Ottobre 2022

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MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

DUE SECOLI D’ARTE

Possagno, un borgo alle pendici del Monte Grappa, ha dato i natali ad Antonio Canova. Il grande artista ve neto, ha cavalcato due secoli di storia: dalla rivoluzione francese all’era napoleonica, fino alla restaurazione dopo l’esilio a Sant’Elena. Un perio do di conflitti che hanno causato mi lioni di vittime, ma anche un periodo in cui è esplosa l’arte neoclassica, quasi a fare con la sua bellezza da contraltare alla crudeltà della guer ra. E se oggi provassimo a contrap porre la bellezza alla violenza?

In questo numero:

ANTONIO CANOVA: UN GRANDE VENETO_TI CORTEGGIO O NO?_CORO SERENISSIMA_FUTURISMO_IL LIBRO DEL MESE_GENTE DI CAMPALTO_POVEGLIA: TRA LEGGENDA E REALTÀ_SAN MARTINO: CONOSCIAMOLO MEGLIO.

nella foto di copertina:

Tempio Canoviano a Possagno

distribuzione gratuita presso gli esercizi commerciali a: Campalto - Favaro Veneto - Tessera - Dese OTTOBRE 2022 Anno XIX N°214 http://issuu.com/lapaginadicampalto lapaginadicampalto@gmail.com
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ANTONIO CANOVA, UN GRANDE VENETO

Il 13 ottobre del 1822 si fermava la mano di Antonio Canova. Sono passati due secoli dalla scomparsa di quello che è stato considerato il più importante artista italiano (e non solo) del Classicismo.

Nato a Possagno nel 1757 in una famiglia di scalpellini e tagliapietre, presto viene avviato allo stesso me stiere dal nonno Prossimo. Ancora giovane si trasferisce a Roma, dove resterà per la maggior parte della sua vita, e inizia ad approfondire lo studio dell’arte antica. Agli inizi del 1800 viene nominato da Papa Pio VII ispettore generale delle “antichità e belle arti” e Napoleone lo

invita a Parigi per farsi ritrarre. Una sua rappresentazione in bronzo nella veste di “Marte Pacificatore” (l’originale marmoreo si trova in Inghilterra) campeggia nel cortile dell’accademia di Brera a Milano. Era stato infatti proprio Napoleo ne, dopo la sua conquista del nord Italia, a voler creare in questa sede un museo, ispirato al Louvre di Pari gi, per esporre i capolavori dell’arte italiana, spesso requisiti in chiese e monasteri del nostro paese. Cadu ta l’era napoleonica, su incarico del Papa e con la mediazione inglese, torna a Parigi per recuperare con successo molte delle opere d’arte trafugate dai francesi. Tornato nella patria natia, la salute peggiora e la sua vita si spegne. I funerali saran no celebrati solennemente a Roma e soprattutto a Venezia nella basili ca di san Marco.

Le sue opere sono conservate nei più importanti musei e collezioni private del mondo mentre nella “Gipsoteca” di Possagno, sebbene fortemente colpita dai bombarda menti austriaci durante la Grande Guerra ma sapientemente restaurati, sono conservati i calchi preparatori delle sue più importanti opere. Rispettando i canoni del neoclassicismo, molte di esse sono ispirate alla mitologia greco roma na, ma non mancano soggetti a carettere religioso come la Maddalena conservata a genova.

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Ma forse la sua opera più celebre, che possiamo ammirare nella Galleria Borghese di Roma, ritrae Paolina, sorella di Napoleone ma consorte di un principe romano, di stesa languidamente su un divano. Ciò che fece di Canova il “Principe del marmo”, al di là della sua maestria scultorea e all’originalità delle sue creazioni, fu senza dub bio l’idea di stendere sulle fredde superfici marmoree patine colora te in modo tale da farle sembrare quasi vive.

Questo artista poliedrico, era in fatti abilissimo pittore. Anche se a quest’arte dedicò poco tempo e, sembrerebbe, prevalentemente per svago, notevoli sono le opere ispirate agli affreschi rinvenuti a Pompei ed Ercolano, città da po chi anni riscoperte e la pala d’altare conservata nel Tempio Canoviano di Possagno.

Proprio questa costruzione, eretta a sue spese su una chiesa preesistente, è ispirata al Pantheon di Ro ma e rappresenta forse il suggello finale alla vita di questo straordina rio artista e fuomo di cultura a tutto tondo.

Il mausoleo originariamente da lui ideato per accogliere le spoglie di Tiziano Vecelio, campeggia nella chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari e custodisce il cuore di uno dei più grandi testimoni dell’arte e della cultura veneta e mondiale. Proprio in questi giorni sono terminati i lavori di restauro che hanno

ridato al monumento lo splendore originale. Una realizzazione molto simile, con la tipica struttura pira midale, la troviamo a Vienna. È il monumento funebre dedicato a Maria Cristina d’Austria nella chiesa degli Agostiniani.

A Bassano del Grappa, in una mo stra inaugurata da pochi giorni e aperta fino a febbraio, l’opera di Canova è celebrata in varie sedi espositive.

Un’occasione da non perdere assieme alla visita del famoso Ponte Palladiano da poco restaurato.

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TI CORTEGGIO O NO?

Il corteggiamento è sopravvalutato o no nei rapporti di coppia? È fon damentale per mantenere vivo un certo interesse da entrambe le parti oppure è un passo obbligato nella prima fase di conoscenza dei poten ziali partner?

Nel caso del corteggiamento uma no complessi fattori antropologici o culturali entrano in gioco. La com posizione di poesie, le serenate, il ballo e qualsiasi altra forma di at tenzione in grado di attirare la persona desiderata, sono finalizzati non tanto all’unione fisica della coppia, ma alla creazione di legami stabili e di fiducia. Quello fra animali è inve ce innato e per il semplice fine della procreazione. Ha inoltre la funzione di riconoscimento specie-specifico per ridurre i comportamenti aggres sivi del possibile partner.

Essere corteggiati fa piacere a tut ti e senza ombra di dubbio. Un bel bouquet di fiori spedito quando meno te lo aspetti. Un profumo che fa per te regalato e recapitato

senza alcuna ricorrenza speciale. Un bigliettino d’amore che ti ritrovi al mattino prima di fare la colazione. Sembrano tutti piccoli grandi gesti del vissuto quotidiano che fanno invece la differenza. Non si tratta solo di un semplice atto di cortesia ro mantico, melense, ma di una vera e propria dichiarazione d’intenti. Il corteggiamento non implica il coinvolgimento dell’altra persona per il fine ultimo della conquista. Io ti penso con tutta me stessa e ci ten go a fartelo sapere con un fiore, un oggetto, un invito a cena inaspetta to, solo per il piacere di trascorrere un po’ di tempo con te, per chiac chierare, per guardarsi negli occhi, per conoscersi meglio attraverso la condivisione di quel momento, tut to qui. Il bigliettino con una dedica appassionata e il mazzo di fiori sono senza dubbio un pensiero poetico. Essere corteggiate non vuol dire essere private della propria indipen denza. Può corteggiare chiunque, da entrambe le parti e di qualsiasi sesso. In pratica, si sceglie di esse re scelti. Si condivide. Credo che il corteggiamento sia la chiave di sol per recuperare i rapporti umani so prattutto in questo particolare mo mento storico che ci troviamo ad affrontare. Un atto di cavalleria. Uno passo obbligato, che se diventa abi tudine, è meglio.

Cristina Pappalardo

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Il Coro Serenissima ha ripreso la sua attività musicale dopo la pausa estiva.

Parte delle prove sono dedicate ad aspiranti coristi e musicisti e c’è sempre posto per nuovi elementi. L’anno scorso il coro ha messo in organico sei coristi nuovi e siamo sempre felici di aggiungere nuovi componenti al nostro organico. Il coro è composto da Soprani, Te nori, Baritoni e Bassi, chitarristi e mandolinisti.

Ti piacciono le canzoni veneziane? Sei nel posto giusto! Con noi potrai arricchire e comple tare il tuo bagaglio musicale. Se queste poche righe ti hanno in curiosito ci trovi sul sito https://coroserenissima.it/ e su Youtube sul canale

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È stata aperta il 1° ottobre, nella sale di palazzo Zabarella a Padova, la mostra “Futurismo 1910-1915. La nascita dell’avanguardia”, che rimarrà aperta fino al 26 febbraio 2023. Si tratta di un’importante ras segna, che si compone di oltre 100 opere provenienti da 45 prestatori nazionali ed internazionali, utile ad esplorare un movimento artistico solitamente poco indagato dal largo pubblico, eccezion fatta per le nozioni acquisite durante il periodo scolastico.

Sebbene negli ultimi quarant’anni si siano succedute molteplici ras segne dedicate al Futurismo, nessuna si è mai focalizzata in termini critici ed esaustivi sui presupposti culturali e figurativi, sulle radici, sulle diverse anime e sui molti te mi che hanno concorso prima alla nascita e poi al successo di questo movimento che ha caratterizzato in modo così dirompente le ricerche dell’arte occidentale della prima metà del Novecento.

Giustamente la rassegna assu me come arco temporale il quin quennio 1910-1915, in cui il futurismo dipanò, nel campo delle arti

figurative, la propria elaborazione teorica e alcune tra le principa li opere. Nel 1910 vengono infatti pubblicati, ad opera dei pittori Um berto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Seve rini, prima il “Manifesto dei pittori futuristi (11 febbraio) e poi il “Mani festo tecnico della pittura” (11 apri le). In questi due testi il gruppo di pittori che rappresentò il nocciolo dell’arte futurista trasfondono nel campo delle arti pittoriche i contenuti del più celebre manifesto futurista, quello pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909, che rappresenta a tutti gli ef fetti la nascita del futurismo, e che diede anche il nome al movimento. “Futurismo”, innanzitutto, signi fica “arte del futuro”, e infatti, tra le avanguardie del ‘900 è quella maggiormente animata da un sen timento rivoluzionario di rinnova mento, di ribellione nei confronti della tradizione e di fiducia nelle possibilità offerte dal futuro e dalle sue innovazioni tecniche.

È un movimento, quello futurista, che nasce sulla spinta di una ade sione esasperata alla modernità e alla incipiente industrializzazione della società italiana, donde deriva il primato che esso pone al dina mismo, alla velocità (iconicamente rappresentata dalle prime auto mobili), ad una polemica virulenta nei confronti del passato e di tutto ciò che poteva essere ascritto alla

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tradizione (vedi ad esempio le parole polemiche che Marinetti indi rizzerà a Venezia, la città che mag giormente incarnava ai suoi occhi il lento immutabile ripetersi delle co se passate). Da questi principi de riva una componente radicalmente antiborghese e un’accentuazione del superomismo, che schiereranno i principali esponenti del movimen to ad un’adesione acritica al primo conflitto mondiale, colto come un evento a tutti gli effetti generatore di un nuovo mondo. L’arte figurativa e pittorica è forse quella che più si presta, per la sua natura, a tradurre in prassi artisti ca l’impianto teorico del movimen to. Qui si va sperimentando infatti l’idea di una “opera d’arte totale” che superi i confini tra quadro e scultura, esaltando il contrasto cro matico, la simultaneità dei soggetti rappresentati, la compenetrazione dei piani, l’abbandono delle pro spettiva unica nella rappresentazione. I soggetti protagonisti delle opere futuriste non sono mai fermi oppure in stasi, ma sempre impe gnati in un movimento frenetico e impulsivo. In pittura e scultura si fa strada l’idea della “linea-forza”, che imprime una direzione mai frenata per esaltare una sorta di universa le dinamismo. La mostra conclude il proprio arco temporale nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Ita lia, cui alcuni degli esponenti par teciparono con convinzione. Qui si chiude la fase del cosiddetto

“primo futurismo”. Fuori di dubbio il futurismo rappre sentò una delle prime avanguardie europee del ‘900, che si pose in un rapporto fortemente dialettico con gli altri movimenti che di lì a poco sorsero, come il cubismo, il dadaismo e l’espressionismo, ma esercitò anche forme di influen za nei confronti di questi ultimi. Il movimento futurista italiano in par ticolare ebbe la capacità di influen zare le affini correnti artistiche in altri pesi europei, come ad esem pio la Francia e la Russia. È, quella di Padova, un’ottima opportunità per conoscere un movimento che in ogni caso costituì un fenomeno importante dell’arte italiana ed europea del primo novecento.

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Gabriele Scaramuzza

Credo che una delle cose più dif ficili per uno scrittore sia quella di trasmettere a 360 gradi tutto ciò che prova al lettore attraverso la creazione di personaggi fittizi. Ci sono infatti due tipi di problemi quando ci si cimenta nella stesura di un romanzo: la soggettività e co me diretta conseguenza, talvolta, la prolissità.

Nel caso del romanzo di Francesco Landi intitolato “Un disegno dall’ombra” e pubblicato da lette ratura alternativa edizioni, nessu no delle due criticità ha inficiato la storia o la caratterizzazione dei personaggi.

Landi ci propone continui colpi di

scena ove amore, malattia, vita e morte si incrociano, imperversa no nelle vite dei protagonisti e poi scompaiono improvvisamente qua si a essere cancellate da una gom ma su un foglio.

Eh sì perché questo è un romanzo dove arte, musica e letteratura si compenetrano. Il protagonista è un disegnatore di fumetti di successo, Gilbert, che si fa delle domande sul Karma. Anzi le fa al suo fidato assi stente Web.

Questa è l’opera in cui dal Central Park di New York si passa alla vi sta mozzafiato della Giudecca a Venezia ove vive Giulia Medici una bellissima donna che si occupa di politica internazionale.

A ruotare attorno a queste figure cardine ci sono ancora Lita, Mag gie e Monty che non sono sempli cemente personaggi secondari, ma coadiuvanti.

Mentre la storia si dipana, un fu metto verrà rivelato al New York Times, un fumetto che cela segreti nascosti e terribili verità. Per tutti coloro che sono curiosi e amanti della lettura, caldeggio vi vamente quest’opera di 304 pagi ne. Mentre sfoglierete le pagine, vi sembrerà di essere lì con il fumet tista Glibert in America oppure vi sembrerà di guardare o sentire con gli occhi e le orecchie di Giulia. A voi la scelta!

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GENTE DI CAMPALTO

Quando il mago tirò fuori dal cap pello un... Coniglio! Direte voi, in vece no. Questo Mago di Campal to è sempre stato un po’ anomalo: non ha mai fatto solo vere e proprie magie, non ha mai fatto solo il giocoliere, non ha mai fatto solo l’illu sionista e o il mentalista … lui tutte queste cose le ha sempre fatte tutte assieme.

I suoi spettacoli, adatti alle famiglie con bambini, hanno sempre presentato una magia giocosa, curiosa, allegra, divertente e coinvolgen te, mai troppo … magia e basta. E come tutti i Maghi che si rispettino ogni tanto dal cappello ecco uscire qualcosa di insolito, muovo, particolare. Allora, direte voi: si può sapere cosa ha tirato fuori dal cappello Ma gico Enrico? Dal cappello è uscito un libro! Un libro? Sì, proprio un li bro. Ma non un libro qualsiasi, un li bro scritto da lui e paradossalmente neanche un libro sulla magia. Ma un libro che fin dalle prime righe incu riosisce il lettore catapultandolo nel mondo parallelo delle… sue vacan ze! È infatti un simpatico rendiconto

di come ha vissuto le ferie estive, con tutti quei “piccoli imprevisti” che sono certa, vivano tante famiglie per le quali si sogna la vacanza, ma poi, non si vede l’ora di tornarsene a casa propria! È scritto in maniera genuina, amichevole, è una lettura sciolta e facile da seguire, arricchita da inaspettati giochi enigmistici a tema e tuffi nel passato grazie alle canzoni che hanno fatto da sottofondo a tutta l’avventura! Non resta quindi che sedersi comodamente e … andare in vacanza! Il libro è disponibile su Amazon.

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Martina Pagnin

POVEGLIA: TRA LEGGENDA E REALTÀ

Da qualche anno a questa parte, la piccola e remota Poveglia si è ritagliata il suo spazio di notorietà. Questo grazie alle storie di fantasmi ed eventi paranormali che le hanno dato fama, indicandola addirittura come uno dei luoghi più “infestati” al mondo. Purtroppo, a discapito di una storia secolare e gloriosa. Come ben disse lo scrittore veneziano Alberto Toso Fei, esperto di leggende della città lagunare, in occasione di un’intervista al Corriere del Veneto nel 2009, queste storie sono “eme rite fandonie. È triste vedere come viene deformata l’isola che è bellissima”. Posta a due miglia nautiche a sud della Giudecca, di fronte a Ma lamocco, lungo il Canal Orfano che collega la bocca di porto, e quindi il mare aperto, con Venezia, la no stra isoletta si trova lungo una via di comunicazione da sempre molto

importante, sia economicamente che dal punto di vista militare, dato che, fino all’Ottocento, Malamocco era l’unico degli accessi lagunari a garantire un pescaggio sufficiente al transito delle grandi imbarcazioni. Con i suoi 7,25 ettari è la seconda isola abbandonata più vasta della nostra laguna (la prima è “La Cura”, nella laguna nord) e conta 11 fab bricati. O meglio, quel che resta di essi. Anticamente era chiamata Po pilia, derivante o dal latino populus (pioppo) per la sua vegetazione, op pure dalla via Popilia, fatta costruire dal console romano Publio Popilio Lenate nel 132 a.C. per collegare Rimini con Adria, unendosi poi alla via Annia e raggiungere Aquileia seguendo una linea di costa allora decisamente diversa da quella attuale. Tanto che la nostra isola si poteva quindi trovare benissimo molto

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più vicina di adesso alla strada da cui poi avrebbe preso il nome. In alcune mappe del ‘500 appare co me Poveggia, da cui poi il nostro Poveglia. Quando inizia ad essere abitata? Nel 568 i Longobardi ca lano in Italia e, nella loro avanzata, distruggono le città dell’entroterra. I loro abitanti si pongono quindi in salvo nelle isole lagunari, arrivando anche a Poveglia. La quale, diventa allora un borgo e sede di un castel lo. Nell’809-810 i Franchi attaccano la laguna ma le loro navi, impacciate nelle manovre tra gli intricati canali e bassifondi lagunari, si incagliano e gli invasori, bloccati nel fango, ven gono massacrati. Per l’attiva parte avuta nella difesa, gli abitanti di Po veglia ricevettero una serie di privilegi, quali l'esenzione dal dazio sul vino, dal servizio militare e dal rema re nelle galee. Cinquant’anni dopo, nell’864, vi si insediano le famiglie di 200 fedelissimi del doge Pietro Tradonico, a seguito delle rivolte popolari scaturite dall’uccisione di questi, ottenendo la concessione di terre e valli da pesca, con l'obbligo di effettuare un censimento e un at to di omaggio annuali verso il do ge, che nominava un gastaldo come governatore, affiancato da 27 consiglieri locali. Poveglia divenne quindi un centro economicamente florido. Infatti, attorno all’anno Mille, vi era no oltre 800 case private e le fami glie locali erano impegnate nella pesca e nella produzione del sale.

Sede di un’antica pieve, dedicata

a San Vitale, ebbe poi un podestà, con giurisdizione anche sulle vici ne Malamocco e Pellestrina. La sua decadenza iniziò con la guerra di Chioggia (1378-1381). La minaccia genovese impose la necessità di sbarrare la via navigabile che, risalendo da Chioggia, portava diretta mente nel bacino di San Marco pas sando per Poveglia. Si decise quindi di sgomberarla, evacuandone la popolazione a Venezia e si costruì, proprio davanti all’isola, un isolotto artificiale a pianta ottagonale. Rea lizzato come postazione per batte rie di artiglieria, costituì poi il mo dello per la realizzazione dei succes sivi ottagoni, a partire dal 1571, per la minaccia turca. All’inizio del XX secolo era ancora in funzione, dotato di quattro pezzi di artiglieria e due mortai, con una guarnigione di trenta uomini, utilizzato, nella Gran de Guerra, come polveriera per la Regia Marina. Nonostante la costru zione dell’Ottagono, Poveglia fu comunque occupata dai genovesi e, al termine della guerra, si presentava completamente devastata. I pove gliotti, però, pur residenti a Venezia, mantennero per secoli la propria identità: il loro rappresentante aveva il privilegio di sedere sul Bucinto ro, accanto al doge, nel corso della festa della Sensa, ed ebbero anche una propria confraternita intitolata a San Vitale, che ebbe sede prima nella chiesa di San Trovaso e poi in quella di Sant’Agnese, nel territorio delle cui parrocchie si erano stabiliti.

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La Repubblica divenuta proprietaria dell’isola, interessandosi al suo re cupero, decise di adibirla a stazione per il rimessaggio, la sosta delle im barcazioni e l'immagazzinamento di attrezzature di bordo. In seguito le sue funzioni si orientarono verso fini sanitari: dal 1782 le sue strutture servirono al controllo di uomini e merci e, all'occorrenza, anche da lazzaret to, dato che le tradizionali sedi del Lazzaretto Vecchio e del Lazzaretto Nuovo erano divenute inadeguate. Una targa in marmo, rinvenuta nella costa nord dell’isola, riporta la scrit ta: "ne fodias vita functi contagio requescunt MDCCXCIII", ossia "non scavate [ovvero non disturbate] i morti per contagio in vita che ripo sano 1793”. Una volta deceduti, gli appestati venivano infatti bruciati e sepolti alla meglio sull’isola stessa in fosse comuni. Dopo la caduta della Serenissima, Poveglia mantenne le

sue funzioni di stazione per la quarantena marittima: vennero costruiti edifici in muratura per ospitare ma rinai e passeggeri nonché magazzini dove stipare le merci da sottoporre poi a disinfezione. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ospitò un “cronicario” (oggi diremmo re parto di lungo degenza o “ospe dale di continuità”). Ma dalla fine del 1969 questo venne dismesso e l'isola fu ceduta al Demanio. Per un certo periodo i suoi terreni furono assegnati ad un agricoltore, mentre gli edifici andarono progressiva mente in rovina. Tanto che ora l’iso la si presenta disseminata di rovine sepolte nel verde e meta ormai di “cacciatori di fantasmi”, amanti del soprannaturale ed esploratori urbani attratti dal fascino del misterioso e del proibito.

Da sabato 5 novembre, in occasione della ricorrenza di san Martino, presso il centro Culturale Pascoli di Campalto saranno esposte le fotografie presentate nella mostra su Poveglia all’interno della manifestazione “DonNa cultura”. Vi aspettiamo numerosi.

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SAN MARTINO, CONOSCIAMOLO MEGLIO

San Martino è noto soprattutto per l'aneddoto del mantello condiviso con un povero in una gelida giorna ta invernale, ma non è certo questo il motivo per cui, nella “hit parade” dei santi, Martino di Tours occupa una delle prime posizioni. Cerchia mo di conoscere meglio il patrono di Campalto.

Nato in Pannonia, l'odierna Unghe ria, vive nel IV secolo, quando l'Impero Romano è ormai al declino. Il padre, soldato dell'esercito, in onore del dio della guerra Marte gli mette nome Martino. Diventato anche lui soldato, viene trasferito in Gallia e lì, secondo la tradizione, avviene il fatto del mantello e la

successiva conversione al cristiane simo. Lascia l'esercito all'età di circa 40 anni e abbraccia la vita religiosa. S'impegna nella lotta contro l'eresia ariana, condannata nel 325 dal con cilio di Nicea, ma ciò gli vale la cac ciata dalla Francia e da Milano dove erano stati eletti vescovi ariani. Do po quattro anni di vita da eremita in un'isola della costa ligure, torna in Francia e fonda, nei pressi di Poitiers, uno dei primi monasteri. Nel 371 i cittadini di Tours lo pro clamano vescovo, anche contro le resistenze di alcuni chierici per il suo aspetto trasandato e le origini plebee.

Come vescovo, Martino continua ad

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abitare nella sua semplice casa di monaco e prosegue la sua missione di propagatore della fede, creando nel territorio nuove piccole comu nità di monaci. La sua fama cresce nella comunità cristiana dove, oltre ad avere fama di taumaturgo, viene visto come un uomo dotato di carità, giustizia e sobrietà; esercita la sua missione di “pastore” in modo assai diverso da molti vescovi del tempo, uomini spesso di abitudini cittadine e quindi poco conoscitori della campagna e dei suoi abitanti. Uomo di preghiera e di azione, Martino nel 375 fonda a Tours un monastero in seguito noto come Marmoutier. Nelle comunità mo nastiche fondate da Martino non c'è comunque ancora l'attenzione liturgica che si riscontrerà successi vamente nell'esperienza benedet tina. Martino muore l'8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. La sua morte, avvenuta in fama di santità anche grazie a numerosi miracoli, segna l'inizio di

un culto nel quale la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l'atti vità missionaria sono associate. San Martino di Tours viene ricordato l'11 novembre, data della sua sepol tura. In Italia, particolarmente nel centro nord, numerose sono le città (Lucca e Balluno solo per citarne al cune) che l'hanno eletto a santo pa trono. Molte le tradizioni, soprattut to nel mondo agricolo, a lui legate. Fino a non molti anni fa i contrat ti (di lavoro, di affitto, mezzadria, ecc) avevano scadenza l'11 novembre, data scelta in quanto i lavo ri nei campi erano terminati prima dell'inverno. Scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva la sciare libera proprio in quel giorno e non era inusuale imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all'altro. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord "fare San Martino" mantiene il significato di traslocare. Buon “San Martin” a tutti i Cmpaltini!

via Orlanda, 172/A - Campalto (VE) tel. 0415420288 orari: da lunedì a venerdì 8.30/12.30 e 15.30/19.30 sabato 8.30/12.30 - da settembre a maggio anche 16.00/19.00

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La Pagina di Campalto è curata dal Circolo Ricreativo Culturale AUSER “Il Gabbiano” Piazzale Zendrini 22 Campalto (VE) Tel/fax : 041.903525 - bibliotecalinosoffiato@gmail.com

Editore: Circolo Auser “Il Gabbiano” - Direttore responsabile: Giorgio Marcoleoni. Redazione a cura di: Blog Territori e Paradossi - Associazione Culturale. E-mail: info.blogterritorieparadossi@gmail.com

Stampato in proprio - Registrazione presso il Tribunale di Venezia n° 1461 del 24 settembre 2003

“La pagina di Campalto” è consultabile online all’indirizzo: http://issuu.com/lapaginadicampalto

È possibile rilasciare commenti e domande, segnalare iniziative, suggerire approfondimenti a questo indirizzo e-mail: lapaginadicampalto@gmail.com o visitando la nostra pagina facebook.

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