Tribuna magazine 2017-02

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Treviglio: Imeri, avanti tutta? Capitano Papasodaro: siamo solo all’inizio Carnevale: in festa con i carri di Caravaggio

ph Appiani

Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda

Anno 2 - n. 2 – Febbraio 2017

Euro 3,00

www.tribunatv.tv


Da fare 2 • tribuna magazine • Febbraio 2017


ph Appiani

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ebbraio, tempo di chiacchiere e Carnevale: anche la nostra copertina vuole rendere omaggio a una festa popolare che si perde nella notte dei tempi e che ogni anno si ripropone con maschere che vanno dalle tradizionali, passando per le sempreverdi fino a quelle nuove, legate alle fortune di film, telefilm e cartoni. E se il nostro territorio non può vantare un Carnevale come quello di Venezia, con le sue maschere maestose e sgargianti, o una sfilata di carri ricchi e imponenti al pari di Viareggio, è anche vero che la festa è assicurata dall’impegno e dalla buona volontà di alcuni volontari che, con l’appoggio di alcune amministrazioni comunali, riescono a portare un po’ di allegria fra le strade ghiacciate della Gera d’Adda. È il caso degli “Amici del Carnevale di Caravaggio”, che da qualche anno lavorano con impegno a questa missione, regalando giornate di pura gioia, sicuramente ai piccoli, ma anche ai più grandi che amano questa festa. Sull’argomento, trovate una bella intervista ai protagonisti a pag. 18. Chi vi scrive lega questa festa, inevitabilmente come tutti i trevigliesi, alla Fiera de Sant’Ustì, come ricordiamo anche nell’articolo a pag.21: quante

scorrerie fra le sue bancarelle, quante lotte fra bande a colpi di schiuma, quanti giubbotti rovinati per sempre e amicizie consolidate per la vita! Succede però che, dopo tanti anni di giostre all’ex Foro Boario, anche questo capitolo della storia trevigliese si chiuda, in seguito alla vendita dell’area e al trasferimento del Luna Park al nuovo polo fieristico. Dunque, per la prima volta quest’anno, l’ex Foro boario rimarrà desolatamente vuoto. Ma come in un rigurgito di protagonismo, l’area è di nuovo all’attenzione di tutti, in seguito alla sentenza del Tar di Brescia che accoglie il ricorso portato avanti da due cittadini contro la vendita della stessa da parte dell’amministrazione comunale. Sulla vicenda trovate un riassunto a pag. 9 e l’intervista al sindaco di Treviglio nell’articolo di apertura. Non mancano le nostre interviste ai protagonisti della vita trevigliese, come il nuovo Comandante della Compagnia Carabinieri, il capitano Davide Onofrio Papasodaro, da poco a Treviglio per il controllo di una vasta area che presenta diverse criticità, e che il nostro sta affrontando con estrema decisione; o l’ingegner Andrea Paganelli, direttore industriale del gruppo Same, dal quale abbiamo appreso molte novità inte-

ressanti riguardo alla storica azienda produttrice di trattori; ma anche artisti come AmbraMarie, Mr.Alboh, Alfonso Goi, solo per citarne alcuni. Le nostre rubriche, che spaziano in molti paesi della Gera d’Adda, e che vanno da quelle legate all’associazionismo fino alla storia, l’arte, la cultura e lo sport, traboccano di iniziative belle e nuove, che dimostrano ancora una volta quanto sia viva e produttiva la parte migliore della nostra società: quella fatta dai cittadini che si spendono per una causa o per portare avanti i progetti in cui credono e che danno un valore aggiunto a tutta la comunità. Che poi è quello che cerchiamo di fare anche noi, nel nostro piccolo, con questa rivista: andando oltre l’informazione spiccia, oggi sempre più veloce, incontrollata, spesso – ahinoi – falsa, per ritrovare il piacere di pagine belle da sfogliare, quasi come le più famose riviste patinate, ma con un quid in più, i contenuti, vero fiore all’occhiello – scusate l’immodestia – di questa redazione. Ringraziamo Davide, Giuseppe, Manuel, Sofia e le loro famiglie, per essersi prestati a farci da modelli per la nostra splendida copertina. Febbraio 2017 •

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Sommario Mensile di approfondimento di Treviglio e Gera d’Adda

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6 Imeri: mi piacerebbe creare lavoro

ph Appiani

Euro 3,00

Anno 2 - n. 2 – Febbraio 2017

copertina bozza

(Daniela Invernizzi)

9 La sentenza sull’ex Foro Boario:

quale futuro per l’area? (Ivan Scelsa)

10 “Tra la gente, per la gente, Treviglio: Imeri, avanti tutta? Capitano Papasodaro: siamo solo all’inizio Carnevale: in festa con i carri di Caravaggio

ph Appiani

con la gente”

(Daniela Regonesi)

12 Same Deutz Fahr guarda a Est www.tribunatv.tv

(Cristina Signorelli)

14 Vuoi costruire un mondo migliore?

In Miniera!

(Lucia Profumo)

magazine Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 6/16 del 19/04/2016 Anno 2° N. 2 - Febbraio 2017 Editore Tribuna srl Viale del Partigiano, 14 - Treviglio (BG) www.tribuna.srl info@tribuna.srl

17 Cinema Giardino:

nuova iniziativa del Comune (Stefano Dati)

18 Tutti in maschera! (Daria Locatelli)

20 MatitaLibera di Bruno Manenti 21 La giostra continua a girare (Daniela Regonesi)

22 Ci sono uomini soli (Ivan Scelsa)

Contatti di redazione tel. 0363.1971553 redazione@tribuna.srl

23 Da Caravaggio l’idea per un’associazione

Amministratore Unico Marco Daniele Ferri

24 L’illustratore de L’Erbolario

REDAZIONE Direttore Responsabile Daniela Invernizzi Coordinamento Daniela Regonesi Redazione Daria Locatelli, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli Fotografie e contributi Enrico Appiani Hanno collaborato a questo numero Ingrid Alloni, Maria Gabriella Bassi, Luca Cesni, Pinuccia D’Agostino, Stefano Dati, Marco Falchetti, Marco Daniele Ferri, Claudia Grossi, Gabriele Lingiardi, Bruno Manenti, Gian Luca Margheriti, Silvia Martelli, Elio Massimino, Francesca Possenti, Lucia Profumo, Erika Resmini, Andrea Ronchi, Lino Ronchi Impaginazione e Grafica Pubblicitaria Antonio Solivari UFFICIO COMMERCIALE Roberta Mozzali tel. 0363.1971553 - cell. 338.1377858 commerciale@tribuna.srl Altre collaborazioni Giulio Ferri

(Ivan Scelsa)

(Daniela Invernizzi)

26 L’Eredità di Chiara (Cristina Signorelli)

28 Ragazzi on the Road (Gabriele Lingiardi)

29 Imparare la corretta alimentazione (Claudia Grossi)

30 Insegnare italiano ai ragazzi stranieri

40 Mr Alboh: il vento del cambiamento soffia con le note (Daria Locatelli)

43 L’ultima sigaretta (Maria Gabriella Bassi)

44 Il volto nascosto della violenza Le tante frontiere del giallo (Pinuccia D’Agostino)

45 Viale delle Magnolie 31 … citofonare Gritti Animali onirici (a cura di Zephyro Edizioni)

46 Il sindaco che rubò il lago (Stefano Dati)

47 Gli ultimi leoni (Ivan Scelsa)

48 Superstiti

(Silvia Martelli)

Le uscite del mese (Gabriele Lingiardi)

50 Cassano d’Adda nella storia dello sport (Stefano Dati)

52 Let’s dance!

(Daniela Regonesi)

31 La mia casa è la tua casa

54 Le ricette di Erika Resmini 57 Arrivederci Ivan!

32 Il Santuario di Treviglio nella Lombardia spagnola

Il Centro Gomme di Antonio 58 L’Osteopatia

35 Il santuario della Madonna delle Lacrime a Treviglio

Anche all’ASST Bergamo Ovest il vaccino antimeningococco in co-pagamento 59 Diabete e malattie cardiovascolari: un pericoloso binomio

(Ingrid Alloni)

(Daniela Regonesi)

(Elio Massimino)

(Francesca Possenti)

36 Com’era Com’è

(a cura di Marco Falchetti)

37 Quando c’era il Distretto Militare Renato Cialente

(Marco Falchetti e Lino Ronchi)

Stampa Laboratorio Grafico via dell’Artigianato, 48 - Pagazzano (BG) Tel. 0363 814652

37 Tutta l’arte di Bruno, con una dedica speciale

www.tribunatv.tv - facebook: Tribunatv

38 Il mio nome è AmbraMarie

(Daniela Regonesi) (Daniela Invernizzi)

(Marco Daniele Ferri)

(a cura della Cooperativa Sociale 9Coop)

(a cura della Dott.ssa Alessandra di Mauro)

60 Un Buon 2017?

(a cura di Fineco Bank)

Contanti addio? Siamo sulla buona strada (Marco Daniele Ferri)

61 Quando vado in pensione? (a cura di Giovanni Ferrari)

62 La vignetta di Bruno Manenti Febbraio 2017 •

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Politica

Imeri: mi piacerebbe creare lavoro di Daniela Invernizzi

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oveva essere l’intervista sui primi mesi del sindaco Imeri, una sorta di riassunto su quanto realizzato nei panni di primo cittadino di Treviglio. I recenti fatti legati alla sentenza del TAR sull’ex Foro Boario (per un riassunto della vicenda, vedi articolo di Ivan Scelsa) hanno inevitabilmente spostato l’attenzione sulle conseguenze della stessa. Purtroppo, nel momento in cui andiamo in stampa, il sindaco non ha ancora relazionato al consiglio comunale, previsto per il 31 gennaio. Sappiamo soltanto che Imeri dovrebbe avere incontrato i legali della società Ossidiana il giorno 30 e questi, presumibilmente, avranno reso note le loro intenzioni in merito alla vicenda. Sulla quale, al momento di questa intervista, le risposte del sindaco sono per forza di cose solamente ipotetiche. Sindaco, come intendete procedere dopo la sentenza del Tar che dà ragione a chi ha fatto ricorso contro il progetto? «Al momento non posso dire niente di nuovo, se non che la nostra intenzione è fare ricorso al Consiglio di Stato, che stiamo già preparando. Ad oggi non è arrivata nessuna lettera da Ossidiana con l’intenzione di ritirarsi dal progetto.

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Certo, se dopo l’incontro con i soci Coop dovessero arrivare a questa decisione, vorrà dire che restituiremo i soldi». E dove li prendiamo? «Facciamo un mutuo, nel frattempo ritorniamo in possesso dell’area. Come è successo con l’Upim, che è stato finanziato con la vendita delle farmacie. Ecco perché non ho ritenuto necessario il consiglio comunale straordinario, perché non era urgente, non avevo informazioni. Se rivogliono indietro i soldi, nel bilancio 2018 saranno previsti 2,8 milioni di euro in meno di investimenti. Però l’area torna nostra, rifacciamo il bando partendo dal valore iniziale di cinque milioni. Insomma, in questo momento l’unica cosa certa che posso dire è che non ci sono problemi per il bilancio del Comune». È il momento più difficile da quando è sindaco? «Onestamente no. Certo è una sentenza che, a detta di molti, è “una boiata”. Nel senso che non sembra neanche una sentenza… Non dimentichiamo che al progetto dell’ex Foro Boario hanno lavorato funzionari qualificati, i quali hanno ribadito che dal punto di vista urbanistico il progetto andava benissimo. Il Tar dice

ph Appiani

Intervista con il sindaco di Treviglio, che non esita a definire “una boiata” la sentenza sull’ex Foro Boario

di no, prendiamo atto e facciamo ricorso, non è la prima volta che vedo ribaltare le sentenze». Qualche problemino sembra esserci anche nei rapporti con la Provincia, a partire dalla mancata votazione del bilancio, che Rossi non ha mancato di far notare. «Come già detto, quella mattina c’erano a Treviglio diverse cose più importanti da fare, poi, essendo in campagna referendaria, il Pd ha un po’ cavalcato la faccenda, ma ci sta. Quello che voglio dire è io non sono uno schierato a priori, tant’è che dopo la sua intervista al Giornale di Treviglio (“se decide di mettere il territorio prima dei partiti in me troverà un alleato” aveva detto nell’intervista il presidente Rossi, ndr) gli ho mandato alle 7 del mattino un messaggio: siamo disposti a collaborare. Ribadisco comunque la mia convinzione, la Provincia è un’ameba perché il governo ha fatto una riforma delirante, l’ha spolpata dei poteri che aveva pensando di vincere il referendum e poi invece l’ha perso; quindi, o ridà poteri e soldi alle Province o queste continueranno a barcamenarsi per sopravvivere. Noi abbiamo fatto alcune segnalazioni (vedi via Pagazzano) ma anche lì, non era un sollecito come han scritto i giornali; e c’è stato un primo riscontro, adesso aspettiamo i fatti, ma non ho motivo di dubitare. Non c’è nessuna diatriba con Rossi, a me delle beghe politiche non interessa, a me interessa portare a casa il risultato, cioè gli interventi per il territorio. Lui ha fatto riferimento al discorso dei soldi da sbloccare per investirli a Treviglio, io gli ho scritto subito, noi ci siamo, e abbiamo definito una serie di incontri. A me quello interessa». Leggendo le vostre due interviste, però, sembra che abbiate una visione un po’ diversa di Treviglio, più orientata al milanese e al cremasco la sua, verso Bergamo quella di Rossi…


«Bergamo è distante da noi, ma anche se ci fosse il collegamento stradale veloce non si potrà mai realizzare un’area omogenea, è impossibile pensare a Bergamo e Treviglio insieme; e poi, finché c’è Gori che è Bergamo-centrico, mi sembra che ci sia poco da fare anche per i paesi più limitrofi. Per quanto riguarda Caravaggio sfido chiunque a dire che con Bolandrini non ci sia un buon rapporto; Romano è già più lontano, ma comunque, ribadisco, tra i paesi della “Bassa” e Bergamo non c’è conformità. I nostri confini sono quelli della Gera d’Adda, con Cassano e il cremasco; ed è chiaro che dobbiamo lavorare a una sempre maggiore sinergia fra questi paesi. Mi sembra comunque che negli ultimi anni le cose siano migliorate e ci sia un buon rapporto, la maggior parte degli amministratori del territorio sono persone di buon senso, si lavora insieme, poi è chiaro che ognuno cerca di portare a casa il meglio per la propria città». Torniamo a Treviglio. Recentemente si è parlato del progetto della circonvallazione interna a senso unico e del coinvolgimento dei cittadini, in che senso? «Per il momento è solo un’idea, non abbiam già deciso di farla; la prima fase di progettazione, per sondarne la sostenibilità, sembra darci ragione, adesso però si apre una fase un po’ più avanzata per capire in che modo è sostenibile, sia in termini economici che di funzionalità. È una decisione che vogliamo prendere quest’anno, in modo che possa essere operativa nel 2018-19, ma partendo dall’idea che bisogna riqualificare le piazze, soprattutto Popolo e Cameroni che oggi sono molto pericolose in termini di incroci e pedoni; poi bisogna riqualificare i viali e marciapiedi della circonvallazione e infine creare la pista ciclabile, possibilmente recuperando qualche parcheggio in più. Non è utopia, nel senso che parrebbe fattibile, si tratta di capire bene come. Il coinvolgimento del cittadino sta nel renderlo partecipe di tutti gli step attraverso assemblee, perché l’esperienza di piazza Setti ci ha insegnato che un’opera, che io considero strategica e importante per la città, è stata vista male forse per mancanza di una puntuale informazione; e in effetti poi in molti a posteriori si sono ricreduti, sia sui numeri, sia sull’impatto dell’opera: non mi sembra che piazza Setti abbia stravolto la città. La circonvallazione a senso unico sicuramente incide sulle abitudini, quindi è ancora più significativo organizzare incontri informativi con la cittadinanza, dalla quale magari possono arrivare spunti utili. Per la fattibilità dell’opera ci siamo affidati al Centro Studi del traffico di Milano, che è leader nel settore e perciò una garanzia. Però ripeto, primo step un progetto concreto, secondo la condivisione con la maggioranza, poi lo proporremo alla cittadinanza. Sarebbe un salto di qualità della città davvero significativo, a mio parere. Una città con una circonvallazione interna con viali riquali-

ficati e una pista ciclabile sarebbe un bel biglietto da visita. Ma se la cosa dovesse essere troppo impattante, costosa e soprattutto non portasse tutti quei benefici che vogliamo, allora lasceremo perdere, nessuno vuole farsi male da solo». Solo strade e riqualificazioni nel vostro programma? «Direi di no, stiamo investendo molto nell’efficientamento energetico, negli immobili comunali, negli impianti sportivi (dove non si è mai investito tanto come adesso); e nei servizi sociali non si può certo dire che il comune di Treviglio si tiri indietro; stiamo portando a casa tante risorse extra, dai contributi regionali a quelli europei e questo credo sia importante. Poi certo, la strada si vede di più, i soldi investiti nei servizi sociali si vedono meno, così come le integrazioni o gli abbattimenti dei costi al cittadino, per esempio per l’affitto privato, per le scuole, le mense, gli asili nido, il centro disabili, le case comunali». A proposito, com’è la situazione a Treviglio per quanto riguarda le case comunali? «Direi bene e siamo ben visti anche in Regione, tant’è che abbiamo ottenuto ulteriori contributi a fondo perduto. Ѐ stata ristrutturata tutta via Pasteur, ma gli interventi continuano affinché nelle case del Comune non ci sia più un appartamento con la caldaia ancora all’interno dell’immobile. Il grosso intervento è quello in via Cavour, dove verranno quasi raddoppiati gli alloggi». E per quanto riguarda la lista d’attesa? «Purtroppo sì, è ancora abbastanza lunga, poiché la richiesta si alimenta sempre, tuttavia mi preme sottolineare che il Comune di Treviglio dispone di più case rispetto a quanto richieda la normativa. Inoltre non dimentichiamo che cerchiamo di soddisfare i bisogni non solo dando le case, ma anche con il sostegno all’affitto. Certo, bisogna tenere alta l’attenzione su quelli che fanno i furbi e si vedono assegnare le case senza

averne i requisiti, ma questo è un altro canale su cui stiamo comunque lavorando». Qual è il tema più urgente da affrontare nell’immediato futuro di Treviglio? «Sicuramente l’approvazione del bilancio, che vorremmo portare a casa entro marzo, poiché ciò permette di avere stabilità. Mi piacerebbe, tornando agli investimenti, riuscire anche a dare lavoro; che non è una competenza del Comune, ma siccome il 60 per cento delle persone che vengono da me è per questo motivo… Disabili, che fanno più fatica a trovarlo, i “soliti” giovani, ma anche tanti padri di famiglia… Stiamo pensando a una sorta di bando, aperto a non so ancora quanti trevigliesi, per offrire una possibilità di lavoro nell’ambito comunale; così che non ci sia assistenzialismo, che non piace né a noi né a queste persone. Questa è l’ambizione più alta. Nel piccolo è già successo con i due operatori ecologici che oggi grazie a un contratto con G.Eco, sono in giro a pulire la città stabilmente: sono solo due, però è un piccolo segnale. Mi rendo conto che è una goccia nel mare, ma ne sono orgoglioso e mi piacerebbe diventassero almeno otto». Non è proprio una novità per lei governare, essendo stato vicesindaco nella precedente amministrazione. Ma com’è essere il Primo cittadino, qual è la cosa più difficile? «Ci sono volte in cui ti senti solo, specie quando incontri i cittadini che hanno problemi e vorresti risolverglieli subito, poi ti rendi conto che per tanti motivi, anche solo per la burocrazia, non lo puoi fare. Poi ci sono quelle in cui devi prendere la decisione finale e non è sempre una cosa simpatica; però se uno si candida sa che arriveranno questi momenti. Ma comunque sono più le soddisfazioni delle rogne. Passo tantissime ore in questo ufficio, e mi piace anche stare in giro, oltre gli incontri istituzionali, mi piace essere presente sui social, e credo che la gente di Treviglio apprezzi lo stile operativo che abbiamo».

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ph Appiani

Controversia

La sentenza sull’ex Foro Boario: quale futuro per l’area? di Ivan Scelsa

Terminata l’istruttoria, la parola del Tar mette fine al lungo braccio di ferro con il Comune dando ragione ai ricorrenti. Si andrà in appello?

L’

esito della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale di Brescia ha definitivamente posto fine alla controversia su una delle compravendite più discusse degli ultimi anni. Per comprendere l’intera vicenda, però, occorre fare un balzo nel passato, a quando quell’area di 12.700 mq, messa in vendita dall’allora Amministrazione comunale, raccolse le attenzioni della Ossidiana Srl – immobiliare interamente controllata da Coop Lombardia, unica a presentare una proposta con un’offerta di 4 milioni e 352mila euro. L’idea – così come allora annunciato da Michele Colombo, amministratore della Società – era quella di realizzare un centro commerciale in cui collocare diversi esercizi tra cui un “fai da te” gestito dalla cooperativa stessa. Era chiaro da tempo che quello spazio in cui trovavano posto giostre, fiere, feste di partito e manifestazioni andasse riqualificato e le attività ludico culturali ricollocate altrove. Ed è così che, valutata l’offerta – con acquisizioni e cessioni che praticamente nulla avrebbero gravato sulle casse comunali – si concretizzò l’idea di spostare la zona fieristica a ridosso del polo industriale retrostante la stazione ferroviaria centrale, rendendola ancora più fruibile grazie alla maggiore disponibilità di parcheggi ed alla lontananza dalla zona residenziale dove, soprattutto nel periodo di stanziamento del luna park, si erano verificati disturbi ai residenti dovuti al volume della musica e agli schiamazzi.

Ma l’operazione proposta dalla Giunta guidata da Beppe Pezzoni – e poi proseguita dal Commissario Alfredo Nappi – aveva trovato opposizione nel Partito Democratico ed in Forza Italia, nonché in un comitato di quartiere che, ad onor del vero, rappresentava l’espressione di parte dei suoi abitanti. Con il passare dei mesi, il ricorso presentato al Capo dello Stato a dicembre del 2015 da due cittadini, Giovanna Vertova e Andrea Mossali, e poi spostato su richiesta del Comune di Treviglio per competenza al T.A.R., aveva visto dapprima l’11 maggio quale possibile chiusura della vicenda, poi il 14 dicembre (data a seguito della quale l’organo amministrativo avrebbe dovuto esprimersi entro 45 giorni). E così è stato. Contrariamente a quanto in molti immaginavano, la sentenza è giunta come un pugno nello stomaco per l’Ente. Le motivazioni addotte lo scorso 10 gennaio, infatti, hanno messo in discussione l’intero progetto che, ricordiamolo, al di là delle vicissitudini giudiziarie, riveste particolare importanza anche dal punto vista finanziario (data l’ultima trance di un milione e seicentomila euro che la Ossidiana stessa avrebbe dovuto versare a conclusione della diatriba). Nello specifico, la sentenza nr. 39/2017 del TAR, ha accolto la tesi dei ricorrenti ed annullato la delibera assunta il 30 settembre 2015 esprimendosi “in conseguenza di una violazione di legge e di un’ipotesi di incompetenza tanto evidenti da integrare anche una possibile fattispecie di colpa grave rispetto al conseguente danno era-

riale, la cui valutazione è rimessa alla Procura della Corte dei Conti competente” e condannando così il Comune al pagamento delle spese di giudizio. Sostanzialmente, i giudici avrebbero riconosciuto il mancato rispetto del PGT (lo strumento generale di programmazione urbanistica) da parte dell’allora Amministrazione, che aveva proceduto alla trasformazione della destinazione d’uso da residenziale a commerciale con una delibera di Giunta, senza sottoporre la questione al Consiglio comunale. Sancita, inoltre, la legittimità di un comitato di quartiere a proporre questo tipo di ricorso –diversamente da quanto sostenuto dalla linea difensiva assunta dal Comune – la sentenza crea un precedente che il Sindaco Juri Imeri non ha lasciato cadere nel vuoto, ipotizzando un ricorso in appello alla sentenza. Tutto da rifare, quindi? Secondo alcuni, l’amministrazione comunale potrebbe già essere in difficoltà proprio a causa del buco di bilancio venutosi a creare per l’impegno della somma pattuita (di cui 2,8 milioni di euro già incassati attraverso una fideiussione con gli istituti di credito) e versati dalla cooperativa per consentire la realizzazione del nuovo polo fieristico di via Murena. Ma su questo punto sarà l’Amministrazione stessa a dare risposta, proprio con l’approvazione del bilancio di previsione per l’anno corrente. Le opposizioni, intanto, gioiscono per la momentanea vittoria e sull’argomento tutti, proprio tutti gli esponenti politici hanno voluto dire la loro, riproponendo in parte idee e soluzioni già scartate in passato. Un ulteriore motivo di ribalta politica per molti che, solo ora, hanno paventato un possibile appoggio economico ai ricorrenti qualora il Comune decidesse di ricorrere in appello? Sicuramente la vicenda impone alla neo Giunta un surplus di lavoro per districare una vicenda spinosa che, per il bene della città, dovrà essere risolta velocemente, rilanciando un progetto a cui l’amministrazione Imeri non sembra proprio voler rinunciare, fermamente convinta della bontà della strada intrapresa. Seppur con qualche modifica. Febbraio 2017 •

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“Tra la gente, per la gente, con la gente” di Daniela Regonesi

Il capitano Papasodaro e i primi mesi al comando della Compagnia Carabinieri di Treviglio

I

ncontriamo il dott. Davide Onofrio Papasodaro, dal 19 settembre al comando della Compagnia Carabinieri di Treviglio: cordiale, disponibile, conscio dei propri mezzi ed obiettivi e, soprattutto, sinceramente innamorato della sua professione. Quali sono le sue impressioni dopo questi primi mesi? «Sicuramente sono molto positive. Sono stato assegnato ad un incarico importante, delicato, di Comandante della Compagnia Carabinieri di Treviglio, che ha competenza su 52 comuni della Bassa. Gli impegni sono molteplici e tutto viene garantito dalla struttura capillare dell’Arma, mediante le Stazioni dei Carabinieri che riescono a monitorare, a rilevare e a contrastare in maniera efficace le varie fenomenologie criminali. A queste poi vanno aggiunte le risorse del Nucleo Operativo e Radiomobile, la componente operativa-investigativa, che svolge il pronto intervento – il 112, operativo h24 365 giorni l’anno – attraverso l’Aliquota Radiomobile, mentre l’Aliquota Operativa, il personale specializzato nelle investigazioni, opera in borghese». Che tipo di reati riscontrate? «C’è un’importante presenza di correnti criminali legate al traffico di sostanze stupefacenti, sia al dettaglio sia su livelli superiori: in questi mesi abbiamo raggiunto vari risultati operativi notevoli;

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tra tutti ricordo quello di Madone, con quasi 2 quintali di droga: un sequestro di rilevanza non soltanto locale, che fa presagire un mercato molto più vasto rispetto a quello che generalmente viene contrastato “su piazza”. Abbiamo anche un problema legato alla prostituzione, per lo più su strada, e poi reati predatori, i furti e le truffe, per i quali ci stiamo impegnando, riuscendo a contenerli e decrementarli. A queste attività repressive abbiamo af-

fiancato quelle preventive, aumentando il pattugliamento del territorio, sia automontato che appiedato, soprattutto nelle fasce orarie sensibili, come la sera e la notte. Con il cambio dell’ora solare abbiamo anche implementato il dispositivo nella fascia pomeridiana, dove si possono presentare dei momenti di criticità per i furti in appartamento, e anche lì abbiamo avuto buoni risultati». In diverse occasioni la popolazione ha collaborato e vi ha informato. «Abbiamo iniziato gli incontri con la cittadinanza in tema di sicurezza, con l’intermediazione delle Amministrazioni comunali, fornendo indicazioni e consigli per prevenire furti e truffe. Investiamo sulla “sicurezza partecipata”, affinché i cittadini si affidino alle Forze dell’Ordine, veicolando informazioni che poi vengono elaborate, filtrate, messe in gestione per poter arrivare a contrastare o prevenire azioni criminali. Questi incontri stabiliscono e rafforzano il rapporto di fiducia con la cittadinanza, che si sente responsabilizzata e capisce che la chiamata fatta al 112 o la segnalazione alla Stazione dei Carabinieri, può in qualche modo agevolare il sistema sicurezza. Stesso approccio attivato nei centri di aggregazione degli anziani e nelle parrocchie, a cui aggiungeremo poi gli incontri nelle scuole, per quanto riguarda l’educazione alla legalità (abuso di alcol, uso di droghe, cyberbullismo, ludopatia, ecc.), e campagne informative per i giovani che intendono affacciarsi alla carriera militare. Non ci concediamo soltanto delle attività repressive e di polizia giudiziaria ma, visto che siamo operatori di polizia con funzione sociale, diamo anche manifestazione di tutto questo». Zingonia… «È un territorio interessato, per la presenza anche di soggetti extracomunitari clandestini, da vari fenomeni delittuosi, in prevalenza legati allo spaccio. È un reato partecipativo, come la prostituzione: si crea perché una domanda genera l’offerph Cesni

ph Appiani

Personaggi


ta. Pertanto il problema va visto sia in ottica di contrasto, con l’investigazione e le indagini, ma anche facendo leva sull’atto di stimolo che crea chi va ad acquistare gli stupefacenti piuttosto che le prestazioni sessuali (tra l’altro in Zingonia anche ad opera di soggetti transessuali, perciò ci siamo mossi, e lo faremo anche in futuro, in interventi mirati). Ci sono palazzine dove convergono più soggetti criminali, e questo sicuramente ha infiammato il problema, ecco perché sono serviti servizi concordati con la magistratura di Bergamo, importanti e muscolari, e i risultati sono arrivati. Ma c’è comunque un tessuto di base sano: abbiamo avuto la collaborazione dei residenti “per bene”, che ci sono e anzi sono la stragrande maggioranza, e ci hanno permesso, anche attraverso delle indicazioni utili, di poter arrivare a colpire il mercato e i canali. È la minima parte quella che delinque. Abbiamo amministrazioni molto attente e sensibili: questo tipo di controlli e attività sono state svolte con il contributo degli uffici comunali preposti e con la Polizia Locale. I regolamenti di polizia urbana recentemente inseriti, per quanto riguarda le fasce orarie di apertura di esercizi pubblici, e in particolare quelli etnici, vengono incontro a queste istanze di sicurezza, come anche il regolamento che ci consente, oltre che di sanzionare il cliente che usufruisce delle prestazioni sessuali con prostitute, di arrivare al sequestro del veicolo, come deterrente. I controlli, poi, si sono spinti anche nell’ambito della polizia amministrativa e del rispetto igienico sanitario: diversi sono stati i locali chiusi, grazie anche alla collaborazione con l’ASST di Bergamo. Di certo non ci fermeremo, sarà un’attività che andrà in crescendo: l’obiettivo è quello di arrivare ad una sanificazione del territorio, quanto prima». Fino a che punto la gente è consapevole che sta infrangendo la legge? «Nella provincia di Bergamo c’è un alto senso civico, un popolo laborioso, molto im-

pegnato e che interagisce bene con le forze di polizia. Naturalmente i controlli a volte fanno scaturire sanzioni, che non sempre vengono recepite con la giusta naturalità. Però l’ottica è dare un segnale di legalità a 360 gradi, che riguardi non soltanto fenomenologie note, che trovano la convergenza dell’intera opinione pubblica (ad esempio lo spaccio, i reati predatori), ma anche altri aspetti, come la sicurezza alimentare o il rispetto delle norme amministrative, che servono a proteggere i diritti del cliente e consumatore. Fondamentale poi è anche la verifica delle attività per quanto riguarda l’impiego della manodopera, affinché non ci siano violazioni in materia di legislazione sociale o lavoristica». L’intervento nelle scuole è stato da alcuni definito “spettacolare”… «Noi gli interventi li facciamo nella maniera più sobria e chirurgica possibile. È normale che vedere divise associate a cani antidroga, all’interno di classi o di spazi comuni scolastici, sia percepito come una novità o un qualcosa che apparentemente stride. Però se la scuola è la fucina della formazione della futura classe dirigente del Paese, è giusto che, in termini di educazione civica, possa passare anche attraverso interventi di questa natura, che non vogliono avere un sapore repressivo ma soltanto di controllo e di collaborazione, che poi c’è stata anche con gli Istituti scolastici, poiché prima di entrare viene chiesta la disponibilità da parte dei dirigenti. Sono controlli fatti a livello nazionale, assolutamente comuni, come quelli svolti nelle stazioni ferroviarie, nei pressi dei parcheggi di supermercati, di esercizi commerciali, dove c’è una concentrazione di persone potenzialmente dedite a traffici illeciti. E ne verranno fatti degli altri, non sono interventi a spot. Noi ci crediamo, quindi abbineremo la sensibilizzazione e l’educazione preventiva e informativa, all’aspetto di certezza del diritto, con l’applicazione con gli strumenti legali che hanno le forze dell’ordine».

La gente si sente sicura? «Su condizionamento del dato nazionale la gente si sente meno sicura di quanto sia in realtà: nonostante i controlli, gli arresti, i sequestri ingenti di droga e le operazioni di servizio, c’è questo divario, e il nostro compito sarà quello di avvicinare di più l’asticella tra quello che è percepito e quello che è reale. Aver aumentato l’attività di pattugliamento e di prossimità, anche in occasione dei mercati settimanali, piuttosto che delle fiere, e quindi aver rivalorizzato il contatto cittadino-carabiniere, sta dando già buoni risultati. Oltre allo strumento telematico e avveniristico, che anche noi oggi utilizziamo, il contatto umano e diretto continua a far leva sulla percezione di sicurezza. L’invito è di continuare ad affidarsi a chi è preposto per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica da oltre 200 anni, l’Arma dei Carabinieri, che ricordo, oltre al motto presente nello stemma araldico “nei secoli fedele”, opera “tra la gente, per la gente, con la gente”. Il nostro volano e il nostro obiettivo è quello, non altro». Ha parlato di fiere: anche quella della Madonna delle Lacrime? «Sì, potenzieremo dei servizi, sia in divisa che in borghese, per evitare borseggi o condizioni che possano mettere a rischio la sicurezza, personale o patrimoniale, di chi beneficerà di questo evento. Metteremo in atto sistemi di prevenzione e di contrasto più incisivi. Stiamo utilizzando con buona rispondenza anche la Stazione Mobile, il mezzo attrezzato con il quale presenziamo alla stazione ferroviaria o presso altri luoghi sensibili: rappresenta una propaggine della stazione dei Carabinieri». Chi è il Capitano Papasodaro e come si trova qui? «Ho fatto una dozzina di trasferimenti nella mia carriera, quindi sono abbastanza versatile sotto questo profilo. Sono sposato, ho un figlio, ho più di vent’anni di servizio, svolti tutti nell’organizzazione territoriale. Punto di forza, ma non è autocelebrazione, è che prima di fare l’Ufficiale ho fatto il Maresciallo dei Carabinieri, quindi vengo da un percorso accrescitivo che mi permette, quando sono fuori con i miei uomini, di esercitare un’autorevolezza che deriva non soltanto dal grado e dal fatto di essere un direttivo, ma dal conoscere da vicino le esigenze e gli aspetti sostanziali. Ecco perché non amo tanto la scrivania, difficilmente mi ci trova. Credo molto nella missione che il carabiniere anche oggi, nel 21˚ secolo, svolge, e la mia è stata una scelta che sin da adolescente ho maturato: sono figlio di dirigente d’azienda, il mio percorso doveva essere un altro. Mio padre all’inizio è rimasto un po’ frastornato poi ha visto che era qualcosa di innato: probabilmente la componente ereditaria ha fatto passare qualcosa, l’unico parente nell’Arma è un Brigadiere dei Carabinieri Reali del 1800, un bisnonno». Febbraio 2017 •

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Imprese

Same Deutz Fahr guarda a Est di Cristina Signorelli

La storica azienda trevigliese, ancora oggi all’avanguardia nella produzione di trattori e macchine agricole, continua ad espandersi verso il mercato asiatico

P

arlare di industria a Treviglio, oggi come ieri, equivale a parlare di Same. SDF, Same Deutz Fahr Group, è la più importante realtà produttiva del territorio, per volumi di affari e numero di occupati. La storia dell’azienda, nata nei primi del ‘900 dall’ingegno dei fratelli Eugenio e Francesco Cassani, è contrassegnata da uno sviluppo continuo e mirato ad anticipare i tempi anziché subirli. Oggi la tendenza alla globalizzazione e l’innovazione tecnologica sempre più incalzante richiedono l’espansione in nuovi mercati e l’introduzione continua di nuovi processi produttivi. Ne parliamo con l’Ing. Andrea Paganelli, Direttore Industriale del Gruppo oltre che responsabile di tutte le attività overseas (Cina, India e Turchia). Ingegnere, pare che la vostra scelta di produrre in loco per uno dei mercati asiatici più importanti si sia rivelata vincente poiché, dopo neppure quattro anni che siete in Cina, già raddoppiate lo stabilimento cinese. A cosa si deve questa decisione? «Quattro anni fa abbiamo scelto la Cina perché è un mercato in evoluzione. Mentre quello europeo attualmente assorbe 100/120 mila trattori all’anno, il mercato cinese è intorno alle 300 mila unità. Abbiamo avviato quindi una importante partnership con un socio cinese al 50 e 50, che, per diverse ragioni, nel tempo abbia-

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mo rafforzato fino a detenere oggi il 95% della proprietà. Siamo stati i primi tra i grandi marchi a produrre trattori in loco, in uno stabilimento all’avanguardia – ne abbiamo costruito uno di oltre 50.000 mq – e, poiché l’impresa da subito ha avuto molto successo, abbiamo ampliato la produzione anche alle mietitrebbie. Dato che oggi si è consolidato anche questo business, che veniva prodotto in una fabbrica non di nostra proprietà e collocata a

grande distanza dal nostro sito, abbiamo deciso di costruire un nuovo stabilimento di fronte a quello attuale per fare sinergia. Poiché le due produzioni sono complementari vogliamo accorpare le due aziende per sfruttare meglio la flessibilità della manodopera, la rete di vendita nonché il management». Torniamo alla scelta di espandersi sui mercati asiatici. Considerate la Cina strategica, oltre che per il suo importante mercato interno, per raggiungere i mercati asiatici? «Oggi il prodotto che realizziamo in Cina viene venduto prevalentemente sul mercato domestico, ma stiamo iniziando ad esportare nei Paesi limitrofi. Il nostro obiettivo è produrre un trattore per quella tipologia di area, includendo anche alcuni modelli per l’Africa. Parliamo di un prodotto diverso da quello adatto al mercato europeo, che richiede una macchina troppo innovativa per questi mercati. La soluzione è produrre trattori con minori contenuti e specifiche tecniche ma a costi molto aggressivi, anche per fronteggiare la concorrenza spietata dei produttori locali, che producono secondo le normative cinesi, mentre i nostri standard si attengono alle regole europee molto più rigide. L’Asia è un potenziale importantissimo per aumentare i volumi e fare massa critica, si pensi che il solo mercato in India è di 500 mila trattori all’anno, quasi il doppio del mercato cinese». E perché avete deciso di guardare a Est e non a Ovest? «Al contrario dei mercati asiatici che sono in forte espansione, in America del Nord, dove vi sono i due maggiori produttori – John Deere e New Holland – che ci precedono nella classifica mondiale, il mercato è ormai maturo, manteniamo quindi solo una rete commerciale. Anche il Sud America non è attrattivo, sia per le barriere all’ingresso altissime, che per i modesti volumi che non giustificano grandi investimenti. La nostra scelta è stata orientarci ad un mercato che nei prossimi dieci anni sarà in forte crescita e con volumi di vendita garantiti». Avete deciso di entrare in Cina con una partnership locale. Cosa ha determinato questa scelta e quali vantaggi ha comportato secondo lei? «In certi paesi con cultura e mentalità completamente diverse dalla nostra, come la Cina, l’ingresso senza un partner locale è estremamente arduo. Noi abbiamo scelto in partnership un piccolo produttore cinese che, operando nel settore, conosceva molto bene le specificità del mercato, le politiche economiche, i finanziamenti e così via. Ciò ha comportato un grandissimo vantaggio iniziale, in seguito abbiamo potuto gestire autonomamente l’azienda. Abbiamo sviluppato ottimi rapporti con le autorità locali e portato il nostro know-how, dimostrando che eravamo interessati a collaborare e portare lavoro. Oggi il socio cinese ha mantenuto


solo una piccola partecipazione, che riteniamo strategicamente importante lasciare in vita. Per scelta strategica nei punti chiave abbiamo collocato solo persone formate in Italia per avere il controllo totale dell’azienda. Infatti sono italiani l’Amministratore delegato, il Responsabile Logistica, il Responsabile Qualità e il Responsabile Ricerca e Sviluppo». La vostra è una grande realtà produttiva che nel corso degli anni ha sperimentato con successo l’internazionalizzazione. In questo processo avete espanso il vostro business anche insediando nuove fabbriche all’estero senza mai trasferire la produzione italiana. Pare che non subiate proprio il fascino della delocalizzazione in aree più economicamente vantaggiose, è vero? «No, noi non abbiamo delocalizzato perché dove entriamo in Cina, in India o in Turchia entriamo per attaccare un mercato domestico che prima non servivamo dall’Italia o dalla Germania. Tant’è che i prodotti che vendevamo prima in questi Paesi continuiamo a venderli e produrli nei Paesi di origine. Un esempio emblematico si sta verificando in Turchia, dove il mercato sta esplodendo con una richiesta di oltre 70.000 trattori anno, circa il 70% di tutta Europa. Lì abbiamo sempre venduto trattori prodotti a Treviglio e continuiamo a venderli, forse in misura superiore a prima, perché abbiamo saputo sfruttare al meglio la presenza dello stabilimento insediato in quel Paese. Non riduciamo manodopera a Treviglio perché abbiamo costruito stabilimenti in Turchia, Cina, e India. Anzi, poiché il mercato europeo sta perdendo volumi di vendita, cerchiamo di compensarli con insourcing di attività, al fine di mantenere stabili e addirittura far crescere le nostre maestranze, come per l’investimento di 3 milioni di euro realizzato per produrre internamente un componente che, storicamente, realizzava un nostro fornitore, la cui produzione darà lavoro a circa 40 persone». State completando una importante fase di investimenti nella sede storica di Treviglio. Che cosa state realizzando?

«Sì, assolutamente. Circa 25 milioni di investimenti che prevedono un importante rivoluzionamento della fabbrica. Stiamo completando un nuovo impianto di verniciatura completamente robotizzato, due nuove linee di produzione, una nuova area produttiva nella quale si realizzeranno gli assali finora prodotti da terzi. Queste importanti trasformazioni saranno tutte definitivamente operative entro la metà dell’anno in corso». È innegabile che, spesso, il risultato dell’innovazione tecnologica nel processo produttivo consiste nella sostituzione dell’uomo con la macchina, in alcune fasi di lavorazione. I vostri stabilimenti sono all’avanguardia per applicazioni tecnologiche, come vengono gestiti questi aspetti? «Per noi l’innovazione è fondamentale poiché il nostro prodotto, seppure può sembrare strano, è uno dei più sofisticati nell’automotive. Molto più dell’automobile e del camion, perché il trattore non è un semplice mezzo di trasporto ma una macchina da lavoro che serve per eseguire una serie di operazioni, più è innovativo e più queste possono essere eseguite in modo efficiente ed efficace. È anche importante che sia realizzato tenendo conto della salute del lavoratore. Oggi la cabina è un vero e proprio posto comando, dotato di 3 o 4 monitor completamente elettroni-

ci, con aria condizionata. È pressurizzata perché il contadino che sparge anticrittogamici e pesticidi nei campi possa respirare comunque aria pulita, è perfettamente ammortizzata per contenere al massimo le vibrazioni, insomma è un trattore fortemente innovativo che per essere prodotto richiede sistemi di produzione innovativi, tra i quali c’è anche la robotizzazione, che esegue la esatta ed identica ripetizione all’infinito di talune operazioni, che la manodopera non può garantire. Quest’ultima deve comandare le macchine che svolgono queste attività. Nei nostri impianti di verniciatura abbiamo 6 robot che sostituiscono gli operai che prima eseguivano la verniciatura manuale, al posto dei quali vi sono ora i programmatori di robot. Seppure siano rimasti alcuni verniciatori manuali per i ritocchi è necessaria più manodopera specializzata». Trovare lavoro oggi, in Italia, per un giovane è molto problematico. I tassi di disoccupazione giovanile sono i peggiori di sempre. Che suggerimenti darebbe sulla formazione professionale oggi necessaria? «Quello che chiediamo sempre quando assumiamo è una specializzazione, può essere idraulica, meccanica, elettronica, elettrica ecc. Per ottenere questo è importante l’intervento e la collaborazione delle scuole professionali, che devono formare le nuove figure in modo sempre più attento e preciso. Sta cambiando il livello di scolarizzazione: anche per l’operaio ormai è richiesto un livello di formazione più alto che in passato, e una specializzazione anche tecnica. Nei nostri stabilimenti facciamo anche formazione interna, affiancando ai nostri responsabili l’addetto che si dimostra pronto a passare di livello». Al termine di questa lunga chiacchierata abbiamo visitato la fabbrica dove è ben rappresentato il lascito testamentario del fondatore, Ing. Francesco Cassani, “… La concorrenza in futuro sarà ancora più agguerrita, pertanto non solo è assillante assicurare continuità alla fabbrica, ma anche mantenere il prodotto aggiornato…”.

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Sostenibilità

Vuoi costruire un mondo migliore? In Miniera! di Lucia Profumo

Premiato a Parma il centro comunale di riutilizzo “La Miniera, chi cerca trova”

F

orse non tutti lo sanno, ma nel 1991 apriva a Curno il primo centro commerciale della bergamasca, allora il più grande d’Italia, una vera esperienza pilota in materia di shopping di massa. A oltre venticinque anni di distanza da questa novità, Curno è ancora sugli scudi per un’iniziativa che ha a che fare con lo scambio di beni, ma questa volta in chiave assai meno consumistica: l’Amministrazione Comunale ha infatti dato vita al centro di recupero e riuso “La Miniera”, nel contesto di un progetto all’insegna della sostenibilità che è valso al Comune il prestigioso premio “Comuni Virtuosi”, nella categoria nuovi stili di vita. Il riconoscimento è stato conferito al Sindaco Perlita Serra, in rappresentanza di tutta la cittadinanza, il 17 dicembre scorso a Parma, nel corso di una cerimonia che ha visto sfilare i rappresentanti di alcuni fra i comuni più impegnati sul fronte della sostenibilità ambientale e sociale. Abbiamo incontrato Luisa Gamba, Assessore all’ambiente del Comune di Curno, promotrice e organizzatrice del Progetto, e le abbiamo chiesto di raccontarci questa esperienza. Il progetto “La Miniera, chi cerca trova”, centro comunale per il riutilizzo di oggetti di seconda mano, nasce alla fine del 2015 col contributo di fondi assegnati da un bando di Regione Lombardia; le finalità del progetto sono prima di tutto ambientali: diminuire il quantitativo di rifiuti conferiti in discarica, promuovere la cultura del riuso, riciclo e condivisione contrapposta a quella imperante “accaparra, consuma e getta compulsivo”. Ma il progetto va ben oltre questo già lodevole scopo, poiché affianca agli obiettivi di sostenibilità ambientale anche quelli di solidarietà sociale: grazie alla partnership con la cooperativa sociale “il Bipla-

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no” è stato infatti realizzato l’inserimento lavorativo di due persone in situazione di fragilità; le offerte ricevute al ritiro dei beni inoltre, sono destinate a sovvenzionare l’Associazione “Abilitare Convivendo”, nata per iniziativa di un gruppo di familiari di persone disabili, che promuove progetti di residenzialità per persone in stato di disabilità nei Comuni di Curno e Mozzo.

E ancora la dimensione di rete: innanzitutto il comune di Curno è affiancato dal Comune di Mozzo, i cui cittadini possono conferire gratuitamente i loro oggetti al centro, ma soprattutto la Miniera funziona grazie ad una ventina di volontari di età, provenienza ed esperienze molto differenti che, anche grazie ad un percorso

formativo creato ad hoc nell’ambito del progetto, hanno “donato” oltre 1.000 ore di lavoro volontario, fanno funzionare il centro in autonomia, e stanno valutando l’opportunità di costituirsi in associazione. Sostenibilità ambientale e solidarietà sociale, dunque, ma anche superamento delle barriere culturali e inclusione, perché da qualche tempo i rifugiati ospitati dal Comune di Curno si alternano al fianco di operatori e volontari. Da non dimenticare poi la ricaduta culturale, grazie alla campagna di social marketing che ha accompagnato il varo dell’iniziativa e alla sensibilizzazione che è fatta quotidianamente nei confronti dei chi conferisce oggetti e di chi li ritira, o passa anche solo a dare un’occhiata. Infine, ma non è certo l’aspetto meno importante, il progetto ha suscitato interesse in altri comuni della bergamasca che stanno studiandone la replica nel loro territorio. Abbiamo chiesto all’Assessore Gamba quali sono stati i fattori critici per il successo di questo progetto, che ha richiesto un investimento di 100 mila euro per metà coperti dal finanziamento regionale. Al primo posto un’organizzazione efficiente: il centro funziona grazie a un regolamento e a procedure condivisi e applicati da volontari, operatori e frequentatori; un database creato ad hoc permette di registrare i beni accettati e il loro peso, così da poter conoscere in ogni momento tipologia e quantitativo di beni sottratti all’inceneritore; gli oggetti sono poi “scaricati” in uscita, registrando l’offerta ricevuta al ritiro, che è suggerita sul cartellino dei beni esposti a seconda della tipologia del loro stato di conservazione. Gli oggetti sono disposti in modo ordinato su scaffali (anch’essi di riciclo) e divisi per tipologia: si trovano abbigliamento, attrezzatura


€ 118.000

A soli € 140.000

sportiva e per bambini, libri, giocattoli, stoviglie e biancheria per la casa, tutto ritirabile con una minima offerta a sostegno del progetto di residenzialità protetta. Dal 12 marzo 2016, giorno della sua inaugurazione, al centro si sono avuti oltre 800 accessi per conferimento oggetti, e sono state raccolte offerte per 8.000 euro, con una media di 5 euro per ciascun ritiro. Grazie a questa iniziativa, da marzo a novembre 2016 quasi 3 tonnellate di oggetti, tutti in buone condizioni e perfettamente utilizzabili, che sarebbero stati buttati via diventando un ingombro e un costo per la comunità, hanno trovato un nuovo utilizzo. E per il Sindaco Perlita Serra, questo è uno di quei casi felici in cui, grazie ad una sorta di patto sociale fra componenti della comunità, la comunità stessa trova in se stessa le risorse per la costruzione di un ambiente più vivibile. Progetti come questi, infatti, mettono in comunicazione diverse realtà, portano le persone fuori dalle loro case ad incontrare altre persone, creano percorsi di conoscenza e collaborazione cementati da obiettivi e a percorsi formativi comuni, promuovono un cambiamento culturale positivo. In buona sostanza, si tratta di azioni efficaci e coordinate contro la paura, che migliorano la nostra capacità di entrare in relazione con la realtà che ci circonda e aiutano a costruire un futuro migliore. Il che ci riporta ad uno dei pilastri dell’agenda 2030: i progetti che impattano in tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile (ambiente, economia, società) con lo scopo di produrre fiducia e benessere sociale non vanno considerati costi per la società, ma investimenti necessari per porre le basi di una vita libera e degna di essere vissuta, per noi e le generazioni future. E questo passa anche, per dirla con le parole del presidente dell’Associazione dei Comuni virtuosi Bengasi Battisti, “attraverso amministratori che svolgono il loro ruolo con sobrietà, rigore, entusiasmo e passione”, e si impegnano per dar vita a “belle storie di giuste rivendicazioni, giustizia e buone pratiche condivise e partecipate”.

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Pasticceria

Da fare 16 • tribuna magazine • Febbraio 2017


Urbanistica

Cinema Giardino: una nuova iniziativa del Comune di Stefano Dati

Parrocchia e Amministrazione cassanesi lavorano insieme a nuove iniziative per la demolizione della struttura abbandonata e fatiscente

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hiuso per un incendio negli anni ’80, il vecchio Cinema Giardino è sempre di più al centro dell’attenzione della parrocchia, proprietaria dell’immobile, e del comune, per una soluzione urbanistica che possa riqualificare quell’angolo lungo la via centrale della città, con la presenza del vecchio cinema ridotto ad una struttura abbandonata e fatiscente. «Il cinema Giardino ha tanta storia alle spalle – aveva dichiarato don Gianluca Gaiardi, responsabile dell’oratorio don Bosco prima del trasferimento per il suo nuovo incarico in Diocesi di Cremona – è davvero doloroso vederlo in queste condizioni. La parrocchia non ha la capacità economica per intervenire, spero quindi che vi sia al più presto qualche imprenditore che si faccia avanti con proposte di un progetto da realizzare. È bene, inoltre, ricordare che si deve fare alla svelta, questo perché il cinema è una struttura degli anni ’50, le proprietà della parrocchia dopo 70 anni vengono sottoposte alla tutela dei beni culturali e questo potrebbe in qualche modo ostruire eventuali progetti da parte degli interessati». Per agevolare le trattative fra imprenditori e parrocchia, la precedente Amministrazione comunale aveva cambiato la destinazione d’uso della

vecchia struttura cinematografica, trasformandola da area religiosa in zona residenziale, con funzioni terziarie e commercio di vicinato, inserendo quindi nel PGT 1.400 metri quadrati di intervento con 150 metri cubi di nuova edificazione. Un progetto, quello dell’Amministrazione comunale, che non ha però portato all’esito sperato ed il nuovo esecutivo politico, alla guida della città dallo scorso mese di giugno, mette in campo nuove iniziative per agevolare eventuali possibili trattative: «Stiamo lavorando – ha spiegato l’Assessore all’Urbanistica Simona Merisi – per trovare la soluzione adeguata, giuridicamente fattibile, per gli interessi della proprietà e che nello stesso tempo non snaturi quelle che sono le finalità del

PGT. Esiste da parte nostra la più la più ampia disponibilità per una soluzione che porti a liberare quell’area dalla vecchia struttura del cinema Giardino. L’idea potrebbe essere quella di consentire all’imprenditore, eventualmente interessato, il trasferimento del volume da costruire in altra zona del territorio cassanese; l’area dell’ex cinema Giardino verrebbe così trasformata, con i costi a carico dell’imprenditore, in qualcosa di pubblica utilità a disposizione dei cittadini”. Una soluzione quest’ultima che trova consensi da parte della Curia: «Costruire nell’attuale area del ex cinema Giardino – ha spiegato il parroco Monsignor Giansante Fusar Imperatore – comporta dei limiti di restrizione che non invogliano i costruttori. La soluzione proposta dall’Amministrazione comunale, che riguarda lo spostamento della volumetria altrove, potrebbe aprire nuove ipotesi diversificate che richiedono una nuova valutazione sul futuro di quell’area. Stiamo quindi valutando queste nuove proposte per risolvere lo stallo venutosi a creare, tuttavia nulla è stato ancora deciso. Ci sono stati degli incontri fra le parti interessate ma siamo ancora all’inizio delle trattative». La vecchia sala cinematografica di via Veneto era stata voluta negli anni ’50 da Monsignor Favalli, che era riuscito a coinvolgere economicamente tutta la popolazione per la costruzione di quel cinema. Era importante in quel periodo la presenza di una struttura dove i cittadini potessero ritrovarsi per momenti di spensieratezza e serenità: considerando la guerra messa alle spalle da poco tempo, un cinema Parrocchiale sembrava essere proprio la scelta migliore; per molti anni, infatti, è stato punto di riferimento dei cassanesi per la visione dei film di grande successo. La sala con i suoi 800 posti non veniva utilizzata solo per la proiezione delle pellicole: una volta sollevato il grande telone dello schermo cinematografico per fare posto alle scenografie, sul palco si dava vita a momenti teatrali e canori, come l’indimenticabile festival dei bambini molto in auge negli anni ’70. Febbraio 2017 •

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ph Appiani

Eventi

Tutti in maschera! di Daria Locatelli

Caravaggio, Treviglio, Fornovo San Giovanni, Capralba e Misano Gera d’Adda vedranno sfilare il divertimento con a tema “Il Mondo”: al via il tour organizzato dagli “Amici del Carnevale Caravaggio”

“I

l mondo”: ecco il tema conduttore dell’edizione 2017 dei festeggiamenti del Carnevale che porteranno la maschera del divertimento per le vie di Caravaggio e non solo. È un tour di allegria, infatti, quello che l’Associazione Amici del Carnevale Caravaggio (www.facebook.com/Amici-DelCarnevale-Caravaggio) organizza per celebrare la festa in cui l’ilarità diventa il principale travestimento: «Ogni anno – spiega il Presidente Giuseppe Robecchi – viene scelto un soggetto differente, che io comunico al termine di ciascuna manifestazione. Nella scorsa edizione i carri erano ispirati agli anni ’70 e ’90, mentre nel 2017 ho individuato come filo conduttore “Il mondo”. Ci saranno rappresentazioni dei vari Paesi, come Egitto, Russia, Inghilterra, Perù, Giappone, e dei popoli, ad esempio gli Eschimesi». A partire da quattro anni fa, i festeggiamenti organizzati dall’Associazione si sono estesi anche ai comuni limitrofi, contagiando di svago anche le vie di Treviglio, Misano Gera d’Adda, Capralba, Fornovo San Giovanni e rendendo il programma ricco di appuntamenti. Le prime tappe sono previste per il 19 febbraio a Misano e per sabato 25 a Treviglio, passando il testimone, poi, la sera a Caravaggio per la vera e propria inaugurazione. Il 26 e il 28 saranno le giornate dedicate ai più piccoli: «sono particolarmente orgoglioso – afferma Giuseppe –

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“È febbraio monellaccio, molto allegro e un po’ pagliaccio;

ride, salta, balla, impazza, per le vie forte schiamazza, per le vie e per le sale accompagna il Carnevale. Se fra i mesi suoi fratelli ve ne sono dei più belli, il più allegro e birichino, sempre è lui, ch’è il più piccino.”

di poter coinvolgere per il primo anno i bambini disabili nei nostri festeggiamenti, grazie alla preziosa collaborazione con la Croce Rossa Italiana». Il pomeriggio del 26 vedrà il tour fare tappa a Fornovo San Giovanni e Caravaggio, ove si svolgerà il gran finale del “Martedì grasso” in piazza. Nel mese di marzo, infine, i carri sfileranno a Capralba (domenica 5) e a Bergamo, in occasione della grande parata in programma nel capoluogo. I festeggiamenti organizzati dagli Amici del Carnevale Caravaggio non prevedono soltanto una sfilata collettiva all’insegna del divertimento, ma «è un coinvolgimento di tutti. Chiunque può salire sui carri, partecipando attivamente con noi all’evento che è particolarmente atteso da tanti. Sono estremamente orgoglioso del fatto che il pubblico prenda parte alla celebrazione, il cui valore più ampio

verrebbe meno senza questo ingrediente» aggiunge il Presidente sorridendo. Una condivisione totale di tutti i momenti che scandiscono le giornate di festa, incluso quello della premiazione del carro più attinente al tema e della maschera più inventiva. A Treviglio, infatti, la giuria indetta dalla Pro Loco decreta il vincitore che riceve il testimone dal suo predecessore, un passaggio che segna subito l’inizio della preparazione per l’anno venturo e che, a partire da quest’anno, avverrà anche a Caravaggio. E cosa significa il Carnevale per chi da più di dieci anni investe tempo ed energie nell’organizzazione della manifestazione? «Per me il Carnevale non è una semplice sfilata; se rifletto su ciò che questa festa rappresenta per me, il mio pensiero va ai carristi, ai ragazzi che hanno tanta voglia di fare: loro sono per me il Carnevale. La realizzazione del carro richiede mesi e mesi di preparazione, sacrifici e tanta passione, loro sono e danno tutto. Quando li vedo riuniti davanti al palco aspettando non tanto la premiazione, quanto le parole del Presidente che chiude l’edizione e annuncia il tema dell’anno venturo, ho un’emozione che per me è impagabile» risponde Robecchi. Sono circa 200 i carristi iscritti all’evento, la cui organizzazione, patrocinata dal Comune di Caravaggio, è coordinata dai sette soci e dal Presidente di Amici del Carnevale che descrive: «I partecipanti sono giovani che si autofinanziano per la creazione dei carri e aderiscono alla manifestazione


ph Appiani

sottoscrivendo una quota. I festeggiamenti coinvolgono sempre più persone e comuni, per esempio lo scorso anno abbiamo toccato le 4.000 persone presenti in occasione del “Martedì grasso”. Ovviamente, la sfilata e tutti gli appuntamenti richiedono una gestione non indifferente e per la cui buona riuscita ringrazio tutti coloro che ci supportano da sempre: le Amministrazioni Comunali, l’Associazione Carabinieri in Congedo, la Pro Loco e Piuma d’Oro di Treviglio, la Protezione Civile, la Polizia Municipale, la Croce Rossa Italiana, i contadini che ci offrono il loro spazio per i carri e il gasolio». Un amore innato per il Carnevale quello di Giuseppe: «Ho incominciato a mascherarmi all’età di quattro anni, ricordo che ero vestito da Zorro. Ho da sempre avuto una passione per questa festa, tanto che l’ho trasmessa alle mie figlie, che, mie principesse nella vita, ho fatto travestire come tali in occasione di ogni festeggiamento. Ho addirittura contagiato mia moglie, che prima di conoscermi non era particolarmente legata a questo evento. Il mio innamoramento verso questa manifestazione è testimoniato da più di quaranta vestiti che ho fatto creare nel corso degli anni, come quello da corsaro, da Re Sole, da nobile, da egizio...». La mia curiosità mi fa chiedere quale sia quello che sfoggerà a breve, ma risponde di non averlo ancora scelto; forse non me lo vuole svelare in anteprima, lasciando fino all’ultimo la suspense, come è giusto che sia. Chiacchierando con Giuseppe ed osservando il suo viso che si illumina quando parla dei suoi carristi e del Carnevale, si percepisce che l’evento non si risolve in un semplice appuntamento in agenda a Febbraio, ma che costituisce una vera e propria passione che scandisce il lavoro di un anno intero, così forte che il termine di un’edizione non è caratterizzato da quel velo di malinconia che solitamente adombra la fine di un qualcosa di tanto atteso e, ahimè, concluso, ma ha il sapore dell’arrivederci, mascherato di un tema nuovo, il testimone di questa staffetta del divertimento.

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MatitaLibera di Bruno Manenti

Omaggio al sindaco Daisy Pirovano e a tutti i cittadini di Misano Gera d’Adda (visoni compresi!) 20 • tribuna magazine • Febbraio 2017


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Società

La giostra continua a girare di Daniela Regonesi

Ripercorriamo le strade e gli acciottolati della fiera, respirandone i ricordi con sorrisi e nostalgia

N

elle narici il profumo dolce di frittelle e zucchero filato, nei timpani il pompare dei bassi che rimbomba fino al petto, negli occhi la ruota panoramica, che si staglia in tutta la sua altezza e ti annuncia, già da lontano, che la fiera è lì, ti aspetta, e ti ricorda che un giro si può sempre fare, e le cose possono essere viste da una prospettiva diversa. Innanzitutto la fiera è consolatoria: va a braccetto col carnevale, stemperando i magoni da fine periodo natalizio e le ansie da chiusura del quadrimestre. In secondo luogo forgia il carattere, di grandi e piccini: le generazioni si susseguono, ma sfidare la timidezza per allungare il braccio verso il codino, o provare l’attrazione torci-budella di turno – con la variante “accompagnarci la prole” (chiedere delucidazioni in merito a mio padre su un indimenticabile, soprattutto per lui, giro sulla Barca) – presuppongono coraggio, come pure resistere ai capricci che certi pargoli riescono ad inscenare pur di fare ancora un giro. Ma la fiera è fascino, è la voglia di essere grandi, osservando con ammirazione e un pizzico di invidia chi si sfida su autoscontri e calcinculo, accontentandosi degli omologhi “dei piccoli”. È vincere le ansie materne di bronchiti e tonsilliti, premio certo della mia infanzia, a cui oggi si è intelligentemente ovviato dotando certe attrazioni di vetrate. È

maledire la neve o la pioggia, soprattutto se fanno capolino al fine settimana o, un tempo era la regola, il giorno della festa. Il luna park è consapevolezza, è vedere i tuoi bambini felici sulle jeep dove anche tu hai fatto giri innumerevoli: potresti essere azionista della giostra, qualora venisse quotata in borsa, ma ti consola il pensiero che tutto torna, e che hai trasmesso un po’ di te alla tua prole. È una colonna sonora, sparata a decibel infiniti, che va dal Ballo del qua qua ai successi del più recente Festival di Sanremo, fino alle hit da ballare, e a far da dj i giostrai: “andiamo giovani! Forza bambini! È qui il divertimento! Gettonarsi alla cassa! Si parte…”. È la sfida degli autoscontri, dove da sempre chi è figo, o vuole dimostrare di dover essere ritenuto tale, viaggia seduto sul bordo, indossando lo sguardo imperturbabile d’ordinanza, qualunque sia la forza dell’impatto; dove le ragazze viaggiano in coppia e dove agli sguardi di intesa fanno eco le dediche: una volta fatte di nascosto o mandando alla cassa fidati emissari, oggi via cellulare, in perfetto stile Millennials. La fiera è il ricordo di giostre amate e odiate, almeno per me: tra le prime la Ballerina, oggi rimpiazzata da versioni più evolute, e tra le seconde le Gabbie, delle quali il mio fisico scarsamente atletico ricorda la poco divertente fatica. Anche il Tagadà ha lasciato bei lividi nella mia

schiena e qualcuno pure nell’autostima: mai riuscita a stare in piedi, e tanto di cappello a quanti ancora oggi raccolgono e superano la sua sfida. È imparare la tenacia, quando sui dischi volanti essere gli ultimi a rimanere in alto era sinonimo di gettone gratuito; è affrontare la paura, riuscendo a darsi risposta all’inquietante interrogativo “cosa mai ci sarà oltre la porta della casa delle streghe?”. È amare il rischio: non solo scommettere sui tappi o cercare di abbattere barattoli e bersagli vari con fucili e pistole – consci che il premio non sarà poi così memorabile – ma anche entrare nella casa degli specchi non sapendo se il proprio naso supererà incolume la visita, così come portarsi a casa un pesciolino rosso azzardando sulla sua sopravvivenza. E per chi non ama essere sollecitato da spinte, forza centrifuga e altre amenità, c’è il bagno di folla tra le bancarelle, un’autentica fiera dei sensi: l’olfatto innanzitutto, con il naso che in pochi passi viene solleticato da caldarroste, biligot, incensi, porchetta, croccante e sottoli, che, inevitabilmente, portano il gusto a pretendere di essere soddisfatto; l’udito, che messosi in salvo dalle casse a tutto volume, si imbatte in venditori muniti di microfono, pronti a dimostrare le meraviglie di servizi di piatti, pentolame, prodotti per la pulizia, taglia verdure e leva ragnatele; la vista si allena, sia ad intercettare il prodotto ambito (o magari fino a quel momento nemmeno desiderato) che a non perdere di vista i compagni di passeggiata; il tatto un po’ riposa, meglio se al caldo in tasche e guanti, e un po’ sfida il freddo per reggere e verificare gli acquisti. L’intuito, invece, se la ride, conscio che poco importa se il luna park ha cambiato indirizzo, se le bancarelle sono tornate ad animare il centro come facevano anni addietro: ieri come oggi la giostra continua a girare, finché non compariranno le mimose, prime annunciatrici della primavera e segnale che è tempo di muoversi. Gettonarsi alle casse, nuovo giro, si parte! Febbraio 2017 •

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Società

Ci sono uomini soli di Ivan Scelsa

La fine di una relazione. La gestione dei figli. La perdita della casa. L’uomo “forzosamente single” non è sempre un carnefice

I

n un periodo in cui, sempre più spesso, sentiamo parlare di violenza sulle donne celebrandone “la giornata contro…” – giustamente messa in risalto da un’elevata risonanza mediatica – è doveroso parlare di un fenomeno altrettanto frequente, colpevolmente quasi anacronistico. Sia chiaro: questo non è un articolo che giustifica alcun tipo di violenza. Tanto meno un pezzo volto a sovvertire lo stato di colpevolezza di chi compie qualsivoglia aberrante gesto verso le donne. È piuttosto un viaggio nella psicologia maschile che porta alcuni soggetti a compiere azioni estreme in risposta ad altri gesti, più subdoli e logoranti. Sì, perché anche l’uomo può essere vittima della violenza del sesso opposto. Il logorio di un rapporto giunto alla fine porta entrambi allo sfinimento e, talvolta, ad una perdita di lucidità che può indurre a compiere azioni deplorevoli. Ed è chiaro che la perdita della lucidità, il più delle volte, riguarda la sfera maschile. Pur essendo più raro il caso in cui arrivino ad uccidere, infatti, capita che le donne “ferite” nell’orgoglio o nei sentimenti umilino, ricattino e annullino economicamente gli ex partner. È una questione di psiche, di quel “come siamo fatti” intrinseco nei due

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sessi e con cui quotidianamente dobbiamo confrontarci nell’affrontare la vita, tanto quanto le relazioni interpersonali. La verità è che “il carnefice” non ha un sesso e può nascondersi in un errato approccio culturale nelle relazioni con gli altri. Parlo degli altri non come inno alla poligamia, ma per sottolineare come il problema sia dell’intera società, non solo della coppia che, nello specifico, rappresenta un nucleo facente parte di una comunità. L’informazione dominante negli ultimi anni, invece, spesso procede per format e stereotipi, e tende a fornire un’immagine della donna sempre incolpevole, vittima di abusi e violenze e dell’uomo, invece, quale soggetto violento: il carnefice appunto. Ed in parte anche lo stesso legislatore ha involontariamente avallato questo modo di interpretare gli accadimenti. Ma la verità, si sa, spesso sta nel mezzo. O meglio, a volte c’è un rovescio della medaglia, ovvero la condizione maschile e dei pregiudizi legati al concetto di uomo carnefice ed al tabù di descrivere gli atti persecutori dell’altro. È una violenza che esiste e di cui va tenuto conto. Sebbene siano comunque censiti vari casi di violenza fisica di una donna nei confronti dell’uomo, nella maggior parte dei casi non ha

dinamiche legate alla sessualità o all’atteggiamento spesso possessivo di taluni uomini, ma più profonde, psicologiche, talvolta economiche. Non sono molti gli studi esperiti in tal senso nel nostro Paese e gli ultimi dati rimandano ad un’indagine effettuata nel 2012 da una équipe dell’Università di Siena, che ha fotografato un campione di uomini vittime del fenomeno seguendo lo stesso metodo utilizzato dall’Istat per focalizzare il fenomeno della violenza sulle donne. Ovviamente questi episodi si acuiscono dopo la cessazione della convivenza e maggiormente in presenza di figli, utilizzati a volte strumentalmente per raggiungere le risorse patrimoniali e finanziarie dell’ex coniuge. In questo senso non è difficile intuire come le resistenze della parte possano essere ammorbidite con minacce ed atteggiamenti – più o meno velati – volti ad ostacolare i contatti con i figli stessi, affidati nella maggior parte dei casi alla madre. Secondo un rapporto della Caritas del 2014, in Italia i padri separati sono circa 4 milioni e di questi circa 800mila vivono al limite della soglia di povertà. La necessità di garantire lo stesso tenore di vita all’ex nucleo familiare, costringe molti di loro a rinunciare alle più basilari necessità, come la casa ed un pasto adeguato. Uno stato di indigenza a cui si somma il dolore per l’allontanamento dai figli per cui, si sa, il proprio padre è sempre un eroe. Ma al di là delle situazioni più estreme, lasciando il tetto coniugale, quel punto di riferimento vacilla e rischia di venir meno. Ma ciò che è peggio è la solitudine a cui rischia di andare incontro quel padre: l’umiliazione di dover citofonare senza poter entrare nella casa acquistata con sacrifici ed attendere in strada che il figlio lo raggiunga per trascorrere in sua compagnia qualche ora. Già, perché di poche ore si tratta: un barlume di luce in giornate scandite dalla routine lavorativa e dal profondo confronto con se stessi, con le proprie angosce e paure. La mancanza di convivenza con i figli comporta inevitabilmente anche un peggioramento nel rapporto padre-figlio che spesso deve “colmare” in poche ore il vuoto lasciato dalla separazione e quell’impossibilità di vivere a pieno le fasi di crescita, le esperienze e le gioie della quotidianità, relegandolo ad un ruolo di


genitore di serie B, più simile ad un compagno di giochi che ad un papà. Va da sé che non stiamo parlando di una lotta tra i due sessi, ma di una problematica le cui radici sono ben più profonde. L’educazione al rispetto non ha sesso ed andrebbe affrontato da un altro punto di vista. Gli stessi sportelli anti violenza non dovrebbero essere rivolti alle sole donne, ma aperti a tutte le persone vessate. Il recupero di questa capacità di ascolto non va sottovalutata. Il cliché oggi vuole che il maschio sia il colpevole, da condannare sempre. E forse lo è diventato anche per quel senso di vergogna e pudore nel denunciare di essere stato vittima di vessazioni e minacce da parte di una donna: una ridevole circostanza agli occhi della gente, quasi un’onta. Già, perché lo stesso cliché vuole l’uomo capace di reagire ad ogni situazione, forte e vigoroso sempre, sin dall’età della pietra, quando andava a caccia e tornava a casa con la preda, sostentamento per sé e la sua famiglia. Secondo questo modo di interpretare le cose non vi è uscita alcuna. Perché lo stereotipo di virilità e forza cui l’uomo deve sottostare non è plausibile né più sostenibile nella società odierna in cui anche la donna ha raggiunto l’emancipazione e le dinamiche di vita hanno mutato il rapporto tra i sessi. Gli uomini violenti andrebbero aiutati nel gestire gli impulsi distruttivi che li pervadono in taluni momenti. Ma a monte occorrerebbe un percorso che li prevenga.

Prima, cioè, che taluni erronei comportamenti si palesino. Perché l’impeto di alcuni di essi, sebbene sia sempre da condannare, può nascere dalle quotidiane umiliazioni, le risibili frasi cui viene sottoposto dal partner nei mesi che di solito precedono la fine di un rapporto o quel che è peggio dal tentativo di portare i figli “dalla propria parte”. Ed è proprio lì che si potrebbe inter-

Da Caravaggio l’idea per un’associazione

«I

l problema è reale – dice Carmine Voccia, padre separato di Vidalengo – e non possiamo più nasconderci dietro ad un dito. Ogni giorno, in tutta Italia, ci sono uomini che vengono “spogliati” prima della loro famiglia, poi della loro dignità anche grazie ad un sistema giuridico “stereotipato e schematizzato” (definizione CEDU riconosciuta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ndr) che inspiegabilmente ed ingiustamente, tutela la donna a prescindere da come realmente la situazione si presenti. In una coppia sposata o legalmente riconosciuta che si separa, l’uomo deve mantenere la donna contribuendo mensilmente ed il più delle volte lasciandole anche la casa. In senso giuridico più stretto, il genitore cui è concesso l’onore di tenere con sé i figli, dovrà mettere in conto anche l’onere di mantenerli. Ovviamente, in questo caso, dovrà esserci equità nei diritti di visita, applicando il diritto di bi-genitorialità

ed oculatezza nella gestione economica delle spese straordinarie ed assicurando al minore la crescita in un ambiente consono che gli garantisca serenità e stabilità. In secondo luogo, andrebbe accertato anche se realmente il genitore “penalizzato” sia partecipe della vita dei figli, indipendentemente se sia il padre o la madre. Ed è proprio questo che gli uomini stanno chiedendo ormai da anni: equità di trattamento e di giudizio. Anche io faccio parte di questo “club” che, giorno dopo giorno, cresce nel numero. Sto facendo fatica a far valere le mie ragioni difronte alla magistratura. Il rischio che la mia situazione venga snobbata per un cliché consolidato contribuisce a creare disagi anche alla serenità

venire. Perché al punto in cui siamo, preso atto di una vera mancanza di educazione al rispetto reciproco, per cui nessuno dei due ha la proprietà dell’altro, il cliché vuole il maschio capace di reagire al sopruso senza fare una piega. Di fatto non è così e la cronaca è ormai pervasa di fatti di sangue che ci ricordano quanto sia indispensabile ricominciare da capo, tutto da capo.

di mia figlia. Sono già molti i bambini che, avendo la possibilità di farlo, hanno scelto di andare a vivere con il papà. E questo dato è destinato a crescere sempre più se realmente non verranno offerte pari opportunità ad entrambi i genitori. Per questo sto lottando – come tanti altri padri – per far valere questi principi: solo per tutelare mia figlia. A tal proposito ho anche un progetto in fase embrionale, per il quale ho già preso contatti con un legale ed uno psicologo, con i quali fornire uno strumento utile alla causa. Infatti vorrei costituire un’associazione di supporto ed aiuto ai padri soli che si trovano in stato di disagio. È un’idea che voglio portare avanti con tutte le mie forze e sono a disposizione di chi volesse condividerla con me. Tutti i giorni, infatti, sentiamo parlare di violenza sulle donne, ma sono certo che aiutare i padri in difficoltà consentirà di diminuire anche il numero di donne oggetto di violenza». I.S. Febbraio 2017 •

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Personaggi

L’illustratore de L’Erbolario di Daniela Invernizzi

Alfonso Goi è l’artefice delle belle confezioni della storica azienda erboristica lodigiana

A

lzi la mano chi non ha mai comprato un prodotto L’Erbolario solo per la bellezza della confezione, con tutto il rispetto per la bontà di creme, profumi e balsami dell’azienda lodigiana. Le mitiche scatole di questa fortunata azienda erboristica, anche quando sono di cartone, difficilmente finiscono nel cestino subito dopo l’acquisto. La squisita fattura dei disegni, spesso a carattere floreale, le fa diventare un complemento d’arredo, o comunque una “cosa carina” da conservare. Negli anni, molti sono stati gli imita-

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tori di queste confezioni, ma lo stile de L’Erbolario è riuscito a rimanere unico, poiché risponde, quasi sempre, al nome di Alfonso Goi, ovvero colui che le disegna. Goi, cremonese di nascita, vive da tempo a Treviglio. Dal suo studio silenzioso e ordinato escono da vent’anni le stupende illustrazioni che hanno caratterizzato un numero non quantificato di linee di prodotti: «Prima o poi le conterò – mi dice – ma sono veramente tante». In effetti l’azienda lodigiana “sforna” ogni anno una o più nuove linee, senza abbandonare le vecchie, il che comporta per il nostro il-

lustratore una buona dose di lavoro. I suoi disegni, infatti, sono tutti fatti a mano, anche se oggi Goi non disdegna di utilizzare le tavolette digitali (Wacom bamboo): «Attenzione, si tratta comunque di disegno, anche se digitale – avverte Goi – per realizzare l’intera linea posso metterci anche un mese. La precisione richiesta presuppone doti artistiche, anche se con la tecnologia oggi è più facile rimediare all’errore». Mi mostra sul grande schermo del computer l’ultimo lavoro realizzato, la linea Osmanthus e poi un’anteprima assoluta: la scatola grande del 2017, tutta realizzata a mano da Goi. Il “motivo” delle scatole grandi, infatti, può essere sia fotografico che a disegno, poiché fotografia e disegno sono le due passioni dell’Art Director de L’Erbolario, Angelo Sganzerla, l’artefice di questa estrema attenzione al packaging. «In realtà anche i proprietari amano molto l’arte – mi dice Goi – ecco perché continuano a far lavorare un illustratore come me, e anche altri, saltuariamente, invece di limitarsi a grafici dal copia/incolla facile». Oggi in effetti, l’attività di illustratore, come molte altre professioni, soffre dei grandi passi avanti fatti dalla tecnologia. «Paradossalmente è più facile vivere di pittura – sottolinea Goi – ma per fortuna non è il mio caso. Questa azienda dà ancora una grande importanza al lavoro degli artisti: non per niente affida da tanti anni le illustrazioni del calendario a un disegnatore naturalista di fama europea, Franco Testa». Il lavoro dell’illustratore comincia dalla ricerca del soggetto, dopo un confronto con l’art director, che decide se concentrare il lavoro su un’immagine piuttosto che un’altra, su un insieme o una figura singola. Dopodiché Goi va alla ricerca delle immagini del fiore o della pianta da disegnare: «Qui sì che Internet è di grande aiuto; una volta passavo i pomeriggi nelle biblioteche». Meglio ancora se è disponibile il fiore vero: «Così posso studiare come cade la luce». Una volta elaborato il disegno, in relazione all’ impaginazione richiesta («Oggi più di ieri bisogna tenere


Pensa al futuro, scegli

conto anche delle scritte»), inizia il lavoro, che deve essere realizzato “al pelo”, cioè perfettamente. «Meglio un solo fiore, ma fatto ‘da dio’ – dice Goi – questa è la filosofia dell’azienda». C’è un lavoro di cui va particolarmente fiero? «L’ultimo, e non è un modo di dire, perché c’è una ricerca, un’evoluzione, anche se magari la vedo solo io». Come le è nata questa passione? «Mio padre dipingeva, quindi il contagio credo sia venuto da lì. Anche se poi i miei genitori mi hanno costretto a fare il Classico e Lettere. Erano anni difficili, e Brera non era esattamente un posto tranquillo. Ma ho insegnato solo per breve tempo, poi ho mollato tutto e ho cominciato a fare l’illustratore. Ho voluto conoscere un grande disegnatore, Franco Testa, e dopo una collaborazione con lui sono venuto in contatto con l’art director de L’Erbolario; così ho cominciato. Me ne sono anche andato, per un certo periodo, per andare a disegnare tessuti di pregio per alcune “grandi firme”, ma dopo due anni sono ritornato. Il lavoro non mi piaceva». Come mai? «Ritmi serrati, nessuna considerazione per il tempo delle persone, poco rispetto… Insomma sono tornato a L’Erbolario e non li ho più lasciati». Lei però continua anche a dipingere. Il lavoro di illustratore ha influenzato in qualche modo la sua pittura, o viceversa? «No, le due cose non devono interferire. Anche perché sono diverse. Come dice Franco Testa, l’illustratore naviga a remi, mentre il pittore va a vela, nel senso che fare l’illustratore costa tanta fatica, perché è arte applicata, mentre la pittura è libertà. Ecco, se questo mio lavoro mi ha condizionato nella pittura, lo ha fatto in un solo modo: mi ha reso più libero. Lavorando molto come illustratore, quando dipingo, mi sfogo, sono completamente me stesso, non devo dimostrare niente, non devo far vedere che so disegnare. In realtà così facendo, senza nessuna regola, mi vengono anche tanti pasticci, ma va bene così, mi diverto!».

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Associazioni

L’Eredità di Chiara di Cristina Signorelli

Chiara Simone Onlus è un’associazione che si occupa di malati oncologici, con particolare attenzione per gli adolescenti colpiti dalla malattia

N

el febbraio 2013, dopo solo quattro mesi dalla scomparsa di Chiara Simone, nasce a Pontirolo Nuovo l’Associazione a lei dedicata. Chiara Simone è una giovane diciasettenne, come molti suoi coetanei vive la sua vita tra studi e amicizie, tanti interessi e mille sogni per la testa, ed è proprio la testa che la tradisce quando si ammala di una grave patologia oncologica cerebrale. Oltre un anno di malattia non ha piegato Chiara, che ha vissuto quegli ultimi istanti della sua breve vita reagendo al dolore e all’inspiegabile destino che le è toccato in sorte, continuando a studiare per raggiungere quell’obbiettivo che si era prefissata: diventare insegnante per aiutare i bambini a crescere, consapevole che, principalmente, l’ascolto e la fiducia nell’altro aiutano i piccoli a sviluppare la propria personalità. Quando il 4 ottobre 2012 Chiara “vola su una soffice nuvola” la sua mamma Martina Limana, il papà Matteo e la sorella Valentina, di quattro anni più granChiara e Valentina Simone

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de, decidono insieme ai molti amici, che hanno circondato e supportato la famiglia con affetto durante la tremenda malattia, di costituire l’Associazione per dare seguito al sogno di Chiara di fare per gli altri. Chiara Simone Onlus si propone di essere vicina ai malati oncologici e alle loro famiglie, come punto di ascolto e supporto per superare le molte difficoltà che la malattia comporta. In particolare, specifica Valentina: «Ci rivolgiamo soprattutto agli adolescenti, per i quali il passaggio dall’infanzia all’età adulta è già problematico in condizioni di normalità, quando interviene una malattia tutto diventa ancora più difficile. Insieme alla solitudine la famiglia e il malato, spesso, devono fronteggiare situazioni del tutto nuove di cui non si ha conoscenza. Uno dei nostri obiettivi è sensibilizzare il territorio attraverso iniziative diverse, tra cui il

coinvolgimento delle scuole, da quelle per l’infanzia alle medie inferiori». L’Associazione ha istituito un comitato scientifico, composto da esperti del settore, al quale sottoporre i progetti per una valutazione preliminare di opportunità ed efficacia rispetto alle specificità della malattia. Molte delle iniziative attivate vengono dall’esperienza diretta di Martina e Valentina, come pure segnalate da altre famiglie coinvolte direttamente, e mirano a risolvere, attraverso la dedizione dei volontari, le criticità del sistema che non sempre è davvero in grado di prendersi cura del malato. In circa quattro anni di attività Chiara Simone Onlus ha donato 92 parrucche a malati oncologici, sottoposti a chemio terapia.

«Per mia sorella – spiega Valentina – perdere i suoi meravigliosi e lunghi capelli biondi a 17 anni ha sicuramente comportato un momento di ulteriore scoraggiamento, noi attraverso la donazione delle parrucche vorremmo alleviare questa sofferenza a molti malati. Per far ciò sappiamo che non è sufficiente fornirgli nuovi capelli ma anche accompagnarli in laboratorio, confortarli, ascoltarli nelle loro fragilità e paure». L’esperienza diretta della famiglia di Chiara ha mostrato quanto può essere importante rivolgersi ad un punto di ascolto, durante l’evolversi della malattia, e per i famigliari anche dopo il triste epilogo. Da due anni ormai l’associazione supporta il progetto “Accanto a chi fa crescere”, che fornisce sostegno psicologico alle famiglie di bambini e adolescenti colpiti da patologie oncologiche, accompagnandoli anche durante l’elaborazione del lutto, presso l’Unità di Psicologia clinica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, coordinata dalla dottoressa Simonetta Spada. La legge 285/97 prevede un valido servizio di istruzione domiciliare per tutti gli studenti affetti da patologie gravi, che non possono proseguire gli studi a scuola. Il progetto “W la scuola” dell’Associazione Chiara Simone garantisce, sul territorio, un servizio di insegnamento a domicilio che integra e completa quanto realizzato dalla struttura pubblica, attraverso un gruppo di insegnanti e studenti universitari che su base volontaristica prestano la loro opera a favore dei ragazzi malati.


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Anche “Fisioterapia... Comunque e sempre” si propone di alleviare le piccole grandi sofferenze quotidiane dei malati di cancro. Il progetto sostiene i costi, fino a esaurimento dei fondi a disposizione, per gli interventi fisioterapici necessari a ridurre un po’ il dolore al paziente, che non ha i requisiti per accedere a quelli forniti dal servizio sanitario nazionale. Sono davvero tante le iniziative messe in campo dalla Onlus, come per esempio “Progetto Chiara” che nelle prime edizioni era una raccolta di alimenti e vestiti per bambini da donare, nel periodo natalizio, al reparto oncologico dell’Ospedale Gaslini di Genova, dove Chiara era stata a lungo ricoverata. L’anno scorso, lo stesso progetto ha avuto una nuova veste poiché, in collaborazione con molte scuole del territorio, è stato realizzato il libro “Il dono” che raccoglie i disegni che i bambini, sensibilizzati dai loro insegnanti, hanno fatto per comunicare solidarietà e comprensione ai coetanei malati. Una grande forza deriva dalla capacità di fare rete con le associazioni del territorio, collaborando insieme a realtà diverse con l’unico scopo di aiutare chi soffre. Come avviene a maggio quando viene celebrata una grande festa “In ricordo di Chiara… Una di noi” il cui compleanno era il 10 del mese, durante la quale moltissimi amici oltre a gruppi sportivi e associazioni locali partecipano attivamente. Molto importante anche la collaborazione con l’Associazione Cure Palliative di Bergamo – con la quale è in programma un importante convegno che si terrà a Pontirolo in aprile – presso la quale verranno formati i volontari di Chiara Simone Onlus. Martina conclude: «Il nostro scopo è aiutare chi come noi è stato terribilmente colpito da questa malattia. Non possiamo sprecare la voglia che aveva Chiara di fare qualcosa di buono per gli altri, realizzarlo al posto suo, per noi, è continuare a farla vivere».

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Educazione

Ragazzi on the Road di Gabriele Lingiardi

Una bella iniziativa, tutta bergamasca, permette ai neopatentati di imparare sul campo l’importanza di viaggiare responsabilmente

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utto è iniziato dieci anni fa con un incontro o, per meglio dire, con uno scontro. I due protagonisti di questa storia sono un giovane cronista, Alessandro Invernici, e Giuseppe Fuschino, agente del Corpo di Polizia Locale della Val Seriana. I due si sono incontrati sull’asfalto: il primo raccontava gli incidenti stradali attraverso i suoi articoli, il secondo cercava di evitarli grazie al suo lavoro. La consapevolezza dell’altissimo numero delle vittime dovute alla guida in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, o a un approccio all’irresponsabile, dovuto forse all’inconsapevolezza, nei confronti della velocità, ha portato Alessandro e Giuseppe a interrogarsi profondamente. Così è arrivata l’ispirazione di Ragazzi on the Road: un’associazione nata con lo scopo di coinvolgere i giovani che, neopatentati, si stanno per introdurre nel mondo con un mezzo proprio, e renderli consapevoli dei pericoli che si possono incontrare viaggiando irresponsabilmente. «È uno schianto con la realtà senza filtri – ci ha detto Alessandro – che ci fa battere la testa senza farci del male». L’iniziativa è unica in Italia, si estende in tutta la bergamasca, ed è nata in collaborazione con diverse istituzioni. In particolare è stata fondamentale la sinergia con le scuole. Ragazzi on the Road propone anche uno stage decisamente insolito ai giovani studenti over 18: i partecipanti possono infatti vivere tre settimane intensive a stretto contatto con gli operatori delle Forze dell’Ordine, il Corpo di Poli-

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zia Locale e molte altre squadre, diventando parte attiva del team. Fuori dalle aule scolastiche la sfida diventa quella di dare il proprio contributo alle forze che tutelano i cittadini e imparare a conoscere quel mondo. Deborah Mazzocca, studentessa all’ultimo anno di ragioneria, che ha di recente preso parte al progetto, ci ha raccontato che: «le occasioni di crescita sono sicuramente numerose. È stata un’esperienza unica nel suo genere, mi ha messo in contatto in prima persona con le istituzioni, dandomi un punto di vista diverso su una realtà purtroppo poco conosciuta dai miei coetanei». La forza di Ragazzi on the Road consiste, appunto, nel cambio di ruoli tra istituzioni e civili. I partecipanti possono infatti vivere esperienze come passare una notte nella centrale operativa dell’AREU (Azienda Regionale Emergenza Urgenza) e aiutare nel soccorso alle vittime delle “stragi del sabato sera”. I Vigili del Fuoco, i Sommozzatori, la Protezione Civile sono altre realtà in stretta collaborazione con l’associazione. Alcuni partecipanti hanno anche avuto modo di provare l’a-

ereo ambulanza e recarsi sui luoghi delle emergenze, dando una mano ai professionisti. «Sono rimasta molto colpita dall’esperienza della Croce Bianca – continua Deborah – ho passato una giornata con i volontari ed è stata intensa e inaspettata. Siamo anche andati in montagna, in Valle di Scalve, con la Polizia Provinciale e abbiamo scoperto un mondo che, prima d’ora, ci era sconosciuto. Consiglierei questa esperienza ai miei coetanei, è concreta ed estremamente formativa!». Il successo dell’iniziativa, giunta quest’anno alla settima edizione, è stato travolgente al punto che, dice con un certo orgoglio Alessandro, i giovani che chiedono di partecipare sono talmente numerosi da rendere necessario operare una selezione. In passato è capitato inoltre che, dopo le tre settimane, alcuni ragazzi decidessero di indirizzare la loro vita, una volta concluso il percorso scolastico, verso l’Esercito o l’Arma dei Carabinieri. Segno di quanto l’esperienza sia toccante e importante. Antonio Nocera, Comandante del Corpo di Polizia Locale di Treviglio, ha accolto con interesse l’idea: «Da parte nostra l’obiettivo è fare vedere da un’altra ottica cosa sia l’attività che portiamo avanti ogni giorno. Non siamo dei nemici, siamo degli alleati che operano per la sicurezza di tutti. Ragazzi on the Road è in grado di comunicarlo ai giovani con efficacia e questi, magari, possono spiegarlo ai loro coetanei, creando così una maggiore consapevolezza che va a beneficio dell’intera comunità». L’amministrazione comunale di Treviglio ha voluto tributare, nel mese di gennaio, un riconoscimento speciale a Deborah per il suo impegno nel progetto. Per chi volesse saperne di più l’associazione è presente su Facebook e possiede una pagina web aggiornata e dinamica (ragazziontheroad.it), in cui trovare i video delle iniziative, i racconti in prima persona dei protagonisti e una serie Web incentrata sul racconto delle azioni di salvataggio.


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T I N T E G G I AT U R E PITTURE DECORATIVE

Imparare la corretta alimentazione di Claudia Grossi

Come acquisire sane abitudini alimentari alla scuola primaria

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reatività. In questa parola è nascosta la formula segreta per affrontare e risolvere i problemi. Questo termine racchiude la magia che fa trovare soluzioni, inventare nuovi percorsi, sperimentare strade alternative. Alla creatività si sono affidate due giovani realtà professionali trevigliesi per elaborare un’iniziativa didattica destinata ai bambini delle Scuole Primarie dell’hinterland di Treviglio, che riguarda una tematica molto gettonata, di cui sono piene le pagine delle programmazioni scolastiche: l’alimentazione. Per poter combinare in modo efficace Scienza, Educazione alla salute e alla prevenzione con le esigenze degli insegnanti e le richieste dei bambini è certamente indispensabile possedere una buona dose di creatività. E la creatività è il motore pulsante dell’intero Progetto che vi presentiamo, basato su attività laboratoriali che consentono ai bambini di scoprire, di sorprender-

si, di stupirsi mentre imparano concetti che sembrano banali, ma che sono invece carichi di rigore scientifico. Si tratta di un’occasione educativa nuova nel suo campo, che approfondisce un tema ampiamente dibattuto, con un taglio decisamente innovativo. Di cosa si tratta? Il Progetto si chiama “Mangio Cosa? Impariamo dalla Preistoria!” e nasce dalla condivisione di idee e competenze di chi vi scrive e delle Dott.sse Elisa Bonetti ed Eleonora Isaia. La sottoscritta è una biologa esperta in comunicazione storico-scientifica e responsabile di BioEvo - Progetti educational (www.progettibioevo.it); le seconde, consulenti nutrizioniste qualificate del centro Diètnatural di Treviglio, in via San Martino. “Mangio Cosa? Impariamo dalla Preistoria!” scaturisce dalla volontà di Diètnatural e BioEvo di offrire agli studenti di Scuola Primaria le opportune informazioni sulla dieta e di far acquisire abitudini alimentari sane stimolando, nel contempo, l’abbandono di eventuali comportamenti errati. Il tema trattato si inserisce nell’ambito dell’Educazione alimentare, sviluppandolo secondo le linee della didattica laboratoriale sperimentale, proponendo lezioni di due ore in cui lo studente è artefice e protagonista di ogni attività: esperimenti, giochi, ricostruzioni, simulazioni, osservazioni con microscopio... I bambini apprendono sperimentando in modo concreto, utilizzando strumentazione scientifica appropriata e guidati dalla mano esperta dell’operatore didattico BioEvo. I laboratori sono completamente gratuiti e, nell’anno scolastico in corso (a.s. 2016-2017), coinvolgeranno le Scuole Primarie di Casirate (I.C. di Casirate d’Adda) e di Verdellino (I.C. di Verdellino). L’intenzione è quella di riproporre il Progetto il prossimo anno scolastico in forma più estesa, coinvolgendo un numero maggiore di studenti, insegnanti e famiglie. Questo obiettivo potrà essere realizzato grazie al rinnovato prezioso supporto di Diètnatural, punto di riferimento nel settore del benessere e dell’alimentazione, principale promotore del Progetto.

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Giovani

Insegnare italiano ai ragazzi stranieri di Ingrid Alloni

Una riflessione sullo scambio culturale e la conoscenza del diverso a partire dalla propria lingua

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o iniziato a collaborare con Intercultura due anni fa. Mi è stato proposto di diventare la nuova insegnante di italiano per i ragazzi stranieri che avrebbero trascorso in Italia più di due mesi. Sono sempre stata una persona curiosa, per questo motivo ho accettato subito. Quest’esperienza mi ha fatto apprendere più di quanto pensassi all’inizio: non credevo fosse troppo difficile insegnare la mia lingua, lingua che conosco e parlo da vent’anni. La situazione si è invece rivelata più impegnativa rispetto alle mie aspettative: cominciare da zero, per quanto possa sembrare semplice, non è assolutamente scontato. Spiegare la grammatica, le tantissime eccezioni di cui l’italiano non manca, ma anche le abitudini e le nostre tradizioni mi ha fatto molto riflettere. Dopo due anni di corso posso dire di condividere completamente gli obiettivi che si propone Intercultura. Cosa significa conoscere l’Altro? Chi è l’Altro? In primis, l’Altro è lo specchio di noi stessi. È attraverso la diversità che possiamo trovare e scoprire la nostra identità. Oggi si può esplorare il mondo anche in prima persona, si possono conoscere le diverse tradizioni e usanze non solamente attraverso i libri. Se fino a qualche anno fa si poteva soltanto immaginare cosa ci

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fosse dall’altra parte della Terra, oggi lo si può andare a vedere con i propri occhi. In un mondo in cui è diventato così semplice viaggiare, così facile e poco dispendioso trovare un volo, anche subito, per partire e andare a scoprire un luogo nuovo, in cui quasi tutto è diventato possibile, credo sia importante la volontà di conoscere il diverso. Conoscere per stupirsi. Conoscere per imparare. Conoscere per meravigliarsi. Mi piacerebbe avere la conferma che la mia generazione non abbia più paura dell’Altro, ma ne sia attratta. Credo che proporre un cambiamento decisivo in età così giovane sia uno dei principali valori di Intercultura. Le esperienze che si possono vivere sono veramente infinite e iniziare a viaggiare fin da subito crea uno stile di vita per cui è difficile annoiarsi. Vivere per un certo periodo all’estero implica anche perdere inizialmente i propri punti di riferimento, ma ciò significa imparare l’autonomia e il coraggio di farcela anche da soli. Ho deciso che l’ultima lezione del corso non avrei insegnato io. Io avrei preso appunti, avrei ascoltato una piccolissima parte che i ragazzi volevano condividere con noi della loro lingua. Le ore che ho trascorso con loro sono state uno scambio di culture, di incontri fatti di gesti quotidiani, di piccole differenze che rendono veramente

affascinante l’Umanità. Non mi sono mai resa conto di quanto possa essere differente anche solo un saluto finché non ho vissuto ciò in prima persona. Durante l’ultima lezione gli approcci sono stati completamente liberi: non ho voluto imporre un modello di lezione, volevo che fosse la loro propria scelta a rappresentarli. In questo modo c’è stata una grande varietà: chi ha scelto di preparare per gli altri una pagina scritta a mano con le regole principali, chi ha improvvisato in modo molto ironico, chi ha chiesto a noi cosa ci interessasse della sua lingua. Credo che questo sia un semplice esempio adatto a rappresentare il concetto di scambio tra culture diverse: non c’è un modo di vivere superiore rispetto ad un altro, non c’è un Paese migliore e uno peggiore. Ci sono tante differenze, ma sono proprio queste a renderci interessanti. Scoprire una tradizione significa lasciarsi affascinare. Assumere un atteggiamento di confronto e di curiosità nei confronti dell’ignoto lo rende già familiare e accogliente. Ho osservato molto ognuno dei sette ragazzi con cui ho trascorso quasi tre mesi, ho chiesto loro abitudini del proprio Paese, mi sono interessata, mi hanno incuriosita: Sophie mi ha raccontato dell’importanza attribuita alla festa di Santa Lucia in Svezia; Ceren mi ha spiegato come cucinare i fantastici dolci turchi; Leng mi insegnato il rispetto nei confronti di chiunque, tipico della cultura thailandese; Carmen mi ha proposto di andare a trovarla in Portogallo, quest’estate; Ming mi ha detto quanto siano diversi i cibi tradizionali dell’Italia, rispetto a quelli di Hong Kong; Carlos mi ha fatto comprendere l’importanza del ruolo della madre nella famiglia messicana; Abby mi ha mostrato moltissime foto della famosissima New York. Finora non ho mai visitato nessuno di questi Paesi, ma in parte ora credo di conoscerli un po’, grazie a questi ragazzi e al dialogo avuto con loro, incredibile filo che lega chiunque.


La mia casa è la tua casa di Daniela Regonesi

Inaugurata nel settembre del 2015 a Treviglio, la casa di Elisa offre infinite esperienze

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ieni le chiavi e fai come se questa fosse casa tua», con queste parole Elisa Bergamini mi introduce alla filosofia con cui ha pensato la sua casa: un posto accogliente e speciale, “un luogo dalle infinite esperienze”. Il logo è un acquerello verde in cui si staglia la sagoma di un albero, capace di richiamare sia il grande pioppo che campeggia nel giardino – quindi la natura, fondamentale componente del progetto – sia l’arte e la fantasia, in una tonalità brillante e divertente. La casa di Elisa è la «realizzazione lenta e graduale di un sogno nel cassetto, in cui nulla è lasciato al caso, ma è stato meditato al momento della ristrutturazione. Un luogo pensato per i bambini ma utilizzato anche dagli adulti». La sua ideatrice vi ha declinato e materializzato le proprie convinzioni di professionista, mamma e pedagogista, attingendo e riproponendo il meglio di ciascuna delle proprie sfaccettature. L’edificio rurale è stato riprogettato mantenendone il carattere rustico, ma coniugandolo alla modernità e comodità: è zona Wi-Fi free, le stanze sono dotate di diffusione sonora e vi è una sala equipaggiata con un sistema di proiezione multimediale, nella quale è possibile organizzare conferenze. Come in ogni casa che si rispetti non manca un’attrezzata cucina, e si possono ospitare fino a 50 persone comodamente sedute, con ampia flessibilità d’uso (feste, riunioni di famiglia, cerimonie, ecc.). «Ho scelto di inserire il riscaldamento a pavimento e rivestimenti in legno, per dare un’impronta particolare: qui si sta preferibilmente a piedi nudi, d’obbligo per i bambini, riscoprendo sensazioni

arcaiche e genuine»; e nella bella stagione i piedi, liberi, esplorano l’ampio giardino, lasciandosi accarezzare dal prato e riscoprendo il contatto con la terra, e con esso stimoli e sicurezza. Il dialogo esterno-interno è marcato, agevolato dalle ampie vetrate dalle quali si riversa la luce. È accogliente, la casa di Elisa, anche se a uno sguardo distratto potrebbe apparire spoglia: non è così, semplicemente aspetta di essere vissuta, interpretata, riempita dalle idee e dalla fantasia di chi vi entrerà. Il parco, per esempio, nei suoi 3.300 mq di verde calpestabile, ospita alcuni semplici giochi in legno, tra i quali una carrucola ed una vasca con la corteccia: qualunque genitore sa quale irresistibile tentazione siano per i piccoli, e quale dono sia il lasciarli liberi di correre, sporcarsi, arrampicarsi sugli alberi, manipolare. E persino prendersi cura di un orto, o ammirare i pesci che sguazzano liberamente nel fosso. Non mancano, tuttavia, corsi strutturati e laboratori, per i quali Elisa ha prestato molta cura nella selezione, ricercando professionisti di altissimo livello: «il corso di shiatsu per bambini, ad esempio, è una metodologia per conoscere l’altro attraverso il contatto, entrare in relazione con un amico non conosciuto attraverso una coccola». La cura è una delle parole-chiave di questa casa speciale, in cui le attività – canto, inglese, cucina o danza, per citarne alcune – ospitano al massimo una dozzina di

bambini (il numero sale a 25 per il Summer Camp): «vi è una serenità di fondo perché i bimbi percepiscono un’attenzione particolare, lì sta la coccola». La cura è quella che i grandi riservano ai piccoli, nei gruppi eterogenei per età e caratteri, ed è la stessa che vede entusiasti novelli agricoltori innaffiare, togliere erbacce e raccogliere frutti. Non servono tablet o videogiochi, bastano un salone e dei birilli in lego, un sottofondo musicale o un parco in cui giocare con palloni e corde, dando sfogo alla creatività. Non ci sono libri, semplicemente le storie si raccontano, riscoprendo il pregio ed il fascino del racconto animato. «Il mio percorso di studi mi ha portato a queste scelte, perché sono convinta che prima di fare una cosa di testa devi risvegliare il tuo corpo. I ragazzi non si distraggono durante le lezioni, ad esempio hanno cominciato ad imparare lo spagnolo danzando. Ho conseguito un master in pedagogia Steineriana e approfondimento didattico ad indirizzo Montessoriano, dei quali però non utilizzo tutti i precetti. Sicuramente il partire dalla parte artistica per arrivare a tutta la conoscenza, oppure l’importanza dei colori: mixo, con il mio tocco personale, diversi pensieri che arricchiscono l’idea della crescita di una sana persona. Ad esempio ai nostri corsi di danza si viene per il piacere di ascoltare la musica e ballare liberamente, nei laboratori diamo il via libera alla manualità con materiali di stagione, come la calda lana non cardata in inverno». Un progetto speciale, la cui cifra è l’unicità. Accomodatevi ed organizzate il vostro momento speciale, senza dimenticare di lasciare gli ambienti così come li avete trovati: anche nella Casa di Elisa è fondamentale lo spirito di collaborazione. Febbraio 2017 •

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Storia

Il Santuario di Treviglio nella Lombardia spagnola di Elio Massimino

Pensato per celebrare il “miracol”, segna la Controriforma in Gera d’Adda

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orreva l’anno 1522 quando a Treviglio, minacciata di saccheggio, l’immagine quattrocentesca di Madonna con Bambino affrescata nella chiesa del convento delle suore di S. Agostino “d’improvviso cominciò a piangere, e da’ suoi occhi, dal volto e da tutto il corpo, miracolosamente sparse gran copia d’acqua e di sudore” (Cesare Pezzani, Protonotaio Apostolico, 15 giugno 1619). Il console Battaglia, riferisce il canonico Girolamo Barizaldi, accogliendo il cardinale Borromeo in occasione della traslazione dell’immagine, gli descrisse il miracolo dicendo che “fece Egli grondar pianto, e sudar sangue per sette ore continue”. Col passare del tempo la narrazione si è dunque ristretta alla lacrimazione, ma il miracolo avrebbe avuto caratteristiche diverse, almeno secondo queste testimonianze raccolte da Paolo Furia nel volume Il mio Campanile. Posta la prima pietra nel 1592, il monumento venne consacrato nel 1616 e dunque possiamo chiederci perché Treviglio, che pure nei secoli precedenti era stata capace di edificare una notevole Basilica, abbia impiegato qua-

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si cent’anni per costruire un Santuario che, come vedremo, aveva dimensioni assai più modeste di quelle attuali. Non solo Treviglio ma tutta l’Italia era in declino nel ‘500, direi che questa può essere la risposta. Due le cause principali. La prima è l’instaurarsi dell’egemonia spagnola su quasi tutta la penisola con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559. La seconda è che, quasi in contemporanea (1563), si concluse il Concilio di Trento, che sancì la rottura con il mondo protestante. In poche parole, prevalse l’ala conservatrice della Chiesa cattolica e dunque non venne fatta nessuna concessione ai protestanti in materia di transustanziazione, sacramenti, funzione del prete, predestinazione, purgatorio, potere del papa, indulgenze, culto dei santi e via discorrendo. Nel resto d’Europa scoppiarono sanguinose guerre di religione mentre in Italia i protestanti, che erano poco numerosi, vennero presto neutralizzati. In Calabria, dove viveva una piccola comunità di valdesi, “Il vicerè di Napoli ordinò una caccia all’uomo senza precedenti, che portò allo sterminio di quegli innocenti. In undici

giorni ne vennero massacrati duemila” (Indro Montanelli, Storia d’Italia). Non mancarono le streghe mandate al rogo anche nella Lombardia di San Carlo Borromeo, mentre a Roma veniva arso vivo Giordano Bruno (1600) e la stessa sorte avrebbe subìto Galileo Galilei se non avesse abiurato. La Chiesa rivolse la severità della Controriforma anche verso se stessa, imponendo ai chierici uno stretto rigore morale, ma purtroppo essa cominciò anche a guardare con sospetto la cultura e la scienza (il caso Galileo è emblematico), attivando la messa all’indice dei libri e l’Inquisizione. La lettura e l’interpretazione dei testi sacri divennero esclusiva del clero, considerato l’unica fonte legittima di istruzione religiosa del popolo, insieme alle immagini dell’arte sacra. Nel mondo protestante, invece, le immagini divennero superflue perché il rapporto con Dio passava attraverso lo studio individuale della Bibbia. Scherzando ma non troppo, lo storico dell’arte Philippe Daverio dice che la gente fu invitata a non leggere e a guardare le figure e così ancora oggi in Italia si legge poco (men che meno la Bibbia) e si guardia molto la televisione. I Trevigliaschi avevano nel raggio di poche miglia splendidi esempi di chiese rinascimentali a pianta centrale, come la magnifica Santa Maria della Croce a Crema (1490), ma in quel clima di caccia alle streghe preferirono attendere direttive sullo stile da adottare per il loro Santuario. San Carlo Borromeo nel suo Istructionum Fabricae ecclesiasticae finalmente dettò le regole per costruire le chiese della Controriforma, di cui San Fedele a Milano (1579) è considerata il modello: navata unica di forma rettangolare, un pulpito importante, cappelle laterali e un eventuale transetto poco esteso. Con queste direttive iniziò finalmente la costruzione del Santuario. Il cardinale di Milano Federico Borromeo (quello dei Promessi Sposi), racconta ancora il canonico Barizaldi, “erasi per villeggiare portato a Groppello sull’Adda vicino meno di quattro miglia a Trevì. Affine di accrescere decoro alla traslazione, mandaronsi colà quattro Delegati, per supplicarlo ad assistere alla solennità che preparava-


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si”. Quando fu tutto pronto, era il 14 giugno 1616, egli entrò a Treviglio da Porta Torre dove “ritrovò ivi il Clero in cotta, disposto sotto della sua Croce in processione, che ivi lo accolse sotto ricchissimo baldacchino”. Il giorno seguente, dopo una funzione in San Martino, “la processione si diresse in Sant’Agostino ove stava sotto baldacchino la sacra Immagine. Allora il Cardinale prostratosi fece orazione, poi sorgendo cantò la orazione di nostra Donna e diede il sacro incenso all’Immagine. Poco dopo l’effige entrò felicemente in Santuario”. Ma c’è un seguito. A fine ottocento le dimensioni del monumento vennero quasi triplicate con l’aggiunta dell’abside e del transetto sovrastato da una notevole cupola. In genere gli interventi su monumenti antichi sono deleteri, ma credo che questo sia uno di quelli riusciti. L’ingegner Nava dette una certa imponenza, direi vagamente rinascimentale, a un edificio altrimenti abbastanza anonimo, a cui nel ‘700 era stata pure aggiunta una facciata barocca che definirei piuttosto “ordinaria”. Il Santuario, prima e dopo l’ampliamento, è stato arricchito di numerose opere d’arte di cui alcune di gran qualità. Non ne mancano di moderne come la decorazione a mosaico di Trento Longaretti nella cripta, ma l’impronta generale degli abbellimenti è barocca. Nel corso del ‘600 infatti il rigore del Borromeo venne soppiantato dal fasto dello stile barocco, il vero linguaggio della Controriforma. Ma questa è un’altra storia.

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Arte

Il santuario della Madonna delle Lacrime a Treviglio di Francesca Possenti

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l dipinto è opera di Luigi Cassani, pittore trevigliese formatosi all’Accademia Carrara di Bergamo negli anni compresi tra il 1906 e il 1913. Luigi Cassani non si dedicò soltanto alla pittura ma svolse anche l’attività di industriale di mobili d’arte e per un certo periodo, dal 1929 al 1938, ricoprì la carica di podestà della città di Treviglio. Il dipinto intitolato Il santuario della Madonna delle Lacrime a Treviglio fa parte di un nucleo di trentasette opere (dipinti e sculture) esposte per la prima volta nel 1999, presso la allora nuova Sala Crociera del Centro Civico Cultuale. La corposa serie è pervenuta al Museo di Treviglio in seguito alla donazione da parte di Edoardo Cassani ed Ettorina Gorreri, rispettivamente figlio e nuora di Luigi Cassani, che con tale gesto

volevano ricordare il figlio Luigi (Gigi), deceduto nel 1991 in giovane età. L’opera che vi presentiamo questo mese è un paesaggio, genere che, insieme a quello della natura morta, è trattato dall’artista soprattutto in ambito privato, realizzando piccole composizioni dipinte “all’aria aperta” con una tecnica veloce, sintetica e rispettosa del reale. Il Museo conserva diversi paesaggi del pittore trevigliese, nei quali sono raffigurati scorci e luoghi noti al pittore, nei quali probabilmente era solito recarsi nel tempo libero; tra questi ricordiamo: Risorgiva, Il ponte vecchio di Rivolta d’Adda, Viottolo di campagna, Il capanno di Pép, La cava di ghiaia, L’Adda, Barche sull’Adda. Soggetto del dipinto preso in esame è il Santuario di Treviglio: la chiesa si

erge imponente e ben definita al centro dell’immagine, mentre le case attorno risultano più indefinite. Nella parte alta il cielo azzurro occupa una fascia orizzontale trasparente ed uniforme, ne deriva un orizzonte ampio ed esteso che genera uno sfondo vasto e infinito. I colori utilizzati per rappresentare la città sono soprattutto caldi, in particolare troviamo il marrone, l’ocra ed il rosa declinati in tonalità più chiare e più scure. Si noti in particolare la copertura del tetto a spicchi dipinti in gradazione di colore. Alcune pennellate più chiare illuminano con rapidi tocchi la scena. Nel complesso però l’insieme appare quasi monocromo. È una pittura sintetica, dove le forme geometriche la fanno da padrone, le pennellate rapide e corpose disegnano le forme, costitute soprattutto da solidi. Spiccano il tamburo, il tetto a forma piramidale e il campaniletto pronunciato, che appare più slanciato che nella realtà. Il tutto è costruito a partire da linee orizzontali e verticali che si incontrano in ortogonale e da una serie di linee inclinate che danno vita alla composizione posizionandosi verso l’alto e verso il basso. Inoltre il chiaroscuro sottolinea le forme mettendone in risalto la tridimensionalità. Nell’opera si possono ravvisare riferimenti alle correnti artistiche del periodo, in particolare al Cubismo (nell’impostazione geometria dell’insieme), al Ritorno all’ordine (nelle forme semplici e regolari), alla poetica di Cézanne (nella ricerca della essenzialità). Il dipinto suggerisce allo spettatore l’impressione di una città salda e stabile, che si sviluppa attorno alla “sua” chiesa, il Santuario, eretto a ricordo del Miracolo del 28 febbraio 1522. Luigi Cassani (1893-1946) Olio su tavola, cm. 44 x 46 (1922-24 circa)

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Com’era - Com’è

a cura di Marco Falchetti

Probabilmente la fotografia degli anni Venti è stata scattata il giorno del patrono San Lorenzo: lo si deduce dalla bancarella all’a ngolo della piazza. Ci piace immaginare che la gente in bella posa in mezzo alla strada senza traffico – l’odierna statale Bergamina – si fosse appena rifornita della razione di pane e ceci che, per il lascito di un nobile arzaghese, il 10 agosto viene tuttora distribuita agli abitanti di Arzago d’Adda.

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Amarcord

Renato Cialente

O Quando c’era il Distretto Militare di Marco Falchetti e Lino Ronchi

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partire dal 1870, la suddivisione militare del territorio italiano venne organizzata in “distretti” e, generalmente, la zona sulla quale questi organismi avevano giurisdizione coincideva con la circoscrizione amministrativa, salvo alcune eccezioni. Il Distretto Militare era composto da un Ufficio Comando che trattava tutte le questioni di carattere generale, un Ufficio per i provvedimenti relativi al reclutamento, alla mobilitazione e ai richiami di classi e, infine, da un Ufficio Amministrativo. Queste strutture avevano, principalmente, il compito di fornire al Comando del Distretto e a quelli di grandi unità il personale di truppa ad essi occorrente, e provvedere all’amministrazione e alla disciplina delle reclute e dei richiamati. Nei distretti più importanti il Comando era retto da un colonnello. Tra il 1871 e il 1897 il numero dei distretti militari, tra cui quello di Treviglio che comprendeva tutti i paesi della “Bassa” a partire da Dalmine e diversi paesi del cremasco, passò da 45 a 88, mentre con il Regio Decreto nº 451 del 20 aprile 1920 divennero 106. Il Distretto cittadino, ubicato nell’attuale viale 24 maggio, dove ora sorge il Centro Diurno Polivalente, aveva responsabilità per tutto quanto concerneva le operazioni di leva, la mobilitazione, il servizio militare degli ufficiali inferiori,

dei sottufficiali e dei militari di truppa in congedo di tutti i nati o residenti nell’area di competenza. La Legge nº 396 del marzo 1926 portò a 100 il numero dei distretti, confermato poi con il Regio Decreto nº 1723 dell’ottobre 1934, mentre l’articolo 30 della Legge nº 368 del giugno 1940 sull’ordinamento del Regio Esercito elevò il numero a 116. Dopo la seconda guerra mondiale i distretti mantennero le funzioni di selezione e reclutamento obbligatorio, quelle attinenti al servizio matricolare e alla sistemazione della forza in congedo, nonché la conservazione e gestione della documentazione ufficiale relativa al servizio militare dei cittadini nati o residenti nel territorio; gli ufficiali inferiori, i sottufficiali e i militari di truppa di qualsiasi classe, sempre nati o residenti, erano in forza al Comando di quel Distretto e lì dovevano far capo per tutte le questioni relative al loro servizio militare nell’esercito. La sede di Treviglio, attiva dalla seconda metà del 1800, venne dismessa nel 1962, quando terminò tutte le sue funzioni ed incorporata in quella di Monza. A seguito della Legge nº 331 del 2000, che stabiliva la sospensione della leva militare obbligatoria, i distretti sono passati alle dirette dipendenze dei Comandi Reclutamento Forze di Completamento regionali e sono stati soppressi i Gruppi selettori e i Consigli di leva, mentre nel 2005, al termine del graduale passaggio ad un esercito costituito da personale professionale in servizio permanente o volontario, sono stati rinominati “centri documentali” dove viene svolta attività certificativa, di informazione al pubblico e di custodia degli archivi.

ltre agli illustri personaggi storici a cui Treviglio ha dato i natali, pochi sanno che nella nostra città è nato anche un grande attore teatrale e cinematografico, famoso interprete di tante pellicole, la cui carriera fu interrotta da un tragico incidente: Renato Cialente. Il nostro nacque a Treviglio il 2 febbraio1897 perché il padre Alfredo, ufficiale di carriera del Regio Esercito, era il comandante del Distretto Militare locale. La famiglia lasciò, poi, la città l’anno seguente perché il genitore fu trasferito a Cagliari. Renato iniziò a recitare quindicenne nel teatro del collegio svizzero che frequentava e, visto il lusinghiero successo, il padre decise di sottoporlo al giudizio del famosissimo attore teatrale Ermete Zacconi che lo accolse nella sua compagnia. Cialente debuttò nel 1916 con la compagnia del teatro Argentina di Roma. Divenne poi uno degli attori principali di famose compagnie, come quella di Tatiana Pavlova, mentre fu l’interprete preferito di Luigi Pirandello per le sue opere. Nel 1934 fondò una compagnia con Elsa Merlini, che fu anche sua compagna nella vita. Tra il 1941 e il 1943 interpretò numerosi film: nella sua relativamente breve vita ne girò una quarantina circa. In molti di essi fu attore protagonista con compagni del calibro di Alida Valli, Paolo Stoppa, Mario Soldati, Amedeo Nazzari, Elsa Merlini, Gino Cervi, Valentina Cortese, Rossano Brazzi, Gabriele Ferzetti, Peppino e Titina De Filippo, Ernesto Calindri, Alberto Sordi, Vittorio De Sica. Purtroppo la sua carriera fu stroncata da un malaugurato incidente: il 25 novembre 1943 venne travolto da un’auto degli occupanti tedeschi, all’uscita di un teatro della Capitale in cui aveva recitato la sua ultima parte: quella del barone ne “L’albergo dei poveri”. Riposa nel cimitero monumentale del Verano a Roma, città che gli ha dedicato una via sulla Pontina.

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Musica

Il mio nome è AmbraMarie di Daniela Invernizzi

Intervista con la rocker di Calvenzano, in dicembre è uscito il suo secondo disco

L’

hanno chiamata in tutti i modi: Arbre Magique, Ambramaria, Acquamarine, Ambra e i suoi marines… E invece si chiama proprio così: AmbraMarie, tutto attaccato. «Non c’è un motivo preciso per la scelta di questo nome – racconta – semplicemente a mia madre piaceva il suono». A 29 anni AmbraMarie torna sul mercato discografico con il suo secondo disco “Bruciava tutto”. La incontriamo per parlare di questo lavoro e anche per conoscerla meglio. Forse la maggior parte dei lettori se la ricorda per la sua partecipazione a X Factor due, nel 2009. Giovanissima, arrivò fino alla sesta puntata, quando fu eliminata in un testa a testa esaltante con Daniele Magro. «In realtà non esisteva tutta quella competizione e rivalità che gli autori volevano far credere – dice AmbraMarie – nella casa, dove siamo stati relegati per due mesi, siamo diventati tutti amici e ci siamo divertiti. Conservo un bellissimo ricordo di X Factor, specie dal punto di vista umano. A livello lavorativo mi ha dato una grande visibilità e la possibilità di farmi conoscere in un modo prima impensabile». In seguito però la cantante decide di proseguire per la sua strada, uscendo dai meccanismi delle case discografiche che le stavano un po’ stretti, specie quando si profila l’ipotesi di lasciare il gruppo e cominciare una carriera solista. Una band, quella formata da Raffaele D’Abrusco (basso e voci), Michele Vanel-

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li (chitarra e voci) e Mattia Degli Agosti (batteria), che è ancora quella degli esordi, quando AmbraMarie aveva solo 16 anni: «Ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme. Raffaele (D’Abrusco, ndr) mi conosce come le sue tasche, tanto che il testo del primo singolo di questo nuovo disco, “Diversa”, l’ha scritto lui, anche se parla proprio di me e io non avrei saputo dirlo meglio». Partiamo proprio da qui, dal nuovo disco “Bruciava tutto”. «Ѐ uscito a dicembre 2016 dopo una lavorazione di due anni e mezzo. Pur essendo il secondo disco, per me è come se fosse il primo. Rispetto al precedente “3anni2mesi7giorni”, che aveva avuto una gestazione lunghissima, di dieci anni, con pezzi in inglese e in italiano, questo disco è più maturo, si sente che abbiamo le idee più chiare; ha solo pezzi in italiano, è molto autobiografico (in pratica i testi si riferiscono alle mie vicissitudini personali degli ultimi due anni); è molto rock, di impatto, ma anche malinconico, un po’ come sono io. Undici le tracce, anzi, dieci più una “ghost track”, che non dovrei dire, ma poi lo faccio sempre, perché è la mia preferita… Ho sempre amato le ghost track dei dischi, perché voleva dire che chi le scopriva era arrivato proprio fino in fondo al disco, se l’era consumato tutto. Oggi questa cosa si è un po’ persa, l’ascolto è più superficiale, c’è meno attenzione».

Colpa di Internet… «Da una parte è bellissimo che ci sia tanta scelta, e una maggiore possibilità di arrivare a un largo pubblico; dall’altra tutto viene consumato velocemente. Inoltre molto spesso la musica è gratis, per cui non viene più percepita come qualcosa cui dare un valore. Anche dal punto di vista della qualità musicale, secondo me, c’è un po’ di involuzione. Però voglio essere ottimista e cogliere solo i lati positivi. Bisogna star dietro ai tempi, è l’unica cosa da fare». E a star dietro ai tempi sembra che AmbraMarie sia proprio portata, visto che da marzo 2016 conduce il programma “Italians do it Better” su Rock Tv, programma dedicato alla musica rock italiana e che ora sbarca in diretta su Facebook, un nuovo modo di essere “media”, sfruttando le enormi potenzialità del social. In passato ha lavorato anche per DeeJay Tv: «Non ho mai avuto l’ambizione di fare la presentatrice ed ecco che invece mi arrivano tutte proposte così. Devo dire però che ho imparato molto, ho conosciuto tanti artisti che amo e che seguo da sempre. E anche per questo mestiere devo ringraziare X Factor, che mi ha insegnato a stare davanti alle telecamere, non per il canto, che non mi ha mai messo a disagio, quanto il dover parlare... Specie con questo accento bergamasco!». Cosa provi quando ti riguardi, ventenne, sul palco di XFactor? «Sai quella sensazione che hai quando guardi certe vecchie foto e dici: “ma come stavo messa?”. Quella è la sensazione. Mi faccio anche tanta tenerezza. Dopotutto avevo solo vent’anni e tra i venti e i ventinove c’è una bella differenza, si cresce tanto. Poi non so se sarà così anche a tra i trenta e i quaranta… Brr, non voglio pensarci, invecchiare mi fa paura!». Non è un po’ troppo presto per pensarci? «Odio l’idea del tempo che passa, forse perché mi piace tanto come vivo adesso, vorrei non finisse mai. Fare questo lavoro in maniera libera è molto appagante, vivo meravigliosamente». Quando ti sei avvicinata alla musica? «Da piccolissima, i miei dicono che ho iniziato a cantare a quattro anni e non ho più smesso. Strano, perché nella mia fa-


miglia non c’è nessun musicista, sono tutti stonati. Solo il nonno, che non ho mai conosciuto, cantava, probabilmente ho preso da lui. Insomma, ce l’avevo nel sangue. Poi, a sei anni, ho cominciato a seguire i corsi di canto e fare concorsi. Ma senza nessuna pretesa, senza ansia. I miei genitori non si sono mai opposti, né si sono dati troppe aspettative. Il che è meglio, non montarsi la testa, anche perché in questo lavoro sono più le delusioni che le vittorie. Un sano realismo ti evita le badilate in faccia».

Arrivi da un piccolo paese, Calvenzano. Come ti vedono i tuoi compaesani? «A casa mi sento sempre ben accolta. Quando suono da queste parti percepisco molto affetto, c’è tanta gente che conosco, che mi dà calore. Anche per questo motivo continuo a vivere qui. Ci sto bene e sono comunque a un tiro di schioppo da città importanti. Spesso dimentichiamo di essere in una posizione geograficamente molto comoda. Certo, ogni tanto mi piace

espatriare. Due anni fa, per esempio, sono andata a vivere per due mesi a New York, un’esperienza bellissima e fondamentale per me. Ѐ proprio lì che ha cominciato a prendere forma il progetto di questo disco». AmbraMarie è ora impegnata nel tour di promozione. La prossima data è quella del 17 febbraio all’Arlecchino di Vedano Olona (Va). Tutte le info su www.ambramarie. com e sulla pagina Facebook AmbraMarie Official.

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ph Appiani

Musica

Mr Alboh: il vento del cambiamento soffia con le note di Daria Locatelli

Appuntamento per il 9 febbraio al Revel Theater con Mr Alboh, il cantautore trevigliese che, con chitarra e voce, musica storie ed emozioni

“Q

uando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento” recita un antico proverbio cinese. Nel caso del trevigliese Alberto Mussi, in arte Mr Alboh (www.mralboh.com), la passione per la musica, il vento del cambiamento, ha soffiato in occasione di un volo aereo e ha determinato una scelta di vita che lo ha portato da impiegato di banca a cantautore, compositore e attore di successo. «Circa sette anni fa – racconta Alberto – durante un volo travagliato tra Stoccolma e Milano, mi è sorta la domanda: “E se oggi fosse il mio ultimo giorno di vita, quale sarebbe il mio rimpianto?”. La risposta era di non aver dato adeguato spazio alla musica, che fino ad allora era da me stata relegata ad un hobby. Una volta rientrato ho deciso di lasciare il mio lavoro e di dedicarmi completamente alla mia passione». Ha avuto così inizio il suo nuovo percorso, una fase in cui Alberto passa il testimone a “Mr Alboh”, un giovane sicuro del proprio impiego lascia spazio a un artista in tour per l’Europa accompagnato da una chitarra, un’armonica e guidato dal vento del cambiamento. «Ho iniziato a viaggiare tra Italia, Francia e

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Germania, esibendomi per strada, in piccoli locali, pub, concerti – prosegue – e iniziando ad assimilare le numerose influenze musicali che hanno costruito il mio bagaglio: il jazz francese, l’elettronica tedesca, il bossanova brasiliano, il folk irlandese, americano e inglese». Una valigia che diventa via via sempre più ricca e che, fin da bambino, contiene il suo talento: «Ho scritto la mia prima canzone – ricorda – per un compito in classe alle elementari. Il pezzo è stato così tanto apprezzato che la maestra mi ha fatto esibire di fronte a tutti i bambini della scuola e ho poi partecipato ad un concorso canoro in cui mi sono classificato secondo». I palchi solcati da Mr Alboh si sono fatti sempre più grandi e importanti: club di Monaco (tra le varie aperture: Ida Gard supporter di Bob Dylan, Jaselli), festival che lo hanno visto a fianco di Max Gazzè, Vinicio Capossela, Stu Larsen (MEI Festival, Home Festival, Ferrara Buskers Festival, A Night Like This Festival, Utcazene Festival, Kulturufer), Palazzetti (Palalottomatica, Pala Geox), teatri (in cui ha registrato il sold out come headliner) e concorsi (finalista al “Pistoia Blues Festival 2016”; X-Factor 2015, in cui è arrivato alla fase del Bootcamp).

Il crescendo artistico di Mr Alboh è suggellato dai tre album autoprodotti (“Handmade” del 2012, “Before the Moon Touches the Ground” del 2014, “Black and White” del 2016): «ogni album è un “animale”, in quanto creatura, a sé stante, ma tutti sono accomunati dalla medesima linea di fondo: la musica è il veicolo per esprimere messaggi ed emozioni. Nei miei brani parlo di aspetti che riguardano tanti, se non tutti: l’amore, il tempo limitato, il cercare di spendere i giorni facendo del nostro meglio. In “Black and White” parlo degli opposti: uomo e donna, amore e odio, bianco e nero. Anche la copertina è frutto dei lati opposti del foglio da me dipinto poi ripiegato a metà», mi spiega il cantautore. Il termine “album” con cui ci si riferisce alle raccolte a firma del trevigliese va declinato non solo nel suo significato musicale, ma anche in un’ulteriore valenza artistica. Ascoltando “Black and White” si assiste, infatti, alla proiezione di una serie di fotografie e cartoline, un susseguirsi di immagini scandite dalla musica e dalla voce di Alberto, che riproducono scene di vissuto sia dell’autore che di chi si lascia trasportare nel suo viaggio. Una potenza descrittiva così forte che ha portato la sua musica a valicare i confini del cinema e della televisione: le sue canzoni sono state scelte alla fine di una gara testa a testa con Cat Stevens come uniche colonne sonore di un grande film tedesco “Ostfriesisch für Anfänger” (uscito in più di 100 sale e TV in Germania, Austria e Svizzera) e la seconda stagione della serie record d’ascolti di casa RAI1 “Tutto Può succedere” in uscita quest’anno vedrà Mr Alboh presente sia in veste di autore di alcuni brani per l’accompagnamento musicale che nel ruolo di attore. È un bagaglio sempre più ricco di soddisfazioni ed esperienze quello dell’artista, nei cui occhi si riflette la luce di chi è fiero di aver compiuto la scelta più giusta, per esprimere tutte le sue potenzialità e quei sogni che, per tanti, rimangono chiusi nel cassetto; un successo che appartiene a chi


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Latteria Sociale di Calvenzano Formaggi - Salumi Carni bovine e suine - Prodotti locali

ha avuto il coraggio e la determinazione di dare voce alla propria natura: «Parafrasando “Elogio alla Solitudine” di De André, quando uno si ritira in solitudine e trova una soluzione ai propri problemi, fa del bene non soltanto a se stesso, ma anche agli altri, perché gli esseri umani che ci stanno intorno hanno esperienze simili alle nostre. Sono convinto che non si debba fare una cosa solo perché va fatta, ma perché te la senti. Io ho seguito il mio istinto e ringrazio in primis la mia famiglia che mi ha supportato fin da subito», dice sorridendo Alberto. Nelle sue canzoni si ascoltano e vedono le sue esperienze, quanto le persone incontrate gli hanno regalato in termini di storie e sentimenti che, musicati, vengono a loro volta consegnati a chi si lascia accompagnare dalle note. In questa valigia che Mr Alboh porta nel suo continuo peregrinare, quanto c’è dell’Italia? «Amo moltissimo girovagare, ma più viaggi e più ti piace tornare a casa. Il pubblico italiano è quello maggiormente caloroso e che mi restituisce le emozioni più forti. Uscire dai nostri confini è stato per me formativo, in quanto ho assorbito svariate influenze, mantenendo il “carattere italiano” nelle sfumature che uso nei testi. Non importa dove ti trovi, ovunque ci sono le stesse opportunità, le cose non succedono per caso, bisogna sapersele creare le occasioni». A questo punto chiedo, curiosa, quale sarebbe la nuova risposta di Alberto in caso di un altro volo travagliato: «Vorrei continuare ad esplorare la produzione cinematografica e televisiva. Fare musica è anche una responsabilità perché è il canale per veicolare messaggi ed emozioni. È meraviglioso seguire e inventare gli innumerevoli percorsi che una canzone intraprende». E se ognuno di noi si facesse la stessa domanda? In fondo “La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii” (James Joyce).

Fondata nel 1922, la Latteria Sociale di Calvenzano è tuttora testimone importante di una tradizione cooperativistica che nella comunità di Calvenzano si è consolidata sin dagli ultimi decenni del XIX secolo. Dal 1966 la Latteria si è dotata di uno spaccio agricolo, realizzando fin d’allora una filiera corta “a chilometro zero”. Qui i consumatori possono acquistare con un ottimo rapporto qualità/prezzo formaggi, carni e salumi di nostra produzione DOP, o conformi alla tradizione locale. Latte e Bestiame ci vengono conferiti dai nostri soci agricoltori. In occasione di una recente ristrutturazione sono in vendita prodotti di altre aziende agricole: vini, olio, confetture e altri prodotti, tutto selezionato scrupolosamente nell’ambito del progetto “Qui da noi” di Confcooperative che mette in rete gli spacci agricoli cooperativi a livello nazionale favorendo l’interscambio fra i produttori.

Orari di apertura: 08,30 - 12,30 e 15,30 - 19,00 chiuso lunedi pomeriggio e festivi

Calvenzano (BG) - Largo XXV Aprile, 6 - Tel. 0363.86110 info@latteriacalvenzano.it - www.latteriacalvenzano.it Febbraio 2017 •

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Vivere e lavorare in un ambiente

pulito e sano! Treviglio - Tel 0363 562013 Per urgenze 393 0933761 info@3v2.it - www.3v2.it

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@la_trevidue


Il racconto

L’ultima sigaretta di Maria Gabriella Bassi

P

oteva fumare tranquilla. Tranquilla per modo di dire, perché non amava davvero stare da sola in quella casa così grande, anche se, doveva ammetterlo, stare da soli ogni tanto non era spiacevole. Bisognava solo vincere la paura della solitudine. Non era una donna pavida, Anna, ma la nuova casa così aperta e accessibile, immersa nella campagna piena di rumori ignoti e minacciosi silenzi, la spaventava. Forse perché da sempre abituata al caos della città, ai vicini rumorosi ma amichevoli, tutto quel silenzio la metteva a disagio. Soprattutto quando Michele doveva assentarsi per lavoro. “Non capita spesso, per fortuna” pensò. La scelta di andare a vivere in campagna fu improvvisa e sapeva di aver accettato più per far piacere a suo marito che per intima convinzione. Era ancora presto, poteva fare ancora molte cose prima di addormentarsi; avrebbe potuto leggere, fino a tardi. Un vero lusso. Michele non riusciva ad addormentarsi con la luce accesa e lei da anni aveva rinunciato alla lettura serale. Non riusciva più a leggere niente che non fosse legato al lavoro, e mai di sera. Le letture più belle e interessanti le aveva sempre fatte a letto, fin da bambina. Ed ora da anni si addormentava alla televisione. Per colmo di idiozia ne avevano messa una in camera da letto: da allora non riuscì a leggere più neanche un rigo. Ma stasera era diverso, era da sola. Spense la sigaretta, fece lentamente il giro della casa e controllò accuratamente che tutto fosse ben chiuso. “Tutto chiuso stoppinato, mi raccomando” sentiva la voce ironica di Michele, commentare il suo rituale. Entrò nello studio e scelse accuratamente dal ripiano più basso della libreria:

niente Agata Christie, no neanche “Il Pendolo di Foucault”...“La coscienza di Zeno”, sì, l’aveva visto una volta in teatro e si era da sempre ripromessa di leggerlo. Svevo andava benone, si avviò allegra verso la camera da letto. Leggeva stancamente, senza concentrarsi. Doveva tornare indietro e riprendere i paragrafi precedenti, perché il meccanismo della lettura procedeva in modo automatico senza che il senso la penetrasse. Guardò il telecomando sul comodino, gettò via il libro e ripeté il gesto usuale di tutte le sere. Maledicendosi. Fu questione di minuti: il Maurizio Costanzo fece effetto, meglio di un sonnifero. Non seppe mai cosa la avesse svegliata: non aveva memoria di rumori particolari. Fu sicuramente l’ansia dovuta alla consapevolezza di essere sola, mescolata al vago senso di colpa per aver preso sonno nel solito modo insulso. Semisveglia, le pareva che tutto si muovesse là fuori. Sapeva benissimo che era solo frutto della sua immaginazione, ma il raziocinio non poteva mitigare l’accelerazione dei battiti del suo cuore. Si alzò pigramente e si avvicinò alla finestra chiusa, alzò lentamente le serrande, senza fare rumore.

Terrorizzata, rimpiangeva l’assenza di Michele e si domandava cosa fare, da sola. Chi chiamare? Al telefono? E dire che cosa? Aguzzava gli occhi per bucare il nero della notte; tendeva le orecchie per udire un rumore, un fruscio. Nulla. Forse la persona in agguato la aveva vista e stava immobile. Aspettava. Trascorsero alcuni minuti ma dal giardino nessun movimento, nessun rumore. Tremante, accostò pianissimo il vetro e fu con enorme stupore che vide di nuovo il bagliore di una sigaretta accesa; un leggero movimento al vetro e la sigaretta fuggì via di nuovo, gettata chissà dove. Rimase per un attimo come in sospeso: la mente non riusciva a trovare una spiegazione plausibile e l’istinto, placata la paura, le si rivoltava contro, perché un evento inspiegabile è più minaccioso di un pericolo concreto. Con un movimento deciso aprì ancora la finestra e fu allora che capì: nel vetro si rifletteva la piccola spia rossa della televisione e i movimenti della finestra davano l’impressione di uno spostamento. Sembrava proprio il bagliore di una sigaretta, gettata via nell’erba. Il senso di sollievo si mescolava al senso del ridicolo. Si vergognava e rideva, sollevata e irritata, per lo scampato pericolo, ma quale? Stupida. Mille volte stupida. Pensava alla faccia di Michele se glielo avesse raccontato. Meglio di no. Si irritava sempre a saperla poco autonoma. Non tollerava di sentirla insicura. Però questa era davvero bella, tremare per un quarto d’ora davanti al riflesso di una spia luminosa aspettando Barbablù! Lasciò la finestra spalancata e si buttò sul letto, di traverso. I lievi rumori dal fuori non la allarmavano più. La trovò la donna di servizio, la mattina alle otto. Nel caos della stanza, immobile. Soffocata, dissero. Michele rientrò mentre la scientifica stava ancora esaminando la stanza. “Non é possibile che abbia lasciato la finestra aperta, lei, così paurosa… Non è possibile” ripeteva. Il mistero della morte di Anna rimase irrisolto, così come la stranezza della finestra lasciata spalancata.

Al di là del vetro, in giardino, al confine con il villino dei vicini qualcuno stava fumando una sigaretta. Sentì un tuffo al cuore, si allungò per prendere gli occhiali dal comodino e ritornò lentamente alla finestra: dal buio appariva chiaramente la luce di una sigaretta, e mentre apriva il vetro, vide il mozzicone volare via. Chi poteva nascondersi dietro la siepe? Nessun rumore, nessun movimento, eppure qualcuno stava fumando, qualcuno aveva buttato la sigaretta. Febbraio 2017 •

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Libri

Il volto nascosto della violenza di Pinuccia D’Agostino

Il nuovo giallo di Fabio Bergamaschi indaga su omicidi che coinvolgono usurai, ricattatori, maniaci sessuali. Tutto nella sorridente ed elegante Bergamo

È

stato presentato il 18 gennaio scorso ad un incontro del Rotary Club di Treviglio e Pianura Bergamasca, il nuovo giallo di Fabio Bergamaschi, “Il volto nascosto della violenza”. Si tratta del quarto romanzo della serie che ripropone la figura di Massimo Calliani, ormai diventato bravo e famoso investigatore privato della città di Bergamo.

Bergamaschi ha affinato la figura del protagonista, la cui vita scorre solida sui binari di una convivenza affettiva con Patrizia, la donna amata in gioventù e poi ritrovata a Verona, e la nuova attività di detective privato che lo porta a dipanare intricate matasse di delitti, violenze – anche sessuali – soprusi, nascosti dietro la patina del conformismo rafforzato dal denaro e dal benessere.

Le tante frontiere del giallo

O

ggi più che mai il romanzo giallo imperversa nelle librerie. Non c’è autore tra quelli che si insediano ai primi posti delle classifiche di vendita, che non si sia cimentato con il giallo. Giallo è, quindi, un aspetto fondamentale della narrazione (specie moderna), perché mette in pista il lettore conducendolo nelle incerte strade del labirinto della colpevolezza per sventare l’assassino. Il successo del giallo non sta solo nel coinvolgimento del lettore, ma sta, come afferma anche Dina Lentini in un suo recente saggio, nel fatto che il delitto rappresenta una rottura della struttura della vita quotidiana che rompe la serie di meccanismi ripetitivi, creati dall’uomo per la sua sicurezza. Nel momento del delitto questi meccanismi si inceppano e le persone restano nude senza protezione. Questo è alla base di un recentissimo e bellissimo libro di una fiera scrittrice di gialli, la spagnola Alicia Giménez Bartlett, “Uomini nudi”, pubblicato da Sellerio, che è un giallo alla rovescia dove il protagonista compie un delitto ma ne cancella abilmente le prove: la difficoltà non sta nel liberarsi dalle possibili

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accuse, bensì nel ricostruirsi le certezze morali ed etiche. La Giménez è una delle autrici della nuova frontiera del giallo. Con i suoi libri il lettore è trasportato nella Spagna “profonda”. La routine di Maigret o la differenza tra la normalità ambita o vissuta come elemento di difesa e le brutture angoscianti di un mondo dove domina il cattivo, il desiderio di liberarsi o liberare l’umanità da quel mondo attraverso la condanna o la pena, sono gli elementi che rendono vivo il giallo moderno. In questo eccellono i giallisti del nord Europa perché aumentando l’atrocità del male valorizzano il bene.

Nello scrivere i suoi romanzi gialli, Bergamaschi è di un ordine meticoloso (a volte volutamente esasperante) nella descrizione dei fatti, dei luoghi e delle diverse azioni. Ma da queste pagine escono – forse – i caratteri nuovi del giallo contemporaneo. Mai si è visto nella letteratura un detective che prende appunti e poi passa

E assistiamo oggi a una vera ondata di “giallisti svedesi”, la coppia Maj Sjöwall e Per Walhöö, a Stieg Larsonn (autore di Millennium), a Camilla Lackberg (norvegese) che imperversa nelle librerie. Il rapporto così stretto tra il protagonista e la società in cui vive, inaugurato con scopi più morali da Simenon, ha dato origine ad un rapporto stretto tra la città e l’autore che si narra nelle pagine attraverso le vicende del protagonista. Cosa sarebbe Andrea Vitali senza il lago di Como? Il suo successo sta nell’aver saputo realizzare vicende e personaggi profondamente legati al luogo in cui vivono. Il capostipite di questa nuova frontiera del giallo è il francese Izzo. Nella lettura emerge la città di Marsiglia e il suo essere confluenza di molte culture mediterranee. Il romanzo giallo è quindi alla ricerca di nuove frontiere ed esce dai limiti del genere e diventa ricerca sulla realtà al di là delle apparenze. Per ottenere ciò assume aspetti diversi ricorrendo ad altri generi, come l’horror, il fantascientifico, il thrilling, il fantasy, ma resta legato ai suoi padri: Chandler, Simenon, Durenmatt, rivendicando il bisogno di una nuova morale e di un impegno sociale. P.D.


I.P.

I libri di Zephyro

Riccardo Borleri

Viale delle Magnolie

31… citofonare Gritti pp. 632 - € 17,00

P

intere giornate a rileggerli, che faccia orari da impiegato e pranzi tutti i giorni a casa propria; c’è da supporre che abbia una scrivania ordinatissima ed uno studio tenuto in modo razionale ed efficiente da un’ottima segretaria. Mai si è visto in letteratura un rapporto così corretto tra il capo e la propria segretaria: in genere i capi sono disordinati, distratti, mai puntuali e forti bevitori. Le segretarie – se ci sono, perché non tutti possono permettersele – fanno un po’ da moglie e da madre, favorendo un rapporto ambiguo e di dipendenza assoluta. Invece, Bergamaschi ha sdoppiato questo ruolo nella figura di Patrizia, compagna arguta, bella e fine, eternamente giovane ed elegante, ed Elena, intelligente ed estroversa, efficiente e curiosa. Ad ambedue Massimo affida i propri pensieri e le proprie congetture ed ottiene delle risposte che spesso sono di grande aiuto nella soluzione dei misteri. Insomma, siamo ben lontani dalla depressione di Marlowe, dalla burberia di Maigret, dalle paturnie di Bandini o dalla precaria vita del Massimo de I delitti del BarLume, l’ombroso barista divorziato da poco e in eterno conflitto con se stesso. Nei gialli di Bergamaschi, tutto fila liscio verso la soluzione; perfino la scoperta di nuovi cadaveri è preannunciata da chiari segni, che quasi hanno lo scopo di proteggere il lettore dalle amare sorprese di un’inchiesta fin troppo realistica. Perché è dalla realtà quotidiana, dalle brutture della cronaca nera che il giallo di Bergamaschi prende gli spunti e le mosse. Come in questo volume, che parte con un atto di violenza e stupro fuori da una discoteca, per poi muoversi in una serie di omicidi e di storie dove la violenza sessuale consumata nelle pareti domestiche porta a rancori, diffidenze ed omicidi. È il volto nascosto della violenza, che Massimo Calliani porta alla luce smascherando i colpevoli.

rimo romanzo di Riccardo Borleri, discendente di una storica famiglia trevigliese. Un sottile fascio di luce penetrò nella stanza e si fece strada fra gli scuri semichiusi della finestra. Lambì una sedia, camminò su un tappeto di lana cruda e illuminò senza permesso un angolo basso della parete. Pochi istanti dopo il silenzio del mattino fu rotto dal suono di una sveglia digitale. Un doppio sibilo scandito a piccoli intervalli, che fece irruzione nel sonno per sé già leggero di Pamela Lorenzi in Ardenghi. La donna rinvenne dal torpore notturno e con gli occhi ancora socchiusi fece una panoramica della stanza e nei suoi neonati pensieri. Allungò la mano e mise a tacere la sveglia sul comodino. (…) Si ritrovano al centro della cucina dopo circa venti minuti, Samuele dorme ancora e non ha intenzione di svegliarlo. Pamela lo aspetta sull’uscio,

come ogni mattina. Gli sistema il nodo della cravatta, passa in rassegna il complesso del suo abbigliamento e lo abbraccia con insolita intensità. (…) Chiude la porta dietro di sé e si avvia verso il garage. Avrebbe avuto il resto della vita per pentirsi di avere lasciato il suo sorriso alle spalle.

Ottorina Romano

Animali onirici Pag. 182 - Euro 15

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uesto libro si interroga sul perché l’uomo abbia “necessità” di sognare gli animali, soprattutto in momenti della vita molto critici: una grave malattia, la prospettiva della morte, l’invecchiamento o la fine di una relazione importante. L’ipotesi che il testo cerca di avvalorare è che gli animali onirici siano molto più che simboli del corpo, degli istinti, della libido o altro ancora, ma che vengano in sogno per rivitalizzare la nostra animalità obliata da migliaia di anni; tale oblio ci è servito per poter nascere come “soggetti culturali” e gli animali là fuori ci sono serviti come ricettacolo per la proiezione di tutto ciò che di negativo noi sentivamo nella nostra animalità, scissa, dentro di noi. Gli animali onirici ci sono d’aiuto non solo perché recuperando l’animalità perduta ci aiutano a superare un’antica scissione, ma soprattutto perché venendo in soccorso ad un Io ormai sconfitto e arreso ci aiutano a ritrovare un atteggiamento più autentico ed inte-

gro verso noi stessi e verso la vita. Infine il sogno, attraverso le immagini, cerca di creare un ponte non solo fra la nostra soggettività e la nostra animalità, ma anche fra mondo interno e mondo esterno, mondo immaginale notturno e mondo “reale” diurno.

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Libri

Il sindaco che rubò il lago di Stefano Dati

La storica disonestà delle amministrazioni pubbliche nell’ultimo romanzo del cassanese Marco Galbusera

“I

l sindaco che rubò il lago” (Bellavite Editore), è questo il titolo dell’ultimo romanzo dello scrittore cassanese Marco Galbusera, nato dopo anni di ricerche tra gli archivi lombardi e nazionali; una storia realmente accaduta che evidenzia come le malefatte delle Amministrazioni pubbliche siano legate dalla storia. Il romanzo racconta, infatti, un episodio accaduto nel 1860 sulle rive del lago di Lecco nel comune di Bosisio Parini, dove il primo cittadino dell’epoca, Giuseppe Pestagalli, fu accusato di appropriazione indebita per essersi impossessato di 400 mila lire, una cifra enorme per quel periodo da leggersi oggi in milioni di euro, uno scandalo che travolse tutto il Comune ed i suoi abitanti. Un comportamento che per alcuni amministratori pubblici non è cambiato con il passare dei secoli; sfogliando le pagine del romanzo, appunto, solo il leggere le date del lontano passato differenzia ciò che accadeva in quell’epoca da quanto accade e viene descritto, spesso, sulle pagine dei giornali dei giorni nostri circa la gestione della pubblica amministrazione. Un’impeccabile immagine pubblica che aveva tradito tutti gli abitanti del suo paese, così come accade spesso ancora oggi; il primo cittadino era infatti stimato da tutti e considerato un uomo al di sopra di ogni sospetto, qualità queste che avevano fatto decidere al Re di rinnovargli, per ben due volte, il mandato di sindaco del paese in riva al lago. Dopo dodici anni di quella

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che tutti i cittadini consideravano una buona Amministrazione si scopre lo scandalo dell’ammanco di cassa che travolse tutta la comunità di Bosisio Parini, balzata tristemente alla notorietà nazionale. Ogni particolare raccontato dallo scrittore evidenzia in modo inequivocabile la similitudine dei comportamenti di quel personaggio politico del XIX secolo ad alcuni amministratori degli ultimi anni. L’analogia della vicenda con il periodo attuale la si legge, inoltre, anche in ciò che avvenne dopo la sentenza che aveva condannato a tre anni di reclusione Pestagalli: non finì in prigione e non restituì nemmeno un centesimo di quanto aveva fraudolentemente intascato dei soldi

Il bando di gara e uno scorcio di Bosisio Parini

pubblici. Scappato in Belgio, stato che in quell’epoca non aveva accordi di estradizione con l’Italia, di lui non si è più saputo nulla e ancora oggi nei registri civili non risulta nessun certificato di morte. Il romanzo dello scrittore cassanese Marco Galbusera fa dunque chiarezza su di una storia rimasta per secoli in balia fra l’essere leggenda e storia vera: «Lo spunto per ricostruire tutta la vicenda é stato lanciato dal sindaco di Bosisio, Giuseppe Borgonovo – ci spiega lo scrittore – che ha voluto a tutti i costi portare alla luce la verità storica di un episodio che si era ormai scolorato nei termini della leggenda». 48 anni, laureato in giurisprudenza, scrittore per passione dal 2009, Marco Galbusera è autore di libri che spaziano dalla narrativa scolastica ai romanzi che raccontano il vivere quotidiano attraverso personaggi di sua creazione. L’ultimo lavoro letterario va ad aggiungersi ai due romanzi di successo firmati dallo scrittore cassanese: “Il cielo sta sopra”, premio letteratura 2013 a “Spoleto Art Festival”, e “Per l’eternità e oltre”, romanzo premiato dall’Accademia degli Artisti di Napoli per la trama curiosa che tratta con toni ironici fatti di vita quotidiana. L’interesse dimostrato da subito per l’ultimo lavoro letterario fa ben sperare per altri riconoscimenti al suo autore: sin dai primi giorni della sua pubblicazione, infatti, è balzato immediatamente all’attenzione dei media non solo locali ma anche nazionali. Il fattaccio avvenuto nel 1860 nella cittadina in riva al lago di Lecco, documentato nelle pagine del libro, ha da subito incuriosito Davide Bernasconi, in arte Davide Van de Stroos, che ha voluto firmarne la prefazione. Il cantautore, sempre alla ricerca di storie del territorio, si è da subito innamorato di questa vicenda, annunciando fra l’altro la realizzazione di un docu-film sul soggetto, che avrà tempi di gestazione abbastanza lunghi, dove saranno protagonisti gli abitanti di Bosisio e dintorni, oltre al coinvolgimento dell’autore del libro Marco Galbusera.


Gli ultimi leoni di Ivan Scelsa

Tra storia e leggenda, il nuovo romanzo di Marco Carminati è un viaggio di duecento anni in cui il Leone di San Marco ruggisce ancora

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GLI ULTIMI LEONI C m B

GLI ULTIMI LEONI

Come le Mura di Bergamo furono salvate

MARCO CARMINATI

ul finire del millesettecento, ai nalismo locale e nazionale – ripercorre le tecnica narrativa cui l’autore è particolartempi della Repubblica Bergama- singolari vicende del capoluogo e dei suoi mente legato e che introduce all’argomensca – che ebbe, tra l’altro, vita bre- abitanti, nei controversi mesi in cui la sorte to trattato. Il racconto, poi, è costellato di ve – le Mura venete rischiarono di sembrava aver condannato le sue gloriose omicidi efferati ed episodi inquietanti, in sparire per mano di una setta segreta gia- Mura ad un tragico destino che poi, mira- cui si incrociano avventurieri e spie, inicobina. Nel secondo decennio del duemi- colosamente, gli sorrise. Eventi riscoperti ziati di logge segrete ed abati rivoluzionala, quando le stesse vennero candidate a da un’appassionata studentessa del Conser- ri, nobili illuminati e poveri senza pane, Patrimonio dell’Unesco, rischiarono nuo- vatorio Donizetti, involontaria testimone ufficiali napoleonici e cortigiane maliarvamente di essere distrutte per un disegno di analoghi progetti criminali agli albori de, tutti legati tra loro in un unico filo condel nuovo Millennio, che avrebbero potuto duttore – lungo duecentoventi anni – dove criminale folle, casualmente sventato. anche l’Adda, il sacro fiume, testimonia le Si leggerà del leone in pietra posto sulle condannare uno dei simboli della Città. Edito da Grafica & Arte, ogni capito- storiche vicende per la libertà Cispadana. Porte d’accesso a Città Alta, fiero simbolo I vicoli della Città Alta, i boschi e i sendella Repubblica Serenissima di Venezia, lo si apre con una citazione di un illustre che, per qualche tempo ebbe un fratello personaggio del passato: è una specifica tieri tra i monti, Palazzo Frizzoni, la Cannoniera di San Michein carne ed ossa che le, Palazzo Conte della raramente comparve Cagnana, Casino Quain pubblico, tranne che Pochi dei oggi sanno che il renghi, il Bergamaschi Museo Doninelle occasioni speciaMARCO CARMINATI leone in pietra posto sulle Porte d’acceszetti, Passo San Marli, almeno finché fu un so a Città Alta, il fiero Leone della Sereco,nissima, la Val cucciolo. Poi, quando ebbe Brembana, per qualche tempo un “frain carne e ossa. Comparve qualche la tello” pianura e ed il fiume l’età adulta avrebbe volta in pubblico nelle occasioni speciali, Adda, passando per la poi quanreso impossibile il gealmeno finché era un cucciolo, serenissima Venezia: stirlo, scomparve dalle do l’età adulta avrebbe reso impossibile gestirlo, luoghi discomparve fascino,dalle dovecerimonie ufcerimonie ufficiali. Si ficiali. Ma si racconta che sopravvisse a maschere e mantelli racconta, però, della lungo, terminando i suoi giorni dietro aiutano rivivere tutta sua vita terminata diele sbarreanei sotterranei delle Mura Veome le ura nete. E i suoi inquietanti e pel’intensità delruggiti, mistero e tro le sbarre, nei sotnosi, venivano letti dal popolino come di ergamo dell’intrigo. terranei delle Mura vemoniti d’imminente sventura. Erano i Ma nonostante nete, e dei suoi ruggiti, giorni in cui Venezia, l’amormai al tramonto, furono salvate subiva l’assedio bientazione siadell’utopia nostal- giacobina e inquietanti e penosi, quelli successivi in cui gicamente noir,e contraddittori nuova che venivano letti dal Romanzo Napoleone, da tribuno repubblicano, si sca, luce vienea divenire gettatanume su incontrastapopolo come moniti apprestava , to dell’Europa, trascinando uno dei momenti più nel turbine d’imminente sventura. er mano del suo destino affascinanti dile popolazioni Berga- del vecÈ il biennio tra il 1796 chio continente. Questo romanzo narmo. “Ci voleva dunque ed il 1797: nei giorni in ra le vicende singolari di Bergamo nei quella candidatura ad cui Venezia, ormai al mesi controversi e appassionati, in cui mente nell’anno il cieco fanatismo avrebbe condannato iscrivere i Bastioni di tramonto, subiva l’asnio Unesco, a morte le Mura gloriose, che vennero Bergamo nel patrimosedio dell’utopia giacoun folle disegno però rocambolescamente risparmiate. A nio culturale UNESCO, bina e quelli successivi scoprire i dettagli dell’antica storia, una o. studentessa del Conservatorio Donizetperché all’improvviso e contraddittori in cui isodi inquietanti ti, appassionata di architettura e invotornasse a vederli nel Napoleone, da tribuno oventi anni. lontaria testimone di analoghi progetti loro pieno splendore, repubblicano, si apprecriminali odierni ai danni delle vecchie one di San Marco Mura cittadine. Un file rouge subendo finalmente il costellato stava a divenire l’uomo oso. di crudeli omicidi emistedi episodi inquiefascino del loro più importante ed intanti, in cui si incrociano avventurieri e ro?”: uno di spunto dal e abati ricontrastato d’Europa, spie, iniziati logge segrete voluzionari, nobili illuminati secondo capitolo, uno e poveracci le genti del vecchio pane, napoleonici e cortideisenza tanti, perufficiali rivivere la continente venivano giane maliarde lega questa vicenda sinstoria gliduecentoventi occhi di- anni, gettrascinate nel turbine golare,con lunga sincantanti chi, forse, del loro destino. tando nuovadi luce su uno dei monumenti piùla affascinanti non conoscediaBergamo, fondo. che il nostro Un romanzo avvincontingente quotidiano ha finito per farL’occasione per una ricente, tra storia e fantaci dimenticare e forse riscopriamo solo flessione sul senso sia, in cui l’autore Marora, in occasione delladella sua candidatura a patrimonio culturaleda UNESCO. civiltà millenaria cui co Carminati – firma siamo attorniati da ridi oltre cinquanta libri GRAFICA & ARTE leggere anche attraverso tra romanzi, appunto, In copertina: elaborazione di un disegno Luca Tirloni. undi Gian nuovo romanzo le saggi, raccolte di raccui radici sono ben salde conti, volumi fotogranel passato. fici nonché del giorFebbraio 2017 •

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UK-in

Superstiti di Silvia Martelli

Come sopravvivere alla prima sessione di esami

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l primo fatidico round di esami universitari, cosiddetta sessione, è arrivato. Circondata da amici più grandi, sono stata abituata a tremare davanti a tale parola che, se sussurrata ricorda uno di quei terrificanti sibili nei film horror, vivendo nella vana, molto vana, speranza che il mio turno non arrivasse mai. È risaputo che le sessioni si articolano nelle ancora più inquietanti “sessioni invernali”, “sessioni primaverili” e “sessioni estive”. Con il tempo, ho imparato che le tre sono ben distinte: quella invernale capita proprio sotto l’albero di Natale e si prolunga durante l’appesantita fase di smaltimento panettoni; quella primaverile arriva come un improvviso temporale, proprio quando esci di casa sorridente (senza ombrello, chiaramente) per una passeggiata sotto il tiepido sole di maggio; quella estiva, invece, è senza dubbio la più sudata, piazzandosi sotto l’ombrellone con te e seguendoti al largo nel mare come uno squalo. Gli effetti collaterali sono dunque tra i più vari: a gennaio, la sessione produce lo stesso sentimento di sconforto di quando si apre la calza di Babbo Natale e, trovando solo carbone, si scopre di essere stati cattivi studenti, combinato con la nausea e il mal di pancia post infinito pranzo natalizio; a maggio, invece, ti fa tornare a casa fradicio, rendendo le tue nuove scarpe bianche un miscuglio di tela, fango e polvere; a settembre, infine, ti si appiccica al corpo come la peggiore umidità, assicurandoti lunghe notti insonni. Insomma, quando si parla di “sessioni” ce n’è proprio per tutti i gusti. Nel mio

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Cinema caso, la fatidica sessione è iniziata l’8 gennaio, quando, in attesa di un volo per Cardiff, mi sono ritrovata circondata da studenti in Erasmus chini su libri di testo. Al momento il mio vero problema era, in realtà, riuscire a rimanere in equilibrio tra il mio trolley da 15 chili, una borsa di Mary Poppins che, oltre a disintegrarmi la spalla, conteneva stivali che facevano timidamente capolino, pacchi di pasta italiana, le dieci scatole di medicine che mia mamma mi aveva procurato in caso di “mal di pancia, mal di testa, nausea, dolori muscolari e sindrome da shopping compulsivo”, e le due giacche che mi ero ritrovata ad indossare per mancanza di spazio. Una volta arrivata nel mio dormitorio, ho capito che la situazione era veramente tragica quando le mie coinquiline si stavano nutrendo di “instant noodles”, barrette di cioccolato Mars e quello che, a mio parere, era latte scaduto da tre giorni. Niente a che vedere, però, con le condizioni in cui era la biblioteca: studenti vagamente riconoscibili dietro montagne di libri, schiere di evidenziatori, talmente tante tazze di caffè fumante che mi è bastato inspirare a fondo per assumere caffeina, e, infine, sacchi a pelo. Sacchi a pelo, sì. Le meravigliose biblioteche aperte 24 ore, infatti, in periodi di esami vengono confuse come campi profughi dagli studenti, i quali pensano bene che passarvici la notte, concedendosi qualche ora di russante riposino sotto uno dei tavoli, sia una brillante idea. Non ci siamo proprio. Oggi, due settimane più tardi, posso dire di essere sopravvissuta ai miei primi esami universitari. Io stessa ho sperimentato notti in bianco e dosi massicce di orrendo caffè lungo, seguiti da puro sbalordimento davanti ai metal detector in cerca di dispositivi elettronici durante gli esami. Tuttavia, si tratta realmente solo di esami, niente che meriti paura e sconforto, ma solo occhiaie prolungate e, sì, qualcuna delle pastiglie di mia mamma anti shopping consolatorio.

Le uscite del mese di Gabriele Lingiardi

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ebbraio è il mese che il cinema americano ha destinato ai batticuori dei fan e alle grandi maratone di film. La notte tra il 26 e il 27 si svolgerà infatti, nel mitico Dolby Theatre di Los Angeles, l’89ª edizione degli Oscar. La serata, condotta da Jimmy Kimmel, ha da sempre un forte impatto per la distribuzione nostrana. I distributori tendono infatti a portare nelle sale i film concorrenti alla statuetta dorata a ridosso della cerimonia. In questo modo il richiamo mediatico (e gli eventuali premi vinti) possono fare da grande cassa di risonanza per una pubblicità spontanea che spesso riesce ad attirare il grande pubblico in sala. Un film che sicuramente non correrà agli Oscar, ma che va segnalato perché promette di intasare le sale come non mai, è Cinquanta sfumature di nero. Il seguito dell’erotico tinto di grigio che tanto scalpore fece due anni fa. Aspettiamoci schiaffi e intrighi in un film che non è propriamente definibile come “d’azione”. Non ci vorrà molto a fare meglio del primo capitolo, ma consiglio di tenere le aspettative basse. Invece (e provo molta gioia nell’usare questo avverbio nel senso di “passiamo oltre”) va detto ad alta voce che il leggendario regista Ang Lee tornerà in sala con Billy Lynn - Un giorno da eroe. Le gesta del soldato, diventato eroe nazionale, a seguito di coraggiose azioni in Iraq, sono


state riprese ad altissima risoluzione a 120 fotogrammi al secondo. Non è ancora dato sapere se qualche cinema in Italia proietterà il film in questo formato. La tecnica, già sperimentata da Peter Jackson con Lo Hobbit, è indescrivibile. Amata da qualcuno, odiata da molti, la scelta di oltrepassare i canonici 24 fotogrammi al secondo apre all’occhio una visione distante a quella a cui siamo stati abituati. Le immagini sembrano prese in diretta e, pur essendo un film di finzione, il realismo spiazza e stupisce. Originale e controverso, provare per credere. Per farsi due risate appaganti con il cinema italiano vi propongo Smetto Quando Voglio - Masterclass, il seguito del bellissimo film del 2014, con protagonista un manipolo di ricercatori universitari che, stanchi della precarietà del loro lavoro, univano

le forze per creare il più grande cartello di droga (legale!) mai visto in azione sullo stivale. Riuscirà il seguito ad eguagliarne il successo? Staremo a vedere. La battaglia di Hacksaw Ridge è la nuova, discussa e discutibile, fatica di Mel Gibson. Visto al festival di Venezia il film racconta la storia di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza nel 1942. La regia di Gibson è enfatica all’eccesso, tesa a santificare il protagonista ed iper violenta. Non lo raccomando ma, se siete amanti del genere, potrebbe piacervi. Il ritorno sullo schermo di Natalie Portman corrisponde ad una prova attoriale destinata a restare nel tempo. Jackie, di Pablo Larrain, anche questo presentato a Venezia, racconta l’omicidio del presidente Kennedy dal punto di vista della First Lady: Jackie Kennedy. Meno ispirato del

precedente film, Neruda, il regista Larrain confeziona una storia sicuramente interessante, retta da un cast di attori d’eccellenza. Il film per bambini del mese è invece un’incognita: Lego Batman è uno spin off di The Lego Movie. La pellicola del 2014, con protagonisti i simpatici “omini” dell’azienda danese, era stato un successo di critica e di pubblico. Per mesi abbiamo canticchiato la simpatica canzone “è meraviglioso” e, grandi e piccini, abbiamo riscoperto la gioia delle cosiddette “costruzioni”. Il capitolo che arriverà in sala a febbraio sarà dedicato interamente al personaggio di Batman e ai suoi comprimari come Robin e Superman. Infine, vi segnalo Manchester By the Sea e Moonlight. Due film importanti, impegnati, densi e ricchi di emozioni. Ci si vede, come sempre, al cinema!

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Sport

Cassano d’Adda nella storia dello sport di Stefano Dati

Atleti cassanesi protagonisti a livello nazionale ed internazionale in varie discipline

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assano d’Adda città ricca di corsi d’acqua e molte testimonianze della storia, ma anche luogo che ha dato i natali a numerosi personaggi, entrati di diritto a far parte della storia dello sport italiano per i loro meriti. Dal calcio al ciclismo, dal basket alla pallavolo e al pattinaggio a rotelle, il nome della città resta impresso in queste discipline sportive, grazie ad illustri cittadini e società, che si sono contraddistinti per i loro risultati da campioni. Fra i tanti nomi degli atleti cassanesi diventati noti non solo in patria ma anche al di là dei confini nazionali, spicca quello di Valentino Mazzola, icona nazionale ed internazionale del mondo del pallone. Nasce nel 1919 in ruscett, il cuore del centro storico, inizia la sua attività da calciatore con la società cassanese Tresoldi, successivamente, nel campionato di calcio

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1939/’40, passa all’Alfa Romeo per poi finire al Venezia, dove disputa 61 partite prima di vestire la maglia del Torino. Con i granata Mazzola gioca 195 incontri segnando 118 goal, prima della tragedia del 4 maggio del 1949 quando di ritorno da Lisbona, dopo aver disputato un’amichevole, a pochi passi da casa l’aereo urta e precipita sulla collina di Superga. Un altro nome blasonato del mondo del pallone, nato in riva al fiume Adda, è quello di Andrea Bonomi, una carriera da capitano del Milan, vincitore dello scudetto nel 1950/’51, quando in formazione era presente il trio Gre-No-Li: Gren, Nordhal e Liedhom. Altri cassanesi, nel passato, hanno successivamente portato il nome della loro città natale nei vari stadi di calcio della massima serie del campionato: Eugenio Brambilla e Sandro Mazzola, fino ad

Da sinistra, in senso orario: Uno dei tanti arrivi vittoriosi di Gianni Motta Valentino Mazzola e alcuni suoi oggetti Gianni Motta, il sindaco di Cassano Roberto Maviglia e il vice sindaco Vittorio Caglio Oscar Galliazzo campione del mondo 1988 Andrea Bonomi e Valentino Mazzola Enrico Cassani ciclista professionista Andrea Bonomi, indimenticato capitano del Milan

arrivare ai giorni nostri con Roberto Bergamaschi e Dario Massoni, un giocatore, quest’ultimo, che sarà nel 2002 il primo italiano a partecipare ad un campionato di calcio in Russia. Dal calcio al ciclismo la città di Cassano d’Adda è sempre in primo piano fra i protagonisti con Gianni Motta, maglia rosa nel 1960, mentre nel 1964 Clay Santini è stato uno degli unici quattro ciclisti ad aggiudicarsi sia il Piccolo Giro di Lombardia che il Giro di Lombardia. Alla fine degli anni ’90 si inserisce poi, fra i campioni, Enrico Cassani, diventato professionista delle due ruote nel 1997 e nel 1999, da gregario, è stato decisivo per la vittoria del Giro d’Italia di Ivan Gotti. Dalle ruote della bicicletta si passa a quelle dei pattini a rotelle, disciplina in cui il Cassanese Oscar Galliazzo negli anni ‘80 è stato protagonista assoluto con la conquista di cinque titoli mondiali, di cui quattro record del mondo, nove titoli europei, ventitré italiani e tre volte campione del mondo inline downhill (discesa libera su pattini in linea). Dagli sport a cielo aperto si passa a


quelli effettuati in palestra, con i ragazzi della pallacanestro presenti nel campionato di serie B negli anni ’90. La squadra di basket cassanese comincia le sue prime esperienze sportive nel 1946 nel campo del dopolavoro; i giganti del canestro si sono successivamente trasferiti nella struttura dell’oratorio maschile Don Bosco fino al 1974 quando, vittoria dopo vittoria, la categoria del campionato al quale devono partecipare obbliga all’utilizzo della palestra, quindi Pietro Colombo ed i suoi atleti emigrano a Treviglio dove, uniti alla Zanovello Salesiani, arrivano a partecipare al campionato di serie D. Ritornano a Cassano d’Adda nel 1977, ospitati nella palestra di corso Europa prima e, successivamente, in quella del centro sportivo di via Giovanni XXIII, dove scalano le classifiche dei campionati nazionali fino a conquistare la presenza in serie B. La Cassano sportiva si presenta anche nelle palestre d’Europa negli anni ‘80 con la squadra di pallavolo femminile. Un gruppo di ragazze dell’oratorio chiede a Celeste Donini di aiutarle a formare una squadra di pallavolo: nasce così la bella avventura delle ragazze cassanesi che arrivano a conquistare per ben due volte la vittoria nel campionato nazionale in A/2, sfiorando poi nel 1984 la vittoria del campionato in serie A/1, persa in semifinale. La loro performance in quella stagione sportiva aveva permesso loro di partecipare nel 1985 alla competizione europea Coppa delle Coppe.

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ph Margheriti

Sport

Let’s dance! di Daniela Regonesi

Il ballo e il suo insegnamento: la passione e la professione di Sonia Santini

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o sport e l’attività fisica sono fondamentali, per corpo e mente: ce lo conferma la cassanese Sonia Santini, che dalla passione per la danza e il suo insegnamento ha saputo costruire la sua professione, con grinta, gioia ed entusiasmo contagiosi. Presentati. «Ho iniziato a studiare danza a 6 anni grazie alla mia mamma. All’epoca – 36 anni fa – le scuole erano poche e, fortunatamente, a Cassano d’Adda ce n’era una appena aperta, che c’è ancora: la mia insegnante oggi ha 70 anni, la trovo ai corsi di aggiornamento! La danza era una valvola di sfogo per la mia timidezza, non vedevo l’ora di arrivare a lezione. Mi sono sempre più appassionata e quindi sono passata all’insegnamento, diplomandomi alla Royal Academy of Dance in Italia (la RAD ha sede centrale a Londra, nasce nel 1920 con il nome “Association of Operatic Dancing in Great Britain”; è un’associazione a scopo didattico e gode del patrocinio di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, ndr). L’ho scelta perché ha dei programmi che vanno bene per tutti gli allievi, studiati per rispettarne lo svi-

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luppo psico-fisico, non ci sono selezioni; del resto la mia è una scuola amatoriale, e si può comunque lavorare nei propri limiti fisici, indipendentemente dalla forma dei piedi o delle anche. Seguo ancora lezioni a Bergamo, ballo per passione, e ho l’obbligo di frequentare corsi di aggiornamento annuali in RAD: la danza, come tutte le cose, si evolve, non è più quella dell’’800, c’è bisogno di nuovi stimoli e input, senza dimenticare che è esercizio costante e continuo». Sei giovane, eppure insegni da tanto… «Sono 20 anni che insegno, ho iniziato presto, è la mia passione: stare con i bambini e insegnare loro i passi mi ha sempre molto divertito, non mi ha pesato. Quando sono triste, demotivata, vado ad insegnare e tutto passa. I bambini ti danno tanto, hanno sempre entusiasmo ed energia. È un bel lavoro, sono contenta di averlo scelto. Ci sono ragazzi che mi seguono da 16 anni: cresciamo insieme, è bello vedere i loro progressi. Insegno ai bambini, da 3-4 anni, fino agli adulti, danza classica ma anche la moderna e il funky». Nei tuoi saggi si vedono ballerini di tutte le età e caratteristiche fisiche:

davvero la danza è un’opportunità per tutti? «Tutti si possono avvicinare alla danza, persino gli adulti che fin da piccoli sognavano di farlo. Certo, devi essere consapevole che certe cose, magari, non potrai farle, ma qualche risultato lo puoi avere, perché il ballo è espressione di movimento. Tutti hanno una danza interiore, il problema è che abbiamo delle inibizioni a mostrarla, soprattutto quando cresciamo. Per questo è fondamentale che i bambini liberino la creatività e facciano emergere il loro carattere. Io dico sempre loro di ascoltare la musica, cosa comunica loro, e di cercare di trasmetterlo. Ognuno ha la propria espressione, il suo modo di fare un movimento. Non sono soldatini. È giusto che i bambini abbiano voglia di venire a lezione perché si divertono, non è giusto che diventi solo un obbligo». Dove insegni? «La sede principale è a Treviglio, presso Action Club. La mia scuola, Somotion, conta 75 allieve distribuite in corsi per tutte le età: dai 3 anni la danza-gioco, dai 5-6 la propedeutica alla classica, dai 6/8 la danza classica e la moderna; poi il fitness, con zumba, mamma fit (ginnastica con il passeggino, dopo la gravidanza) e pilates. Collaboro poi con la palestra Green Line Sporting di Fara Gera d’Adda, in cui insegno danza gioco e propedeutica ad una ventina di bambini, mentre propongo danza gioco e moderna presso la libreria creativa La pulce curiosa, a Treviglio». Hai imparato dai tuoi ragazzi? «Tantissimo! Ad esempio, mentre insegno una cosa nel solito modo, una loro domanda fa nascere nuove idee, danno input per le coreografie e per le modalità di spiegare un passo. Sono una fonte di fantasia, soprattutto le piccole. Mi aiutano tantissimo. Una volta c’era più rigidi-


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tà, anche se oggi permangono le regole, importantissime, è cambiato il modo di insegnare: i ragazzi danno più confidenza, cercano di avvicinarsi di più e magari non ascoltano tantissimo. Resti un’insegnante ma il rapporto è più confidenziale. L’importante è incoraggiare, il mio metodo si basa su un insegnamento positivo: ad esempio non bisogna dire mai “non si fa così”, ma piuttosto “potresti farlo in questo modo?”. Ci vogliono le regole, ma senza essere inflessibili». Quali sono i benefici della danza? «Tanti non lo considerano uno sport, ma è un’attività sportiva completa, a tutti gli effetti, e anche artistica: permette di impostare la corretta postura; sviluppa il senso del ritmo; facendo prendere consapevolezza del proprio corpo dà sicurezza in sé stessi; forgia il carattere; sviluppa la coordinazione e la sensibilità (alla musica, all’arte in generale). Un altro aspetto positivo è il lavorare in gruppo, crescere insieme con entusiasmo: la danza è anche socializzazione. Insegnando mi accorgo di quanti siano i ragazzi con problemi posturali, legati ad una vita sedentaria, tra studio, divano, pc e telefono e senza giochi all’aperto. È invece fondamentale lasciarli liberi di sperimentare la loro creatività, e il ballo è uno strumento valido per farlo. La danza è allegria, passione, energia, felicità. È bello danzare. Aiuta a darti il senso del dovere e ad organizzarti, come testimoniano i positivi risultati scolastici delle mie allieve. La danza è curativa. Aiuta ad accettare il proprio corpo e i propri limiti. La danza fa tanto». Progetti futuri? «Continuare così. Sono molto soddisfatta, mi contattano in tanti, sono contenta dei miei corsi». Il tuo mito? «Quando ero bambina mi incantavo davanti alla tv guardando Alessandra Martines ai tempi di Fantastico: bellissima! Allora la televisione proponeva dei veri e propri balletti, non le cose acrobatiche che vediamo oggi, più simili alla ginnastica artistica: la danza ha più trasporto ed interpretazione, non è pura esecuzione di un esercizio». Un passo a due con… «Roberto Bolle? Sono piccolina, mi solleva in fretta, lui è altissimo».

Il mercato immobiliare

Nel 2016 il mercato immobiliare ha subìto un ribasso dei prezzi.

Le previsioni del 2017 danno in crescita le transazioni e prezzi stabili. I proprietari che hanno necessità di vendere dovranno andare incontro a chi non possiede la cifra richiesta sacrificando una parte del proprio profitto. Soldi in testa o soldi in tasca. A voi la scelta.

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Le ricette di Erika Resmini

Tagliatelle al ragù bianco di scampi Ingredienti (per 2 persone) • tagliatelle fresche • 10 grossi scampi • erba cipollina • 1 grappolo di pomodori datterini • ½ bicchiere di vino bianco

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reparare le tagliatelle (vedi il tutorial pubblicato sullo scorso numero di Tribuna Magazine). Pulire gli scampi eliminando il carapace e tenendone da parte 4 interi per la decorazione del piatto. Tagliare a dadini la polpa degli scampi, rosolare in padella con un cucchiaio d’olio e sfumare con il vino, lasciare evaporare e, a fuoco spento, aggiungere i pomodori precedentemente tagliati a dadini. Portare ad ebollizione una pentola d’acqua salata, cuocervi le tagliatelle, scolare e spadellare con il sugo. Impiattare spolverando con l’erba cipollina tagliata finemente e appoggiando gli scampi interi, crudi o sbollentati a vostro piacimento, a bordo piatto. Buon appetito!

Tartare di tonno Ingredienti (per 2 persone) • 2 filetti di tonno freschissimo (200 gr circa, cad.) • pomodorini • 1 mazzetto di rucola • olio • sale

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agliare il tonno in piccole strisce, dalle quali ricavare poi dei piccoli cubetti. In una ciotola adagiare i pomodorini tagliati a dadini finissimi, unirvi il tonno e la rucola sminuzzata. Mescolare il tutto con una presa di sale e un cucchiaio d’olio. Adagiare sul piatto qualche ciuffo di rucola, appoggiarvi al centro un coppapasta e, con un cucchiaio, riempire di tartare. Schiacciare il composto, sollevare e la vostra tartare è pronta!

54 • tribuna magazine • Febbraio 2017


Tiramisù alle fragole

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I C I O • P A S T I C CE R IA

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Ingredienti (per 2 persone) • 250 gr di mascarpone • biscotti “Pavesini” (4 bustine circa) • succo di limone • 2 cestini di fragole • 3 cucchiai di zucchero

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ggiungere al mascarpone lo zucchero e qualche goccia di succo di limone. Amalgamare il tutto con una frusta fino a far diventare la crema morbida. Tagliare le fragole a dadini e spruzzarvi del succo di limone. Col restante succo, inzuppare i biscotti e adagiarli in una teglia, ricoprendoli con la crema e le fragole. Ripetere per un paio di strati e terminando con le fragole. Fare riposare un paio d’ore in frigorifero: raffreddato, infatti, sarà più facile da tagliare a forma di cuore. Vi auguro una buona serata in compagnia di chi vi vuole bene! Buon San Valentino! Febbraio 2017 •

tribuna magazine • 55


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Ricordo

I.P.

Arrivederci Il Centro Gomme Ivan! di Antonio

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a notte tra il 24 e il 25 gennaio scorsi ha segnato la scomparsa di Ivan Arzilli, Dottore Commercialista e Vice Presidente Vicario della Banca di Credito Cooperativo di Treviglio. Nato a Caravaggio e residente a Calvenzano (ove ha seguito con passione anche l’attività del “Circolo Donizetti”), Ivan ha saputo conquistare la stima di tanti, sia in ambito professionale che per quella sensibilità e l’attenzione verso gli altri che lo hanno visto impegnato nel volontariato e nel sociale. Sono innumerevoli gli incarichi che il dott. Arzilli – che vogliamo chiamare solo Ivan, come si fa con le persone più care – ha ricoperto. Lo ricordiamo in veste di docente in corsi per la dirigenza e l’economia, di revisore, di perito, di commercialista, di consigliere comunale a Caravaggio o ancora di assessore al bilancio del Comune di Treviglio (promuovendo il primo Bilancio sociale dell’Ente), di consulente... Ma chi ha avuto la fortuna di compiere alcuni passi accanto a lui lo ricorderà sempre e principalmente come un grande Amico, come colui che con un sorriso sapeva prenderti per mano e accompagnarti lungo la strada. E come si fa con gli amici, l’addio diventa un arrivederci, il dolore si trasforma in un grazie per i doni che abbiamo avuto l’onore di poter ricevere standoti accanto. Il tuo amico Marco Ferri

U

n’azienda nata nel 1970 da un’idea dei coniugi CaldaraBresciani di Grumello del Monte che, forti della tradizione familiare della signora Laura nel settore degli pneumatici, decidono di avviare l’attività a Treviglio, edificando quella che tutt’oggi è la sede di via Bergamo. Alle capacità lavorative della signora Bresciani, si associano quelle di Antonio Ferrandi, giovane e volenteroso dipendente che di quel mestiere apprende rapidamente tutto, facendone la propria arte. Dopo alcuni anni Antonio diviene socio dell’attività, continuando a lavorare con passione, professionalità e ricercando sempre quella qualità che da sempre contraddistingueva il suo operare. È così che nasce il Centro Gomme Antonio, un’attività rilevata nel 2010 e plasmata sugli insegnamenti di un uomo da cui anche i dipendenti – quelli storici che per anni con lui hanno condiviso le giornate lavorative – hanno ereditato un insegnamento: quello di una persona generosa e dall’animo buono, doti non comuni e riconosciute all’unisono, non solo da amici e clientela. Dopo la sua prematura scomparsa, l’attività di Antonio prosegue sotto la guida della moglie Giovanna seguendo la filosofia che da sempre ha ispirato l’azienda. Così, oggi come ieri, la clientela viene consigliata nelle scelte, fornendo servizi di assistenza per autovetture, motocicli, mezzi pesanti ed agricoli. Vastissima la proposta alla clientela, dai marchi premium come Dunlop,

Bridgestone, Michelin, Continental, Kumho e Pirelli (le più raccomandate dallo stesso Antonio, interista della prim’ora) ma anche a prodotti più economici ed in grado di rispondere alle molteplici esigenze della clientela. Lo staff del Centro Gomme Antonio, formato da professionisti e convenzionato con Leasing Company, è attrezzato sia per il deposito stagionale degli pneumatici che per la meccanica leggera in grado di assicurare anche il tagliando e il cambio freni etc. Un’azienda in costante crescita che, seguendo il progetto di Antonio, continuerà a crescere. Magari proprio con i figli Giuseppe ed Andrea. www.centrogommetreviglio.it

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La rubrica della salute

I.P.

L’Osteopatia

Vaccini

L’

Osteopatia è una medicina non convenzionale riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si fonda sulla considerazione che l’essere umano è un unicum fra corpo, mente e spirito. Attraverso la valutazione della postura e la palpazione è possibile individuare gli eventuali disturbi su cui intervenire. Mediante la manipolazione dei tessuti, un osteopata è in grado di innescare i processi di autoguarigione di cui è naturalmente dotato l’organismo. L’Osteopatia Biomeccanica Dinamica BFD è un’evoluzione dell’osteopatia moderna ed è estremamente efficace nel prevenire e trattare problematiche di varia natura, legate a traumi pregressi, attività sportiva e posture scorrette; tratta tutte le disfunzioni che possono dare origine a: cervicalgie, sintomi associati, cefalee tensive, dorsalgie, lombalgie, sciatalgie, gonalgie, pubalgie, dolori muscolo-scheletrici, dolori mestruali, mala-occlusione mandibolare.

Osteopatia in gravidanza e nel neonato

L’osteopatia può essere particolarmente utile in gravidanza, quando la crescita del pancione porta a cambiare gli schemi posturali preesistenti, accentuando la curvatura lombare e modificando, per compensazione, la curva dorsale. Per questo, nel corso dei nove mesi è facile che la futura mamma vada incontro a tensioni lungo la colonna, che possono causare dolori alla schiena o ai nervi sciatici che si irradiano verso le cosce. Oltre a prevenire dolori e contratture nei nove mesi, le manipolazioni

osteopatiche consentono di arrivare al parto in condizioni fisiche ottimali. Per far sì che questo succeda, occorre che tutte le articolazioni del bacino siano mobili, libere e non bloccate da restrizioni di movimento, e a questo scopo le manipolazioni dell’osteopata creano una condizione ottimale, che da un lato riduce le tensioni dolorose provate dalla donna, dall’altro facilita le “fatiche” del bebè, che subirà meno traumi durante la nascita. Le ossa della testa del neonato sono strutturate per assorbire le pressioni naturali esercitate al momento del parto: per questo si deformano per affrontare il percorso verso la luce e iniziano successivamente un naturale automassaggio che le modella e le riporta alla loro normale posizione anatomica. Di solito, tutto avviene entro qualche giorno dal parto, ma se i disequilibri non vengono recuperati, è probabile che, crescendo, la testolina dovrà adattarsi con piccoli o grandi movimenti di compensazione che condizionano il resto della struttura muscolo-scheletrica. Questo può portare a volte sintomi come coliche, irritabilità, vomito, difficoltà di suzione, otiti, sinusiti e disturbi del sonno. L’osteopata interviene con tecniche dolci e non invasive per aiutare il neonato a ritrovare l’equilibrio non recuperato spontaneamente. CENTRO INFERMIERISTICO e POLISPECIALISTICO Via Balilla, 66 - Romano di Lombardia Tel. Fax 0363 222249 www.9coop.it - prenotazioni@9coop

58 • tribuna magazine • Febbraio 2017

Anche all’ASST Bergamo Ovest il vaccino antimeningococco in co-pagamento

A

partire dal 10 gennaio, tutte le ASST della Lombardia hanno messo a disposizione un numero di telefono per accedere alle vaccinazioni contro il Meningococco con la formula del co-pagamento. I recenti fatti di cronaca hanno riacceso l’allarme meningite e ciò ha fatto scattare una maggiore richiesta del vaccino, anche se in realtà i dati sono in linea con gli anni precedenti. Nel 2016 infatti nella nostra regione si sono registrati 37 casi, in linea con gli scorsi anni e addirittura in numero inferiore alla media (56) del decennio 2001-2010. Il numero dei decessi nel 2016 è stato di 8, anche questo in linea con gli anni precedenti. Tuttavia, forse per un eccessivo rilievo dato dai media ai casi verificatisi negli ultimi tempi, molti cittadini hanno cominciato a pensare che fosse meglio vaccinarsi.


I.P.

La rubrica del cuore

Diabete e malattie cardiovascolari: un pericoloso binomio

I La Regione ha risposto a questa crescente domanda predisponendo appunto la formula del co-pagamento: ovvero possono accedere alle vaccinazioni contro il Meningococco tutti i soggetti non inclusi nelle categorie per le quali, come previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale e il conseguente piano regionale, l’offerta è già gratuita (attualmente sono gratuitamente offerte: la vaccinazione antimeningococco C nei primi 24 mesi, garantita comunque fino ai 18 anni per chi non fosse stato vaccinato in precedenza; le vaccinazioni antimeningococco B e ACWY per le categorie a rischio per status o patologia; la vaccinazione antimeningococco B per i nuovi nati dal 2017). Il costo della prestazione in co-pagamento è composto dal costo del vaccino scelto (antimeningococco B; antimeningococco C; antimeningococco ACWY), più il costo di somministrazione per singola dose pari a 9,954 euro. Per accedere alla vaccinazione non è necessaria la prescrizione medica, ma trattandosi di una scelta di protezione individuale ed essendo la vaccinazione un intervento sanitario, è importante confrontarsi preventivamente con il proprio medico curante per eventuali controindicazioni o per verificare l’appartenenza a una categoria a rischio per la quale la vaccinazione è gratuita. Per quanto riguarda il nostro territorio, sul sito dell’ASST Bergamo Ovest è possibile trovare tutte le informazioni relative al vaccino, compreso il numero di telefono al quale rivolgersi per la prenotazione, gli ambulatori che effettuano il vaccino e i rispettivi orari di apertura. Numerose anche nella nostra zona le telefonate giunte all’azienda sanitaria, tanto che al 23 gennaio le prenotazioni effettuate nell’ambito distrettuale Pianura Bergamasca (Treviglio-Romano) sono 574 e la prima data utile per la prenotazione attualmente è già al 14 giugno per Treviglio e al 5 giugno per Romano. L’inizio delle vaccinazioni è previsto per il 6 febbraio.

l diabete oggi rappresenta una delle più pericolose patologie a diffusione mondiale con un tasso di crescita previsto dal 2.8% nel 2000 al 4.5% nel 2030. Ben nota ormai a tutti è la stretta correlazione tra patologia diabetica e malattie del sistema cardiocircolatorio. Infatti, più della metà dei pazienti diabetici risulta essere obesa, o quantomeno sovrappeso, ed è sempre più evidente come obesità e sindrome metabolica siano da considerare condizioni fondamentali nello sviluppo di malattie cardiovascolari, a partire dalla cardiomiopatia ischemica. La prevalenza della cardiopatia ischemica nella popolazione generale è del 2-4%, mentre tra i diabetici adulti può superare il 50%. I pazienti diabetici sono soggetti ad un danno vascolare più serio e diffuso, pertanto le sindromi cardiache, renali e cerebrovascolari sono molto più gravi, in ragione anche del fatto che gli organi coinvolti presentano una minore resistenza all’insulto ischemico per un incremento della vulnerabilità dei tessuti, conseguenza del danno provocato dall’alterato metabolismo del glucosio. La fragilità del paziente diabetico, o meglio la sua complessità, rende poi estremamente difficile e delicato il compito di trovare una giusta cura dal punto di vista cardiologico in quanto, spesso, le scelte terapeutiche non risultano avere gli stessi risultati dei pazienti normoglicemici. Il trattamento della malattia cardiovascolare nel diabetico richiede una ben dosata aggressività che deve essere diretta in maniera tempestiva verso il bersaglio.

Come fare diagnosi di diabete? I criteri diagnostici sono i seguenti: (in due misurazioni successive): - Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl oppure - Glicemia casuale ≥ 200 mg/dl (indipendentemente dall’assunzione di cibo) oppure - Glicemia ≥ 200 mg/dl dopo assunzione di carico orale di glucosio (75 g)

Quali sono gli obiettivi terapeutici/glicemici? - Emoglobina glicata < 180 mg/dl - Glicemia a digiuno e pre-prandiale 90-130 mg/dl - Glicemia post-prandiale (2 ore dopo inizio del pasto) < 180 mg/dl

Quali i primi interventi da mettere in pratica? - Modifiche dello stile di vita finalizzate ad ottenere calo ponderale (5-7% rispetto al basale), incremento dell’attività fisica (30- 45 min al giorno 5 gg/ settimana), cessazione del tabagismo - Cambiare abitudini alimentari inserendo vegetali, legumi, frutta, cereali e cibi ricchi di fibre, riducendo apporto di sodio nella dieta - Ridurre apporto di caffeina Lo stretto controllo della glicemia riduce il rischio di insorgenza e/o la progressione delle complicanze, ad esempio retinopatia e nefropatia diabetica si riducono del 37% per ogni punto percentuale di riduzione dell’emoglobina glicata. Da non trascurare, dunque, la costanza nei controlli clinici e strumentali a scadenza almeno annuale, in assenza di complicanze, al fine di raggiungere target terapeutici costanti ottimali. Dott.ssa Alessandra Di Mauro Medico Specialista in Cardiochirurgia Istituto Clinico Sant’Ambrogio – Milano (02/331271) Centro Diagnostico – Treviglio (0363/300343 - 0363/599411) e- mail: alessandradimauro@yahoo.it

Febbraio 2017 •

tribuna magazine • 59


La rubrica della finanza

I.P.

Un Buon 2017? L’ arrivo del 2017 è stato festeggiato da una settimana di fuochi d’artificio di dati macro tutti positivi, in America, Europa e Asia: attività manifatturiera sostenuta dappertutto, anche in Cina, fiducia dei consumatori a livelli elevati, inflazione che si fa rivedere anche in Europa. Perfino la funerea capa del FMI Christine Lagarde riesce a vedere rosa. Il 2017 porterà forse qualche barriera internazionale in più da superare, ma anche politiche meno punitive che, insieme agli ingredienti necessari, riusciranno a far rivedere finalmente qualche margine di profitto. Altro tema predominante la fine del 2016 e l’inizio del 2017 è l’inflazione, dopo anni di rischio deflattivo. In tanti attribuiscono questo ritorno a Trump, ma in realtà l’inflazione che stiamo misurando oggi è l’effetto di una serie di fattori già in corso, che sono sempre gli stessi, ossia il miglioramento dei tassi di occupazione, l’aumento dei salari (in US +2.9% è il dato più alto), la stabilizzazione del prezzo delle commodity, l’aumento dei consumi (driver

di crescita a livello globale). Aldilà di Trump, ci si aspetta un +1,9% di crescita dell’inflazione negli USA, nell’area euro l’inflazione ha accelerato all’1,1% nel mese di dicembre, ma, sebbene sia il doppio rispetto al mese di novembre, ci troviamo ancora al di sotto dell’obiettivo del 2% prestabilito. In quasi tutte le principali aree è in atto una ripresa o quantomeno un consolidamento congiunturale. Tale tendenza, unita alla stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, lascia presagire nei mesi a venire una prolungata accelerazione dell’inflazione. Ad ogni modo, come sempre, la stagione si preannuncia piena di incognite, tra populismo europeo e protezionismo americano, rialzo dei tassi e nuove consultazioni elettorali, noi torniamo in campo per studiare insieme le migliori tattiche e selezionare i giocatori più in forma per vincere il campionato. Con tanto allenamento e una valida strategia possiamo farcela. A tutti ancora un augurio di un Buon 2017. team.advisor.3v@gmail.com

L’App del mese

Contanti addio? Siamo sulla buona strada di Marco Daniele Ferri

U

scire senza moneta nelle tasche ed offrire il caffè ai colleghi pagando con cellulare? Oggi possiamo farlo grazie a Satispay, una App compatibile con iPhone, Android e Windows Phone. Indipendente dai circuiti tradizionali, Satispay è un sistema di pagamento che permette di scambiare denaro con amici e parenti, e di pagare nei negozi convenzionati sia fisici che online. Interessante vero? Ma i costi? Per l’utente privato il servizio è gratuito, nessun costo è previsto per scaricare la app, per l’iscrizione, per l’invio e per la ricezione del denaro. È molto semplice ed intuitivo iscriver-

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60 • tribuna magazine • Febbraio 2017

Cavalcavia sicuro? Spett.le Redazione, al di là di facili e ormai comuni allarmismi, nei giorni scorsi ho sentito parlare della possibile pericolosità del ponte che passa sopra la ferrovia Milano-Venezia, all’altezza della ditta Baslini. A quanto ho sentito, per le poche notizie circolate, sembrerebbe che lo stesso sia stato indicato dalla Provincia tra le infrastrutture da sottoporre a monitoraggio.


La rubrica del fisco

I.P. si, a patto di essere maggiorenni e titolari di un conto corrente bancario o, in alternativa, di una carta prepagata con codice IBAN italiano. Dopo aver atteso qualche giorno per alcune verifiche dei dati, si definisce il budget settimanale e in seguito si riceve la prima “ricarica”. Curiosando nello strumento ricerca della app, scopriamo diversi negozi già convenzionati a Treviglio e nella Gera d’Adda, da tabaccai a ristoranti, da negozi di abbigliamento a parrucchieri. Comprensibile la scelta degli esercenti, essendo conveniente per il fatto che non sono previsti costi di attivazione o canoni mensili, ma solo una commissione fissa di 20 centesimi per le transazioni sopra i 10,00 euro. L’invio del denaro, dopo aver inserito la password di sicurezza, è immediato, tracciato nella cronologia personale, e sicuro grazie ad un sistema di criptazione all’avanguardia e la non condivisione di dati sensibili o personali. Insomma, un nuovo metodo di pagamento comodo, sicuro e innovativo! Per scoprire come funziona guarda il video che abbiamo realizzato sul nostro portale all’indirizzo www.tribuna.tv/satispay oppure tramite il QR Code qui accanto.

Stante il fatto che probabilmente – qualora così fosse – la sua chiusura causerebbe un disagio notevole, non solo alla circolazione stradale locale ma anche a quella della linea ferroviaria sottostante, sarebbe possibile conoscere l’effettivo stato di salute del ponte ed, eventualmente, avere un intervento rassicurante dalle Autorità competenti? Più nello specifico: la competenza non dovrebbe essere proprio della Provincia che lancia questo allarme? Iolanda Sangaletti

Quando vado in pensione?

L

a legge di stabilità 2017 ha introdotto alcune importanti novità sull’età per andare in pensione, prima fra tutte le possibilità di anticipare fino a un massimo di tre anni e 7 mesi l’uscita dal mondo del lavoro, rispetto all’età prevista normalmente per la pensione di vecchiaia. Gli interessati al nuovo meccanismo, detto APE, saranno i lavoratori che compiono 63 anni a partire da maggio 2017. La norma riguarda sia i dipendenti pubblici che privati, che i lavoratori autonomi. Va fatta una premessa: attualmente per il 2017 l’età per andare in pensione è fissata a: 66 anni e sette mesi per gli uomini (sia autonomi che dipendenti, pubblici e privati) e per le donne che lavorano nel settore pubblico; 65 anni e 7 mesi per le donne dipendenti del settore privato e 66 anni e 1 mese per le donne lavoratrici autonome. Dal 2018, per tutti, l’età – unificata dalla riforma Fornero – è pari a 66 anni e 7 mesi. Da ricordare che alla pensione di vecchiaia hanno diritto tutti i lavoratori assicurati con la previdenza obbligatoria e che all’età stabilita abbiano un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Per la pensione di anzianità, invece, cui si accedeva a prescindere dall’età ma con un requisito contributivo più alto, la riforma MontiFornero ha alzato i paletti e, definendola “pensione anticipata”, a partire dal 2012, sono necessari almeno: 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, sia nel pubblico che nel privato, con almeno 35 anni di contribuzione effettiva (questa ultima norma non vale per ex Inpdap ed Ipost ed ex FS). Con la legge di bilancio appena approvata, a partire da maggio 2017 è stato introdotto un nuovo meccanismo per anticipare l’età per andare in pensione, detto “APE” (anticipo pensionistico), destinato a tutti i lavoratori, con la possibilità di anticipare l’età della pensione fino ad un massimo di 3 anni e sette mesi. Date le difficoltà della finanza pubblica,

ovviamente, si potrà però incassare un assegno ridotto rispetto a quello che si sarebbe avuto alla fine della carriera. La pensione, infatti, viene pagata in anticipo grazie ad un prestito da istituti finanziari privati, e controllato/gestito dall’INPS sulla base della nuova legislazione. Dall’assegno di pensione “regolare” viene detratta la rata di restituzione del prestito, della durata di vent’anni, e con tassi controllati sempre dallo Stato. Il taglio della pensione dovrebbe aggirarsi intorno al 4/5% dell’importo mensile, per tutto il periodo del prestito. Si attende su questa materia un accordo tra ABI e ministero dell’Economia e il conseguente decreto ministeriale che definisca il tetto massimo dei tassi in interesse per tale prestito. La norma specifica anche che potranno accedere i lavoratori con una pensione non inferiore a 1,4 volte la pensione minima, conteggiando il taglio per la restituzione del prestito. L’importo dell’assegno, erogato al netto della rata del prestito, dovrà dunque essere superiore a 983,71 euro. Avrà diritto all’APE anche chi soddisfa i requisiti tramite il cumulo contributivo, ossia la ricongiunzione non onerosa dei contributi versati a casse diverse, prevista sempre dalla legge di stabilità 2017. Giovanni Ferrari Tributarista

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La Vignetta di Juri Brollini

62 • tribuna magazine • Febbraio 2017

Bruno Manenti


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