere. Altre volte lo accompagnavano i figli che, a suo dire, avevano gli occhi migliori dei suoi. Alla fine allestì una sorta di museo privato in via Garzoneri: arredò una stanza con sei vetrinette a più ripiani sui quali espose, in bell’ordine e cura, i residuati bellici da lui pazientemente ricercati negli anni. Li aveva recuperati non certo per trarne profitto, ma per custodirli, per mantenere viva la memoria di un periodo che ha segnato la nostra storia. Da buon cicerone, accompagnandomi nella visita al suo museo, rispondeva con dovizia di particolari alle mie curiosità. Gli bastava guardare la maschera antigas per ricordarsi di averla trovata vicino a un rifugio, nei pressi di Asiago. L’elmetto tedesco, sforacchiato da un proiettile, l’aveva, invece, recuperato sull’Ortigara, accanto ad una vecchia scarpa malconcia. «Mi sono chinato, l’ho presa in mano e subito ho sentito una stretta al cuore. Ho avuto soltanto la forza

Alcuni reperti recuperati da Amanzio Longaretti (nella foto: un elmetto sforacchiato, una maschera antigas e sotto dei proiettili

di balbettare una preghiera: dentro c’erano alcune ossa di un piede. Le ho pietosamente deposte in una grotta vicina, dove già ce n’erano altre». Un momento di silenzio per superare l’impatto emotivo del ricordo struggente, e poi di nuovo a indicarmi l’elmetto, lo scaldarancio, i pezzi di filo spinato, i ramponi da ghiaccio trovati sul Lagazuoi, una borraccetta, alcuni caricatori arrugginiti, due manciate di pallini per fucili. E ancora, una lanterna, la pistola lanciarazzi, una mazza ferrata in dotazione agli arditi, una gavetta austriaca, un altimetro, una fibbia e altre piccole testimonianze tangibili della guerra. Pari a zero il valore effettivo, quasi incalcolabile quello storico, culturale e didattico di questi cimeli che, nel 2009, Longaretti donò al museo della Cassa Rurale perché divenissero patrimonio comune fruibile da tutti. Per “recuperante” s’intende chi, dopo una guerra, ricerca e recupera residuati bellici (bombe inesplose, proiettili, rottami metallici ecc.), nelle zone in cui si sono svolte le operazioni militari. Subito dopo la prima guerra mondiale, il

recupero del materiale riutilizzabile fu affidato ad alcuni reparti dell’esercito incaricati di una bonifica sommaria. In seguito questa occupazione passò a ditte private, e, ancora dopo, a persone del posto, che fecero del recupero e della vendita dei rottami metallici (ottone, piombo, rame, ferro) una ben precisa attività. Il mestiere del “recuperante” divenne quindi una fonte di guadagno per coloro che, a causa della guerra, avevano perso ogni bene, il lavoro, la casa e si trovavano nella povertà più assoluta. Per venire incontro a questa situazione di precarietà, il Governo, negli anni Venti del secolo scorso, emanò un decreto speciale per favorire e legittimare questa nuova occupazione. Ma quanto rendeva la vendita di questo materiale? Un quintale di ferro fruttava 10/11 lire, il piombo 1,20/1,30 il chilo, l’ottone 1,80 lire/Kg. e il rame 5 lire/Kg. Se si tiene conto che la paga giornaliera di un muratore era allora di 10 lire, vien facile comprendere quanto il mestiere del recuperante servisse a far quadrare il bilancio familiare e fosse abbastanza diffuso, nonostante la sua pericolosità per la presenza di ordigni inesplosi capaci di provocare incidenti mortali. Con il passare degli anni, l’economia in ripresa e i terreni restituiti all’agricoltura tornarono a dare lavoro alla popolazione locale. Il “recuperante” continuò a cercare i residuati bellici ma con finalità nuove: non più per venderli, ma per conservarli o affidarli ai musei. A tutela del patrimonio storico della Grande Guerra, la ricerca dei reperti è oggi disciplinata da disposizioni regionali e regolata attraverso il meccanismo dell’autorizzazione, senza la quale «non si può e non si deve spostare e prelevare nemmeno un sasso». Della figura del “recuperante” si interessò anche il mondo della letteratura e del cinema. Lo fece sia Mario Rigoni Stern, scrittore dell’altopiano di Asiago, con il suo Le stagioni di Giacomo pubblicato nel 1995, sia Ermanno Olmi, che, nel 1970, diresse e sceneggiò il film I recuperanti.

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Le grandi famiglie trevigliesi del ‘900

Longaretti, i nove vice papà di Silvio Gelmi di Daniela Regonesi

Grazie ai preziosi ricordi di famiglia di Silvio Gelmi, rimasto orfano a soli quattro anni, vi offriamo uno scorcio del ‘900, attraverso i ritratti dei suoi familiari, gli zii Longaretti, tra cui alcuni personaggi autorevoli, uno per tutti Trento

C

’è un affetto sincero e profondo che accompagna le parole del commerciante trevigliese Silvio Gelmi, che, rimasto orfano di padre a soli quattro anni, ha trovato negli zii Longaretti altri nove papà che hanno saputo riempire la sua vita di risate, insegnamenti e tanti preziosi ricordi. Carlo, classe 1901, ferrava i cavalli: era, in pratica, il meccanico di allora. La sua officina in via Manetti era annerita dal fumo ma piena di fascino, con il maglio, la fucina e il forno. Osservare il pezzo di ferro rosso e incandescente piegato con perizia fino a trasformarsi nel ferro di cavallo era uno spettacolo. «A turno io e mio cugino Renzo aiutavamo lo zio a tenere fermo il cavallo con il torcinaso, un bastone con una cinghia di pelle che veniva serrata attorno al naso dell’animale per costringerlo all’immobilità. Ricordi indelebili sono quelli dei giorni emozionanti nei quali avevo il permesso di accompagnare il maniscalco ed i suoi dipendenti a ferrare i cavalli nelle cascine dei paesi vicini. Quando era il mio turno avevo il permesso di andare a dormire a casa degli zii. Sveglia alle 5 e poi di corsa giù in cortile ad accendere, con alcuni colpi di manovella (parecchi se la giornata era molto fredda), il motore del camioncino verde dello zio. Anche il tragitto era un’avventura, con le frecce direzionali che venivano in-

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serite tirando una cordicella che faceva uscire lateralmente la freccia. Arrivati alle cascine eravamo accolti da tanti contadini e da una piccola folla di bambini che, una volta terminato il lavoro, ci invitavano a pranzare con loro ad un’enorme tavolata ricca di polenta, salame e tantissime altre bontà». Nel ‘76 andò in Friuli con altri alpini per prestare aiuto ai terremotati; fu investito da un’auto e non fece più ritorno a casa. Rino (Cristoforo), nato nel 1902, era punto di riferimento e consigliere della vedova Gel-

In prima fila in piedi, da sinistra: Vittorio, Tina e Mario. Seduti in seconda fila, da sinistra: Amanzio, Angela, mamma Maria, papà Alessandro, Caterina e Trento. In piedi in terza fila da sinistra: Franco, Cristoforo, Franca, Cinto, Carlo e Cenzo.

mi: «è stata la persona a cui mia mamma si affidava quando doveva scegliere per il negozio. Il mio ricordo più felice, tra i tanti legati a lui, è quando in estate veniva a trovarci alla Colonia Messaggi di Oltre il Colle: era una festa perché quando arrivava portava i ghiaccioli per tutti, ed io orgogliosamente potevo dire “Quello è mio zio!”. Lo vedevo ogni giorno passare davanti al negozio in sella alla sua bicicletta nera, mi salutava dicendo “Vado in comune, poi passo a trovarti e a salutare la mamma”. Ha sempre mantenuto la promessa, tranne una volta nel 1953: stava molto male ed è venuto a mancare pochi giorni dopo». Rina (Caterina), classe 1903, «era sempre allegra e sorridente. Faceva la modista: vendeva e affittava cappelli da signora. Aveva una stanza meravigliosa piena di copricapi, pezzi di tulle e nastri colorati! Quando io e i miei cugini ne combinavamo una delle nostre, correvamo da lei per farci consigliare e proteggere, e lei aveva sempre la risposta giusta. Nel 1971 si è sentita male durante un viaggio in Francia e non è più tornata». Chi non ha avuto una zia brontolona? Nella famiglia Longaretti questo ruolo spetta a Franca, classe 1905: «Ci rimproverava perché rubavamo la roba da mangiare, ma ci voleva molto bene. La ricordo sempre affaccendata tra fornelli, biancheria da stendere e stufa da riempire di legna: era la prima ad alzarsi e l’ultima ad andare a dormire». Si è spenta nel ‘76 dopo una lunga malattia. Cinto (Giacinto) era nato nel 1906; uomo distinto e molto impegnato, lavorava a Bergamo ed è stato ferito mortalmente in guerra nel 1945. Silvio l’ha conosciuto poco, e quando ne parla con suo cugino Josi cambia discorso velocemente, vedendo che gli fa inumidire gli occhi...

Lo stesso accade a lui quando si parla della sua mamma, Angela, Ela per gli amici. Classe 1907, «era molto buona, generosa, una grande lavoratrice. Rimasta vedova con tre figli piccoli (4, 6 e 7 anni) ha saputo crescerci e gestire il negozio in modo meraviglioso. Per fortuna ha sempre potuto contare sull’aiuto della sua famiglia». Tra i suoi ricordi più dolci quelli legati al periodo natalizio: «Ci metteva a letto e ci diceva “Stanotte vengono gli angeli e fanno la vetrina di Natale, vedrete che bella!”. La mattina ci svegliavamo, correvamo ad ammirare il trionfo di giocattoli, e io pensavo “Che bravi gli angeli!”». La sua lunga malattia se l’è portata via nel 1977. Dello zio Franco (Francesco), commerciante in vino, purtroppo Silvio non ha ricordi: «l’ho visto solo in fotografia. I suoi figli Renzo, Sandro, Giacinto e Giancarlo me ne hanno sempre parlato come una persona brillante ed altruista». È mancato nel 1947. Cenzo (Innocenzo), classe 1913, «ci portava in montagna a fare le gite, in particolare al “Roccolino” in mezzo al bosco a Valpiana. Era un posto speciale per tutta la famiglia, dove erano conservati diversi diari con annotati frasi e pensieri di chi vi passava. Ho dormito lì due volte: un’avventura!». L’unico rimasto, dei tredici fratelli, è Trento, l’artista di famiglia, che ha da poco festeg-

Abbiamo recuperato solo una parte dei ritratti dei Longaretti. Da sinistra: Rina, Carlo, Tina, Amanzio. Sotto a sinistra Mario e accanto Trento

giato il novantanovesimo compleanno (vedi “la tribuna” di settembre). «È brillante, entusiasta e ironico. Adoro chiacchierare con lui e ricordo con piacere i numerosi inviti a pranzo ricevuti durante qualche mia visita improvvisata, se ero di passaggio a Bergamo. Da sempre mi chiama “Silvietto”, e mi fa molto piacere». Amanzio (di cui Carmen Taborelli parla a pag. 46 e 47) era «sempre allegro, pronto a scherzare, altruista e molto generoso. Con lui ho passato molte ore a chiacchierare di tutto, ad ascoltare i suoi ricordi di guerra e a vedere i suoi leggendari filmini Super 8. È stato tra i primi ad avere la televisione, e tutti noi bambini (nipoti e vicini di casa) andavamo da lui a guardarla. La regola, però, voleva che prima di entrare ci togliessimo le scarpe: davanti alla porta di casa se ne potevano contare 20 o 25 paia». Emblema della bellezza era la signora Tina: «io la guardavo e mi sembrava la donna più bella del mondo. Era sempre elegante, allegra e pronta ad accontentare noi nipoti». Vittorio era stimato da tutti e molto preciso: «aveva sempre in tasca un taccuino dove an-

notava ogni cosa con precisione. Era capace di fare un po’ di tutto: si intendeva di muratura, pittura ed idraulica e i suoi insegnamenti – tra i quali l’andare in bicicletta – mi sono stati molto utili». Del 1922 è lo zio Mario «una figura fondamentale nella mia vita – spiega Silvio – è stato il mio consigliere, il mio commercialista, la persona alla quale rivolgermi ogni volta che avevo un problema. Amante della montagna mi portava spesso al Roccolino e alla Casina Bianca, sul monte Alben, e mi ha insegnato a sciare. Allegro, sempre con la battuta pronta, era in grado di sdrammatizzare le situazioni più difficili con il sorriso». Siamo giunti così al termine di questa lunga carrellata di ritratti, nei quali se proprio non avrete potuto intravedere la somiglianza con qualche vostro caro, avrete gustato un affresco di un tempo che non c’è più: «ricorderò sempre il lungo tavolo ovale, dove a capotavola sedeva la nonna Maria, e dove a volte mi fermavo a mangiare con i miei zii. Col tempo il tavolo si è “accorciato”, ma nella vecchia casa Longaretti c’è una stanza dove figli, nipoti e pronipoti si ritrovano ancora. Siamo sempre tra le 50 e 60 persone». Affetto e ricordi felici, anche se inumidiscono gli occhi, non si cancellano, si tramandano alle generazioni successive.

A sinistra Silvio Gelmi, titolare dell’omonimo negozio di giocattoli di via Verga, ci ha raccontato la storia degli zii Longaretti

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Le nostre case di piacere del ‘900

Quelle Case Chiuse di Treviglio di Lucietta Zanda

Nel 1958, con la legge Merlin, le case di tolleranza in Italia divennero proibite. Rimane il ricordo degli anziani e una recente mostra documentale

L’

ambiente è una cupa camera da letto un po’ spoglia, la cui biancheria ha l’aria di non essere stata cambiata di recente. Ma tanto, per quel che si paga, i signori clienti si possono pure accontentare. Il buio della stanza dalle persiane serrate è rotto dalla tenue luce di una lampada vicino alla quale, seduta sul letto, una donna aspetta… che tra una marchetta e l’altra il giorno finalmente finisca. Uno specchio appeso le rimanda un’immagine esausta e già sfuocata. Conta le marchette da consegnare alla madama, neppure sufficienti a pagarsi la pigione. Questo doveva essere più o meno il contesto nel quale si muovevano le prostitute autorizzate di allora, quando in Italia, nel 1860, prima Cavour e poi Crispi, “tollerarono” con un’apposita legge la diffusione delle case di piacere; fino alla loro chiusura, nel 1958 dopo l’approvazione della legge dalla socialista Angela Merlin. La voglia di approfondire l’argomento deriva da una visita alla recente “Mostra della donna” in Sala Crociera in occasione dell’8 marzo, curiosando fra certi documenti degli anni ’20 e ’30 esposti in una teca, inerenti a proteste o richieste di apertura di case di

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tolleranza: «Ce n’erano almeno due ufficiali, di case chiuse - mi raccontano Fabio Celsi e Francesco Tadini, che dell’archivio bibliotecario sono i padroni di casa - una era situata in via Portoli, angolo piazza Stazione (l’Albergo Stella); l’altra (l’Albergo Argentino) in via Buonarroti più o meno all’altezza dell’attuale armeria ed exsede del Pci. La dislocazione così vicina alle due Stazioni ferroviarie non è casuale, ma comoda per chi se ne andava e veniva senza dare nell’occhio: i trevigliesi verso Bergamo o Milano, quelli di Bergamo e Milano, invece, qui da noi. Prima degli anni ‘30 – tipici del Regime - niente si sa a questo proposito di Treviglio. Il nostro archivio è privo di testimonianze in merito. Solo che le regole ed i controlli sanitari sono ben precisi, vi è l’obbligatorietà, nell’edificio, delle persiane chiuse; e Mussolini, ove si possa, obbliga anche ad un muro di recinzione attorno ad esso a garantire la massima discrezione». Dalla documentazione da visionare, indirizzata alle varie Autorità di P.S., risulta che una certa Luigia Bellotti, già proprietaria di un postribolo a Milano, vorrebbe aprire una “filiale” anche a Treviglio. Nel maggio del 1925 scrive “Rivolgendo rispettosa e viva preghiera e rimettendosi, riguardo l’ubicazione della stessa, ai desiderata di codesta autorità di P.S. senza sollevare lamentele ed inconvenienti di sorta”. Inoltre un’angosciante rogatoria del 1929 indirizzata al Podestà da parte del Rev. Clero che, venuto a conoscenza di una richiesta di apertura di un postribolo, si augura che “la

S.V. Ill.ma vorrà, col di Lei autorevole intervento, allontanare la minaccia di una tale jattura”. Un’altra ancora del Partito Fascista, sito in piazza Cameroni (oggi Commissariato), sempre del 1929 e indirizzata al Signor Podestà di allora Gino Cassani. In seguito alla ferma protesta scritta di Monsig. Prevosto contro le case chiuse, il Partito assicura che ostacolerà con ogni mezzo la loro apertura: “Significando come il Fascismo locale si informi in ogni atto a principi saldamente morali”. Il Clero, del resto, da sempre negli anni, qui a Treviglio, si è sempre opposto all’apertura di qualsiasi cosa procurasse svago o piacere: dalle balere, ai cinema, figuriamoci i lupanari. Forse, perché si affermassero, bisognava chiamarli “case della tribolazione”, del “dispiacere”, o del “tormento interiore”. Niente di più vero, per chi in quei luoghi ci doveva lavorare fino a tarda notte. Incontro in un bar fuori mano due anzianissimi signori ancora vivaci di cui, per discrezione, taccio i nomi: Franco R. e Giuseppe C. Chiedo loro se ricordano qualcosa di quegli anni riguardo le case chiuse. Tutto ricordano, ci avrei scommesso. Raccontano che c’erano le tariffe di Stato ben regolamentate, una lira la “svelta”, due se raddoppiavi. Le signorine in genere venivano sostituite dalla “maitresse” ogni quindici giorni per averle sempre “fresche”. Si andava dal barbiere o all’osteria per conoscere in anteprima com’erano, e dai discorsi espliciti e ridanciani si capiva se valeva la pena investirci quattrini.

Le ragazze erano visitate dal medico ogni settimana per accertarsi che non fossero presenti malattie veneree, e l’igiene era più assicurata di quanto non accada oggi con quelle che “battono” le strade. Dovevano cedere alla tenutaria del bordello la metà dei loro guadagni, calcolata in base alle marchette che riconsegnavano la sera, e pagare pure la pensione. Le marchette erano dei tondini di ferro che, all’atto del pagamento, la madama dava al cliente da consegnare alla prostituta prima dell’incontro. I clienti erano tutti controllati all’ingresso e gli indesiderati potevano essere rifiutati dalla maitresse. Ma una volta saliti al piano superiore, le ragazze non potevano in alcun modo rifiutare l’incontro. Chiedo loro, essendo tutto così ufficiale e scontato, come reagivano le mogli o le mamme, sapendo che i loro cari frequentavano i bordelli. Mi spiegano che qui a Treviglio, per le donne di famiglia, era tabù persino il pronunciare certe parole, ma sapevano che i loro figli o mariti frequentavano quei luoghi. Tolleravano. In un certo senso intuivano la funzione di tutela del bordello che tutto sommato escludeva i loro cari da altre avventure spesso più compromettenti e li metteva al riparo da guai di carattere sanitario. Si sono chiuse le case, quelle ufficiali, ma le clandestine e le donne di strada qui a Treviglio come ovunque sono sopravvissute, e spesso senza gli opportuni controlli, sfruttando come sempre la condizione femminile. Allora, cosa è bene?

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1 Aprile 2016 - la tribuna - 51


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Treviglio/Storie minime del ‘900 continua

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La polenta di Rita e la “siora” Marani di Roberto Fabbrucci

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La solidarietà tra vicini, la famiglia dei veneti Marani, il figlio Angelo, chimico che patrocinio sperimentava la pellicola ferrania su di noi, il conte Enrico Tarugi. Storie di un quartiere che non c’è più

P

Provincia di Bergamo

apà chiamava mia madre “Annarella”. Dolce, sorridente, incantevole affabulatrice, riusciva a far vivere nella nostra casa il clima di un circoPRO LOCO TREVIGLIO lo aperto. Le mogli degli operai, degli impiegati, ma anche dei dirigenti, le stesse signore delle cascine di via Calvenzano e di via Murena, quando uscivano da casa o quando rientravano, dovevano passare da lì a raccontare qualcosa, a offrire o chiedere un consiglio, farsi aiutare per una ricetta di cucina. L’ambiente era spesso allegro, tutti si davano una mano e anche i pasti diventavano una sorta di rito comune: la “sciura” Rita, se faceva la polenta (mai più mangiata così buona), non poteva fare a meno di portare qualche fetta a casa nostra, avendone magari in cambio un pezzo di coniglio, una torta, o un assaggio delle delizie con cui mia madre ci estasiò per tutta la vita. Anche Paola Marani portava le sue ricette venete, questo assieme ai racconti di quando ancora ricca e sulla carrozza passeggiava con il cocchiere a cassetta per le vie

di Verona. Una signora alta, con le lunghissime trecce raccolte in crocchia all’austriaca e con quel naso largo che guardavo sempre con meraviglia. Era la mia preferita, ed io il suo. Quando non sapevo che fare e la via Curletti diventava troppo vuota e noiosa, entravo in casa sua, un appartamento nella palazzina bassa di sole due stanze, dove la “siora” viveva con il signor Marani e suo figlio Angelo, chimico nel laboratorio sperimentale della Ferrania nei pressi del reparto colla. Essendo io in quegli anni il “cucciolo” della Montecatini, Angelo Marani, ma anche il suo capo, il conte Enrico Tarugi, mi usavano come “cavia” per i loro esperimenti fotografici, cioè testare la gelatina delle pellicole che inventavano. Ho, però solo uno sbiadito ricordo di quei giorni quando, mentre attraversavo imbacuccato la strada, per portare un cartoccio poco più in là nella villetta dalla signora Cristofori, fui fermato da Angelo con una macchina a soffietto tra le mani, con

A sinistra Bruno Fabbrucci con il figlio Roberto in braccio, accanto il primogenito Alfredo. Poi Anna Aurori Fabbrucci (a destra nella foto) con il figlio Roberto e l’amica Rosetta. Sopra Paola Marani e in basso il figlio Angelo, chimico e sperimentatore delle geletine sensibili Ferrania presso la Montecatini di Treviglio. Queste immagini fanno parte di quell’esperimento.

la quale mi scattò una serie di fotografie. Angelo era terribile e la sua precisione era addirittura insopportabile. Quel giorno, uscito di corsa da casa con un provvisorio scialletto di mamma sulla testa per proteggermi dal freddo e dalla nebbia, dovetti rimanere immobile mentre lui - con quel suo spago segnato da un nodo ogni cinquanta centimetri - misurava la giusta distanza dall’obiettivo. So che le mie foto estive, scattate dietro le villette, finirono sul tavolo di qualche dirigente della Ferrania a Milano e una addirittura in una grande mostra a Roma, infine utilizzata per anni come richiamo in una vetrina di un fotografo romano. La signora Paola parlava di solito in veneto ed è così che appresi che noi bambini eravamo i “mostri” o “putei”, e che il marito e il figlio erano “molegati” (lenti). Imparai anche che “conforme” era l’equivalente del bergamasco “pota” e dell’italiano “certo”, che “va a remengo”, significava “vai a quel paese”, e che “per servirve” o “comandi”, ripetuti a seguito di ogni richiesta, avevano esattamente quel significato, eredità di antichi convenevoli che distinguevano le classi nelle terre influenzate dalla Repubblica Veneta. “Molegato” è rimasto il termine più simpatico e che a volte uso per definire una persona lenta, senza carattere, molle. Anche la Marani, suo figlio e suo marito, erano “i fùrester”, ovvero stranieri e come loro la maggioranza di quanti abitavano nel quartierino della Montecatini. Dai vari direttori succedutesi nel tempo, ai vari dirigenti e impiegati spesso chiamati da Milano, Torino, Saronno o Foligno come papà. Questo con una logica: mettere nei posti delicati gente che non avesse interessi e legami stretti con il territorio, fonte spesso di familismo e clientelismo.

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Pedalando nel tempo

Leonardo ed Enrica Occhiali Fondazione e successi del G.S. Audax di Ezio Zanenga

Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. L’alternanza di personaggi ed eventi ci porta a ricordare l’attività di un sodalizio protagonista della storia ciclistica cittadina

B

artali e Coppi, Rivera e Mazzola, Vespa e Lambretta, Callas e Tebaldi e gli esempi sarebbero tantissimi. Agli italiani è sempre piaciuto il “dualismo”. Anche a Treviglio, per quasi vent’anni “Audax e Pedale” si sono contrapposti: due sodalizi ciclistici con caratteristiche, obiettivi e filosofie diverse. Comune denominatore ovviamente il ciclismo, le vittorie, il riuscire ad emergere, l’apparire migliori agli occhi della città. Risaliamo agli anni ’60 del secolo scorso. Dopo anni di attività modesta, nel 1966 il ‘risveglio” e nel 1967 la “svolta” del Pedale Sportivo con l’organizzazione della Coppa Adriana, Crono Campionato a squadre Allievi e l’allestimento di una compagine di atleti di alto livello. L’anno successivo, in sordina, senza grandi proclami, la nascita di una nuova società, il Gruppo Sportivo Audax con sede presso il Bar Bersagliere di Carlo Pilenga, entusiasta promotore dell’iniziativa, in via Sangalli (ora Bar Cavour). Il documento di fondazione, 18 giugno 1968, vede la firma di 28 soci che eleggono presidente Adelio Carminati, vice Paolo Rossoni e Mario Moriggi, segretario Carlo Pozzi, Consiglieri Emilio Brivio,

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Gianni Casati, Oreste Caspani, Alessio Facchetti, Alfredo Fabbrucci, Giancarlo Mazza, Gigi Moriggi, Riccardo Riva, Ezio Zanenga, l’assistenza tecnica affidata a Pierino Baffi, medico il dr. Vittorino Moioli, addetto stampa Alberto Baldini (Baldo). Il nuovo sodalizio ha uno sviluppo inatteso, in termini di adesioni raggiunge l’incredibile quota di 250 soci, evidentemente nella Treviglio sportiva di allora c’è spazio, e soprattutto vede una fortunata e clamorosa intuizione programmatica. Allora l’attività agonistica federale incominciava a 15 anni con la categoria Esordienti. L’Audax di propria iniziativa anticipò tutto a 13 anni, promovendo una “Leva ciclistica” sul territorio coinvolgendo Scuole ed Oratori con volantini, manifesti e conferenze in 15 Comuni del circondario. Di li a pochi mesi l’annuncio clamoroso del CONI nazionale: si sarebbero organizzati i primi Giochi della Gioventù riservati alla fascia di età dove, in anticipo sui tempi, aveva rivolto l’attenzione il G.S.Audax. Nel 1969 l’Audax organizza i Giochi della Gioventù di ciclismo sul territorio praticamente con tutti i suoi aderenti alla Leva, una trentina di ragazzi e vede il suo più talentuoso esponente, Roberto Zonca, vincere la

A sinistra: 1969 – Roberto Zonca, dopo la vittoria a Roma, attorniato dai dirigenti Audax a Treviglio in via Sangalli. Sopra: 1976 - Il presidente Guerino Cornelli con un giovanissimo Adriano Baffi. A destra: 1978 - Il trevigliese Giancarlo Ferrari in azione. Potenza e generosità lo porteranno a vincere in più occasioni

prova comunale a Treviglio, la provinciale a Bergamo e la nazionale a Roma, su una selezione complessiva di 5000 partecipanti. Il tutto a meno di un anno dalla fondazione. Roberto Zonca si rivelò poi un piccolo fenomeno vincendo 16 volte (e due secondi posti) su 18 gare disputate. Ci furono anche frizzanti polemiche sul giornale locale tra il presidente del Pedale Sportivo che chiamò i Giochi della Gioventù “corsette da oratorio” e “Baldo” che rispose: “si, dell’oratorio di Roma…”. Questo l’inizio, seguirono 17 anni di attività organizzativa ed agonistica incredibile per quantità e qualità. Centinaia le affermazioni, si arrivò ad organizzare otto gare in un anno (oggi impensabile), ad ogni stagione dai 30 ai 40 tesserati (in ben quattro categorie) con sempre nuove “scoperte” nel proprio vivaio. A Roberto Zonca seguirono i Gaspare Beretta, Ezio Grassi, Gianni Spiranelli, il trevigliese Giancarlo Ferrari, plurivincitori, con un prosieguo di dignitosa carriera ciclistica. Titoli provinciali, regionali, italiani, maglie azzurre. Al presidente Adelio Carminati succedette Paolo Rossoni, anima e cuore per il ciclismo, quindi la mitica presidenza di Guerino Cornelli (vice un altro mito quale Gigi Moriggi), le affermazioni di Adriano Baffi, Walter Brugna, Danilo Gioia, sino a Davide Bramati (per citare solo i più noti) tutti passati professionisti. Dal 1977 la sponsorizzazione “Colnago” l’organizzazione della

Targa Vetreria Cornelli (venti edizioni), della Treviglio – Bracca (quest’anno raggiungerà la 40^ edizione grazie alla Ciclistica Trevigliese), il “Calice d’Oro” che vide tra i premiati Felice Gimondi, Gino Bartali, Fiorenzo Magni. Oltre ai corridori come non ricordare persone che tanto diedero alla “causa” Audax: Gianrico Bresciani, Pietro Cattaneo, Ernesto Santiani, Roberto Avogadri, Pietro Premoli, Mario Fontana (Mafo), Mario Imeri, Luciano Nicoli, Gianni Casati, il dr. Luigi Viganò e la lista sarebbe lunga… E’ stato senz’altro riduttivo, ma comunque significativo, il condensare in poco più di una pagina anni così fecondi di passione, di emozioni, di storia umana e sportiva che coinvolse l’intera città. Un periodo storico sicuramente irripetibile, con la presenza sempre importante e prestigiosa dell’altra “sponda” ovvero del Pedale Trevigliese. Ma quella è un’altra storia, altrettanto bella, che andremo presto a raccontare. A sinistra: 1973 - Ezio Grassi vincitore di un Campionato Regionale. Sotto: 1968 - Il documento della Fondazione del G.S. Audax

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Treviglio/Eventi sportivi e personaggi

2016-01

Benvenuta Pallanuoto di Silvia Martelli

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rima del 2010, nella piscina comunale di Treviglio non si era mai tenuto un allenamento di pallanuoto. La svolta avviene proprio in quel settembre, quando un volenteroso gruppo di giocatori fonda la Pallanuoto Treviglio. «Avevamo la squadra, ma non la piscina» spiega Max Petrilli - ex giocatore e attuale vicepresidente della società – e il Centro Natatorio Alessandra Quadri è come una manna del cielo, mostrando fin dal principio grande disponibilità, sia per quanto riguarda gli spazi da offrire che per i finanziamenti. In soli sei anni, la società raggiunge un’espansione che nessuno inizialmente osava sognare; il numero dei giocatori aumenta, infatti, da tredici (i componenti della squadra fondatrice) a centotrenta, rendendo la Pallanuoto Treviglio una delle più forti della provincia bergamasca. Nonostante ciò, l’inserimento delle squadre femminili tarda ad arrivare: «Era il passo che ci mancava» dice Max, sottolineando tuttavia la difficoltà del reclutamento di giocatrici. A settembre del 2015, quando ormai la società è ben consolidata e comincia ad avere una sua solida tradizione, trionfano i tentativi di inserire una serie B femminile, affiancata dalla preesistente under 15:

Franco Donadelli, “eroe” del CST

L’ultima apparizione il 14 Dicembre 2015 al Tnt quando festeggiammo i formidabili giocatori della Serie C

N

on ho avuto modo - per questioni di età - di vedere Franco Donadelli sui campi di calcio. Ma l’ho conosciuto giusto cento giorni fa quando, chiamandolo per nome, mi ha raggiunto sul palco del Teatro Nuovo Treviglio, insieme ai compagni che non esitai a definire “Eroi del CST”. In corrispondenza con il tradizionale “Natale Biancoceleste” erano stati, infatti, programmati i festeggiamenti per il 50° anniversario della promozione in Serie C del Circolo Sportivo Trevigliese, risalente alla stagione 1964/1965. Originario di Inzago, ma proveniente dal Melzo, era approdato in biancoceleste nel 1964, all’età di 23 anni; in quello “squadrone” ricopriva

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è così che la Pallanuoto Treviglio, che già comprendeva nel settore maschile Under 11, Under 13, Under 15, Under 17, Under 20 e serie C, viene ulteriormente rafforzata. Alberto del Prato, giocatore di serie C, è attualmente anche vice-allenatore della squadra femminile di serie B, affiancando Judith Struhacs, che svolge il doppio ruolo di giocatrice e allenatrice della squadra. Egli racconta come le ragazze siano sottoposte ad un serrato ritmo di allenamenti, dal lunedì al giovedì, alternando continuamente esercizi di nuoto e di tecnica per una preparazione ottimale. Aggiunge inoltre che le giocatrici, nonostante il divario d’età (dai quattordici ai trent’anni) mostrano costantemente grande impegno, viva partecipazione, e sincera diil ruolo di mezzala destra o seconda punta, svolgendo spesso e volentieri anche i compiti del “bomber”. Le sue doti calcistiche di “discreto palleggiatore e di ottimo tiratore, anche dalla lunga distanza” vennero presto notate dai dirigenti di Monza e Cremonese, prestigiose formazioni nelle quali militò per alcuni anni, prima di chiudere la carriera agonistica nuovamente nel Melzo. Fino allo scorso 14 dicembre, dicevo, non sapevo chi fosse Donadelli, se non per averlo sentito nominare in quella formazione che gli sportivi trevigliesi di una certa età amano “snocciolare” come una filastrocca: Malinverno, Rigamonti, Gira, Foresti, Invernizzi, Cavaletti, Alberido, Maestroni, Goffi, Donadelli, Passera. Nel chiamare alla ribalta uno per uno gli “eroi” (ovviamente, ricordando con un affettuoso applauso quelli che non sono più tra noi), avevo notato immediatamente la particolarità di questo distinto ed elegante signore, presentatosi con un sacchetto di plastica nascosto dietro la schiena. «Ho un piccolo ricordo da mostrare - disse Donadelli, estraendo il contenuto dalla borsetta - in particolare ai ragazzi del Settore Giovanile che sono presenti questa sera in sala: questa è la maglietta pesante, di lana, che

sponibilità nell’aiutarsi l’un l’altra, favorendo così l’inserimento delle più giovani. «La base della pallanuoto è uguale per tutti» racconta il vice-allenatore, e questo indubbiamente facilita le cose, sebbene il miglioramento vari molto da ragazza a ragazza. La serie B, un gruppo nuovo nella nostra città, è in realtà nato a Osio e si è trasferito a Treviglio, dopo una breve permanenza trascorsa a Bergamo durante lo scorso anno, e sembra già essere una promessa della pallanuoto. La prima partita, giocata a marzo contro la squadra di Cus Geas Milano, ha regalato una splendida vittoria con il punteggio finale di 14-5, segnando un ottimo inizio per la squadra di Treviglio e divenendo prova della validità del lavoro svolto nei mesi di preparazione al campionato. Tutto

indossavamo cinquant’anni fa…!». Un gesto semplice, apparentemente banale che, però, ebbe il merito di far scattare l’applauso e anche di far emozionare tutti i presenti all’evento. La prima reazione fu quasi di incredulità, sia perché aveva conservato la maglia biancoceleste - sì, la gloriosa divisa

si riconduce alla filosofia di allenatore di Alberto: puntare a vincere chiunque siano gli avversari. Soprattutto, sottolinea che gli darebbe fastidio «perdere male», demoralizzandosi cioè davanti ad una squadra più forte e «perdendo fiducia nelle proprie capacità». Un’ipotesi improbabile per la squadra, che ha invece reagito molto bene anche nei momenti di difficoltà che si sono presentati durante la partita. Federica Doneda, capitano della squadra, ritiene tuttavia che eventuali sconfitte sarebbero solamente un’occasione per migliorarsi, costruendo le nuove vittorie sugli eventuali errori commessi. Il prossimo obiettivo è andare ai playoff - il successo dell’andata contro Brescia, la squadra più temuta in questo campionato fa ben sperare - per poi passare alla categoria A2. Per ora Alberto si dichiara molto soddisfatto del cammino della serie B: «Grazie a Judith sto acquisendo l’esperienza che mi mancava e che non ho mai avuto da giocatore - racconta - mi sta anche mostrando un metodo di insegnamento innovativo e tutto improntato sul mondo femminile: lei è molto più affabile di me con le ragazze». Racconta infatti che Judith è una straordinaria allenatrice, oltre che atleta, estremamente devota al miglioramento e volenterosa nel condividere la sua esperienza con le compagne. Federica, inoltre, spiega come la scarsa differenza d’età tra lei e Judith (solo un anno) favorisca il suo ruolo di portavoce della squadra: oltre ad avere ottimo feeling in acqua, le due si dichiarano anche grandi amiche, il che permette al capitano di esprimere in piena sincerità eventuali problemi a nome delle compagne. a righe verticali! - in perfetto stato per tutto questo tempo, ma anche perché era evidentemente riuscito a “strapparla” alla parsimoniosa attenzione del mitico magazziniere Cesare Cariboni… La splendida serata è entrata - da subito! - di diritto nella leggenda biancoceleste, quella storia calcistica che firme ben più prestigiose (come quelle di Beppe Facchetti, Alberto Baldo Baldini, Luciano Ravazzi e dello stesso Gigi Di Cio) hanno scritto vivendole in prima persona e riempiendone colonne di giornali da quell’epoca fino ai giorni nostri. Dopo quell’emozionante incontro, personalmente chiuso anche con un lungo scambio di battute con l’eroe del CST Franco Donadelli, a me spetta il compito di ricordarlo nel momento della sua dipartita: ancora pieno di emozione, di nuovo riconoscendogli di aver regalato anche a Treviglio, alla Trevigliese e a noi trevigliesi, l’apice di una storia calcistica “che tremare il cuor ci fa…”. Franco non se ne è andato, è semplicemente uscito da “questo” campo. Ora, lassù, vestirà una nuova divisa… Anche questa, con i colori biancocelesti, come il cielo che l’ha accolto. Paolo Taddeo

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Treviglio/Le Aziende informano

Il buon pesce fresco lo si gusta all’Osteria da Zio Nino

Nata come friggitoria, l’osteria è oggi un ristorante di pesce a tutto tondo, dove la prima attenzione è alla qualità e alla freschezza della materia prima, l’essenziale per servire piatti dal sapore del mare, del pesce e dei frutti di mare appena consegnati dal pescatore

S

e avete voglia di mangiare del buon pesce ma non siete così ispirati da cucinarlo, allora vi suggeriamo una visita all’Osteria da Zio Nino a Treviglio. Troverete un locale spazioso, arredato con elementi che ricordano il mare, dalle reti da pesca ai nodi marinari, nel quale Paolo Vighi vi servirà giornalmente il meglio del pescato. Paolo vanta una lunga esperienza di ristorazione, maturata prima nei ristoranti milanesi e poi a Treviglio, dove ha rilevato l’attività di via Mazzini. «Nata come friggitoria – ci spiega – è oggi un ristorante di pesce a tutto tondo, dove con grande attenzione alla freschezza della materia prima serviamo piatti dal sapore del mare». Proprio per valorizzare al massimo la qualità del pesce, del quale Paolo si approvvigiona quotidianamente al Mercato Ittico di Milano, all’Osteria da Zio Nino vengono proposti piatti tradizionali. «Più il piatto è semplice, poco elaborato – dice – maggiore è la possibilità di godere del sapore genuino del pesce, apprezzandone gusto e freschezza». Presso questo accogliente locale vengono servite anche cruditè di pesce che in ragione di quanto il mare ha offerto, vengono preparate a richiesta del cliente. «La cucina di pe-

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sce – prosegue Paolo – ha la particolarità di essere molto esigente nelle cotture, anche il miglior branzino rischia di essere rovinato in pochi minuti di extracottura, i crudi invece richiedono prima di ogni altra cosa la freschezza assoluta del prodotto e dei tempi di esecuzione». All’Osteria da Zio Nino, oltre al servizio ai tavoli, si possono acquistare i piatti d’asporto, che vengono proposti giornalmente e sono un valido aiuto per quanti desiderano gustare tra le mura domestiche una buona pietanza di pesce. L’alternativa del menù aziendale servito a pranzo da martedì a sabato è preferita da chi pur non avendo molto tempo a disposizione, non vuole rinunciare a mangiare bene. La sera invece, l’Osteria accoglie amici e famiglie che scelgono alla carta i piatti sempre freschi e genuini, pur spendendo cifre molto oneste. In occasione delle festività vengono proposti interessanti ed equilibrati menu, che i clienti trovano sulla pagina Facebook del ristorante, arricchita anche delle foto dei molti piatti cucinati. A chiusura di un ottimo pasto non possono mancare i dolci che, ogni giorno, vengono preparati con cura nelle cucine dell’Osteria da Zio Nino. Cristina Signorelli

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Foto by Enrico Appiani

Treviglio/Curiosando di notte

Come si fa un Martini a Treviglio? di Fabrizio Fumagalli

Il gusto e la cultura del buon bere. Dietro il bancone c’è il barman Ezio Falconi, proprietario di Arimo, il bel locale di Via Ariosto

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ome si fa un Martini è il titolo di un trascurabile e trascurato film italiano con Elena Sofia Ricci. Al netto dei riferimenti cinematografici, ecco come si prepara un Martini: «E’ semplicissimo, ma bisogna prestare molta attenzione alle dosi. Otto – due. Ovvero, otto decimi di gin e 2 decimi di vermut dry. Si usa il mixing-glass per miscelare gli ingredienti, poi si serve il cocktail in una coppa Martini già fredda». Spiega così Ezio Falconi, barman di fama, proprietario di

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Arimo il bel locale di Via Ariosto, a Treviglio. Ezio recita la ricetta di questo classico da bar come fosse un’Ave Maria. Le sue varianti sono celebri, quasi quanto l’originale: «C’è il Vesper, il preferito da James Bond (“agitato, non mescolato”), il Naked che beveva Winston Churchill o il Dirty Martini del presidente americano Franklin Delano Roosvelt». Le fotografie in bianco e nero appese alla parete dietro il bancone testimoniano la leggenda. Ritratti, bicchiere in mano, ci sono anche Marilyn Monroe, David Niven, Ernest Hemingway. «Ho aperto Arimo nel 2005. L’ultimo e il più piccolo dei miei nove locali. Il nome viene da un’espressione che tutti abbiamo usato da bambini, durante il gioco. Vuol dire: “Stop! Prendiamoci una pausa”», continua Falconi. «Forse la parola ha origini latine. Nell’antichità si decideva di sospendere una guerra per potere seppellire i morti in battaglia». In questo caso la pausa, molto meno gravosa, è sui divani di un American Bar, intimo, a luci soffuse, orari serali. Pieno di scaffali zeppi di bottiglie: champagne, spumanti, distillati, liquori. Un posto dove si beve. Bene. Bere alcolici è un argomento molto delicato. Incastonato com’è in una società che spesso non usa ma ne abusa. Secondo l’Istat, i comportamenti di consumo di alcol che eccedono rispetto alle raccomandazioni per non incorrere in pro-

blemi di salute hanno riguardato nel 2014 oltre il 15% degli italiani. Nel Paese in cui il 65% della popolazione ha consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno (sempre dati Istat, aggiornati al 2014), non c’è una cultura del bere. Lo si percepisce su più fronti: «i ragazzi spesso consumano vere porcherie. Comprano al supermercato bottiglie di intrugli improponibili. “Da consumarsi freddo”, è scritto sull’etichetta. Condizione necessaria, almeno a evitare conati di vomito». Poi la palla dell’irresponsabilità passa al «cliente che fa la richiesta e a chi passivamente la esaudisce. Un barman che fa bene il suo lavoro non può servire un whisky torbato a una signora ultraottantenne. Allo stesso modo, non può farlo con un ragazzo di vent’anni» dice Falconi. «A volte il cliente si trova a consumare e pagare qualcosa che non corrisponde ai suoi gusti e alle sue necessità. Un peccato e una responsabilità». I gusti e le necessità di una clientela che spazia per fasce di età, richieste e voglie, Ezio ha imparato a riconoscerli “al primo sguardo”. Oltre al successo di Arimo e di una vita professionale in cui ha aperto “65 attività commerciali”, ci sono i libri che scrive e i premi che vince. L’ultimo gli è stato consegnato, di recente, al Regina Palace Hotel di Stresa. «Mi ha fatto molto piacere ricevere il Premio Solidus (l’associazione che rappresenta le professioni più significative del mondo alberghiero italiano) come “Professionista dell’anno 2015”, per la categoria Barman. Insieme a me hanno vinto veri giganti del settore». Nei primi mesi del 2016, Ezio Falconi sta promuovendo il suo nuovo libro: «Si chiama “Historical Cocktails” (ed. Lubrina Editore). In questo volume, riprendo 250 ricette storiche e le rileggo in chiave moderna. E’ stato un complesso lavoro di ricerca. Un viaggio a ritroso dal 1930 al 1860, l’anno di pubblicazione del primo ricettario sul bere miscelato». Era invece il 1853 quando La Traviata di Giuseppe Verdi, con i versi celebri “Libiamo, libiamo ne’ lieti calici”, veniva per la prima volta rappresentata (al Teatro La Fenice di Venezia). Molti anni dopo si può ancora brindare sereni fra i calici. Basta prendersi la pausa giusta. Arimo!

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Coro Icat/Una storia trevigliese (15 e penultima puntata) a

A Melli subentra Bellini di Romano Zacchetti

La penultima puntata della storia dell’Icat vede impegnato il M° Costi fino alla vigilia del 30° compleanno di fondazione

D

opo aver eseguito un concerto presso la Sala del teatro di Clusone, il 22 maggio 1993, ed aver partecipato alla rassegna “Quattro passi per Treviglio – Un’estate per... Mille primavere” tenutasi in piazza Santuario nel mese di settembre, il coro ICAT viene chiamato per la celebrazione del XX di fondazione dell’AIDO della nostra città. La serata del 12 dicembre il M° Giuseppe Costi, presso la chiesa di S. Pietro in Treviglio, propone al pubblico un programma inusuale suddiviso in due parti: il coro ICAT nella prima e quello di voci bianche dell’istituto musicale “L. Folcioni” di Crema, da lui fondato e diretto. La serata, apprezzata dal numeroso pubblico presente, si conclude a cori uniti con l’esecuzione del “Laudate Dominun” di Johannes Walther. Nei mesi successivi il Costi continua la propria opera di educazione vocale: «la voce – afferma - è uno strumento difficile da usare adeguatamente, pertanto occorre una buona dose di volontà e di esercizio che permetta il potenziamento di questo nostro prezioso strumento, piacevole da ascoltare ma molto difficile da usare adeguatamente». Il 1° marzo 1994 avviene un avvicendamento alla presidenza del coro: ad Agostino Melli subentra Arnaldo Bellini, già corista tenore e capo gruppo, che ha da sempre avuto a cuore lo sviluppo e la trasformazione sia delle voci

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che del repertorio. L’assidua preparazione porta il coro ICAT a partecipare, assieme ad altre 26 corali provenienti da tutta Italia, alla dodicesima edizione del prestigioso concorso di Quartiano, il 21 maggio 1994. La competizione - preceduta dapprima da una rigorosa selezione dei cori, alcuni provenienti dall’estero - prevede anche alcune esecuzioni obbligatorie. Al nostro coro, pur non classificandosi fra i primi, rimane l’orgoglio e la soddisfazione di essere stati ammessi al concorso. Il repertorio è completamente diverso da quello in uso presso i precedenti direttori: ora spazia dalla musica rinascimentale francese ai brani romantici tedeschi, fino ad arrivare a qualche brano dei contemporanei Astor Piazzolla e Beatles. Il nuovo metodo di lavoro e di preparazione è lungo ed impegnativo e non tutti i “vecchi” coristi se la sentono di continuare a percorrere questa nuova strada e ciò comporta qualche defezione, a fatica rimpiazzata da nuove entrate. La XIX rassegna corale e IV rassegna internazionale, tenutasi sabato 21 ottobre 1995 presso il Teatro Filodrammatici, vede la partecipazione del coro da camera “I Madrigalisti di Lubiana”, della vicina repubblica slovena, diretti dal M° Matjas Scek. Propone 14 brani che spaziano dalla lingua latina, all’italiano, al tedesco, all’inglese e, naturalmente allo sloveno, mentre l’esibizione dell’ICAT prevede solo 6 brani per lasciare lo spazio al coro ospite. La seguente domenica il coro di Lubiana, dopo aver cantato alla santa messa mattutina

in Santa Maria Maggiore a Bergamo, si esibisce in serata con il nostro coro ad Alzano Lombardo in occasione dei festeggiamenti per il venticinquesimo compleanno della locale corale “Le due Valli”. Sabato 19 aprile 1997 arriva il momento di vedere finalmente riuniti due cori trevigliesi, per allietare gli amanti della musica: presso l’auditorium della Cassa Rurale la Schola Cantorum “G. B. Cattaneo” e l’ICAT si ritrovano per commemorare il 1600° anniversario della morte di S. Ambrogio, patrono dell’Arcidiocesi di Milano, cui la nostra comunità appartiene. In tale occasione la Schola Cantorum si esibisce iniziando con un brano gregoriano per proseguire con un mottetto, una melodia medioevale, un brano di Domenico Scarlatti ed una antifona di Lotti; dopo una esibizione del giovane Alessandro Pisoni al flauto traverso, prosegue con il proprio programma, terminando con tre brani del concittadino musicista G. B. Cattaneo. Dal canto suo il coro ICAT continua la serata con la “Missa de Carneval”, una messa del musicista lodigiano Franchino Gaffurio, prestigioso autore del 1500; la sua raffinata musica cattura il pubblico portandolo in una dimensione soffusa ed eterea, con espressioni di autentica elevazione musicale, cui contribuisce anche il brano proposto successivamente da Hana Budisova Colombo al flauto traverso. La serata si conclude con una messa moderna composta dal M° M. Chiarolini, che accompagna all’organo il coro ICAT fuso, per l’occasione, con la corale S. Tomaso di Berga-

mo: l’inserimento della chitarra basso e delle percussioni non scalfiscono per niente la sacralità dei brani. Un folto pubblico manifesta con tantissimi applausi il proprio gradimento della serata, che l’incantesimo del luogo non fa che ulteriormente esaltare. Pure “la tribuna”, a pagina 27 della numero del 5 maggio 1997, dedica spazio a questo avvenimento. L’ultima esibizione in pubblico sotto la direzione di Giuseppe Costi - avvenuta il 1° giugno 1997 - vede il coro Icat impegnato nella prestigiosa e magnifica chiesa quattrocentesca di S. Bernardino a Lallio, in occasione dell’inaugurazione dei restauri. Dopo l’esecuzione da parte dell’ICAT di un brano del XII secolo e due del XVI secolo, Hana Budisova Colombo si esibisce al flauto traverso per lasciare poi al coro l’esecuzione di brani della “Missa de Carneval” di Gaffurio seguita da un brano del fiammingo Josquin Despres e da un altro di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Il successivo intermezzo della flautista lascia a bocca aperta il pubblico, i coristi ed anche Beppe Costi: sembra che la sua bravura non abbia limiti. Il coro, spronato dalla bellezza degli affreschi di Cristoforo Baschenis il Vecchio, di Girolamo Colleoni e di Bartolomeo Suardi, di seguito si cimenta con impegno in brani di musica contemporanea del russo Igor Fedorivoc Stravinski e dell’ungherese Zoltan Kodaly. La richiesta a gran voce di un bis vede dapprima i coristi impegnati nel Mon Coeur se recommande à vous, del fiammingo Roland de Lassus e poi la Colombo in un brano di un compositore boemo. Possiamo affermare che in questa chiesetta si è celebrato uno spettacolo di alta qualità ove il pubblico presente è entrato in contatto con il sublime: arte visiva mista ad arte musicale. Con questa ultima apparizione finisce l’epoca del M° Costi al quale bisogna riconoscere l’impegno profuso per dotare i coristi della faticosa proprietà di padronanza della voce. A suo malincuore deve abbandonare l’ICAT visti i gravosi impegni che lo tengono occupato con il proprio coro di voci bianche e con l’attività didattico-vocale. Dopo trent’anni di attività il coro Icat deve trovare un altro maestro, il quinto, ma l’entusiasmo non si affievolisce! (15-continua)

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Professioni/Il tributarista in pillole

Associazione Culturale MensCorpore

Lettere al direttore Firma in Municipio per il Testamento Biologico

Bonus arredo o bonus mobili? A cura di Giovanni Ferrari (*)

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na delle novità più importanti per chi ristruttura casa, in fatto di arredamento, sono il Bonus Arredo e il nuovissimo Bonus Mobili. Nel 2013 l’articolo 6, c.2, del D.L. 63/2013 ha introdotto la detrazione del 50% (fino ad un massimo di 10mila euro) delle spese sostenute dal 6 giugno al 31 dicembre 2013 per l’arredamento degli immobili oggetti di interventi di recupero del patrimonio edilizio. Le condizioni essenziali per poter beneficiare della detrazione sono due: 1. intervento di recupero del patrimonio edilizio (ristrutturazioni o manutenzioni) con sostenimento di una spesa per cui si fruisce della detrazione del 50%; 2. l’acquisto di mobili o elettrodomestici destinato all’arredo dell’immobile oggetto dell’intervento di cui al punto 1. Tale agevolazione del 2013, che in sostanza comporta un doppio recupero in termini di spese ed arredo, è stata prorogata anche per il 2014, 2015 ed è stata confermata anche per l’anno 2016, alle medesime condizioni. Si consiglia a chiunque voglia usufruire della doppia detrazione, sia per la ristrutturazione che per l’arredo, di procedere quest’anno, in quanto già dal 2017 la detrazione per gli interventi del patrimonio edilizio tornerà al 36% (non più al 50%), mentre la conferma del Bonus Arredo è ancora in dubbio. Ma la novità più importante è l’introduzione di una nuova agevolazione: il Bonus Mobili, introdotto dalla Legge di Stabilità 2016. Il Bonus è a favore delle “giovani coppie” per l’acquisto dei mobili per l’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. I soggetti interessati sono i coniugi che: • costituiscono nucleo familiare da almeno 3 anni; • in cui almeno uno dei due non abbia superato i 35 anni di età;

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• acquirenti di un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. Con questa agevolazione è possibile detrarre (per i prossimi 10 anni) il 50% della cifra spesa dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 e per un ammontare totale di euro 16mila in mobili ed arredo per l’abitazione principale acquistata. Attenzione: la norma fa riferimento solo ai mobili, pertanto non include gli elettrodomestici (se si acquista una cucina, per esempio, si dovrà distinguere la parte dell’elettrodomestico da quella dell’arredo).

Infine, è doveroso ricordare che questi bonus non sono cumulabili con le altre agevolazioni, né con la detrazione del 50% spettante per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, né con il Bonus Arredo, spettante alla generalità dei contribuenti. Pertanto è opportuno che una coppia che vive in affitto e decide di acquistare nel corso del 2016 un appartamento che diventi l’abitazione principale e deve acquistare mobili o arredi, sfrutti questa agevolazione, ottenendo il 50% della spesa in detrazione per i prossimi 10 anni. E’ consigliabile, comunque, rivolgersi al proprio professionista di riferimento per avere un quadro dettagliato di questi bonus. (*) Tributarista

Il decoro urbano

Caro direttore, è tempo di programmi elettorali, di conferenze, comizi e gazebo in piazza. Al di là degli slogan propagandistici, però, le necessità delle città sono molteplici, spesso elementari e sotto gli occhi di tutti. Passano anche attraverso piccoli gesti e carenze che, con gli anni, sono diventate per lo più invisibili a tutti. A inizio anno l’amministrazione comunale uscente ha promosso la pulizia da graffiti e scritte da molti muri e sottopassi. Ma per il decoro urbano c’è un altro nemico, ancora più subdolo. In una società ormai diventata sempre più pervasa da divieti e normative che si accavallano ed intervengono su tutto, rimane il problema del ‘mozzicone’. Già: il fumatore che, costretto ad uscire in strada dal locale pubblico o dall’ufficio in cui lavora, dove può gettare ciò che rimane della sigaretta? Il problema non è da sottovalutare e riguarda moltissime persone, soprattutto quelle animate da senso di civiltà. Basta passeggiare per una via del centro per notare come decine di persone, per non buttare in terra il filtro della sigaretta, spengano le stesse sui pochi cestini presenti, tutti privi di apposito posacenerecontenitore. Ma questo lodevole gesto, purtroppo, non è sufficiente: una semplice folata di vento può disperderli nell’ambiente. Al di là delle campagne d’informazione sui danni provocati dal fumo ed i portacenere tascabili regalati dalle varie associazioni ed enti a sostegno del decoro urbano, è innegabile che le esigenze dei fumatori oggi siano quasi dimenticate. Eppure la soluzione sarebbe semplice e relativamente a basso costo. Non ci resta che sperare di leggere questa proposta in un programma di coalizione, possibilmente di quella vincente. Ivan Scelsa A proposito di decoro, aggiungerei le bacheche anarchiche in piazza Manara. il Direttore

Caro direttore, è in corso la raccolta delle firme sulla Petizione popolare per la istituzione da parte della Regione Lombardia del Registro dei Testamenti Biologici (disposizioni in materia di trattamento terapeutico ecc.) Le firme possono essere depositate presso molti uffici comunali ed anche presso banchetti temporanei il cui elenco è consultabile su: www.testamentobiologicolombardia.it e sulla pagina Facebook “testamentobiologicolombardia”. Per il deposito delle firme è sufficiente essere residenti in Lombardia e quindi non è necessario recarsi nel Comune di residenza. Per gli amici di Treviglio le firme si raccolgono all’Ufficio Elettorale presso il Municipio nelle mattine feriali dalle 9,00 alle 12,00. Vi invito anche a diffondere questa comunicazione. Grazie a nome della Associazione Libera Uscita ONLUS. Ezio Bordoni

Il ben-essere passa dalla prevenzione

Prendersi cura di Sé significa per prima cosa occuparsi quotidianamente della salute personale

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Scomparso Motta, “Ministro degli esteri” della Same

Mentre allestiamo le ultime pagine de “la tribuna” apprendiamo della morte di Michele Motta, uno degli storici dirigenti della Same Trattori che si affiancò ai fondatori, i fratelli Francesco ed Eugenio Cassani. Emerso giovanissimo come uno dei responsabili del Comitato di Liberazione Nazionale di Treviglio, fu amministratore pubblico cittadino, ma soprattutto fu il Ministro degli Esteri della Same. Colui che incontrò gli uomini più importanti del mondo, da Fidel Castro a Hồ Chí Minh, permettendo alla Same di entrare nei mercati esteri oltre la “cortina di ferro”. Uomo di grande intelligenza, intuizione e capacità di visione, fu tra coloro, assieme ad Attilio Mozzi, Luigi Meneguzzo, Carlo Gaiardelli e non solo, che segnarono la vita politico amministrativa trevigliese e la sua evoluzione, soprattutto nel campo scolastico e sanitario. La direzione de “la tribuna”, unitamente alla redazione, si unisce al lutto dei famigliari e degli amici porgendo le più sentite condoglianze. il Direttore

ire che la salute è il nostro bene più prezioso sembra superfluo, quasi scontato. Talmente scontato che spesso ce ne dimentichiamo, finendo per abusare della resistenza del nostro sistema Corpo-Mente, fino a quando qualcosa si “rompe” in modo più o meno grave. Ecco allora che corriamo ai ripari cercando sollievo nei medicinali o affidandoci a specialisti di vario tipo. Tutto purché ci aggiustino il più velocemente possibile, così da poter ricominciare la nostra vita e archiviare la brutta esperienza. E via da capo fino al prossimo guasto. Inutile dire che questo atteggiamento, sul lungo periodo, non si dimostra particolarmente saggio. Ma non è facile scalzarlo: ci sentiamo spinti verso la ricerca ossessiva di un benessere “materiale esterno”, fatto di oggetti o esperienze eccezionali che ci diano un qualche tipo di piacere temporaneo, dimenticando che ben più fondamentale è il ben-essere che passa dalla cura quotidiana di Corpo e Mente. Questo è un tratto culturale molto radicato nella nostra società, che ci espone a dei rischi elevati di cui siamo poco consapevoli. Le patologie più diffuse nel nostro Paese (malattie legate al fumo, problemi cardiovascolari e tumori) potrebbero essere ridotte drasticamente se semplicemente si consolidassero stili di vita più salutari.

È quindi con l’intenzione di promuovere una cultura differente che è nata un anno e mezzo fa l’Associazione MensCorpore, che fa della prevenzione e della responsabilizzazione i suoi pilastri fondanti. Il centro propone molteplici attività orientate all’educazione, formazione, informazione e sensibilizzazione su temi legati alla salute e al ben-essere. Laboratori, seminari e conferenze che offrono a chiunque sia interessato opportunità per imparare ed integrare nella propria vita piccole pratiche per la cura di Sé. Dal punto di vista fisico, emotivo, psicologico e relazionale, perché nessuna di queste quattro dimensioni può essere considerata più importante o svincolata dalle altre. Laboratori continuativi di Qi-Gong, Feldenkrais, Yoga, Bioenergetica, Ginnastica Calistenica, Pilates, Ginnastica per Gestanti, Meditazione. Per questa primavera sono inoltre previsti: percorsi di Comunicazione Empatica Non-Violenta ed Ecoterapia; seminari di Gastronomia Dietetica, Meditazione, Metodo Feldenkrais e Bioenergetica; conferenze di Medicina Funzionale Integrata e presentazioni di libri. MensCorpore mira a diventare un punto di riferimento sul territorio ed è aperta a richieste, suggerimenti e collaborazioni. Per saperne di più sulle attività è sufficiente visitare il sito, scrivere una email o cercarci su Facebook.

Associazione Culturale MensCorpore Via Sangalli 8, Treviglio www.menscorpore.org - info@menscorpore.org www.facebook.com/MensCorpore

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Medicina & Dintorni

Salute/La rubrica del cuore

Lettere al direttore

Un primo campanello d’allarme

Primo: non nuocere! di Angelo Sgirlanzoni

Riassunto- Molti comportamenti medici sono consolidati, ma incongrui. Decidi con saggezza, ossia: non dimenticare il buon senso.

T

reviglio - “Riduciamo le spese della sanità per tutti. Ma non per me!”, E’ un atteggiamento frequente che Decidi con Saggezza (Choosing Wisely) vuole modificare. L’iniziativa, avviata da molteplici società mediche internazionali, dà consigli, spesso di puro buon senso, che aiutano medici e pazienti a evitare esami superflui, costosi, a volte dannosi e cure inutili. 1) Non eseguire TAC o risonanza (NMR) per i dolori lombari non specifici e, comunque, non prima della sesta settimana dall’inizio dei sintomi. Nei mal di schiena, gli esami radiologici sono inutili prima di sei settimane dall’inizio dei sintomi se non sono giustificate da anormalità neurologiche o sospetto di gravi malattie. 2) Non eseguire radiografie, TAC o NMR per la cefalea non complicata. E’ improbabile che terapia e prognosi delle cefalee non accompagnate da specifici fattori di rischio siano modificate dagli esami neuroradiologici. Inoltre, il reperto di piccole alterazioni incidentali (falsi positivi) può trascinare con sé procedure mediche e costi addizionali senza miglioramento per la salute. 3) In assenza di peggioramenti dopo un miglioramento iniziale, non prendere antibiotici per le sinusiti lievi se i sintomi durano da meno di sette giorni. Gran parte delle sinusiti ambulatoriali è dovuta a malattie virali che si risolvono spontaneamente. Gli antibiotici vengono però prescritti in oltre l’80% delle visite per sinusite acuta. 4) Non eseguire Pap-test nelle donne con meno di venticinque anni. Il Pap-test può provocare ansia immotivata e sfociare in accertamenti e costi inutili. Gran parte delle anormalità ginecologiche delle adolescenti si risolve spontaneamente. 5) Se l’esame neurologico è normale, non eseguire TAC o NMR del cranio nei semplici svenimenti (sincopi). Nelle sincopi senza convulsioni o sospetto di altre malattie neurologiche, il rischio di alterazioni del sistema nervoso è estremamente basso e l’andamento clinico del paziente non è modificato dai ri-

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Spoleto: l’eroe Algisi era davvero di Treviglio? sultati degli esami sull’encefalo. È invece utile dimostrare il grado di una eventuale caduta della pressione nel passaggio da sdraiato all’impiedi. 6) Le donne dai 40 ai 49 anni non dovrebbero essere sottoposte a mammografia di screening senza un preciso sospetto tumorale. Le donne di meno di cinquant’anni che non hanno rischio di tumore alla mammella, traggono scarso beneficio dalla mammografia. Invece, in questo gruppo di età non è trascurabile il rischio di risultati falsamente positivi che possono portare a ulteriori esami non necessari o pericolosi. Commento Secondo la dottoressa Camilla Colpani, medico a Caravaggio (nella foto), le sinusiti si complicano spesso con infezioni batteriche, punto 3), vanno trattate rapidamente con antibiotici. Riguardo al punto 4) ritiene opportuno eseguire il pap-test anche nelle donne di età inferiore ai venticinque anni perché l’attività sessuale è ora molto precoce. Correggerebbe il punto 6) consigliando la mammografia già alle donne di quarantacinque anni, perché è spesso utile nel dimostrare tumori asintomatici.

Giacomo Algisi, chi era costui? Ai più questo nome non dice nulla ma per me è un ricordo che associo al lontano 1964, ogni volta che sento il nome della città umbra Spoleto. L’antefatto: tra la l’Ottobre del 1964 e il Marzo del 1965, prestavo servizio militare presso la scuola ACS (Allievi Comandanti di Squadra) di Spoleto. Durante una mia uscita ho scoperto e fotografato due lapidi che ricordavano un episodio legato alle Guerre d’Indipendenza. Nel 1860, il 17 settembre l’esercito piemontese diede l’assalto alla rocca dominante la città, costruita nel XV secolo dal Cardinale Albornoz ed adibita a carcere, dove erano imprigionati anche alcuni patrioti. Nell’azione morirono, tra le file piemontesi, quindici soldati, quasi tutti lombardi, tra cui il citato Algisi Giacomo, indicato come “di Treviglio”. La lapide, oltre a riportare con enfasi l’azione vittoriosa, ricordava che i caduti furono sepolti nella presente chiesa di San Simone e Giuda. Detto luogo di culto restò in funzione fino al 1862, quando il Comune di Spoleto lo cedette allo Stato, che lo adibì prima a caserma e poi a deposito militare. Funzione che ancora ricopriva quando scattai le fotografie. Ricordo che telefonai a mio padre per informarlo della scoperta e lui mi chiese di fargli avere copie delle fotografie, che furono poi pubblicate nell’edizione della Storia di Treviglio di Tullio e Ildebrando Santagiuliana. Comparve anche in un articolo su L’Eco di Bergamo perché, oltre al citato Algisi, sulla lapide erano incisi i nomi anche di due altri bergamaschi: tali Carlo Dotti e Francesco Asperti. Ho provato, più per curiosità e in tempi recenti, a risalire all’identità del “trevigliese”, ma senza risultato. Ho contattato anche il Ministero della Difesa, ma ad un anno di distanza non ho avuto risposte. Nessuna traccia nel nostro Archivio parrocchiale, né in quello comunale (questo giustificato dal fatto che l’anagrafe comunale ha iniziato a funzionare in modo sistematico solo dopo l’Unità d’Italia). D’altronde il nome non è nemmeno di uso comune nella nostra zona, quindi mi domando se fosse veramente di Treviglio. Mi sono messo in contatto anche con lo IAT di Spoleto, che cortesemente mi ha

risposto che vedrà di chiedere notizie a qualche storico locale che potrebbe aiutarmi a chiarire il mistero. Altrimenti non resta che l’archivio di Stato di Perugia, ma qui le cose, burocraticamente parlando, diventano più complicate e bisognerebbe essere sul posto. Staremo a vedere. In aggiunta la signora Carmen Taborelli si è messa in contatto con me confermandomi che questo nome non è trevigliese, ma forse di Bergamo o di Cortenova, dove risultano degli Algisi, ma tutto è nebuloso, adombrando anche il sospetto che l’indicazione riportata sulla lapide sia sbagliata. Luciano Pescali

Chiudi l’ombrello, “Nuvole” di contributi a pioggia

Caro Direttore, Le scrivo in relazione al pezzo firmato da Carmen Taborelli, pubblicato sul numero di Febbraio u.s. e relativo alla ricerca di un editore per il saggio Gli eroi di Dogali. Una domanda mi sorge spontanea: anziché andare a questuare a destra e a manca (Centro Studi, Fondazione Cassa Rurale ecc.), perché non si è rivolta all’Amministrazione Comunale, che mi risulta essere sempre stata sensibile ad ogni attività culturale? Sensibilità dimostrata anche dalle erogazioni di contributi, risalenti al dicembre scorso. Eccone alcune: 1) associazione Bangherang con sede in Treviglio via Tasso 30: contributo di € 2.000,00 per l’organizzazione di concerti per i giovani; 2) associazione “In Atto” (cosa è?) con sede in Brignano Gera D’Adda via Madonna dei Campi 24/a: contributo di € 4.000,00 per l’organizzazione di una rassegna di teatro del sacro; 3) associazione “Nuvole in viaggio” con sede in via Gerola 17 a Treviglio: contributo di € 8.000,00 per le attività culturali inerenti la poesia e i cineforum; 4) Istituto comprensivo Grossi - Via Senatore Colleoni 2 Treviglio: contributo € 1.000,00 per l’organizzazione della bancarella del libro “libriamoci”. Trattandosi di invogliare i giovani alla lettura, all’Istituto Comprensivo Grossi avrei concesso un contributo più consistente. Lei, caro Direttore, cosa ne pensa? Emma Maccarini Caro Emma, avere un’opinione scomoda non aiuta a vivere in pace, le parlo per esperienza. Sia cauta. il direttore

Ipertensione arteriosa: quale diagnostica per contrastare un nemico silenzioso del cuore

L’

ipertensione arteriosa (IPA) è una malattia comune che interessa circa il 15-20% della popolazione generale e il cui riscontro occasionale pone il paziente di fronte alla necessità di ulteriori approfondimenti clinico-strumentali. Ma come si affronta l’IPA di primo riscontro? Quali sono gli strumenti a disposizione del clinico per inquadrare l’eventuale rischio cardiologico? E quali le terapie? Negli ultimi anni la classificazione di IPA essenziale (definendosi come secondaria quella derivante da patologie a carico di altri organi) non si basa soltanto sui valori assoluti misurati, ma esprime la quantificazione del rischio cardiovascolare in rapporto ai valori per arrivare alla probabilità futura di danno d’organo oppure, se questo è già in atto, alla malattia conclamata o ad una sua ricaduta. Tale quantificazione diventa il primo passo per una adeguata scelta terapeutica ed un corretto follow up. Esaminiamo un caso clinico: F.G. 52 aa, maschio, fumatore (circa 10 sigarette/ giorno), consumatore di circa 3-4 caffè al giorno, con nota familiarità per ipertensione arteriosa (fratello), non assume farmaci o alcoolici, pratica vita sedentaria, si presenta per una visita cardiologica per riscontro occasionale di valori pressori elevati (170/110). Durante la visita la PA è risultata elevata in due diverse misurazioni, l’esame obiettivo non ha evidenziato problematiche di rilievo. Il tracciato elettrocardiografico basale era normale. Il primo passo è stato quello di consigliare alcuni comportamenti da adottare per cercare di migliorare il proprio stile di vita: ridurre l’apporto di sodio con la dieta, astenersi dal fumo e dal consumo eccessivo di caffè e di alcool, incrementare l’attività fisica. Sono stati poi prescritti esami di laboratorio di primo livello (glicemia, colesterolemia totale e frazionata, trigliceridi, uricemia, creatininemia, azotemia, elettroliti, emocromo con formula, esame urine completo) unitamente a test più specifici di secondo livello utili a indagare un’origine secondaria della patologia (misurazione di renina, aldosterone,

corticosteroidi, catecolamine). A distanza di circa 30 gg il paziente è ritornato in ambulatorio portando in visione gli esami che risultavano normali tranne i valori di colesterolemia totale, LDL, HDL e trigliceridemia che erano oltre i limiti superiori. Contestualmente la misurazione della PA è 180/95 mmHg. A questo punto è stato richiesto un Holter pressorio nelle 24 ore, un ecocardiodoppler trans toracico ed un ecodoppler dei tronchi sovraortici. Il primo esame ha evidenziato valori medi di PAsistolica superiori a 148 e PAdiastolica pari ad 87, il secondo un’iniziale presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, mentre l’ultimo è risultato nella norma. A questo punto è stata impostata una terapia farmacologica appropriata con un successivo controllo a 3 mesi che ha evidenziato un calo dei valori pressori. L’ipertensione arteriosa deve essere considerata come il principale fattore di rischio per patologia cardiovascolare e per quelle malattie che accrescono il rischio cardiovascolare.

Per stabilire l’esistenza di ipertensione arteriosa allo scopo di iniziare una terapia farmacologica, il valore soglia deve avere le caratteristiche di flessibilità e deve basarsi sul rischio cardiovascolare totale. Così uno stesso valore pressorio si può considerare elevato e bisognevole di terapia, in presenza di elevato rischio cardiovascolare, oppure accettabile in condizioni di basso rischio, programmando controlli seriati successivi. La stratificazione del rischio globale consente di individuare quei pazienti a rischio più elevato per i quali sono indispensabili misure preventive e strategie terapeutiche più aggressive. Questo sarà estremamente utile anche per un’eventuale scelta di terapia concomitante non antipertensiva (farmaci antiaggreganti, statine) L’obiettivo vero della terapia antipertensiva non può essere identificato nella semplice riduzione dei valori di pressione arteriosa, ma soprattutto nella massima riduzione del rischio cardiovascolare globale. Dott.ssa Alessandra Di Mauro

Medico Specialista in Cardiochirurgia Istituto Clinico Sant’Ambrogio – Milano Poliambulatorio San Marco - Treviglio alessandradimauro@yahoo.it

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Eventi & Commenti

Allevamento San Francesco

Allevamento - Pensione cani aperta tutto l’anno - Toelettatura Addestramento: corso base cuccioli, corso avanzato cani adulti

Euro ed economia: la primavera porta nuove “Risorse” nella Gera d’Adda Riceviamo e pubblichiamo

Golden Retriever

Cocker Spaniel Inglese

Bolognese

Labrador Retriever

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68 - la tribuna - 1 Aprile 2016

Ad aprile prende le mosse in città l’attività di un’associazione che si propone di rendere accessibile a tutti l’economia . Ezra Pound, poeta e saggista statunitense del secolo scorso, sosteneva che la sventura più grande del nostro tempo consiste nell’analfabetismo economico, così come l’incapacità di leggere la semplice stampa era la sventura dei secoli precedenti. In effetti le conseguenze e il futuro dell’Euro, la scelta fra ricette che propugnano l’austerità contrapposte a formule che propongono di “finanziare” sviluppo e consumi, la decrescita in alternativa al mito della crescita infinita, l’obiettivo di un’equa distribuzione delle risorse verso la ricerca del profitto individuale: sono solo alcune delle questioni che, se fino a qualche anno fa potevano essere lasciate agli addetti ai lavori, oggi hanno fatto pesantemente irruzione nella vita di tutti noi, lasciandoci per lo più confusi e spaventati. Ed è proprio per aiutarci a familiarizzare con questi temi che nasce a Treviglio Risorse, . Da statuto l’associazione “Ha lo scopo di diffondere e valorizzare la conoscenza, la riflessione e lo studio della cultura economica, e intende perseguire le sue finalità promuovendo in proprio occasioni di studio e approfondimento delle discipline economiche, (conferenze, lezioni, dibattiti, ecc.)”, nonché facendo rete con altri soggetti e organizzazioni. Promotori dell’iniziativa Marco Brulli, Pietro Ferri, Beppe Maridati, Beppe

Vandai e Annamaria Variato, manipolo di trevigliesi con esperienze differenti per percorsi e attitudini, ma uniti nella convinzione che ci si debba opporre al senso di impotenza, che rischia di paralizzarci di fronte ad eventi epocali che sembrano mossi da forze non controllabili. Con l’aiuto di volta in volta di esperti, Risorse si propone di aiutarci a capire i driver degli eventi che ci troviamo a vivere, per poi essere in grado di leggere la nostra realtà con sguardo più consapevole. Un obiettivo senz’altro ambizioso, che intende dimostrare che esistono i mezzi per conoscere, ragionare e farci sentire anche lontani dai riflettori metropolitani», e suggerire che si può affrontare il futuro a testa alta, rifiutando di avvilupparsi esclusivamente in questioni locali, o di aspettare passivamente un’improbabile fine della crisi che miracolosamente porti la soluzione di tutti i problemi. E davvero c’è bisogno di una sveglia: la dobbiamo a noi stessi, per provare a essere artefici del nostro futuro, ai nostri giovani, che si vedono tutti gli spazi chiusi da una società vecchia, ingessata e sempre più incapace di dare spazio alle nuove idee, e ai milioni di persone a cui le nostre teorie economiche e le nostre istituzioni non hanno saputo rendere effettivo il diritto di vivere in condizioni umane, salvo poi erigere muri a difesa dei nostri privilegi. La nascita di Risorse è guardata con molto interesse dal mondo culturale ed economico bergamasco e non solo, ed ha già trovato supporto e collaborazione da parte dell’Istituto Oberdan, istituto tecnico e liceo economicosociale di Treviglio (che ha messo a disposizione la sede), e della Fondazione Zaninoni, di Bergamo, che svolge attività di promozione culturale su temi quali il lavoro, la formazione e le pari opportunità. L’attività dell’associazione prende il via ad Aprile con un ciclo di serate, presso l’Auditorium della biblioteca di Treviglio, sulle questioni poste dalla moneta Unica Europea. Appuntamento al mese prossimo dunque, con l’augurio di buon lavoro alla neonata associazione e l’invito a non lasciarsi sfuggire una ottima opportunità di crescita, non solo a livello personale ma per la comunità tutta. Lucia Profumo

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aria Pia Pennati, aiuto contabile e unica donna nella foto di un 1° Maggio alla Montecatini di via Calvenzano, gentilmente ci ha segnalato un errore e un’omissione nella didascalia a corredo di questa fotografia nel numero scorso. Precisiamo: da sinistra Angelo Chiari, Bruno Fabbrucci, Santo Gatti. Dietro da destra: Carluccio Bonfanti, Giuseppe Cattaneo, Mario Settembrini, il direttore Meris Erbetta e il Capo ufficio Ernesto Marchesi

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