ilVicenza - Gennaio 2024

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GENNAIO 2024

Periodico d’informazione locale - Anno IV n. 1

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AMBIENTE, ULTIMA FRONTIERA PER VICENZA: IL VIAGGIO NEL FUTURO PUÒ ESSERE SOLO CORAGGIOSO

Attenti ai Klingon Antonio Di Lorenzo

P

rendendolo a prestito da Star Trek, il titolo è già scritto: ambiente, ultima frontiera, il viaggio di Vicenza può essere solo coraggioso. Il sindaco, com’è emerso, sta puntando decisamente a mettere al primo posto l’ambiente nella sua agenda: chiudere i “buchi neri” in centro (ex macello e San Biagio sono in cima alla lista: a San Biagio, vicino alla sede dell’università del palazzo ex Aci, tra pochi mesi attendiamo l’inaugurazione del parco temporaneo), piste ciclabili dal centro storico fino a viale Diaz (e sono milioni di euro, mica scherzi), attenzione al verde da parco Querini fino a Campo Marzo. Che, non va dimenticato, questa giunta ha deciso di chiudere con una cancellata almeno nel settore di viale dell’Ippodromo. Parlando di ambiente, c’è anche la prospettiva di un porto, o più modestamente un nuovo approdo fluviale, al parco Retrone dei Ferrovieri. Va messo in conto anche quello: siamo o non siamo la città dell’acqua? In fatto di ambiente, sindaco e assessore Zilio stanno giocando poi la partita del parco della Pace: tra qualche mese si deciderà quale sarà scelta fra le 13 proposte sarà scelta per la redazione del business plan che sarà la base per definire la gestione dell’immenso parco di 63 ettari. Che il giovane sindaco riesca

Il sindaco traccia l’orizzonte della sua azione. Interviene l’architetto Giuseppe Cosaro, esperto di centri storici Servizi alle pagg. 5, 9, 10 e 17

Io e la città

FRATELLI D’ITALIA, ECCO Servizio a pag. 27 IL NUOVO PARTITO CHE ESCE DAI CONGRESSI E PUNTA AD OTTENERE LA LEADERSHIP IN VENETO CANER: “TURISMO MOLTO BENE, INCOGNITA UE PER IL PRIMARIO, LA LEGA TORNI TRA LA GENTE” Servizio a pag. 28

DE POLI: “LA NOSTRA AGORA’ POLITICA SIA AL SERVIZIO DEL TERRITORIO CHE AMIAMO” Politica

Servizio a pag. 29

segue a pag 5

Pedemontana, opera che ridisegna il Veneto

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Luca Zaia Governatore Regione Veneto

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A

bbiamo aperto, il 28 dicembre, la Pedemontana Veneta. O meglio la Superstrada Pedemontana Veneta (SPV). Un esempio di efficienza, di sostenibilità e rispetto ambientale. E’ nata negli anni ‘90, progettata e avviata nel 2000; ma era rimasta una delle grandi incompiute in Veneto. Abbiamo ripreso in mano il progetto, una sorta di “cadavere eccellente” che abbiamo ricevuto in eredità. segue a pag 5

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Facciamo il punto

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Pedemontana, opera che ridisegna il Veneto Luca Zaia Governatore Regione Veneto

Fra investimenti e tecniche di realizzazione abbiamo trovato una complessa quadratura del cerchio. I lavori sono partiti nel 2017, e nonostante due anni di Covid, si sono conclusi dopo soli sei anni. Con la realizzazione di 168 chilometri complessivi di viabilità di strada: 94,5 km di infrastruttura autostradale - il 70% della quale interrata - più 68 km di opere complementari, 16 tra viadotti e ponti, due gallerie naturali e 16 artificiali, per un costo complessivo di 2,258 miliardi di euro. Con l’apertura della Pedemontana - aspettando l’ultimo tassello, il casello sull’A4 - il Veneto si dota di un’infrastruttura che guarda al futuro, che consente di diminuire le emissioni in atmosfera perché si riducono i tempi di percorrenza e di conseguenza le quantità di carburante. Ma soprattuto consente una connessione con un’ampia parte del Veneto fino ad oggi rimasta isolata: ne beneficeranno i cittadini, le comunità locali e i nostri imprenditori.

Persona dell’anno

Attendi ai Klingon

Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<

Una curiosa immagine del sindaco Possamai con il panorama di Vicenza alle spalle

È

sicuramente lui, il sindaco Giacomo Possamai, la persona dell’anno a Vicenza. Per due motivi. Ha cambiato generazione nella politica, portando a livelli di responsabilità molti giovani, poco più che trentenni. Sarebbe stato abbastanza normale qualche decennio fa, adesso è diventato straordinario quando la categoria dei “giovani” arriva a 34 anni. È un aspetto decisivo, perché l’anagrafe è uno scoglio importante. Ed è un aspetto ancora più importante per il Pd che si trova all’opposizione di un governo che ha un forte radicamento elettorale. Il secondo motivo, peraltro legato al primo, riguarda la distanza con il centrosinistra che ha governato a Vicenza fino al 2018. Tra il Variati sindaco e Possamai sindaco, come abbiamo scritto all’indomani della vittoria, si è passati dai settantenni ai trentenni: li separano quasi due generazioni politiche. Non è un dettaglio. È una questione di atteggiamenti e cultura: è vero che la leadership fa aggio su (quasi) tutto, ma l’anagrafe, come il tempo, non torna indietro. Come abbiamo scritto, la vittoria seppur risicata nel risultato finale, ha coinvolto uno spostamento di voti assai maggiore a Vicenza, almeno di dieci volte. Da cinquecento voti di margine a cinquemila. Vuol dire che la città ha visto l’occasione di un cambiamento. Tocca a lui organizzarsi e rispondere. Senza dimenticare che il sindaco, oltre alla giunta, ha anche una seconda squadra su cui contare, vale a dire i quattordici consiglieri delegati a studiare i problemi della città e a proporre soluzioni. È vero che non possono gestire, ma sono davvero tanti.

è una testata giornalistica di proprietà di Srl

Il sindaco Possamai ha cambiato generazione nella politica a Vicenza

È un periodico formato da 23 edizioni locali mensilmente recapitato a 506.187 famiglie del Veneto. Questa edizione raggiunge la città di Vicenza per un numero complessivo di 43.000 copie. Iscrizione testata al Tribunale di Vicenza n. 4194/2020 V.G. del 23.11.2020; R.S. 17/2020; numero iscrizione ROC 32199 Chiuso in redazione il 29 dicembre 2023

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a raggiungere tutti gli obiettivi è una sfida per lui e una speranza per i cittadini, perché l’ambiente è la grande scommessa che stiamo giocando tutti, anche chi non se ne rende conto. Le domeniche ecologiche servono proprio a far prendere coscienza di questa emergenza, piuttosto che fermare le auto per poche ore. È vero che in alcuni casi si tratta della conclusione di cantieri ereditati da altre amministrazioni, aperti da anni, ma c’è sempre un tempo per tutti. Va detto che su un tema come questo (ma non solo) non è poca la carne messa al fuoco. Il che contribuisce a tracciare un bilancio dell’azione di questi sei mesi. Indubbiamente capace, ma anche scaltro, con molti buoni contatti anche nazionali su cui puntare (a proposito, come mai non si sente molto il deputato di Vicenza, Enrico Letta?) al sindaco Possamai va riconosciuto gran dinamismo, visione e una capacità operativa che talvolta fa venire il fiatone a qualche assessore. Avrà bisogno di tutte le sue qualità, perché, per tornare a Star Trek, in tutti i viaggi stellari spuntano sempre fuori i Klingon.

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Politica e amministrazione

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La mostra in Basilica. Il geniale Sassolino è la grande attrazione della rassegna con Van Dyck e Caravaggio

Due tele celestiali cornice dell’Arcangelo Oltre 8mila ingressi nei primi dieci giorni: sarà un successo. Indovinato l’abbinamento fra i grandi classici e l’opera contemporanea. Diciassette iniziative collaterali

V

icenza scopre Arcangelo Sassolino, l’artista vicentino famoso a livello internazionale, più volte alla Biennale di Venezia, che per la prima volta espone in casa. Esattamente in Basilica nella mostra “Caravaggio, Van Dyck, Sassolino, tre capolavori a Vicenza” aperta sino al 4 febbraio prossimo. L’esposizione è stata inaugurata alla presenza del sindaco Possamai, del prefetto Caccamo, con gli interventi anche dell’assessore Ilaria Fantin, del direttore del Cisa Guido Beltramini e di Elena Milan a nome di Intesa Sanpaolo che è stata co-organizzatrice della rassegna. La mostra è curata da Beltramini e da Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria di Villa Borghese a Roma (che ha prestato un prezioso Caravaggio) e da ottobre della pinacoteca di Brera a Milano. Il filo rosso della mostra è il tempo. “No memory without loss”, s’intitola il lavoro di Sassolino, “Non c’è memoria senza perdita”. Sassolino, 57 anni, nato a Trissino ma residente in viale Roma a Vicenza, presenta il suo significato del tempo in una grande opera color rosso vivo, in cui un olio industriale aderisce alla superficie di un disco rotante. Il moto circolare del disco rallenta la caduta inevitabile della materia liquida, che, come metafora, segna la necessità della perdita come fonte di esistenza. Da qui, l’idea del tempo che viviamo, che cerchiamo di mantenere

ma che comunque si perde. “Sono vicentino della provincia – ha spiegato l’artista – e lavoro spesso con aziende del territorio. È una grande occasione per me esporre a fianco a maestri come Caravaggio e Van Dyck. Vicenza è una città classica, certo, ma ha un enorme potenziale artistico contemporaneo.” Chi visita la mostra (oltre ottomila persone nei primi dieci giorni) ha la sensazione che i quadri di van Dyck e Caravaggio siano in dialogo, quasi in omaggio, all’opera del vicentino, che apre la mostra mentre in lontananza si vedono gli altri due quadri. Insomma, un (arc)Angelo e i suoi putti, come è stato notato da qualche critico. Un Arcangelo e due tele celestiali, comunque. Il collegamento tra Sassolino e Caravaggio si deve a Beltramini, che è stato illuminato da un quadro di Michelangelo Merisi, la Decollazione di san Giovanni Battista, nel quale la firma di Caravaggio, Merisi appunto, è scritta da un dito intinto nel sangue. Il colore rosso ha fatto scattare il relais con Sassolino. Le altre due opere esposte in Basilica, una di Caravaggio e una di Van Dyck, sono la prova che, a distanza di più di 400 anni, la tematica del tempo sia una forma di riflessione attuale per tutti. Caravaggio è celebrato con il celebre “San Girolamo”. Il santo è intento a tradurre la bibbia dal greco al latino. È proprio nella tensio-

Arcangelo Sassolino, la sua opera esposta e il Caravaggio giunto a Vicenza dalla Galleria Borghese

ne del braccio il significato del tempo per l’artista, che raffigura un teschio opposto alla testa del santo come se volesse congelare il faccia a faccia tra la vita e la morte in pochi ultimi istanti divisi da una rapida distensione dell’arto. Per Van Dyck, esposto a fianco a Caravaggio con le sue “Quattro età dell’uomo” conservato normalmente a palazzo Chiericati, la rifles-

sione sul tempo è custodita nell’alternarsi delle stagioni della vita. Ciascuna viene raffigurata con sembianze umane: la primavera nel bambino, l’estate nella giovane donna, l’autunno nell’uomo in corazza e infine l’inverno, dipinto nel volto dell’anziano. Il sindaco ha insistito sul fatto che la mostra è gratuita per i residenti a Vicenza e in provincia: “Vicenza - ha spie-

gato - vuole in questo modo svolgere il suo ruolo di capoluogo”. Molte le aziende private sponsor dell’evento, da Confindustria a Gemmo, da Cerealdocks alle Afv Beltrame, da Ld72 alla Melegatti. Decisivo il supporto di Marsilio arte. Per questa rassegna sono state organizzate 17 iniziative collaterali: concerti, conferenze, seminari, dibattiti. Francesca Piovesan

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Politica e amministrazione

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Il centrodestra. Duro commento sugli amministratori: “Possamai è un addormentatore. Il poco che fa, lo copia da noi”

“Giunta senza idee, immobile. Neanche sogna” Dopo il voto sul bilancio, pesante commento sull’assessora Sala: “Inconsistente, inadeguata e senza visione, con il consigliere ombra Marchetti a guidarla”. Rucco attacca anche l’idea di una possibile “Fondazione teatro Olimpico”

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Stefano Edel

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Francesco Rucco, Stefano Notarangelo e Valerio Sorrentino esponenti di punta del centrodestra vicentino

È

un affondo deciso, ma – per usare un’immagine che spiega bene il punto di vista del centrodestra – pur colpito con forza, il corpo non sanguina. Perché la maggioranza è senz’anima. E i conti votati in consiglio comunale per il bilancio di previsione 2024 raccontano bene, a parer loro, la parabola della giunta Possamai: “Siamo di fronte a un bilancio ragionieristico, senza idee. Non c’è il sogno. L’assessore Sala è inconsistente, inadeguata, senza visione, guidata dal consigliere ombra Marchetti”. Qui, a beneficio di chi non conosce i retroscena anche parentali, va spiegato che Alessandro Marchetti, consigliere comunale del Pd alla seconda legislatura, 56 anni, di professione commercialista, è il cognato di Isabella Sala, assessora al Bilancio, avendo sposato la sorella Francesca. Di qui la stilettata che giunge dalla lista Rucco schierata a commentare il bilancio di previsione 2024, naturalmente approvato con i voti della maggioranza di centrosinistra e altrettanto naturalmente bocciato dall’opposizione di centrodestra. Sono Rucco, Sorrentino, Dalla Negra e Notarangelo a sottolineare le maggiori mancanze: “Il bilancio non garantisce neanche gli

obiettivi di mandato, un po’ per inerzia e un po’ per incompetenza. Poi la giunta cerca di nascondere l’immobilismo con i premi per i vertici apicali dei dipendenti”. Quest’altro affondo è tutto dedicato allo scontro sul contratto che oppone la giunta ai dipendenti comunali, con polemiche roventi. Possamai non fa, insomma, e quando tocca qualcosa smonta quanto di buono è stato realizzato in passato. Da loro, ovviamente. Sottolinea Francesco Rucco: “Il sindaco ha smontato il lavoro su piazzale De Gasperi come anche il progetto dei ponti di Debba, un’opera strategica da 11 milioni. Anche a volere insistere a rimetter in sesto l’attuale ponte, non si risolve il problema di fondo, cioè il fatto che il ponte verrebbe comunque sommerso da una piena del fiume”. Sul resto, sintetizzano gli esponenti del centrodestra, siamo alla giunta del “copia e incolla”, dalle sepolture islamiche alla “liberazione” di piazza Matteotti: “Quest’ultima è un’idea che nasce da un percorso che noi abbiamo intrapreso con il progetto per l’ex macello: le auto, sfrattate da piazza Matteotti, da qualche parte bisogna pure metterle”. “Anche le serre di parco Querini erano state

già aperte in passato dal Fai e il cantiere l’abbiamo concluso noi – proseguono gli esponenti del centrodestra – Piuttosto, lo sbandierato progetto per il parco a San Biagio che fine ha fatto?”. Insiste Sorrentino: “Possamai è un grande addormentatore. Il bilancio è triste come questo Natale. La discussione è stata sommessa, i toni flebili. Speriamo in futuro di avere qualcosa su cui litigare”, conclude con una battuta ironica. Argomenti forti per il mulino del centrodestra giungono dall’acqua degli argomenti culturali: “Altro che rigenerazione urbana del quartiere di Santa Corona. La nuova Bertoliana non sappiamo né come, né quando, né dove sarà realizzata. Finirà che l’ex tribunale sarà trasformato in appartamenti di lusso”. L’ultima stoccata giunge sul tema della Fondazione per il teatro Olimpico: “Siamo tutti felici – sottolinea Rucco – che stia diventando monumento nazionale, ma creare una fondazione per l’Olimpico che porti via risorse ed energie dalla fondazione per il teatro comunale è davvero un non senso. Possamai minimizza il mio attacco spiegando che è un’idea nazionale, la realtà è che l’abbiamo beccato in castagna”.


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Politica e amministrazione

Arrivano due ciclabili. La prima da ponte Novo fino alla “spiaggetta”, la seconda da piazza Matteotti in viale Margherita

Finalmente in bici lungo il Bacchiglione Le due piste ciclabili saranno realizzate entro l’anno. Una novità importante riguarda il percorso che da piazza Matteotti giungerà sino in viale Margherita: è prevista, infatti, anche la costruzione di un nuovo ponte sul fiume. Questa pista ciclabile costerà complessivamente 875mila euro. La pista ciclabile da ponte Novo alla “spiaggetta” è resa possibile dal fatto che il Genio Civile ha provveduto alla sistemazione dell’argine del fiume

Sintonizzati sul futuro. La ciclabile lungo il Bacchiglione e lungo il parcheggio Fogazzaro e una foto dell’assessore Cristiano Spiller

D

ue piste ciclabili a breve scadenza saranno realizzate in centro lungo il Bacchiglione. La prima porterà da ponte Novo per arrivare al parcheggio Fogazzaro dietro le Aim e da qui, costeggiando le ex carceri di San Biagio, sino alla “spiaggetta”. La seconda da piazza Matteotti arriverà sino in viale Margherita: sarà realizzata sul lato opposto rispetto a viale Giuriolo e prevede anche la costruzione di un nuovo ponte sul fiume. Per la prima, una parte dei lavori sono già iniziati, mentre la seconda si prevede di concluderla nel corso del 2024. Quest’ultima pista ciclabile costerà nel complesso 875 mila euro: i fondi, come ha spiegato l’assessore Cristiano Spiller, per 675 mila sono già finanziati con fondi del Bando Periferie mentre 200 mila euro sono stati recuperati tra le risorse per le piste ciclabili del bilancio 2023 per far fronte all’aumento dei costi. «Portiamo a termine un

progetto che abbiamo ereditato – ha commentato Spiller – dopo aver risolto due criticità: le prescrizioni date dalla Soprintendenza per la nuova passerella che sarà accessibile da piazza Matteotti e la rampa di collegamento con il ponte di viale Margherita. È un intervento interessante perché permette di arrivare fin nel cuore del storico attraverso il percorso naturalistico offerto dall’argine del fiume e costituisce al contempo una valida alternativa all’attuale ciclabile di viale Giuriolo destinata a lasciare spazio alla futura linea Brt». Il nuovo percorso ciclabile avrà uno sviluppo di 380 metri. partirà da piazza Matteotti, tra l’ostello Olimpico e il locale ex stazione delle corriere, e grazie al nuovo ponte ciclopedonale di circa 30 metri in acciaio corten si collegherà all’argine opposto, sviluppandosi sulla riva sinistra del fiume fino a raggiungere il ponte di viale Margherita attraverso un’articolata rampa che

permetterà di superare l’attuale discreto dislivello. L’intervento si collegherà inoltre a un ulteriore tratto di ciclabile che, finanziato con fondi Pnrr, dal ponte di viale Margherita permetterà di raggiungere l’università e lo stadio. A proposito della pista ciclabile che parte da ponte Novo, l’assessore Spiller fa notare che il Genio Civile ha avviato l’estate scorsa i lavori di sistemazione idraulica della sponda del fiume lungo il parcheggio Fogazzaro. “Abbiamo quindi deciso di riprendere in mano un progetto del 2015, che prevedeva la concomitante realizzazione di un percorso ciclopedonale lungo la sponda del fiume, in modo tale da ottimizzare risorse e tempi. Il progetto avanzerà in due fasi”. Verranno quindi ridisegnati gli stalli di parcheggio in affiancamento alla ciclabile. Il parcheggio Fogazzaro manterrà una capienza di 390 posti rispetto ai 405 attuali.

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Politica e amministrazione

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Le ex serre del parco. Conclusi i restauri, adesso si cerca un gestore per far vivere lo spazio come caffetteria

“Venga a prendere un caffè al Querini…” Dai primi convegni degli “Amici dei parchi” oltre 20 anni fa, al cantiere per far rivivere un luogo storico. Una spesa di 1 milione e 850 mila euro. Tre amministrazioni coinvolte

C

’era un bel film del 1970, protagonista Ugo Tognazzi e regista Alberto Lattuada, che s’intitolava “Venga a prendere un caffè da noi”, con il soggetto tratto dal libro “La spartizione” di Piero Chiara. Il film diventò molto famoso al tempo e fu oggetto anche di una gustosa parodia di Pino Caruso a “Canzonissima” del 1971. In realtà, il comico ironizzava sugli omicidi bianchi nel carcere dell’Ucciardone a Palermo e in particolare si riferiva a quello di Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano. Era lo stesso anno, il luglio del 1971 appunto, quando a Vicenza si aprì al pubblico parco Querini, obiettivo raggiunto dal sindaco Sala dopo un lungo penare di trattative con i proprietari. In precedenza il parco era privato, appunto. A cinquantadue anni di distanza, l’attuale sindaco Possamai ha voluto il 95enne Giorgio Sala presente alla cerimonia con la quale è stato simbolicamente aperto il nuovo allestimento delle ex serre di parco Querini. Il cantiere, per la verità, e questo l’hanno ammesso gli stessi amministratori di oggi, era concluso da tempo, tant’è che il Fai nella sua “Giornata di primavera” del 2022 con la presidente Giovanna Rossi di Schio, aveva organizzato una pre-apertura che aveva richiamato molto pubblico. C’erano altri lavori, specie quelli della torretta, l’ingresso da viale Rodolfi e lo spiazzo fino alla peschiera, che dovevano essere completati. Adesso si è raggiunto questo obiettivo e sono stati aperti stabilmente l’ingresso al parco da via Rodolfi e il percorso intorno alla peschiera, chiuso ormai da alcuni anni. Erano presenti anche i progettisti Francesco Magnani, Bruno Sbalchiero e Pelzel Traudy di Map studio. La metafora del caffè,

Un’immagine della “peschiera” vicino al tempietto del parco, l’interno delle ex serre recuperato a verde e la torretta restaurata

senza riferimenti giudiziari naturalmente, si può ripetere oggi, perché – come ha ricordato anche il sin-

daco – l’amministrazione sta valutando “come utilizzare queste splendide serre nelle quali stiamo

ipotizzando di aprire una caffetteria su modello della serra dei Giardini di Castello a Venezia”.

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Un impegno di vent’anni e la struttura “total black” Va detto subito che le nuove serre a parco Querini rappresentano un risultato pregevole. La struttura immaginata dall’architetto Francesco Magnani è sobria ed elegante, un parallelepipedo total black dallo stile asciutto e dalla superficie riflettente. Il cantiere ha richiesto un investimento complessivo di 1 milione e 850 mila euro. Come ricorda Luisa Paterno Manfredini è i oltre vent’anni fa il primo convegno degi “Amici dei parchi” che sollevava il problema del restauro delle ex serre del Querini. In duecento anni (le serre sono del 1820) ne sono successe di tutti i colori, dai bombardamenti dell’ultima guerra sino alle battaglie del 1848 che si svolsero a cannonate nella zona, tant’è che la vicina porta

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Santa Lucia ne porta ancora i segni. Così il secondo castelletto è scomparso. Adesso, al suo posto c’è appunto uno spazio che si presta a essere sfruttato come bistrot e sarebbe ideale anche come luogo per incontri teatrali estivi e piccoli concerti all’aperto. Ecco perché si cerca un gestore per far vivere quel luogo e dargli un’anima. Anche l’interno ha ripreso, almeno per il momento, la sua funzione di serra, con molte piante verdi. Nella sala principale è tornata ben visibile la vecchia caldaia: serviva a riscaldare l’acqua che scorreva nelle canalette e così riempiva di vapore la stanza, nella quale crescevano piante di limoni e di arance. L’altra grande stanza, frutto del restauro, è al momento vuota: c’è chi ipotizza potrebbe essere anche una sala conferenze. L’intervento è stato completato dalla costruzione di otto bagni. Che servono sempre…


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Politica e amministrazione

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Le caricature. Il maestro Scotolati prosegue a immaginare la “Marcia su Mosca” con i personaggi della politica

Pupillo, Balbi, Porelli, Dal Pra, Consolaro Fra assessori e rappresentanti dell’opposizione, ecco i protagonisti della vita pubblica cittadina secondo Gabriele Padoan

P

roseguiamo con la carrellata di personaggi pubblici disegnati da Gabriele “Scotolati” Padoan, che ha immaginato assessori e rappresentanti dell’opposizione impegnati nella “Marcia su Mosca”. Questo mese l’umorista vicentino ha

preso di mira il capo di Gabinetto Sandro Pupillo, l’assessora all’urbanistica Cristina Balbi, i consiglieri d’opposizione Valerio Sorrentino e Valeria Porelli e quelli di maggioranza Stefano Dal Pra Caputo e Luisa Consolaro.

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Il cantiere. Conclusa VicenzaOro partiranno i lavori di demolizione e ammodernamento da 60 milioni di euro

Addio al chiocciolone in Fiera dopo 50 anni È stato il simbolo della Fiera dal 1971 quando fu realizzato e le rassegne spostate in zona industriale dal Giardino Salvi. Il progettista Davanzo, lo stesso del palasport di via Goldoni, si era ispirato a una piramide azteca. Due anni di cantiere previsti

A

ddio al “chiocciolone”, il cuore della fiera di Vicenza dal 1971, quando fu trasferita nella zona industriale dai Giardini Salvi dove era nata nel 1946. Quella struttura ha identificato da sempre la Fiera per i vicentini, anche se da oltre trent’anni, con i successivi ampliamenti è stata via via oscurata nelle sue linee. Comunque all’interno la struttura a chiocciola è ancora visibile. La nuova Fiera, così com’era vista oltre cinquant’anni fa, era un motivo d’orgoglio per l’industria vicentina. Il settore orafo proprio negli anni Settanta viveva quel “boom” assieme a molti altri settori, specie quello della meccanica, che avrebbe proiettato tutta l’economia vicentina verso traguardi internazionali. In quel decennio le aziende iscritte alla Camera di commercio aumentarono del 50 per cento. C’è un’immagine significativa che ritrae Mariano Rumor, al tempo presidente del Consiglio, Giorgio Oliva e Renato Treu, al tempo parlamentari, che nel 1968 osservano ammirati il plastico della nuova Fiera. L’intento del progettista era chiaro, e lo esprime un titolo del Giornale di Vicenza: la nuova struttura voleva assomigliare a una “piramide atzeca” a quattro piani. Un po’ azzardato ma concetto sicuramente d’effetto per quegli anni che erano carichi dello spirito della contestazione giovanile, per cui si cercava anche un sogno oltre che un progetto funzionale. Giuseppe Davanzo, architetto trevigiano (1921 – 2007) a Vicenza progettò anche il palazzetto dello sport che, pur restaurato e rattoppato, è ancora quello. A Padova, invece, Davanzo progettò il foro Boario che ha la stessa struttura a piramide dalla fiera di Vicenza ed è stato abbandonato. Il progetto di demolizione della “chiocciola” in Fiera è stato presentato nel 2020

e prenderà il via a febbraio 2024 – dopo la conclusione di VicenzaOro a gennaio – con l’apertura del cantiere. In sostituzione agli storici padiglioni 2 e 5, verrà costruito in due anni un unico grande padiglione ammodernato su due livelli, per un totale di 22 000 metri quadrati. Si prevede quindi il taglio del nastro entro il 2026. Il progetto, a cura dello studio Gmp di Amburg, specializzato nel settore, costerà a Ieg più di sessanta milioni di euro, autofinanziati interamente dal gruppo che dal 2017 ha acquisito la Fiera di Vicenza inglobandola in quella di Rimini. Lo studio Gmp ha progettato e ristrutturato stadi di calcio, la sede europea dell’ente brevetti a Monaco, aeroporti e fiere, come quella, appunto, di Rimini nel 2001. I lavori di ristrutturazione daranno voce a tre grandi obbiettivi che Marco Carniello, timoniere per Ieg delle rassegne orafe st perseguendo da tempo: avere maggiore funzionalità modernizzando la parte più datata della fiera, ricavare più spazio e, infine, migliorando gli spostamenti all’interno del complesso fieristico. Oltre al cuore della struttura della Fiera, saranno ampliati i parcheggi, anche se le modalità sono ancora da concordare con il Comune. Com’è noto, anche l’alta velocità avrà una stazione in Fiera, dove i treni fermeranno – una volta completato il tracciato e quindi si parla comodamente di otto anni di cantiere – durante le rassegne, almeno quelle più importanti come quelle orafe. È da sottolineare che durante il cantiere per ammodernare il “chiocciolone” le manifestazioni non si fermeranno. Oltre trecento aziende espositrici verranno spostate e distribuite, in via temporanea, in altri tre padiglioni, rispettando il numero di espositori già concordato. Fr. Pio.

Un’immagine della fiera negli anni Settanta, il titolo eloquente del “Giornale di Vicenza” e i parlamentari del tempo, Rumor, Oliva e Treu, davanti al plastico del progetto. L’attuale direttore delle rassegne orafe, Marco Carniello


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Economia

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L’analisi. Continuiamo a dibattere sul Piano, ma trascuriamo i veri buchi della spesa pubblica che ci strangolano

Le inefficienze ci costano più che il Pnrr La spesa pubblica quest’anno aumenterà ancora, toccando i 1.080 miliardi di euro, cioè oltre 5 volte il Pnrr. Ridurre sprechi e sperperi dovrebbe essere un dovere per tutti, invece c’è silenzio su tutta la linea

T

agliare in misura strutturale il peso fiscale è uno degli obiettivi considerati indispensabili ai fini di rilanciare la crescita economica e i consumi interni. Di solito la riduzione o l’eliminazione delle tasse (si pensi alle odiose accise, al cuneo fiscale o ai mille balzelli che rendono la vita di privati e imprese grama) risulta impossibile perché, così si afferma, non ci sono le risorse necessarie. Il Pnrr, il piano di investimenti da 194 miliardi di euro che dovrebbe portare a un salto di qualità, soprattutto strutturale, del nostro Paese, ha visto un confronto acceso e argomentato tra gli attori politici (con un incisivo apporto della pubblica opinione) vòlto a determinare priorità, efficacia e ricadute di un’opportunità finanziaria europea

che appare davvero importante (con un valore attestato su una cifra pari a sei volte le manovre medie del bilancio nazionale). Come pure, per il Pnrr, si sono messe in campo strutture di analisi delle modalità di spesa e di monitoraggio della progressione del perseguimento degli obiettivi. Tutto questo, giova ripeterlo, per 194 miliardi di euro. Ora, la spesa pubblica italiana tra il 2022 e il 2023 si è attestata in termini assoluti poco sopra i mille miliardi di euro l’anno (cifra pari a 5,6 volte il Pnrr). Nel 2022 è stata pari a 1.091,53 miliardi di euro; nel 2023 a 1.087,43 miliardi di euro; per il 2024 la previsione di spesa resta intorno ai 1.080 miliardi di euro. Tra le voci più onerose c’è quella pensionistica (317,5

miliardi), segue quella relativa al personale (188,7 miliardi), i consumi intermedi (170,8 miliardi), la sanità 134,7 miliardi), l’assistenza/misure a sostegno del reddito 106,5 miliardi). Nel 2023, poi, il servizio del debito costerà 78,4 miliardi di euro. Di fronte a un monte di spese così importante ci si aspetterebbe un dibattito approfondito, un’attenzione focalizzata non solo sulla quantità delle spese, ma soprattutto su come ridurre sprechi e sperperi. Soprattutto nelle spese correnti, cioè

pensioni, stipendi, sanità eccetera (che pesano sul totale per l’87% e per il 90% al netto di interessi) si annidano imponenti inefficienze. Scovarle, eliminarle e razionalizzare la spesa con liberazione di risorse da investire altrove, per esempio nella diminuzione delle tasse, dovrebbe essere una missione prioritaria. Tutte le politiche di revisione della spesa (spending review) proposte negli ultimi venti anni sono state, invece, dei flop. E questo anche perché, con irritante artificio dialettico privo di senso logico,

ogni valutazione più oculata sulla spesa viene fatta passare per taglio indiscriminato. Una sorta di riflesso di Pavlov, del quale nessuno nell’agone politico, ahimè, può dirsi esente. Dunque si continuerà a spendere senza adeguata attenzione una cifra annuale cinque volte superiore alle risorse del Pnrr per il quale, invece, ci scazzottiamo ogni giorno. Popolo di poeti, di santi, di navigatori… forse. Di certo non un popolo raziocinante. Giuseppe de Concini

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L’intervista

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Il personaggio. L’architetto Giuseppe Cosaro riflette sulla città. “L’Alto Vicentino più sensibile del capoluogo”

“Vicenza ha bisogno di mecenati come Roi” • “Nell’Alto Vicentino sono più rapidi a cogliere le occasioni • Esistono molti progetti culturali che meritano risposte • L’ente pubblico non riesce a fare tutto e ha poche risorse • Vicenza chiede maggiore attenzione al contemporaneo • Tra le incompiute di Vicenza ricordiamo anche San Rocco”

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ettantacinque anni, architetto che si avvia a festeggiare i cinquant’anni di professione, Giuseppe Cosaro è anche scenografo, costumista e appassionato di musica, che vive in prima linea con “Le settimane musicali”. Ha una figlia, Marta, concertista e un figlio, Daniele, cuoco. Oltre alla laurea, è diplomato all’Accademia di Belle arti. È specializzato negli interventi in centro storico. Appartiene a quella generazione che ha conosciuto da vicino, all’università e nel lavoro, i grandi maestri come Carlo Scarpa, che ha visto i cambiamenti radicali di una Vicenza dalla stagione dell’espansione a quella della riflessione. E che adesso si trova con molti fronti aperti e problemi irrisolti. Le città hanno un’anima? Certo. È il filo che lega te stesso alla tua città. Venezia, nel mio caso, l’ho conosciuta da studente, mentre l’anima di Vicenza città in cui vivo da sempre ha un sapore strano… Perché? Perché ha un suo scenario che resta unico, dentro e fuori dal teatro Olimpico. Prenda Brescia: la trovo viva, ma Vicenza ha un’immagine più omogenea. Potrebbe essere straordinaria come città della cultura. Ci avevamo anche provato… Ho visto lo spot di Pesaro, che però non ne ha colto l’anima. Quello di Chioggia invece sì. Scriveva Italo Calvino: “Anche le città credono di essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altra bastano a tenere su le loro mura. D’una città non cogli le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Che domanda ci rivolge oggi Vicenza? Ci chiede qualcosa di più contemporaneo. Il passato ha dato questa immagine che si perpetua, ma bisogna essere al

passo con i tempi. Cosa serve oggi a Vicenza? Ha bisogno di un dinamismo maggiore per sostenere i vari settori culturali. Esistono molti progetti culturali, ma l’ente pubblico è debole, ha pochi soldi. Bisogna stimolare mecenati locali, perché ce ne sono e possono intervenire. Sull’esempio di Boso Roi, si possono far crescere le progettualità. Ma perché ce ne sono così pochi? I vicentini sono tirchi? No, non sono tirchi. Lenti, sì. Scoprono in ritardo, arrivano dopo. In altre zone della nostra stessa provincia c’è più vivacità e immediatezza. Penso all’Alto Vicentino. Qual è il maggior problema aperto per la città? I grandi vuoti, cioè i grandi complessi semi-abbandonati. Si cita sempre San Biagio, ed è certamente un problema, ma penso a San Rocco, area ceduta ma ancora vuota, ferma. Rischia di fare la stesa fine l’ex macello. E poi l‘ex caserma della Finanza… Se lasciamo incompiuti questi luoghi, le conseguenze per la città saranno pesanti. Che consiglio darebbe al sindaco? L’amministrazione dovrebbe puntare su pochi progetti e importanti. Deve stabilire i tempi e controllare lo stato d‘avanzamento. C’è una priorità su tutte? Aumentare notevolmente la manutenzione della città, perché il cittadino la riconosca come sua. Pensi a Bolzano, Trento, all’orgoglio di abitare in quelle città. Trentino e Alto Adige hanno altre finanze rispetto a noi. Vuol dire che Vicenza non fa manutenzione? No, qualcosa in più si sta fa-

• “Si deve migliorare la manutenzione della città • La nuova biblioteca deve restare in centro • All’ex cinema Corso vedrei una “Casa del food” • Sogno una città che fra vent’anni abbia vinto la sfida di non consumare suolo… • …e che abbia fatto crescere la propria anima” L’architetto Giuseppe Cosaro, Giuseppe “Boso” Roi. Due opere di Cosaro: a Vicenza (ristrutturazione del complesso ospedaliero a San Felice) e Villa Pozzani a Malo

cendo, ma non basta. C’è un progetto che vorrebbe regalare a Vicenza? Certo, riguarda la loggetta del Longhena, all’ex Fiera. È un angolo di gran pregio che merita di essere valorizzato. Che fare all’ex macello? C’è un vincolo sui volumi e la facciata che temo blocchi l’idea dello studentato. Mi pare che le possibilità siano poche: una parte parcheggi, una parte sale polivalenti, magari anche un luogo per l’arte moderna. Davvero ci può stare la Bertoliana all’ex tribunale a Santa Corona? Si può discutere se demolire tutto e ricostruire sia più conveniente. Il punto è un altro: bisogna mantenere questi servizi dentro il centro storico, altrimenti muore. Anche San Biagio potrebbe avere una destinazione culturale. L’altro buco nero in città riguarda l’ex cinema Corso: che fare? Vuitton ha preso un luogo così a Roma e l’ha trasformato. Ma a Roma o a Venezia va bene, a Vicenza no. Neanche una destinazione a uffici risponde alle esigenze della città. Potrebbe diventare una galleria d’arte contemporanea, oppure la casa

del food. Ci vuole un gruppo di imprenditori che si impegni. Il pubblico da solo fa fatica. Un segno architettonico che manca a Vicenza? Poteva essere il tribunale, speriamo lo sia la biblioteca. Chi reputa il suo maestro? Carlo Scarpa mi ha molto stimolato. Aveva un carattere difficile. Particolare, sì. E un collega che ammira? Mario Botta, sicuramente. Il più bel progetto realizzato? La ristrutturazione di una villa liberty a Malo che è diventata la sede del ristorante di mio figlio, “Villa Pozzani”. È difficile progettare scenografie per l’Olimpico? Inizialmente si resta intimoriti, ma se si prende la misura giusta lavorare su quel proscenio dà una grande soddisfazione. Ho provato a cogliere la scena olimpica con un’ottica diversa, per esempio nel “Don Giovanni” di Mozart. Il più bel concerto cui hai assistito? È accaduto di recente con il flautista Tommaso Benciolini. Il talento vicentino che è sottovalutato in casa? Gabriele Stratta, infatti vive e

la vora a Londra. Il più bel personaggio della musica che hai incontrato? Sonig Thacherian: ha un grande talento e un’altrettanto grande capacità comunicativa. Qual è la maggiore occasione persa dalla città? Il centro per il restauro lapideo che avevo immaginato con Renato Cevese e Giuseppe Gaianigo dell’Associazione artigiani. L’hanno realizzato a Thiene, Vicenza non ha mai avuto una risposta ufficiale. Come immagina la città fra dieci o vent’anni? Diciamo venti, dieci sono pochi. Vorrei vedere meno consumo del territorio e più valorizzata l’edilizia esistente. Quando studiavo per la tesi, si ipotizzava un raddoppio degli abitanti su un territorio poco maggiore di quello esistente. È accaduto il contrario: gli abitanti non sono aumentati, anzi, ma il territorio usato quello sì che è raddoppiato. In uno slogan provi a tracciare la strada (o l’idea) dello sviluppo di Vicenza. Deve aumentare l’anima di se stessa: da San Biagio all’Isola, cioè all’ex macello, fino a Campo Marzo. Antonio Di Lorenzo


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Attualità

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La ricerca. Il saldo migratorio è di 1400 persone in più nel Vicentino, mentre sono 50mila in più i vicentini all’estero

Pochi gli immigrati e i giovani vanno via Se ne vanno coloro che hanno maggiore preparazione e competenze. Il segretario della Cisl, Raffaele Consiglio, che ha commissionato la ricerca, conclude: “Abbiamo perso capacità di attrazione. Intervenire subito su edilizia popolare, servizi per la famiglia e supporto all’inserimento lavorativo, o andremo verso la deindustrializzazione”

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li immigrati non arrivano più e i giovani se ne vanno. Il che fa concludere: il Vicentino ha perso la capacità d’attrazione d’un tempo. Attenzione: ad andarsene sono sempre più giovani (e non) che hanno un’alta qualificazione. È una fotografia, cruda e realistica, della ricerca condotta dal centro studi della Cisl e firmata da Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron. I risultati fanno lanciare l’allarme al segretario della Cisl, Raffaele Consiglio. “Il nostro territorio è ancora in grado di attirare i lavoratori? La nostra risposta è drammaticamente negativa”. Un primo dato significativo – sottolinea la ricerca - riguarda il saldo migratorio di stranieri (ovvero il numero di stranieri in ingresso e in uscita, risultante dei dati delle anagrafi dei Comuni vicentini). Se nel 2003 erano entrati nella provincia berica circa 9.600 cittadini stranieri, il valore scende a circa 1.700 dieci anni dopo, per poi diminuire a meno di 400 nel 2015 e 2016; dal 2017 si registra una lieve ripresa - con un anno di pausa nel 2020 per effetto della pandemia - ma ancora nel 2021 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati) il saldo migratorio dall’estero era positivo per sole 1.400 unità. È interessante osservare – prosegue la ricerca – come un analogo andamento presenti anche il flusso migratorio da altri Comuni italiani: si è passati da un saldo positivo per 2.910 persone nel 2002 ad appena 337 nel 2012, per poi ricrescere dal 2015 ma senza mai avvicinare i valori di vent’anni fa: il saldo nel 2021 è stato di 1.250 persone, meno della metà.

Sommando la mobilità in ingresso e uscita dall’estero e da altri Comuni italiani, si scopre che nel 2003 c’è stata la punta massima con un saldo positivo di 9.648 nuovi residenti, per poi scendere gradualmente fino a 365 nel 2016 e, nonostante una leggera ripresa, atte-

I due ricercatori Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron. Un’immagine emblematica di un giovane italiano in partenza

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starsi a soli 1.386 nel 2021, ovvero circa a un quarto di vent’anni prima. A spingere la tendenza sono non solo i minori ingressi, ma anche le maggiori uscite, come dimostra il dato degli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) provenienti dalla provincia di Vicenza, che cresciuti in modo significato negli ultimi cinque anni: dai 78.122 del 2017 ai 105.412 del 2022, passando da una percentuale del 9% in rapporto alla popolazione della provincia vicentina al 12,4%. E la perdita non è solo quantitativa, ma anche qualitativa in termini di competenze lavorative. In questo caso – sottolineano Peron e Dal Pra Caputo – il dato è regionale, ma è verosimile che quello provinciale presenti un andamento abbastanza analogo: nel 2011 tra i lavoratori trasferitisi all’estero, solo il 14,5% era in possesso di un livello di competenze elevato, ma questa percentuale è quasi raddoppiata in 10 anni, arrivando al 26,9% nel 2021. È aumentata in modo significativo anche la quota di lavoratori veneti emigranti con un medio livello di competenze (dal 18,5% al 30,9%), mentre in parallelo è diminuita la quota di lavoratori in uscita verso altri Paesi esteri con basse competenze (dal 66,9% al 42,1%).


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Il personaggio illustre

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Il ricordo. È diventata un film la vita di Toni Gobbi che da Vicenza si trasferì a Courmayeur. Scalava con Walter Bonatti

Fu vicentino il padre dello sci-alpinismo “La traccia di Toni” è il film curato dal nipote Oliviero assieme ad Antonio Bocola. Gobbi era anche un imprenditore e aveva un negozio di articoli sportivi che era anche una libreria specializzata

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ra un alpinista e libraio a Courmayeur, ma vicentino doc. Toni Gobbi (1914 - 1970) è stato una figura importante dell’alpinismo italiano del dopoguerra: forte scalatore, apprezzata guida alpina, maestro di sci, “papà” dello scialpinismo nel nostro Paese e infine anche imprenditore di successo a Courmayeur: il suo negozio di articoli sportivi, aperto nel 1948, fu un punto di riferimento per tutti gli alpinisti e gli escursionisti. Ricorda Francesco Ortolani, vicentino, grande appassionato di montagna, quasi uno storico vicentino del settore: “Gobbi era un personaggio interessantissimo. Nipote del senatore Giorgio Oliva, accompagnava molti vicentini in montagna. Spesso arrampicava con Walter Bonatti. Organizzava tour di sci alpinismo, e ricordo quanto fu colpita la Vicenza alpinistica dalla sua morte sotto una piccola e banale slavina ai piedi del dente del Sassopiatto assieme ad altre tre persone”. Studiò Giurisprudenza a Padova laureandosi nel 1940 e esercitò la professione di avvocato nello studio del padre a Vicenza. In questi anni si avvicinò all’alpinismo e allo sci tramite la Giovane Montagna, sezione di Vicenza, della quale poi fu anche presidente. Nel 1939 entrò a Bassano alla Scuola allievi ufficiali alpini, poi andò ad Aosta alla Scuola Militare Alpina come tenente istruttore di alpinismo. L’8 settembre del 1943 decise di rimanere a Courmayeur anche perché nel frattempo aveva conosciuto Romilda Bertholier, figlia dei gestori del Rifugio Pavillon, che sposò lo stesso anno. Divenne portatore nel 1943 e guida alpina nel 1946, maestro di sci nel 1948 e lo stesso anno Istruttore Nazionale di Alpinismo. Ebbe due figli, Gioachino nel 1945 e Barbara nel 1949. Nel 1948 aprì a Courmayeur un negozio di articoli

sportivi per alpinisti e sciatori con annessa libreria dedicata alla letteratura di montagna, la Libreria delle Alpi. Si impegnò nel giornalismo e nel 1950 vinse il Premio Saint-Vincent per il giornalismo. Come imprenditore è il primo a creare un catalogo delle ascensioni per i propri clienti, a inventare la scuola di sci, a promuovere a partire dal 1951 le “Settimane nazionali scial-

La locandina del film “La traccia di Toni” che è stato presentato anche a Vicenza per i 90 anni della “Giovane Montagna”

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pinistiche di Alta montagna”, importando in Italia l’idea delle Haute Route francesi, sulle montagne italiane (Cevedale, Dolomiti, Adamello), europee (Oberland Bernese, Delfinato, Maurienne, Vanoise) e organizzare spedizioni internazionali con gli sci, dall’Elbrus alla Groenlandia (1967), fino all’iraniano Damavend. Gobbi realizzò molte ascensioni importanti nella zona del Monte Bianco negli anni Cinquanta, tra le quali spicca la prima salita del Grand Pilier d’Angle (4234 metri) insieme a Walter Bonatti nel 1957, e prese parte alle spedizioni italiane nelle Ande Patagoniche (1957-58) e al Gasherbrum IV (1958). È stato tra i fondatori della Uiagn (Union internationale des associations de guides de montagne), la federazione internazionale delle associazioni delle guide alpine. Ora la sua figura viene celebrata nel film “La traccia di Toni” presentato a Courmayeur da suo nipote Oliviero, titolare della rinomata fabbrica di materiale alpinistico Grivel e autore del film insieme ad Antonio Bocola, che ne è il regista. Come imprenditore, Gobbi è il primo a creare un catalogo delle ascensioni per i propri clienti, a inventare la scuola di sci, a promuovere a partire dal 1951 le “Settimane nazionali scialpinistiche di Alta montagna”, importando in Italia l’idea delle Haute Route francesi.


Giovani all’estero

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Il personaggio. Francesca De Liberato, 25 anni, lavora nel prestigioso locale “La halle aux grains”

Da Vicenza a Parigi per essere pasticcera Dopo il diploma al liceo linguistico, ha seguito i corsi di formazione dell’Esac e poi è partita per la capitale francese. Ha girato di persona a portare il suo curriculum nei vari locali. “Per questo lavoro servono capacità e determinazione”. I dolci preferiti? “Babà e millefoglie. E la torta tenerina di quando ero piccola”

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a Vicenza a Parigi per apprendere i segreti della pasticceria francese. Macaron, pain au chocolat, saint-honoré, mille-feuille sono parole che rappresentano il lato più dolce di Parigi, quello della sua rinomata pasticceria. Un mondo fatto di raffinatezza, tradizione e creatività in cui ha trovato il suo posto anche una giovane vicentina di 25 anni: Francesca De Liberato. Il suo lavoro, infatti, è creare il momento più dolce dell’esperienza a tavola, quello che proprio i francesi chiamano “dessert”. Dopo il diploma al liceo linguistico di Vicenza, un corso di pasticceria a Creazzo e un’esperienza nel ristorante stellato Garibaldi in piazza dei Signori, da alcuni anni Francesca ha lasciato l’Italia per apprendere i segreti della pasticceria francese nel ristorante parigino “La halle aux grains” guidato dai famosi chef Michel e Sébastien Bras. Da piccola sognava di fare la pasticcera? Dopo il diploma al liceo linguistico, non immaginandomi come traduttrice o insegnante, ho scelto di coltivare la mia passione per la cucina e la preparazione dei dolci iscrivendomi ad un corso dell’università del Gusto al centro formazione

Esac di Creazzo. Grazie alla scuola ho avuto la possibilità dapprima di svolgere uno stage e poi di lavorare nel ristorante Garibaldi in piazza dei Signori dove ho capito che volevo diventare pasticcera. Da qui la scelta di volare in Francia, perché? Dopo un anno al Garibaldi desideravo specializzarmi sempre di più. Ho preso un volo di sola andata per la Francia non solo per le possibilità di lavoro che mi ha subito offerto, ma anche perché la pasticceria francese e i pasticcieri d’oltralpe sono considerati i migliori del mondo. Ha trovato subito lavoro? Si, appena arrivata a Parigi ho iniziato a presentarmi in hotel e ristoranti consegnando di persona il curriculum e in pochi giorni ho trovato il mio primo impiego nell’hotel cinque stelle Lutetia. Come si svolgeva la sua giornata tipo? Lavoravo molte ore, anche dieci, preparando dolci non solo per il servizio nelle camere ma anche per le vetrine espositive e per il servizio al ristorante. Consiglierebbe il suo lavoro a un giovane? Gli spiegherei che se vuole diventare pasticcere prima di tutto deve perseverare,

Francesca De Liberato in un primo piano e mentre è al lavoro. Un suo dolce con la frutta

perché non è facile. Serve una grande motivazione. Poi deve darsi il tempo di capire cosa vuole diventare da grande lavorando in posti diversi. Lei ora lavora nel noto ristorante parigino “La halle aux grains”: cosa le piace di questo ristorante? Il riferimento dell’insegna ricorda la destinazione d’uso originale dell’edificio, un tempo dedicato al commercio del grano, e questa filosofia si ritrova anche in cucina dove utilizziamo molti grani, cereali, legumi e verdure. Sono qui da due anni come demi chef de partie e ho la possibilità di sperimentare e creare: utilizzo, per esempio, semi di girasole e zucca

Sintonizzati sul futuro. PIZZERIA

GRAZIE

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per averci scelto e per continuare a sceglierci

nell’impasto dei dolci. Vorrei continuare a specializzarmi e diventare chef de partie. C’è un nuovo dolce che vorrebbe realizzare? Vorrei creare un dolce con la liquirizia, ma ci sto ancora lavorando. Il suo dolce francese preferito? La millefoglie. E quello italiano? Il Babà napoletano, che poi è nato in Francia. Se pensa alla sua infanzia che dolce le viene in mente? La torta tenerina, semplice e buonissima, era presente in tutte le feste di compleanno dei miei amici. Tornerebbe a lavorare a Vicenza?

Sì ma solo per aprire una mia pasticceria. Vicenza è una bella città, vicina alle montagne e non lontana dal mare. Ci tornerei non solo per stare vicina alla famiglia ma anche per la qualità di vita, migliore rispetto a quella di Parigi. Se invece dovesse prendere un nuovo biglietto aereo di sola andata, dove andrebbe per lavoro? Se dovessi trasferirmi per lavoro andrei nei Paesi scandinavi rinomati per i loro ristoranti stellati, il mio sogno però è un altro… Quale? Vivere e lavorare in Australia. Sara Panizzon

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Attualità

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La rivoluzione. Il vescovo vuole per la prima volta un bilancio pubblico e chiede alle parrocchie di vedere i conti

I misteri dolorosi dei conti della diocesi Mons. Giuliano Brugnotto, vescovo di Vicenza da tredici mesi, dà fiato a un’altra rivoluzione

Mons. Brugnotto vuole stilare un bilancio consolidato della diocesi, non solo di cassa. Chiede alle parrocchie di fare altrettanto e di stabilire cosa serve per vendere gli immobili superflui. Nuovi contratti per i dipendenti della curia: sale la preoccupazione. C’è una donna, Marika Mattiello, a sovraintendere gli affari economici

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l vescovo prosegue sulla strada della rivoluzione, annunciata in primavera e già in parte realizzata con il trasloco dalla curia in centro per stabilirsi nel vecchio seminario (dato che quello nuovo per metà è stato ceduto all’Ulss 8 e per l’altra metà alla scuola privata H Farm). Questa nuova puntata della rivoluzione di mons. Brugnotto tocca un tasto ancora più sensibile, che è quello dei misteri dolorosi delle finanze diocesane. Che la diocesi sia in rosso, in profondo rosso, è noto: ai problemi hanno anche contribuito le perdite (un milione e mezzo di euro circa) sofferte dalla curia con il crack della Banca popolare. Ma naturalmente c’è un mondo economico diocesano che si sta sgretolando parallelamente alle numerose crisi che vive la pratica religiosa oggi, dal numero di vocazioni (sono una decina i seminaristi a Vicenza) sino alla fre-

quenza alla messa, stimabile ben sotto il dieci per cento della popolazione. Il vescovo ha affrontato l’argomento dei conti in rosso e delle ricette per farvi fronte nel tradizionale incontro natalizio con la stampa vicentina, e l’ha fatto con il suo consueto piglio ironico. Ha spiegato, come ha scritto Federico Murzio sul “Corriere del Veneto”, che oggi “è più facile capire le relazioni fra le tre persone della Trinità rispetto a mettere insieme le casse parrocchiali, o decidere quale immobile può essere alienato o meno”. Non poteva essere più chiaro e di sicuro nessun vescovo prima di lui s’è mai espresso in questo modo. Ha indicato qual è il problema dei problemi riguardo ai bilanci diocesani: le parrocchie. L’obiettivo del vescovo, infatti, è di presentare pubblicamente un bilancio consolidato della diocesi, e insiste sul

termine “consolidato”: deve tenere conto, cioè, anche del patrimonio e non limitarsi solo alla “cassa”. Sia chiaro, i conti esistono e sono approvati dagli organi interni. Però Brugnotto vuole di più: vuole un bilancio completo e pubblico. Ma raggiungere questo obiettivo è possibile solo se alla base esistono i bilanci delle parrocchie, che sono le uniche a sapere quali sono i beni di cui non si può fare a

meno e quali invece si possono vendere. Perché, alla fine, il problema è sempre quello: vendere edifici e immobili di cui si può fare a meno. Mettere a reddito, come si dice in gergo, insomma privatizzare. Obiettivo che era stato già indicato da mons. Brugnotto nella primavera scorsa, ma adesso la novità sta nella “road map” che sarà tracciata per conoscere qual è la situazione patrimoniale di tutte le

355 parrocchie della diocesi. E quindi stilare un bilancio diocesano e dare il via alle dismissioni. L’occhio del vescovo non risparmia niente e nessuno. Ha parlato chiaramente di un rendiconto che deve toccare tutte le realtà della diocesi, compresa – per esempio – l’associazione Diakonia (che è il braccio operativo della Caritas) e anche “La Voce dei Berici”, lo storico settimanale diocesano in cerca di ossigeno. Ma, soprattutto, il vescovo ha parlato anche di nuovi contratti per i dipendenti, che sono grossomodo un centinaio. È intuibile che anche la diocesi voglia prendere una strada di maggiore elasticità nei contratti di lavoro e pensi pure a sfrondare i dipendenti. Se tagli saranno, devono esserlo per tutti. La prospettiva, com’è naturale, ha già iniziato a sollevare preoccupazioni negli uffici. Va anche sottolineato un altro aspetto: con questo vescovo, per la prima volta l’economo diocesano è un laico e anche una donna, Marika Mattiello, che ha preso il posto di don Giuseppe Miola che era stato nominato dal vescovo Pizziol.

Palmiero ricorda con un libro Renato Ghiotto, grande giornalista È stato un grande giornalista e critico di cinema, direttore de “Il Giornale di Vicenza” a 23 anni, nel 1945. Dietro di lui c’era, naturalmente, il “grande burbero” che muoveva la cultura vicentina, cioè Neri Pozza che assieme al Cln lo volle a quell’incarico. Renato Ghiotto, morto nel 1986, ha visto trascorrere il 2023 senza che nessuno a Vicenza si sia ricordato di celebrare il centenario della nascita. Rimedia alla mancanza Oreste Palmiero, archivista, musicista, scrittore e bibliotecario della Bertoliana, che il 24 gennaio presenterà a Montecchio Maggiore, assieme al giornalista Antonio Di Lorenzo, il suo libro su Ghiotto edito da Marsilio. “In questo arrabattarsi gioverebbero i discorsi

con gli amici” è il titolo del libro che ha come sottotitolo “Renato Ghiotto: una biografia dalle lettere”. All’incontro del 24 gennaio a Montecchio Maggiore sarà presente anche Vittorio Ghiotto, fratello di Renato. Due sono gli aneddoti, che si ritrovano anche nel libro, che tratteggiano la vita e la personalità di Ghiotto. Il primo lo ricordava Fernando Bandini, testimonianza raccolta da Emilio Franzina: studente nel collegio dei padri giuseppini a Montecchio Maggiore, il giovane Fernando si distingueva già per le sue capacità letterarie. Perché non si montasse la testa, fu ammonito: “Non credere di essere tanto bravo in italiano. Qui è passato un ragazzo

che era più bravo di te”. E gli mostrò il quaderno dei temi di Renato, con un tema sulla primavera in versi. Confessa Bandini: “Ho scritto i miei primi versi per competere con quel ragazzo sconosciu-

to. Anche oggi considero Ghiotto un maestro di come ci si debba accostare allo scrivere, con quale onestà e tremore”. Il secondo aneddoto è di Mariangela Cisco, che assieme al futuro marito Gigi Ghirotti lavorava al giornale. “Renato fu una persona molto importante nella mia vita – scrisse – Direi che mi cambiò la testa e mi sbozzolò dal provincialismo e dalla cerchia chiusa della mia cultura scolastica”. “Nessuno in cinque anni – annotò – lo sentì mai alzare la voce”. Il che in un giornale, tra la fretta e i caratteri non oxfordiani dei giornalisti non è impresa da poco. Grazie a un’inedita documentazione epistolare, accompagnata da un ricco

apparato di note, il lettore potrà ripercorrere le vicende umane e professionali di Ghiotto: dagli anni da rifugiato in Svizzera, alle esperienze giornalistiche alla guida de “Il Giornale di Vicenza” e “Il Mondo”, passando per l’impegno come critico cinematografico e le tarde ma quanto mai interessanti prove letterarie, che gli valsero pure importanti riconoscimenti. Una seconda parte, costituita da una dettagliata bibliografia commentata, permetterà infine di comprendere pienamente la reale consistenza e il valore dell’opera di questo scrittore ancora tutto da scoprire. Di Ghiotto fu celebre la rubrica di cinema che firmò fino all’ultimo su “L’Espresso”.


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Incontri a Vicenza

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Il personaggio. Michelangelo Pistoletto, straordinario artista, a novant’anni è ricco di lucidità e profondità

“L’armonia ci salverà, non la bellezza” Ospite della rassegna sulla proporzione aurea in Basilica, ribatte al celebre assioma di Dostoevskij: “Hitler ha creduto fino in fondo a questa idea e ha diviso i belli (gli ariani) dagli altri, sterminandoli. Meglio parlare di equilibrio e armonia

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a fatto meritare a Biella, la sua città, il titolo di Città creativa Unesco. Ce ne sono nove in Italia su 172 nel mondo. Era in finale con Firenze, ma l’Unesco ha scelto Biella per la Cittadellarte che ha inventato lui con la sua Fondazione. Firenze, hanno spiegato all’Unesco, è la cultura antica Biella è quella del domani. Non crede nella democrazia, che in fondo resta potere dei pochi eletti, ma nella demopraxia, la prassi da esercitare nelle migliaia di organizzazioni di cui si compone la società. Ha capito 25 anni prima che glielo riconoscessero che “le differenze sono un’identità e che hanno valore perché contrastano l’uniformità”. E oggi spiega che “il nemico è l’amico necessario per il gioco della vita”, usando come metafora il calcio, sport che non gli interessa se non per questo riferimento filosofico. Michelangelo Pistoletto a 90 anni è stato ospite alla rassegna in Basilica sulla proporzione aurea, dove sono state esposte anche sue opere. Ha presentato anche il suo libro, La formula della creazione, che è in pratica il racconto della sua vita in 31 passi, non capitoli. Perché la vita è un cammino, spiega: infatti ci ha impiegato 22 anni per scriverlo. Pistoletto parla e per due

volte salta fuori il nome di Picasso non a proposito. Se ne accorge, si scusa, ma Freud sulla nuvoletta lo ascolta sorridendo. Sarebbe facile paragonarlo al grande artista di Spagna, e ci sarebbe motivo visto che la patente di genialità gliel’hanno assegnata autorevolmente da tempo. Si può solo aggiungere che va ammirato anche l’uomo Pistoletto, naturalmente, per la sua lucidità e passione, quelle che animano un artista che tutti riconoscono nel mondo come maestro. Ospite illustrissimo alla mostra di Ombretta Zulian e Ketty Panni, che ha contato ventimila ingressi, è omaggiato anche dal sindaco Possamai che gli consegna un encomio da parte della città. Chissà dove ha scovato il sindaco questa onorificenza cittadina, di cui non c’è traccia nella memoria del cronista. Le organizzatrici della mostra comunque non sono da meno e consegnano a Pistoletto il premio Relazionesimo. Lui non si risparmia a raccontarsi. Dalle origini come collaboratore del padre nello studio di restauro alla pubblicità con Armando Testa, della cui agenzia diventa direttore creativo. Benedetta sia la mamma: era convinta che l’arte fosse bella, sì, ma che doveva produrre anche reddito. E sic-

Michelangelo Pistoletto, novantenne, fotografato in Basilica a Vicenza vicino al simbolo del suo “Terzo paradiso”

come la bottega di restauro non dava granché, e nell’Italia degli anni Quaranta e Cinquanta iniziava a brillare la stella della reclame lo iscrisse a un corso di pubblicità. Il maestro racconta della folgorazione per la Flagellazione di Piero della Francesca, che già nel Quattrocento – spiega – ha superato il dilemma tra astratto e figurativo perché diventa fenomenologico. Parla di Lucio Fontana che non capiva ma che nella Torino del dopoguerra lo affascinava. Dopo ha capito perché: andava oltre il White Cube che tutela in modo ermetico l’opera d’arte dai cambiamenti. Lui invece ha sempre cercato il divenire. Pistoletto va indietro nel-

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serietà e professionalità con oltre 20 anni di esperienza

la sua personale macchina del tempo e spiega di aver studiato, bulimico, tutta la storia dell’arte in sei mesi. Spiega l’intuizione dei quadri specchiati, che anticipano il virtuale di oggi e farebbero felice Einstein, perché rappresentano lo spazio tempo che lui aveva intuito come quarta dimensione. Parla della Venere degli stracci, dell’arte povera e, prima ancora, degli Oggetti in meno: un’opera realizzata è un oggetto in meno di cui preoccuparsi. Spiega anche come è nato vent’anni fa il Terzo paradiso, quell’otto dell’infinito con un cerchio aggiunto, che è diventato il suo marchio di fabbrica, sintesi di tutto, unità e molteplicità, tesi e antitesi ma risolte.

Pistoletto mette perfino i puntini sulle “i” di Dostoevskji, quando sottolinea che non è d’accordo con la celebre frase “la bellezza salverà il mondo”. Non è vero, la nostra innata rapacità di umani può creare attraverso la bellezza anche il mostro. “Chi è – argomenta – la persona più ricordata del Novecento? Hitler. Lui aveva creato la bellezza. Noi siamo i belli - sosteneva – noi siamo gli ariani, quindi gli altri vanno distrutti perché non contano niente”. Provate a dare torto a Pistoletto. La sua conclusione: “Dovremmo parlare di equilibrio e armonia, non di bellezza”. Per questo motivo, sostiene, “l’estetica di un tempo deve diventare l’etica di oggi”. Chapeau. (a. d. l.)

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Politica. I congressi provinciali hanno prodotto una reale inversione di rotta

Fratelli d’Italia si prepara a guidare il Veneto I

n Fratelli d’Italia, il partito del Premier Giorgia Meloni, soffia un vento di profondo cambiamento e in Veneto, in questo senso, si sono visti, nel corso dei congressi provinciali, i segnali maggiormente evidenti. A innescare, almeno in Veneto, questo significativo cambio di rotta è stato il congresso provinciale di Treviso, il primo non unitario celebrato. A vincerlo, probabilmente contro ogni pronostico, è stato il giovane vicesindaco di Montebelluna, Claudio

“L’appuntamento elettorale del 2024 sarà un passaggio fondamentale. I risultati delle Amministrative e delle Europee rappresenteranno l’ordine di partenza in vista delle regionali” Borgia, solida tradizione di destra con uno spiccato sguardo al sociale. Dopo Treviso, uno dopo l’altro, praticamente tutti i presidenti provinciali sono cambiati. Volendo semplificare si potrebbe dire che il Veneto ha voluto dare un forte segnale al proprio coordinatore regionale, il senatore bellunese Luca De Carlo. Se ci si affidasse, però, a una lettura di questo tipo non si comprenderebbero fino in fondo le ragione di un cambiamento così radicale. L’inversione di rotta, infatti, non ha tratti personalistici - anche se la vittoria di Borgia a Treviso proprio nel collegio elettorale di De Carlo costituisce una battuta d’arresto – ma di vera e propria fisionomia del partito.

“In questi anni – ci spiega il neo-segretario trevigiano, Claudio Borgia – in troppi ci siamo sentiti dirigenti politici di secondo livello. Il nostro limite? Non esserci iscritti a Fratelli d’Italia il giorno stesso della sua fondazione. Giorgia Meloni in questo è stata bravissima perché ha sempre lavorato per allargare il partito e per garantire a tutti la stessa agibilità politica. Io ho una storia saldamente radicata a destra, da sempre. Che è culturale prima che partitica. Una destra che parte dei territori, che ha dei valori ben precisi che sono, tra gli altri: l’amor di Patria, il merito, l’equità, la difesa delle tradizioni e dell’identità, che è maggiormente attenta ai temi sociali e quindi impegnata a difesa di chi ha più bisogno. E poi una destra che, con profonda ispirazione risorgimentale, avverte con emozione il senso dell’orgoglio nazionale.” “Con questo congresso – continua Borgia – si rafforza un importante patto generazionale e di radicamento territoriale voluto proprio da Giorgia Meloni attraverso il quale ha riunito il partito e bloccato sul nascere, di fatto, le correnti. Il nostro obiettivo è, e deve essere, quello di stare sempre di più in mezzo alla gente in particolar modo in un momento difficile come questo nel quale le nostre famiglie e le nostre imprese stanno realmente soffrendo per le scelte scriteriate degli anni passati. In tutti questi anni di impegno - prima da presidente provinciale dei giovani di Alleanza Nazionale, poi da rappresentante degli studenti universitari a Bologna (dove si trovò a lavorare, pur da posizioni diverse, fianco a fianco alla segretaria del PD, Elly Shlein all’epoca studentessa e rappresentan-

Claudio Borgia

te della sinistra universitaria NdR) e da vicesindaco di Montebelluna (recordman veneto di preferenze nella tornata 2021, anno della sua rielezione NdR) - ho imparato che per provare, realmente, a rappresentare chi ti ha eletto, e anche chi non ti ha votato, devi esserci sempre; non puoi pensare di comprendere le cose stando in un ufficio a guardare le cose con distacco, magari affidandoti a schemi precostituiti. Devi darti da fare concretamente per migliorare la qualità di vita dei tuoi cittadini, cosa che ho sempre cercato di fare.” Partendo da questi presupposti l’obiettivo dichiarato di FDI è la Regione Veneto. “Piano. Prima delle Regionali ci saranno le amministrative e le Europee del prossimo giugno. Il nostro obiettivo deve essere quello di confermare, e se possibile accrescere, il nostro voto politico e di aumentare significativa-

mente la nostra pattuglia di amministratori locali. Proprio per questo sto visitando tutti i circoli per individuare i candidati migliori da mettere in campo. Io sono, infatti, fermamente convinto che si debbano individuare le persone giuste, le più preparate, quelle che maggiormente possano interpretare il contesto nel quale sono chiamate a impegnarsi. Anche in questo caso non esistono forme precostituite o rendite di posizione se vogliamo veramente fare del bene al nostro territorio. La nostra ambizione, per le prossime amministrative nella provincia di Treviso, è quella di sederci al tavolo con gli alleati avendo sempre un nome all’altezza da presentare come candidato sindaco, poi, insieme, sceglieremo quello o quella maggiormente adeguato. L’appuntamento elettorale del 2024, in questo senso, rappresenta un passaggio fondamentale. È evidente che i risultati delle Amministrative e delle Europee rappresenteranno l’ordine di partenza in vista delle regionali. Del resto la regola è sempre stata questa: chi ha maggiore consenso nel territorio ha il diritto e il dovere di esprimere il candidato; è sempre stato così, sarebbe veramente curioso che sta volta le cose non andassero allo stesso modo. In questo senso noi di Fratelli d’Italia siamo pronti. Anche in questo caso, per me, vale sempre lo stesso requisito: si deve trovare il candidato maggiormente adeguato, senza posizioni precostituite. Fratelli D’Italia potrà dire certamente la propria non soltanto per la nostra forza elettorale, ma perché, già oggi, noi siamo in grado di proporre candidati, sia civici sia di partito, di altissimo valore”.

Primo bando sulle comunità energetiche rinnovabili, Marcato: “Vogliamo creare una rete virtuosa” “Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) sono, insieme a fotovoltaico e idrogeno, i caposaldi delle linee strategiche del nuovo piano energetico regionale che stiamo predisponendo”. A dirlo è Roberto Marcato, l’Assessore regionale allo sviluppo economico ed energia Roberto Marcato, all’indomanni del via libera dalla giunta veneta al bando di finanziamento che sostiene la creazione e lo sviluppo del-

le nuove comunità energetiche. “Sono tasselli fondamentali della transizione energetica, - aggiunge l’assessore - in attesa di indicazioni a livello nazionale, abbiamo approvato un primo bando da un milione di euro per garantire il sostegno alla creazione di queste nuove comunità. E’ da anni infatti che stiamo lavorando per definire un modello energetico regionale votato alla progressiva indipendenza,

puntando in particolare alle fonti rinnovabili. Questo è solo il primo bando in materia. A partire da quest’anno appena iniziato le iniziative saranno numerose a supporto di imprese, enti e cittadini”. Il bando concede una agevolazione, nella forma di contributo a fondo perduto, che arriva a coprire l’80% della spesa ammissibile per la realizzazione del progetto, nel limite massimo

di euro 30.000 euro. Non saranno ammesse le domande i cui progetti comportano spese ammissibili per inferiori ai diecimila euro. La gestione amministrativa del bando è affidata ad Avepa. Le domande di accesso alle agevolazioni potranno essere presentate dalle ore 10 del primo febbraio prossimo per tutto il mese, fino alle 17 del 29 febbraio, tramite il sistema informativo regionale “SIU”.


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Regione

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L’intervista. L’assessore regionale Federico Caner sulle prospettive per il 2024

“Turismo a gonfie vele, continuerà a crescere, l’agricoltura risente delle contraddizioni europee” Da trent’anni leghista, si augura un cambio di rotta: “Dobbiamo tornare tra la gente e realizzare la vera autonomia”

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ederico Caner, assessore al turismo, all’agricoltura e ai fondi UE della regione Veneto, partiamo quindi dal turismo: cosa ci dobbiamo aspettare dal 2024? Se i dati dell’ultimo trimestre dell’anno appena concluso confermeranno il trend fin qui registrato, il 2023 probabilmente è destinato a superare per presenze turistiche il 2019. Stiamo lavorando molto sulla qualità del turismo dei nostri territori, in modo da garantire maggiore redditività non solo al comparto ricettivo ma anche a tutto l’indotto. Per il 2024 le previsioni sono molto buone, lo confermano le prenotazioni di queste settimane. Il comparto termale sta andando molto bene e anche la montagna è in crescita nonostante ci fossero delle perplessità legate all’aumento dei costi per l’inflazione. Invece gli accessi e le vendite di skipass sono aumentati in media di un 15 per cento, con punte del 30 a Cortina. La sta-

gione invernale dunque è partita molto bene, ci auguriamo che anche gennaio e febbraio continui al meglio e che il meteo sia dalla nostra parte. Altro settore di sua competenza è l’agricoltura, condizionata da maltempo ed eventi estremi. Come sta il settore primario veneto? In effetti veniamo da un anno difficile perché il cambiamento climatico si è fatto sentire con la grandine e altri eventi che hanno messo a dura prova non solo la viticoltura ma anche gli altri comparti. C’è poi il problema dell’acqua, o è troppa con le precipitazioni violente oppure manca per lunghi mesi. Abbiamo chiesto anche l’intervento del Governo con il fondo rischi nazionale e alcune risposte sono arrivate. Nonostante queste difficoltà il sistema ha tenuto grazie ai nostri agricoltori. I prezzi delle materie prime, l’altra emergenza per il settore, sono in calo e ci auguriamo che questo continui. L’anno scorso

gli imprenditori hanno pagato un alto prezzo per fertilizzanti e sementi mentre nel momento della raccolta hanno risentito del calo dei quotazioni delle produzioni, e questo non ha permesso di recuperare i maggiori costi sostenuti nei mesi precedenti. Lei è anche assessore ai fondi UE: l’Europa ci aiuta? È vicina al territorio? Ci sono due aspetti da considerare, da una parte è positiva la disponibilità di fondi che per una regione virtuosa come la nostra permettono importanti investimenti sia per il turismo che per l’agricoltura. Pensiamo al turismo, in questa tornata abbiamo raddoppiato la disponibilità di fondi grazie ai quali si sono finanziate la rigenerazione delle imprese, l’ammodernamento degli alberghi e dei servizi turistici. A queste risorse sia lo Stato che la Regione aggiungono poi altri fondi. L’aspetto negativo dell’Europa riguarda l’agricoltura perché

Federico Caner

l’Ue vede il settore come una fonte di inquinamento anziché come un importante generatore di risorse non solo economiche, ma anche di cibo e materie prime in ambito alimentare, per garantirci una maggiore autosufficienza. Ci troviamo con un’Europa a doppia faccia. Chiudiamo con una domanda politica. I rapporti con la Lega ultimamente non sono stati sereni. Cosa sta accadendo? Sono nella Lega da trent’anni e non mi sono mai sottratto al confronto. Ritengo che la linea

politica intrapresa in questi mesi non sia lungimirante, ci occupiamo meno del territorio e più di questioni nazionali. Il partito si è spostato molto a destra, lo abbiamo visto anche il mese scorso a Firenze con la presenza di esponenti dell’estrema destra europea. Francamente questo non fa parte del mio dna, quindi ho posto la questione e ho chiesto al partito di tornare a quello che è il suo “core business”, vale a dire il federalismo e l’autonomia, quella vera e non annacquata. Si dice che il nord Italia è ricco, in realtà non è così perché è vero che le nostre regioni producono molto ma sul territorio rimane poco. Penso al tema idrogeologico, solo in Veneto abbiamo bisogno di un piano da due miliardi di euro per mettere in sicurezza il territorio. Però le risorse non le abbiamo perché le mandiamo a Roma. Ecco, io mi aspetto un partito che lavori su questo e non che pensi al ponte di Messina. (a cura di Giorgia Gay e Nicola Stievano)

Arteven rinnova il Cda, Massimo Zuin rieletto presidente Riconfermato all’unanimità Massimo Zuin alla guida per i prossimi cinque anni di Arteven, il circuito teatrale della Regione Veneto. Il Consiglio di Amministrazione è formato da Silvano Guarda, Pierangelo Molena e Irene Lissandrin quali consiglieri, revisori dei conti Massimo Sorarù presidente assieme ai revisori Enrico Tosetto e Andrea Morino, supplenti Saverio Nardi e Umberto Scarso. Il componente designato dal Presidente della Giunta Regionale del Veneto è Federico Pupo, che porta il numero complessivo a 5 consiglieri.

Presentato inoltre il nuovo Documento programmatico, che parte dal ruolo di Arteven, nell’attuale panorama teatrale italiano, di “Sistema regionale teatrale in rete”. Un ruolo che svolge attraverso l’ideazione di progetti contenenti le quattro discipline ministeriali (Prosa, Danza, Circo Contemporaneo e Musica), condivisi con gli enti locali associati e gli enti privati. Un’attività progettuale che prevede nel territorio del Veneto il coinvolgimento di oltre un milione e trecentomila spettatori in cinque anni, per circa cinquemila spet-

tacoli suddivisi tra le diverse discipline. “Vogliamo arrivare in modo più puntuale nel territorio – ha dichiarato Zuin – e partire dai più piccoli, il teatro può dare molto per il comportamento civico dei giovani, il nostro futuro” “Abbiamo garantito un finanziamento di 1 milione di euro – ha dichiarato la Presidente della VI Commissione Regione del Veneto Francesca Scatto – abbiamo chiuso il bilancio assieme all’assessore Calzavara. Un riconoscimento per il lavoro che Arteven svolge.” (r.p.)

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e le sfide che riguardano il mondo femminile. Ascolta tutte le mattine dalle 11:38. Solo su Radio Veneto24. A cura di

Micaela Faggiani

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Regione

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L’analsi. Antonio De Poli, senatore Udc: “La nostra agorà politica al servizio del territorio”

“Meno tasse e più risorse per le famiglie, il progetto autonomia approda in Senato” “A

scoltare il territorio che amiamo. Questa è la forza della Politica: oggi siamo chiamati a fare ciò che gli antichi Greci chiamavano l’Agorà, la piazza della Polis. Le nostre Comunità hanno bisogno di guardarsi negli occhi, parlare e confrontarsi. I Cittadini sono delusi e traditi dal linguaggio dei likes e dei tweet sui social eci chiedono più presenza nel territorio”. A parlare di una nuova “stagione” della politica è il Senatore Udc Antonio De Poli che traccia un bilancio dei primi 15 mesi di legislatura e guarda alle prossime sfide del futuro, a partire dall’Autonomia. Senatore De Poli, lei rappresenta l’area moderata nel centrodestra. Quali sono i risultati ottenuti in Parlamento? Nel nostro Dna politico c’è, da sempre, il sostegno alla famiglia. Ecco perché in Manovra abbiamo voluto fortemente 1 miliardo di risorse in più,

prevedendo strumenti come l’esonero contributivo per le mamme lavoratrici con almeno 2 figli, il rafforzamento del bonus asilo nido, il Fondo mutui prima casa e il bonus bollette. Abbiamo imboccato la strada giusta. Capitolo tasse: cosa avete fatto? Abbiamo tagliato le tasse ai redditi più bassi, lasciando più soldi in busta paga ai lavoratori e abbiamo Bankitalia, 600 euro in più all’anno nelle tasche di 3 contribuenti su 4. La nostra priorità è dare più attenzione a chi vive in una condizione di maggiore disagio. Come fa un buon padre di famiglia, bisogna sostenere chi, fra i propri figli, è più indietro. Quali sono le misure a sostegno delle imprese? Per noi del Centrodestra il lavoro passa attraverso il sostegno alle imprese (artigianali, commerciali, agricole e industriali). Ecco perché, in

Manovra, abbiamo previsto le maxi deduzioni al 120% per chi assume con contratto a tempo indeterminato nel 2024 e al 130% per chi assume under 30, donne con figli ed ex percettori del Reddito. Abbiamo archiviato l’assistenzialismo del passato. E, ancora, siamo riusciti ad ottenere l’ok dell’UE alla revisione del PNRR con 12,4 miliardi di risorse alle imprese per la transizione green. Da Roma a Venezia, quali sono i risultati ottenuti dalla filiera del centrodestra per il Veneto? La nostra Regione è la locomotiva d’Italia.Abbiamo il dovere di farla correre. E’ stato approvato l’Accordo per lo sviluppo e la coesione tra Governo e Regione Veneto, con oltre 607,6 milioni per le infrastrutture viarie, la messa in sicurezza del territorio, la riqualificazione urbana, i settori dei trasporti e della mobilità. Dobbiamo proseguire

Antonio De Poli

in questa direzione e lavorare, per portare a casa quei risultati che stanno a cuore al nostro territorio, come il completamento della SR 10 nella Bassa Padovana; il potenziamento della SP47 nell’Alta padovana e il raddoppio della SR308 Strada del Santo. Autonomia, a che punto siamo? Per la prima volta, grazie al Centrodestra, vediamo il tra-

guardo. Il 16 gennaio il ddl passerà all’esame del Senato. Abbiamo un appuntamento con la Storia: realizzare la volontà di 2,3 milioni di veneti che, nel 2017,con il referendum, ci hanno dato un indirizzo chiaro: riformare e modernizzare le nostre Istituzioni. Quali sono le prospettive per il 2024? Tanti gli obiettivi raggiunti, tanta la strada da fare. Dobbiamo lavorare per dare risposte ed essere un punto di riferimento concreto per il Veneto della concretezza,di chi lavora, di chi fa impresa ,di chi opera nel volontariato e promuove la solidarietà a tutela dei più deboli (anziani, non autosufficienti, disabili). La nostra Politica è restare uniti, insieme a chi - arrivando da diversi mondi che provengono anche dalle liste civiche - si riconosce nell’Agorà dei nostri Valori e, con noi, vuole fare squadra al servizio del territorio.

A Padova con Zaia e Giordani la presentazione di Veneto24, la prima e unica radio di informazione in Veneto Cinquanta notiziari al giorno, informazione regionale ogni 20 minuti, rubriche di approfondimento su politica, economia, attualità, impresa. Questa è Veneto24, la prima e unica radio di informazione regionale, presentata ufficialmente a Padova, al Centro culturale San Gaetano, alla presenza del presidente del Veneto Luca Zaia, del sindaco di Padova Sergio Giordani e di molti rappresentanti della politica e delle istituzioni regionali, insieme alla squadra che ogni giorno lavora ai contenuti messi in onda. Veneto24, nata da pochi mesi ma già conosciuta in tutta la regione, è edita da Give Emotions, gruppo veneto che ha dato vita a un vero e proprio sistema integrato di comunicazione, aggiungendo l’informazione radiofonica a quella “tradizionale” cartacea de La Piazza, mensile che da 30 anni arriva nelle case dei cittadini veneti, e a quella on line del quotidiano “LaPiazzaweb”. L’emittente radiofonica, diretta dalla giornalista Giorgia Gay, sfrutta le potenzialità del digitale con

il nuovo sistema Dab+, destinato a sostituire il tradizionale Fm. “Il Veneto raccontato dai fatti, dalle notizie, dalle persone” è il claim della radio, ascoltabile anche attraverso l’app, lo streaming dal sito web www.veneto24. it e i dispositivi smart speaker. Tutti i contenuti sono inoltre distribuiti come podcast su app e sito, per poter essere ascoltati anche in modo asincrono, quando e dove si preferisce. Al nuovo progetto editoriale ha rivolto un plauso e un augurio il presidente della Regione Luca Zaia, che vede in questa iniziativa un ulteriore motivo per sottolineare il “Veneto pride”: “Noi veneti siamo bravi, ci diamo da fare, lavoriamo sodo - ha detto Zaia - perciò dobbiamo essere orgogliosi dei nostri risultati, delle nostre eccellenze e di tutto ciò che riusciamo a fare di buono e di bello. Veneto24 è una radio giovane e frizzante, un’interessante novità nel panorama dell’informazione, complimenti e auguri a tutti”. Il sindaco di Padova Giordani ha ricordato che la sede della radio e a Pa-

dova, città che si conferma un punto di riferimento nel Nordest nei settori più disparati, una città viva che ispira iniziative sempre nuove. “Più di 3 milioni e mezzo di veneti ascoltano la radio ogni settimana – ha spiegato Costantino Da Tos, station manager di Veneto 24 -. La radio è il mezzo ideale per rimanere aggiornati su quanto accade, offre un servizio gratuito e in tempo reale. Tra le emittenti radiofoniche della nostra regione Veneto24 è la radio che mancava”. “Ogni giorno nei nostri notiziari riferiamo ciò che accade nei palazzi della politica, commentiamo l’attualità con i suoi protagonisti, raccontiamo le tante storie che arrivano dai territori del nostro veneto, dalle grandi città

come dai piccoli paesi di provincia – ha aggiunto il direttore Giorgia Gay -. E poi l’economia: diamo voce agli esperti, raccontiamo i risultati delle nostre eccellenze, coinvolgiamo i sindacati, le associazioni di categoria, gli imprenditori per capire dove sta andando il nostro Veneto. Ogni giorno, ci impegniamo a dare voce al Veneto che conta, come dice il nostro claim, ai suoi protagonisti. E lo facciamo in un modo completamente nuovo”. “Tutto ciò ha permesso di arrivare a una tappa importante, per la quale siamo qui, ma non definitiva per il nostro gruppo, che posso definire come l’unico multimediale e multipiattaforma del Veneto” ha concluso l’editore Giuseppe Bergantin. (g.g)


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Un sogno imprenditoriale e una storia di passione, dedizione e lavoro di squadra che dura ormai da 15 anni Tecno Crane è un’azienda specializzata nell’assistenza, vendita e noleggio gru edili. Fondata nel 2008, l’impresa ha saputo crescere e affermarsi nel settore, vantando collaborazioni a progetti importanti e contando, oggi, su un parco macchine di oltre 140 mezzi e 20 dipendenti. Una storia di passione e successi che inizia 15 anni fa con un sogno imprenditoriale. Nicola Pizzeghello, dopo tanti anni da dipendente nel settore, decide di mettersi in proprio e dare vita a Tecno Crane. Insieme a lui, si uniscono in questa nuova avventura Massimo Zacchello e Alberto Fior, come soci. Già il nome Tecno Crane, chiaro riferimento al settore di attività, suona di respiro internazionale e trasmette tutta l’ambizione con cui è nata. Sin da subito si distingue per la qualità del lavoro e la professionalità del suo team. Tra i primi progetti, spicca il montaggio di ben 12 gru per la costruzione del MUSE - Museo delle Scienze di Trento. Un’opera imponente e di grande valore culturale, che ha permesso all’impresa di farsi conoscere e apprezzare.

loro l’opportunità di mostrare ancora una volta che, come recita il loro motto, sono “pronti per ogni impresa”. Gli anni successivi sono caratterizzati da altre grandi soddisfazioni. L’impresa si amplia e si trasforma da snc a srl, rinnovando anche la propria immagine per trasmettere al meglio la propria comprovata professionalità. Il parco macchine si allarga sempre di più e arriva GAPO, il semovente motorizzato che rivoluziona la movimentazione di gru automontanti permettendo di risparmiare tempo e risorse. Anche le gru in casa Tecno Crane aumentano e viene dato il benvenuto alla prima Raimondi MRT 159. Una gru a torre dalla grande versatilità e dalle performance di alto livello, proprio il modello utilizzato in occasione della riqualificazione dell’Onda Palace, l’edificio più alto di Padova.

Nel frattempo, Tecno Crane presta molta attenzione anche ai valori che esprime. Tra tutti, la sicurezza sul lavoro e la forza della squadra, il motore trainante che si nasconde dietro ogni nuova impresa portata a termine con successo. I montatori partecipano, così, ad un corso di specializzazione per il soccorso in quota tenuto dai Vigili del Fuoco di Padova, innalzando i propri standard di sicurezza. Da grandi amanti dello sport, nascono anche delle partnership con gruppi e associazioni sportive, che meglio trasmettono il valore della squadra unita per raggiungere gli obiettivi, come quello con Pallavolo Padova, la squadra patavina della Superlega Maschile.

Sintonizzati sul futuro.

Nel 2010, entra stabilmente nell’organico anche Monica Pizzeghello, sorella di Nicola, con il ruolo di referente principale per l’amVeneto24 passa al sistema di ultima ministrazione. La sua presenza dà un po’ ilpermette via generazione DAB che di ascoltare anche alla crescita della team e ad una forteuna presenza radio con qualità audio perfetta. di donne in Tecno Crane, che contribuiscono ogni giorno con la loro forza al raggiungimenwww.veneto24.it to di obiettivi sempre più alti. Poco dopo, Tecno Crane ottiene la sua prima commissione all’estero. La squadra, così, vola in Marocco per fornire assistenza ai macchinari del cantiere per la costruzione di un nuovissimo villaggio turistico. Questa esperienza dà

Questi primi 15 anni di Tecno Crane, dunque, sono stati caratterizzati da un intenso lavoro di squadra, che ha permesso all’impresa di arrivare sempre più in alto, mantenendo lo sguardo sempre rivolto al territorio, alla sua comunità e al futuro. Siamo certi che Tecno Crane continuerà su questa incredibile strada.

Negli ultimi anni, Tecno Crane ha ottenuto ancora importanti riconoscimenti con la commissione di progetti di grande interesse per il territorio e il futuro. Tra questi, ricordiamo la Cittadella della Salute di Treviso, il nuovo data center per il CINECA a Bologna, che ospiterà Leonardo, uno dei supercomputer ad alte prestazioni del programma europeo EuroHPC. Infine, la già citata sfida dell’Onda Palace nel 2022, con l’assemblaggio di una gru alta 80m. SCARICA L’APP RADIO VENETO24

TECNO CRANE SRL

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Solidarietà

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L’iniziativa. Il contributo vicentino all’associazione “Il gusto per la ricerca”

Obiettivo: nuovo hospice per i bimbi malati L’associazione fondata da Raffaele e Massimiliano Alajmo con il dottor Stefano Bellon in 19 anni ha finanziato associazioni di solidarietà per 2 milioni e 100 mila euro. Quest’anno dona 32mila euro all’associazione “La miglior vita possibile” per costruire un nuovo hospice a Padova che comunque resterà l’unico del Veneto. Costerà 16 milioni di euro

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a data c’è già: giugno 2027. L’obiettivo è realizzare a Padova un nuovo hospice di cure palliative per i bambini ammalati. L’iniziativa è dell’associazione padovana La miglior vita possibile perché l’hospice attuale ha 4 posti e l’associazione ha 300 piccoli pazienti in carico (in gran parte seguiti a casa) e un bacino di 900 bambini che avrebbero bisogno di queste cure palliative. Il futuro hospice avrà 12 posti, che rappresentano un importante passo in avanti. A questo obiettivo l’associazione Il gusto per la ricerca fondata 19 anni fa da Raffaele e Massimiliano Alajmo con il dottor Stefano Bellon, ha donato 32mila euro frutto di una cena di solidarietà svoltasi il 19 ottobre a Le fucine di Udine, protagonista naturalmente Alajmo con altri colleghi tristellati, in prima linea Niko Romito e poi Enrico Crippa di Piazza Duomo di Alba. Agli obiettivi de “Il gusto per la ricerca” concorrono anche parecchi vicentini da molti anni. I 32mila euro sono stati consegnati da Massimiliano Alajmo e Stefano Bellon a Marianna Maltinoni, vice presidente de La miglior vita, presente il professor Eugenio Baraldi, ordinario all’università e direttore del dipartimento salute donna e bambino dell’azienda ospedaliera. In 19

anni di vita, Il gusto per la ricerca ha sostenuto molte associazioni (in prima fila Città della speranza) con 2 milioni e 100 mila euro. La vice presidente de La miglior vita possibile ha spiegato che il progetto esecutivo dell’hospice pediatrico è già nelle mani del governatore Zaia. Ha ottenuto un finanziamento di 10 milioni di euro dal ministero, sui 16 di investimento richiesto. Serve, quindi, un crowfunding di sei milioni. Bellon sottolinea che quando si parla di cure palliative queste non riguardano solo il fine vita e solo i pazienti oncologici. Questi rappresentano solo il 9% dei bambini malati. Purtroppo ci sono anche le malattie genetiche, quelle degenerative, la Sla: “Grazie ad associazione come La miglior vita - ha sottolineato - adesso un terzo delle mamme non perde il laovro. I bambini diventano ragazzi che vanno all’unviersità, magari in carrozzella, e si trovano anche il fidanzato”. “Solo il 5% dei pazienti muore nell’hospice - aggiunge - mentre l’85% muore dove vuole lui o la famiglia”. L’hospice di Padova è l’unico del Veneto ed appena uno dei sei esistenti in Italia. Nel Bolognese sta arrivando uno nuovo per opera della Fondazione Seragnoli, a Bentivoglio, con il progetto regalato da Reno

Piano. Il nuovo hospice di Padova ha già una data: giugno 2027. Si estenderà su tre sedi, localizzate in via Falloppio, via Sant’Eufemia e via San Massimo. Sarà una risposta per le cinquanta famiglie oggi in lista d’attesa. Se nel Veneto, come detto, sono 900 i pazienti che avrebbero bisogno di cure palliative, in Italia sono ben 35mila, ma solo il 15-18 per cento riescono ad avere aiuto da un hospice. Un merito dell’associazione Il gusto per la ricerca - ha sottolineato Bellon - è di aver trovato molti imitatori nel settore della gastronomia: ha indicato una strada che molti altri hanno percorso.

Nella foto in alto, Massimiliano Alajmo, Eugenio Baraldi, Marianna Maltinoni e Stefano Bellon con l’assegno da 32mila euro


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NonSoloSport. Festeggiato il trentennale della catena di negozi, con 27 punti vendita in regione e 60 in tutt’Italia

Lo sport e il territorio veneto nel Dna, sempre pronti a crescere senza dimenticare le radici L’azienda da sempre sostiene lo sport padovano e praticamente da sempre è partner della Pallavolo Padova. “Quella tra NonSoloSport e Pallavolo Padova è una collaborazione storica, abbiamo sempre avuto feeling con questa società e questo sport ci appassiona tutti, ne condividiamo i valori”

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onSoloSport è un nome, un’insegna che un po’ tutti conoscono, sportivi e non. Ma non tutti forse sanno che dietro questo nome c’è una grande eccellenza veneta. La catena di negozi di articoli sportivi ha radici ben solide nel padovano, dato che nacque 30 anni fa proprio nella Città del Santo, in via Venezia. Da allora è cresciuta costantemente arrivando a contare 60 negozi dal Nord al Sud e recentemente ad “aggredire” anche il centro Italia, con l’apertura simbolica di Roma.

L’azienda da sempre sostiene lo sport padovano e praticamente da sempre è partner della Pallavolo Padova. “Quella tra NonSoloSport e Pallavolo Padova è una collaborazione storica, abbiamo sempre avuto feeling con questa società – racconta infatti Mario Fattoretti, area marketing di NonSoloSport -. Ed è una cosa che a noi fa onore. Ci fa davvero piacere portare avanti questa sinergia, con risultati degni di una buona collaborazione. La pallavolo è sempre stata una delle attività sportive che seguiamo di più e anche quella più praticata da parte dei collaboratori all’interno dell’azienda”. “Questo è ancora uno sport con dei valori diversi, come il rugby che è un’altra realtà che appoggiamo su Padova” aggiunge Valentina Fantin, area manager dell’azienda. Il 2023 per NonSoloSport è stato un anno impegnativo, sia per le celebrazioni del trentennale sia per le nuove aperture. Due fronti che hanno saputo dare in entrambi i casi grandi soddisfazioni. “Quest’anno è stato sicuramente impegnativo – prosegue Fantin -, dedicato allo sviluppo, con diversi negozi aperti sia nella piazza di Padova ma anche fuori regio-

ne: siamo arrivati a Roma, alla Sicilia e abbiamo continuato il nostro sviluppo in tutta Italia”. Nel 2024 al momento non sono previste nuove aperture dopo lo sprint di quest’anno, ma non si può mai dire l’ultima parola: “La nostra è certamente una realtà molto dinamica e forse questo è uno dei nostri segreti, per cui non escludiamo che possano arrivare anche nuovi punti vendita”. Solo in Veneto attualmente se ne contano 27, con 235 dipendenti solo in regione. In occasione dei 30 anni, NonSoloSport ha voluto dedicare un evento alla “sua” città, organizzando in Prato della Valle una giornata dedicata alla pallavolo, grazie alla disponibilità di Pallavolo Padova. “Siamo stati molto soddisfatti – racconta Fattoretti -, non solo per l’evento in sé, ma anche perchè in quell’occasione un ragazzino ha partecipato a delle prove con i giocatori della prima squadra, è stato poi portato agli allenamenti in palestra e alla fine è stato tesserato proprio con Pallavolo Padova. Questa per noi è una storia bellissima, a conferma del fatto che la pallavolo sa ancora conquistare. E poi lo devo am-

mettere: noi stessi la viviamo in maniera molto passionale internamente, infatti seguiamo i risultati e siamo presenti costantemente, più che con gli altri sport se devo essere onesto”. Guardando al futuro, NonSoloSport pensa in grande: “L’obiettivo è di coprire le regioni mancanti – spiega Fantin -. Continuare a crescere è fondamentale perché accontentarsi adesso non avrebbe senso. E poi promuovere altri eventi come quello di quest’anno, visti gli ottimi risultati”. “Mi preme dire che NonSoloSport è un’azienda sensibile e sempre pronta ad affiancare il

sociale – conclude Fattoretti -. Tutti gli eventi che noi abbiamo organizzato avevano uno scopo benefico. Anche quest’anno abbiamo riproposto una corsa alla quale teniamo tanto, che è la “NonSoloSport race” e tutto il ricavato è stato donato in beneficenza a due onlus del territorio. Questo da sempre, perché noi siamo sempre pronti ad aiutare e disponibili”.

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Sport

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La disavventura. Il presidente d’allora del Vicenza, Sacchetto, salvò la vita alla hostess delle Alpi Eagles

Il portellone dell’aereo si aprì in volo Andrea Libondi, già caporedattore a Il Giornale di Vicenza, prosegue i suoi racconti di disavventure calcistico sportive,al seguito del Vicenza che gli sono capitate nella sua lunga carriera di cronista sportivo. Erano i tempi di Francesco Guidolin allenatore. Assieme al collega Massimo Manduzio ci eravamo imbarcati a Venezia sul volo per Roma: all’Olimpico era in programma Lazio – Vicenza. Un boato ci fece capire che era accaduto l’incredibile. Il ritorno e l’atterraggio d’emergenza al “Marco Polo”

È ARRIVATO IL MOMENTO DI RISTRUTTURARE IL TUO BAGNO? Nella foto Francesco Guidolin con la Coppa Italia

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ra l’anno magico del Vicenza di Francesco Guidolin e della sua pattuglia colorata di biancorosso che andava in giro per l’Italia a regalare spettacolo (oh sì, e a me non dispiaceva certo di raccontare le sue imprese) ed a raccattare punti in abbondanza. Quel Vicenza che alla fine della stagione si sarebbe impossessato anche della Coppa Italia, sicuramente il punto più alto della storia calcistica di casa nostra. Era l’anno magico, appunto, ed a me toccava il gradito compito di testimoniare – in compagnia praticamente indissolubile di Massimo Manduzio – quelle gesta gloriose. Ma nella domenica del 3 novembre 1996 non ce l’abbiamo fatta ad essere materialmente nella tribuna dello stadio Olimpico dove si celebrava la sfida con la Lazio. E a ben pensare è già moltissimo se posso ricordare quelle ore, perché non è esagerato affermare che ce la siamo vista davvero brutta. Riassumendo. Partenza dall’aeroporto di Venezia destinazione Roma con volo Alpi Eagles, la compagnia con sede a Thiene che si stava ritagliando spazio nel traffico aereo. In viaggio con noi un gruppetto composito di dirigenti e tifosi biancorossi: in testa il presidente Gianni Sacchetto, l’assicuratore che in quei mesi gestiva la complicata eredità

di Pieraldo Dalle Carbonare. Condizioni ideali per una trasferta assolutamente tranquilla, col cielo sereno che più sereno non si poteva sulle nostre teste. Solo che l’imprevisto stava in agguato poco dopo il decollo, col portellone capriccioso che improvvisamente si è aperto, creando un boato che definire sinistro è ancora poco e la hostess che avrebbe rischiato di essere risucchiata nel vuoto se non ci fossero state le braccia robuste proprio di Sacchetto a trattenerla e a metterla al sicuro. Allarme immediato, rapido dietrofront dell’aereo su Venezia dove intanto si allestiva il piano imponente d’emergenza, con i vigili del fuoco schierati a bordo pista perché il maledetto portellone stava penzoloni e in queste condizioni l’atterraggio avrebbe comportato rischi non da poco. Il pilota fu una meraviglia, dai finestrini si potevano vedere le scintille nel contatto tra le lamiere e il cemento in un frastuono niente male, col cuore che batteva a mille. Finalmente a terra, finalmente fermi, con un sospiro di sollievo generale anche dei vigili del fuoco preoccupati di farci scendere dallo scivolo d’emergenza perché il pericolo fosse davvero alle spalle. La notizia dell’inconveniente è letteralmente volata (massì, lasciatemi questo giochet-

to di parole) e Massimo ed io siamo diventati ovviamente intervistatori privilegiati dei giornalisti accorsi sul posto. Tra una cosa e l’altra, però, ci siamo resi conto che non c’erano più coincidenze per Roma, rendendo impossibile la nostra presenza all’Olimpico. E allora puntata su Vicenza, intanto per tranquillizzare mia moglie e parenti tutti e poi per garantirci la partita alla tivù, ospiti del Circolo Tennis di via Sant’Antonino. E poi in redazione, per una volta con incarico doppio. Perché oltre a raccontare la partita c’era da dar conto della storia di quel portellone maledetto che si sarebbe portata via una robusta paginata. Insomma, una domenica davvero piena. E soprattutto diversa. Detto che quel Vicenza s’impose brillantemente all’Olimpico con le reti di Murgita e Maini (ah, bei tempi!), resta da raccontare la simpatica scenetta che avrei vissuto un paio di settimane più tardi. Mentre eravamo in partenza per un’altra trasferta aerea da Venezia una graziosa promoter nella sala d’attesa prima dell’imbarco mi chiese sorridente se avevamo mai viaggiato con Alpi Eagles. Credo che a parlare per me fu soprattutto lo sguardo. “Grazie, ho già dato” la mia replica. E dal “Marco Polo” è tutto. Andrea Libondi

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Enogastronomia

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Il prodotto. Marco Schiavo storico distillatore a Costabissara ha creato “Cabiria” dal gusto pieno e morbido

Vodka vicentina, così rivivono gli anni ‘80 Assieme a Renzo Ruffo e Giacomo Diamante, la sua vodka è stata abbinata a piatti del tempo, come gamberetti in salsa rosa, pennette alla vodka e manzo alla Stroganoff. Esperimento efficace

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ui che ama andare controcorrente rispetto alle mode che ha combinato stavolta? Di fronte a migliaia di “gin inutili”, come li chiama (6.500 nel mondo, di cui 2.000 in Italia) s’è inventato una vodka tutta vicentina “per restituire a un prodotto nobile il suo splendore degli anni Ottanta”. Marco Schiavo, 47 anni, sposato con Stefania Farina, genitori di due bambine, è un vivace distillatore a Costabissara: alle spalle ha una storia di cinque generazioni che affonda le radici nel 1887. Siccome conosce il passato ma guarda avanti, è anche un innovatore: anni fa s’è inventato il Gajardo bitter ed è stato un successo. Poi ha studiato e prodotto un’interessante pasta “chilometro cinque” con grani locali che erano scomparsi, Bologna, Piave e Gentilrosso (il nome ricorda solo la distanza dei suoi terreni, tre ettari, a Costabissara da piazza dei Signori a Vicenza) e adesso ha creato la vodka Cabiria. Un nome, un programma. Ma ci torniamo. Questa vodka si ottiene da una tripla distillazione lenta di grani teneri italiani di eccellente qualità mescolati con acqua vicentina. L’utilizzo del filtro a carta micron esalta il sapore gentile e aromatico della vodka, mentre il lieve aroma erbaceo è fornito dalla nigella sativa: pianta che è chiamata anche “cumino nero” nella cucina bengalese, ma è un’attribuzione apocrifa, perché assomiglia ma non è esattamente quello, che si chiama invece scientificamente “Bunium persicum”. La Nigella sativa, oltretutto, non ha niente a che vedere con Nigella Lawson, celebre cuoca inglese. L’unico aspetto comune è il colore nero (da cui, appunto, il nome: niger = nigella): la pianta ha i semi di color nero mentre la cuoca i ca-

pelli. Al di là del fatto che il padre si chiamava Nigel. Torniamo alla vodka. Il nome, intanto: è un richiamo all’italianità più schietta, perché “Cabiria” fu il più famoso film italiano, girato nel 1914, naturalmente muto. Un kolossal a tutti i livelli, sia per la durata di oltre tre ore, sia per il costo (un milione di lire-oro quando per i film si spendevano 50mila lire). Ne fu sceneggiatore Gabriele D’Annunzio, che accettò l’incarico per ripianare debiti vari, e senza di lui il film sarebbe stato ben misero. Fu D’Annunzio che s’inventò il nome Cabiria, cioè “nata dal fuoco”. A questo film, oltre che Marco Schiavo, si ispirò anche Fellini per le sue “Notti di Cabiria”. Simbolo della vodka sono due pantere, scelte per la loro eleganza e anche per il fatto che sono l’unico felino che lascia una scia di profumo quando passa. La pantera, va ricordato, non è che la forma melanica, cioè scura, del leopardo. Per dimostrare il valore della vodka come abbinamento a una cucina brillante, Marco Schiavo ha chiamato Giacomo Diamante, bartender di alto livello e il cuoco Renzo Ruffo (famiglia di Arsiero, dove ha u ristorante) per allestire una cena in stile anni Ottanta. L’esperimento è stato superato in modo brillante. I piatti hanno richiamato alla memoria ricordi felici: cocktail di gamberetti in salsa rosa (con un “French 75 twist vodka”), le pennette alla vodka (accompagnate da un “Bloodymary”) e il manzo alla Strogonoff abbinato a una vodka Tini. La vodka Cabiria s’inserisce nella produzione della distilleria Schiavo che è attorno alle trentamila bottiglie, delle quale il 70% sono dirette al mercato italiano. (a. d. l.)

Marco Schiavo e il bartender Giacomo Diamante, il cuoco Renzo Ruffo e le pennette alla vokda; una bottiglia di “Cabiria”, il manzo alla Strogonoff


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La cura del centro

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Il personaggio. Daniele Renzi, titolare dell’Osteria Bertoliana, ha il compito di tenere pulito il verde della piazzetta

È “il sindaco del prato” a San Giacomo Da sempre il pirotecnico cuoco si batte per tenere in ordine la zona. Il sindaco: “Contiamo di replicare questo modello anche in altri luoghi”

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opo l’eduardiano “sindaco del rione Sanità”, a Vicenza c’è anche “il sindaco del prato”: così – spiega scherzando – dovrebbero chiamarlo dopo l’incarico ricevuto dall’amministrazione comunale di provvedere alla cura del verde di piazzetta San Giacomo, controllando anche l’irrigazione. Daniele Renzi (“il vero Renzi” lo chiamano gli amici) s’è preso questo incarico per amore del luogo su cui si affaccia la sua “Osteria Bertoliana”: in cambio non ha ottenuto sconti sul plateatico o promesse di altro tipo. Magari arriveranno, si vedrà. La verità è che il pirotecnico cuoco, che ha 49 anni ed è di San Vito di Leguzzano (ha anche un’auto vintage targata SV, Savona, ma lui sostiene che sia la vera targa di San Vito) da sem-

pre si preoccupa di quegli ex bagni pubblici che per primo aveva proposto, due amministrazioni fa, di sistemare a proprie spese: voleva recuperare spazio in piazzetta anche per i suoi clienti. Adesso che l’arra è stata bonificata, con soldi pubblici, ci tiene a mantenere la zona pulita e ordinata. Il suo locale è celebre per i piatti di tradizione che offre, a cominciare dagli gnocchi di fioretta, proseguendo con i salumi, bigoli e gargati, il baccalà naturalmente, il broccolo fiolaro e via elencando. Lui è famoso anche per essere un autentico “magnagati” al contrario: tutti gli avanzi della cucina invece di gettarli via li mette assieme, li confeziona con una gelatina e li regala all’Enpa per sfamare i loro gatti.

L’incarico è stato ufficializzato con una breve cerimonia, presenti il sindaco Possamai e l’assessora Cristina Balbi: “Il nostro auspicio – ha sottolineato il sindaco - è replicare questo modello in molte altre realtà del territorio dove mantenere la città pulita e accogliente è di interesse sia pubblico che privato”. Daniele Renzi in cucina e il nuovo look verde di piazzetta an Giacomo

Il personaggio. Lorenzo Pregliasco è il co-autore del podcast “Qui si fa l’Italia” e ha spiegato a Vicenza i suoi segreti

“Così la storia è diventata un successo” “Il segreto del successo è il linguaggio, studiato per un pubblico giovane (dai 25 ai 40 anni) che non ha vissuto le vicende raccontate nella trasmissione”

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l podcast per lui non ha misteri. E pensare che ha scelto la strada più difficile, vale a dire raccontare la storia dell’Italia contemporanea a chi non l’ha vissuta, perché la gran parte dei suoi ascoltatori ha fra i 25 e i 40 anni. Per loro, nati negli anni Ottanta e Novanta i nomi di Aldo Moro, Erico Mattei, la P2 ed Enrico Berlinguer sono sconosciuti o evocano immagini confuse e lontane. Lorenzo Pregliasco, che ha 36 anni e insegna anche all’università di Bologna, ha raccontato a Vicenza i segreti – che come tutti i veri segreti in realtà sono intuizioni semplici e felici – del suo podcast su Spotify “Qui si fa l’Italia”, che è diventato un case study e ha raggiunto numeri da primato. Ne ha

parlato alla “Casa di cultura popolare” dove è stato invitato dall’amico e collega Giovanni Diamanti, anche lui ricercatore e professore, ma all’università di Padova, con il quale ha fondato l’agenzia di ricerche sociali e comunicazione politica Quorum e anche Youtrend, il portale che racconta in numeri le tendenze della politica, dalle elezioni ai sondaggi fino alle mappe elettorali. Il podcast “Qui si fa l’Italia” ha registrato sedici episodi in due stagioni ed è stato a lungo primo nelle classifiche d’ascolto. Perché? Per una scelta di fondo: il linguaggio, studiato per un pubblico sostanzialmente giovane. Va da sé che ogni puntata è frutto di un approfondimento scientifico

a più mani, che elabora il testo letto poi in trasmissione da Pregliasco oppure da Lorenzo Baravalle, co-conduttore del programma. “Il linguaggio è quello contemporaneo – ha spiegato – studiato per chi non va a vedere Raiplay”. “La storia d’Italia – ha aggiunto Diamanti – è talmente ricca di intrecci, intrighi e colpi di scena che House of cards le fa un baffo”. Pregliasco ha raccontato con alcuni flash anche alcuni personaggi di cui ha trattato nelle puntate. Norberto Bobbio: “L’Italia ha un grande partito socialista che non è il Partito socialista”. Enrico Mattei: “Uomo molto complesso, ricco di contraddizioni, ha però reso l’Italia un paese industriale”. Enrico Berlinguer: “La sua morte ha

dimostrato quanto fosse amato anche al di fuori della sua comunità”. La P2: “Con questa organizzazione, s’è capito che il centro del potere non era più quello istituzionale”. Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti, collega e amico. L’immagine del podcast “Qui si fa l‘Italia” che tratta di argomenti storico - politici


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Film e serie tv visti da vicino

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Trame, protagonisti e volti nuovi, anticipazioni e commenti

Paolo Di Lorenzo

“Gigolò per caso” è riuscito Il capitalismo può essere Questi comici fanno riflettere etico? Mastronardi risponde S

u “Prime Video” è arrivata Gigolò Per Caso, la più recente proposta originale italiana targata Amazon Studios. Tratta dalla serie francese “Alphonse, gigolò per caso” - prodotta da Lucky Red - è un racconto che ha tutte le premesse per buttarla in caciara da un momento all’altro. Eppure non lo fa. L’intreccio è servito. A seguito della malattia del padre Pensare all'educazione Giacomo (Christian De Sica), ture con cui ha sempre avuto un è pensare alle generazioni fu rapporto conflittuale, Alfone al futuro dell'umanità so (Pietro Sermonti) scopre che il genitore gli ha sempre tenuto nascosto il suo vero mestiere, quello di gigolò. In crisi con la moglie Margherita (Ambra Angiolini) e in difficoltà economiche, Alfonso decide di rivoluzionare la sua esistenza e seguire le orme paterne, scoprendo una versione di sé del tutto inaspettata. Alfonso rappresenta il lato chiaro del patriarcato, tutto teorie femministe Pensare all'educazione l’unico lascito della madre - e ben poca ure è pensare alle generazioni fut messa a terra. Stufo dei continui panee al futuro dell'umanità girici del marito, Margherita ritrova lo slancio passionale con Costanza. Il loro amore è raccontato senza pruriginosità, lo sguardo non indugia sui corpi di Angiolini e Asia Argento né la natura della loro relazione diventa mai il gancio per ottenere qualche risatina in più. Più che una storia di sesso, quella di “Gigolò per caso” è un racconto su quanto sia difficile entrare in intimità con sé stessi e col prossimo. Nonostante qualche ironia molto (troppo) facile e doppisensi a iosa, la serie Prime Video si rivela una delle produzioni comiche più sorprendenti che Amazon ha lanciato finora. Se titoli come “Sono Lillo” e “Pesci piccoli” sono stati al più innoPer informazioni e appuntamenti scrivi a: cui, “Gigolò per caso” tra una battuta e segreteria@scuolasantadoroteapadova.it l’altra un commento sull’attualità gioca a sovvertire le dinamiche di potere - e sessuali - del binarismo uomo-donna, Per informazioni e appuntamenti scrivi a: segr g eter gr e ia@scu er c ol cu o as a an a tador o oteap or a adova.it ap senza mai sedersi in cattedra. Pietro Sermonti e Christian De Sica si divertono molto a interpretare questo duo San a ta Dor an o otea or padre e figlio: generazioni a confronto di maschi, un rapporto da ricostruire parScuolla pariitariia Priimariia e delll'IInffa fanziia tendo dalle fondamenta di un modello quello del maschio alfa - ormai in crisi e Via dei Livello, 59 - Padova ben rappresentato dal povero Alfonso.. 049.8762186 - 371.5913183

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lessandra Mastronardi è tra le protagoniste di “One trillion dollars”, thriller finanziario tratto dal romanzo best-seller omonimo di Andreas Eschbach. La serie tv in sei episodi, disponibile su Paramount+, è prodotta da W&B Television, ovvero i fautori di uno dei successi televisivi europei più importanti dell’ultimo decennio: parliamo di quel guazzabuglio che è “Dark”. Con “One trillion dollars” siamo ben lontani dalla metafisica dei viaggi del tempo; i temi sono più concreti ed etici. Il protagonista della storia John Fontanelli (Philip Froissant), rider berlinese squattrinato che vive una vita di grande indipendenza, scopre di avere ereditato un trilione di dollari, ovvero un milione di bilioni, cioè un miliardo di miliardi. In un colpo solo, John è l’erede legittimo di un lascito creato 500 anni prima e l’uomo più ricco del mondo. Ma non c’è tempo per godersi la sua ritrovata ricchezza. C’è una profezia insolita collegata a questa eredità: Giovanni dovrà restituire all’umanità il futuro perduto! Considerando il cambiamento climatico, l’inquinamento ambientale e il capitalismo finanziario scatenato, appare un compito quasi impossibile. Alla ricerca delle risposte giuste, John accetta la sfida. Questo lo rende l’antagonista di alcune persone molto potenti che non si fermeranno davanti a nulla. Nella serie Mastronardi presta il volto a Franca Vacchi, l’esperta di finanza cui si affiderà John per capire come gestire il suo patrimonio astronomico. L’attrice napoletana, ha confidto a chi scrive , ha colto al volo l’opportunità di recitare in scopri di più nel nostro sito una serie dalla scrittura così affilata. La premessa di “One trillion dollars” è accattivante - a chi non piacerebbe entrare in possesso di una cifra persiscopri di più nell nostro sito no difficile da concepire? - e il risultato è gratificante per lo spettatore. Non ci sono continui “spiegoni” di finanza come o in Billions, altra serie disponibile su Paramount+. Il dilemma è uno solo: se disponessimo le risorse per fare la difscuolasantadoroteapadova ferenza, ci impegneremmo o finiremmo per adagiarci sugli allori? www.scuolasantadoroteapadova.it

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