ministero per i beni e le attività culturali regione marche assessorato alla cultura
sinfonica Artista in residenza
MILENKOVICH suona BRAHMS Stefan Milenkovich direttore David Crescenzi violino
giovedì 20 febbraio 2014, ore 21.00 Macerata, Teatro Lauro Rossi sabato 22 febbraio 2014, ore 21.00 Pesaro, Teatro Rossini In collaborazione con Ente Concerti Pesaro domenica 23 febbraio 2014, ore 17.00 Fermo, Teatro dell’Aquila In collaborazione con Fondazione G.M.I - sede di Fermo martedì 25 febbraio 2014, ore 21.00 Jesi, Teatro Pergolesi mercoledì 26 febbraio 2014, ore 21.00 Ascoli Piceno, Teatro Ventidio Basso In collaborazione con Società Filarmonica Ascolana venerdì 28 febbraio 2014, ore 21.15 Fabriano, Teatro Gentile
orchestra filarmonica marchigiana filarmonicamarchigiana.com
Programma Ch. W. von Gluck (Erasbach, Palatinato superiore, 1714 – Vienna, 1787) Iphigénie en Aulide, Wq 40: Ouverture (rielaborazione di Richard Wagner)
J. Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) Concerto per violino e orchestra in re magg., op. 77 I. Allegro non troppo II. Adagio III. Allegro giocoso, ma non troppo vivace - intervallo -
L. van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827 ) Sinfonia n. 8 in fa magg., op. 93 I. Allegro vivace e con brio II. Allegretto scherzando III. Tempo di Menuetto IV. Allegro vivace
Note Eleganza, magniloquenza, espressività, forza, evidenza drammatica. Sono queste le qualità eminenti dell’arte musicale di Christoph Willibald von Gluck, il grande operista tedesco di cui si celebra quest’anno il trecentesimo anniversario della nascita. Qualità che egli pose al servizio di un radicale progetto di riforma dell’opera lirica volto a ridefinire il rapporto fra poesia e musica affinché, come nella tragedia antica, fossero le necessità del dramma e gli affetti racchiusi nella parola a determinare la forma e l’espressione musicali, piuttosto che le leggi assolute del bel comporre o la volontà, assunta come principio dall’estetica barocca cui Gluck intendeva contrapporsi, di sedurre l’orecchio attraverso il suono che desta “meraviglia”. L’idea, che avrebbe esercitato non poca influenza sulle opere di Mozart e in seguito soprattutto sulla concezione wagneriana del dramma musicale, trovò la sua attuazione artistica in due opere frutto della collaborazione fra Gluck e il letterato italiano Ranieri De’ Calzabigi, coautore e sostenitore della sua azione riformistica: Orfeo ed Euridice, del 1762, e Alceste, del 1767, entrambe rappresentate a Vienna. Ma essa assunse una dimensione internazionale, giungendo a piena maturazione, nell’opera in francese Iphigénie en Aulide, composta su libretto di Le Blanc Du Roullet dall’omonima tragedia di Racine, ispirata a sua volta al dramma di Euripide, e rappresentata all’Opéra di Parigi il 19 aprile 1774. Nell’Iphigénie en Aulide, per la cui preparazione Gluck pretese all’epoca ben sei mesi di prove (un tempo oggi impensabile!), sono richiesti agli esecutori un impegno ed una sensibilità interpretativa particolari: non solo ai cantanti, chiamati a subordinare il loro virtuosismo vocale all’espressione del contenuto testuale, ma anche all’orchestra, gratificata, diversamente da quanto è riscontrabile nell’opera italiana coeva, con lo svolgere un ruolo di primo piano nella definizione delle dinamiche del dramma. Tale protagonismo strumentale emerge con tutta evidenza sin dall’Ouverture, qui eseguita nella rielaborazione che Richard Wagner realizzò nel 1847 a Dresda in occasione della prima rappresentazione dell’opera in lingua tedesca. Fu del resto lo stesso Wagner, nella sua minuziosa analisi del brano Über die Ouverture zur Glucks “Iphigénie en Aulide”, pubblicata nel 1854, ad evidenziare come l’ouverture condensasse, in un monumentale impianto sinfonico di eccezionale raffinatezza strumentale, i motivi musicali,
i significati e le tensioni psicologiche dell’intero dramma: dalla tragicità del sacrificio imposto ad Ifigenia, solennemente espressa nell’Andante iniziale, ai tormenti interiori di Agamennone, carnefice e padre della fanciulla, rappresentati nel corso del seguente Allegro maestoso attraverso l’intreccio e lo sviluppo di due motivi contrastanti, l’uno energico e imperioso, l’altro dolce e sospirante. Nell’estate del 1878, ritornando dal suo primo entusiasmante viaggio in Italia, Brahms decide di fare una breve sosta a Pörtschach, un incantevole villaggio della Carinzia nei pressi del lago di Worth, con l’intenzione di proseguire subito dopo per Vienna; ma la bellezza del paesaggio è tale – «… Montagne bianche di neve, il lago azzurro, gli alberi ricoperti di un verde tenero», annota Brahms in un biglietto indirizzato all’amico Billroth – da indurlo a prolungare il suo soggiorno ben oltre le previsioni e a farsi mandare da Vienna molta carta da musica per poter catturare la magia di un villaggio in cui, come scrive poi al critico Hanslick, «… vagano così tante melodie che si deve stare attenti a non calpestarle». Fu in quel luogo idilliaco che vide la luce il Concerto in re magg., op. 77, l’unico, grande contributo brahmsiano alla letteratura concertistica per violino e orchestra. Il compositore volle dedicarlo al celebre virtuoso Joseph Joachim, suo amico di vecchia data, cui si era spesso rivolto durante la stesura del lavoro per avere consigli. Il concerto richiedeva infatti un eccezionale impegno esecutivo, sia per risolvere le impervie difficoltà tecniche presenti nella parte solistica (in particolare, le lunghe sequenze di corde multiple scritte in posizioni tutt’altro che facili), sia e soprattutto per decifrare, e quindi trasmettere all’uditorio, il senso musicale di una composizione poeticamente ricchissima e di inusitata complessità strutturale. Sul piano architettonico, infatti, Brahms respingeva il modello cui il pubblico dell’epoca faceva riferimento, quello del cosiddetto “concerto biedermeier” dove l’orchestra fungeva per lo più da sfondo alle spettacolari prodezze virtuosistiche del solista, per recuperare, attraverso Schumann, il rapporto dialogico alla pari fra “solo” e “tutti” realizzato nei capolavori classici di Mozart e di Beethoven e, quindi, inserirlo nell’ambito di una nuova prospettiva sinfonica in grado di fondere i due soggetti esecutori in una sola entità. Questo impianto strutturale, tradotto nel linguaggio sintatticamente e ritmicamente asimmetrico proprio dello stile romantico in generale e di quello brahmsiano in particolare, permise al compositore di fissare in forme solide e tuttavia aperte e flessibili le “melodie vaganti” ascoltate dal suo orecchio interiore durante le passeggiate intorno al
lago di Worth: emozioni intense e profonde, fra lirismo, malinconia, sensualità, benessere, entusiasmo ed ebbrezza, espresse da Brahms con quella vaga fluttuazione del sentimento in continuo divenire che è la ragione fondamentale del fascino della sua arte. Sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta a Vienna nel febbraio del 1814, l’Ottava Sinfonia in fa magg. op. 93 di Beethoven fu per lungo tempo considerata dal pubblico e da una buona parte della critica un’opera piuttosto strana, disorientante e, in definitiva, poco “beethoveniana”. Da un autore che aveva sconvolto il mondo con la sua musica estremamente drammatica, di dimensioni titaniche e di forte impegno etico, non ci si aspettava infatti una sinfonia di proporzioni così piccole, dal tono leggero e umoristico alla Haydn – evidente soprattutto nel secondo movimento, l’Allegretto scherzando, in cui Beethoven ironizza sull’invenzione del metronomo – e dai caratteri curiosamente settecenteschi. Oggi, tuttavia, questa “piccola sinfonia”, come l’autore stesso la definì, viene giustamente considerata non solo una grande sinfonia, ma anche una delle più autenticamente beethoveniane. Innanzitutto per il tipo di umorismo, che non è affatto quello aggraziato e sereno di stampo settecentesco, bensì l’umorismo possente di una divinità o di un demone che sembra divertirsi a giocare con la materia musicale, saggiandone in particolar modo tutte le possibilità di variazione dinamica – si notino soprattutto i continui passaggi dal piano al forte nel quarto movimento e l’impressionante sviluppo del primo, con quel fortissimo in sforzando e in crescendo che sembra non debba finire mai! Inoltre, anche se ciò può apparire strano e contraddittorio, per la stessa atmosfera settecentesca, presente in molti momenti della sinfonia ma soprattutto nel Tempo di Menuetto. Qui compaiono infatti i primi sintomi di quel ritorno al classicismo del Settecento, specie quello mozartiano, che diverrà uno degli elementi essenziali della poetica beethoveniana nel periodo dell’estrema maturità, quando il compositore, malato e completamente sordo, rinuncerà ad esprimere i grandi ideali collettivi della propria epoca e, ripiegando su se stesso, tenterà di procurarsi stati di grazia e beatitudine individuali attraverso il recupero e la personalissima rielaborazione di vecchi generi aristocratici di danza, come il minuetto, nelle cui formule rituali il Settecento sembrava essere riuscito ad eternare la felicità. Cristiano Veroli
Stefan Milenkovich violino Stefan Milenkovich, nativo di Belgrado, ha iniziato lo studio del violino all’età di tre anni, dimostrando subito un raro talento che lo porta alla sua prima apparizione con l’orchestra, come solista, all’età di sei anni ed incominciando una carriera che lo ha condotto ad esibirsi in tutto il mondo. È stato invitato, all’età di 10 anni, a suonare per il presidente Ronald Reagan in un concerto natalizio a Washington, per il presidente Mikhail Gorbaciov quando aveva 11 anni e per il Papa Giovanni Paolo II all’età di 14 anni. Ha festeggiato il suo millesimo concerto all’età di sedici anni a Monterrey in Messico. Stefan Milenkovich ha partecipato a diversi concorsi internazionali, risultando vincitore di molti premi: al Concorso di Indianapolis (USA), al “Tibor Varga” in Svizzera, al “Queen Elizabeth” di Bruxelles, allo “Yehudi Menuhin” in Gran Bretagna, al “Lipizer”di Gorizia e al “Paganini” di Genova, al “Ludwig Spohr ed al Concorso di Hannover (Germania). Riconosciuto a livello internazionale per le sue eccezionali doti artistiche, ha suonato come solista con l’Orchestra Sinfonica di Berlino, l’Orchestra di Stato di San Pietroburgo, l’Orchestra del Teatro Bolshoj, la Helsinki Philharmonic, l’Orchestra di Radio-France, l’Orchestra Nazionale del Belgio, la Filarmonica di Belgrado, l’Orchestra di Stato del Messico, l’Orchestra Sinfonica di Stato di San Paolo, l’Orpheus Chamber Orchestra, le Orchestre di Melbourne e del Queensland in Australia, l’Indianapolis Symphony Orchestra, la New York Chamber Symphony Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, collaborando con direttori del calibro di Lorin Maazel, Daniel Oren, Lu Jia, Lior Shambadal, Vladimir Fedoseyev, Sir Neville Marriner. Nell’ambito della musica da camera, è invitato regolarmente alle Jupiter Chamber Music Series, ed è fondatore e membro del Corinthian Piano Trio e più recentemente del Formosa Quartet. La sua discografia include tra l’altro le Sonate e le Partite di Bach e l’integrale per la Dynamic (2003) delle composizioni per violino solo di Paganini. Stefan Milenkovich è profondamente impegnato anche in cause umanitarie: tra l’altro nel 2003 gli è stato attribuito a Belgrado il riconoscimento “Most Human Person”. Ha inoltre partecipato a numerosi concerti patrocinati dall’UNESCO a Parigi, esibendosi al fianco di Placido Domingo, Lorin Maazel, Alexis Weissenberg e Sir Yehudi Menuhin. Dedito anche all’insegnamento, nel 2002 è stato assistente di Itzhak Perlman alla Juilliard School di New York, prima di accettare l’attuale incarico di Professore di violino all’Università dell’Illinois Urbana – Champaign (USA).
David Crescenzi direttore David Crescenzi è stato assistente di Alessio Vlad e allievo del Maestro Kuhn, del quale ha frequentato un corso di perfezionamento presso i “Pomeriggi Musicali” di Milano. Vincitore di numerosi premi, tra cui il Concorso Nazionale di Pesaro e il “Ferragamo” di Arezzo, ha dietro di sé, ancora giovane, una brillante carriera come direttore di coro e direttore d’orchestra. Dal 1998 è direttore ospite principale del Teatro dell’Opera del Cairo, dove ha ottenuto ampi consensi di pubblico e di critica dirigendo opere di Rossini, Puccini, Donizetti e Verdi.
Dal 1999 al 2001 ricopre la carica di maestro del coro presso l’Ente Lirico “Teatro Carlo Felice” di Genova e, dal 2006 al 2013, presso il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” partecipando alle stagioni liriche del Teatro Pergolesi di Jesi, del Teatro delle Muse di Ancona e dello Sferisterio di Macerata. Dal dicembre 2002 è direttore ospite dell’Opera Rumena di Timisoara. Nel luglio 2008 ha diretto l’Orchestra Filarmonica Marchigiana nel debutto di Cleopatra di Lauro Rossi all’omonimo teatro di Macerata per la Stagione Lirica di Sferisterio Opera Festival. Nel 2009 ha debuttato al teatro Bolshoi di Mosca con l’opera Otello di Verdi. Nel 2010 ha diretto Attila di Verdi all’Opera di Budapest, nel 2011 Adriana Lecouvreur di Cilea all’Opera Rumena in prima assoluta per la Romania e il concerto di apertura della Stagione Sinfonica della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana con Uto Ughi, nel 2012 Faust di Gounod all’Opera Rumena con Roberto Scandiuzzi. Dal gennaio 2013 è Direttore Ospite presso l’Orchestra Nazionale della Radio di Bucarest, dove ha debuttato nel Don Carlo verdiano in forma di concerto. Nel giugno dello stesso anno, per l’Opera di Cluj, dirige nuovamente il Don Carlo in forma scenica e in settembre il Trittico pucciniano. Per il 2014, oltre agli impegni con la FORM, dirigerà il Requiem di Verdi, lo Stabat Mater di Rossini, una nuova produzione de Il Trovatore all’Opera del Cairo, la Carmen a Seoul, il Barbiere di Siviglia a Bucarest. Crescenzi ha collaborato con grandi direttori, quali Callegari, Mariotti, Arrivabeni, Bartoletti, Battistoni, Bertini, Santi, Elder, Tate e con importanti registi, come Pizzi, Brockaus, Ferretti, Cavani, Ranieri, De Hana,Pier’Alli.
OrchestraFilarmonicaMarchigiana Violini I Alessandro Cervo ** Giannina Guazzaroni * Alessandro Marra Laura Di Marzio Lisa Maria Pescarelli Cristiano Pulin Elisabetta Matacena Paolo Strappa Matteo Metalli Violini II Simone Grizi * Laura Barcelli Baldassarre Cirinesi Alberto De Stefani Simona Conti Sandro Caprara Sergio Morellina
Viole Ladislao Vieni * Massimo Augelli Cristiano Del Priori Lorenzo Anibaldi Martina Novella Violoncelli Alessandro Culiani * Antonio Coloccia Gabriele Bandirali Nicolino Chirivì Tamara Toppi Contrabbassi Luca Collazzoni * Andrea Dezi Marco Cempini
** Primo Violino Concertatore * Prime parti
Flauti Francesco Chirivì * Saverio Salvemini Oboi Fabrizio Fava * Marco Vignoli Clarinetti Danilo Dolciotti * Luigino Ferranti Fagotti Paolo Biagini * Giacomo Petrolati
Corni David Kanarek * Giovanni Cacciaguerra Roberto Quattrini Alessandro Fraticelli Trombe Giuliano Gasparini * Manolito Rango Timpani Adriano Achei *
Ispettore d’orchestra Michele Scipioni
prossimi concerti MAGIC FLUTE W. A. Mozart Concerto per flauto e orchestra n. 2 in re magg., K. 314 P. De Sarasate Carmen Fantaisie, op. 25, rielaborazione per flauto e orchestra di Davide Formisano F. Schubert Sinfonia n. 5 in si bemolle magg. D. 485 Flauto Davide Formisano Primo violino concertatore Alessandro Cervo venerdì 14 marzo 2014, ore 21.00 – Jesi, Teatro Pergolesi sabato 15 marzo 2014, ore 21.15 – Fabriano, Teatro Gentile domenica 16 marzo 2014, ore 17.00 – Fermo, Teatro dell’Aquila In collaborazione con la Fondazione G.M.I - sede di Fermo martedì 18 marzo 2014, ore 21.00 – Macerata, Teatro Lauro Rossi
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