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COME ABBIAMO VISSUTO A VICENZA IN QUESTI CINQUE ANNI? CONFRONTO APERTO
L’amministrazione Rucco traccia il bilancio del suo mandato, l’opposizione di centrosinistra replica
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L’IMPRENDITORE VICENTINO A TUTTE STELLE “OTTIMISTA SUL FUTURO”
Giuseppe Donagemma ha creato Satispay e ha fatto crescere Nokia, Omnitel e Samsung: “Serve una nuova mentalità”
Progettare la felicità
Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
Con quale atteggiamento bisogna guardare al domani? È normale e logico che ciascuno si auguri il meglio, ci mancherebbe. Ma è sufficiente? Forse no. Nel suo straordinario spettacolo, di recente a Vicenza, Stefano Massini esplora le sette emozioni fondamentali che l’uomo ha scritto dentro di sé. E si chiede: che cosa è la felicità, quella situazione cui tutti tendiamo e che a differenza di tutte le altre sei emozioni – rabbia, paura, ansia, tristezza, disgusto, sorpresa e “bastitudine” – vorremmo che durasse per sempre?
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NOI SIAMO verde
ANTENORE verde
Progettare la felicità
Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<L’autore risponde citando lo scrittore David Foster Wallace, il quale nel suo capolavoro “Una cosa divertente che non farò mai più”, racconta uno stato d’animo contraddittorio: sulla nave da crociera dove si trova, scrive, “tutto è fatto perché io sia felice, ma io non lo sono. Anzi, non sono mai stato tanto disperato”. Insomma, questa è la conclusione di Massini, “la felicità non è fare cose felici. La felicità è progettare la felicità”.
Attenzione, non è la celebre pubblicità che subdolamente avverte quanto “l’attesa del piacere sia essa stessa piacere”. L’invito è a vivere in modo compiuto ogni pezzetto di vita all’interno di un progetto indubbiamente positivo (a parte Darth Fener, nessuno progetta il male) in quanto, magari senza che ce ne rendiamo conto, dentro ognuna di queste tessere è nascosto un tassello di significato vitale. Il che, qui e ora, è sinonimo di benessere, cioè di felicità.
La polizia salva le famiglie
La polizia salva le famiglie. Il dato emerge dal bilancio annuale diffuso dal questore Paolo Sartori. Sono cresciuti moltissimo gli ammonimenti del questore per maltrattamenti in famiglia, passati in un anno da 5 a 62. “Sono aumentati i casi, certo, ma anche la consapevolezza delle vittime a usare questo strumento che è un serio deterrente per il futuro, in quanto consente in caso di recidiva l’arresto in flagranza e un aggravio di pena”, ha spiegato il questore Sartori.
“Tant’è che siamo meno preoccupati dei reati contro il patrimonio, in diminuzione che non di liti e aggressioni, in aumento, quelli che si chiamano i reati da codice rosso”.
Gli altri dati dell’attività annuale della polizia. Oltre 28mila controlli alle persone (+25% rispetto all’anno scorso) e oltre 13mila sui veicoli (+40%). Sono due dati che spiegano la mole di lavoro della polizia, cui vanno aggiunti 7600 controlli a Bassano e 4200 ai veicoli. I dati sono relativi al periodo 1° aprile 2022 - 31 marzo 2023.
Quarantamila le chiamate al “113” (7mila a Bassano) e 5.400 gli interventi delle volanti. Sono diminuiti i furti: 583 quelli denunciati, diminuite le aggressioni (706) e anche le risse (35, meno 20%). Gli arrestati sono stati 127, sostanzialmente come un anno prima, mentre le persone denunciate 604 (+20%).
I controlli straordinari del territorio, rinforzati dal questore, d’intesa con i sindaci, sono stati 237, 150 in più rispetto all’anno precedente, vale a dire quasi raddoppiati. Significa un controllo ogni due giorni e aver triplicato il personale destinato a questo servizio: 6.400 agenti sono stati impegnati. Conseguenza dei controlli, sono raddoppiati i fogli di via obbligatori (230).
È un periodico formato da 23 edizioni locali mensilmente recapitato a 506.187 famiglie del Veneto.
è una testata giornalistica di proprietà di Srl
Aumentati i reati da “codice rosso” e gli ammonimenti del questore
Se questo vale per gli uomini, anche quegli organismi complessi e pulsanti che sono le città vivono la stessa dinamica. Vicenza è in un momento importante perché sta vivendo la tensione verso le elezioni e quindi sta progettando il suo futuro, vale a dire la sua felicità. Naturalmente ogni candidato a occupare la poltrona di sindaco disegna l’obiettivo e il percorso a modo suo. E ritiene di avere la ricetta giusta in mano.
L’importante è guardare al domani con la tensione corretta. Se andate a leggere a pagina 17, Giuseppe Donagemma delinea una filosofia di vita molto condivisibile: in un momento in cui sembrano prevalere le ombre di “2001 Odissea nello spazio”, con le intelligenze artificiali pronte impadronirsi della nostra vita, l’imprenditore invita a non avere paura del futuro, perché l’uomo è sempre un passo più avanti di ogni macchina. È quel che ripete da sempre Federico Faggin: non saremo mai schiavi del computer, la coscienza è nata prima di lui.
L’ottimismo, inteso in modo corretto, è un serio aiuto a progettare la felicità di oggi. Perché, come citava Ugo Tognazzi, essere ottimista non significa entrare in un ristorante sperando di trovare la perla in un’ostrica per pagare il conto. Aveva piuttosto ragione Churchill, quando spiegava che il successo “è passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo”.
Questa edizione raggiunge la città di Vicenza per un numero complessivo di 43.000 copie. Iscrizione testata al Tribunale di Vicenza n. 4194/2020 V.G. del 23.11.2020; R.S. 17/2020; numero iscrizione ROC 32199
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Periodico fondato nel 1994 da Giuseppe Bergantin
Mons. Brugnotto. Ribalta tutto: nuova sede
Il vescovo è quattro volte rivoluzionario
Monsignore vuole “mettere a reddito” i tanti locali vuoti, a partire dalle canoniche: sono sproporzionati rispetto alle esigenze pastorali. Sulla lotta all’inquinamento dell’acqua chiama gli imprenditori all’impegno. A giugno le nuove nomine del vicario e dei due “vice vescovi”. A ottobre andrà ad abitare al centro Onisto di Santa Lucia: lo seguiranno gli uffici diocesani con quasi 60 collaboratori
Che l’aria stesse cambiando l’avevano notato subito i suoi preti, in particolare quelli più affezionati alle tradizioni, ma soprattutto i suoi nuovi fedeli: niente stemma, niente “eccellenza”, niente che richiamasse lo sfarzo o le consuetudini consegnate universalmente al passato. E ora un altro segnale forte: sobrietà nei mezzi e autentica fraternità. Ovvero, abbandonare gli immobili non più necessari e andare a vivere con altri confratelli.
La prima definizione per descrivere il nuovo corso del vescovo Giuliano Brugnotto, forse troppo diretta ma che più di qualcuno ha già adottato, è quella di un pastore innovativo se non addirittura rivoluzionario, rispetto ai tempi che l’istituzione Chiesa si dava in passato.
Il passo di don Giuliano (così gradisce essere chiamato, al massimo vescovo Giuliano, ma ci vorrà un po’ di tempo per abituarcisi) è spedito, e dopo appena quattro mesi di cura della diocesi berica, oltre che aver già imparato il nome di moltissimi suoi preti (la laurea in diritto e il doversi districare tra commi e articoli gli deve evidentemente aver
giovato alla memoria) ha già annunciato alcune importanti novità che lo riguardano personalmente e che scuoteranno la sua diocesi, a partire dalla curia.
Il palazzone sul lato sud di piazza Duomo sarà progressivamente dismesso, tranne che per il museo. Stesso destino per il palazzo delle Opere sociali. Lui e tutti gli uffici traslocheranno in borgo Santa Lucia, nell’area del seminario teologico completamente ristrutturata. In particolare, monsignor Brugnotto andrà ad abitare con i suoi preti: vuole essere coerente, se chiede ai suoi preti di vivere in comunità, deve dare l’esempio. A Santa Lucia vivono 8 seminaristi e 15 sacerdoti.
Fino a ieri era oggettivamente impensabile: passino gli uffici, che dal prossimo anno saranno più facilmente raggiungibili, ma il vescovo che lasci il suo appartamento, non grandissimo per la verità ma certamente comodo, nessuno l’avrebbe pensato. Eppure, già dopo l’estate il vescovo traslocherà, perché non gli era mai capitato finora, dice, di trovarsi da solo la sera e di notte. Ma non ha paura del buio e dei ladri, da cui è ben difeso.
Altro filone su cui dovranno lavorare gli organismi della diocesi e le singole parrocchie deputati alla gestione degli immobili, riguarda i molti locali e canoniche ora vuoti. Occorre dare una svolta anche in questo ambito. Per il vescovo Brugnotto oggi c’è una sproporzione tra le necessità pastorali e gli immobili a disposizione. Non solo, ma il comandamento evangelico della povertà va, anche questo, applicato oltre
che predicato. Sarà un lavoro complesso, sicuramente sofferto ma, precisa don Giuliano, compiuto tutto e sempre in modo collegiale, nell’alveo delle competenze e delle responsabilità in capo ai vari organismi diocesani e, se serve, anche della Cei. In questa operazione, raccomanda, si farà attenzione a recuperare spazi per i giovani, a cui era dedicato il messaggio pasquale, feriti dalla pandemia nel bel mezzo della stagione
in cui vivevano la loro esplosione di relazioni e di amicizie.
E sempre nell’ultimo incontro prepasquale con la stampa, il vescovo ha avuto parole di preoccupazione per l’inquinamento da Pfas. La si leggeva negli occhi la sua sorpresa e la meraviglia di come fosse profonda la ferita e gestita con leggerezza la vicenda, perché i Pfas sono addirittura in grado di compromettere la possibilità di avere figli. Senza mezzi termini, pacatamente ma con riferimenti espliciti, si è rivolto agli amministratori e, in particolare, al tessuto produttivo e imprenditoriale, vivace e dotato delle necessarie risorse, per affrontare questo disastro ambientale, fin qui sottovalutato.
Un bello scossone già dai primi passi sta imprimendo alla sua diocesi il nuovo pastore Brugnotto, che è possibile veder sfrecciare in bicicletta nei suoi spostamenti in città, e che presto si concretizzerà anche con la nomina di un nuovo vicario generale, di un economo, e di altri due vicari, uno per il clero (poco più di 300 preti, di cui 175 ultra settantacinquenni) e uno per le unità pastorali.
Se poi si pensa che non ha ancora sessant’anni (li compirà il 7 novembre) e che assieme a lui c’è un suo coetaneo a Verona, monsignor Pompili, e che a Treviso c’è addirittura un 57enne, monsignor Tomasi, allora nei prossimi anni c’è da aspettarsi più di una novità da questo asse di giovani vescovi. Forse una provvidenziale rivoluzione.
Silvio Scaccoper lui e la curia, vendite di immobili, nomine e crociata anti Pfas
“Non sono stati all’altezza di Vicenza”
“Possamai ha una grande capacità di mettere in rete le persone, il che assicura progettualità virtuose. L’amministrazione Rucco è stata gravemente insufficiente rispetto al suo stesso programma. Anche sulle grandi opere non c’è stato orizzonte strategico e per palazzo Thiene manca un progetto per valorizzarlo”
QUA LA ZAMPA!
Una delle critiche che vengono mosse più spesso a Possamai è la sua appartenenza al Pd, alla faccia del candidato civico. Cosa risponde Sandro Pupillo, consigliere comunale uscente, capogruppo di “Da adesso in poi”, candidato per Possamai sindaco?
Su questo punto c’è stato un grande misunderstanding: non ho mai sentito Possamai esprimersi rivendicando il suo essere una figura civica, lui anzi è una figura di partito, capogruppo in Regione e questo è evidente a tutti. Ma, come nel 2017, ha creato per Vicenza un progetto civico, cosa che invece Rucco non ha fatto. Anche a sostegno di Rucco esiste una lista civica
Certo, ma tolta questa tutto il resto della coalizione che lo sostiene è composto da forze esclusivamente politiche; come abbiamo visto nei fatti, fin dal principio della sua ricandidatura, Rucco si è dimostrato piuttosto schiavo dei partiti, che ne hanno dovuto confermarne la candidatura da Roma. Lo stesso Fratelli d’Italia ha detto che l’azione dell’amministrazione seguirà le linee dettate dai partiti. Rucco si spaccia per civico, ma nei fatti è tutt’altro.
In che cosa Possamai è diverso a suo avviso?
È un candidato del Pd ma è sostenuto da una coalizione fortemente civica, composta da molte associazioni e liste civiche; Possamai non sta subendo nessun diktat dal suo partito, non sta seguendo nessuna “linea”, è un uomo libero in questo.
Un’altra accusa che il centrodestra muove verso la vostra coalizione riguarda i candidati, considerati troppi e di scarsa esperienza
I nostri candidati sono variegati: ci sono figure dalla profonda esperienza politica e persone che hanno una storia personale di impegno nella società civile, ognuno nel proprio campo, dalla giurisprudenza alla medicina, dall’imprenditoria alla cultura. Questo costituisce una ricchezza. L’esperienza politica si matura nel corso del tempo. Il fatto che ci siano tanti candidati invece dimostra che molte persone hanno creduto nel progetto di Possamai
e lo hanno voluto sposare. Quale può essere il valore aggiunto di Possamai?
Ha una grandissima capacità di coinvolgimento, di saper mettere in rete le persone, e questi meccanismi producono progettualità virtuose.
Un suo nervo scoperto invece?
Tende ogni tanto a nascondere le emozioni, a essere un po’ troppo freddo. Alle volte non farebbe male a “trattenersi” di meno.
Vede dei possibili parallelismi con quanto successo l’anno scorso alle amministrative di Verona?
Riconosco qualche similitudine tra le figure di Sboarina e di Rucco per come hanno gestito il loro mandato. Su cosa?
C’è una grande differenza tra “essere” sindaco e “fare” il sindaco. Un’altra somiglianza che riconosco tra le due situazioni è che anche qui il centrodestra arriva alla scadenza elettorale con una coalizione litigiosa e divisa; penso alla figura di Giorgio Conte che di recente è arrivato a mettere pubblicamente in discussione la candidatura di Rucco proponendosi come alternativa, o al fatto che Rucco ha cambiato cinque assessori nel corso del suo mandato.
In sintesi, che voto da ai cinque anni di amministrazione Rucco?
Gravemente insufficiente. Un’amministrazione si giudica sulle linee di mandato, e di quelle presentate cinque anni fa è stato realizzato ben poco, a partire dalla sicurezza: ci troviamo con una città meno sicura, con una minore sicurezza percepita mentre l’amministrazione ha costruito un rapporto conflittuale con la polizia locale. È totalmente mancata poi la pianificazione, ad esempio sulle grandi opere: Parco della Pace fermo, cantiere della bretella in ritardo, per non parlare dell’alta velocità. Dal punto di vista culturale, dopo aver acquisito palazzo Thiene è totalmente mancato un progetto gestionale per valorizzarlo. (al. fe.)
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Elezioni.Sandro Pupillo candidato a sostegno di
“Possamai sindaco” giudica negativamente l’operato della giunta uscenteSandro Pupillo, consigliere comunale uscente e il candidato sindaco Giacomo Possamai
Elezioni.
“Abbiamo avuto grande cura della città”
Dalla rinascita di Campo Marzo alla sicurezza (con interventi di controllo aumentati anche del 400%), dai 400mila turisti arrivati nel 2022 all’acquisto di palazzo Thiene, dai 100 milioni ottenuti per gli interventi a largo raggio ai 78 progetti finanziati con 60 milioni del Pnrr: “Questa è una città ben diversa da quella che abbiamo ricevuto in eredità”
“Abbiamo trovato una città e ne lasciamo un’altra ben diversa”. Dai grandi temi agli interventi minuti nei quartieri, il bilancio quinquennale del sindaco Rucco è naturalmente positivo. Ne elenca i capitoli, senza nascondersi le difficoltà affrontate, prima fra tutte l’emergenza covid, attorniato dai suoi assessori e da diversi esponenti della maggioranza. Di questo bilancio traccia le linee principali in un luogo simbolo, a Bertesinella, nel quartiere in cui abita e dove ha intitolato la piazza della chiesa a mons. Giulio Cattin, illustre musicologo vicentino, mentre la zona sterrata davanti alla piazza è stata trasformata in un parco che ha intitolato a Maria Teresa Fortuna Canivet, la sfortunata archeologa vicentina che scoprì nel 1961 l’unica prova scientifica dell’esistenza di Ponzio Pilato. Sull’alta velocità, Francesco Rucco è netto: se Vicenza ha questo tracciato è tutta colpa di Variati e dell’attuale suo concorrente elettorale principale, Giacomo Possamai (che lui non chiama mai per nome) che l’hanno votato due volte. Quando s’è trovato in riunione a Roma, Rucco s’è sentito ricattare: “O ve lo tenete così o il ministro vi toglie l’alta velocità”.
Che poteva fare? “L’alta velocità è comunque un fattore di progresso per Vicenza”.
Sgranando il rosario dei mi-
steri dolorosi, Rucco sottolinea altre eredità cui avrebbe rinunciato volentieri: “Vicenza è diventata irrilevante nella Fiera e di quanto è stato incassato con la vendita delle quote dell’autostrada non è rimasto niente, solo un po’ di asfalto che abbiamo dovuto rifare”.
La sua Vicenza che sta cambiando pelle Rucco la descrive in vari quadri, chiamateli anche quelli dell’esposizione dei suoi meriti, Musorsgkij non si offende.
Rinascita di Campo Marzo, con progetto e fondi del Comune oltre che del Pnrr, per 7 milioni; più il contorno di aree parchi gioco nei quartieri. È, la sua, una Vicenza più verde e più attenta all’uso della bici, come attestano le linee direttrici del Pums (il Piano urbano della mobilità sostenibile) che prevede 16 chilometri di piste ciclabili. A proposito di verde, è importante il progetto della nuova zona industriale green, ma lo sono altrettanto anche i 60mila alberi piantati a Vicenza. E riguardo all’ambiente va sottolineato – precisa Rucco –il recupero dell’ex colonia Bedin Aldighieri in Gogna.
Se Vicenza è città universitaria con tanto di nuovo logo, lo è anche grazie allo Iuav di Venezia che ha fatto gemmare il nuovo corso di design industriale: i lavori procedono a San Biagio, con l’obiettivo di trasformare in un campus il chiostro abbandonato. La cura della città si dimostra
anche con altri interventi: “Abbiamo una Vicenza più luminosa – sottolinea Rucco – con 17mila punti luce e i monumenti illuminati”. Sul fronte del sociale e della sicurezza, il sindaco sottolinea quanto sia più sicura Vicenza, grazie agli interventi anti degrado, cresciuti anche del 400% a motivo della sede staccata del comando vigili istituita in Campo Marzo. Ma sociale vuol dire tutela dei cittadini più fragili: “E per gli adolescenti ci sono gli uffici di via Torino, quelli che l’amministrazione precedente voleva destinare all’anagrafe”. E poi significa attenzione alle scuole, con molti istituti riqualificati.
Che Vicenza sia una città attrattiva lo dimostrano i 400mila turisti registrati l’anno scorso: “Quest’anno supereremo questa cifra”, assicura. L’identità vicentina ha ricevuto una grande spinta – spiega sempre Rucco – con l’acquisto di palazzo Thiene, diventato museo e sede di una banca, la Popolare di Sondrio, che paga un affitto che rifonde il mutuo. Quindi, operazione a costo zero.
Per ultimo, ma non certo per importanza, i grandi numeri: i 100 milioni arrivati a Vicenza e destinati agli investimenti e i 78 progetti finanziati con il Pnrr per 60milioni. “Ci ha mosso solo lo spirito di servizio – conclude Rucco – e l’obiettivo del bene della città”.
14 - 15 Maggio 2023
ricorda ai soggetti interessati la propria disponibilità ad ospitare per le Elezioni amministrative del 14-15 Maggio 2023 messaggi politici elettorali e inserti pubblicitari allegati al giornale.
(In ottemperanza alla legge 28 del 22 Febbraio 2000).
Il sindaco Rucco e la giunta presentano con orgoglio il bilancio dell’attività svolta in questi cinque anniFoto di gruppo del sindaco, della giunta e di vari esponenti della maggioranza di centrodestra a Bertesinella
Elezioni. Ci sono gli ex assessori, ben quattro, che animano le loro liste civiche mentre altri
partiti corrono in solitaria
Corsa al palazzo con fierezza e impegno
Oltre ai due maggiori contendenti, ci sono da registrare ben cinque altri protagonisti della corsa elettorale per la poltrona di palazzo Trissino. Anche se qualcuno è soltanto consapevole (e orgoglioso) portabandiera delle idee del proprio gruppo, sapendo cioé che raggranellerà qualche punto percentuale, non per questo è meno combattivo.
In campo apertamente contro Rucco ci sono Lucio Zoppello e Claudio Cicero, entrambi ex assessori. Con Zoppello si presenta un altro ex assessore, Marco Lunardi, e il consigliere comunale uscente Andrea Berengo, transfuga del gruppo “Idea Vicenza” del sindaco finito poi nel gruppo misto, e anche Andrea Maroso, già animatore della lista “Siamo Veneto” nel 2018, che raccolse 418 voti; inoltre tra i volti conosciuti c’è Nico Rossi, un passato con il Pri poi approdato al Pd e adesso a “Rigeneriamo Vicenza”, che è il nome della lista di Zoppello. Claudio Cicero, che quest’anno festeggia i 25 anni dalla sua prima elezione nel 1 998 a sostegno di Hullweck, ha già spiegato chiaramente che al ballottaggio si asterrà. La sua campagna contro Rucco è radicale, sia quando ricorda le missioni a Roma assieme a lui per l’alta velocità, sia quando lo accusa di essere un “falso civico” perché in realtà appoggiato da partiti strutturati. Assieme a Cicero sono schierati i compagni di viaggio conosciuti, da Alessandra Lolli, immobiliarista, a
Oltre a Zoppello, Cicero, Tosetto e Lunardi, a completare il quadro ci sono Annarita Simone per “La Comune”, Edoardo Bortolotto per i Cinque Stelle. All’ultimo momento Luigi Ugone s’è ritirato
Nico Pigato, docente di fisica al “Quadri”. Matteo Tosetto, anche lui ex assessore della giunta uscente, già alto in grado con Forza Italia, una scelta invece l’ha fatta e corre a sostegno di Possamai. Nella sua lista “Ripartiamo da Vicenza”, che presenta il 62% di donne, i nomi conosciuti sono quelli dello storico dell’arte Davide Fiore, di Augusto Bellon, ex preside, di Patrizia Barbieri, già assessore con Hullweck e consigliere comunale uscente prima della Lega poi del gruppo misto. Corsa solitaria per il Movimento Cinque Stelle, che candida l’avvocato Edoardo Bortolotto, 47 anni, studio in contrà Mure Pallamaio, legale delle parti civili nel processo Miteni. Ha spiegato che è centrale per lui il tema ambientale. Un’altra corsa solitaria è quella di Annarita Simone, 45 anni, madre di tre figli, operaia, sindacalista della Usb, candidata sindaco per la lista “La Comune”, che raccoglie varie anime: quella dell’Unione Popolare di De Magistris e quelle del Partito comunista italiano (che ha raccolto le energie di Rifondazione comunista). Dall’antifascismo all’antirazzismo, nel suo programma sono presenti i temi classici della sinistra.
Ad agitare le acque elettorali doveva esserci anche la lista di Luigi Ugone, portabandiera dell’associazione “Noi che credevamo nella Banca Popolare di Vicenza”, ma all’ultimo momento s’è ritirato quando stava già raccogliendo le firme.
Informazione
Il retroscena. L’operazione di Videomedia Confindustria Vicenza per acquistare i sei giornali in vendita già Finegil ora Gedi
La TV si allarga e nella stampa si litiga
Confindustria investe sulla stampa attraverso la televisione che controlla anziché con la casa editrice del Giornale di Vicenza di cui pure ha il 30%. Le frizioni con l’Athesis che ha cercato senza riuscirsi di inserirsi nell’operazione che ha Enrico Marchi come capofila. All’interno della compagine dei nuovi soci Videomedia è destinata ad avere un ruolo importante
L a televisione amplia il suo raggio d’azione mentre l’editore della carta stampata, l’Athesis, litiga al suo interno. È una situazione ingarbugliata (e anche un po’ paradossale) quella che s’è venuta a creare nell’informazione vicentina, dopo che Videomedia, la società che è editrice di TvA e Telechiara di cui ha il controllo Confindustria Vicenza, è entrata con una quota di minoranza nella cordata veneta per acquistare i sei quotidiani Gedi di Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Della newco fanno parte, oltre alla Finint di Enrico Marchi, Alessandro Banzato (Acciaierie Venete), Enrico Carraro (Gruppo Carraro), Federico De’ Stefani (Sit Group), le famiglie Nalini (Gruppo Carel) e Zanatta (Tecnica Group), Videomedia (editrice di TvA e TeleChiara). Non è escluso l’ingresso a breve di un socio friulano.
Le testate che passeranno di mano sono “Il Piccolo” di Trieste, “il Messaggero Veneto” di Udine, “il Mattino di Padova”, “la Tribuna di Treviso”, “la Nuova di Venezia e Mestre”, “il Corriere delle Alpi” e “Nordest Economia”. Il punto è che Confindustria Vicenza investe sui giornali non attraverso l’Athesis, editrice fra l’altro de Il Giornale di Vicenza e de L’Arena, di cui è socia per un terzo, ma attraverso Videomedia. Se il rasoio di Occam ha una ragione d’essere, se cioé la spiegazione più semplice è quella vera, si deve concludere che non c’è identità di vedute fra proprietà (cioé Confindustria Vicenza) e Athesis, di cui è presidente Gianluca Rana e amministratore delegato Matteo Montan. Va ricordato che riguardo all’Athesis, di cui sono soci anche la Confindustria di Verona e la famiglia
Armellini, erano circolate notizie circa un suo interessamento all’acquisto della Gazzetta di Mantova.
L’operazione di Confiustria
Vicenza, stando alle notizie che circolano a Verona, non è stata accolta bene dal vertice dell’Athesis, che all’ultimo momento aveva provato anche a inserirsi e a rilanciare, ma senza esito.
Al di là delle questioni interne all’Athesis, di sicuro il colpo della Confidustria di Laura Dalla Vecchia è importante per due ragioni: permette a Vicenza di inserirsi in un orizzonte triveneto, il che non è poco per una città che in molti altri campi è in affanno; ma soprattutto qualifica Videomedia come un azionista – sia pure di minoranza – ma sicuramente di riferimento.
Nella compagine che ha concluso l’accordo, che diventerà operativo a settembre, come si vede Videomedia è l’unica che ha competenze dirette in fatto di informazione.
Di Videomedia è presidente Roberto Spezzapria, in passato amministratore delegato per quasi tre decenni della Forgital; dopo la cessione dell’azienda di famiglia, è diventato proprietario della Melegatti (che ha rilanciato brillantemente) ma con molti altri interessi. Spezzapria è vicepresidente della Confindustria di Laura Dalla Vecchia, mentre direttore generale di Videomedia dal 2018 è Francesco Nicoli.
Le testate Gedi, come riportava in un suo pezzo a febbraio
Paolo Madron di Tag43, sono iscritte a bilancio per un valore di 30 milioni di euro. Ma, stando alle notizie che circolano, il prezzo con cui potranno essere acquistate può essere assai più basso. Elkann, ormai apertamente disinteressato ai giornali locali, cer-
ca introiti per acquistare Il Sole 24 ore.
Un altro risvolto dell’operazione riguarda il giornalista vicentino Paolo Possamai. Poco meno di un anno fa, Possamai lasciò “Nordest economia” del gruppo Gedi per diventare il responsabile - tecnicamente consulente strategico - dei rapporti istituzionali del gruppo di Enrico Marchi. In passato era stato a lungo direttore prima del Piccolo di Trieste e quindi dei giornali veneti. Se l’acquisto di Marchi & soci, come tutto lascia pensare, andrà in porto tra l’estate e l’autunno è quindi assai probabile che Possamai abbia un ruolo importante nella gestione dei giornali veneti Gedi, vista la sua competenza in materia. Può agevolmente diventare non tanto direttore di questa o
quella testata ma il vero editore di riferimento per i direttori, vista la fiducia di cui gode con Marchi e visto che proprio Marchi ha da pensare all’intero gruppo, di cui
fanno parte una banca e due sistemi aeroportuali, Venezia e Verona. Paolo è padre di Giacomo, capogruppo del Pd in Regione e candidato sindaco a Vicenza.
La bottega storica di biciclette. In contrà XX Settembre va in pensione l’ultimo discendente della dinastia di meccanici
Dopo 109 anni Ciscato a rischio chiusura
Giovanni Ciscato è prossimo a lasciare e vorrebbe vendere il negozio, ma finora nessuno s’è fatto avanti per acquistare. Anche Coppi e Bartali nella storia dell’azienda fondata da Giuseppe nel 1914
Dopo 109 anni la storica (e in questo caso il termine è davvero giusto) bottega Ciscato rischia di chiudere. Lo confessa amaramente l’ultimo discendente della gloriosa dinastia di meccanici, Giovanni, che ripercorre la storia della famiglia.
Giuseppe Ciscato apre i battenti dell’omonima bottega in contrà XX Settembre nel 1914. Che, 99 anni dopo diventerà una “bottega storica” di Vicenza. All’inizio, a Giuseppe si affianca il figlio Gaetano, “maestro artigiano benemerito” detto “Nello”: in un’officina meccanica a borgo Casale iniziano a produrre telai e altri componenti per Berga, nota azienda vicentina di biciclette. La storia prosegue con una nuova sede e con il figlio di Gaetano: Giorgio, che nel 1972 acquisisce il negozio. Dopo anni di bottega e di collaborazioni sportive, nel 1994 lascia a sua volta il timone a suo figlio Giovanni. Quest’ultimo conduce l’attività fino ai nostri giorni insieme alla sorella Paola. Oggi, però, una longeva dinastia di meccanici sembra destinata a finire.
Giovanni, siete in affari da 109 anni. Lei è al timone da 29. Per quanto ancora?
Uno, uno e mezzo. Dipende dal termine per la pensione. A chi passerà il testimone?
Al momento non ci sono sostituti in vista. E nemmeno li sto cercando. Se si farà avanti un compratore valuterò l’offerta. Ma per ora, nulla. Nella vostra storia ci sono avvenimenti di cui andate particolarmente fieri?
Dalle carrozzine per disabili che mio nonno Gaetano realizzava in officina, passando per i decenni (divisi tra me, mio fratello Gaetano e in particolare mio padre Giorgio) di supporto tecnico durante le diverse competizioni con la Campagnolo, fino alla foto di Coppi e Bartali auto-
grafata da entrambi. E poi siamo riusciti ad attraversare due guerre mondiali e due alluvioni che ci hanno davvero messi alla prova. In che competizioni avete prestato assistenza?
Olimpiadi, Giri d’Italia, Francia, Romania, Cecoslovacchia, Spagna e forse qualcun altro. Poi gare come la Milano-Sanremo e molte altre. E quante ne sono successe...
Ce ne racconta qualcuna?
Una volta papà Giorgio doveva andare in Romania per dare il cambio ad un collega che seguiva il giro. Mio padre arrivò a Trieste e chiese indicazioni. Gli risposero “Tu vai dritto di qui, quando arrivi alla chiesa l’albergo è di fianco al campanile”. Negli anni ’60 in Italia cominciava l’epoca del benessere e qualche strada asfaltata si vedeva anche in campagna. Nei Balcani però era ancora presto. Era tutto sterrato da affrontare con un furgone malandato e pieno. Arrivò in tempo, nessuno sa come, dato che parlava fluentemente solo il dialetto veneto.
Cos’è la bicicletta al giorno d’oggi?
La bici nel corso di circa cent’anni è passata da essere un lusso, come può essere oggi un’auto di grossa cilindrata, a un oggetto che quasi chiunque ha in casa e che ha molteplici declinazioni. Quando la bici è diventata un mezzo per tutti?
Con l’avvento della mountain bike. Ha rivoluzionato tutto e per un periodo ha davvero fatto tremare le bici da corsa e le city bike. Quanto si spende oggi per una bicicletta nuova?
Si va dai 250 euro per una bici “muscolare” base fino agli 8 mila di una bici a pedalata assistita top di gamma. E curiosamente alcuni clienti li spendono molto volentieri. Prego?
Prima delle bici a pedalata assistita solo i professionisti spendevano migliaia di euro per una bici. Negli ultimi anni, clienti che non avrebbero mai speso più di qualche centinaio di euro spendono tranquillamente 4 o 5 mila euro per un mezzo a pedalata assistita. Ma è più che comprensibile: sono mezzi versatili utilizzabili davvero da chiunque.
Cosa farà una volta in pensione?
Forse mi metterò a disposizione insegnando ai ragazzi per dare continuità al mestiere. Io comunque sono nato sotto al cavalletto e morirò sotto al cavalletto. Questo è certo.
Roberto MeneghiniSos imprese. Il dato riguarda le piccole aziende, che nel Veneto rappresentanto il 98%. Aumenta il rischio criminalità
Meno prestiti dalle banche, imprese ko
Gli istituti di credito hanno alzato in questi anni l’asticella del “merito” per ottenere un prestito. L’usura e le fonti malavitose diventano un rischio concreto da evitare
L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha lanciato un clamoroso allarme: tra il 2021 e il 2022 i prestiti bancari alle piccole e micro imprese sono scesi di 5,3 miliardi di euro (-4,3%). Per micro e piccole imprese si intendono le realtà economiche aventi meno di venti addetti. Costituiscono il 98% delle imprese presenti in Italia e danno lavoro (al netto dei dipendenti della Pubblica Amministrazione) a oltre il 60% dei lavoratori dipendenti italiani.
Lo stock complessivo dei prestiti erogati dal sistema bancario a questo segmento di aziende è, dunque, passato da 124 miliardi a 118,7. Non è un problema marginale.
Le nostre piccole e micro imprese sono tradizionalmente sottocapitalizzate e in difetto di liquidità: da sempre hanno bisogno vitale di sostegno da
parte del sistema bancario. La conseguenza diretta di questa diminuzione di disponibilità di credito, che si aggiunge agli effetti negativi della concorrenza della grande distribuzione, all’aumento esponenziale del commercio on line e al peso delle tasse e dei costi fissi, è una progressiva erosione del numero del numero di negozi di prossimità, botteghe artigiane e studi professionali con chiusure che in alcune realtà hanno fatto parlare i commentatori di desertificazione.
Tale diminuzione drastica degli esercizi ha reso progressivamente meno sicuri i centri urbani e ha contribuito a peggiorare di molto la vita stessa degli abitanti in molti quartieri.
Altra prospettiva preoccupante legata al diminuire del sostegno creditizio alle piccole e micro imprese è l’aumentare
del pericolo che le stesse finiscano nel giro, gestito in modo efficiente dalle organizzazioni criminali, dell’usura che prospera a maggior ragione nelle situazioni di crisi generale. Va detto che la Bce ha imposto agli istituti bancari, negli ultimi dieci anni, vincoli progressivi all’erogazione del credito, innalzando in modo esagerato la soglia del “merito creditizio” e contribuendo pesantemente a mutare l’erogazione del credito al settore delle piccole e piccolissime imprese in un’attività residuale per le banche e talvolta non gradita anche perché non particolarmente redditiva (in relazione ai tassi fino ad ora bassi) e alla sua possibile rischiosità. Questo fattore, che potremmo definire esterno, ha provocato nei fatti un allontanamento di molti imprenditori piccoli e piccolissimi (come anche di partite Iva e di artigiani) dai
canali ordinari di rifornimento della liquidità. E di queste realtà economiche emarginate una parte considerevole è stata avvicinata dagli unici soggetti che – anche in tempi di crisi economica – dispongono di ingenti masse di liquidità da investire profittevolmente: le organizzazioni criminali. Per combattere l’usura e le
sue conseguenze, la legge 108/1996 ha disposto l’attivazione di un fondo di prevenzione (art.15) e un fondo di solidarietà (art.14) eppure troppo spesso questo tipo di tragedie personali finiscono con la chiusura dell’impresa e il depauperamento sociale ed economico di tutti.
Giuseppe de Concini
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Il personaggio.
Giuseppe Donagemma lo conoscono in pochi, ma ha fatto nascere Satispay e crescere Samsung, Vodafone e Nokia
È vicentino l’imprenditore a tutte stelle
“Vicenza dovrebbe investire di più sul turismo e avere una mentalità più aperta”
“Servono più piste ciclabili e rapporti più stretti con Padova e Verona”
“Non si deve aver paura del cambiamento e del futuro: i giovani sono attrezzati”
“Le imprese hanno bisogno di più managerialità e competenze tecnologiche”
Èl’imprenditore a tutte stelle. Anzi, è l’iron man degli imprenditori. Lavora sempre, senza distinzione di giorno e notte, di giorni feriali o festivi, ma – assicura – si diverte. Lo sguardo franco e il sorriso aperto inducono a credergli. La mattina tratta con l’Europa, il pomeriggio con gli Usa, la notte con Singapore. Può arrivarvi una sua telefonata da Helsinki e il giorno dopo da Napoli, perché lo smartworking lo pratica da trent’anni. Giuseppe Donagemma ha 56 anni ed è sposato con Francesca: sono genitori di due figlie ventenni, Veronica ed Elena, studentesse universitarie a Padova e Roma. Anche se abita a Monte Berico, Donagemma è praticamente sconosciuto al pubblico vicentino: questo è il primo articolo che lo riguarda a uscire sulla stampa locale. Attenzione: il suo cognome ha una “n” sola: non ha niente a che vedere, cioè, con la celebre famiglia di orafi.
Molto più conosciuto è suo padre Benito, cresciuto a Corte dei Roda nella parrocchia di San Pietro, per 35 anni dirigente alla Fiamm e alla Ceccato, oggi novantenne, da sempre appassionato pescatore e attuale presidente onorario della Paba.
Donagemma junior è nato a Vicenza ma cresciuto a Montecchio Maggiore: liceo scientifico ad Arzignano e laurea in ingegneria elettronica a Padova con il prof. Roberto Filippini, docente universitario ben conosciuto a Vicenza perché ha fatto nascere a Monte Berico i corsi di ingegneria gestionale nel 1990.
Il curriculum di Donagemma è impressionante: già vice presidente europeo della Samsung e presidente della Nokia Eu-
ropa, è stato anche vice presidente della Vodafone per Asia, Africa ed Europa. Attualmente è presidente della Innogest, la prima e più importante società di venture capital in Italia. Ha fatto nascere Satispay (cioè ne è stato il primo investitore) di cui ancora oggi è nel CdA, ma è presente nei CdA di molte imprese nel settore delle telecomunicazioni tra Telebit, Avenseus, Assia e Lifeed in un raggio che va da Treviso alla California fino a Singapore. Una sua società, la Lifeed, studia l’intelligenza emozionale. Non bastava l’intelligenza artificiale? E in cosa consiste? Noi facciamo qualcosa di molto innovativo di cui nessuno si occupa. Cioè facciamo capire alle aziende come le persone stanno cambiando – perché tutti noi cambiamo, magari per un dolore – e come sfruttare al meglio le loro nuove competenze. Il nostro è un software, una piattaforma di self-coaching che fa riflettere autonomamente senza bisogno di rivolgersi a un coach professionale.
E ha successo?
Molto. Abbiamo un centinaio di clienti, tra cui Poste, Eni, Barilla, Accenture e tutte le grandi aziende. I “ceo” capiscono il valore dell’intelligenza emozionale e ne sono molto attratti.
Tanto per capire qual è il suo raggio d’azione, un’altra sua società, la Telebit, opera dall’alta velocità alle colonnine di ricarica della Tesla. Che fatturato ha?
Dai 50 milioni iniziali, l’anno scorso ha chiuso a 150. La porteremo a 250 e poi a 500 milioni.
Lei è nato imprenditore e top manager?
No, da semplice ingegnere mi arrampicavo sui tralicci a montare le antenne. Conosco la gavetta. Poi ho risposto alla Omnitel che cercava un esperto di Gsm e ho realizzato la loro rete in Italia. La Omnitel è diventata Vodafone.
Che rapporto ha con Vicenza?
La vivo poco. Ma per me è una sorta di reality check. Abituato a posti megagalattici, qui torno con i piedi per terra. Quando sono qui capisco che esiste il mondo reale.
Di cosa ha bisogno la Vicenza imprenditoriale?
Di più managerialità e competenze tecnologiche. Il cambiamento dall’hardware all’automazione è irreversibile. E poi serve una dimensione maggiore delle aziende. Problema vecchio… Ma non risolto. Bisogna creare poli: cosa vuole che faccia un’azienda da 5-10 milioni di euro di fronte a una di 100? Non va lontano. Bisogna fare squadra per crescere e in Eu-
È nei CdA di grandi imprese di venture capital e di telecomunicazioni Abita a Monte Berico ed è appassionato di triathlon iron man S’interessa di intelligenza emozionale e la sua impresa ha grande successo
gna prima essere convinti. Poi ci vuole un piano industriale e la volontà di espandersi… Fosse lei il sindaco cosa farebbe?
Del turismo ho detto, aggiungerei le piste ciclabili e stringerei maggiori rapporti con Verona e Padova a tutti i livelli.
ropa dobbiamo imparare dai francesi: sono i più bravi. E Vicenza come città di cosa ha bisogno?
Di investire di più sul turismo, perché non mi sembra che ci sia grande attenzione. Sono un problema anche gli hotel: quando devo far venire qualcuno a Vicenza è sempre difficile.
Qual è un difetto dei vicentini?
Dovrebbero avere una mentalità più aperta. Se c’è un’idea nuova la guardiamo con sospetto. Invece, aprirsi al nuovo giova sempre, serve a crescere. Anche nelle aziende c’è sempre diffidenza ad aprire il capitale a terzi, c’è la paura che un estraneo si porti via tutto. Invece le aziende della Silicon Valley sono cresciute perché si sono aperte.
Lei che è esperto di investimenti e venture capital come convincerebbe qualcuno a investire su Vicenza?
Per convincere qualcuno biso-
Lei è uno sportivo, nato nelle maratone e adesso impegnato nei ciruciti di iron man. Come è nata questa passione? Alle maratone ci ero arrivato perché un cliente mi ha obbligato a correrne una se volevo chiudere un contratto… … che si deve fare per vivere… …ma a un certo punto mi sono stancato di correre soltanto e mi sono appassionato a questo triathlon speciale, fatto di maratona, 160 km. in bici e 4 di nuoto.
Lei che è del settore, risponda: si deve avere paura dell’intelligenza artificiale?
Non si può fermare il progresso. Bisogna bilanciare l’intelligenza artificiale ricordando che l’essere umano ha sempre un suo ruolo, è comunque più importante. Certo, il legislatore ha perso un po’ terreno rispetto all’evoluzione tecnologica e adesso si rischia che la distanza diventi incolmabile. S’è mai immaginato cosa saremo fra cinquanta o cento anni? I nostri figli devono avere paura del futuro?
No. L’uomo si adatta. Per noi sembra un futuro lontano, per loro sarà una normale evoluzione, così come noi siamo passati dal telefono a gettone a internet. Le mie figlie non hanno mai visto un telefono a rotella. I giovani hanno gli anticorpi e le capacità per governare questi cambiamenti.
Antonio Di LorenzoL’allarme. Aggressioni, burocrazia, promesse non mantenute. I camici bianchi sono sempre meno e senza motivazioni
Medici in crisi, chi ci curerà un domani?
Il presidente dell’Ordine, Michele Valente, denuncia amaro: “Il 70% del tempo il medico lo passa tra le carte. Un lavoro svuotato dall’umanità. E le donne sono le più esposte”
Insulti, minacce, aggressioni, perfino bossoli in una lettera: rischia di più il medico che non la guardia giurata. Come se non bastasse, il 70% del tempo il medico di base lo deve riservare a compilare moduli e smaltire pratiche digitali obbligatorie: “È una professione svuotata della propria umanità e fatta di carte”.
Nove medici su dieci si dichiarano sotto stress, 1 su 4 non ha più tempo per sè e per la famiglia, uno su due non riesce più a far ferie e altrettanti dichiarano di non aspettarsi più nulla da Regione, Ulss e sindacati.
Il 60% dei medici di famiglia sono donne, più esposte quindi a forzature vigliacche, come talvolta anche impossibilitate a gestire con serenità le incombenze famigliari o a condurre una tranquilla maternità.
Sono i numeri che sciorina il presidente dei medici vicentini Michele Valente, analizzando la situazione in cui
versa la categoria e cercando di darsi una spiegazione di questa montante e inspiegabile violenza nei confronti dei medici.
“La rabbia dei pazienti a volte è comprensibile – spiega – perché spesso analisi e prestazioni ospedaliere si prolungano all’infinito e sembra che sia colpa nostra. E non serve rafforzare i controlli e le misure di sicurezza al pronto soccorso o nei centri medici. Quello che manca è un approccio sistemico dell’assistenza medica di base da parte di Regione e Ulss, perché sappiamo che non viene fatto tutto il dovuto, salvo dichiarare che tutto va bene e che non ci sono problemi”.
E intanto a Vicenza mancano oltre cento medici all’appello, un numero spropositato, una situazione che si poteva prevedere per tempo che non è stata presa in considerazione. A tutto questo si aggiunge la fuga dei medici, in particolare dei più giovani e delle donne, verso altre specializzazioni o attività ambulatoriali più tranquille.
È sempre di questi giorni la chiusura dell’ambulatorio in zona Ferrovieri che lascerà da maggio senza medico oltre 4 mila cittadini. Saranno dirottati d’ufficio su altri professionisti, ma non è detto che ci sia capienza per tutti. E così chi ne avrà bisogno andrà ad intasare la guardia medica o il pronto soccorso. E siamo al cane che si morde la coda.
“Ci preoccupa – avverte Valente – il fatto che le adesioni ai bandi di specializzazione regionale, quelli da cui usciranno i futuri medici di famiglia, si stanno assottigliando. C’è una forte disaffezione tra i giovani, un calo di motivazioni per questa professione che un tempo riservava grandi soddisfazioni perché ricca di relazioni e di umanità. Durante il covid, per incoraggiarci a tenere duro, ci erano state fatte tante promesse da parte del ministero della Salute che poi regolarmente il ministero dell’economia ha vanificato”.
E intanto la Francia sta fa-
cendo scouting promettendo ai neolaureati gratificazioni economiche, benefit, viaggi di andata e ritorno in Italia e ospitalità gratis pur di avere i nostri medici.
“Stiamo assistendo impotenti ad un esodo, una grande fuga dai nostri ambulatori verso altre specialità come
rianimazione, radiologia, chirurgia, ortopedia, spesso in strutture private. Chi ci curerà più tra qualche anno? A chi ci rivolgeremo? Continuo a ripetere: basta parole, la salute è un bene primario, non può attendere”.
La Liberazione di Vicenza nelle immagini di 78 anni fa con le truppe americane
Per Vicenza la giornata della Liberazione non è il 25 bensì il 28 aprile 1945, quando gli ultimi nazisti furono cacciati dopo sparatorie in vari luoghi della città. Si lasciarono dietro una scia
di sangue, con le fucilazioni a Campedello e a Monte Crocetta, al Villaggio del Sole. Nelle foto che pubblichiamo, si vede l’arrivo degli americani in città: un’immagine riprende la colonna di
carri armati alle porte di Vicenza, grossomodo a Creazzo dove adesso c’è la rotatoria del nuovo grande centro commerciale Migross. L’altra foto è quella, storica, della colonna americana, carro
armato in testa, che percorre corso Palladio mentre i vicentini festeggiano. Non si è mai conosciuta l’identità del signore in primo piano. Questo fotogramma è tratto da un Combat film americano
del tempo.
Vicenza celebra la Liberazione in piazza dei Signori, con una cerimonia il 25 aprile: il discorso ufficiale sarà tenuto dal regista e scrittore Giancarlo Marinelli.
I
personaggi dell’altopiano di Asiago. Ritratto dell’autore da ragazzino alle prese con gli strumenti da discesa e l’insegnante
Il maestro di sci era in realtà un Sioux
Ben diversi da quelli di oggi, tonici e televisivi, quelli di un tempo avevano più confidenza con la grappa e un colorito che avrebbe fatto invidia a Carlo Conti. Gli sciatori potevano diventare razzi missile. Anche le origini dello snowbord furono davvero curiose
Nella puntata sciistica precedente ci eravamo lasciati sull’attacco a morso di cavallo con mollettone anteriore che assicurava lo sci allo scarpone in modo abbastanza soddisfacente. Infatti quando si cadeva, o si veniva proiettati integralmente fuori dagli scarponi, tornando a valle a piedi nudi oppure gli arti inferiori si disarticolavano dal busto e scendevano in modo autonomo, spesso eseguendo delle perfette serpentine a sci uniti. Poi, in un secondo tempo arrivava anche il tronco dello sciatore, che, se non si poteva riassemblare, lo si vedeva comunque il giorno dopo sulle piste sopra un’unica asse di pino. E questo pare sia all’origine dello snowboard.
Se comunque accadeva (e accadeva spesso) che lo sci si staccasse, un ulteriore elemento di sicurezza era dato da un laccetto in nylon passato intorno alla caviglia. Quindi, cadendo malamente sopra i 37 km orari, l’attrezzo non schizzava giù a valle come un micidiale siluro, ma restava agganciato al piede mulinando come la pala di un elicottero. Se andava bene si finiva in ortopedia ad Asiago con una o più tibie fratturate, nei casi più gravi si era trasportati a Padova al reparto Grandi Decapitati.
L’epidemia di ossa rotte fu debellata dall’invenzione dello ski-stopper, un congegno montato a monte che scattava a sci svincolato dallo scarpone, praticamente un perno mobile. Ci vollero però parecchi perfezionamenti: i primi modelli scattavano quando lo sci aveva preso troppa velocità e quindi, impuntandosi nella neve si trasformava da micidiale missile terra-terra in devastante ordigno terra-aria. Non era raro vedere ai lati delle piste dozzine di sci conficcati tra i rami dei pini, a volte con gli sciatori ancora a bordo, perché certi sky-stop-
per non erano poi così sicuri e potevano scattare anche a capriccio. Ma d’altra parte, sciare significa in buona sostanza non cadere, ovvero restare in equilibrio lottando ottusamente contro decine di leggi fisiche, meccaniche e dinamiche.
In questo i maestri di sci dell’Ekar erano dei giganti,
personaggi che riuscivano in un paio di settimane a trasformare il bambino più inetto in un maturo alpino pronto al sacrificio più estremo. Non erano i maestri di sci di oggi, per lo più giovani e bellocci, telegenici e vitaminici, bensì gli Antichi Maestri, uomini di mezza età, corpulenti e con una certa propensione alla grappa di primo mattino. Quando però prendevano a sciare si assisteva alla strabiliante trasformazione del leone marino in libellula, del facocero in Roberto Bolle. Il loro colorito variava dal rosso vermiglione al carminio strangolamento, roba da far sembrare anemico Carlo Conti, ma oltre l’abbronzatura c’era in loro qualcosa di primigenio e solenne che richiamava le tribù d’America, i fieri Arikara delle Pianure, gli Shoshoni del Gran Bacino, i Chippewa della tundra canadese.
Il mio maestro Pertile, ad esempio, poteva essere benissimo un capo tribù Winnebago e da quello pochissimo si discostava praticando un insegnamento fatto di gesti e sguardi e rarissime parole, delle quali peraltro non si intendeva il significato. Al termine del corso, egli incrociando le braccia sul petto e alzando il mento verso il punto invisibile dove i monti lambivano il sacro tallone di Manitù, sentenziò: “Tu Graziani, zero stile ma coraggio di jungla”. Infatti, per me sciare altro non era che la versione invernale dell’imitazione dello scimpanzé che facevo le sere d’estate al mare in campeggio, con grande scompiglio degli anziani villeggianti tedeschi e molto divertimento dei miei familiari. Mi veniva così bene che ancora oggi mi viene il dubbio: e se fossi io il famoso anello mancante? Datemi una banana e solleverò il mondo.
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Il personaggio. Marianna Giollo è diventata la numero 2 della Fondazione teatro, vice del segretario Pier Giacomo Cirella
“Per Vicenza il teatro è diventato casa”
Promuovere la struttura e trovare i finanziamenti sono i due compiti fondamentali di Marianna Giollo.
È mamma di due gemelli che si sono già avvicinati con entusiasmo al teatro. Positiva la risposta delle aziende che diventano sponsor della fondazione presieduta da Enrico Hullweck
Dialogare con il pubblico e cercare nuovi investimenti per rendere il teatro comunale un luogo sempre più vicino a Vicenza. Il lavoro di Marianna Giollo, 40 anni vice segretaria della Fondazione teatro comunale di Vicenza (segretario è Pier Giacomo Cirella) richiede una grande responsabilità perché come racconta: “il teatro è un rito collettivo, unisce le persone ma soprattutto contribuisce allo sviluppo della comunità”. Per chi lo vive come lei, dal 2007, il teatro è più di un semplice luogo di lavoro, è “casa”, come spiega parlando della sua esperienza umana e professionale che ora la vede impegnata nella promozione della struttura e nella ricerca dei finanziamenti utili ai progetti culturali che il teatro propone. Come si è avvicinata al mondo del teatro?
Da piccola i miei genitori mi portavano spesso a teatro e la mia passione è cresciuta frequentando anche corsi di danza. Poi nel periodo in cui studiavo economia e gestione delle arti a Ca’ Foscari, ho avuto la possibilità di fare uno stage nell’assessorato alla cultura del Comune: ho partecipato all’organizzazione del festival jazz e capito che avrei voluto
lavorare nel mondo della gestione degli eventi culturali e degli artisti.
Nel 2007 è arrivata alla Fondazione del teatro comunale… Era l’anno dell’inaugurazione, ero appena laureata, ma subito mi sono sentita a mio agio, a casa, perché ogni giorno entravo in contatto con artisti e linguaggi diversi.
Qual è il linguaggio teatrale che le piace di più?
Direi la danza contemporanea e il teatro danza. Linguaggi non verbali capaci di interpretare la realtà ed esprimerla attraverso una forma d’arte unica.
C’è uno spettacolo di danza che l’ha particolarmente colpita di recente e perché?
“Triptych” lo spettacolo di danza dei belgi Peeping Tom. Un thriller surreale capace di creare grandi momenti di suspance e colpi di scena.
Il teatro ha il pregio di essere mutevole, nelle forme e nei linguaggi: come è evoluto il suo lavoro nel tempo?
Ho iniziato seguendo la comunicazione e ora mi occupo di aspetti più organizzativi e gestionali come le raccolte fondi. Il covid è stato un periodo davvero duro per il settore culturale, ma anche una grande opportunità per approfondire nuovi progetti e mante-
nere il dialogo con il pubblico sperimentando una nuova comunicazione digitale che nel lungo periodo è stata premiata sia dagli spettatori che dalle aziende che ci supportano. In che modo?
Ci siamo reinventati organizzando residenze artistiche, ma anche webinar. Gli spettatori hanno premiato l’impegno e anche nel periodo più difficile sono rimasti al nostro fianco donando 100 mila euro e mantenendo gli abbonamenti, così come le aziende. Come vi supportano gli sponsor?
Le partnership con le aziende sono finalizzate alla realizza-
zione di progetti per tutta la comunità. Ad esempio “Opera Baby”, è un percorso educativo per la prima infanzia che sabato 27 maggio alle 10 porterà sul palco del teatro “Il flauto di Tam Pam” liberamente ispirato a “Il Flauto Magico” di Mozart. Lei è mamma di due gemelli: come si avvicinano i bambini a questi progetti e al teatro stesso?
Con grande entusiasmo. Hanno un approccio genuino, gioioso, sono molto più sensibili degli adulti. Soprattutto nei laboratori del teatro scuola meraviglioso vedere come, lezione dopo lezione, imparano
ad esprimere le loro emozioni attraverso il linguaggio del corpo. Il teatro li fa concentrare sul presente, li stimola e li rende consapevoli della società in cui vivono. Secondo lei qual è la forza del teatro?
La sua universalità. La capacità di unire persone con interessi diversi che qui trovano il modo di incontrarsi, riflettere, esprimersi attraverso i linguaggi che sono loro più affini. Il teatro è un rito collettivo, ha un ruolo etico e contribuisce alla crescita e allo sviluppo di tutta la comunità.
Speriamo in un Vicenza furioso ai play off
Fino al 7 maggio Dan Thomassen e i suoi giocatori avranno la possibilità di recuperare le forze e gli infortunati, di concentrarsi sul percorso dei play off e di mettere finalmente a punto una identità di squadra che in campionato s’è vista molto poco. La Coppa sarà la scintilla che serve per riaccendere la squadra? C’è da augurarselo, ma la prudenza è d’obbligo visti gli alti e bassi del campionato
L a Coppa Italia di Serie C è tornata a Vicenza dopo quarantadue anni e la società di Renzo Rosso può fregiarsi della seconda coccarda di categoria dopo quella vinta nel 2008 a Bassano. Il 16 giugno 1982 il Lanerossi Vicenza del presidente Dario Maraschin, allenato da Giancarlo Cadè, si era aggiudicato la Coppa battendo allo Stadio Menti, nella partita di ritorno (0-0 all’andata), il Campobasso. La stagione 1981-1982 era quella che doveva avviare la ricostruzione del club, con l’uscita di scena dei Farina (Giussy e il figlio Francesco) e la retrocessione in terza serie dopo quarant’anni. La rinascita non fu affatto immediata e quel decennio del secolo scorso, sotto il profilo calcistico, fu molto difficile. La ripartenza cominciò solo con l’avvento dei Dalle Carbonare nel 1989.
La vittoria della competizione non è particolarmente esaltante per l’aspetto tecnico. Agli ottavi s’erano qualificate solo quattro squadre che appartenevano alla élite dei tre gironi di campionato e solo tre sono arrivate ai quarti. Dimostrazione del relativo interesse dei club a partecipare alla Coppa di C.
Il Lanerossi Vicenza non ha dovuto dannarsi per arrivare in finale. Nel 1° turno ha eliminato la Virtus Verona, nel 2° l’Arzignano, negli ottavi il Rimini (ma ai rigori) e nei quarti la Viterbese. In pratica un’autostrada. Il primo avversario impegnativo è stato l’Entella in semifinale (eliminato ai supplementari nella partita di ritorno al Menti) e l’ultima tappa con la Juventus Next
Gen non rientrava certo fra le missioni impossibili. Raffreddato qualche entusiasmo fuori luogo per il successo in una manifestazione senz’altro secondaria, è invece sicuramente apprezzabile il vantaggio che ne deriva alla squadra biancorossa. Sfumato l’obbiettivo primario della conquista della promozione diretta, al Lanerossi resta la sola possibilità di porre immediato rimedio alla sciagurata retrocessione dell’anno scorso passando per la complicatissima avventura della seconda fase di campionato. Il beneficio della vittoria della Coppa sta proprio qui, perché il regolamento (discutibile sotto il profilo della meritocrazia, ma così configurato per dare interesse alla Coppa) esenta la vincente dalla partecipazione ai primi due turni e la fa accedere al tabellone nazionale come se si fosse classificata terza nel proprio girone in regular season. Posizionamento finale che sarebbe stato pressochè impossibile per i biancorossi, attualmente quinti a -5 dalla terza e tallonati da Virtus Verona e Padova.
La detentrice della Coppa Italia ha, per di più, un ulteriore vantaggio perché è una delle cinque teste di serie della fase nazionale che giocheranno in casa la gara di ritorno.
I biancorossi hanno, quindi, la prospettiva di un mese senza stress e complicazioni, perché gli ultimi due turni di campionato sono ormai privi di interesse ai fini del piazzamento finale e, fra la fine della regular season e l’inizio della fase nazionale, decorrono due settimane. Fino al 7 maggio,
dunque, Dan Thomassen e i suoi giocatori avranno la possibilità di recuperare le forze e gli infortunati, di concentrarsi sul percorso dei play off e di mettere finalmente a punto una identità di squadra che in campionato s’è vista molto poco.
La vittoria della Coppa sarà la scintilla auspicata dal nuovo allenatore e necessaria a far decollare i biancorossi? È legittimo, dopo gli alti e bassi del campionato, nutrire una certa prudenza su questa possibilità. Bisognerebbe creare una continuità fra la finale del Menti (fra l’altro giocata non proprio splendidamente) e i prossimi impegni. Per una squadra che non ha mai avuto la continuità fra le sue caratteristiche, sembrerebbe piuttosto arduo.
Gianni PoggiGiornalista, scrittore, documentarista e blogger, Gianni Poggi è autore televisivo ma ha firmato libri di vari argomenti, oltre che di sport
La Coppa Italia. La vittoria regala ai biancorossi alcune settimane senza pensieri in attesa della seconda fase del campionatoL’allenatore Dan Thomassen dà la carica ai biancorossi • Chi è Gianni Poggi
L’associazione. “Women for Freedom” è impegnata in sette Paesi dall’Africa all’Asia, dal Sudamerica all’Europa
Aiutate finora 8.500 donne con 53 progetti
Tante sono le iniziative cui hanno dato vita dal 2014 a oggi. Interventi in Italia, Nepal, Togo, Camerun, India, Romania, Bolivia. Parla la presidente Luisa Rizzon. Nel Consiglio direttivo anche Lucia Cuman, Davide Parise, Gianfranco Cipresso e Marco Bertolini
“Ogni giorno ci impegniamo per dare un aiuto concreto a donne, italiane e straniere, affinché ritrovino stima in sé stesse, apprendano nuove competenze e guardino con rinnovata speranza al futuro”. È questa la missione che Luisa Rizzon, 48 anni, promuove dal 2014 insieme ai soci e volontari di “Women for Freedom” l’associazione, con sede a Bassano, nata per aiutare donne e bambini in situazioni di fragilità in Italia e nel mondo. Assieme a lei, nel Consiglio direttivo dell’associazione ci sono Lucia Cuman, vicepresidente, Davide Parise, tesoriere, Gianfranco Cipresso e Marco Bertolini.
Raccolgono mezzo milione di euro all’anno e dal 2014, cioè da quando sono nati, hanno dato vita a 53 progetti. Operano in sette Paesi di quattro continenti: Italia, Nepal, Togo, Camerun, India, Romania, Bolivia. Sono 8.500 le donne aiutate da “Women for Freedom” nel mondo.
Laureata in diritto internazionale a Ca’ Foscari, con un curriculum che l’ha vista responsabile amministrativa dapprima in un’organizzazione non governativa di Cittadella, dove si è occupata di cooperazione internazionale, e poi in altre grandi aziende del Bassanese, Luisa Rizzon, oggi libera professionista e mamma di tre figli, è stata recentemente rieletta presidente di “Women for Freedom” ed è pronta ad affrontare il suo secondo mandato tra nuove sfide e progetti interna-
zionali.
Quando si è avvicinata al mondo del volontariato?
In gioventù ho frequentato gli scout e successivamente ho fatto numerose esperienze in vari contesti sociali del Bassanese.
C’è un’esperienza che l’ha motivata nel proseguire questo percorso?
Un viaggio solidale per aiutare la popolazione dello Sri Lanka con lo tsunami nel 2004.
Fu un’esperienza intensa in cui ebbi modo di parlare con numerose donne e di visitare alcuni orfanotrofi mentre supervisionavamo i lavori per la ricostruzione di un villaggio distrutto.
Nel 2014, insieme ad un gruppo di amici ha fondato Women For Freedom. Perché?
“Il nostro sogno nel cassetto è sempre stato quello di aiutare donne e bambini per costruire un mondo migliore. Siamo un gruppo di persone che arrivano da una formazione aziendale. Forse proprio questa, insieme alla motivazione etica e alla passione, è una delle carte vincenti dell’associazione: l’ef-
ficiente modello organizzativo che i componenti hanno interiorizzato nella loro esperienza di imprenditori è stato trasferito nel no profit e trasmesso poi anche alle altre aziende del territorio che ci sostengono per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Quanti progetti sostente? E dove?
“Siamo presenti in sette Paesi. Il Camerun, in Africa, è stato uno dei primi luoghi dove, insieme ad associazioni locali, abbiamo portato aiuti alla popolazione. In particolare, oggi, grazie alla vincita di un bando della Regione Veneto per Progetti di cooperazione allo sviluppo sostenibile, riusciremo a proseguire la terza parte del progetto “A scuola di igiene e di rispetto” attivo dal 2018 con cui stiamo migliorando le condizioni igienico-sanitarie di 10 scuole e, parallelamente, fornendo educazione igienica a circa 5mila studenti.
E in Sud America?
Dal 2022 abbiamo avviato il progetto “Trampolin” che ha come obiettivo principale la ristrutturazione e l’ampliamento
di un immobile della Fondazione Munasim Kullakita per ospitare ragazze vittime di tratta e sfruttamento sessuale e ricollocarle nel tessuto sociale per mezzo di nuovi strumenti di autonomia socio-economica, come corsi di formazione, che permettano loro di vivere al di fuori dai circuiti criminosi.
Nel Vicentino, invece, quali richieste di aiuto ricevete e quali progetti sono attivi?
“Durante la pandemia abbiamo iniziato ad aiutare donne vittime di violenza domestica, che avevano perso il lavoro o in situazioni di solitudine e difficoltà economica, attivando “Energia Donna” progetto di re-inserimento lavorativo in cui abbiamo coinvolto alcune aziende del territorio finanziando tirocini di 6 mesi.
Quante donne avete aiutato?
Abbiamo attivato 33 fra tirocini e percorsi di formazione che hanno visto protagoniste sia donne italiane che straniere. Metà di loro sono state assunte. La sua soddisfazione più grande? Aver ridato loro fiducia in sé stesse e speranza nel futuro. Queste donne desideravano essere ascoltate, avevano voglia di ricominciare, di essere indipendenti e ci sono riuscite anche grazie al supporto delle aziende del territorio che hanno creduto nel nostro progetto. I prossimi appuntamenti di Women for Freedom?
Continueremo le attività di raccolta fondi nel territorio e gli eventi di sensibilizzazione come il festival “Libera Menti” nell’ambito della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Sara Panizzon#Regione
L'intervista. Il senatore Raffaele Speranzon è vice presidente vicario del gruppo Fratelli d’Italia a Palazzo Madama
“Dal taglio del cuneo fiscale ai bonus Il nostro aiuto a famiglie e imprese”
Il recente taglio al cuneo fiscale, che dovrebbe alleggerire il peso delle tasse per i lavoratori con i redditi più bassi, è l’ultimo dei provvedimenti adottati dal governo per fronteggiare mesi ancora impegnativi per i conti di famiglie e imprese. Sarà sufficiente? Che altro fare? Ne parliamo con il senatore veneziano Raffaele Speranzon, che a Palazzo Madama è anche vice presidente vicario del gruppo di Fratelli d’Italia.
Senatore, qual è il fronte più caldo che vede impegnato il governo Meloni?
Stiamo lavorando soprattutto sulla riduzione delle tasse, per questo abbiamo messo a punto una finanziaria che taglia il cuneo fiscale e aumenta la platea dei cittadini che si troveranno qualcosa di più in busta paga, partendo dai redditi medio bassi. La nostra riforma fiscale ha l’obiettivo di tagliare le tasse a tutti, a cominciare da chi si trova in maggiore difficoltà. Vogliamo allargare la platea dei cittadini che da questa riforma avranno qualcosa in più. Come sostenere concretamente le famiglie?
Abbiamo introdotto vari bonus energetici per pagamento bollette, che hanno permesso alle famiglie di affrontare l’impennata dei costi energetici. Abbiamo anche raddoppiato tutti i benefici per i genitori che mettono al mondo dei figli e introdotto un congedo parentale più lungo e più ore di permesso retribuito. Da quest’anno l’assegno unico è aumentato, così come le pensioni minime. In una situazione economica come quella attuale, ancora difficile e con una quotidiana instabilità a livello internazionale, dobbiamo far fronte anche all’aumento dell’inflazione.
Che risposte dare invece al mondo delle imprese?
Il primo obbiettivo era scon-
giurare chiusure di massa, fallimenti e ascesa della disoccupazione. Una volta messo in sicurezza il nostro sistema economico e produttivo siamo pronti a ripartire. La previsione di crescita dell’1 % inserita nel Documento di economia e finanza approvato lo scorso 11 aprile è anche la risposta che diamo ai vari gufi, secondo i quali eravamo ormai sull’orlo del fallimento. Invece il 2023 sarà un anno di crescita, anche se c’è ancora molto da fare.
A questo proposito, come superare l’impasse del Pnrr?
Stiamo cercando di snellire procedure per raggiungere gli obiettivi fissati. È bene ricordare che per due decenni l’Italia ha gestito i fondi strutturali per la formazione e per miglioramento della qualità dei lavoratori, oltre che per l’implementazione delle infrastrutture e delle tecnologie. Non siamo riusciti a spendere quasi la metà di questo denaro, ora abbiamo il quadruplo delle risorse, quindi vanno modificate e trasformate le procedure. L’obiettivo è creare le condizioni perché la burocrazia non sia un ostacolo, ma ci aiuti ad utilizzare al meglio questi fondi. Abbiamo centralizzato tutto su Palazzo Chigi proprio per lavorare su questo aspetto cruciale. Per l’opposizione non state facendo abbastanza, cosa rispondete?
Rispondiamo con i fatti, ormai da mesi: abbiamo riformato il codice degli appalti, abbiamo in cantiere la riforma della giustizia per garantire a tutti un giusto processo in tempi brevi, perché la lentezza della giustizia produce impunità, stiamo lavorando ad una proposta di legge che va a gravare le pene per chi occupa immobili abusivamente. Abbiamo adeguato il contratto degli insegnanti, bloccato da oltre un decennio. Abbiamo dato il via alla riforma dell’au-
tonomia differenziata e a quella delle province, all’orizzonte c’è anche la riforma del presidenzialismo. Non siamo certo con le mani in mano. Altro fronte che ci vede impegnati è quello della sovranità alimentare e il no al cibo artificiale con cui si vorrebbe uniformare l’alimentazione in tutto il mondo. Noi difendiamo la dieta mediterranea e la nostra filiera di qualità che vale centinaia di miliardi e garantisce anche un’elevata aspettativa di vita.
Si parla ancora di emergenza immigrazione, che fare? Dobbiamo far comprendere che il confine italiano è un confine comunitario, quindi l’emergenza riguarda l’Europa intera che non può continuare a stare alla finestra. Tutta l’Europa deve sentirsi coinvolta e responsabile, per evitare scelte drastiche e pesanti conseguenze. Vanno stretti accordi con tutto il Nord Africa e gli altri Paesi del bacino mediterraneo, serve una forte azione comune se vogliamo evitare altre tragedie.
In Veneto fra poco si vota a Vicenza e Treviso: com’è il rapporto con gli alleati?
Anche stavolta siamo riusciti a fare sintesi sui candidati che guideranno queste città per i prossimi anni, siamo sicuri saremo ancora premiati dal consenso degli elettori, come è stato di recente nel vicino Friuli Venezia Giulia e prima in Lazio e Lombardia. A livello regionale orma è chiaro che Fratelli
d’Italia è la forza politica più importante. Confidiamo nella disponibilità di Zaia a dare ascolto alle proposte, alle idee e ai suggerimenti del primo partito in Veneto. Da parte nostra non verrà mai a mancare la lealtà nei confronti della giunta regionale. Ha fatto discutere la presa di posizione di Fratelli d’Italia sulle carriere alias a scuola. Perché quella lettera al liceo?
Più che una lettera al singolo istituto sarebbe stato meglio fare una lettera aperta su questo tema così complesso che richiede una seria riflessione. Oggi in Italia prima dei 1 8 anni un giovane non viene considerato sufficientemente maturo per guidare un’auto, votare, consu-
mare alcolici. Anche sul fronte penale un minorenne che commette un reato ha responsabilità attenuate. Riteniamo che sia prematura ogni decisione sulle cosiddette carriere alias da parte di un adolescente. Ad ogni cosa il suo tempo, il cambio di sesso è previsto e regolato dalla legge, è un diritto legittimo ma deve essere frutto di una decisione matura, non presa sull’onda dell’emotività. L’adolescenza invece è una fase di conflittualità permanente, dobbiamo andarci cauti. Meglio se le scuole, anziché occuparsi di questo, si concentrano sul loro ruolo didattico e sulla formazione dei ragazzi.
Nicola StievanoConsiglio Veneto, confermata la squadra del presidente Ciambetti
Il Consiglio regionale del Veneto ha votato il rinnovo dell’Ufficio di Presidenza senza particolari contraccolpi all’interno della maggioranza, in particolare nel rapporto di forza tra Lega e Fratelli d’Italia.
Sono stati confermati il presidente Roberto Ciambetti (Lega-LV), con 37 voti, i vicepresidenti Nicola Finco (Lega-LV) per la maggioranza, con 36 voti, e Francesca Zottis (Partito Democratico) per la minoranza con 9 voti, nonché i segretari Alessandra Sponda (Lega-LV) per la maggioranza con 34 voti, ed Erika Baldin (Movimento 5 Stelle) per la minoranza con 9 voti.
“Il voto di metà legislatura - spiega il presidente
Ciambetti - è previsto dal regolamento del Consiglio regionale: si tratta di una procedura che serve anche come strumento di verifica e controllo dell’operato di chi gestisce l’assemblea. Il voto espresso non solo sancisce il riconoscimento del buon lavoro fatto finora ma rappresenta anche un segnale per il percorso che ci condurrà, nei prossimi due anni e mezzo, alla conclusione della legislatura: l’attività legislativa che ci vedrà impegnati è ancora molta, sia in termini di quantità di provvedimenti, sia soprattutto in termini di qualità. Il rinnovo di tutti i componenti rappresenta quindi una continuità che consentirà all’assemblea legislativa di proseguire al meglio”.
non va sottovalutato e va affrontato a scuola e all’università”
Afianco degli studenti e del loro disagio, manifestato in più occasioni, anche in momenti solenni come l’inaugurazione dell’Anno Accademico all’Università di Padova. Rachele Scarpa, parlamentare del Partito Democratico, non sottovaluta l’appello che arriva dai giovani alle prese con le difficoltà quotidiane nell’affrontare il percorso di studi.
“La Rete degli studenti medi, l’Unione degli Universitari e il
Sindacato pensionati italiani (Spi Cgil) - ricorda la deputata veneta - hanno presentato alla Camera i dati della loro ricerca ‘Chiedimi come sto’. É successa una cosa importante: i 30mila studenti e studentesse che ci dicono come stanno, quanto difficile sia stata la pandemia, che pensano sia necessario un supporto psicologico fruibile e a portata di mano impongono un impegno urgente del Parlamento, come in que-
ste settimane è emerso spesso”.
A fronte di questa situazione l’Unione degli Universitari e la Rete degli Studenti Medi hanno presentato in Parlamento una proposta di legge sul benessere psicologico degli studenti, con la proposta di istituire un presidio psicologico con psicologi in ogni scuola e università.
Rachele Scarpa chiede un impegno urgente al Parlamento per garantire un presidio psicologico e una rete di supporto sociale
Con la tappa a Vicenza si è concluso il tour “Comunità Energetiche Rinnovabili e gruppi di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente. Uno strumento per la transizione energetica” che ha toccato tutte province venete.
“Il bilancio di questa esperienza è estremamente positivo - commenta Roberto Marcato, assessore regionale allo sviluppo economico ed energia -. Complessivamente, nell’arco di un mese, ho potuto incontrare oltre 500 sindaci, toccando in pratica tutto il territorio regionale. Ho riscontrato che c’è ampia consapevolezza che le comunità energetiche sono uno strumento importante sul quale investire per il nostro futuro.
Roberto MarcatoNoi faremo la nostra parte come stiamo già facendo, ora ci aspettiamo dal Governo i decreti attuativi. Ci aspettiamo che renda l’utilizzo delle comunità energetiche molto semplice e facile da costruire e mettere a sistema. Abbiamo davvero l’opportunità di scrivere una pagina importante vero l’autonomia energeticaconclude Marcato -.
È una partita fondamentale e ne va dello sviluppo del nostro territorio”.
“La scuola e l’università - aggiunge Scarpa - sono l’epicentro da cui parte un grido di aiuto e devono essere quindi l’epicentro della nostra risposta: dai luoghi di istruzione si possono intercettare condizioni di disagio e difficoltà, dei singoli e dei contesti familiari, ma soprattutto si può fare prevenzione e promozione del benessere psicologico”.
“L’istruzione pubblica - continua la deputata del Pd - deve diventare un’àncora di salvezza per chi è in difficoltà e il primo luogo di acquisizione degli strumenti psicologici, sociali e culturali per stare bene: poi servono risposte complesse e di sistema. Serve lo psicologo di base, perché il benessere di una persona non può essere legato al fatto di potersi permettere di pagare un professionista. E ancora bisogna pensare alla situazione nelle carceri, o alle condizioni limite di chi arriva nel nostro paese dopo aver attraversato il Mediterraneo. Serve una rete di supporto sociale per gli anziani, per non lasciarli soli. Servono sguardi ampi e una grande volontà politica di fare sintesi, con trasversalità e determinazione. Utilizzeremo, per que-
sto, l’intergruppo parlamentare per il benessere psicologico da me promosso: dall’ascolto degli studenti e dal confronto in Parlamento devono partire le risposte urgenti che la mia generazione sta chiedendo”, conclude Scarpa.
“La nostra proposta di legge - spiega Camilla Velotta, dell’esecutivo nazionale della Rete Studenti Medi - punta ad istituire, regolare e finanziare un servizio di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counselling scolastico e universitario, che possa basarsi su personale professionista e interfacciarsi con il servizio sanitario territoriale assicurando la presa in carico degli studenti che ne avessero bisogno. Oggi molte scuole e università offrono un servizio psicologico, ma le risorse economiche e il personale a disposizione sono gravemente insufficienti: infatti, noi chiediamo che lo Stato investa almeno cento milioni di euro all’anno per arruolare sul territorio dei team multidisciplinari di professionisti, le cui competenze
devono garantire l’assistenza in relazione alle necessità specifiche degli studenti”. “Siamo andati ad individuare una necessità delle nostre generazioni. - osserva Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete - Vedere concretamente lo stato di malessere all’interno dei nostri coetanei ha fatto scattare la scintilla su quella che avrebbe dovuto essere la strada da percorrere. A fronte di un’ampia coscienza del proprio stato di disagio, uno dei principali rischi è quello che si vada verso l’assunzione del malessere come parte integrante della propria vita. L’intento politico è sempre stato, dunque, quello di far emergere questa ‘fragilità generazionale’ come punto di partenza per la costruzione di una rivendicazione sul diritto al benessere psicologico, un diritto quasi per nulla esistente, ma che riteniamo debba essere prioritario in futuro e, partendo da questo, bisogna costruire le basi affinché si fondi sui principi di universalità e su misure di welfare pubblico”.
Il caso. La deputata veneta del Pd raccoglie l’appello degli studenti
“Il disagio giovanileRachele Scarpa e Ivan Pedretti (Spi Cgil)
Comunità energetiche, Marcato ha incontrato cinquecento sindaci
L’inaugurazione. Aperto al traffico il collegamento da Spresiano alla A27, due chilometri costati 66 milioni di euro
Pedemontana Veneta quasi completa Manca solo l’ultimo tratto vicentino
Zaia invita ad usarla: “È un aiuto all’economia di una parte della nostra regione che viveva sotto scacco di una viabilità satura, prima finiamo di pagarla e prima potremo iniziare ad abbattere i pedaggi”
Anche l’ultimo tratto della Pedemontana in provincia di Treviso è stato aperto al traffico. Due chilometri, realizzati quasi tutti in trincea e con un costo di 66 milioni di euro, che collegano il casello di Spresiano con la A27. Alle Dolomiti da una parte, mentre dall’altra, grazie all’innesto con la A28 e più in là ancora con la A4, a Pordenone, Portogruaro, Udine, Trieste, l’Austria, la Slovenia. Insomma, il Nordest e il Nord Europa connesse da una superstrada definita all’unanimità strategica. Al completamento del progetto mancano ancora 12 chilometri, quelli che vanno da Montecchio Maggiore a Malo: se tutto filerà liscio, en-
tro la fine dell’anno il casello di Montecchio (di competenza della Brescia-Padova) verrà aperto e allora si potrà parlare davvero di grande anello est-ovest dell’intero Nordest. Per “varare” l’interconnessione della Marca sono arrivati in tanti. Dal vice presidente del Consiglio dei ministri con delega alle infrastrutture e ai trasporti Matteo Salvini al governatore Luca Zaia con la giunta regionale al completo. Parlamentari e sindaci, ordini professionali e vertici della Dogliani, l’impresa che ha realizzato l’opera. “La storia della Pedemontana parte con i primi progetti degli anni Novanta. Si blocca, va in stallo, e solo negli ultimi anni l’impe-
gno della Regione ha portato all’avvio dei cantieri. L’apertura del collegamento con la A27 – ha dichiarato Zaia – permette ora di fare l’atteso salto di qualità: decine di comuni, migliaia di aziende, tantissimi abitanti di questi territori hanno finalmente un’arteria importante per il traffico veicolare, in una delle aree produttive più importanti del Paese. Questo significa anche un aiuto all’economia, all’attrazione di in-
vestimenti, alla crescita di una porzione di Veneto che viveva sotto scacco di una viabilità secondaria ormai satura”. Da Pordenone a Bassano in un’ora e 55 minuti. Da Portogruaro a Vicenza in un’ora e 20 minuti. Da Treviso Nord a Montecchio in 50 minuti. Numeri che rivoluzionano gli spostamenti in una parte d’Italia storicamente imbottigliata nel traffico. Numeri dettati non soltanto da quei
94,5 chilometri di Superstrada Pedemontana Veneta, ma anche dai 68 chilometri di nuova viabilità ordinaria connessa alla grande opera. L’appello accorato di Zaia (e di Salvini) a usare l’infrastruttura (“Utilizzatela, utilizzatela, utilizzatela”) va inevitabilmente letto come risposta a chi mette sul piatto i costi dei pedaggi. “I flussi di traffico sono in aumento, con il valore finora record di 33.943 veicoli raggiunto il 10 marzo scorso. Gli introiti andranno ad aumentare nei prossimi mesi e anni, favorendo una piena sostenibilità economica”, da detto il presidente della Regione. Che tradotto significa: la Pedemontana ci è costata 2 miliardi e 258 milioni di euro, secondo i piani arriveremo a velocità di crociera al nono anno di vita, più viene utilizzata prima finiamo di pagarla e prima potremo iniziare ad abbattere i pedaggi.
Sara SalinOltre UN MILIONE utenti/mese.
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Regione
Aspiag Service. il programma educativo per promuovere sana alimentazione e stili di vita salutari nelle scuole primarie
Despar fa crescere “Le Buone Abitudini”
In Triveneto ed Emilia-Romagna il progetto, ideato e promosso da Despar (Aspiag Service) nel 2006, si espande e diventa digitale
330 istituti scolastici di 127 Comuni, oltre 120.000 alunni formati, 350 eventi e 1640 ore di laboratorio organizzati: sono alcuni importanti numeri che descrivono, in Triveneto ed Emilia-Romagna, l’attività de “Le Buone Abitudini”, il programma per l’educazione alla sana alimentazione e ai corretti stili di vita, avviato nel 2006 da Despar (Aspiag Service) nelle proprie regioni di riferimento. Un programma che, grazie alla collaborazione con il Consorzio Despar Italia e le società che ne fanno parte, da quest’anno si allarga su scala nazionale: il progetto, diventato una best practice in Triveneto ed Emilia-Romagna dove è stato avviato diciassette anni fa, è stato infatti esteso a tutte le 17 regioni italiane in cui il Consorzio e le sue società sono presenti.
Le Buone Abitudini è un programma innovativo nato con l’obiettivo di supportare scuole e famiglie, nel perseguire e raggiungere un concetto ampio di qualità della vita, con particolare attenzione ai temi della sana alimentazione, del
movimento fisico e del rispetto per l’ambiente. Il programma è stato studiato come un ciclo educativo completo per accompagnare insegnanti, alunni e famiglie lungo tutto il cammino della scuola primaria, dalla classe prima alla classe quinta. Nel dettaglio, il programma è strutturato in cinque percorsi di educazione alimentare curati e verificati in collaborazione con un team di specialisti e differenziati per ciascuna classe della scuola primaria. Attraverso una metodologia attiva di insegnamento, grazie alla quale i bambini possono approfondire e mettere in pratica quello che imparano con sperimentazioni pratiche e semplici azioni quotidiane, il percorso formativo permette così di sviluppare competenze e tematiche trasversali in linea con le indicazioni nazionali del MIUR.
Il progetto, volto da sempre a coltivare nei cinque anni di scuola primaria un seme speciale, fatto di curiosità, sensibilità ed esperienza, che germogliando possa aiutare i bambini a crescere in
modo sano e consapevole, a partire dall’anno scolastico 2022/2023 ha cambiato pelle per rivolgersi verso una dimensione innovativa e digitale. Oggi, infatti, “Le Buone Abitudini” è un programma fruibile interamente online attraverso una piattaforma gratuita (https://www.lebuoneabitudini.despar.it/piattaformascuola/) dedicata agli insegnanti della scuola primaria che possono registrarsi con facilità e usufruire di contenuti scientifici aggiornati e proposte interattive messi a disposizione come video, approfondimenti, materiali didattici digitali e stampabili, attività esperienziali in classe e in famiglia. I contenuti per gli insegnanti si integrano poi con un sistema digitale più
ampio rivolto alle famiglie a cui vengono messi a disposizione contenuti e materiali sul sito del programma www. lebuoneabitudini.despar.it, oltre che sulla pagina Facebook e il canale YouTube de “Le Buone Abitudini”, con ricette, consigli degli esperti e attività manuali da svolgere insieme ai bambini.
Una vocazione al sociale che è parte del DNA di Despar, che ogni giorno si impegna per favorire un modello di svilup-
po fondato sulla costruzione di relazioni e valore condiviso per le comunità in cui l’azienda si inserisce.
Tre domande a Filippo Brocadello, membro del team del progetto Despar “Le Buone Abitudini”Medico, specialista in scienza dell’alimentazione e fitoterapeuta
1) Le Buone Abitudini è un ciclo educativo completo che si articola in cinque percorsi specifici per ciascuna classe della scuola primaria. Come sono state scelte le tematiche e quali sono le specificità del programma?
Le tematiche e le competenze sviluppate dal progetto sono trasversali e in linea con le Indicazioni Nazionali del MIUR. Attraverso la nuovissima piattaforma digitale, i nostri specialisti offrono agli insegnanti una formazione qualificata, attendibile e sempre aggiornata. Tutti i percorsi de Le Buone Abitudini si avvalgono della metodologia attiva, grazie a cui i bambini e le bambine diventano protagonisti, a scuola e a casa, approfondendo e mettendo in pratica ciò che imparano attraverso attività espe-
rienziali e semplici azioni quotidiane.
2) La scuola ha un ruolo importante nel diffondere corrette abitudini alimentari, ma altrettanto fondamentale è il ruolo della famiglia. In che modo questo programma rappresenta un ponte tra scuola e famiglia su un tema così importante?
Il nostro ciclo educativo si fonda sulla relazione tra società, scuola e famiglia e permette a insegnanti e genitori di lavorare fianco a fianco attraverso la nostra piattaforma e non solo. In tutti i percorsi è prevista la restituzione a casa dei contenuti appresi a scuola, attraverso attività, esperienze e video da visionare in famiglia. Grazie ai nostri canali on-line, inoltre, è possibile fare rete, condividere il lavoro svolto, i consigli degli esperti, approfondimenti, ricette,
eventi e tanto altro.
3) Quali sono gli errori più comuni che si commettono rispetto all’alimentazione di bambini e ragazzi?
Può darci qualche consiglio pratico su come educarli a stili di vita salutari e a un’alimentazione equilibrata?
Uno degli errori più comuni è senz’altro l’eccessivo ricorso (anche più che quotidiano) a merendine, snack, bibite e succhi di frutta, che anziché essere consumati una volta ogni tanto, per esempio nelle occasioni come feste e compleanni, entrano nella dieta di tutti i giorni come fossero indispensabili, andando così a confondere ciò che rientra in un concetto di alimentazione equilibrata rispetto a quello di eccezione. Il consiglio più utile è certamente la coerenza. I più piccoli, infatti, oltre a seguire quan-
to viene scelto per loro in famiglia, imparano principalmente osservando i comportamenti degli adulti di riferimento, che fungono da esempio fondamentale nell’indirizzare le loro scelte.
Cibo sintetico, l’opinione pubblica si spacca tra favorevoli e contrari
Naturale contro sintetico: questo è il dilemma
Il mondo scientifico esprime per lo più una posizione a favore del cibo coltivato in laboratorio
C ibo coltivato in laboratorio, quello che nel linguaggio comune è stato impropriamente chiamato “sintetico”, una nuova frontiera che spacca l’opinione pubblica e fa registrare anche tra gli esperti e addetti ai lavori posizioni contrastanti che si dividono tra favorevoli e contrari.
U na questione aperta dopo l’autorizzazione per il consumo umano concessa dall’autorità alimentare americana Fda ai filetti di “pollo” creati in laboratorio dalla Upside Foods e a quelli della GOOD Meat. Attualmente la carne sintetica è un prodotto che non è ancora entrato nel mercato europeo. Qualora l’Autorità europea sulla Sicurezza alimentare (EFSA) dovesse approvare la sicurezza della carne coltivata, questa potrà entrare nel mercato europeo e potrà essere acquistata.
Prosegue alla pag. seguente
Coldiretti a supporto del ddl che in Italia vieta i cibi sintetici
Salute
Naturale contro sintetico: questo è il dilemma
In Italia l’approvazione, lo scorso 29 marzo, in Consiglio dei ministri del disegno di legge “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”, ha ulteriormente contribuito ad esacerbare il dibattito.
Ma cos’è la carne coltivata?
Trai contrari si colloca il senatore Luca De Carlo, presidente della commissione industria, commercio turismo agricoltura e produzione agroalimentare, che ha esultato, lo scorso 29 marzo, per l’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”, che vieta la produzione, l’importazione e la vendita di alimenti “sintetici” in Italia.
“È una grande vittoria per l’intero comparto agroalimentare italiano - ha dichiarato il senatore, - l’Italia è la prima nazione al mondo che ha dimostrato il coraggio di fermare questa deriva con provvedimenti concreti e lo ha fatto anche con uno strumento chiaro e snello, composto da soli sei articoli”.
Anche Coldiretti si è mobilitata contro il cibo sintetico raccogliendo in tutta Italia mezzo milione di firme a supporto della nuova normativa. La petizione ha ricevuto l’adesione anche di ministri, sottosegretari, parlamentari nazionali ed europei, governatori, sindaci, personalità della cultura, dello sport e dello spettacolo, rappresentanti istituzionali di Regioni e Province, imprenditori e anche numerosi vescovi.
“Dopo l’autorizzazione per il consumo umano concessa dall’autorità alimentare americana Fda ai filetti di “pollo” creati in laboratorio dalla Upside Foods e a quelli della GOOD Meat, il rischio è una diffusione anche nell’Unione Eu-
ropea dove già quest’anno – denuncia la Coldiretti - potrebbero essere introdotte le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio che coinvolgono Efsa e Commissione Ue. Dopo la carne la sperimentazione si è estesa al pesce ed al latte mettendo a rischio la naturalità degli alimenti più presenti nella dieta”.
“La verità è che non si tratta di carne ma di un prodotto sintetico e ingegnerizzato, che non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali – osserva il presidente Ettore Prandini, contestando le motivazioni dei sostenitori del cibo coltivato in laboratorio - non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare e, inoltre, non è accessibile a tutti poiché è nelle mani di grandi multinazionali”.
Coldiretti Veneto, inoltre, mette in risalto come produzioni da primato siano messe a rischio.
“Rispetto al mercato nazionale, - si sottolinea - il Veneto vanta numeri da leader, concentrando oltre il 40% degli allevamenti avicoli. A questi si aggiungono il 15% del settore bovino e il 10% di quello suino, tanto che la regione è quarta per valore aggiunto in agricoltura con oltre 3 miliardi di euro, grazie anche alle sue 95 certificazioni di origine fra Dop e Igp. Primati che, secondo Coldiretti, in prospettiva rischiano di essere però insidiati dalla decisione della Fda”.
“È un tipo di carne prodotta in laboratorio a partire da cellule animali” si legge nelle pagine del sito della Fondazione Umberto Veronesi, che già nel 2019 si era espressa a favore di queste tecniche attraverso la pubblicazione di un documento di Roberto Defez, dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli e membro del comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, intitolato “Dagli allevamenti intensivi all’agricoltura cellulare”.
“Attualmente - si legge - la carne coltivata è un prodotto che nasce a partire da cellule animali che vengono prelevate tramite una biopsia e fatte crescere su un terreno ricco di nutrienti.
Dal punto di vista della sicurezza alimentare - è la posizione della Fondazione Veronesi - il consumo di carne coltivata non presenta un rischio per la salute umana. In Unione Europea la carne coltivata è considerata un novel food e quindi deve sottostare a stretti controlli e normative che regolamentano l’introduzione di questi alimenti sul nostro mercato”.
Insomma, il dilemma è naturale contro sintetico. Ma di naturale ormai nella produzione attuale di carne c’è ben poco, è l’osservazione che si legge nelle pagine del sito la Fondazione Veronesi, senza considerare i problemi che derivano dalla gestione del mantenimento degli allevamenti attuali, di tipo etico, ambientale e di salute “se pensiamo alla possibilità di diffusione di zoonosi e alla responsabilità rispetto all’antibiotico resistenza”. Chi sostenendo la necessità di trovare perciò delle alternative al consumo di carne la Fondazione veronese ritiene che la carne coltivata sia una delle più valide. “Dal punto di vista nutrizionale - si afferma - non sono presenti degli aspetti negativi da considerare. Dal punto di vista della sicurezza alimentare, crescendo in un ambiente controllato si riduce il rischio di malattie di origine animale e non c’è la necessità di impiegare antibiotici. Diventa inoltre possibile confezionare un alimento in un unico luogo evitando contaminazioni esterne”. Non mancano gli
aspetti negativi che riguardano invece il punto di vista etico. “Una prima riflessione - si prosegue - riguarda il benessere animale: a oggi viene utilizzato il siero fetale bovino, sottoprodotto industriale della carne come ingrediente fondamentale del terreno di coltura per le cellule Tuttavia sono attualmente in sviluppo alternative che prevedono l’utilizzo di prodotti vegetali”.
Del cosiddetto “cibo sintetico” “ci si sta preoccupando troppo presto” e “si è arrivati a definire delle regole quando mancano ancora elementi per decidere”, rileva da parte sua il genetista Michele Morgante, dell’Università di Udine e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
“L’agricoltura cellulare nasce per rispondere al problema della sostenibilità della produzione animale, molto impattante su ambiente”, ha osservato.
“La prima condizione perché l’agricoltura cellulare si diffonda è che riesca a garantire una produzione sostenibile dal punto di vita ambientale ed economico: entrambe - ha rilevato - dipenderanno dalla disponibilità di fonti energetiche a basso impatto ambientale. Solo in quel caso diventerà più sostenibile rispetto all’allevamento animale tradizionale, ma ancora è tutto da verificare”.
Il mondo scientifico, tuttavia, si esprime per lo più a favore del cibo sintetico.
“Non ci sono, a priori, - osserva ancora Morgante - motivi per cui prodotti da colture cellulari potrebbero presentare rischi diversi rispetto a quelli da allevamento tradizionale. Al contrario, ci sono molte ragioni per dire che le carni coltivate sono più sicure in quanto non contengono ormoni né antibiotici, non c’è il rischio di contaminazione da parte di organismi patogeni. La coltivazione avviene infatti in un ambiente sterile e controllato”. Anche l’immunologa Antonella Viola, sostiene che la “carne sintetica” può produrre “solo vantaggi per uomo e animali” e critica la posizione dell’Italia che esclude il nostro paese “dall’alimentazione del futuro”.
Per l’immunologa, gli allevamenti intensivi, oltre che poter costituire un problema etico, “sono un pericolo per la salute dell’umanità intera” perché “rappresentano un enorme rischio di zoonosi”. Al contrario, a suo avviso, “la carne prodotta in laboratorio è più salubre: niente microbi o antibiotici”.
I personaggi. Oggi molti sono professionisti affermati, allora erano vivaci protagonisti della scena “prog” cittadina
I giovani musicisti degli anni Settanta
Il concorso fra le superiori cittadini battezzato “Interistituti” era un appuntamento atteso dagli studenti.
Sul palco i migliori rappresentanti di una generazione musicale.
E ospiti illustri: nel 1973 fu Donatello e nel 1974 Battiato che al teatro “Roma” presenta “Pollution”
Nei primi anni Settanta a Vicenza era celebre il concorso musicale “Interistituti”. Ciccio Corona nel 1960 aveva creato il “Commercio estero show” che aveva figliato il “Fusinieri show”. Ecco perché Interistituti: il concorso aveva fatto un passo avanti e s’era allargato alle superiori della città.
Formalmente l’organizzazione faceva capo al “Lioy” ma l’ideatore e l’organizzatore fu Enrico Professione, oggi medico, con suo fratello Mariano e la mamma alla cassa. I ragazzi potevano saltare le lezioni, erano giustificati, ma bisognava pagare il biglietto. Non erano tutti d’accordo: la musica gratuita era vissuta come un diritto. Fra i contestatori del biglietto c’era Gian Antonio Stella, oggi giornalista famoso in Italia.
Il via libera alla manifestazione arriva dal provveditore Giulio Fox in persona che avvisa i presidi. Ma siccome erano tutti minorenni, in quanto la maggiore età si acquisiva a 21 anni, la firma liberatoria in questura la deposita l’insegnante di religione, don Lino Genero, che sosteneva molto i complessi giovanili, come si chiamavano al tempo.
Nel 1973 ospite alla finale è Donatello, cantante assai celebre. Ma nel 1974 arriva il colpaccio, perché alla finale del 1° aprile al teatro “Roma” si esibisce Franco Battiato, che era sì conosciuto ma non come lo diventerà in seguito. Battiato a Vicenza presenta Pollution, dedicato ad Aldous Huxley come il precedente “Fetus”. Si ferisce in scena con un coltello perché aveva disseminato il palco di tubi di plastica e poi li tagliava.
Vincitori del concorso furono nel 1971 i “Bath soap”; nel 1972 i “Monument Valley”; nel 1973 i Fifth Avenue (con Paolo Soave); nel 1974 la “Contrada
Ceresa” e nel 1975 gli “Aequimat forma”, formazione composta fra l’altro da Lorenzo Marchetto, Flavio Botta e Maurizio Sangineto.
La “Contrada Ceresa” prende il nome da una vera contrada che esiste a Valdagno dove c’era la casa in cui si trovava a suonare in gruppo, composto dai fratelli Aldo e Dario Feriani, Renato Giaretta, Fabio Borin, Eliseo Longo, Sabino Matarrese. Prima divisi e poi ritrovatisi, oggi suonano ancora con una nuova formazione (ci sono anche Stefano Ferrio e Tiziano Vescovi) di cui fa parte anche qualche figlio,
come Maria Paola Feriani. Tra le formazioni del tempo, da ricordare “Il giardino di Cristallo”, con Vescovi e Fabio Missaggia, Maurizio Marchetti, Paolo Romio al sax, Paolo Piras, oggi commercialista, Claudio Cibinel alla batteria, Diego Bicego.
Altra formazione di livello era “La nuova unione, con Omero Ragionato alla chitarra e voce, Marco Bateni alla batteria (oggi primario di psichiatria a Villa Magherita) e Paolo Vidali, basso e voce. Vidali è stato a lungo professore di filosofia e vicepreside del “Quadri”.
Il piatto. L’hanno battezzato “Primavera” ed è un’esplosione di profumi e sapori: fonde 14 erbe e la granita di piselli
La Primavera lascia un’impronta, una Peca
Nel menu del celebre ristorante di Lonigo un piatto di elevato intuito e perfetta realizzazione. Come tutti, del resto.
Nicola Portinari è il Woody Allen della cucina per la sua capacità creativa. Il fratello Gigi è un maestro della pasticceria.
Cinzia pilastro della sala
Èun piatto davvero di alto livello. L’hanno chiamato Primavera e magari potrà apparire scontato come nome, ma una volta che l’avrete assaggiato benedirete l’equinozio di marzo, l’Accademia della Crusca che tutela i nomi e la mente dei fratelli Portinari che ha creato questa meraviglia di profumi e di sapori freschi ma anche intensi.
Nel piatto, Nicola Portinari e il suo staff, primo fra tutti il giovane Nicolò sous chef, hanno lavorato attorno a tanoni e bruscadololi, carletti artemisia, pimpinella, acetosella, piantaggine, fiori di aglio, borragine, finta ortica, lamio, fiori di melissa, mentuccia, violette, primule. Il tutto impreziosito da una granita di piselli in cima. Semplicemente imper-
dibile.
La Peca, due stelle Michelin (ma ne merita tre) fa parte di quei ristoranti che sono la bandiera della Nuova Cucina Italiana. Qui potrei raccontare, perché li conosco e ne ho scritto anche in un libro, dei loro inizi come garzoni nella bottega di papa Serafino; della straordinaria capacità creativa di Nicola, che trova in sé il senso delle cose anche se non ha nemmeno frequentato la scuola alberghiera: è un Woody Allen della cucina, capace di meravigliarvi sempre, restando meravigliato lui della vostra reazione.
Potrei raccontare della multiforme capacità del fratello Pierluigi, maitre e pasticcere, dall’ingegno sfaccettato come un dodecaedro, solido parti-
Un’immagine della “Primavera”, Nicola Portinari, il fratello Pierluigi e la moglie Cinzia che guidano La Peca di Lonigo
colare al quale Platone aveva attribuito la proprietà della quintessenza, cioé la ragione delle cose. Potrei raccontare della fantasia di Cinzia Boggian, capace di ricavare da un piatto rotto più che un centrotavola, bensì un simbolo (ironico) di vita. Centritavola in 12 anni di esperienza alla Peca ne ha creati 800.
Frequentare un posto così è come andare a un concerto di Riccardo Muti, alla partita di calcio se gioca Paolo Rossi, a teatro se recita Eleonora Duse. E questa Primavera esplicita la loro filosofia di ben-essere.
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Con un budget pari a 715 milioni di dollari – stimato dal Wall Strett Journal –per la realizzazione della sola prima stagione “Gli Anelli del Potere” è, in termini non ambigui, un progetto che non può fallire anche solo per il fatto che si tratta della serie televisiva più costosa mai realizzata.
L’indiscrezione riportata lo scorso 3 aprile da “The Hollywood Reporter” offre un quadro della serie tv de “Il Signore degli Anelli” ben meno lusinghiero di quello dipinto dall’ufficio stampa di Prime Video, che parlava di 25 milioni di spettatori il solo primo giorno. Citando fonti interne all’azienda, THR ha riportato che la prima stagione de “Gli Anelli del Potere” ha totalizzato soltanto il 37% di “completion rate” negli Stati Uniti. Questo significa, in parole povere, che circa 1/3 degli abbonati americani di Prime Video che hanno iniziato la serie hanno poi effettivamente completato la visione degli otto episodi. A livello internazionale “Rings of Power” se l’è cavata leggermente meglio, con il 45% di “completion rate”. Sempre secondo le fonti interne, la soglia da raggiungere per un buon – ma non ottimo – risultato sarebbe stata quella del 50%.
Le riprese della seconda stagione de “Gli Anelli del Potere” hanno preso il via nei mesi scorsi in Inghilterra, dopo che la produzione ha dovuto dire addio alla Nuova Zelanda quando si è vista revocare i benefit fiscali dal governo locale.
La produzione de Gli Anelli del Potere sembra costantemente in salita. Questo senza tenere conto delle critiche feroci –e ingiuste – che la serie ha attirato da una certa parte tossica del fandom tolkeniano che ha accusato Amazon di avere realizzato una storpiatura de “Il Signore degli Anelli” in salsa politically correct. Nel frattempo c’è Warner Bros. Discovery che scalpita per sfornare nuovi film ispirati a “The Lord of the Rings”, progetto già confermato alla stampa dal “ceo” dell’azienda, David Zavslav. Jennifer Salke ha ribattuto sostenendo che “Gli Anelli del Potere può contare su molto sostegno dei fan per andare avanti” a prescindere da quello che arriverà al cinema.
Trame, protagonisti e volti nuovi, anticipazioni e commenti
Christian, l’eroe dei due mondi. Se dieci anni fa ci avessero detto che Sky - quella di “Romanzo criminale” e Gomorra - avrebbe prodotto una serie con protagonista un picchiatore a cui vengono le stimmate difficilmente ci avremmo creduto. Giunto alla seconda stagione su Sky e Now, “Christian” prodotto con Lucky Red è un fenomeno curioso a partire dalla fluidità con cui sfugge ai generi. È crime (la serie è ambientata in un microcosmo della periferia romana che ricorda le Vele di Scampia) è paranormale (il protagonista è un coatto dai poteri messianici) ed è commedia (nei nuovi episodi c’è un gran bell’omaggio a Nino Manfredi) ma più di tutto “Christian” è una serie italiana che di italiano ha molto e molto poco. Ed è proprio per questo che cattura la nostra attenzione: riesce a restare in equilibrio tra la componente ultraterrena della lotta tra il bene e il male e quella - molto terrena - della comicità. “Sulla testa di Christian grava il peso del potere, all’inizio di questa seconda stagione” spiega il protagonista Edoardo Pesce, che continua: “Fortunatamente c’è Rachele che lo indirizza verso le scelte giuste”. Silvia D’Amico, che a maggio rivedremo su Sky nella seconda stagione di “A casa tutti bene”, torna nei panni di Rachele, ex tossicodipendente redenta dai poteri di Christian. “Rachele, come molte donne, ha una visione di insieme e proprio per questo è in grado di gettare il cuore oltre la staccionata e di sognare un mondo migliore,” afferma Silvia D’Amico.
Il segreto è la filosofia di cui la serie è intrisa. Più che “Il miracolo”, altra produzione cristologica targata Sky, pensate al “Lost” del libero arbitrio e del patto sociale di Hobbes, che nel caso di Christian diventa un’utopia di borgata. La serie è stata venduta in 50 Paesi all’esterno, risultato non indifferente se si pensa che i prodotti seriali nostrani più esportati sono stati “La Piovra” e “Gomorra”. Numeri che lasciano ben sperare nel successo internazionale. Nel cast capitanato da Edoardo Pesce, Claudio Santamaria e Laura Morante, spiccano Silvia D’Amico e Antonio Bannò.
Per “Gli anelli del potere” seconda stagione in salita
Christian eroe dei due mondi Picchiatore con le stimmateRubrica a cura di Paolo Di Lorenzo