NUMERO ZERO 12/2010
PROTAGONISTI // Giuliano de Minicis pag. 02 / Daniele Gaglianone pag. 05 / Malika Ayane pag. 08 / Piero Cesanelli pag. 10 / Carlo Cambi pag. 13 / Giancarlo Trapanese pag. 18 /
02
08 I “GROVIGLI” DI MALIKA AYANE > Intervista a cura di Alessandro Tibaldeschi
10 ARIA DI NATALE NELLE MARCHE Torna lo speciale Mercatino natalizio, interamente dedicato al cappello. Ce ne parla l’ideatore Giuliano De Minicis. > di Silvia Bellabarba Da Candele a Candelara all’EcoNatale di Camerino. Tante le iniziative natalizie nella Regione Marche. Speciale Natale nelle Marche > di Claudio Piesimoni
05
MUSICULTURA TOUR GRAN FINALE Un resoconto di Piero Cesanelli > Intervista a cura di Romina Coccia
13 TARTUFO DI MARCA Carlo Cambi e la ricetta di natale > Intervista a cura di Romina Coccia
18 IL CINEMA ED I GIOVANI > di Sara Gagliesi
ASCOLTAMI GIANCARLO TRAPANESE SI RACCONTA > Intervista a cura di Belinda Saltari
LA PRIMA WEB MAGAZINE
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Insieme alla mostra del cappellaio pazzo merita una visita la chiesa di Montappone, la Chiesa di San Giorgio, dove una mostra particolare dedicata al Natale denominata Presepe sul Cappello, mini costruzioni, piccoli presepi utilizzando Intervista di Silvia Bellabarba a Giuliano De Minicis come capanna il cappello. Sono appunto pezzi unici Dal 4 al 12 dicembre 2010, Giuliano chiedo a te le novi- ideati da ragazzi delle scuole il borgo antico di Montappo- tà della terza edizione del primarie e secondarie, ma ne (FM), accoglie “Il cappello CAPPELLO DI NATALE? anche da alcuni appassionati e creativi del cappello. di Natale”. Il borgo marchi-
il cappello di natale
giano, cuore del distretto produttivo del cappello dove nascono le più belle creazioni italiane ed europee poi esportate in tutto il mondo, regala una originale occasione di festa ai curiosi e agli appassionati. Lo speciale Mercatino di Natale è infatti tutto dedicato al cappello, capo che rappresenta la grande vocazione del territorio e la cui lavorazione unisce tradizione e intraprendenza contemporanea. A cominciare dalla scenografia che coinvolge la piazzetta del borgo antico di Montappone e in cui spicca il grande Albero di Cappelli, contornato da una miriade di Casette di Natale piene di luci e colori. Nelle Casette sarà possibile trovare caldi cappelli invernali, magnifici copricapi di tradizione, splendide anticipazioni estive e tante altre idee regalo per chi è in cerca dei doni di Natale.
Un mercatino esclusivamente dedicato ai cappelli. Non si troverà altro che cappelli e delle specialità della gastronomia locale. Quindi molto caratterizzato, assolutamente singolare. Non ci sono mercatini simili a questo in giro per l’Italia. E forse questo è uno dei motivi per cui vale la pena visitare il mercatino del cappello a Montappone. Inoltre si può visitare la mostra del Cappellaio Pazzo che è l’esagerazione del cappello, è la creatività allo stato puro, che ha riscosso molto interesse.
E’ un programma interessante per chi è alla ricerca della particolarità, di cose caratteristiche e poco consuete, credo che questa sia una visita che premia la curiosità di ciascuno. Qual è l’idea che sta dietro alla mostra e chi è il Cappellaio pazzo?
Il cappellaio pazzo spero si possa essere tutti quanti noi, un po’ pazzi, un po’ sopra alle righe, in qualche caso geniali.
Il cappellaio pazzo è l’esasperazione delle qualità costruttive e creative del cappellaio di Montappone, ma non soltanto anche di appassionati, scultori, artisti che si sono cimentati in questo tipo di esperienza inventando dei cappelli assolutamente singolari, unici, pezzi d’arte veri e propri, quindi questa è una mostra d’arte sul cappello non è una mostra di cappelli e basta. E’ visibile fino al 12 dicembre a Montappone ed è una mostra che in realtà è stata ospitata in diversi luoghi importanti e voglio ricordare la mostra che abbiamo fatto da ospiti al Pret a Porter di Parigi circa tre anni fa a poi una sfilata di cappelli pazzi durante la manifestazione più importante della moda italiana che è Alta Moda Roma.
Monicelli ha toccato il cuore di tutti, un uomo dalla straordinaria personalità e noi avevamo alcuni cappelli ideati per due suoi film importantissimi e di successo, L’armata Brancaleone e Il Marchese del Grillo.
Insieme a questi abbiamo avuto ed ospitato cappelli di grandi attori e grandissimi film, dall’Ultimo Imperatore a La Vita è Bella, Premi Ed invece si è conclusa Oscar come Marie Antonietda poco un’altra mostra I te. Cappelli nel Cinema, con la presenza di cappelli indos- Fare questo tipo di mostra a sati da attori nazionali ed Montappone che è la patria internazionali tra cui voglia- del cappello ormai in Italia mo ricordare quelli diretti e non soltanto è un modo da Mario Monicelli nei film per creare un’attenzione ulIl Marchese del Grillo con teriore, dichiarare un’idenAlberto Sordi e L’armata tità forte per questo tipo di Brancaleone con Vittorio produzione che è centrale per l’economia del paese Gassman. e del territorio circostante. Vuoi raccontarci qualche aneddoto accaduto durante l’organizzazione della mostra, e magari un ricordo del regista Mario Monicelli?
Quest’emozione di cui ho parlato insomma la vivo la sento cerco di trasferirla in azioni e non soltanto in aspetti più o meno nostalgici. Allora alla Terra dei cinque nodi ed a Montappone mi lega una storia familiare che è molto sentimentale e anche un po’ romantica che è quella che mi ricorda i miei nonni, alcuni miei parenti che hanno vissuto li da contadini, che hanno lavorato la paglia, hanno lavorato il cappello e continuano alcuni di loro ancora a farlo. Ricordiamo infine il format “Persone che crescono”. Vuoi parlarci di questo tuo progetto?
E’ un mix abbastanza originale di parole immagini musica messaggi. E’ un racconto complessivo che aiuta a riflettere ognuno Ed ora dopo tutti questi tra- di noi sulla sostenibilità. guardi, Giuliano una curiosità, qual è il legame che uni- Ascolta l’intervista integrale. sce te alla Terra dei Cinque Clicca qui. Nodi?
LA PRIMA WEB MAGAZINE Fino al 6 gennaio, Camerino ospita in una grande Casa Babbo Natale in persona che accoglierà grandi e piccoli con dolci natalizi e sorprese. La grande casa presenta nuovi suggestivi locali: il laboratorio dei giocattoli, l’angolo della posta con mucA cura di Claudio Piersimoni chi di lettere, la cucina con focolare e sedia a dondolo, Un ricco programma in pie- Dal 26 dicembre al 3 genna- la camera con il lettone, la no clima natalizio quello dei io, il territorio di Genga ospi- sorpresa dei Mercatini di prossimi giorni nelle Marche. ta un presepe vivente davve- Natale. ro affascinante. Il Natale a Fermo anche Mercatini natalizi, letture e teatro per bambini, gustose L’ambiente non potrebbe es- quest’anno offre tante occamerende, concerti, inaugura- sere più suggestivo: il magni- sioni di festa, di incontro,di zioni, per trascorrere insieme fico e aspro scenario natura- shopping. Si comincia, sepiacevoli momenti in allegria. le della Gola di Frasassi e la condo la tradizione della città, con l’accensione delle vasta grotta naturale dove Pesaro si prepara a festeg- sorgono l’eremo-santuario di luminarie nelle vie del cengiare il Natale con numero- S. Maria infra Saxo e l’otto- tro storico e dell’albero di si ed emozionanti appunta- centesco tempietto Valadier. Natale in Piazza del Popolo. menti nella magica cornice Sono più di 300 i figuranti Camminando per le vie di del centro storico. abbigliati in abiti dell’epoca San Benedetto del Tronto di Cristo, intenti a semplici Per tutta la settimana in attività manuail: dalla pesca nel periodo natalizio, anche i piazza del Popolo dalle ore alla macinazione dei cereali, più piccoli trovano un’iniziati10 alle 20 i tradizionali mer- dall’attività del vasaio a tessi- va pensata per loro. È la “casa di babbo Natale”, catini natalizi nelle tipiche ca- tura e filatura. sette in legno di “…quel villag- Non mancano neanche i le- installata in piazza Matteotti, dove depositare le letterine. gio natalizioso”. gionari. Mentre dalle ore 10 alle 20, via Pedrotti e piazza Olivieri ospitano il mercatino dell’artigianato artistico dove trovare idee regalo originali ed inconsuete.
ARIA DI NATALE NELLE MARCHE
Tutti i pomeriggi, inoltre, alle 17.30 in piazza del Popolo, i bambini delle scuole elementari con i loro “Canti sotto l’albero” renderanno l’atmosfera natalizia ancora più suggestiva.
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IL CINEMA ED I GIOVANI Intervista di Sara Gagliesi a Daniele Gaglianone Tolentino incrocia la propria strada con il cinema. La città che ha dato i natali a Mario Mattòli, noto per la regia dei più famosi film di Totò, ospiterà, dal prossimo gennaio, il centro di formazione e produzione cinematografica indipendente “OffiCine Mattòli”. Fin da questo primo anno, con l’attivazione di tre corsi (Filmmaking, Sceneggiatura e Recitazione cinematografica) e numerosi progetti laterali, l’istituto si configura come la realtà regionale più importante in tema di audiovisivo, grazie alle collaborazioni con professionisti e produzioni di livello nazionale. I corsi partiranno a Gennaio 2011 e si svolgeranno prevalentemente durante i weekend, fino a Luglio 2011. Alla fine di questo primo anno i tre corsi lavoreranno insieme per la realizzazione di un cortometraggio finale di diploma. I docenti sono registi ed attori di fama nazionale ed internazionale.
Ed è proprio con il docente di punta del corso di filmmaking. Daniele Gaglianone, che andiamo a parlare della proposta formativa di Officine Mattòli. Gaglianone, anconetano di origini, uno dei più promettenti registi indipendenti Italiani, nonché vincitore nel 2009 del David di Donatello per il miglior documentario (Rata Nece Biti). Quali sono gli obiettivi del corso. Per quanto mi riguarda l’obiettivo del corso è offrire alle persone che vi parteciperanno una consapevolezza maggiore del processo di realizzazione di un film.
Far capire quali sono i nodi che una persona deve sciogliere quando decide di girare un film. Chi realizza un film sa che il processo creativo del cinema è messo in relazione con vari momenti: scrivere, girare, montare, studio degli ambienti, la sceneggiatura, scelta e lavoro con gli attori, ecc. Tra gli obiettivi anche la maggiore consapevolezza del linguaggio cinematografico strettamente inteso: inquadrature, macchina da presa, il rapporto con il montaggio. Bisogna , quindi, saper tenere in considerazione tanti fattori. È necessaria una preparazione di base per frequentare il corso. Naturalmente è importante avere una certa dimestichezza con le terminologie e col linguaggio cinematografico ed essere spettatori più consapevoli, avere capacità di analisi, cioè capaci di andare al di là del rapporto emotivo che il film
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chiede di instaurare con lo spettatore e quindi di smontare questo rapporto cercando di comprendere da dove arriva e perché certi meccanismi funzionano in un certo modo e altri no. Il corso permette di avere degli sbocchi professionali. Sicuramente frequentare un corso di questo genere ti dà la possibilità di confrontarti con persone che questo lavoro lo fanno già e con quelle persone che condividono la tua stessa passione , ma che non ne hanno ancora fatto un lavoro. Tuttavia quello del cinema è un mondo molto slegato dal classico iter scolastico e pedagogico. È importante acquisire maturità, conoscenza e consapevolezza di ciò che si vuole e non si vuole fare. Questi corsi forniscono strumenti importanti per poter capire come muoversi. Un ricordo di Mario Monicelli. I registi come Mario Monicelli e Dino Risi che negli anni ’50 ’60 e ’70 sono quelli che hanno raccontato l’Italia in modo apparentemente più lieve rispetto a un cinema considerato più serio e rigoroso. Visti adesso i loro film sono molto più incisivi del cinema detto serio dell’epoca. Penso che i film “I soliti ignoti” e “La grande guerra” per quanto riguarda Monicelli,
terminando le riprese
del tuo ultimo film
ci raccontano il nostro paese in modo puntuale, sia rispetto al momento contingente in cui sono stati fatti, ma danno uno sguardo sulla natura del nostro paese dell’Italia e degli italiani che è tuttora molto efficace. Ho rivisto poco tempo fa “I soliti ignoti” e credo che sia un film cardine della commedia italiana perché racconta in modo certo, lieve, leggero non superficiale un passaggio epocale della storia dell’Italia: è la storia di un gruppo di persone che non ha nessuna intenzione di adeguarsi all’Italia del boom economico.
prese di posizione erano stupefacenti dal punto di vista dell’ardore con cui venivano pronunciate. Ieri ho rivisto alcuni spezzoni delle sue interviste che aveva rilasciato l’anno scorso. Credo che ci siano alcuni passaggi che devono essere ricordati come ad esempio il suo discorso sulla speranza che è apparentemente cinico, ma carico di umanità.
C’è infatti molta umanità nel rifiutare il concetto di speranza, lui diceva: “la speranza l’hanno inventata i padroni”. Quel tipo di speranza serve solo a farti digerire una condizione di disagio esistenziaC’è un rifiuto dell’etica del le e sociale che ha delle moneocapitalismo che è tutt’al- tivazioni molto precise. tro che leggera, ci sono dei passaggi nel film che raccon- Ne sentiremo la mancanza, tano ad esempio la specula- non come regista perché i zione edilizia che ha massa- suoi film resteranno, ma in crato una città come Roma. questi ultimi anni le sue apparizioni erano di una lucidiMario Monicelli è autore importantissimo del cinema tà che scarseggia sempre di più nei nostri mezzi di inforitaliano. mazione. Ultimamente alcune sue
“Ruggine.
I protagonisti di questo film sono dei bambini, una banda di bambini tutti immigrati che, alla fine degli anni ’70, vivono nella periferia di una città del nord che potrebbe essere Torino o Milano, e sono gli unici a rendersi conto che il nuovo medico arrivato nel quartiere, che tutti stimano perché persona di gran classe, in realtà è una specie di orco che mangia i bambini.
Loro sono riusciti ad accorgersene, ma non dicono nulla per paura di non essere creduti dai grandi. Trent’anni dopo, tre di questi bambini ormai cresciuti devono fare i conti nel loro quotidiano con il ricordo dell’incontro-scontro con questo uomo nero. Nella parte contemporanea questi tre bambini sono interpretati da Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea e Valeria Solarino, mentre l’orco, il dottore è interpretato da Filippo Timi.
AL VIA IL PREMIO LIBERO BIZZARRI A cura della Redazione Si apre la XVII edizione premio Libero Bizzarri, dal 3 all’8 dicembre , sei giorni di proiezioni, dibattiti, laboratori sul cinema documentario. La giuria del concorso Italia Doc presieduta da Italo Moscati, quella del Fondo per lo Sviluppo che assegnerà 5 mila euro al miglior progetto di doc da realizzare, da Gualtiero De Santi. Si aprirà con un ricordo del regista Mario Monicelli, legato da amicizia fraterna con Libero Bizzarri “Lui c’era sempre, nei momenti di difficoltà mi dava la spinta
per andare avanti”, a cui la Fondazione Bizzarri assegnò nel 2008 il Premio alla Carriera. In serata, si entra subito,
In vista dell’inizio dei corsi di “Officine Mattòli” quale consiglio ti senti di inviare a coloro che intendono intraprendere un percorso professionale nel mondo del cinema. Il consiglio è quello di non avere fretta e di cercare di guardarsi intorno il più possibile, di non pensare al cinema, ma di pensare a vivere, cioè di considerare il cinema come un percorso della vita, non qualcosa di avulso dal contesto in cui viviamo. nel clima festoso del festival con la consegna del premio “Bizzarri Cinema” al regista Pasquale Scimeca di cui verrà proiettato il film “Malavoglia” che rilegge il capolavoro di Giovanni Verga per raccontare la Sicilia ed il sud del mondo e la condizione dei giovani di oggi senza prospettive. Il film presentato alla Mostra del cinema di Venezia, approderà sugli schermi all’inizio del prossimo anno.
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LA PRIMA WEB MAGAZINE Il ‘Grovigli tour’ dopo una breve parentesi in Germania nel corso del mese di novembre, tornerà in Italia e toccherà tra le altre città Ascoli Piceno.
C’è un gusto particolare ad interpretare canzoni che saranno inseriti in un film? Non
nego che il cinema sia un
modo che mi affascina e mi pia-
‘Speciale
tour’ di
Grovigli, UlMalika Ayane e per parlarne un po’ abbiamo qui proprio Malika. Ciao Mali! Dicevo, è uscito Grovigli Speciale Tour e la domanda è d’obbligo: da dove nasce l’esigenza per te di.. per così dire, aggiornare Grovigli? timo disco di
ce e mi piacerebbe molto avvicinarmi sempre di più a questa scatola di sogni. fatto con
‘Un
Quello che ho
giorno in più’,
è stato però prendermi la responsabilità di produrre un pezzo.
Questo
significa che non mi
sono limitata ad interpretare un brano, ma mi sono chiusa
Guarda, nasce da una serie di fattori. Avendo fatto un tour stupendo e di successo, la mia casa discografica (la Sugar, ndr) mi ha dato la possibilità di
in studio, ho lavorato su delle idee per dare un vestito alla canzone assieme alla mia band.
E’
stato un lavoro corale e
collettivo.
mettere su dvd alcune riprese del mio primo sold out, quello all’Auditorium
della
Musica
tour,
di
Parco Roma. Tutto il
comunque è stato bellissimo per atmosfera e produzione.
Al
cd si aggiungono un dvd e
alcuni pezzi inediti, ome per esempio
‘Il
giorno in più’ che-
C’è poi un pezzo che rappresenta una collaborazione inedita tra due artisti. Hello, già inserito nell’ultimo lavoro di Cesare Cremonini, hai deciso di inserirlo anche nel repack di Grovigli. Insomma, la faccenda si fa sempre più intensa!
sarà inserito nella colonna sonora del nuovo film di
I “GROVIGLI” DI MALIKA AYANE DI ALESSANDRO TIBALDESCHI
Volo...
Fabio
Come per ‘Un giorno in più’, con cui ho conquistato
assieme alla mia band uno spazio di condivisione anche fisica dello spazio artistico, con ‘Hello’ c’è il coronamento dal punto di vista artistico della mia vita personale. I due lati, quello professionale e quello personale, sono entrati in contatto in modo così prepotente che realizzare una canzone assieme, senza preoccuparci di quello che la gente avrebbe detto e pensato, è stato come farci un regalo. Questo anche perchè ci siamo sempre apprezzati come artisti, e precluderci la possibilità di lavorare assieme solo per il timore che la collaborazione sarebbe stata osservata in termini gossippari ci sembrava limitante.
Il tour che hai portato in giro per l’Italia è stata un’esperienza importante. Cosa senti che ti ha dato, in particolare? E’ stato bello vedere che, dalla data zero di Fermo all’ultima di Cremona a Settembre, lo spettacolo sia cresciuto, esattamente come sono cresciuta io ed è cresciuta l’affinità tra tutte le persone che collaborano a questo progetto. Per questo l’ultima data è stata molto difficile per noi, perchè terminava questa esperienza straordinaria in cui tutti gli automatismi dello spettacolo, come tra noi, erano praticamente perfetti.
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LA PRIMA WEB MAGAZINE Secondo, perché abbiamo trovato in ogni posto un pubblico attento, competente, pronto a recepire tutti i nostri suggerimenti e le nostre proposte. E quindi esiste un pubblico per la nuova canzone d’autore, soltanto va raggiunto, e bisogna avere il coraggio di proporre questo genere di musica; esiste a tal punto che in molti teatri questo pubblico è stato così numeroso che non è potuto entrare per assistere allo spettacolo. Per cui il bilancio è positivo e infinitamente superiore a qualsiasi nostra aspettativa.
La scelta dello spazio raccolto del teatro è un po’ come tornare a casa per Lei, alle origini, a quando ancora il “Premio città di Recanati” si faceva le ossa e una certa popolarità?
MUSICULTURA TOUR GRAN FINALE Intervista di Romina Coccia a Piero Cesanelli
Dal 12
novembre il
“bus
del-
la musica” fa tappa nei più bei teatri
marchigiani.
A
bordo
quattro artisti vincitori delle passate edizioni di ra
Festival,
Musicultu-
All’ideatore ed instancabile Direttore artistico di Musicultura Festival, Piero Cesanelli, abbiamo rivolto alcune domande.
talenti emergenti
della musica popolare e della
A
poche ore dall’ultima tappa
canzone d’autore contempora-
del
nea, e una madrina d’eccezione,
il bilancio di questa terza edi-
Paola Turci.
zione?
Musicultura Tour,
qual è
Senza
essere retorici il bilan-
cio non può che essere molto positivo, per due motivi essenziali.
Il primo, perché abbiamo veicolato della buona musica in tutta la nostra regione, e questo è già un traguardo.
Ho sempre amato la carovana della Compagnia di Capitan Fracassa che si spostava di paese in paese a portare la parola o la musica, e quindi a creare una serata che poi in qualche modo
restasse nella memoria del pubblico presente.
Questo
è una
fatto che mi ha sempre molto accattivato personalmente.
E poi il conquistare dei territori, nella posizione che questi territori occupano, ovvero nell’entroterra, dove tutto arriva in modo molto meno clamoroso, in una stagione ostica come è quella invernale, tra l’altro, è stato un altro grande traguardo. E abbiamo trovato un pubblico molto sensibile e attento, che ascolta le nostre proposte anche quando non sono estremamente immediate e facili. Possiamo dire che il messaggio lanciato da Musicultura è in parte anche questo, vale a dire la gente sa riconoscere la qualità delle proposte, e dove c’è qualità risponde con la propria presenza? Sì. Oltre a questo io direi è importante sempre analizzare se dietro una proposta c’è un progetto artistico.
Noi non abbiamo fatto mai proposte che non avessero un progetto artistico molto meditato e studiato. Organizzare una serata di intrattenimento, messa in piedi in pochi minuti, può avere anche un effetto piacevole immediato, ma poi non resta niente. Qualsiasi tipo di produzione Musicultura abbia fatto, ha sempre previsto precedentemente un progetto artistico articolato e studiato nei minimi particolari, e questo alla fine io dico che premia. Abbiamo parlato di teatro, e ben sappiamo in quali condizioni versano oggi questi “contenitori della cultura”. Taglio del fondo alla cultura, è la parola chiave di questo fine anno. Cosa ci vuol dire riguardo a questo argomento? Io ho un’idea precisa. Bisogna partire da un assioma: il taglio alla cultura equivale al taglio alla sanità. Cultura è sanità mentale ed emotiva di ogni cittadino. Mettere in atto questo progetto vuol dire privare il cittadino di quel tipo di ossigeno che gli permette di trascorrere una vita che sempre bella non è, vuol dire privarlo della possibilità di ricaricarsi, assistendo due tre quattro o più volte nel corso dell’anno a uno spettacolo in cui le varie arti, chiaramente parlo di tutto, di musica di letteratura poesia ecc. concorrono a
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a rendere la vita meno pesante, anche nel ricordo di quella serata. Significa pertanto fare una taglio alla sanità, e quindi alla nostra salute. Il taglio alla cultura non è solo grave, ma è una cosa inaudita il solo pensarla. Nel corso degli anni vediamo che queste serate rimangono in noi stessi. La canzone, ad esempio, ha un così forte potere, a volte anche inspiegabile, che non possiamo fare a meno di ascoltarla, anche quando sappiamo che ci fa star male perché rievoca ricordi non belli, ma non possiamo fare a meno di ascoltarla. La canzone è una grande protagonista dei nostri sentimenti. La canzone portatrice di significati profondi, una parola ben detta ha quindi un ruolo importante per Lei? Bisogna fare attenzione perché la canzone non è né poesia né un altro tipo di arte, è la canzone, cioè un connubio tra musica e testo, e interpretazione. La canzone non deve essere per nulla accademica. Non ha assunto la sua funzione una canzone perché intelligente e “difficile”, la canzone deve essere popolare, fruita da tutti, il che non significa assolutamente stupida e banale, come spesso accade. Popolare significa anche intelligente e sensibile.
A proposito di canzoni, state già lavorando alla prossima edizione del Musicultura Festival?
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abbiamo avuto in Italia, e penso alla scuola genovese, romana, bolognese, una grandissima stagione della canzone d’autore che però non ha messo in mostra persone a cui poter passare il testimone, anche se questi artisti esistevano. Noi lo stiamo facendo.
Stiamo analizzando il materiale che abbiamo ricevuto, e posso dire in anteprima che abbiamo avuto già un risultato clamoroso: più iscrizioni degli altri anni e il livello, di ciò che finora abbiamo Ha un sogno nel cassetto ascoltato, è molto molto alto. Piero Cesanelli? C’è un artista a Lei caro che vorrebbe Quale passo ulterio- e non ha ancora portato sul re vorrebbe far com- palco del Festival? piere al suo Festival? Lo stiamo rincorrendo perDi questi tempi mantenere ché per me rappresenta, oli risultati raggiunti è già un tre che un grandissimo artitraguardo enorme, visto l’at- sta, un’icona per quello che è teggiamento di coloro che stato da un certo anno in poi la rivoluzione musicale. Lo decidono della cultura. Io penso che dopo vent’un dico da una vita: è Bob Dylan. anni di Musicultura, lo stiamo illustrando quest’anno Ringrazio Piero Cesanelli con Musicultura Tour, noi per la Sua cortesia. siamo pronti a proporre una Da parte mia e di tutta la nuova generazione della can- redazione un sincero auguzone d’autore, che in qual- rio di Buone Feste. che modo possa convivere con la vecchia grandissima esperienza di canzone che
TARTUFO DI MARCA MUCCIA, TORNA IL FESTIVAL DEL TARTUFO NERO PREGIATO Intervista di Romina Coccia a Carlo Cambi Il 4 e 5 dicembre torna il Festival del Nero Pregiato. All’interno della Distilleria Varnelli, a Maddalena di Muccia ha luogo la storica manifestazione enogastronomica centrata sulla promozione del tartufo autoctono. Organizzata dai Comuni di Monte Cavallo, Pieve Torina, Muccia e Fiordimonte, in collaborazione con l’associazione Stella dei Sibillini, oltre al mercato dei produttori, numerosi sono gli eventi proposti durante il goloso fine settimana: dai duelli enogastronomici
alle lezioni di cucina, dagli aperitivi culturali ai convegni e laboratori sensoriali.
il sapore e i profumi del territorio. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Tra gli ospiti dell’edizione 2010 uno dei più autorevoli giornalisti enogastronomici d’Italia, Carlo Cambi, autore del famoso “Il Mangiarozzo. 1000 e più osterie e trattorie dove mangiare almeno una volta nella vita”.
La storica manifestazione assume quest’anno per la prima volta il nome “Tartufo di Marca” sottolineando in maniera più forte il collegamento con il territorio.
Quale occasione migliore di questa manifestazione per ritrovare colui che da sempre privilegia e scrive dei luoghi dove la cucina ha
Cosa vuol dire secondo Lei e perché è così importante la realizzazione di un marchio di riconoscibilità a difesa del Nero Pregiato dell’Alto maceratese?
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Da anni mi occupo di marketing territoriale e sono convinto che i prodotti enogastronomici siano dei potentissimi marcatori territoriali. Cosa significa? Semplicemente che hanno capacità da una parte di attrarre visitatori, dall’altra di evocare i territori con il loro linguaggio sensoriale. Per farla ancora più semplice: se il tartufo è un oggetto di desiderio, sapere che quel tartufo è dei Monti Sibillini trasferisce il desiderio anche sul territorio dei monti Sibillini. Ma non è solo questa la ragione. Oggi un prodotto deve essere riconoscibile e affidabile: riconoscibile perché il consumatore lo possa scegliere tra migliaia di opzioni possibili, affidabile perchè il consumatore percepisce il valore di un prodotto attraverso la garanzia. E il marchio ha questa doppia funzione. Infine vi è la sempre maggiore esigenza di tutela dalle contraffazioni. E questa tutela ha una doppia valenza: sia per i produttori che per i consumatori.
Dunque dare alla manifestazione un forte connotato territoriale è operazione non solo positiva ma imprescindibile. Mi pare che gli organizzatori facendo questa scelta siano sulla strada giusta. Semmai è da domandarsi quanto il territorio maceratese – sia le forze economiche private, sia le istituzioni pubbliche – siano consapevoli del valore di questa operazione, quanto siano pronte a sostenerla, quanto siano in grado di assicurarle continuità. Per affermare un marchio e un prodotto servono programmazioni di medio-lungo periodo. A Muccia sono solo all’inizio, ma sarebbe esiziale non comprendere il valore di questa manifestazione sulla quale conviene investire se si vuole far dare – come almeno a parole dicono tutti – una nuova prospettiva di sviluppo all’areale montano maceratese.
LA PRIMA WEB MAGAZINE Cultura gastronomica e turismo. E’ questo il tema della tavola rotonda di sabato 4 dicembre. Come contribuisce la valorizzazione del prodotto autoctono, in questo caso il Tartufo pregiato, allo promozione e allo sviluppo economico del territorio montano? Sostanzialmente in base alle indicazioni che ho già dato. Semmai nel caso specifico del tartufo vi è una leva in più che si può attivare e vi è una direzione sulla quale investire: sono la qualità e la specificità. La qualità va intesa sia in senso specifico relativa al tartufo che come condensato di valori aggiunti material e immateriali (la rarità, la sapidità, la versatilità gastronomica, la naturalità) è sicuramente una spia qualitativa positiva, sia per il trascinamento qualitativo che impone. Servire il tartufo vuol dire avere qualità nella ristorazione (altrimenti si devalorizza il prodotto, lo si banalizza e addio valori aggiunti!), ma anche qualità ambientale, vuol dire avere conservato il ciclo tradizionale (bosco-cavatore-commercializzazione) e la densità antropica degli areali montani. Vi è poi il lato della specificità: il tartufo di per se mette in moto un ciclo microeconomico ad alto valore aggiunto.
Basterebbe fare il confronto col prezzo che spunta un nero pregiato a fronte di altri prodotti agricoli per capire quanto consistente sia la differenza di valore. Ma non solo il tartufo può essere indubbiamente cavato e venduto, ma innesca comunque un ciclo di trasformazione cavatore-negoziante oppure cavatore-negoziante-ristoratore-cliente o ancora cavatore-grossistatrasformatore-cliente. Se poi il cliente è anche turista la catena del valore si allunga ulteriormente. Sarebbe interessante fare una stima del Pil generato dal tartufo. Scopriremmo che a bassi volumi di prodotto corrisponde un alto moltiplicatore economico. Ma perché tutto questo funzioni al meglio è necessario avere buon ambiente, buona distribuzione, buona ristorazione, buona promozione, buona capacità di generare turismo. Insomma serve un sistema territoriale coeso e tarato su alti standard qualitativi. E il marchio territoriale legato al tartufo è il primo, ma indispensabile passo. Riconquistare la tradizione del pranzo della domenica, con i cibi autentici e gli ingredienti che in quella stagione il territorio produce, significa esprimere i valori di una comunità?
Lei m’invita a una riflessione che, per essere esaustiva, richiederebbe spazio ben diverso da quello che ci è qui concesso. Cercherò di spiegarmi in sintesi estrema e perciò approssimativa. Parto da un dato di cronaca. Si è molto enfatizzato il pericolo dell’alcolismo nei giovani e nei giovanissimi finendo con il demonizzare anche il vino che con lo sballo non c’entra nulla. Tuttavia è vero che la trasmissione del sapere gastronomico che una volta si faceva in famiglia, attorno alla tavola, portava naturalmente ad un consumo moderato ancorché costante di vino.
Cito Michel Bourden – immenso cuoco francese – che disse “cucinare è un modo di dare”. Dunque il pranzo della domenica è un’alcova dei sentimenti. E dei sensi. Vi è una sorta di liturgia nella mensa della festa che è forse il più alto momento di trasmissione di valori nella famiglia. A ciò si aggiunga che la cucina delle Marche è intimamente legata con i riti e le stagioni rurali. Recuperare quei piatti della nostra tradizione significa ripristinare il legame tra tavola e terra – e dunque seguire rigidamente i cicli stagionali – e il legame tra terra e appartenenza.
Che è poi il senso profondo delle identità che si disvelano in famiglia e che diventano comunità. Vi è dunque anche un profondo valore di coesione sociale in questo modo di intendere il pranzo La cucina è prima di tutto domenicale. E per questo abbiamo deciso di riproporlo a affetto. Vi è una pedagogia del cibo che è insieme affettiva e fattiva. Il pranzo della domenica era non solo una festa, ma un momento di riaprropriazione dei valori familiari.
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Mai come in questo periodo i migliori piatti che ogni padrona di casa sa comporre e realizzare, i migliori vini delle nostre cantine vengono gioiosamente consumati. Vorrebbe offrirci un menù delle festività che abbia come spunto il tartufo?
a Muccia per esaltare ancora di più il carattere identitario e rurale dei nostri riti gastronomici. Lei è un antesignano della filiera corta e della spesa a chilometri zero. A che punto siamo secondo Lei? Mi perdoni: non è per spirito di polemica, ma io con la filiera corta e con il supposto chilometro zero c’entro davho compiuto un’operazione vero poco. di recupero delle ricette di Anzi le dirò che sono espres- tradizione e territoriali e di sioni che non mi piacciono e quei ristornati, trattorie e le trovo fastidiose come tutti osterie che praticano quella gli slogan. Sono delle sem- cucina. Il che significa cuciplificazioni. La cucina a chi- na stagionale, legata intimalometri zero non è mai esi- mente agli areali agricoli e stita. Pensi solo all’uso delle rurali dove risiedono quelle tavole, recupero delle cottuspezie. re lente, recupero dell’ingreQuanto alla filiera corta essa diente fresco, recupero dei ha un senso se s’intende: re- piati cosiddetti poveri. cupero delle origini rurali delIn particolare con Le ricetla gastronomia. te d’Oro che è un “librone” Ma lei non ha colpa di questo dove sono narrate, spiegate fraintendimento. E’ che anco- e catalogate oltre 1600 prera una volta lo slogan ha fat- parazioni ho fatto un lavoro che non era stato più fatto to premo sulla sostanza. dall’Artusi in poi: recuperare quanto più possibile della E’ un po’ come nel caso del- stratificazione gastronomica la dieta mediterranea che è dei nostri territori, ma non una mera invenzione di un di una gastronomia storica bensì di quella ancora pranutrizionista americano. ticata e servita quotidianaE’ vero invece che io con Il mente nelle trattorie italiane. Mangiarozzo e con Le ricette d’Oro del Mangiarozzo – libri che presenterò a Muccia e di cui è editore la Newton Compton -
Lei giustamente mi dirà: ma non è una gastronomia a filiera corta e chilometro zero? No.
Nel senso che gli agricoltori devono fare al meglio il loro insostituibile mestiere e i cuochi, le cuoche e i ristoratori devono esaltare questi ingredienti. Semmai è una cucina di prossimità, di stagionalità, semmai è il tentativo di assicurare attraverso i ristoranti un mercato agli agricoltori di specialità. La filiera corta presuppone che un tale extravergine venga usato da chi lo ha prodotto, io invece sono perché a Macerata si usi l’olio da Mignola, da Piantone di Mogliano, da Coroncina, ma non facendo cucinare ad un improvvisato agriturista bensì da un cuoco o da una cuoca che sa esaltare la peculiarità di questo ingrediente attraverso i suoi piatti. Spero si capisca la differenza. Una cosa però è certa: la cucina che racconto io, che amo io, che frequento io è la cucina dove l’ingrediente regna sovrano.
Un menù glielo offro volentieri, ma mi lasci dire che in questi giorni è nelle librerie un volume di rara importanza sia gastronomica che culturale e che sarà presentato anche questo a Muccia. E’ “La cucina delle Marche” scritto da Petra Carsetti (Editori Newton Compton) che ha un valore assoluto perché è il frutto di un lavoro di ricerca durato oltre un anno tra conventi, libri di casa nobiliari, ristoranti, famiglie, comunità, artigiani del gusto. Sono oltre 450 ricette dove è condensata tutta la tradizione e la sapienza gastronomica delle Marche:
una sorta di saggio antropologico in forma di racconto con la straordinaria utilità del ricettario. E in più ad ogni ricetta è stato abbinato un vino sempre marchigiano. Insomma si potrebbe estrarre da questo pregevole volume tutto il profilo sensoriale e culturale della cucina marchigiana. Ivi compresi i menù che lei mi chiede. Ma ecco i miei suggerimenti. Comincerei con una galantina di pollo fatta come iddio comanda dove il tartufo nero è ingrediente insostituibile nella farcitura. In abbinamento un Colli Maceratesi bianco per esaltare la freschezza del vitigno Maceratino che è in perfetto sposalizio con le carni bianche. Proseguirei con un crostone di pane caldo con fette di lardo di maiale nero dell’Appennino grattata di caciofiore dei Sibillini a fondere e una generosa spolverata di tartufo nero.
In abbinamento con un Verdicchio di Matelica capace di stemperare l’amaro del caciofiore e di pulire la bocca dal grasso. Come primo piatto inevitabili i Princepsgrass alla moda del Nebbia (una ricetta che insieme ad Emilia Migliorelli che è stata la “marietta” – in senso artusiano - di Petra Carsetti e ha contribuito non poco alla stesura del volume che citavo prima presenteremo a Muccia) da abbinare con un Rosso Piceno giovane. Come secondo piatto si può fare un gustosissimo petto di faraona a ventaglio con tartufo nero e castagne glassate nel vino rosso da abbinare sia con una Vernaccia nera ferma sia con un Sangiovese strutturato. E per finire dei bon bon di cioccolato amaro al cuore di tartufo da sposare con una Vernaccia di Serrapetrona. Grazie Dott. Cambi ed arrivederci a Muccia.
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ASCOLTAMI di
Giancarlo Trapanese A cura di Belinda Saltari
Esordirà domenica 5 dicembre alle 17,15 alla Sala Verdi del Teatro della Fortuna di Fano , con una prima nazionale, il nuovo lavoro di Giancarlo Trapanese “Ascoltami” edito dalla PeQuod già in libreria in tutta italia da mercoledì 24.
dopo l’appuntamento di Fano sarà l’11 a Saltara (17,30 Palazzo Balì), il 18 a Madonna di Campiglio alle 18 (Hotel Gianna) e soprattutto il 20 dicembre ad Ancona, teatro ridotto delle Muse alle 21,15. Quindi il 27 sera al Cinema Itralia a Numana.
Si tratta di un percorso a racconti negli itinerari e nei tragitti sentimentali attraverso vicende o frutto della fantasia o che prendono spunto da fatti realmente accaduti.
Il messaggio ed il contenuto del nuovo libro è particolare: l’amore in tutte le sue espressioni è la nota di fondo che accompagna ciascuno dei sedici racconti ognuno corredato da una foto di un fotografo marchigianoche ha interpretato il senso visivo della storia sotto la direzione tecnica del grande Paolo Monina che ne ha curato
Una prosecuzione ideale sia del primo libro dell’autore marchigiano (Se son Fiori) sia del contenuto emozionale di Sirena senza coda, il libro scritto assieme a Cristina Tonelli, giunto ormai alla quinta ristampa, e che continua a far parlare di se ( un femomeno editoriale ha scritto l’Eco di Bergamo facendo riferimento al considerevole numero di vendite tutte basate sul passa parola e senza alcun vetrina salottiera -televisiva). Intenso già il programma di presentazioni di “Ascoltami”:
la copertina. Ma forse è più esatto definirli piccoli romanzi, poiché ogni storia, lunga o breve che sia, rappresenta un’occasione a se stante per riflettere su un singolo aspetto del sentimento umano più autentico e profondo. Ascoltami è un invito a riscoprire e riconquistare noi stessi, esplorando le mille sfaccettature dell’amore, nell’erotismo, nell’amicizia, nella famiglia, con i diversi modi di alimentare gioia, dolore, speranza, rassegnazione, tradimento, passione, bellezza, lasciando alle spalle l’indifferenza e la paura per aprirsi alla fragilità ma anche alla dolcezza e all’emozione.Dunque vicende, alcune immaginate, altre tratte da casi reali, ambientate nella quotidianità, in cui ognuno può avere la sensazione di trovare qualche cosa che lo riguarda e insieme la felice percezione di aver colmato almeno un po’ la nostalgia verso la parte più autentica di noi stessi.