Mag 49 Aprile 2013

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N. 49 APRILE 2013

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M AGA Z I N E

D E

Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)

IL CARROZZONE

Ecco dove buttano i nostri soldi di Gisella Roncoroni e Paolo Moretti

LAVORO

ALIMENTAZIONE

ECONOMIA

SPORT

Il futuro dei giovani rinasce all’estero

Così nascono i cibi della porta accanto

I mercati dell’usato scacciano la crisi

Correre in montagna una passione lariana

di Irene Alert Rossi

di Annalisa Testa

di Sara Della Torre

di Carla Colmegna







L’editoriale di Diego Minonzio

La vergogna e l’orgoglio Ognuno ha il carrozzone che si merita. Cambiano le proporzioni dello spreco e le facce degli impuniti che lo causano, ma il concetto resta lo stesso: soldi pubblici - soldi nostri - buttati al vento. Dopo la magnifica intervista al vescovo Diego Coletti, che ha aperto il Mag di marzo con un grande riscontro fra i lettori, questo mese abbiamo deciso di tornare a un tema di cronaca vero, di quelli che fanno infuriare i cittadini onesti, soprattutto in un periodo in cui non è facile per nessuno tenere a galla un bilancio aziendale o familiare. I nostri cronisti Gisella Roncoroni e Paolo Moretti - autori qualche tempo fa di una splendida inchiesta che metteva a confronto gli stipendi dei politici e dirigenti pubblici lariani con quelli delle più alte cariche americane ed europee e che ci ha fatto scoprire che il presidente degli Stati Uniti guadagna come un polveroso e spesso del tutto inutile funzionario comunale - ora hanno cambiato binario. Ma non obiettivo. E sono andati a dare un’occhiata al Palazzo della Regione Lombardia a Como. Il famigerato Pirellino. E ne hanno trovate di cose… Bene, senza anticipare nulla dei dettagli davvero gustosi e, a leggerli bene, particolarmente irritanti riportati nel servizio che ispira la copertina di aprile del nostro mensile, possiamo solo confermare che si tratta di un disservizio che la dice lunga su cos’è diventato questo Paese. E guardate che non è questione di Roma, Napoli, Regione Sicilia o bella città prealpina affacciata sul lago. Certo, gli sprechi di altre realtà del centrosud ben note alle cronache sono assolutamente più eclatanti e vergognosi rispetto alla nostra spazzatura nascosta sotto il tappeto, ma la cultura che li sottende è esattamente la stessa. Edifici inutili, semivuoti, di dispendiosissima gestione, specializzati nel covare sacche di sottolavoro e di inefficienza inaccettabili in un territorio evoluto come il nostro. Tutti si indignano, tutti criticano ma, almeno fino ad ora, nessuno ha mai fatto nulla per radere al suolo un disservizio metafora di una nazione poco seria. Speriamo che l’inchiesta che state per leggere serva almeno a spingere la nuova amministrazione regionale a mettere fine a questa piccola vergogna cittadina. Ma cercate di non deprimervi, per favore. Il Mag non si ferma qui e vi propone la consueta carrellata di pezzi di costume dedicati a storie e personaggi tipici della nostra terra, tra i quali è il caso di segnalarne almeno due. Innanzitutto, la strepitosa accoglienza riservata all’iniziativa del Teatro Sociale di far partecipare ai Carmina Burana in programma a fine giugno all’Arena tutti i comaschi appassionati di canto. Un successo degno di X Factor. Sono arrivati a decine e decine per sperimentarsi in una passione antica e nobilissima e per poter essere orgogliosi di dire “io c’ero” alle celebrazioni dei primi duecento anni del teatro cittadino. Poi, un bel racconto di Franco Brenna che narra, con toni e tratti da vero romanziere, il profilo umano ed artistico di Mario Tosatto, campione irripetibile di un’epoca così lontana e diversa dalla nostra che ci fa capire che gli uomini passano ma il lago, con la sua magia incantata, è stato creato per restare. Buona lettura a tutti.

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N. 49 APRILE 2013

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Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,20 + Mag € 0,30)

IL CARROZZONE

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Ecco dove buttano i nostri soldi di Gisella Roncoroni e Paolo Moretti

LAVORO

ALIMENTAZIONE

ECONOMIA

SPORT

Il futuro dei giovani rinasce all’estero

Così nascono i cibi della porta accanto

I mercati dell’usato scacciano la crisi

Correre in montagna una passione lariana

di Irene Alert Rossi

di Annalisa Testa

di Sara Della Torre

di Carla Colmegna

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MAG - APRILE 2013

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L’EDITORIALE

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DIECI BELLE NOTIZIE

30 COMO CITTÀ DELLA LUCE Ridisegnare il futuro nel nome di Volta

di Diego Minonzio

di Maria Castelli

di Alberto Longatti e Stefania Briccola

LE OPINIONI 19

«Pubbliche virtù»

20

«Occhi sul mondo»

22

«Donna di picche»

23

«La borsa & la vita»

39 USATO È MEGLIO Voglia di affari nei Mercatopoli

di Alberto Proserpio

di Sara Della Torre

di Umberto Montin

46 MANGIARE E BERE A KM ZERO Ecco come alimentarsi con prodotti del territorio

di Tina Pellizzoni

di Annalisa Testa

di Giuseppe De Filippis

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54 HANNO SCELTO DI PARTIRE Storie di giovani Con il futuro all’estero di Irene Alert Rossi Manuela Moretti Paolo Moretti

61 LE DONNE E LE CRAVATTE L’impresa tutta rosa che esporta nel mondo di Serena Brivio

67 TESSUTI BIO MADE IN COMO Tradizione, innovazione ed ecosostenibilità di Daniela Mambretti

IL CARROZZONE DOVE BUTTANO I NOSTRI SOLDI

di Gisella Roncoroni e Paolo Moretti I tre piani del palazzo tra via Einaudi e viale Varese, inaugurato nell’aprile 2003 e acquistato dal Pirellone per un costo superiore agli 8 milioni e 200mila euro, ospita nei primi due piani 33 lavoratori alle dirette dipendenze della Regione Lombardia. Il Pirellino vanta una media di un “quadro”, ovvero di un dirigente, ogni otto dipendenti. Mediamente ogni lavoratore guadagna circa 46mila euro, ma il calcolo tiene conto anche di 5 lavoratori part time che evidentemente incidono molto meno sul budget annuale. E gli stessi consiglieri regionali avanzano perplessità sulla necessità di tenere in vita il Pirellino comasco.

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82 97

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DIRETTORE RESPONSABILE

Diego Minonzio

74 104 Colpo di spugna di Elisabetta Broli

74 I MUSCOLI DEL LARIO Corse in montagne e maratone da record di Carla Colmegna

105 Le parole che non tornano di Emilio Magni

106 Eventi di Serena Brivio

112 Navigazioni Lariane di Luca Meneghel

113 Scaffale

di Carla Colmegna

di Laura d’Incalci

114 Grande schermo

90 L’ANIMA DEL JAZZ Storia artistica di Carlo Uboldi

di Bernardino Marinoni

117 Animali

di Marinella Meroni

di Alberto Cima

118 Il consiglio dello chef

97 MARIO TOSATTO CENT’ANNI D’ARTE Racconto di una vita con vista lago di Franco Brenna

Giuseppe Guin

tel. 031.582342 - 335.7550315 fax 031.582421 g.guin@laprovincia.it redmag@laprovincia.it

OPINIONI Alberto Proserpio, Umberto Montin, Tina Pellizzoni, Giuseppe De Filippis SERVIZI

111 (S)fashion

82 MI VA DI CANTARE E SONO IN 200 Il coro del Sociale e le voci bianche

RESPONSABILE di REDAZIONE

di Silvana Corti

119 La vita in verde

di Erica Ratti e Federico Ratti

121 Vivere sicuri

di Davide Meroni

Gisella Roncoroni, Paolo Moretti Alberto Longatti Stefania Briccola Sara Della Torre, Annalisa Testa, Irene Alert Rossi, Manuela Moretti, Laura D’Incalci, Daniela Mambretti Carla Colmegna, Alberto Cima. RUBRICHE Maria Castelli, Elisabetta Broli, Emilio Magni, Luca Meneghel, Marinella Meroni, Davide Meroni, Eugenio Gandolfi, Franco Brenna, Federico Roncoroni, Slvana Corti, Francesco Angelini, Tiziano Testori, Erica Ratti, Alessandra Uboldi, Federico Ratti, Bernardino Marinoni. TENDENZE E MODA Serena Brivio FOTOSERVIZI Carlo Pozzoni, Andrea Butti Enrico Selva REALIZZAZIONE GRAFICA

122 Il bello della Salute

90

di Eugenio Gandolfi di Franco Brenna di Tiziano Testori

126 L’oroscopo

di Alessandra Uboldi

129 L’aforisma del mese di Federico Roncoroni

130 Last minute

di Francesco Angelini

10 10

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DIREZIONE CREATIVA Monica Seminati IMPAGINAZIONE Barbara Grena PUBBLICITÀ Sesaab servizi - Divisione Spm Tel. 031.582211 STAMPA Litostampa - Bergamo Numero chiuso in tipografia il 2 aprile




Dieci belle notizie di Maria Castelli

LA FAVOLA DI VALENTIN A Tavernola, il piccolo Valentin ha ritrovato il tesoro della vicina di casa: era nascosto sotto un cespuglio nel giardino da quasi un anno. Nel mese di maggio del 2012, i ladri si erano introdotti in casa di Carolina Roscio che era riuscita a metterli in fuga, ma avevano già fatto in tempo a rubare un cofanetto con monete e gioielli di non grande valore commerciale, ma preziosi perché rappresentano i ricordi di una lunga vita. N o n n a C a ro l i n a h a compiuto cent’anni a novembre e da gennaio guarda dal paradiso le strane cose che accadono quaggiù. Chissà, forse è stata lei a dirigere i passi di Valentin verso il cespuglio, ad aiutarlo a scavare per gioco nella terra e a trovare il cofanetto. L’ha mostrato al nonno, vicino di casa della figlia di Carolina Roscio e il nonno ha ricordato l’antefatto. Il cofanetto e tutto ciò che rappresenta sono tornati a casa.

L’OSPEDALE ALL’AVANGUARDIA L’ospedale Sant’Anna sempre più avanti, anche per la diagnosi e la cura di malattie che toccano fasce ristrette di popolazione. L’Unità di Pediatria diretto da Riccardo Longhi si occupa pure di “Alte”, acronimo di Evento apparentemente rischioso per la vita, una sintomatologia che preoccupa i genitori, disturba il sonno dei bambini e peggiora la qualità della vita. Il reparto è dotato di macchinari in grado di registrare alcuni parametri durante il sonno e, individuato il problema, l’equipe di specialisti propone la soluzione. Anche per gli adulti disturbati nel sonno da apnee notturne, il Sant’Anna dispone di un’èquipe di specialisti, attiva da oltre dieci anni.

IL GENIO AL FEMMINILE Va a Como il premio per la fisica Eps, European physical society, intitolato a Emmy Noether, una delle più grandi matematiche di tutti i tempi. Per il 2013, è stato assegnato ad Alessandra Gatti, coordinatrice del gruppo di ottica quantistica del Dipartimento di Scienze ed Alta Tecnologia dell’Università dell’Insubria. In particolare, si occupa di fisica quantistica, quantum images e di entanglement spaziale. Le applicazioni pratiche di queste ricerche di alto livello portano al miglioramento delle immagini in campo biomedico, cioè affinano le conoscenze per sfidare le malattie. «Nella ricerca a Como vantiamo alcune eccellenze, benché l’ateneo sia a dimensioni ridotte», ha dichiarato la dottoressa Gatti, pure ricercatrice all’istituto di fotonica ed alte tecnologie del Cnr.

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IL PAPA EMERITO E I BAMBINI «Quando abbiamo saputo che Papa Benedetto rinunciava al ministero petrino, ho spiegato ai miei alunni di terza elementare che stavamo vivendo un momento storico. I bambini mi hanno chiesto che cosa potevano fare per salutare il Pontefice e ci è venuta l’idea di scrivergli una lettera»: è il racconto del maestro Damiano Colombo, scuola elementare di Alserio. «Caro Papa - hanno scritto i bambini - da una parte ti capiamo per l’età avanzata e sappiamo che per fare il Papa ci vuole tanta forza, però ci dispiace moltissimo. Ciascuno di noi vuole dirti un grande grazie per tutto quello che hai fatto». E ciascuno ha aggiunto un pensiero personale. Due giorni dopo la fine del pontificato, attraverso la segreteria di Stato Vaticana, Benedetto XVI ha risposto alla «graziosa lettera» e ringrazia per l’«affettuoso pensiero».

APPLAUSI AI FILIPPINI

ALTRO CHE FIGLI DI PAPA’ Un gruppo di figli di industriali comaschi, età compresa tra i 19 e i 24 anni, ha aderito all’iniziativa di Confindustria per preparare le nuove generazioni alla guida dell’impresa di famiglia. “Figli d’impresa”, si chiama, appunto, l’iniziativa. Il futuro comincia bene, come lasciano trasparire le dichiarazioni dei partecipanti: «Vogliamo portare idee nuove. Reinventare le aziende», è una. E un’altra: «Noi abbiamo grinta da affiancare all’esperienza degli adulti». E ancora: «La freschezza e la mentalità più aperta soprattutto verso gli altri Paesi». Il consiglio di Viola Verga: «Andate all’estero. Ed è meglio farlo lavorando, piuttosto che solo con l’Erasmus. Io l’ho fatto e mi è servito».

Il gruppo Como Gsw Community Clean up dry della Comunità filippina a Como ha ripulito spontaneamente i giardini a lago e ha ricevuto consensi ed apprezzamenti con tanti punti esclamativi. «Se stiamo in un posto, lo dobbiamo tener pulito, è normale», ha replicato Phil Faustino, rappresentante della Comunità filippina a Como. «Como è molto bella - ha proseguito - ma bisogna tenerla pulita, in tutte le zone della città. Noi cerchiamo di farlo dove ci ritroviamo e so che ci sono altri connazionali che si stanno organizzando per fare lo stesso. Puliamo per nostra iniziativa, non abbiamo chiesto niente al Comune».

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UNO STAGE PER TUTTI Uno studente con lieve disabilità dell’Istituto Ripamonti ha avuto la possibilità di frequentare un tirocinio grazie alla sensibilità e alla disponibilità della ditta Maspero – Fontana di Cermenate. «Temo che mio figlio rimanga escluso dagli stages. Ma vorrei che potesse fare quest’esperienza come tutti gli altri studenti», aveva detto la madre, Annarita Mastico, posta di fronte ai problemi burocratici ed organizzativi che rendevano difficile per il ragazzo alternare scuola e lavoro. Ma la ditta di Cermenate è da sempre vicina al mondo della scuola e in collaborazione con i docenti ha consentito di superare gli ostacoli.

PIONIERI NEL COMASCO I pionieri si trovano nel comasco: sono le nuove imprese improntate alla ricerca, all’innovazione, alle tecnologie. Ad inizio marzo, venti start up si stavano iscrivendo nell’apposito registro della Camera di Commercio, istituito in seguito al Decreto Crescita 2.0. Diversi i settori, dallo studio dei batteri probiotici di nuova generazione per l’industria alimentare, a tecnologie avanzate per il recupero di materiali di scarto metallurgico ai prototipi per il riscaldamento di liquidi solidi. E ancora: sofisticati sistemi ottici e software informatici. «All’interno di uno scenario economico difficile, le start up rappresentano le nuove aree di speranza, in grado di ridare slancio alla produzione e all’occupazione», ha detto Giorgio Carcano, presidente di Comonext, il parco scientifico tecnologico di Lomazzo, uno degli ambienti favorevoli a chi ha idee e cerca gambe per farle camminare.

IL BENEFATTORE DEL PARCO A Fino Mornasco, il parco comunale di villa Mambretti aveva urgente bisogno di manutenzioni, ma i soldi non erano sufficienti. S’è fatto avanti un anonimo benefattore che ha donato 6.500 euro per le opere necessarie alla sistemazione del parco, costruito negli anni ’20 e dalle piantumazioni di valore. Anche gli affreschi di villa Mambretti saranno presto restaurati: un mecenate ha donato a questo scopo 11mila euro. Villa e parco finesi hanno qualcosa in più: la generosità dei cittadini.

UN INSOLITO GRAZIE «Vorrei porgere il mio più grande abbraccio simbolico a due persone che hanno saputo rallegrare le mie giornate e quelle di molta altra gente con la loro simpatia e gentilezza. Grazie ad Enrico e Vittorio Righi che, dopo 31 anni, hanno chiuso la loro attività di bar ed edicola in Piazzale Gerbetto a Como. Un sentito grazie di cuore per la tutta la vostra cortesia, simpatia e gentilezza. Credo che tutti coloro che vi hanno conosciuto vi porteranno nel cuore come me». Lettera inviata a “La Provincia” da Isabella Introzzi.

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Pubbliche virtù di Giuseppe De Filippis Farmacista

Quando è in gioco la salute «Il mondo cambia velocemente, è sempre cambiato e sempre cambierà. Stolto colui che non sa adeguarsi». È un vecchio motto latino che Darwin ha posto alla base della sua teoria: «Non sono le specie più forti e neppure le più intelligenti che sopravvivono ai cambiamenti, ma quelle che sanno adattarvisi prima delle altre». La farmacia ed i farmacisti negli ultimi 50 anni hanno dovuto farlo più volte. Nell’immediato dopoguerra il laboratorio delle preparazioni galeniche era ancora il punto di lavoro più importante dove il farmacista svolgeva la sua professione. Con l’avvento del Sistema Sanitario Nazionale e con la diffusione a tutta la popolazione del servizio farmaceutico, le specialità medicinali preconfezionate hanno preso il sopravvento. Il farmacista si è trasformato da preparatore in dispensatore di farmaci. Con il passare degli anni si è compreso che la “prevenzione” è spesso più importante della stessa terapia. Oggi non basta più “star bene” ma tutti vogliamo stare meglio. Così la farmacia si è trasformata da semplice luogo di distribuzione del farmaco in un vero e proprio centro di salute e benessere. Al farmacista si chiede non solo come e quando usare il farmaco prescritto dal medico, ma anche un consiglio sulle terapie più semplici oltre che un parere su come migliorare il proprio stile di vita. Tutte le farmacie sono in costante collegamento con le Asl, la Regione, il Ministero e con le Aziende della distribuzione. Una volta al mese, tutte le 18.500 farmacie trasmettono i dati del consumo dei farmaci agli organismi competenti e così il ministero della Salute conosce la morbilità presente nel paese, la spesa dei farmaci per categoria terapeutica e per gruppi di pazienti. Quale sarà il prossimo cambiamento a cui la farmacia dovrà adeguarsi? Due a mio avviso le strade che si potranno percorrere. Una prevede un’integrazione ancora maggiore con il Serv. San. Naz.: al farmacista di domani sarà richiesto

una presa in carico dei pazienti più deboli: gli anziani, i diabetici, i broncopneumopatici. Dovrà mostrare loro l’uso corretto degli inalatori o delle penne/siringhe. Sarà chiamato a verificare insieme a tali pazienti l’effettivo controllo dell’aderenza alla terapia, con un costante collegamento con il medico di base per valutare insieme se il paziente non si attiene a quanto prescritto. Secondo i più accreditati lavori scientifici, tali controlli faranno diminuire del 30% le ospedalizzazioni. Inoltre nell’ottica del contenimento della spesa ospedaliera il farmacista potrebbe rivelarsi indispensabile grazie alla sua capillarità sul territorio ed alla rete informatica di cui è già dotato. La legge che prevede l’estensione di molti servizi di carattere sanitario alla farmacia è stata promulgata con tale obbiettivo. L’altra strada potrebbe essere il modello anglosassone: catene di farmacie e megastore dove alla vendita di qualsivoglia prodotto è associata anche la vendita dei farmaci, giustificata dall’ammiccante promessa che questo sarebbe il modo più sicuro per far diminuire il prezzo dei farmaci nell’interesse del consumatore. Grandi strutture con grandi parcheggi e servizi garantiti: medici e dentisti a prezzi vantaggiosi con martellante pubblicità sulla necessità di curare malattie che ancora non abbiamo. In tale ipotesi non avrebbe più senso parlare nè di pianta organica (corretta distribuzione delle farmacie in base agli abitanti e alle realtà geografiche) nè del rapporto di fiducia fra il professionista e il paziente. Il farmacista dipendente di una multinazionale, magari anche produttrice di farmaci, avrà ancora la libertà di poter consigliare al paziente il prodotto che giudica, in scienza e coscienza, a lui più adatto? Il legislatore, come sempre, avrà il delicato compito di indicare la strada da percorrere. Speriamo solo, che almeno quando è in gioco la salute, la scelta sia fatta nell’interesse dei pazienti e non nell’interesse dei capitali che in tale comparto vengono investiti.

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Occhi sul mondo di Umberto Montin

Spazzacamini e nuova Europa «Eccol lì, lì el spazzacamin,/negher comè ‘l ciappin,/ cont in spalla el sacchett/e con dedrèe la raspa e el scoinett!/ Adess l’è deventaa’na raritaa/perché i termosifôn l’hann squas mettùu in pensiôn./ Ma on quaj vun l’è restaa;/l’incòntrom anmò incoeu/ quell càr spazzacamin, quel poerett ch’èmm comenciaa a cognoss sui paginett/ di primm liber de scòla, e a nûm fioeu/oh come el me piasêva...;/ che ben ghe se vorêva !» La poesia del chiassese, ma nato da una famiglia comasca, Giorgio Bolza, scritta nel 1930, ci porta a un mondo che non esiste più e che già allora mostrava i segni del suo accantonamento. Eppure non ovunque è così. In Germania, ad esempio, dove qualche spazzacamino - Schornsteinfeger è la dizione esatta - si vede ancora per le strade di Berlino talvolta con il costume tradizionale caratterizzato da un imponente cilindro. Anzi proprio nel Paese della signora Merkel, lo spazzacamino gode ancora di un prestigio unico e ha la fama di portare fortuna, forse perché fino dal medioevo evitava incendi e avvelenamenti. Questo “status” storico ha portato alla nascita degli spazzacamini di quartiere e i residenti, in base a una legge del 1935, erano obbligati a chiamare lo specialista di zona e solo quello. Ma se oggi la professione è in ribasso perché ci sono meno camini e, soprattutto, senza il carbone, richiedono una ben diversa manutenzione, ora gli spazzacamini e quelli tedeschi in particolare devono fare i conti con il mondo che cambia anche su altri versanti. In altre parole la loro specificità e la loro esclusività li connotano come una casta e ciò nell’Europa comunitaria non è più possibile. Così dal primo gennaio in Germania si è consumata una piccola “rivoluzione”: lo spazzacamino di quartiere non può più esistere, ognuno può rivolgersi allo specialista che desidera. Anche al di fuori del quartiere. Il tutto, è ovvio, in nome del principio della libera concorrenza. Un altro pezzo della vecchia Europa, un pezzo della tradizione anche letteraria e delle storie per bambini, crolla, cambia in maniera radicale. Gli schornsteifeger pare siano addirittura arrivati nel Nord del Vecchio Continente dall’Italia, ma in centinaia di anni sono diventati una categoria rispettata e molto competente, che ha saputo tenersi al passo con le nuove tecnologie per riuscire a pulire perfettamente le canne fumarie. Adesso però scatta anche per loro la sfida della concorrenza. Problemi? «Nessuno - assicurano - perché se prima, operando in un quartiere le spese erano contenute, ora alla parcella vanno aggiunti i costi degli spostamenti, oltre a tempi forse più dilatati del passato». Cosa significa questo? Che, in nome della salvaguardia della concorrenza, ancora una volta pagheranno i cittadini.

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Donna di Picche di Tina Pellizzoni Poetessa

La speranza e il bello quotidiano Sono appena tornata da un viaggio in Africa. Un altro. Già, perché quella terra è una calamita. E’ un mondo di contrasti, una bellezza senza pari e una miseria senza respiro. Un rincorrersi di terra rossa, di baobab maestosi, di savana bruciata, di clamorose bouganville. E poi capanne di paglia e fango su cui un povero segno di progresso ha sostituito il tetto di canne con una orribile lastra di lamiera. Verde, azzurra, grigia, nera. Così si vedono arrivando dal cielo. Poi le bancarelle sulla strada: un infinito corteo di povere cose dove si scambiano risorse della terra e pezzi di carne appese sul ciglio di un sentiero fangoso. O si sosta in una sorta di ritrovo con in mano un bicchiere e gli occhi persi in una fatalità antica. Dove c’è un agglomerato di capanne più consistente c’è un pozzo da dove con una leva a braccia si riempiono secchi e taniche d’acqua che le donne portano nelle capanne. Non ho visto persone con i capelli bianchi. Solo due o tre. E bambini? Ecco, qui inizia il senso della speranza. Sulla strada che taglia i villaggi a metà, l’unica strada, accanto alle capanne di fango, davanti ai poveri “bar”, alle bancarelle misere, ai pozzi grondanti di fatica, la mattina, poco dopo l’alba, una interminabile processione di bimbi, lieti, ordinati, in fila, tutti in divisa per andare a scuola. Arrivano da ogni varco, fra le capanne, fra gli alberi e si incamminano. Con le borse, con zainetti cuciti a mano, con il velo candido per le bambine e la gonna blu come i calzoncini dei maschietti. Ma come è possibile che siano così ordinati? Ci sono molte bambine con una specie di scopa. Cosa ne dovranno fare? Solo più tardi capiremo: le ragazzine, prima di entrare nella loro classe, “spazzano” tutta l’area polverosa intorno alla scuola. Gioiosamente. Questa è l’immagine più bella che mi rimane nel cuore di questa terra che amo. Sono appena tornata da una passeggiata nel cuore di Como. In una giornata, che volgeva a sera, benedetta dal cielo. Per quell’aria tersa e luminosa che marzo a volte sa donare, per quei paesaggi che man mano diventano presepe verso Brunate, per il Baradello che andava pian piano illuminandosi sul finire del giorno, per un tepore quasi di primavera che carezzava la pelle. Ecco mi sono guardata intorno e in alto: i bellissimi balconcini in ferro battuto, così diversi, così armoniosamente simili, in un alternarsi manifesto di alta laboriosità propria della nostra gente. Poi il Duomo, così maestoso e insieme gentile. Entro e quello scrigno di bellezza, mi accompagna in un’oasi di spiritualità. Sarà per quest’atmosfera diversa che si respira da quando un nuovo Papa, di nome Francesco, ci ha salutato in una sera di pioggia. Buonasera. Con una croce di ferro sul petto ci ha chiesto un silenzio di preghiera. E il giorno dopo ha parlato ai suoi confratelli esortandoli a non cedere al pessimismo e all’amarezza. Certo, di questi tempi, non è facile. Ma da quel viaggio in Africa ho colto segni di speranza nei bimbi puliti che frequentano scuole malconce. Nella passeggiata in centro ho visto la bellezza del nostro quotidiano. Nel panorama intorno al lago si avvertono segnali di impegno civile per realizzare una comunione di intenti. E nel Duomo riecheggia un messaggio così nuovo e così antico, di umiltà, di ottimismo, di speranza. Ecco, la speranza. Proprio quella, che fa aprire il cuore ai miracoli che ci passano accanto ogni giorno. Farli circolare, magari sul nostro giornale, in una mezza pagina “del bene”, aiuterebbe tutti. 22

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La borsa o la vita di Albertino Proserpio

Albergatore

Il sorriso salverà il turismo Un sorriso può salvare il turismo? Ne sono convinto, perché lo spirito di chi ti accoglie quando arrivi in un luogo, per quanto incantevole sia, si legge dall’allegria dipinta sul suo volto. Ed è uno spirito innato, che nessuna scuola, per quanto ottima, può insegnare. Agli istituti alberghieri spetta il compito di fornire tutte le tecniche necessarie, ma chi decide di fare del turismo la propria vita deve avere qualcosa in più. Parlo di vita e non di “mestiere”, perché le due cose non si possono scindere. Quando sono partito alla volta di Parigi, all’inizio degli anni Cinquanta, per immergermi nell’atmosfera irripetibile di quell’epoca meravigliosa portando con me tutta la sapienza culinaria italiana, ho immediatamente compreso che la soddisfazione, il piacere di chi si incontra vengono prima di tutto e, quindi, che era necessaria una dedizione assoluta. È la più grande lezione che ho riportato sul Lago di Como quando sono tornato a casa, dopo dieci indimenticabili anni passati nella “Ville lumière”. Ma non vivo nel passato: i tempi sono cambiati e credo sia difficilissimo, forse impossibile per un giovane rivivere una simile avventura con lo stesso spirito. Spesso sento di ragazzi che svolgono un’esperienza all’estero, imparando quei pochi rudimenti di lingua necessari, restando chiusi nelle cucine senza quasi mai mettere il naso fuori, imparando, magari, tecniche diverse, ma non “vivendo” lo spirito del turismo. E credo che la mancanza di questo spirito sia una delle pecche principali di Como. Non è, solo, l’aspetto di una città, a cui facciamo più caso noi di chi ci viene a visitare. Il lungolago è uno scempio, ma è pur sempre un piccolo segmento di un paesaggio meraviglioso che gli stranieri vogliono visitare tutto: a loro devono essere destinati maggiori servizi in termini di trasporti e di accoglienza per assicurarsi anche quel capitale non immediatamente visibile che è il preziosissimo passaparola che ci assicura altri ospiti in futuro. Gli italiani, poi, sono ancora più esigenti, soprattutto se conoscono (e conoscono bene) altre località di villeggiatura dove lo spirito d’accoglienza è ben presente, dove si è compreso che un problema dell’ospite è un nostro problema e dobbiamo impegnarci a risolverlo, dove si è capito, fino in fondo, che il turista rappresenta una risorsa alla quale dobbiamo riservare la massima attenzione. Soprattutto dove ci si diverte facendo il proprio lavoro, un lavoro che, personalmente, trovo meraviglioso e a cui ho dedicato tutta la mia vita e tutto me stesso. Mi piange davvero il cuore quando guardo le meraviglie naturali offerte dal nostro paesaggio, quando mi confronto con tanti capaci colleghi che mettono a disposizione ristoranti incantevoli, alberghi magnifici, e poi penso alle carenze dei servizi, a un sistema di trasporti rimasto indietro di decenni, a una politica che non ha saputo, salvo rari momenti, mettere il turismo realmente al centro dell’economia e della vita comasca (intendendo, naturalmente, anche tutto il lago, ma anche gli innumerevoli luoghi meravigliosi del nostro entroterra, ingiustamente poco considerati e segnalati). Problemi troppo grandi per risolverli con un sorriso? Forse, ma lo spirito deve essere quello di chi dà tutto se stesso per questa causa, senza rimpianti, senza fermarsi, con il sorriso sulle labbra.

mag

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G

ira una leggenda, in un palazzo di viale Varese. Una storia che racconta di un funzionario pubblico e del suo maxi ufficio. C’è così tanto spazio, nel palazzo dove il funzionario lavora, che gli uffici di certi dipendenti non avrebbero sfigurato a confronto con le dimensioni di alcuni monolocali. Poi l’ultimo piano dell’edificio viene ceduto, perché la crisi è crisi per tutti. E ogni risparmio, anche sugli spazi, torna utile. L’allora responsabile della sede si ritrova così a dover ridistribuire il personale. Pratica non necessariamente agevole. Il funzionario spostato dal suo maxi ufficio, infatti, si presenta al lavoro deciso a opporsi allo sfratto. Una battaglia combattuta con tanto di intervento medico: «Si certifica che il signor Tal dei Tali soffre negli ambienti chiusi», dichiara uno specialista. La leggenda racconta che per dirimere la controversia, e far traslocare il funzionario, sia dovuto intervenire addirittura il medico del lavoro. Il Palazzo del Pirellino soffia proprio in questi giorni le prime undici candeline. Ma la sua è una festa amara, tra leggende poco edificanti, proclami elettorali bellicosi da parte di alcuni candidati governatori, poi non eletti, e soprattutto costi che fanno a pugni con la filosofia da “spending review” che tante vittime illustri ha fatto tra gli sprechi di denaro pubblico. I tre piani del palazzo tra via Einaudi e viale Varese, inaugurato nell’aprile 2003 e acquistato dal Pirellone per un costo superiore agli 8 milioni e 200mila euro, ospita nei primi due piani 33 lavoratori alle dirette dipendenze della Regione Lombardia. L’ultimo piano, dove lavorano 42 persone, è invece stato ceduto ad Arpa ed Ersaf. Ogni anno l’avampo24

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di Gisella Roncoroni e Paolo Moretti foto Andrea Butti/Pozzoni

ECCO DOVE BUTTANO I NOSTRI SOLDI. STORIE, LEGGENDE E SCANDALI ATTORNO AL PIRELLINO, IL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA A COMO. COSTATO OTTO MILIONI, NE SERVONO QUASI DUE OGNI ANNO PER MANTENERLO E GLI STESSI CONSIGLIERI REGIONALI NE CRITICANO L’UTILITÀ.


IL CARROZZONE mag

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sto comasco dell’ente presieduto da Roberto Maroni costa quasi un milione e 700mila euro, soldi ai quali va aggiunto lo stipendio del direttore che fino a pochi mesi fa era Gabriele Di Nardo, ora andato in pensione, e il cui ruolo è stato preso - almeno temporaneamente - da Sauro Coffani, ex dirigente Ersaf dove poteva contare in uno stipendio annuale di 124mila euro. Nel corso della campagna elettorale il tema dei Pirellini è stato uno dei punti chiave del programma di Gabriele Albertini, candidato governatore con Monti. La sua idea era quella di chiuderlo, trasferire il personale in spazi più piccoli e meno onerosi, vendere il palazzo e portare in questo modo 26

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nelle casse della Regione 11 milioni di euro, da utilizzare prioritariamente per la conclusione delle opere sul lungolago. Ma perché tanto astio nei confronti di un ufficio pubblico che avvicina la Regione ai comaschi? Forse perché 33 dipendenti, più un direttore, suonano sproporzionati. Così come sproporzionata sembra la ridistribuzione della forza lavoro tra i vari uffici. Ad esempio, la direzione - dati ufficiali comunicati alla fine del 2012 - può contare su oltre un terzo dei dipendenti. Vi sono addirittura due funzionari assegnati alla gestione del personale. Come dire: una media di 16 dipendenti a testa da gestire. Il dirigente, dal canto suo, può


contare su uno staff di ben cinque persone: un collaboratore, un assistente e tre funzionari. Scorrendo l’elenco delle categorie professionali, nell’area sociale, comunicazioni e relazioni, troviamo poi un funzionario il cui unico compito - stando all’organigramma ufficiale fornito dalla Regione - è quello di realizzare la rassegna stampa quotidiana. In quest’area lavorano complessivamente dodici dipendenti, ai quali spetta anche il compito di interfacciarsi direttamente con il pubblico. Volendo darsi alla matematica si potrebbe dire che, mediamente, ogni dipendente dell’area sociale e relazioni con il pubblico si ritrovi a dover gestire un massimo di 4 utenti al giorno. Anche qui, però, la distribuzione degli incarichi suona stonata: la mole

Al Pirellino c’è un dirigente ogni otto dipendenti e ogni addetto all’area sociale gestisce quattro utenti al giorno

di lavoro maggiore, infatti, spetta all’unico dipendente che gestisce la Carta Regionale Trasporti, che nei primi sei mesi dello scorso anno s’è ritrovato a «espletare pratiche 1.167 utenti». Va meglio ai due dipendenti addetti al bollo auto, a cui toccano 1.628 utenti, che divisi per i giorni di lavoro effettivi si riducono a una media di circa 6 pratiche al giorno a testa. Il Pirellino vanta una media di un “quadro”, ovvero di un dirigente, ogni otto dipendenti. Mediamente ogni lavoratore guadagna circa 46mila euro, ma il calcolo tiene conto anche di 5 lavoratori part time che evidentemente incidono molto meno sul budget annuale. Tutto inutile? In realtà sarebbe davvero ingeneroso affermarlo. Perché il Pirellino indubbiamente svolge alcune attività che hanno ricadute importanti sul territorio. A parte lo sportello per gli utenti, che suona però sovradimensionato, l’area economica si sobbarca una serie di servizi indispensabili: ad esempio l’attività di controllo su come vengono spesi i contributi regionali. Nel primo semestre dello scorso anno un paio di dipendenti appena si sono ritrovati a effettuare accertamenti su 121 beneficiari di contributi per un totale di 2 milioni e 150mila euro oltre a gestire i progetti finanziari >>

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dai fondi Interreg. Un’attività che consente, potenzialmente, di evitare sprechi di denaro pubblico. Importante anche il ruolo di supporto per gli enti locali, anche in questo caso affidato a un solo dipendente. Anche l’area territoriale, che conta di 4 lavoratori, fornisce un supporto importante a Como. Come sempre accade sui luoghi di lavoro, l’impegno richiesto o garantito dai dipendenti non è necessariamente democratico. Il dirigente uscente, Di Nardo, non si era fatto mancare richiami anche scritti sul rispetto dell’orario di lavoro da parte di alcuni lavoratori. Il tasso di assenteismo tra settembre 2012 e lo scorso gennaio, al Pirellino, è stato altalenante. E, confrontati con le altre sedi territoriali, è passato da un pessimo terzo posto a settembre e ottobre, ai risultati decisamente migliori di novembre e dicembre. E ad essere scettici sull’utilità della struttura imponente a due passi dalla città murata sono gli stessi consiglieri regionali. Persino i neo eletti. «In tempi di spending review e di oggettiva difficoltà economica, è bene ponderare attentamente le scelte - commenta Francesco Dotti, sindaco di Argegno ed eletto con Fratelli d’Italia -. Credo che Como abbia bisogno di certezze che a oggi, per la sede territoriale, mancano quasi in toto. La presenza del Pirellino stride con

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un Ente il cui destino è ancora in gran parte da definire: la Provincia. Occorrono decisioni che abbiano quale unico obiettivo il rilancio del nostro territorio: trasferire le competenze provinciali alla Regione, utilizzando già oggi presente, potrebbe rappresentare una scelta di campo». Annuncia anche che farà luce «sui costi della struttura, mai resi noti e quantificati esattamente». Facendo i conti e basandosi sulle stime del 2011 per le spese di funzionamento (luce, acqua, riscaldamento, condominiali), ma anche per la cancelleria e gli ascensori, sono stati spesi poco meno di 120mila euro. Parla di riduzione e accorpamento anche Alessandro Fermi (Pdl): «Ritengo indispensabile che si proceda in generale a una riduzione e accorpamento di tutto ciò che non è strettamente necessario per il funzionamento dell’Ente e credo che le sedi territoriali siano prive di questo criterio. La dimostrazione di questo sta nella convinzione che, in caso di chiusura delle sedi territoriali, nessun cittadino si accorgerebbe dell’assenza». Chiude dicendo che «le minori risorse impongono scelte che abbiano come obiettivo la riduzione dei costi e la chiusura delle sedi territoriali va in questa direzione».


Scettica anche la presidente dei benzinai di Confcommercio Daniela Maroni (eletta con la lista civica a sostegno di Maroni): «Credo si debba dare una migliore identità alla struttura. La delocalizzazione degli enti pubblici doveva essere - originariamente - un modo per avvicinare i cittadini alla Regione senza grandi spostamenti. Il Pirellino è nato con questo obiettivo, ma, nel corso degli anni, il palazzo non è riuscito a decollare in termini di servizi offerti e rimane, ancora oggi, una struttura in parte non utilizzata e un costo non indifferente per le casse regionali. Sarebbe facile dire di chiudere, ma credo si debba fare una riflessione più profonda ottimizzandone e razionalizzandone la funzione, con un ampliamento dei servizi offerti ai cittadini. A tutto ciò si aggiungono le quadrature di bilancio, improbabili per questo tipo di struttura: 1 milione e mezzo di euro all’anno, pari a 5 euro a cittadino e, le poche decine di dipendenti, lavorano in uno spazio di 5mila metri quadrati. Imbarazzante di fronte ai tagli alla sanità, all’occupazione e ai servizi sociali». Durissimo Luca Gaffuri (Pd) che nella scorsa legislatura era capogruppo dell’opposizione: «È da anni che esprimo perplessità sull’utilità dei Pirellini, perplessità che mi hanno

spinto a proporne la chiusura già nel 2010 e ancora in seguito. Queste strutture in realtà non hanno mai offerto un servizio alla cittadinanza o alla imprese, che piuttosto hanno necessità d’interloquire per i loro bisogni amministrativi con il comune o la provincia e non direttamente con la Regione, né hanno rappresentato uno spazio pubblico a disposizione delle città che li ospitano. Se la regione vuole fare qualcosa di utile con gli Ster, basterebbe chiuderli: i dipendenti non vanno trasferiti di forza a Milano, ma potrebbero svolgere le stesse funzioni nei comuni o in amministrazione provinciale, in convenzione con la Regione. Ma ancora ad agosto dello scorso anno la giunta Formigoni ha approvato uno studio di fattibilità per la valorizzazione e razionalizzazione dei Pirellini: per quello di Como, ad esempio, sono ipotizzati lavori per circa 190mila euro, considerate le sole opere edilizie. Si tratta di vedere se, dopo l’elezione di Roberto Maroni, la maggioranza di Lega, Pdl e dei loro alleati cambierà idea ma ne dubito: proprio in queste ore, nel suo discorso d’insediamento, il nuovo presidente del consiglio regionale Raffaele Cattaneo ha parlato di utilità dei Pirellini e d’iniziative per il loro rilancio». Infine parla di «inutilità» e della necessità di sopprimerli anche il leghista Dario Bianchi: «L’unica funzione che Regione Lombardia dovrebbe mantenere sul territorio è quella relativa agli ex Genio Civile, competenti in materia di regimazione idraulica dei torrenti, calamità naturali ed altro. Tali funzioni potrebbero essere ricondotte, come ubicazione, all’interno degli spazi della provincia». Tra leggende e numeri l’edificio incastonato tra viale Varese e via Benzi resta una cattedrale tutt’altro che economica.

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COMO CITTÀ DELLA

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on c’è niente di peggio che imbalsamare virtualmente la gloriosa eredità intellettuale e morale di un genio per allontanarlo nel tempo, oscurarne la memoria. Pensate quanto si è illanguidita persino la fama di Alessandro Volta, nostro genius loci, per capire che non basta celebrarla solo evocando il nome dello scopritore dell’energia elettrica, intitolare a lui istituzioni, sodalizi, manifestazioni. O replicare all’infinito la sua figura antiquata, la parrucca settecentesca, i ricami dorati 30

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LUCE

della marsina, gli stereotipi delle illustrazioni che lo descrivono nei momenti cruciali della vita, quando vede scoccare la prima scintilla dalla Pila o quando illustra a Napoleone i pregi della sua “macchinetta” destinata a cambiare il mondo. Un antenato illustre, ma relegato nei musei, in una città che non esalta certo nelle sue strade male illuminate il dono che ci ha lasciato di vincere il buio. Non è stato sempre così. Alla fine dell’Ottocento, i comaschi hanno onorato il grande fisico nell’anniversario dell’invenzione della Pila con


di Alberto Longatti

PER CELEBRARE ALESSANDRO VOLTA E ILLUMINARE IL FUTURO DELLA CITTÀ È NATO IL COMITATO PROMOTORE DI UNA MANIFESTAZIONE PLURIENNALE CHE VUOLE RICORDARE LO SCIENZIATO MEDIANTE UNA “RASSEGNA DELLA LUCE” COME FENOMENO NATURALE, METAFORA DELLA CREATIVITÀ, FONTE DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA

una plurimostra in cui hanno esaltato soprattutto la fioritura dell’industria tessile. La prima Esposizione Voltiana, malgrado il disastroso incendio che la distrusse (ma la ricostruirono in un batter d’occhio, meravigliando tutta l’Europa) fu in primo luogo una vetrina delle risorse, produttive e paesaggistiche del nostro territorio. La seconda occasione si ebbe nel 1927 e il nome di Volta s’intrecciò con quello di un altro celeberrimo inventore, il Marconi. Anche in quel caso, la fama del suo figlio più illustre si riverberò sulla città natale:

in quel periodo Volta era osannato fra i patroni del Bel Paese in buona compagnia, fra Dante e San Francesco. Manifestazione di quel calibro non si ripeterono più, da allora. Di Volta restò vivo il nome, collegato con la sua scoperta, ma quasi per convenzione, come se la luce fosse scorporata da lui, distanziata al punto tale da avere una propria autonomia: la luce e basta, la paternità voltiana era divenuta un titolo di merito che col passar del tempo aveva perso la necessità di citazione. Ecco dunque che per onorare la memoria di Volta il visitare il museo a lui intitolato, con le copie delle sue “macchinette” conservate sotto vetro, non basta a capacitarsi che da quei strumenti così semplici abbia avuto origine il sole artificiale che illumina le notti, sgorga dai televisori accesi, fa scattare i motori delle auto e mille altre cose ancora. Inchinarsi idealmente davanti al genio voltiano non può che rappresentare un ripensamento di ciò che lui ha creato in laboratorio, facendo scaturire la luce anche dove non c’è. Un giorno qualunque di fine secolo, in casa sua, accanto alle mura medioevali che cingono il centro storico di Como. Così venne raffigurato in un dipinto che ricostruisce lo straordinario momento in ambiente domestico. Ispirandosi a lui, segno identificativo dello stretto rapporto che lega Volta alla sua città, è nato il comitato promotore di una manifestazione pluriennale che riesca a ricordare degnamente lo scienziato mediante una “rassegna della luce” intesa in varie accezioni, come fenomeno naturale, metafora della creatività, fonte inesausta di innovazione tecnologica. Il comitato, in cooperazione con il Centro di cultura scientifica intitolato al genio comasco, ha predisposto un vasto programma che include tutte le risorse disponibili degli enti che in qualche >>

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IL FESTIVAL DELLA LUCE CONSIGLIO Franco Brenna , presidente Carlo Ripamonti, vice presidente Enrico Guggiari, consigliere Elisabetta Majocchi, consigliere Marco Adriani, consigliere Marco Rezzonico, eevisore dei conti COMITATO PROMOTORE Roberto Ambrosoli Filippo Arcioni Emilio Bordoli Massimo Caspani Jean Marc Droulers Aram Manoukian Angelo Majocchi Eugenio Marzorati Andrea Noseda Michele Ratti Andrea Rosso Remo Ruffi ni COMITATO SCIENTIFICO Giulio Casati (presidente), Edoardo Boncinelli, Marco Cambiaghi, Federico Canobbio, Luisa Cifarelli, Pier Luigi Della Vigna, Paolo Di Trapani, Giulio Giorello, Gianvito Martino, Luca Novelli COMITATO ORGANIZZATORE Margherita Canepa (presidente), Marco Adriani, Fabiola Spagnolo (LT3 Communication), Lorenzo Bernaschina (Liceo Scientifico), Maria Bondani (Università dell’Insubria), Laura Rebuzzini. 32

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modo hanno la loro ragion d’essere nell’ambito voltiano (le università, il Mausoleo voltiano, il Liceo Classico, il Parco scientifico ComoNext) ma anche i luoghi delegati ad attività culturali, quali Villa Olmo, Villa del Grumello, Villa Sucota e la Fondazione Ratti, il Teatro Sociale, l’associazione Carducci, i Musei e la Pinacoteca, in genere tutto il patrimonio architettonico e museale, le infrastrutture comunque destinate alla ricerca e all’educazione, principalmente alla diffusione della cultura scientifica nei giovani, “tema cruciale per il futuro del Paese” secondo le intenzioni degli organizzatori. L’impegnativo progetto, già in cantiere per una prossima presentazione pubblica chiamata sperimentalmente “Numero zero” come il primo numero di una pubblicazione periodica, ha individuato tre linee complementari di percorso indicate con nomi accattivanti: “Lampi di genio”, sede di produzioni intellettuali (filosofia, arte, religione, scienze umane, design ecc.), “ElettriCittà”, applicazioni urbane della luce, installazioni luminose, funzioni energetiche, “ElettroShow”, nuove forme di mobilità, idee innovative per il futuro. Tutto ciò avrà modo di esprimersi attraverso varie forme di intrattenimento, dalle conferenze a spettacoli oppure in laboratori universitari dove possano lavorare insieme studenti, insegnanti, ricercatori. Il livello degli incontri di studio o di informazione è previsto alto per la partecipazione di notissimi studiosi, quali Edoardo Boncinelli, fisico e genetista,


“Como città della luce” ha l’obiettivo di dare più luce al capoluogo lariano che da qualche anno ne ha davvero bisogno

CITTÀ DI VOLTA

Como ha dato i natali ad Alessandro Volta ma si è dimenticata dell’illustre scienziato.

Flavio Caroli, storico dell’arte, Alessandro Paone, giornalista e conduttore televisivo, Giulio Giorello, ordinario di filosofia della scienza, Armando Massarenti, giornalista e filosofo della scienza, Paolo Di Trapani, docente di ottica e fisica sperimentale, Maria Bondani, ricercatrice del Cnr e altri. Il ricco programma non comprende solo lezioni, ma è intervallato da spettacoli, concerti, esibizioni all’aperto, proiezioni, giochi luminosi, un formidabile compendio destinato a diventare un vero e proprio festival, nella stagione più opportuna, da ripetersi ogni anno. Un appuntamento fisso, nel ricordo imperituro di Alessandro Volta, aggiornando le applicazioni del suo prezioso lascito. Con la speranza che la beneagurante “Como città della luce” serva, fra l’altro, a dare più luce al capoluogo lariano, che ne ha davvero bisogno.

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L’IMPALPABILE LEGGEREZZA DELLA LUCE

di Stefania Briccola

LA STORIA DEL COMASCO FRANCESCO MURANO. DAL TESCHIO INCASTONATO DI DIAMANTI NELLA STANZA DI COSIMO DE MEDICI, AI LED PILOTATI DA I-PAD. E QUELLA VOLTA IN CUI VITTORIO SGARBI LO CHIAMÒ ALLE 2 DI NOTTE PER ILLUMINARE UN’OPERA D’ARTE AL FIANCO DI UNA PORNODIVA

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a luce rappresenta l’universo creativo di Francesco Murano, light designer per vocazione e di professione, che vive nella città di Alessandro Volta. Il suo lavoro da anni lo porta a progettare lampade innovative, come Sistina, ad illuminare mostre e monumenti oltre ad insegnare al Politecnico di Milano nella sede di Como. La sua ricerca lo conduce a scandagliare un elemento tanto misterioso quanto affascinante: la luce. La folgorazione è avvenuta molto tempo fa quando appena sedicenne si è appassionato alla fotografia. Questo ha significato rincorrere le geometrie inaspettate delle ombre tra i palazzi e le chiese di Roma per stampare di notte le immagini nella camera oscura di fortuna costruita a casa. «Una volta mentre visitavo Sant’Andrea Della Valle a Roma - racconta il light designer - fui impressionato dalla luce naturale che colpiva l’imposta della cupola di una cappella laterale e sembrava avesse un’illuminazione dal basso». Ben presto si rende conto che la rivoluzione è nell’aspetto qualitativo ed emozionale della luce e non certo nella

quantità. Arrivato alla Domus Academy di Milano, con una laurea in architettura in tasca, Francesco Murano entra in contatto con i guru del design e gli si apre un mondo. Qualche nome? Andrea Branzi, Clino Trini Castelli, Alessandro Mendini, Philip Starck. «Da questi maestri - spiega il light designer - ho imparato approcci diversi nell’affrontare la complessità di un problema. Il design è una visione del mondo che si esprime nel progettare un oggetto qualsiasi». L’universo della luce è vario, molteplice e multiforme e comprende un campo vasto d’azione. Le competenze si ampliano con le possibilità di sperimentazione concreta. «Le grandi intuizioni - confessa Francesco Murano - arrivano sporcandosi le mani. Non credo al design parlato. La luce è un miracolo impalpabile, difficile da catturare. Va modulata, manipolata e ti sorprende sempre. Sistina, ad esempio, è nata mettendo una lente su una lampadina dicroica. Avevo in mente il proiettore di Topolino che mi aveva reso felice da bambino». Nel lavoro del poliedrico light designer comasco entrano >>

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progetti urbani, monumenti pubblici e fantasmagoriche opere luminose. L’antica loggia dei Mercanti di Palazzo della Ragione a Milano è stata illuminata nel 2007 con trentamila led, ben nascosti tra gli archi con micro- telecamere e sistemi elettrostatici antipiccioni. Dall’incontro con il musicista Pietro Pirelli sono nati Arpa di Luce, perfezionata da Gianpietro Grossi, e Idrofoni, disegnati da Carlo Forcolini, strumenti al centro di performance che stanno riscuotendo successo in tutto il mondo. Quello che più entusiasma Francesco Murano è l’illuminazione dei capolavori dell’arte e delle mostre in cui si è trovato spesso a soddisfare le esigenze e talora i capricci di curatori e artisti, tra cui Vittorio Sgarbi, Aldo Bonami e Damien Hirst. «Di recente mi sono occupato della collezione permanente della Fondazione Roma - dice il light designer - a Palazzo Sciarra nella capitale dove ho messo a punto un sistema innovativo con proiettori e led pilotati da un I-pad che permette di illuminare un singolo dipinto e spegnere le luci sugli altri quadri disposti sulla parete». Tra le mostre quella più impegnativa in assoluto è stata “For the love of God” di Damien Hirst, a Palazzo Vecchio a Firenze, con al centro il famoso teschio incastonato di diamanti esposto nella camera di Cosimo de Medici. «Per l’allestimento della Wunderkammer - ricorda Murano ho lavorato con una copia perfetta dell’opera senza mai sape-

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re quando esattamente quella reale sarebbe stata posizionata in loco. Ogni informazioni richiesta al riguardo era proibita. Il servizio di sicurezza mi ha fatto cortesemente sapere che non gradivano domande». Le richieste di Damien Hirst sono arrivate giusto prima dell’inaugurazione. Il velluto nero dell’allestimento è stato cambiato perché l’artista non era entusiasta del punto di colore scelto per lo sfondo. L’illuminazione dell’opera invece doveva colpire anche la nuca del teschio che era rimasta in ombra. «Ho risolto all’istante con la mia assistente - spiega Murano - grazie ad uno specchietto che aveva con lei e che abbiamo appiccicato al muro con una gommina adesiva rimovibile e inclinato con l’aiuto di una lattina sezionata al momento. Il sistema funzionava e così abbiamo collocato altri due specchietti poi sostituiti con dispositivi che ho progettato. L’impresa non era ancora finita. Il mattino dopo l’artista, tramite il suo assistente, mi ha comunicato che se volevo farlo felice avrei dovuto illuminare anche il terzo dente premolare sinistro del teschio. Io naturalmente lo ho accontentato senza battere ciglio». Senza andare Oltremanica e scomodare le star della Young British Art, ma rimanendo nel Belpaese, c’è un altro personaggio dell’ambiente che si rivolge spesso all’esperto comasco: Vittorio Sgarbi. La collaborazione è iniziata con l’esposizione, dedicata a Giorgione nel 2010, a palazzo Grimani a Venezia con i dipinti “La vecchia”, “La nuda” e il capolavoro della Tempesta, il quadro più famoso ed enigmatico del pittore cinquecentesco, per secoli al centro di innumerevoli dispute sull’interpretazione del soggetto. «Il professore mi chiamò alle 2.30 di notte - ricorda Murano - perché inizialmente voleva mettere vicino al quadro una pornodiva e io dissi che sarei stato ben lieto di illuminare


l’opera accanto alla ragazza, tuttavia della sua presenza non se ne fece nulla. Invece decollò la mostra». Il capolavoro di Giorgione viene esposto nella tribuna di Palazzo Grimani dove non c’è un impianto elettrico e l’illuminazione è stata realizzata, attraverso una finestra sulla cupola, dall’alto e da fuori salendo da una rampa laterale. «Sempre alle 2.30 di notte - continua Murano - ricevetti una telefonata di Vittorio Sgarbi che mi ringraziava per l’illuminazione e mi chiedeva di contestualizzare diversamente la Tempesta. Così andai a palazzo Grimani dove mi attendeva il professore circondato da un gruppo di fedelissimi e trovai la soluzione del caso. Con l’aiuto di un sagomatore, che recuperai la domenica mattina in extremis prima dell’inaugurazione, riuscii ad inquadrare il capolavoro di Giorgione». Ma le sorprese non finiscono qui. Come da copione, per l’inaugurazione arriva la tempesta vera e un fulmine brucia

la lampadina del marchingegno. Così sotto la pioggia il nostro eroe si arrampica sulla scala attigua a palazzo Grimani e rimette in funzione il sagomatore dando nuova luce al capolavoro di Giorgione. Poi è stata la volta delle “Visioni dell’aldilà” di Hyeronimus Bosch, sempre a palazzo Grimani, e della mostra dedicata a Caravaggio al museo Diocesano a Milano. «Qui - dice Murano - mi sono trovato di fronte a una grande Flagellazione che mi ha fatto un regalo inaspettato. Ero a sei metri di altezza quando ho puntato un solo faretto e il quadro è esploso di luce. Questo non succede per un effetto chiaroscurale, ma per via della materia pittorica ricca di segreti alchemici, ancora tutta da scoprire. Nelle opere di Caravaggio la luminanza percepita è enorme rispetto ad altre».

L’OCCASIONE DELL’EXPO «L’immagine di Volta sta sbiadendo nel mondo», dice malinconicamente il professor Giulio Casati, responsabile scientifico del Centro Volta ed estensore del progetto sulla Città della Luce. Ma l’ha constatato di persona, professore? Certo, in parecchi Paesi. Prendiamo per esempio il termine “volt”, fondamentale riferimento a Volta in tutte le applicazioni dell’energia elettrica: nessuno all’estero conosce il suo significato. Si può arrivare a correggere questa dimenticanza? I fisici europei stanno per proclamare l’anno internazionale della Luce, che dovrebbe essere approvato dall’Onu con l’appoggio di trentasei Paesi per il 2015 o il 2016. Questo sarà il momento giusto per rilanciare il prestigio di Volta. Dando un particolare rilievo anche alla sua città natale… La presenza di Volta nella storia comasca è sempre stata motivo di grande orgoglio. Ma potrebbe, dovrebbe avere anche una maggiore ricaduta economica per il nostro territorio. Soprattutto, in quale circostanza? La più vicina è l’Expo, occasione da non perdere, un evento importante che riguarda da vicino noi tutti. Ma non soltanto per qualche mese.

Da proiettare nel tempo, dunque. L’intervento deve avere una lunga durata, permettendo una migliore, più diramata diff usione della cultura scientifica, grazie anche all’accessibilità di un veicolo prezioso come internet. L’educazione scientifica deve essere alla portata di chiunque, permettendo di incentivare la ricerca. Nel mercato mondiale si vince o si perde sul piano della ricerca, l’Italia è arretrata. In modo indifferenziato? No, bisogna discriminare e dare importanza a ciò che è valido. L’applicazione della nuova tecnologia pone gravi problemi etici e di irrazionalità nelle scelte, negli indirizzi. Per esempio, riguardo al controllo dei circuiti interni del cervello o all’intervento sull’embrione prima della nascita.

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USATO

È MEGLIO

di Sara Della Torre, foto Andrea Butti / Pozzoni

CRESCE LA CLIENTELA IN CERCA DI PRODOTTI A MINOR COSTO, AUMENTANO LE PERSONE CHE METTONO IN VENDITA LE PROPRIE COSE. MA NON È SOLO LA CRISI A SPINGERE NEI VARI MERCATOPOLI COMASCHI. «LA GENTE CERCA L’USATO PERCHÉ È FATTO MEGLIO» E SI DIFFONDE LA CULTURA DEL RICICLO E DELLA SPESA ECOSOSTENIBILE mag

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ifficile stabilire se è grazie alla crisi o al cambio di mentalità. È certo che i comaschi, da qualche tempo, cominciano ad apprezzare i negozi dell’usato. L’aumento delle attività di questo genere prende piede anche in provincia di Como. Il dato della Camera di Commercio conferma una crescita costante (ogni anno più 10%, in intensificazione dal 2008) di mercatini in genere, ma anche di negozi specializzati, sport, accessori per bambino, abiti di lusso. Tutti con lo stesso obiettivo: il “riutilizzo”. Nei negozi entra una doppia tipologia di cliente: chi

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vende e chi compra. Lo scambio ha il sapore di un baratto, di una trattativa dove, oltre al denaro, entrano in gioco altri fattori: l’affetto, la storia, le motivazioni di vendita e di acquisto, le aspettative. Senza dimenticare che l’oggetto di seconda mano raccoglie consenso non solo per l’idea di risparmio, ma anche per quella di “eco-sostenibilità”: ad ogni prodotto si offre una seconda vita. Chi pensa ai negozi dell’usato come un grande contenitore dove si raccolgono inutili oggetti traslocati da cantine polverose, si sbaglia. In realtà compito del titolare è saper scegliere.


Nei mercatini arriva di tutto. Regali non graditi abiti di taglia sbagliata, vestiti inutilizzati e scarpe mai indossate

E non è un caso se, ultimamente, siano proprio questi i luoghi deputati a raccogliere proposte interessanti, oggetti di valore, curiosità originali e manufatti artigianali introvabili. «Sfatiamo l’opinione comune che al mercatino dell’usato entra solo chi non ha i soldi per comprare. Oggi gli oggetti a poco prezzo si trovano anche nuovi. Da noi c’è l’oggetto “vintage” ad un prezzo dimezzato. Sono cambiati gli stili: la gente cerca l’usato perché è fatto meglio». Maria Rossi è titolare del Mercatino dell’Usato nel quartiere di Sant’Agostino a Como da 14 anni. Lo avverte. La crisi si sente anche in questo settore. «Ho sempre venduto a molti extracomunitari. Oggi ho parecchi asiatici che comprano le cose più bizzarre. Negli ultimi due anni il nostro lavoro è cambiato. C’è la tendenza a non sbarazzarsi più di tutto per paura. Si tengono gli oggetti in casa, con il proposito di tramandarli». Al mercatino dell’usato si trova di tutto: abiti, mobili, stoviglie, accessori per bambino, utensili elettrici per la cucina, libri, dvd, soprammobili, quadri. Nei desideri della titolare c’è l’idea di specializzarsi nell’oggettistica e nella teleria. «Il lino, utilizzato una volta, per fare tovaglie e lenzuola è diventato prezioso. Ho richieste continue da parte di signore benestanti alla ricerca di questi prodotti. Tra le mie clienti ci sono state anche Anna Oxa e Ivana Spagna». Sempre in città, in via Zezio, da settembre ha aperto il “Passabimbo”, negozio di abiti per l’infanzia e accessori di seconda mano. «Con due figli piccoli - racconta Luisa Pannetti, titolare del negozio - mi sono accorta che tutto ciò che è legato all’acquisto per i bambini ha un costo eccessivo e si usa

poco. Così ho deciso di aprire un’attività per riutilizzare abiti e prodotti. Un punto di incontro soprattutto per mamme e nonne che trovano articoli in buono stato, spesso ancora con il cartellino». Regali non graditi, taglia sbagliata, cappotti inutilizzati, scarpine mai indossate. I prezzi si fanno, paragonando il nuovo e poi scontandolo del 50%. Un passeggino, in ottimo stato, si acquista a 370 euro, ma al nuovo costa 700. La clientela aumenta con il passaparola e chi vende ha tempo fino a 90 giorni per lasciare i propri oggetti. Poi devono essere ritirati o portati alle associazioni di volontariato. Così si alimenta il mercato di beneficenza. In questo settore è facile incappare nella nostalgia. «Quando le mamme mi portano i sacchi pieni di vestiti da vendere e si fa la scelta - ammette Luisa -, capita che alla vista del golfino o della copertina si provi un tuffo al cuore. E qualcuno si rimette qualcosa in borsa e lo riporta a casa». C’è poi chi ha trasformato l’attività in un business sul web, come “Fase2”, il negozio dell’usato di sport ad Albate, che conquista il cliente on line e poi tratta in negozio «Abbiamo >>

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un sito aggiornato. La metà della clientela guarda articoli e novità da casa - spiega Lino Bombara, titolare del primo esercizio specializzato in sport di seconda mano, che vende dal calcio al sub, dalla moto allo sci - . Risentiamo della crisi perché la discesa dei prezzi, ci ha costretto a rivalutare anche il nostro mercato. Sono aumentate le persone che vendono e, soprattutto, si accontentano. Da noi le proposte sono di alto livello. In negozio mi arrivano avvocati o notai che mi

In negozio arrivano notai, manager e gente che sta bene. Lasciano anche capi firmati che appena qualche anno fa non avrebbero mai venduto lasciano giacconi firmati “Moncler” o “Woolrich” e non discutono sul prezzo. Forse, qualche anno fa, l’avrebbero tenuto nell’armadio». Con il “second hand” si cambiano le abitudini: chi non vuole rinunciare alla forma, ma preferisce risparmiare sul costo della palestra, si compra una cyclette o un tapis rouland usato. «L’affare lo fanno le famiglie, con più figli. Qui risparmiano sullo sci, sul calcio, sul tennis per i ragazzi. Anche le bici hanno un buon mercato. Se le rubano, meglio comprarla usata». Nel negozio c’è molta attrezzatura da moto. «È di uomini che stanno per diventare papà. Di solito la moglie li costringe a cambiare vita e mette al bando la moto. Portano l’attrezzatura in blocco e, a malincuore, lasciano tutto sul bancone». Chissà, magari in attesa di ricomprarsela “usata” dopo qualche anno.

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“RIVESTIRE”  DALLE SCARPE AGLI ABITI FIRMATI Fuori dai negozi c’è la fila di macchine di clienti. I punti vendita lariani di “Mercatopoli” della crisi non si lamentano. La clientela è sempre in aumento. Silvio Rosean titolare di Mercatopoli dal 2004 assapora un vero e proprio boom. «Siamo in crescita costante. Arriviamo a fatturare più di 40.000 euro al mese solo nella vendita di vestiti. Siamo passati da 1 a 10 dipendenti. E siamo i primi in Italia per dimensioni del negozio. Abbiamo appena aperto un’area dedicata solo alle scarpe». Dello stesso avviso anche la collega, titolare del negozio in centro città. «Da noi arrivano famiglie che hanno perso un parente e svuotano la casa - spiega Cecilia Donizelli, titolare di “Mercatopoli” in via Carloni -. Molti visitatori sono donne che hanno fatto un acquisto sbagliato, soprattutto nell’abbigliamento, e vendono subito, magari per comprarsi qualcosa di diverso. È questo il settore dove si acquista e si vende di più». Accanto alle catene, che, un po’ in tutta Italia, stanno ampliando il mercato, c’è chi fa da sé. A Como c’è il “Mercatino della Moda” in via Benzi e in via Vittani e a Bulgarograsso ha aperto, da pochi mesi, “Rivestiti”. La parola d’ordine è: abbigliamento di lusso. Infatti è la “fi rma” ad attirare un mercato definito e lo scambio alimenta la clientela: chi vende può realizzare un discreto guadagno con un prodotto in ottime condizioni, chi compra fa il classico aff are: un cappotto di cashmere a 80 euro o una borsa di Prada a 100. È il settore che raccoglie tutto ciò che vive di effi mero, utilizzato una volta e poi chiuso in un armadio, acquistato per una cena galante, uno spettacolo, la prima a teatro. «Qualche tempo fa, la tendenza era tenere gli abiti di valore in casa, oggi, chi ha vestiti firmati, usati una volta, li vende, grazie ad un passaparola. Il vestito o l’accessorio deve essere originale. La convenienza sta nel fatto che, al cliente fi nale una borsa di Luis Vitton può costare un decimo rispetto al suo prezzo di partenza». Sandro Walter, spiega così l’idea di Simona Seveso e Marina Romano, promotrici di una attività che si rivolge a chi non vuole fare a meno di un capo elegante, ma non intende più pagare cifre da capogiro. «È un fatto culturale - osserva Romano -. All’estero è normale comprare nel settore dell’usato. Da noi c’è ancora molta difficoltà e diffidenza. Ma le cose stanno cambiando». O si stanno invertendo. Perché, sempre dagli stranieri, arriva una storia che ricorda una consuetudine dei nostri bis nonni: l’acquisto per la vita. «Una signora sudamericana, che ha vissuto per 8 anni senza i fornelli per cucinare, ha raggranellato la somma per comperarsi una camera da letto in stile veneziano fatta da un mobiliere di Cantù, che ho venduto a 700 euro - racconta Maria Rossi del Mercatino -. L’ha fatto con l’intento di portarsi a casa un mobile di qualità, durevole nel tempo. Magari da lasciare ai figli. A 700 euro si trovano mobili nuovi, ma la qualità non ha confronto. E lei ha preferito aspettare l’occasione». Quando si parla di “ricorsi” storici.

L”RIVESTIRE”

Abbigliamento di lusso e grandi firme nell’usato di Rivestire.

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L’ALIMENTAZIONE NATURALE

I formaggi: le antiche tradizioni di Michela Maldini La birra: L’iniziativa dell’associazione Aqua Dulza di Federico Bianchi e Riccardo Avenali. Gli ulivi della Tremezzina: L’olio di Piero Vanini. Carne e salumi: la passione di Valentino La Rosa. Il vino: Così nasce il Domasino di Daniele Travi. La pesca sul lago: La scelta di vita di Danilo Luzzani.

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di Annalisa Testa

L’ALTRO MODO DI ALIMENTARSI. I PRODOTTI DEL TERRITORIO REALIZZATI DA ARTIGIANI CON LA PASSIONE PER I SAPORI DELLA TERRA

MANGIARE E BERE

A CHILOMETRO

ZERO I

n Italia i prodotti a chilometro zero hanno conquistato il mercato. E le persone. Secondo i dati raccolti dall’Adoc, l’Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, promossa dalla UIL (Unione Italiana Lavoratori), negli ultimi dieci anni le vendite sono aumentate del 17%. E così scatta la corsa all’acquisto dei prodotti >> locali...

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IL PESCE DEL LARIO PESCATO SECONDO TRADIZIONE

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l Danilo fa il pescatore. E lo fa tutte le notti... con qualunque tempo, con qualunque lago. Cala le reti quando il sole si prepara al tramonto e le va a riprendere colme di pesci quando il sole si prepara a regalare i primi bagliori dell’alba. Tutto l’anno così, anche quando il freddo intirizzisce le mani, quando il lago mosso strapazza la barca e il vento porta lontano le reti. Tutto l’anno. Tutte le santi notti» Narra così Giuseppe Guin, nel Dvd “Un Lago Segreto” per la regia di Paolo Lipari. Quando si pensa a un pescatore del Lago di Como la prima immagine che viene in mente è quella di un vecchio barbuto e magari scorbutico che passa il giorno a snodare le reti. Ma la sorpresa di chiacchierare con una ragazzo giovane che allegramente parla di questo lavoro ormai in via d’estinzione è emozionante. Danilo Luzzati, ha poco più di 40 anni, fa il pescatore ma non lo racconta come se fosse un lavoro vero. Vive di una passione che lo rende dipendente da queste acque. Ma lui queste acque le ama. «Esco e mi dirigo in quello specchio di lago che si trova tra Faggeto e Torno. Butto le reti sul fondo, a circa 50 metri, prima che diventi buio. Durante l’inverno l’acqua è a 5 o 6 gradi, posso lasciare le reti anche un giorno o due perché comunque il pesce rimane vivo fino a quando le raccolgo», racconta Danilo. «D’estate invece, da giugno a novembre, devo essere più svelto. Butto le reti la sera e le raccolgo all’alba». La zona di pesca in cui buttare le reti è tramandata da padre in figlio. Vige una regola non scritta per cui il rispetto

DANILO LUZZATI

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delle acque in cui rifocillare le reti fa di te un buon pescatore. E Danilo lo sa. Da decenni un amico batte la zona fronte Cavagnola, gliel’ha tramandata sua padre, suo nonno ancor prima. Solo con lui Danilo ha il permesso di buttare le reti. Altrimenti rimane nella sua area di caccia. E comunque di pesce nel lago ce n’è. Al contrario di quello che dicono molti ristoratori che propinano pesce persico del Nilo, che costa meno e non ha lo stesso sapore. Ma non solo, Danilo pesca anche agoni e lavarelli. Poi ormeggiata la barca parte, in auto, in direzione Bellagio dove ha un laboratorio in cui è possibile comprare direttamente il pesce fresco o i “lavorati” che prepara ogni giorno tra cui la bottarga e gli iconici missoltini laghèe. «Negli anni mi sono accorto che la vita del lago è ciclica: ci sono anni in cui siamo abbondanti di persici altri in cui se ne vedono così pochi che i prezzi schizzano per forza alle stelle», racconta il pescatore. E i dati resi noti dall’assessorato provinciale alla pesca lo confermano: nel 2010 per esempio i lariani hanno raccolto 120 tonnellate di pesce. «È merito delle acque sempre più pulite. Venti, trent’anni fa il lago era molto più inquinato, c’erano pochi controlli e le industrie riversavano in acqua qualsiasi tipo di rifiuto. Ora il lago sta riprendendo il suo ciclo di vita naturale e noi, nel rispetto delle specie che popolano le acque, peschiamo per garantire pescato fresco e continuità della tradizione lariana». Perché, allora comprare pesce, di lago, che arriva da altri luoghi?


AQUA DULZA: BIONDE (E AMBRATE) COMASCHE

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rtigianale e locale. Sono queste le keywords che riassumono il nuovo progetto di due giovani comaschi che hanno deciso di investire nel territorio. E Aqua Dulza è il nome del prodotto che hanno creato. Ma non stiamo parlando di acqua. Dentro a bottiglie con etichetta che richiama gli anni Trenta c’è una birra. Anzi ce ne sono due, diverse. I nomi si rifanno a luoghi storici del territorio lariano. “3mezzina” è una birra bionda artigianale senza conservanti con schiuma fine e corpo leggero. Il top è abbinarla a pesci di lago, a “tutto pasto”, o stapparla gelata per un aperitivo vista lago. La seconda birra della neo Associazione enogastronomica si chiama “Via Regia”, strada storica e iconica del nostro territorio che ha aperto i trasporti dei mercati locali, è una birra ambrata. Non ha nemmeno un grammo di conservanti e l’ingrediente che la contraddistingue è il gelso, la pianta che ha aiutato a scrivere la storia della seta comasca. La schiuma sembra panna, sa di miele e fiori con un leggero retrogusto agli agrumi. Immancabile di fianco a un piatto di formaggi d’alpeggio, a una grigliata di carne o nella pastella utilizzata per friggere il pesce. «La spinta per lanciarci in questo progetto è arrivata dall’amore per questa terra e dai suoi frutti. Chiaro, anche la passione per la birra...», racconta Chicco Bianchi uno dei soci dell’associazione Aqua Dulza. «L’obiettivo è di ricercare e proporre prodotti, tra i quali la birra, derivanti da processi artigianali antichi e ricette ormai in disuso, cercando di renderle

contemporanee. Oltre alla birra abbiamo in progetto di creare biscotti, dolci, prodotti da forno e altre prelibatezze create con le eccedenze della produzione della birra, come le trebbie, o con ingredienti tipici del Lario, dalle erbe al grano saraceno», continua Bianchi. D’ispirazione storica sono anche le etichette delle bottiglie, linee minimal che richiamano il Movimento Italiano d’Architettura Razionale, di cui il Terragni fu promotore ed esponente. Dal logo ai caratteri utilizzati per la stampa, il concept grafico ricorda vecchi manifesti teatrali, campagne pubblicitarie e slogan di appartenenza territoriale. Il prodotto per ora lo si può trovare solo nel comasco, nei bar e nelle enoteche del centro storico come la Castiglioni, al Touring e a La Bottega, al pub Old England di Cernobbio, al Lido di Lenno e servita in tavola al ristorante Inarca di Alberto Proserpio o al Grand Hotel di Tremezzo. «Il progetto dell’associazione mi è piaciuto e non ho potuto non dare il mio contributo manuale», a parlare è Giovanni, mastro birraio che si è occupato della prima produzione delle birre. «I passaggi per la produzione della birra sono da rispettare alla lettera, ci sono regole che si tramandano da millenni. Ma il tocco che contraddistingue l’Aqua Dulza sono gli ingredienti che vengono aggiunti dopo la bollitura del mosto. Il grano saraceno biologico della Valtellina nella 3mezzina o le foglie di gelso nella Via Regia», spiega l’esperto birraio. L’iniziativa dell’associazione sta già riscuotendo una ampio successo.

CHICCO BIANCHI E RICCARO AVENALE

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CON L’OLIO DI LENNO NON È PIÙ LA SOLITA INSALATA

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l packaging della latta da tre o cinque litri ricorda vagamente lo stile artistico dei manifesti pubblicitari della Belle Epoque. In un negozietto stracolmo di prodotti tipici lariani preso d’assalto da turisti stranieri che vogliono portarsi a casa un po’ di sapore del nostro territorio, bottiglie e latte di olio extravergine di oliva del premiato oleificio Vanini Osvaldo di Lenno saltano subito all’occhio. Sarà per lo stile grafico o perché il forestiero ha avuto modo di assaggiarlo in qualche ristorante o enoteca della città, l’Olio di Lenno ormai ha fama internazionale. Ma i Fratelli Vanini nonostante la richiesta sempre maggiore del mercato continuano a lavorare secondo tradizione. «L’azienda è ancora a conduzione familiare, ha una storia lunga un secolo che ha inizio nel 1850. Inizialmente Vanini era solo un frantoio che acquistava olive locali, le lavorava e produceva l’olio per poi rivenderlo. Ora abbiamo anche 300 ulivi di nostra proprietà nella frazione di Tregola, poco sopra Tremezzo», racconta Piero Vanini che insieme al il fratello Luciano è proprietario dell’unico frantoio della sponda occidentale del lago. La raccolta inizia a novembre e tra la fine di dicembre e i primi di gennaio si possono già portare in tavola le bottiglie di “olio nuovo”. «Il sapore è un po’ frizzantino, deve pizzicare un pochino sulla lingua. È questa la caratteristica del nostro prodotto», spiega il signor Vanini. L’olio di Lenno ha gusto erbaceo che si mescolano alla dolcezza della mandorla e all’amarognolo del carciofo. La qualità del prodotto è garantita dall’antica lavorazione a pietra che dona all’olio un gusto unico. «Abbiamo un moderno impianto per la lavorazione, ma

le molazze in pietra sono ancora quelle originali», conferma Vanini. Ma la raccolta delle olive è la parte più affascinante del lavoro che assume connotati pittoreschi. «Il rituale è sempre lo stesso che si ripete da secoli: si stendono le reti e si raccolgono una ad una. La brucatura a mano mantiene intatte le proprietà nutritive delle olive e non rovina gli alberi. È un lavoro lungo, ci vuole pazienza, ma il prodotto ottenuto è sicuramente il migliore. Ultimamente abbiamo adottato anche macchinari non invasivi che fanno vibrare i rami e cadere le olive nelle reti», racconta uno dei fratelli Vanini. Il bottino è di circa 30-50 quintali di olive che si aggiungono alle olive dei produttori indipendenti della stessa zona del lago: «in questi ultimi 10-15 anni ho notato che anche i giovani hanno sviluppato un interesse e un amore maggiore per il territorio. Fino a 40- 50 anni fa non si apprezzava molto la terra che magari nonni e genitori lasciavano in eredità, i ragazzi preferivano puntare alle imprese e ai lavori d’ufficio. Ora ho scoperto che anche piccoli fazzoletti di terreno sono valorizzati da giovani che tornano alle origini, piantano ulivi, producono olive e vengono nel nostro frantoio per trasformarle in olio», racconta Vanini. Un ottimo segno, questo. Come quello che si vede girando per il centro storico della città: su tavolini e menù di bar e ristoranti l’Olio di Lenno compare come prodotto ricercato, messo in bella vista. Da gustare e soprattutto acquistare.

SAPORI DI TERR A, SAPORI DI LAGO Per avere la certezza che i prodotti siano certificati il marchio “Sapori di terra-Sapori di Lago” promosso dal Consorzio per la tutela dei prodotti tradizionali della provincia di Como è una garanzia. Posto sui prodotti tradizionali il bollino verde con onde del lago e montagne stilizzate attesta la provenienza del prodotto dal territorio della Provincia di Como, che si tratta di un prodotto tradizionale e, soprattutto, che è stato preparato e confezionato come vuole la tradizione locale. L’obbiettivo dell’Assessorato all’Agricoltura è creare menù ad hoc con solo prodotti del territorio e off rire a turisti e appassionati di cucina l’opportunità di curiosare nei retrobottega dei produttori con gite e visite guidate. (Info: www.saporidicomo.it) 50

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UN SORSO DIVINO TRA LE VITI DI DOMASO

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eduti al bancone della storica Enoteca da Gigi l’occhio cade su alcune bottiglie in esposizione. L’etichetta dice che si tratta di un vino comasco e il signor Giuseppe, proprietario del wine bar che ha una storia lunga un secolo, racconta che le viti sono a Domaso così come l’azienda che produce il vino. «Nasce tutto nel 1997, i vitigni delle terrazze che dominano questa sponda del lago sono conosciute da secoli. Noi abbiamo solo riportato alla luce una tradizione coltivando vitigno rari e autoctoni come la Verdesa bianca e la Rosseia», racconta Daniele Travi che con la moglie Roberta Beltracchini ha avviato un’azienda che ora ha in mente nuovi progetti. «Inaugureremo presto una nuova filiera latte, faremo cose semplici come lo yogurt e un formaggio morbido e spalmabile ma con una qualità altissima», racconta il signor Travi. Ma il successo è stato raggiunto grazie al vino: da merlot e sangiovese nascono il Domasino bianco IGT Terre Lariane, con note foreali e sapore fresco e il Domasino rosso IGT Terre Lariane, che ha un caratteristico color rubino brillante e

fragranza fruttata. «Il nostro momento di svolta l’abbiamo avuto quando siamo andati al Vinitaly per la prima volta. Il confronto con altre case vinicole ci ha fatto capire gli errori. Abbiamo cambiato metodo e enologo e i successi sono arrivati in un attimo: abbiamo vinto la medaglia d’argento ai campionati Europei dei vini di montagna, il Rosè ha vinto il Concorso nazionale Vini Rosato d’Italia e il Domasino bianco ha preso tre stelle ViniPlus 2013», racconta. E da quest’anno ci sarà anche il passito che accompagna grappe e liquore al mirtillo. «L’azienda è a conduzione familiare, siamo quasi una decina ma naturalmente quando si tratta di raccogliere l’uva abbiamo bisogno di una mano in più. Magari qualche giovane ha voglia di darci un contributo in cambio di qualche lezione su come si fa il vino. Come una volta. Abbiamo anche da poco fondato una cantina sociale», suggerisce Travi che da qualche anno è tornato a legare le viti con i salici, come si faceva un tempo. Punto di forza dell’azienda è il bologico: prati, ulivi, viti e allevamenti dell’azienda seguono rigorosamente un protocollo biologico con l’obiettivo di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o di concimi chimici e ridurre l’impatto ambientale e il livello di inquinamento delle acque e dei terreni. I prodotti si trovano all’interno dello store dell’azienda, on line e in diversi punti vendita del centro e del lago come l’Enoteca da Gigi, cantina Landi di San fedele Intelvi, al Km Zero di Cernobbio e altri.

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CAPRINI FRESCHI ALL’ AZIENDA SAN MARTINO

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ichela Maldini non è nata per il lavoro d’ufficio. Fino a dieci anni fa stava seduta tutto il giorno dietro una scrivania. Poi, per gioco o per sfida, ha lasciato la divisa d’ufficio per allevare capre. Michela si è rimboccata le maniche e ha iniziato a curiosare per allevamenti della Valtellina, poi ha deciso di dedicarsi alle antiche tradizioni. «Giravamo per aziende agricole per scoprire come aprire la nostra nuova attività. Un giorno abbiamo assistito in diretta alla nascita di un capretto. È stato determinante: abbiamo deciso di dedicarci all’allevamento di capre camoscio e alla produzione di formaggi», a raccontare la storia è Sonia, sorella di Michela, che in azienda si occupa della preparazione dei prodotti caseari. All’Azienda San Martino, frazione montana di San Siro poco distante da Menaggio, vivono felicemente più di cento capre camosciate delle Alpi che vengono munte da Michela due volte al giorno portando a Sonia, la casera, circa 150 litri di latte che serviranno a produrre il formaggio. «Onbi giorno produco un formaggio diverso. A listino abbiamo dieci tipi di formaggi: il caprino classico è senza dubbio quello più gettonato, poi vendiamo molto anche lo yogurt, la ricotta, magra e light, ma anche il primo sale e il tradizionale Furmagin de S. Martin dal gusto un po’ saporito», racconta la signora Maldini. E a quanto pare le capre vivono felici, la vita è dura, la sveglia all’alba , la pulizia

MICHELA MALDINI

delle stalle e la mungitura non conosce feste né domeniche, ma Michela e Sonia non tornerebbero mai alle loro vite lavorative precedenti. I loro prodotti sono chicche da gustare senza troppi condimenti, vincitori di diversi premi si possono trovare anche nei negozi del centro come la Latteria San Fedele o all’Ortofrutta Arcobaleno di Via Magenta. «Da settembre avremo uno stand anche all’interno del Mercato coperto», conclude Sonia. «Ma senza dubbio il modo migliore per far scorta è visitare la nostra azienda, assaggiare i prodotti e prendere un po’ di aria buona del lago». 52

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PANE E SALAME DAI FRATELLI LA ROSA

fotografie di Enrico Selva

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prima vista Valentino La Rosa incute un po’ di timore. È un uomo massiccio, è vestito di nero, indossa un grembiule da macellaio e stringe la mano con una certa forza. Ma appena inizia a raccontare della sua azienda dal suo sorriso si intuisce che è un ragazzo davvero buono e appassionato del suo lavoro. Valentino è un macellaio, ha un’azienda agricola a Montidignino sopra Porlezza a circa 800 metri di altezza dove gli animali se la spassano parecchio, prima di venir macellati. Andiamo a conoscere i proprietari e un po’ di storia dell’azienda in una delle casette di legno allestite per la fiera di Pasqua sotto le mura del Duomo, ben disposti su taglieri e dentro ceste in vimini i loro prodotti: salami, prosciutto crudo, pancetta, salsicce, cotechini e mortadelle ma anche bresaole e slinzege, la carne secca tipica della Valtellina. Ovviamente dietro al banco, su un tagliere c’è un salame e coltello pronto da essere affettato e assaggiato. Funziona così dalle nostre parti, il prodotto deve essere assaggiato, poi è impossibile che il cliente non lo compra. È un investimento a buon rendere», scherza Valentino. Ma le circa 50 vacche della famiglia La Rosa riforniscono il mercato anche di latte per burro e formaggi come come lo zincarlin, il formaggio fresco d’alpeggio, i formaggini freschi al pepe, al peperoncino e all’erba cipollina e i formaggi più stagionati come le formaggelle e le formaggellette. «Vendiamo bene anche il formaggio di capra, sarà perché i medico lo dichiarano prodotto light con molte proprietà nutritive o perché è davvero buono. Ma il prodotto di punta è senza dubbio il salame», racconta Valentino. E un bimbo, figlio di clienti che non tradiscono

l’azienda della Famiglia La Rosa da anni, conferma che il suo salame “del Valentino” è il migliore al mondo. Forse perché i maiali allevati in alta quota sono più sani e soprattutto vengono nutriti con gli scarti della lavorazione del formaggio. Ma dove li possiamo acquistare i prodotti? «Durante le festività siamo in questi villaggi dei sapori. Poi l’azienda è aperta tutto l’anno, credo che la cosa migliore sia fare una gita dalle nostre parti e acquistare i prodotti direttamente in azienda», suggerisce Valentino.

VALENTINO LA ROSA

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IRENE ALERT ROSSI

STORIE DI COMASCHI CHE SONO ANDATI ALL’ESTERO PER SFIDARE IL FUTURO

MARIA NADALI

FRANCESCO COCQUIO

HANNO SCELTO DI PARTIRE mag

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di Irene Alert Rossi

IL MIO FUTURO IN AUSTRALIA IRENE, 29 ANNI, È PARTITA PER SIDNEY «QUANDO DICO “SONO DEL LAGO DI COMO” AGLI AUSTRALIANI BRILLANO GLI OCCHI E PARTE SUBITO UN WOW EPPURE IO QUELL’ORGOGLIO E QUEL SENSO DI APPARTENENZA PER COMO NON L’HO PIÙ. È UNA CITTÀ CHE SI STA SPEGNENDO. EPPURE MI MANCA L’ITALIA E MI DISPIACE DOVER PENSARE DI COSTRUIRE UN FUTURO LONTANO»

Spesso mi capita di pensare «Chi l’avrebbe mai detto che sarei finita qui, a Sydney, in Australia, terra così lontana da tutto, ma soprattutto lontana da quella che è sempre stata la mia casa, Como»... L’Australia è uno di quei paesi a cui, quando si va a scuola, si dedicano giusto un paio di paginette, finendo per identificarla giusto come terra dei canguri, del surf e degli animali pericolosi. La mia avventura “a testa in giù” è iniziata a Maggio 2010 a seguito di un improvviso licenziamento causa ‘crisi economica’ e ‘taglio del personale’ nell’agenzia di modelle ‘Women’ a Milano, in cui per 5 anni ho lavorato come booker, affrontando la dura vita del pendolare. Una doccia fredda inaspettata ma anche il famoso ‘calcio nel sedere’ che forse da sempre aspettavo. Mi chiamo Irene, ho 29 anni e sono nata e cresciuta a Como. Una vita tranquilla e normale, un buon lavoro, tanti amici, una storia d’amore di 10 anni, una bella e numerosa famiglia ubicata a Faggeto Lario. Ho sempre avuto il sogno di partire, fare un’esperienza all’estero per imparare l’inglese e vedere posti nuovi ma la paura dell’ignoto e della solitudine mi hanno sempre portato a pensare che fosse cosa per ‘altri’ e che io non ne sarei mai stata capace. Poi la notizia del licenziamento e una telefonata con la mia amica d’infanzia Laura Devenuto, (anche lei di Como), che viveva a Sydney da 2 anni hanno cambiato tutto quello che neanche lontanamente avrei pensato potesse cambiare, ho preso coraggio e sono partita. L’Australia è un paese multiculturale in cui ci si sente subito a casa grazie alla cordialità e simpatia della gente e allo stile di vita super rilassato e gioioso. Infatti gli Australiani sono persone informali e socievoli, amano sport e attività all’aria aperta, sono orgogliosi del loro paese e rispettano le leggi, 56

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sono molto sensibili alla cura dell’ambiente, hanno una viva curiosità per tutto ciò che arriva dall’estero e si dimostrano sempre molto disponibili e ospitali verso gli stranieri. Qui la gente ti parla e ti sorride sempre, nei negozi, al supermercato, in posta... ovunque tu vada ti chiedono come stai e come stai passando la tua giornata.. quando si scende dall’autobus è usanza ringraziare il conducente... Queste sono tutte cose che, da italiana, mi hanno colpito molto. È incredibile come un semplice sorriso o due parole cordiali possano metterti subito di buon umore. Tuttavia i primi mesi non sono stati facili, abituarsi al grande cambiamento, cercare casa, lavoro, amici, il tutto con un inglese maccheronico e una gran difficoltà nel capire. Ma come in tutte le cose nella vita, se si vuole davvero fare qualcosa un modo lo si trova sempre. Sono stata presa come cameriera in un ristorante del Casinò di Sydney dove il mio stipendio settimanale era lo stesso che prendevo in un mese a Milano. Qui le


opportunità lavorative sono davvero tante e gli stipendi sono alti. Non c’è quella smania italiana di dover essere laureati a tutti i costi, qui il lavoro è considerato lavoro, non importa che tu sia muratore, cameriere, idraulico, operaio o avvocato. Tutti sono considerati dignitosamente allo stesso livello. Non si vive per lavorare e per far vedere agli altri la macchina nuova, la borsa firmata, l’orologio o il nuovo cellulare. Si lavora e poi si vive la vita in modo semplice sereno ed educato. Per le strade nessuno urla e litiga, non si sente il clacson delle auto, nelle spiagge e nei parchi non ci sono sacchetti di plastica, mozziconi di sigarette, bottigliette, vetri... qui regna un gran senso di rispetto verso il prossimo e verso l’ambiente. Sydney è una città giovane e vivace. Le iniziative sono moltissime. Ogni settimana c’è un evento organizzato, un concerto, un’esibizione d’arte, sport, cibo che raggruppa persone di tutte le età. Le strutture e i trasporti pubblici sono stra efficienti, la città è sicura anche nel cuore della notte, i ragazzi non si mettono alla guida se hanno bevuto perché la città gli offre la possibilità di usare i mezzi, 24ore al giorno, sicuri, puliti e in orario. Quando dico che sono del Lago di Como agli australiani brillano gli occhi e parte subito un Wow! Tutti conoscono Como, tutti sognano di andarci almeno una volta nella vita e chi ci e’ stato lo ricorda come uno dei posti più belli del mondo. Eppure io quell’orgoglio e quel senso di appartenenza per Como non lo sento più. Perché a parte la meraviglia del nostro lago e delle nostre montagne Como non ha nulla più da offrirmi. È una città che si sta spegnendo ogni anno sempre di più, non ci sono iniziative, gli spazi verdi sono sfruttati male, i locali sono vuoti e appena ce n’è uno che funziona lo si fa chiudere perché disturba la quiete. Peccato, perché il potenziale è altissimo, a Como si potrebbero fare mille cose, sia per i cittadini sia per il turismo. Ma la mentalità chiusa e provinciale e la mancanza di entusiasmo e di supporto da parte delle autorità non aiutano a crearne l’opportunità. Il governo Australiano dà ai giovani stranieri sotto i 31 anni la possibilità di ottenere un visto di vacanza-lavoro di un anno rinnovabile di un ulteriore anno se l’interessato dimostra di aver lavorato 3 mesi in determinate zone regionali dell’Australia dove c’è bisogno di manodopera. Geniale. Ti mandano a

lavorare in fattoria, 3 mesi nei campi a raccogliere la frutta e in cambio ti regalano un altro visto. Dopo l’esperienza come cameriera sono riuscita a mettere via qualche soldo e ho colto l’occasione per fare un viaggio insieme a mia mamma che mi è venuta a trovare dall’Italia ed è rimasta qui in Australia per più di un mese. Abbiamo fatto un bel giro e anche lei si è subito innamorata di questo paese, tanto che spesso parliamo e sogniamo di riuscire un giorno a trasferirci qui. Dopo la partenza di mia mamma sono partita per i famosi 3 mesi di lavoro in fattoria.. ed è stata un esperienza fantastica. Sono stata un mese in Queensland, a nord est dell’Australia, zona tropicale dove si trova la barriera corallina. Ho lavorato nei campi sotto il sole cocente insieme ad altri ragazzi giovani come me, provenienti da diversi paesi del mondo. Dopo il mese in Queensland mi sono spostata più a sud, a Byron Bay, paese fiabesco dall’atmosfera un po’ hippie..a volte mi sembrava di vivere un epoca come mi immagino siano stati gli anni 70. Mercatini di cibo biologico, strimpellare di chitarre per le strade, falò in spiaggia, biciclette, mare sole, pic nic nei prati. Ho vissuto in un ostello in camerata da 8, senza nessun comfort eppure lo ricordo come uno dei periodi più felici della mia vita. Dopo l’esperienza in fattoria ho ottenuto dal governo un altro anno di visto. Sono tornata a casa qualche mese per visitare la famiglia, poi sono ripartita un altro anno, ho lavorato al casinò altri 6 mesi poi sono partita per la Nuova Zelanda dove sono stata per 3 mesi, lavorando per la stagione sciistica a Queenstown, una cittadina di straordinaria bellezza che per alcuni tratti mi ha ricordato il paesaggio di Como. Da Gennaio sono tornata di nuovo a Sydney, con un visto studente. Studio turismo, ho trovato lavoro come cameriera in un golf club e ho affittato casa a Bondi Beach con due ragazzi di Como, Alex e Giordano, anche loro da un anno in Australia. Stiamo bene, lavoriamo e riusciamo a mantenerci dignitosamente. Il sogno sarebbe quello di riuscire ad aprire qui un’attività sfruttando i prodotti italiani e il loro grande prestigio. Quello che mi manca di casa oltre agli affetti è sicuramente la nostra cultura, le tradizioni, il cibo... mi manca l’Italia che non c’è, mi dispiace dover pensare di costruire un futuro lontano… spero la situazione migliori presto anche se le notizie che arrivano da casa sono davvero preoccupanti.

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di Manuela Moretti

IL PARADISO A PANAMA LA SCELTA DI MARIA E MICHELE CHE A 30 ANNI HANNO CAMBIATO VITA. HANNO LASCIATO BELLAGIO E HANNO APERTO UN BED AND BREAKFAST A PANAMA, CHIAMATO “CASA LAGUNA”

Dal lago di Como a Panama per aprire un B&B: è l’avventura di Maria Nadali, fotografa originaria di Bellagio, e del fidanzato Michele Lopardi, che a trent’anni hanno deciso di dare una svolta decisiva alla propria vita e iniziare questa nuova avventura. Il perché di questo grande cambiamento lo abbiamo chiesto a Maria, che spiega così questa decisione che ha cambiato radicalmente modi e stile delle loro vite: «Era il 2008 ed eravamo arrivati a un bivio: scegliere tra comprare casa, e impegnarci in un mutuo trentennale, oppure provare qualcosa di diverso... e abbiamo scelto per quest’ultima alternativa. Mal che fosse andata... saremmo tornati indietro. Iniziai allora a confrontarmi con amici che vivono in giro per il mondo - racconta ancora Maria - cercando di capire quale posto sarebbe stato giusto e Panama rispecchiava un Paese su misura per noi. Abbiamo dedicato tre mesi per visitarla e capire se poteva diventare casa nostra... E così è stato». A distanza di pochi anni, questo progetto non solo è diventato realtà, ma Casa Laguna, questo è il nome che i giovani proprietari hanno dato al loro B&B, è diventato un posto davvero accogliente, a giudicare dai pareri entusiasti di coloro che hanno avuto la fortuna di trascorrervi qualche giorno. Quest’anno, grazie ai commenti positivi degli ospiti, Casa Laguna ha vinto il Premio “Tripadvisor Travellers’ Choice Award”, un riconoscimento davvero importante, arrivato

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del tutto inaspettatamente, come racconta Maria: «È stato una vera sorpresa ricevere questo Premio. Ogni giorno, lavoriamo senza sosta per cercare di far sentire i nostri ospiti a loro agio, e ricevere un riconoscimento così è davvero molto gratificante». La vita a Casa Laguna tuttavia non è solo lavoro per i due proprietari: «Vivere qui ti porta a vivere in un modo del tutto diverso, con modalità e ritmi totalmente differenti rispetto a chi vive in città. Anche se lavoriamo molto durante il giorno - afferma Maria -, riusciamo sempre a trovare del tempo per noi, da trascorrere a stretto contatto con l’ambiente circostante». Casa Laguna, che sorge a soli pochi metri dal mare, è infatti immersa nella natura, dove non mancano “ospiti” un po’ stravaganti: «Nel rancho in Laguna - racconta ancora Maria - ogni tanto vengono a trovarci due simpatici serpentelli, un boa e un pitone, ma abbiamo imparato a convivere serenamente anche con loro: alla fine questa è, innanzitutto, casa loro, e poi casa nostra». In questo paradiso naturale, non manca tuttavia un po’ di nostalgia per il piccolo e affascinante paese di Bellagio, noto in tutto il mondo per la sua pittoresca posizione e per la meravigliosa vista sulle Alpi, oltre il lago. I piccoli borghi del paesino lacustre, non sono stati dimenticati dall’orgogliosa proprietaria del B&B di Panama: «Bellagio rimane nel mio cuore, è un posto meraviglioso dove conservo bellissimi ricordi. È li - ricorda ancora Maria - dove è nata la mia passione per la fotografia, tra quegli scorci meravigliosi. Ma sono consapevole tuttavia del fatto che, purtroppo, lì, come in altri posti in Italia, non avrei mai potuto realizzare i miei progetti... e un B&B tutto nostro che ci dà grandi soddisfazioni».


STORIA DELL’ARCHITETTO COMASCO FRANCESCO COCQUIO. «LONDRA È UN’OPPORTUNITÀ, MA COMO, CON TERRAGNI, LINGERI CATTANEO E SANT’ELIA, È NEL DNA. È FONDAMENTALE TENERE L’ITALIA COME RIFERIMENTO IN QUANTO A RICCHEZZA DI ARTIGIANATO E CREATIVITÀ»

LA SCOMMESSA OLTRE MANICA Trovare l’ispirazione lontano dall’Italia. Francesco Cocquio, architetto quarantenne, nato a Como e cresciuto a San Fermo della Battaglia, da otto anni vive e lavora a Londra: «La città dove i giovani trovano un’occasione valida per cominciare la loro carriera. Dove le esperienze di persone provenienti da tutto il mondo e ansiose di sperimentare danno vita a un fermento creativo unico». La storia di Francesco ha cominciato a coniugarsi in inglese nel 2005: «Avevo 32 anni. All’epoca la Boffi, l’azienda per la quale lavoro, mi ha proposto di fondare a Londra un nuovo negozio di progettazione e vendita. Avevo 32 anni, il mercato immobiliare era in piena espansione. E l’occasione mi sembrava perfetta». L’architetto comasco fa le valige rapidamente e vola oltre la Manica. E lì prende casa, affonda le sue radici professionali e mette su famiglia. Non che giocarsi la carta dell’estero sia una novità per chi è a caccia di un’opportunità. L’architetto volato a Londra, durante i suoi studi a Politecnico, aveva infatti studiato a Barcellona e fatto workshop a Malmö, Bogota, Samarcanda e Rotterdam. Eppure, in tutto questo viaggiare, giura di essersi portato dietro anche la sua Como. «Como è nel mio Dna - spiega - il movimento razionalista di Terragni, Lingeri e Cattaneo e l’esperienza visionaria di Sant’Elia sono stati molto presenti lungo tutto il mio percorso di studi che si è compiuto fra il Politecnico di Milano e

diverse esperienze progettuali internazionali». Anche perché sarà pure vero che Londra gli ha offerto un’opportunità, ma - a sentire Cocquio - «non c’è una tradizione artigianale e culturale con la quale confrontarsi. Quindi trovo fondamentale tenere Como come riferimento: perché quando alla ricchezza dell’artigianato si preferisce la creatività vissuta di impulso quel qualcosa di moda che si crea dimostra molto velocemente la povertà del percorso creativo». E in questi anni all’ombra del Big Ben non sono mancate le occasioni per rivolgersi a fabbri e falegnami ed edili comaschi, per poter svolgere quei lavori che solo il made in Italy è in grado di offrire. Dopo otto anni londinesi Francesco Cocquio ha incontrato una di quelle «persone provenienti da tutto il mondo e ansiose di sperimentare»: Hugo Passos, un designer portoghese con il quale l’architetto comasco ha fondato “Ottoemezzo”, il cui nome è un chiaro richiamo a Federico Fellini: «Si tratta di una piattaforma dove i designer possano trovare uno spazio per proporre i loro prodotti senza attendere che un’azienda già affermata possa notarli ed investire su di loro». Ad aprile, in occasione del Salone del Mobile, l’architetto di San Fermo torna nella sua Italia assieme al collega portoghese: «Siamo stati selezionati per esporre i nostri prodotti all’evento del Fuori Salone chiamato Most 2013, al Museo della Scienza e della Tecnica a Milano dal 9 al 14 Aprile».

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LE DONNE

NODO

E QUEL AGLI UOMINI

di Serena Brivio

LA STORIA DI UN’AZIENDA IN ROSA CHE PRODUCE INTERNI PER CRAVATTE ED ESPORTA NEL MONDO. TATÀ STOPPANI: «MIO PADRE SOSTENEVA CHE UN’AZIENDA SI REGGE SOPRATTUTTO SUL CAPITALE UMANO, DIFFICILE DA CREARE, FACILE DA DISTRUGGERE. COMO HA SBAGLIATO NEL LASCIARE SCOMPARIRE TANTE COMPETENZE CHE RAPPRESENTAVANO UN UNICUM» mag

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e una volta la cravatta era il vessillo del made in Como, oggi cosa resta di questa gloriosa tradizione? «Quella creatività che legittima ancora un’indiscussa leadership. Negli ultimi due decenni i numeri sono crollati sotto i colpi della concorrenza asiatica, decimate le aziende, ma chi è rimasto continua a esportare i nostri valori nel mondo». Così nasce l’incontro con Tatà Stoppani, chiamata “la signora” nell’universo del nodo, ancor oggi saldamente in mani maschili. Genitori giusti, studi giusti, carattere deciso, ha timonato tra i marosi della crisi la BestTie, specializzata nella produzione di interni per cravatte. Un vanto per il territorio: é una delle quattro cenerentole dell’Occidente rimaste sul mercato a continuare un’attività capitalizzata dall’ex celeste Impero. Secondo l’imprenditrice, è stato l’avvento del casual wear e del Friday wear (quando le più importanti multinazionali hanno dispensato manager e impiegati dall’abbigliamento formale il venerdì e poi anche gli altri giorni) a segnare il declino di questo accessorio. «Ma io dico che la cravatta non è morta. Continua ad avere i 62

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«L’innovazione e l’alta tecnologia ci hanno permesso di valorizzare l’apporto del capitale umano risorsa indispensabile ed unica per il successo di ogni azienda» suoi più variegati estimatori. Piace sempre di più ai giovani, che la indossano in modo disinvolto, con i jeans». Elegante, dinamica, Tatà concilia il piglio di ferro con un approccio sorridente. Madre attenta e lavoratrice instancabile, ha accettato un destino che poi è diventato una passione. «Finito il Setificio, sono andata a perfezionare le lingue all’estero. Al ritorno, per mio padre era scontato che entrassi in azienda». Apprezzato creatore di tessuti per cravatteria, all’apice del successo Bruno Stoppani decise di lasciare un lavoro che compor-


L’AZIENDA IN ROSA

Lo staff è composto da quindici persone, tredici sono donne e la maggior parte di questa squadra collabora in azienda da molto tempo.

tava frequenti viaggi all’estero per sviluppare una piccola linea di interni. Obiettivo dettato dal cuore: aprire alle tre figlie una strada più adatta a crescere una famiglia. Tatà ha 21 anni, quando lo affianca in questa avventura. «All’inizio è stato difficile: ero una donna, giovane per di più». Corrono gli Ottanta, ancora non si intravede il dissolvimento di un sistema, il crollo di un prodotto per decenni una delle forze motrici del tessile lariano. «Se mi guardo indietro, ricordo un’industria fiorente che non aveva eguali. Il distretto dominava il settore. La nostra offerta si basava su quattro-cinque articoli, realizzati in milioni di metri. Ordine minimo: almeno 6 mila pezzi contro i 100 odierni». La storia è nota. A metà dei Novanta, la devolution del look libera il collo dai legami, mentre crescono i competitor cinesi. La filiera non è in grado di influenzare gli eventi e collassa. Bruno e Tatà Stoppani imprimono una svolta radicale al business. «Ci siamo trovati davanti a una scelta: buttarci sulle produzioni di massa sacrificando margini e mano d’opera o rilanciare alla grande puntando sull’alta gamma e sul mercato globale». La nuova strategia comporta importanti investimenti nell’au- >>

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STRATEGIE

L’interno della cravatta deve valorizzare il tessuto. Il segreto è studiare l’articolo più adatto a ogni trama.

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tomazione. Precisissimi tavoli a conveyor e avanzati sistemi di stesura sostituiscono l’obsoleto taglio a trancia con fustelle. L’implementazione e l’ammodernamento portano alla sostituzione dei vecchi telai con Vamatex Leonardo di ultima generazione in grado di garantire qualità eccelsa dimezzando i costi. Tessuti di pura lana o misti con filati innovativi sostituiscono quelli sintetici di minor pregio, vengono introdotti finissaggi ecologici. Flessibilità e velocità di esecuzione, asset di BestTie consentono di evadere just in time il 99 per cento degli ordini. «L’alta tecnologia ci ha permesso anche di valorizzare l’apporto umano - spiega Tatà - sempre più concentrato sul controllo scrupoloso di ogni pezzo venduto». Nel giro di poche stagioni il portfolio clienti acquisisce le più celebri griffe, Hermès tanto per citarne una, e diventa il punto di riferimento dei migliori cravattai internazionali. Attualmente, l’export rappresenta il 90% del fatturato. La gamma diventa più ampia. Si fa leva su un servizio custommade, a misura del committente. Misure non standardizzate per i patiti della cravatta sublime. «A noi non viene mai svelato il nome dell’utente finale - continua Tatà - il carnet è fitto di richieste destinate a un circolo ristretto di dandy raffinati, piuttosto che a noti personaggi della politica, della finanza e dello star system”. La costante ricerca si svolge in un laboratorio digitale a forma di cubo e rivestito da pannelli in COR-TEN bullonato, nella zona industriale di Albavilla. Accanto all’ingresso, la sala vendite ospita una serie di collezioni che vanno a definire quel senso di home-feeling, per-

cepibile nell’intera fabbrica. Souvenir di viaggi si mescolano a libri, ritratti, memorabilia come la serie di elefanti ereditati dal nonno paterno Andrea Stoppani, console italiano a Singapore. Appese a una parete fiammeggianti cravatte di cartone, piccoli capolavori di manualità recuperati tra i materiali di un archivio dismesso. Sul tavolo, in bella mostra alcuni nodi Friends, oggetti unici realizzati con scampoli di lana e seta acquistati in giro per il mondo: doppia punta, cuciture a mano, al posto del solito passante un nastrino di seta giapponese. Al tatto quasi non si sente l’anima di questi nastri di stoffa, hit regalo per pochi amici. «L’interno deve valorizzare il tessuto - spiega la donatrice/designer - Il nostro segreto è studiare l’articolo più adatto a ogni trama». Visitando i reparti, si capisce come queste creazioni nascano da un continuo interscambio di esperienze e professionalità. Lo staff è composto da 15 persone, 13 donne. La maggior parte di questa squadra “in rosa” collabora da molto tempo. Come Rita, addetta al taglio, 30 anni passati in BestTie. «Faccio un sacco di chilometri per venire al lavoro, mi è capitato di trovare dei posti vicino a casa, ma ho sempre lasciato perdere. Qui, c’è dialogo e un rispetto reciproco dei ruoli: mi sento una persona e non un ingranaggio». Tatà coglie la palla al balzo e commenta: «Mio padre sosteneva che un’azienda si regge soprattutto sul capitale umano, difficile da creare, facile da distruggere. Como ha sbagliato tiro, lasciando che scomparissero tante competenze che rappresentavano un unicum».

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Benessere Uditivo e Prevenzione IL SENSO DELL’UDITO L'udito è un sistema estremamente complesso. È il primo dei cinque sensi a svilupparsi nel feto e a permettere il contatto con il mondo esterno. L'udito rappresenta uno dei sensi più importanti per l'essere umano ed interpreta un ruolo fondamentale per la vita sociale di ognuno di noi dal momento che influisce direttamente sulla nostra capacità di comunicare e stare insieme agli altri. Una migliore condizione uditiva influenza il nostro relazionarsi con amici, parenti, colleghi e con il mondo che ci circonda contribuendo alla conduzione di una vita attiva e piena. Sentire bene significa vivere meglio. Per questo è necessario tenere monitorato costantemente il proprio udito nel caso in cui se ne ercepiscano anche leggere alterazioni. L’IPOACUSIA E LE SUE CAUSE Per ipoacusia si intende la

diminuzione parziale dell'udito.Pur essendo spesso una conseguenza del processo di invecchiamento, questo fenomeno può colpire in maniera permanente o temporanea persone di tutte le età. L'eccessiva esposizione al rumore, infatti, fa si che l'età media delle persone colpite da questo problema sia sempre più bassa. Le cause possono essere ricercate soprattutto nell' inquinamento acustico presente nelle nostre città e nella diffusione di apparecchi per la riproduzione di MP3, responsabili dell'aumento di disturbi uditivi anche tra i giovanissimi. Il 12% della popolazione italiana soffre di disturbi uditivi. La percentuale sale nella fascia d’età compresa tra i 61 e gli 82 anni al 25% e raggiunge il 50% per gli over ottantenni. Anche nei bambini possono presentarsi problemi di ipoacusia, causati da motivi ereditari, malattie o incidenti.

E' importante diagnosticare questo problema in tempo in quanto può riflettersi sulle capacità del bambino di relazionarsi col mondo esterno.

L’IMPORTANZA DELLA PRE VENZIONE La condizione del nostro udito influisce sul nostro benessere: capire chi ci sta accanto, sentirsi integrati in una conversazione, poter ascoltare i suoni della natura, rispondere agevolmente ad una telefonata… Sono situazioni che ci fanno sentire attivi e protagonisti della nostra vita di ogni giorno. Proprio per questo la prevenzione è importante. Per monitorare la salute del proprio udito è sufficiente effettuare periodicamente un Test udiometrico che dura solo pochi minuti e non è assolutamente invasivo. Per effettuate il Test è necessario indossare una cuffia attraverso la quale verranno inviati degli stimoli sonori; bisogna semplicemente

segnalare il momento in cui vengono percepiti questi suoni. Questo consentirà di individuare la “soglia uditiva”e quindi di accertare la presenza o meno di deficit anche di piccola entità. Audium crede molto nell’importanza di sensibilizzare la popolazione a fare prevenzione uditiva. Proprio per questo lavora costantemente nei propri centri acustici e presso i centri screening per offrire un servizio di test dell’udito alla popolazione. Ogni anno i nostri specialisti effettuano il controllo dell’udito ad oltre 90.000 persone di tutte le età. Il servizio è gratuito ed è completato da un’azione informativa sull’importanza del benessere uditivo.

Per informazioni inff ormazioni o appuntamenti rivolgersi al numero verde 800 985 094 o all’indirizzo mail info@audium.it info@audium m .it


I TESSUTI BIO MADE IN COMO di Daniela Mambretti

TESSUTI IMPALPABILI PRODOTTI NEL RISPETTO DELL’ECOSOSTENIBILITÀ E DELL’ETICA DI LAVORAZIONE. DANIELE E CLAUDIA ALIVERTI, IMPRENDITORI COMASCHI CRESCIUTI PROFESSIONALMENTE NEL SETTORE TESSILE, HANNO SCELTO DI PORTARE L’AMORE E IL RISPETTO PER LA NATURA ANCHE NEL LORO LAVORO, UNENDO INNOVAZIONE E ARTIGIANALITÀ IN UN MARCHIO BIO TUTTO COMASCO.

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TRADIZIONE, INNOVAZIONE E RITORNO ALLE ORIGINI Daniele Aliverti, 52 anni, nel tessile ci è cresciuto. Dopo gli studi al Setificio e una lunga esperienza in aziende di diverse dimensioni come assistente all’ufficio stile, in un crescendo umano, tecnico e professionale, sceglie di diventare consulente. Un anno e mezzo fa, con la moglie Claudia, fonda la linea 2Add. «Abbiamo sentito l’esigenza di portare ciò che faceva già parte della nostra quotidianità, vale al dire l’amore per la natura che ci ha spinto a lasciare la periferia comasca per stabilirci sopra Argegno, l’attenzione per gli sprechi inutili o il riciclo, anche nella nostra professione», spiega l’imprenditore. Da questo desiderio di ritorno alla semplicità delle origini, nasce una prima linea di sciarpe e stole dai tessuti morbidi e dai colori rarefatti e naturali: niente tinte forti e sempre perfettamente uguali a se stesse, come vuole, invece, la chimica delle tinture classiche, ma tessuti e nuance che variano a seconda delle partite di cotone organico o di alpaca “etica”, o dall’intensità di quel particolare indaco o da quella specifica fornitura di robbia. I due imprenditori hanno dovuto, prima di tutto, fare un’accurata selezione dei fornitori delle

SECONDO NATURA

Radici, foglie, fiori, tutti concorrono a creare nuance mai uguali, mai industrialmente ripetitive

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materie prime, valutando, di volta in volta, le certificazioni bio che potevano garantire. «Abbiamo optato, per esempio, per il cotone organico che presuppone la mancanza di pesticidi nella coltivazione e l’attenzione ai quantitativi di acqua utilizzati nella lavorazione. Nel caso della lana o della alpaca, invece, abbiamo scelto chi poteva garantire un’etica nel trattamento degli animali allevati, mentre nel caso della seta, l’attenzione si è spostata sui lavoratori coinvolti sotto il profilo della sicurezza e della tutela dei minori»- continua Aliverti. Nelle fibre, poi, l’arte del riciclo fornisce anche nuovi spunti creativi, come un filato proteico che proviene da uno scarto di lavorazione del latte, con caratteristiche antiallergiche e una gradevole morbidezza tanto da essere particolarmente adatto anche per la produzione di intimo. «Stiamo studiando anche l’utilizzo di filati derivanti da cotone riciclato, mentre per la lana la prospettiva è più difficoltosa a causa dell’eccesiva rigidità del tessuto finale». DISCREZIONE CROMATICA I colori troppo forti, intensi, decisi, come il fucsia, “non fanno” per gli accessori ecosostenibili. Meglio affidarsi ai blu profondi o trasparenti dell’indaco e del campeggio, ai rossi terrosi della robbia, o ai verdi smeraldini dell’eucalipto. Radici, foglie, fiori, tutti concorrono a creare nuance mai uguali, mai industrialmente ripetitive. È possibile reperire anche mix di essenze in polvere che coniugano la naturalità delle tinture con l’esigenza di utilizzare coloranti il più possibile riproducibili nella resa delle nuance. «Purtroppo, per i processi di colorazione, è spesso necessaria una sorta di compromesso. I fissativi, per esempio, quelle componenti che fanno sì che la tintura dei capi non se ne vada dopo pochi lavaggi, non sono mai totalmente ecocompatibili, spesso non possono proprio esserlo dal punto di vista della composizione di base. Tuttavia, sta crescendo la sensibilità e l’attenzione anche su questi aspetti e è proprio su questa >> evoluzione che bisogna puntare», sottolinea Aliverti.

No a tinte forti e sempre uguali come vuole la chimica delle tinture classiche, ma nuance sempre diverse nel pieno rispetto della natura mag

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COME UN TEMPO

I tessuti appena tinti con colori naturali asciugano stesi al sole.

La maestria dei piccoli artigiani unita alla rigorosa efficienza e alla precisione dei telai hanno dato vita a trame calde, avvolgenti e impalpabili

TRAME RUBATE AI VENTI E ALLE SABBIE Si può fissare il soffio del vento, imprigionare le onde del mare o riprodurre l’impercettibile sabbiosità dei granelli? Daniele e Claudia ci hanno provato, esperimento dopo esperimento, prova dopo prova, con la pazienza e la complicità di piccoli laboratori artigianali sparsi nelle valli lombarde. I due imprenditori si sono fatti ispirare dagli elementi della natura, come il vento, le nuvole, la sabbia e persino il sole, per ideare i tessuti. Poi la maestria dei piccoli artigiani ai quali si sono rivolti, unita all’efficienza e alla precisione dei telai, hanno dato vita a trame calde e avvolgenti quanto impalpabili. «Poiché la nostra produzione, data l’indole biologica, è piuttosto limitata, ci siamo dovuti rivolgere a piccoli produttori, che si sono dimostrati sempre molto disponibili a sperimentare e, spesso, a inventare, la realizzazione di tes70

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suti piuttosto inusuali», continua Aliverti. Per far rivivere ciò che animava la fantasia dei creativi nel prodotto finale, anche i nomi attribuiti alle diverse linee delle sciarpe evocano gli elementi della natura: Lago - forse anche in onore delle origini dei fondatori - Neve, Riva, Rete o Spugna testimoniano la volontà di partire, per poi ricongiungersi, da quel mondo che chiede rispetto e tutela, al di là dell’irrinunciabile evoluzione tecnologica e del progresso. Sì, perché il futuro impone e chiede continuamente novità e ulteriori proposte: infatti, è già allo studio una nuova linea di tessili per la casa. Pratici, caldi, morbidi, ma, soprattutto, bio. >>


INSERZIONE PUBBLICITARIA

SILVANA FUMAROLA Nuove testimonianze sulle capacità della pranoterapeuta

“Fuori dal tunnel. Ora la vita è normale”

L’esigenza di riprendere una vita normale e l’energia per affrontare la quotidianità. E molti sorrisi ritrovati. Tante situazioni umane personali e familiari risolte nel migliore dei modi. Questa in estrema sintesi l’attività della pranoterapeuta Silvana Fumarola, nel suo studio di Ponte Chiasso in via Bellinzona 250. Ecco alcune testimonianze. “Soffrivo di forti dolori dovuti a un’artrosi cervicale. Non ne potevo davvero più, perché capivo che la situazione progressivamente peggiorava e questo non lasciava certo spazio all’ottimismo. Era come sprofondare in un tunnel senza ritorno. Le conseguenze erano fisiche ma anche mentali, psicologiche. Mi sentivo sempre peggio e ogni cosa stava diventando un problema. Sempre più doloroso. Sempre più difficile da affrontare. Poi un fortunato giorno una mia amica mi ha raccontato di come aveva risolto i suoi mali, proprio recandosi nello studio della pranoterapeuta Silvana Fumarola. Sentendo con quanto entusiasmo mi raccontava la sua pur diversa, ma positiva esperienza, ho voluto anch’io provare a recarmi nello studio di Ponte Chiasso. Non ero scettica ma neppure convinta. Però mi sono detta: chissà? Ed è stata la mia fortuna. Perché sono stata subito accolta con grande disponibilità e mi sono subito sentita a mio agio. Poi ho anche capito che cominciavo ad avvertire sensazioni positive mentre i dolori via via si facevano meno intensi e più sopportabili. Ho capito insomma che finalmente stavo vivendo una fase di miglioramento. Ora posso dire di non avere più disturbi e ogni volta che incontro la mia amica finiamo sempre con parlare della pranoterapeuta Fumarola. Entrambe le siamo

E’ importante prenotare l’appuntamento

Ecco l’elenco delle malattie

grate, entrambe sappiamo che le dobbiamo molto perché è lei che ha risolto i nostri problemi. Per questo non esito a parlarne. Perché so che forse così facendo altre persone potranno trarne beneficio”. Altri casi felicemente risolti. “Il mio calvario era iniziato già anni fa, con dolori molto forti. Si trattava di una nevralgia del trigemino. Per curarla - ricorda S. A ho provato un po’ tutto, anche l’agopuntura. Il problema però persisteva, anzi si aggravava. Così, su consiglio di mia moglie che già aveva fatto ricorso con ottimi risultati alla pranoterapeuta Silvana Fumarola, mi sono recato nello studio di via Bellinzona 250 e devo dire che ho riscontrato da subito sensibili benefici. Ciò per me ha significato tutto, perché i dolori al trigemino sono fortissimi. Non mi consentivano più una vita normale e anche quando non erano presenti vivevo comunque nell’angoscia che potessero tornare, perché erano sempre in agguato e io davvero non sapevo cosa poter fare per prevenirli. Dopo alcune sedute dalla signora Fumarola invece il problema era diventato ben più sopportabile, sino poi a scomparire del tutto. Adesso ho ripreso normalmente la mia vita e devo dire che mi sento bene. Inizialmente non mi sembrava neppure vero. Ero incredulo, ma questa è la realtà. Non posso che ringraziare la signora Silvana per quanto ha saputo fare per me”. Altra positiva esperienza è quella di un quarantenne di Como, afflitto da seri problemi di respirazione a causa di una sinusite. Da tempo ormai le gocce cui faceva ricorso, pur aumentando le dosi, servivano assai poco. Il fastidio era crescente e la situazione si era fatta proble-

matica. Poi la decisione di recarsi dalla pranoterapeuta che gli ha consentito un graduale ritorno alla normalità. “Già dalla prima seduta – racconta – ho ottenuto dei miglioramenti e già in poco più di un mese di distanza, solo in alcuni momenti della giornata avvertivo il fastidio del naso chiuso, ma era un malessere passeggero che ormai si risolveva da solo. E infatti così è stato perché ora mi sento bene e tutto ormai è un ricordo, Non posso che esprimere tutta la mia fiducia alla pranoterapeuta Silvana Fumarola. E così alle sue capacità naturali ho affidato anche mio padre che, forse per l’avanzare degli anni, avvertiva diffusi dolori alle spalle. Anche lui ha avuto la mia stessa positiva esperienza. Insomma ha ripreso una vita del tutto normale. E insieme non possiamo che dire grazie alla pranoterapeuta Silvana Fumarola”.

La pranoterapeuta Silvana Fumarola nel suo studio

– Distorsioni e contusioni, – Talloniti; – Metatarsalgie; – Sinusiti, otiti, labirintiti, asma, bronchiti; – Gastriti, ulcere gastriche, coliti, coliti ulcerose, di verticoliti; Eccoo lee curee pranoterapeutiche:: – Ritardi di cicatrizzazioni; – Disturbi mestruali, ovarici e di menopausa; – Tutti gli stati infiammatori; – Disturbi derivanti dalle varie forme di artrosi: – Flebiti; cevicali, dorsali, lombosacrali, del ginocchio e altri; – Emorroidi; – Dolori muscolari e da trauma; – Periartriti; – Acne, dermatiti; – Nevralgie; – Deperimenti organici; – Nevriti; – Stanchezza, perdita di energia e bisogno di – Sciatalgie; rilassamento; – Emicranie; La pranoterapeuta Silvana Fumarola riceve su appuntamento nello studio di Ponte Chiasso, in via Bellinzona 250 (tel. 031.54.13.27), dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 19.30, il sabato dalle 8 alle 12.


SCHEDA INDACO L’indaco, già noto in India 4.000 anni fa, è un colorante di origine vegetale. Si ricava dalla fermentazione delle foglie di Indigofera tinctoria: con il progredire dell’ossidazione, il colore della soluzione che se ne ricava vira gradualmente fino a diventare il caratteristico viola-bluastro, il color indaco, appunto. Il deposito che si viene a formare viene, quindi, raccolto e riscaldato per bloccarne la fermentazione e, una volta asciugato, commercializzato in forma di pani. Attualmente, viene anche prodotto per sintesi chimica. L’indaco, nelle regioni del Sahel e della Mauritania, è uno dei simboli di prestigio più ambiti, in quanto messaggero di nobiltà e eleganza. SCHEDA ROBBIA La Rubia tintctorum L. è una delle piante coloranti più antiche per produrre il colore rosso e il marrone se unita a altri coloranti. La robbia, già conosciuta in India, Persia, Egitto, si diffuse a partire dal XVII secolo anche in Olanda, Francia e Italia, soprattutto in Toscana, utilizzata non solo per tingere i tessuti, ma anche vasellame, tappeti e pelli. Verso la fine dell’800, due chimici tedeschi ne sintetizzarono il principio colorante, la alizarina. Per ottenere il colorante naturale, la radice essiccata viene liberata dalla pellicola superficiale e quindi macinata: la tintura presenta ottima solidità alla luce e ai lavaggi in acqua. SCHEDA CAMPEGGIO Il campeggio, o Haematoxylum campechianum, è una pianta originaria della regione di Campeche, nella penisola di Yucatán, in Messico, dove, infatti, viene anche chiamato Legno di Campeche. Già noto agli Aztechi che ne estraevano la tintura colorante, divenne poi monopolio spagnolo e venne largamente utilizzato nell’industria tessile britannica. Dalla sua corteccia ridotta in scaglie e tritata, dopo l’estrazione del pigmento colorante per fermentazione, si ricava una tintura che vira dal viola al blu scuro, fino al nero. E’ stato, infatti, utilizzato fin dopo la prima Guerra Mondiale per tingere di nero le lane già naturalmente scure. 72

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I MUSCOLI

DEL LARIO

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ue, cinque, diciotto e dieci. Sono i numeri dei Muscoli del Lario che si danno appuntamento ogni sabato su Facebook, dove un “muscolo” si incarica di dare le coordinate agli altri muscoli in modo che la domenica siano tutti pronti e tonici per correre, di prima mattina, ovviamente. Muscoli e Lario, due amori dei fondatori del gruppo di 74

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amanti del Trail del triangolo lariano. Si definiscono così i componenti del drappello di partecipanti alla squadra di muscoli e corsa che, appena può, molla tutto e corre, fa Trail, una disciplina che, spiegano i Muscoli del Lario, è molto più praticata in Francia che in Italia, ma che sta prendendo piede anche da noi. I numeri, si diceva. Due sono le persone, Ezio e Roberto


di Carla Colmegna

Con la corsa ci si deve prima di tutto divertire». Cinque sono invece gli anni di vita dei Muscoli del Lario, nati nel 2008; diciotto sono i componenti ad oggi e dieci le gare principali alle quali hanno partecipato e continueranno a partecipare «anche per sfida - spiega un altro muscolo - con noi stessi». Ma prima di continuare, c’è da scoprire da dove gli sportivi hanno pescato quel nome, Muscoli del Lario. «Ce lo ha dato Aldo Rock, una volta che lo abbiamo incontrato in un rifugio». Aldo Rock è proprio il dj di Radio Dj, triatleta e runner. Una volta ha conosciuto i lariani in montagna e ha chiesto loro chi fossero, «Siamo un gruppo di appassionati che corrono sulle montagne comasche» hanno risposto gli sportivi, e Aldo Rock ha ribattuto «Allora siete i Muscoli del Lario». È andata così. «Arriviamo tutti dalla strada - spiega Ezio Vo- >>

IMPRESE DEL GRUPPO COMASCO CON LA PASSIONE PER LA CORSA IN MONTAGNA. «PER FINIRE UNA MARATONA SERVE PREPARAZIONE FISICA E MENTALE, GRANDE SPIRITO DI ADATTAMENTO, E ALLA FINE CI SI ABITUA A SOPPORTARE IL DOLORE PUR DI ARRIVARE IN FONDO» «IN ALTRI PAESI IL TRAIL È USATO PER VALORIZZARE IL TERRITORIO, NOI VORREMMO FARE LO STESSO».

che si sono conosciute per caso a una maratona in Africa, là hanno scoperto di essere entrambi comaschi e, vista la sorpresa che la sorte aveva riservato loro, hanno deciso di creare il gruppo di appassionati di corsa in montagna: persone che amano correre, ma prima di tutto divertirsi insieme. «Perché la corsa - dice Ezio Volontè - se diventa un secondo lavoro non va più bene.

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MUSCOLI LARIANI

Il gruppo comasco durante un’uscita di corsa in montagna.

«I Muscoli del Lario» Da cinque anni, unica passione: corsa in montagna, maratone e voglia di scoprire la natura sfidando ogni volta se stessi

diverso e situazioni personali differenti con i quali fare i conti) c’è però anche il Lario, non avrebbero accettato di chiamarsi così altrimenti. Correre sulle montagne per loro è un’esigenza, soprattutto perché vogliono promuovere il territorio e accudirlo dove è trascurato. «A Como c’è la Marathontrail del Lago di Como - spiegano i Muscoli - 115 chilometri e 600 metri di dislivello, quest’anno è alla terza edizione e noi diamo il supporto logistico. >>

lontè, mentre gli altri commentano all’istante la sua battuta con una risata - nel senso che siamo tutti podisti, battezzati da Aldo Rock durante una maratona attorno al monte Bianco. Facciamo Trail e maratone». Maratone? Sì, ma non si pensi a quelle di tre, cinque o dieci chilometri in città, neppure a quella di New York. Le maratone dei Muscoli sono sempre nella natura e spesso estreme, Trail e Ultra Trail, garette da nulla come la Marathon des Sables, garette magari di 250 chilometri in sei tappe da raggiungere in sette giorni in «autosufficienza alimentare» interviene Sabina Bacinelli, infermiera, descrivendo la maratona del deserto di Atacama cui ha partecipato di recente e che gli altri Muscoli giurano essere una delle maratone più dure al mondo «si corre per una settimana dovendo avere con sè tutto il cibo necessario». Avere le provviste con sé significa averle stipate in un zaino, in genere di poco più di otto chili, da portarsi sempre addosso. Ma non è tutto. Nel 2011 i Muscoli hanno partecipato, tutti insieme, alla Marathon des Sables. Tra le mete preferite dai comaschi (tutti e 18 con un lavoro

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Uno dei nostri obiettivi è proprio quello di valorizzare le nostre zone. Spesso, quando andiamo a correre sulla Strada Regia, da Bellagio a Como, troviamo molti più stranieri che italiani, e purtroppo - aggiungono - quella strada è tenuta male e questo ci dispiace. In altri Paesi il Trail è usato per valorizzare il territorio, noi vorremmo fare lo stesso, ma troviamo sentieri sporchi, trascurati; per questo giriamo sempre con un sacchetto della spazzatura, raccogliamo la sporcizia che troviamo perché è un peccato sporcare zone e ambienti naturali così belli. Nel nostro territorio, basta uscire un po’ dall’abitato per scovare luoghi bellissimi, che vanno difesi». I Muscoli si mettono a disposizione: «Noi potremmo manutenere questi percorsi - chiariscono - curare la ComoBellagio, per esempio. Quando abbiamo diramato l’invito a percorrere quel tratto via Facebook sono arrivati in tanti, anche da altre province. C’è molto che si può fare correndo in mezzo alla natura». Di progetti i Muscoli ne hanno parecchi, prima di tutto vogliono ampliare il loro gruppo, avere visibilità per fare tante cose e divertirsi insieme in mezzo alla natura. «Noi - continua Roberto Pozzoli, addetto alla comunica-

«Le nostre splendide montagne hanno bisogno di tutela. Noi siamo disponibili ad occuparci della manutenzione dei sentieri e dei percorsi alpini» 78

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I MUSCOLI DEL LARIO Ezio Volontè Walter Carraro Matteo Daverio Roberto Pozzoli Ferdinando Mazzola Piero Malinverno Francesca Mai Fabiana Cassina Sabina Bacinelli Betty Volontè Flavio Garbagnati Michele Malacrida Luigi Panzeri Ivano Marelli Luigi Fumagalli Pino Arrighi Corrado Ratti Antonio Epifanio LE GARE PRINCIPALI Ultra Trail du Mont Blanc Grand Raid du Cro Magnon Marathontrail del Lago di Como Marathon des Sables Le Porte di Pietra Ultrabericus Trail degli Eroi Atacama Crossing Gran Trail Valdigne Trail del Monte Soglio

zione nel gruppo - ci incontriamo anche al di fuori delle gare e questo è ciò che ci lega di più. Siamo amici, la grande sofferenza fisica e morale che provocano a volte le gare estreme ci unisce, ci fa riesaminare la vita di tutti i giorni, dare il giusto peso alle cose, ai problemi. Ci aiuta il fatto che nelle nostre gare importa se arrivi, non quanto arrivi, non c’è competizione fine a se stessa, ma solidarietà, forte >>


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IN VETTA

«Ci spinge il fatto di stare insieme all’aria aperta, e vedere ogni volta posti nuovi».

emozione nel tagliare tutti al traguardo. Quando si arriva si piange di gioia e di fatica». «Sì - aggiunge Ezio Volontè, che dei Muscoli è il presidente - io dopo la maratona più dura che ho fatto ho vissuto per mesi di rendita. I problemi della quotidianità e del lavoro mi sembravano risolvibili. Se ho superato la maratona, mi dicevo, supero anche questo problema di lavoro». «Per finire una maratona serve una seria preparazione fisica e mentale e un grande spirito di adattamento; alla fine ti abitui a sopportare il dolore pur di arrivare in fondo» precisa Sabina che si è innamorata del camminare e correre dopo aver percorso il cammino di Santiago.

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Viene spontaneo chiedere, perché sfidarsi cosi? «Ci spinge il fatto di stare insieme all’aria aperta - spiega Matteo Daverio - di non stare fermi, di vedere posti continuamente nuovi». Walter Carraro ha percorso la Ultra Trail du Mont Blanc «è alla fine d’agosto - dice - Si fa il giro completo del monte Bianco, 166 chilometri e 10 mila metri di dislivello e lì si deve percorrere in 46 ore», senza dormire. Per valorizzare il territorio lariano i Muscoli seguono una volta l’anno giusto un “brevissimo” percorso «Si parte da Como alle 23, si corre fino a Brunate, poi sul Bolletta, Bollettone, Palanzone, colma di Sormano, San Primo e si scende a Bellagio. Lo facciamo per preparaci a non dormire, perché sul Bianco non si dorme - aggiunge Walter - poi da Bellagio prendiamo l’aliscafo e veniamo giù». Che sarà mai? Giusto quattro passi in compagnia all’aria aperta.



di Laura D’Incalci, foto Carlo Pozzoni

DECINE DI PROFESSIONISTI, CASALINGHE, STUDENTI, PENSIONATI, ESTETISTE, GIARDINIERI, COMMERCIANTI... SI RITROVANO AL SOCIALE A PROVARE E RIPROVARE I «CARMINA BURANA» PER CELEBRARE I DUE SECOLI DEL TEATRO.

«C

iao, stasera sono qui, mi va di cantare..». Un’idea spontanea, contagiosa, irresistibile, ha calamitato la città e promette effetti assolutamente sorprendenti. Louis Armstrong e il suo ritmo non c’entra. La pista è un’altra e porta dritto al Teatro Sociale di Como, ai suoi 200 anni di fasti e bellezza e alla odierna routine che i comaschi hanno deciso di spezzare per dare nuova vernice, colori smaglianti, vivacità ad una città che ultimamente è parsa troppo ingrigita e spenta. E quel guizzo di entusiasmo, personale e corale, austero e brioso, intimo e celebrativo, non poteva che sgorgare da un canto. Si ritrovano a cantare, prove su prove, per regalare a Como lo spettacolo che merita, la musica e le danze e le voci messe insieme, armonizzate nel lungo esercizio, quasi la metafora di una concordia collettiva da esprimere con energia e determinazione. «È un’occasione importante per il Teatro di Como che 200 anni fa apriva il sipario e che da allora vanta un’attività quasi ininterrotta» ammette la presidente del Teatro Sociale Barbara Minghetti segnalando l’evento clou per la celebrazione dell’anniversario, lo spettacolo che già nel titolo riassume i variegati intenti: “Un progetto per la città: 200.Com Carmina Burana”, in programma all’Arena del Teatro Sociale per il prossimo 28 e 29 giugno, è teso a promuovere e valorizzare un particolare coinvolgimento della comunità. «La gente, magari chi da anni frequenta il teatro da spettatore, diventerà parte attiva, si prepara a vivere l’evento da protagonista», nota Minghetti che per tempo ha dato spazio alla partecipazione prevedendo laboratori dove la creatività artistica, da molti non ancora o non del tutto esercitata, può essere affinata e preparata a far faville da un vero palcoscenico. I coristi, quelli di talento, con la voce già impostata, ma anche chi non aveva mai provato, quelli che di solito canticchiano solo quando il tempo è bello e la primavera è nell’aria, si sono precipitati, hanno fatto a gara per esse82

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re ascoltati, superare la selezione e in un futuro indefinito poter dire “c’ero anch’io” al grande evento. Si preparano a realizzare niente meno che i Carmina Burana, composizione monumentale che prevede il coinvolgimento di ottoni, archi, legni…dell’imponente orchestra e del corpo di ballo di straordinario impatto insieme alla coreografia scenica. Così dallo scorso gennaio ogni lunedì sera, dalle 20.30 alle 22.30, decine di professionisti e casalinghe, studenti e pensionati, estetiste, giardinieri, commercianti...non meno di 200 solo i coristi, invadono sale e spazi del teatro per provare e riprovare, correggere i toni e imparare la parte, mettersi in gioco in un’avventura che per la maggior parte rappresenta >>


«MI VA DI CANTARE» …E SONO IN

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una sfida incredibile, un’emozione mai immaginata. «Mi è sempre piaciuto il karaoke, di solito sono io a far cantare gli altri…Quando mi hanno detto che cercavano voci maschili, ho subito deciso di mettermi in gioco. Non mi aspettavo però una proposta così impegnativa - dice Nicola D’Avino 35 anni, insegnante di sostegno trasferito da Avellino a Como una decina d’anni fa - è un’esperienza molto seria richiede esercizio anche a casa…ma è divertente, ho incontrato tanta gente mai vista prima, si è creato subito un clima amichevole. Siamo tutti carichi di entusiasmo, quando cominciamo a cantare ci dimentichiamo di tutto, della stanchezza, dei pensieri…». «Io non me l’aspettavo una cosa così rigorosa, sono arrivato qui per curiosità, l’avevo letto sul giornale, ma devo dire che ci ho preso gusto» racconta Sergio Aureli, una vita fra Dongo e Lugano dove lavora come sindacalista, e il lunedì l’appuntamento fisso a Como per la prova. «Il maestro è molto professionale, bravissimo, molto esigente, non ci tratta come dei dilettanti - prosegue - la vera scoperta, per me che sono il classico tipo che canta sotto la doccia, è che il canto è tutt’altro che spontaneo». «Quando il maestro ce lo ha spiegato sono sceso dalle nuvole: la voce è uno strumento, ci ha detto, bisogna imparare a suonarlo» riferisce Aureli totalmente immedesimato nell’insegnamento del maestro Eros Negri che sembra avergli fatto improvvisamente scoprire il talento che non sapeva d’avere. «Bisogna studiare, come si studia la chitarra o il violino, 84

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«Cantare così tutti insieme è qualcosa di magnifico la voce è uno strumento bisogna imparare a suonarlo» anche il canto è così», ribadisce quasi sorpreso dell’impegno che ha iniziato a dedicare per educare la voce. «Anche il linguaggio dei carmina, in latino e in tedesco, richiede applicazione… ma cantare così, tutti insieme, è magnifico, ti dà una soddisfazione incredibile. Non mi sembra possibile - conclude ridendo - sono passato dalla doccia al teatro». Il suo vicino, qualche decina d’anni in più, l’aria compunta e professorale, gli lancia un’occhiata compiaciuta mentre esibisce la sua competenza. «Ha una voce eccezionale e non l’ha mai valorizzata» puntualizza presentandosi Franco Castellana, tenore di professione, che non disdegna affatto quell’atmosfera esuberante, attraversata da imprevedibile complicità fra persone tanto diverse per età, storie, provenienze. C’è chi vanta un passato glorioso ricordando di aver già cantato i Carmina Burana in teatri prestigiosi, chi ha persino avuto l’occasione di accompagnare con la chitarra Josè Carreras al teatro alla Scala di Milano, e chi riferisce le esperienze in qualche coro amatoriale. Ma ce ne sono tanti partiti proprio da zero, analfabeti di partiture e solfeggio, con l’aggravante di una routine che si concilia a fatica con lo studio musicale: un corista arriva alla sala del Sociale quasi sempre trafelato dopo aver spalato la neve o eseguito altri lavori di manutenzione ingaggiato da una ditta, un altro abbandona il coro con qualche minuto >>




di anticipo per iniziare il turno in Croce Rossa, in tempi «Io sono qui per celebrare Como e ricordare anche il mio tanto stretti da costringerlo a presentarsi al Teatro in divipapà che ha dedicato la vita alla musica, era baritono di sa. Cantanti affermati, dilettanti o improvvisati, quando il professione» confida Mery Nasato che era una ragazzina maestro attacca la nota, sprigionano le voci che diventano quando ha assistito per la prima volta ad uno spettacolo alla magicamente potenti, armoniche, indistinte. Scala di Milano e in scena c’erano proprio i Carmina Burana Questa è la sensazione che emoziona tutti regalando a ciacon suo padre fra gli interpreti. scuno una particolare vibrazione: Fabio Bianchi, 16 anni, Il filo rosso che lega adolescenti e sessantenni, commesse, vede scorrere i suoi sogni e gli sembra persino di afferrarli infermiere, imprenditrici, avvocatesse… per lo più sovraccaquando emette tutto il suo fiato; Roberto Biondi, da arriche di impegni non stop fra casa, figli, lavoro, è delineato chitetto, si dice sorpreso dalle «straordinarie corrispondenze come «il gusto di imparare, lasciarsi toccare da una sferzata fra arti figurative e musica»; mentre il postino di Lomazzo, di energia e vitalità, dall’indicibile bellezza della musica…e quasi incredulo nel riuscire a masticare strofe in latino e di raggiungere un risultato ben oltre i nostri limiti». Così in tedesco, ha scoperto una segreta colonna sonora nelle dice Bruna Tropeano, insegnante di lettere alla scuola Leosue giornate. «Siamo qui per la pardi, interpretando un pensiero nostra città, per un’espressione condiviso. artistica e culturale di gran livelPer tutti una scommessa da vin«Siamo qui per la nostra città, lo…»: lo studente universitario cere: «Ogni volta facciamo un rilancia la sottesa motivazione, passo, registriamo un progresso, per fare qualcosa per Como. quella che ridà la carica nei mograzie ai nostri maestri rigorosi, È un’esperienza meravigliosa menti di defaillance e incertezma pazienti fra i quali la cantanza. «Ho aderito alla proposta te Mariagrazia Mercaldo» nota con persone diverse e motivate» del coro pensando soprattutto Giovanna Soave, che si definidi fare qualcosa per Como, ma sce fra i dilettanti e che «quando quando ho visto che le adesioni erano così numerose volevo il maestro Negri, interrompe con un imperioso “sento un desistere»: Giovannella Onnis, che non ha mai cantato in fa”, mentre la nota era sul sol», avverte il fremito di uno un coro o al Karaoke, si è trovata un po’ spiazzata. «“Alza sgomento collettivo. Che dura però un brevissimo istante, di un tono, non senti che sei bassa?”, è qualche mia vicina a vinto dal coraggio che lo stesso maestro è sempre in grado di correggermi, non il maestro…» dice lasciando immaginare comunicare: «Mai dire: abbiamo coscienza dei nostri limiti, puntigliosi perfezionismi che si stemperano in un clima no, bisogna sentirsi sempre all’altezza, impegnarsi come se brioso che «ci fa tornare tutti a scuola, indietro negli anni». non avessimo limiti… e affidarsi al maestro». È questa la E come in una scuola, niente sfugge all’occhio vigile di convinzione trasmessa da Antonio Eros Negri, compositore Paola Greco responsabile della segreteria organizzativa, che oltre che direttore e docente al Conservatorio di Como. Un registra le presenze senza mai fare l’appello. segreto per cantare…ma anche per vivere.

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IL CANTO CHE UNISCE CONCERTO IN SANT’AGATA PROTAGONISTI I RAGAZZI. IL BERLINER-KINDERCHOR IL CORO AKSES DI MILANO E LE VOCI BIANCHE DEL TEATRO SOCIALE DI COMO. SPETTACOLO CON FINALITÀ BENEFICHE PER “IL GIARDINO DI LUCA E VIOLA” La musica è anche sinonimo di comunicazione profonda, di sintonia di sentimenti e di aspirazioni. Il concerto realizzato la domenica delle Palme a Como, nella chiesa di Sant’Agata, ha reso percepibile un reale intreccio di sensibilità e linguaggi potenziando una sensazione di armonia ben oltre l’accordo dei suoni e delle voci. Più di un centinaio, giovanissimi coristi confluiti da esperienze diverse, hanno espresso l’entusiasmo di un’amicizia imprevista, suggerita e sostenuta da una comune passione per la musica, per il canto corale che li aveva attratti giocosamente fin da piccoli trasformandosi poi in impegno sistematico ed avvincente. Bambini e ragazzi dai 5 ai 16 anni, provenienti dal Berliner-Kinderchor di Berlino, dal Coro Akses di Milano, dalle Voci Bianche del Teatro Sociale di Como, sono stati insieme protagonisti di un evento musicale di straordinario fascino grazie al tentativo sotteso e promosso dagli organizzatori. «Il valore di questo concerto, di elevato livello sul piano artisti88

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VOCI IN CORO

A sinistra: il gruppo di ragazzi che si è esibito nel concerto tenutosi in Sant’Agata. Sotto: Chiara, Giulia e Camilla durante le prove.

co e musicale, è più ampio e più profondo se consideriamo l’occasione di incontro vissuto fra i bambini e i giovani di città diverse, se pensiamo all’esperienza di ospitalità reciproca e di dialogo nato attorno all’interesse musicale» suggerisce Roberto Todeschini, vero artefice di un percorso teso a valorizzare ogni tassello di una vicenda che fra i suoi esiti, misurati per intero da un pubblico coinvolto ed entusiasta, ha espresso un’atmosfera particolarmente carica di empatia. L’esperienza interculturale fra i cantori di diversi cori, che già prevede la trasferta in Germania dei ragazzi italiani il prossimo giugno per un’esecuzione nella prestigiosa cattedrale berlinese, si collega ad una trama di relazioni che vede in prima linea le famiglie dei piccoli artisti, implicate ad accompagnare i figli a prove ed esibizioni, e spesso interpellate anche nel sostenere e organizzare iniziative collaterali. «Si crea un forte coinvolgimento fra genitori, bambini, maestri e direttori di coro» ammette Todeschini, da sempre animato dalla passione musicale trasmessa e condivisa con sua figlia Camilla che a 5 anni era già inserita nel coro di voci bianche del Teatro Sociale di Como. «La musica, e il canto corale in modo specifico, suppone tante valenze formative, stimola l’attitudine ad un profondo ascolto, spinge ad entrare in sintonia con l’altro…la bellezza di un’armonia musicale riguarda la nostra anima prima delle nostre corde vocali»: il direttore del Coro Akses Dario Grandini, figura di riferimento per l’esito della poliedrica avventura, mette a fuoco così il vero fulcro del concerto che lo scorso 24 marzo ha lasciato un segno anche a Como. Il passaggio dal capoluogo lariano di un evento inizialmente nato dal gemellaggio fra il Berliner-Kinderchor e il Coro Akses dell’associazione “Il classico. Musica e Arte” fondata a Milano dalla musicista Khna Karaca, è infatti inerente al curriculum dello stesso Grandini, comasco d’adozione nei primi anni della sua carriera quando nel 2003 aveva iniziato a dirigere il Coro di voci bianche al Teatro Sociale per poi passare a altri incarichi al teatro alla Scala di Milano. Tre ragazze comasche, quindi, Camilla Todeschini, ora dodicenne, insieme a due inseparabili compagne di coro, Chiara Cairoli e Giulia Crippa, legate al docente Grandini e inserite nel progetto che ha creato il ponte musicale fra Milano e Berlino, hanno caldeggiato un collegamento con Como e un arricchimento del programma. «L’idea ha subito suscitato entusiasmo e uno straordinario coinvolgimento» nota Roberto Todeschini citando l’adesione convinta della direttrice del Teatro Sociale Barbara Minghetti, il patrocinio del Comune di Como espresso dall’assessore alle politiche educative Silvia Magni, il sostegno della comunità parrocchiale di Sant’Agata e della Polisportiva. «L’occasione ha valorizzato i giovani e richiamato persone d’ogni età, ha espresso un clima di partecipazione e di festa» conferma il parroco di Sant’Agata don Giorgio Cristiani che ha aperto le porte della chiesa a un’esecuzione artistica

che «ha mosso le corde del cuore suscitando un sentimento religioso e un desiderio di condivisione della vita». Del resto, la concordia di ritmi e suoni, di voci bianche guidate e accompagnate da professionisti di prestigio - il direttore del Berliner-Kinderchor Veronica Pietsch con l’accompagnamento al pianoforte di Diana Kurtev , il direttore del Coro Akses Dario Grandini con l’organista Stefano Borsatto, il direttore del Coro del Teatro Sociale di Como Lidia Basterrechea - ha lanciato un messaggio del tutto inerente alla vita, al suo incommensurabile valore riscoperto soprattutto nell’amore e nella condivisione. La manifestazione ha infatti sostenuto con un contributo il fondo “Un Piccolo dono è un Grande gesto” dell’Associazione “il Giardino di Luca e Viola Onlus” nata dal desiderio di trasformare il dolore per la perdita di due bambini, in solidarietà verso altri piccoli che soffrono e le loro famiglie.

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di Alberto Cima

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l pianista comasco Carlo Uboldi, nato nel 1966, è oggi fra i più apprezzati jazzisti nazionali. All’età di sei anni ha iniziato lo studio del pianoforte con il maestro Riccardo Mulazzi. Fin da piccolo, grazie alla passione del padre Antonio per il jazz, si è abituato ad ascoltare questo genere musicale. «Sono nato in una casa dove mio papà ascoltava il jazz dalla mattina alla sera, cos’altro avrei potuto sentire nell’anima e nel cuore?», è solito ripetere Carlo agli amici. All’età di quindici anni frequenta, per qualche anno, i seminari di Siena jazz sotto la guida di Franco D’Andrea e successivamente di Enrico Pieranunzi, due capisaldi della musica afro-americana. In quel periodo comincia ad apparire in pubblico con vari gruppi locali e nel 1983/84 partecipa alle rassegne jazzistiche nel comasco, ottenendo numerosi consensi e suonando in uno stile che si rifà al Trio di Oscar Peterson, pianista che costituirà il suo punto di riferimento. La nascita di un trio insieme ai suoi fratelli lo porta ad debutto televisivo nel settembre del 1984 all’interno della trasmissione Tv estate su RAI 1 suonando brani di sua composizione. Verso la fine degli anni Ottanta ha conosciuto Ettore Righello, direttore orchestra ritmica Rai di Milano, che lo ha seguito negli studi del classico, aiutandolo molto. Ancora oggi può essere considerato il suo mentore musicale. Nel 1987, grazie a Righello, ha avuto l’opportunità di incontrare l’intramontabile sassofonista e clarinettista Paolo Tomelleri, con il quale collaborerà ininterrottamente sino >> al 2003. 90

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STORIA DI CARLO UBOLDI, IL RAGAZZO PRODIGIO CHE HA INIZIATO A SUONARE IL PIANOFORTE A SEI ANNI. «IL JAZZ DA ARTE MUSICALE È DIVENTATO“BUSINESS. NEL MONDO DELLA MUSICA BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI STRONCARE CHI NON È CAPACE. NEL MIO TEMPO LIBERO AIUTO I CANI ABBANDONATI E VEDO FILM IN DVD»


L’ANIMA DEL JAZZ mag

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CARLO UBOLDI Il pianista comasco Carlo Uboldi, nato nel 1966, è oggi fra i più apprezzati jazzisti nazionali. All’età di sei anni ha iniziato lo studio del pianoforte con il maestro Riccardo Mulazzi.

Con Lorenzo Vanini, medico dentista, nel 2004 ha inciso il cd “Note di pianoterapia”

In quegli anni, e nei successivi, Carlo Uboldi ha collaborato con i migliori musicisti del Nord Italia, quali Emilio Soana, Rudy Migliardi, il compianto Marco Ratti, Stefano Bagnoli, l’indimenticato Gianpiero Prina, Riccardo Fioravanti, Alfredo Ferrario, Bruno De Filippi, Glauco Masetti e Carlo Bagnoli, che hanno segnato una tappa fondamentale nella storia del jazz italiano (e non solo). Nel 2000 l’incontro di Uboldi con Elisabetta De Palo (cantante jazz e attrice, molto nota per avere interpretato Mirella nella soap opera “Vivere”) porta il suo quintetto swing a suonare nelle principali città italiane. Dopo la fine della collaborazione con Tomelleri, il jazzman comasco ha intrapreso la strada di band leader con il suo primo cd (“Dudecom”, ovvero “I due di Como”), comprendente composizioni originali, inciso in collaborazione con il batterista (pure comasco) Marco Castiglioni. Fanno inoltre

parte del sestetto Stefano Dall’Ora (contrabbasso), Emilio Soana (tromba e flicorno), Marco Bianchi (vibrafono) e Francesco Licitra (sax alto e clarinetto). Uboldi si distingue, in questa incisione, per la qualità del tocco, la scioltezza e scorrevolezza del fraseggio, la consapevolezza ritmica. Nel 2004, cosa del tutto innovativa, ha inciso in collaborazione con Lorenzo Vanini il cd “Note di Pianoterapia”, che ha avuto il riscontro positivo persino in ambito medico. Il suo cd “Free Flight” (2005), eseguito in trio con Marco Castiglioni e Stefano Dall’Ora (ospite Mauro Negri), comprendente brani originali e standard, ha avuto molto successo, persino in Giappone, dove è stato a lungo in vetta alle classifiche. Paese in cui le sue interpretazioni continuano ad avere enorme successo. Carlo Uboldi è considerato fra i più quotati pianisti a livello >>

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Ha da poco fondato il trio Evergreen Jazz Trio con Antonio Cervellino al contrabbasso e Mario Caputo alla batteria

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internazionale. Il suo stile petersoniano rimane come una caratteristica del suo modo di suonare con una carica vulcanica di swing ben coniugata alla raffinatezza del suo stile personale e moderno, pur non disdegnando la tradizione. È, per certi versi, un innovatore, ma riesce nel contempo a fondere e amalgamare lo swing di Oscar Peterson, la poetica di Bill Evans e la spontaneità di Art Tatum non imitandoli, ma profondendo un’arte del tutto personale, colma di liricità e delicatezza, tanto come interprete quanto come compositore. Uboldi è un pianista dotato di prezioso talento armonico, vivo senso ritmico, grande sensibilità melodica e spigliata fantasia solistica. I suoi numerosi concerti si spingono anche al di fuori della patria, per raggiungere il vicino Canton Ticino, dove ottiene sempre enorme successo (oltre ad essere cittadino italiano possiede anche la cittadinanza Svizzera essendo la madre di Lugano). Attualmente Carlo Uboldi suona come Free lance in varie formazioni mainstream/swing/be bop e come leader dei suoi gruppi che eseguono non solo standard, ma anche composizioni originali. Insegna, fra l’altro, allo Swing Music Center di Lugano. Da poco ha fondato l’“Evergreen Jazz Trio” con Marco Caputo alla batteria e Antonio Cervellino al contrabbasso dando vita al suo ultimo cd - “The Key of Swing” - che sta avendo molto successo anche in ambito internazionale. Questo trio jazzistico è nato fra le province di Como e Varese. L’album rispecchia la filosofia del nome del gruppo, che dà estremo risalto alla tradizione, ma strizza l’occhio a uno stile e a sonorità innovative. Siamo qui di fronte a un jazz autentico e consolidato, qualsiasi approccio alla contaminazione è finalmente bandito. Dopo varie innovazioni oggi di moda, l’“Evergreen Trio” torna a proporre composizioni valide che non di discostano dal jazz “classicamente” inteso. Nove le composizioni contenute nel cd, di cui sette composte dagli stessi musicisti membri dell’ensemble, dalle quali si evince l’anima degli artisti. Più legate alla tradizione quelle di Carlo Uboldi (“M&M”, “The Key of Swing”, “Bass 4 Brushes”, “Scoglitti Time”), più ricercate, con qualche influenza balcanica, quelle di Antonio Cervellino (in particolare “Minio”). Completano il cd due eveergreen: “Chega de Saudade” di Jobim e “Over the Rainbow”, in piano solo, stupendamente eseguito da Carlo, con un’enfasi intimistica eccezionale. In questo disco si percepiscono eloquentemente le sonorità, gli stili e il gusto dei componenti del trio. Questo il Carlo Uboldi musicista, ma è anche un uomo profondamente umano, ricco di altruismo, sensazioni, emozioni, passioni e sentimenti. «Prima viene l’amore, poi la musica - ci ha confidato - Non ho mai voluto che il piano-


forte prendesse il posto di una donna nel mio cuore». La sincerità è una delle sue doti più elevate. «Mi aspetto un mondo più sincero soprattutto da parte di critici e giornalisti - ci ha confessato con semplicità e purezza d’animo - che tornino ad avere il coraggio di stroncare chi non è capace, smettendola di vantare chiunque. Questa infatti non è obiettività, bensì qualunquismo e buonismo, che non giova a nessuno, neppure all’arte». Non disdegna poi la vita sociale. «Mi piace suonare con i colleghi con cui sto bene seduto a un tavolo per ore a mangiare e ridere… Il jazz è simbiosi fra persone, suonare con il bravissimo di turno con il quale non condivido la mia vita vuol dire suonare correttamente, ma lasciare emozioni in chi ti ascolta e tutta un’altra cosa!». Come è la vita privata di Carlo? «Tranquillissima - dice Aiuto i cani abbandonati nei canili adottandoli e quando non suono mi rilasso vedendo i film in dvd o Blu Ray, ne posseggo a migliaia, oppure gustando una pizza fra amici”. Come è oggi l’arte? «Da quando girano troppi soldi (solo

per pochi nomi) - dice Carlo - il jazz da “arte musicale” è diventato “business” senz’anima. La musica afro-americana, comunque, è intima e ha bisogno di sentire pulsare i cuori di tutti gli spettatori presenti. Nel nostro paese si dovrebbe avere più rispetto per il jazz tradizionale, quello impregnato di swing, senza la tradizione infatti non esisterebbe innovazione. Troppi musicisti snobbano ingiustamente la tradizione, dimenticando che ha ancora un ruolo importante, anche per lo sviluppo e il miglioramento del jazz stesso».

LA MUSICA Mi piace suonare con i colleghi con i quali sto bene a mangiare e ridere… Il jazz è simbiosi fra persone, suonare con il bravissimo di turno con il quale non condivido la vita vuol dire suonare bene, ma lasciare emozioni è tutta un’altra cosa!

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IL RACCONTO

di Franco Brenna

IN QUEL TARDO POMERIGGIO DEL 10 MARZO 1913 L’ARIA TIRATA GIÙ DA NORD INSIEME A UNA FORTISSIMA TRAMONTANA, TAGLIAVA GUANCE E ORECCHIE COME LA LAMA DEL PURICELLI, PREMIATO MACELLAIO. TRE DONNETTE LA ZITA, LA CESIRA E LA CLEOFE...

MARIO TOSATTO CENT’ANNI D’ARTE E DI VITA SUL LAGO

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emoo!! Remoooo!!! A l’e’ crepa’ el pitùr! quel de Vicenza che’ l stava chi a Caamp!...sta matèna!...a Comm!”. Le grida, provenienti dalla bocca sdentata e protetta da due tremendi ma utili baffi del marinaio Giuseppe Cetti, con mansione agli attracchi, imbarcato sul battello Stelvio proveniente da Como, colpirono come una frustata Remo Bordoli, fronte bassissima, aggravata da un infelice cappel-

lo della Regia Navigazione calato sulle ventitré, deputato ad attendere quattro volte al giorno i battelli al pontile di Campo-Ossuccio. Il brivido, che sul momento il Bordoli non riusciva a distinguere se provocato da uno schizzo di acqua gelida schiaffatogli addosso insieme alle cime del battello o dalla terribile notizia, lo lasciò stecchito come un missoltino schiacciato nella sua tolla. In un paese di quattro case e otto anime come Campo, una >>

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Scendeva la Sofia, a piccoli e calcolati passi, avvolta in un cappotto marrone di ottima fattura, infiorettato da una preziosa spilla d’oro, la scalinata che dalla Parrocchia di S.Eufemia si congiungeva alla Strada Regina. A braccetto sosteneva la mamma Annetta, un donnino dalla struttura rettangolare, aria tosta quel che basta da far intendere chi era al comando della baracca, occhio a terra a misurar l’infido ciotolo, smorfia di fastidio per quella maledetta artrite che le contorceva le dita ormai da anni. Quando tirava il vento, poi, allora si che gli spilli si facevano sentire! E oggi era un giorno di quelli. Terminata la recita dei Vespri, incoraggiati da qualche Pater, Ave e Gloria per tener lontani i guai del mondo, un pensiero correva al piccolo Antonio e al neonato Alfredo, un altro al nonno Giuseppe - da parte dell’Annetta- meditando a vicenda sul cosa metter su a bollire per la sera. Un altro ancora era dedicato a quel sant’ uomo che doveva tornare a casa da Como, chissà a che ora e in che maniera.

novità del genere avrebbe sicuramente portato stupore, lacrime, scompiglio e forse qualche chiacchiera. Marzo, sul Lario, e’ un mese capace di far fesso il foresto. Intenerito di fronte ai primi sentori di tiepidezza, il tapino si illude di essersi imbattuto in una precoce primavera: non sa che ghiaccio e neve, repentini come la lingua della lucertola che si succhia la camola, potrebbero ancora facilmente prendere possesso delle sue fragili ossa. Il laghee’ invece - quello che vive Il Lago - aiutato da un’ atavica furbizia, sa che mettere il naso fuori della finestra senza una bella sciarpa di lana girata su due volte intorno al collo nella speranza di trovarvi odore di fiori quando la rondine non e’ ancora sotto il tetto, è solo la conferma che, primo, per arrivare a gustare il tepor di primavera ce ne corre e, secondo, dar fondo alla legnaia per proseguire a tener pizzo il camino non e’ azione sbagliata. In quel tardo pomeriggio del 10 marzo 1913 l’aria, tirata giù da nord insieme a una fortissima tramontana, tagliava guance e orecchie come la lama del Puricelli, premiato macellaio. Tre donnette, la Zita, la Cesira e la Cleofe, appollaiate alle ringhiere del pontile della navigazione in attesa di chissà che cosa, avvolte in tristi scialli di lanaccia che andavano ad avvolgere tre corporature non di facile bellezza ma sostenute da una testolina dotata di acume contadino, percepirono in un amen quello che il battelliere aveva appena scaravoltato addosso al povero Remo. Neanche uno sguardo tra di loro. Un giro di tacchi sugli spessi zoccoli e via come faine su per i vicoli del paesello per poter avere il mesto privilegio di diffondere la “bomba” di casa in casa prima di chiunque altro. 98

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ARTE

Due dipinti di Mario Tosatto e, a destra, la villa Brenna Tosatto a Campo di Lenno, ora sede dell’associazione culturale.


A metà della salita che attraversa I suoi vent’otto anni sprizzavano «Par vès un dì de la setimana ghè’n il ponte sul Perlana in direzione gran rebelott de geent , denànz a tutta la gioia di quell’amore di Lenno, ecco comparire la sacà» biascicò l’Annetta, strizzando goma del cantiere della loro fugli occhi per mettere a fuoco quel che la Sofia sapeva ricevere tura casa con tutti i trabatelli, le piccolo manipolo di persone che panche, le assi e il primo contrafintuiva in lontananza. e dare a quel gruppo forte perimetrale che faceva già forse qualche personaggio che era il suo mondo: la famiglia «Sarà percepire che quella dei Brenna importante arrivato in ditta per e dei Tosatto sarebbe presto diun nuovo ordine, quelli si muoventata la casa più importante vono con la carrozza e la carrozza del paese. Un piccolo sospiro di soddisfazione diede anima crea sempre curiosi e confusione». Ribattè la giovane sposa, a un dolce sorriso di compiacimento che percorse il giovane serena nel suo eterno ottimismo. e pallido viso della Sofia reso rubizzo solo dalla fastidiosa e I suoi vent’otto anni sprizzavano tutta la gioia di quell’amore gelida brezza. che la Sofia sapeva di poter ricevere e dare a quel gruppo che «Chissà quanti anni ancora per veder venir fuori il fumo dal era il suo mondo: la famiglia, il marito Mario - più giovane comignolo!? - pensò tra sé e sé: - …ma quando finalmente di lei di un anno - i suoi fratelli Eugenio, Giacomo e Stefano saremo tutti li dentro, allora sì, che la nostra famiglia potrà e soprattutto i due piccoli maschietti avuti a coronamento dire di avere anche il proprio tepore». di un fulmineo innamoramento per quell’uomo arrivato da >>

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L’AMORE PER IL LAGO

I comballi sulle acque del lago di Como in un dipinto di Mario Tosatto. A destra: due sculture in fase di realizzazione.

lontano. Giuseppe Brenna, padre della Sofia e sposo della raggio né la coscienza di investirla con la cruda verità. Questa mamma Annetta, nata Grandi in quel di Argegno, mandava la scusa, prendere tempo, calarle la tragedia a piccole e miavanti, insieme ai suoi fratelli, l’omonima falegnameria di surate dosi. Non ce la faceva proprio, la parola era ferma nel Campo dove ci si adoprava con il legno d’ulivo e, in partigargarozzo e solo la sfacciataggine del bellimbusto lo salvava colar modo, dove venivano manufatte “le carrozzerie” delle dal riversarle addosso un mare di lacrime. L’Annetta no, non macchine da cucire: Singer e Necchi in primis. Le essenze ebbe alcun dubbio sulla fanfaronata proferita dal suo Eugeper i mobiletti scaturivano dai nio, el Gèni, come lo chiamavacastagni, roveri e noci che venino gli amici. Aveva perfettamente vano con acume ricercate nelle percepito che dietro quel venir Il Mario Tosatto quella mattina vicine Val d’Intelvi e Val Solda incontro, dietro quell’abbraccio, al casotto c’era stato, senza però da quel bel tipo dell’Eugenio, dietro quella delicata bugia, si cefaccia tosta, primo dei tre maaver compiuto alcun atto impuro lava la notizia che avrebbe sovverschi del Giuseppe, ciuffo in aria, tito la vita della sua primogenita ritenuto tale sia da Dio, baffo birichino, di quelli che non e di ribattone, anche quella di perdonano. tutta la famiglia. sia dagli uomini Fu lui che, staccatosi da quella La verità le venne comunicata in marmaglia di betoniche vocianti modo brutale e falso. davanti alla falegnameria e dal«El sarà staà al casott! E dopo o la carrozza degli Ospedali di Como, con una faccia da due durante…un bel culpétt!!» di novembre, si avvicinò alla Sofia, la prese alla sua destra …soffiata come il fruscio della vipera che scivola sulla foglia passandogli il braccio intorno alle spalle per stringerla a se bagnata, mescolata al refolo di tramontana, la menzogna vistesso, staccandola con una dolcezza decisa all’appoggio della gliacca raggiunse l’orecchio della Sofia teso più alle prime mamma Annetta. geremiadi che alla spudorata sfrontatezza proveniente dalla «Sofia…il Mario… ha avuto un malore! L’han portato in bocca della Cleofe, una delle tre prefiche. A un tipetto come Ospedale, questa mattina, a Como…», Non ebbe né il cola Cleofe Vaccani, che con uno scatto da gatto era riuscita 100 mag


per prima a carpire l’annuncio urlato dall’ugola del battelliere Cetti, non le sembrava vero di poter ricavare qualche arida soddisfazione da quell’ancestrale senso di gelosia che da sempre circondava la sua vita rapportata al naturale benessere della Sofia. La Cleofe nasce come la bruttina del paese, la Sofia è la bella signorina. La prima è costretta ad andare in filanda a otto anni per portare a casa qualche ghello, l’altra può giocare con le bambole comperate a Lugano, una non riesce a tirare una riga di traverso, l’altra, perché va anche a scuola si permette di non parlare più in dialetto, la Cleofe non riesce a trovare un marito e neppure un moroso, la Sofia viene felicemente impalmata da quel fascinoso uomo venuto chissà da dove, capace di dipingere, progettare, scolpire. Insomma, l’archetipo del sogno che ogni giovane donna, da Bolzano a Palermo, avrebbe voluto avere al proprio fianco e sotto le proprie coperte. Sì, perché il Mario, il Mario Tosatto, oltre ad essere una sorta di genio nei suoi mestieri era nominato per essere un amante perfetto. E la notizia era penetrata per tutta la Tremezzina e dintorni. In effetti il Mario al casotto, quella mattina di marzo, c’era stato, senza per questo aver compiuto alcun atto impuro ritenuto tale sia da Dio che dagli uomini. Dalle donne un po’ meno. Per l’uomo, inteso come genia, scendere in città,

nel capoluogo che dà il nome al suo lago, voleva dire tante cose. Dagli uffici civili e religiosi agli uffici fisiologici. Sempre uffici erano. E poi, consumate le faccende pubbliche e private, si poteva andare al Ristorante, cosa che su per il lago, a meno di essere amici di qualche cuoco dei grandi alberghi dove si ricevevano i primi inglesi che scendevano a scaldarsi le ossa guardando Bellagio, non era né possibile immaginare di reperire, né avere la fantasia di recarvisi. Nei paeselli, all’ora, ristoranti, nisba. Qualche circolo famigliare dove annegare preoccupazioni e fatiche in qualche calice di vino rosso, nelle migliori delle ipotesi piemontese altrimenti proveniente da Trani o giù di lì, accompagnando il tutto con beati e spesso intonati canti rivolti ai propri ricordi di vita militare o d’amore. Il bollito misto, quel gran bollito misto, completo di ogni ben di Dio, fu lui, con grande probabilità, a piantarsi lì. C’era tutto quello che ci doveva essere in quel trionfo delle carni: dal pezzo di manzo alla testina bella smollatega, dal biancostato alla lingua, senza farsi mancare la gallina vecchia con il suo boccone del prete, il cudegott con lo zampone e le sue salse: verde, al prezzemolo, con il battuto d’aglio e rossa col pomodoro concentrato. La patata lessa, di quelle umide che si spappolano e si intridono di umori, la zucchina, la >>

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cipolla e la carota bell’arancione ad onorar le verdure. Qualche pezzo di mostarda di Cremona, residuato dal Pranzo di Natale, coronava con colore e profumo di senape piccante il tripudio gastronomico. E per finale? il caldo sorbir con due agnoli annegati dentro al bel brodo “con gli occhi”, lentamente prodotto da colei che razzolò per tanto tempo nel cortile della cascina; il tutto sporcato col fondo della bottiglia di rosso per dare, oltre al sapore, il gentile invito al primo gemito digestivo. Quel meraviglioso Bollito Reale, servito e tirato fuori dai pentoloni da quella sagoma dell’Abbondio Bianchi del Tre Re, rinomato ristorante infrattato nella Cortesella, fu la vera causa della dipartita terrena del Tosatto. Ne divorò due porzioni abbondanti sopra ogni limite, il Mario, e con tutte le giustificazioni del caso. Giustificazioni provocate da quel gran pezzo della Carmen, rossa di Cremona, piccante più della mostarda, quietanzata solo un paio d’ore prima del sacro bollito con la tariffa sottoscritta sotto la denominazione di “doppia”. A ricevere anticipatamente il denaro, la mitica signora Ofelia, rinomata maitresse del casotto di Via Volpi conosciuta col nome di battaglia di “chignon selvadég” per la pettinatura eternamente sconvolta dal turbine e dal pungente odore di selvatico causato da una fastidiosissima iperidrosi maligna tenuta a bada, senza alcun beneficio per i nasi degli astanti, con un’ essenza di Violetta di Parma che nei giorni di vento era “apprezzata” fin dall’inizio del vicolo. Uscito dal locale, più pieno che sazio, con ancora nella gola il sapore del grappino e nel naso il profumo d’aglio della salsina che faceva venir giù i Santi, appicciò non senza qualche difficoltà il bellissimo toscano tenuto in serbo per l’occasione, un sigaro da dì della festa, con la pancia- del sigaro- bella gonfia e morbida, di quelle che si apprezzano con una deli102 mag

cata pressione prodotta tra indice e pollice. Due i legnacci che stropicciati sulla colonna di granito che stipulava l’ingresso al locale falliscono il tentativo di infuocarsi, il terzo, girate le spalle all’aria, infrattate le mani nell’angolo riparato, prese ad ardere sviluppando quell’ odore di zolfo che con la fiamma viva rimanda i pensieri all’inferno. Una folata di traverso, delicata come una spinta all’improvviso, si impadronì dell’addome del nostro artista. Spostato in avanti il coppino per tirar su il bavero della cappa che gli avvolgeva le spalle, calatosi forte sulla fronte il cappellaccio nero, tirò avanti piegato su se stesso per lo spazio di una contrada. Poi una pugnalata, sotto lo sterno, infida, feroce. Un senso di vuoto, le gambe che vengono meno, il sigaro che cade a terra prima di lui ruzzolando via spinto dall’aria sleale e assassina. Un ultimo tentativo di aggrapparsi all’imposta di una finestra che sbatte a livello strada, uno sguardo, l’ultimo, per cercare un’anima viva che gli lanci un appiglio alla vita. Un’altra stoccata, più forte della prima, più vigliacca; le braccia che si stringono alla pancia, un urlo o forse un rantolo, la caduta a terra con il mantello che si srotola dalla sua elegante forma, svolazzi di stoffa sul selciato reso lucido dalle folate fredde e secche. Persistette, ambigua, l’aria gelida della natura; si affievolì, ultima e definitiva, quella ormai non più calda, dell’uomo. La tragedia nella tragedia? Mario Tosatto, nel 1913, anno della sua morte, avrebbe compiuto solo ventisette anni.



COLPO DI SPUGNA

di ELISABETTA BROLI

IL COMUNE SENSO DELLA COSTUMATEZZA Pipì en plein air ai giardini. Ma Como non è Baku, la città più sporca del mondo

Santo cielo! Come è possibile che a Como accadano fatti del genere in mezzo a bambini, mamme e anziani, e oltretutto a metà pomeriggio? Non è Baku, capitale dell’Azerbaigian, la città più sporca del mondo secondo la rivista americana di economia e finanza Forbes; e neppure l’indiana Mumbai-Bombay con i suoi quattordici milioni di abitanti, o Ciudad Juàrez in Messico, o Adis Abeba, con il dramma quotidiano dell’emergenza sanitaria, dove certi fatti sarebbero comprensibili. Eppure… Una delle strade di Como che conosco meglio è via Sant’Elia, perché la percorro a piedi ogni volta che vado da mia mamma, e poi la ripercorro con lei per andare ai giardinetti dove un tempo (chi ha la mia età se lo ricorda, con la vasca delle foche all’entrata) c’era lo zoo. Se non fa freddo ci sediamo su una panchina a chiacchierare, accanto a persone della sua età e a giovani signore con bambini. E stavamo giusto parlando di come quei giardinetti sono ben tenuti, difficile vedere una carta per terra, fiori nelle aiuole con la bella stagione, quando un extracomunitario (non è razzismo, è un dato di fatto dedotto dai suoi tratti somatici), si è avvicinato ad uno dei muretti di cinta, ha abbassato la cerniera dei pantaloni ed en plein air ha fatto pipì. Ho saputo da chi era accanto a me che succede sovente. 104 mag

Mi è subito venuto in mente un libro di Franco Cardini sulla prima crociata, quella storica indetta nel novembre 1095 da papa Urbano II con un discorso al Concilio di ClermontFerrand (la folla presente risposte con un: Dio lo vuole!), dove racconta la normalità di comportamenti del genere nelle città di quei secoli. Per fortuna mille anni dopo la legge protegge gli spazi pubblici dai cani e, per “condotta contraria al comune senso di costumatezza”, ancor prima dall’uomo. Neppure un disturbo alla prostata ha salvato, qualche settimana fa, un anziano dalla condanna della Corte di Cassazione, come ha riportato il Sole 24 ore, o un cinquantunenne di Bari sorpreso dai vigili di mattina a fare pipì nei giardinetti di piazza Umberto: 100 euro di multa, anche perché i bagni pubblici erano a poca distanza. Nel nostro caso i bagni a disposizione di tutti sono quelli del parcheggio, ed anche puliti. Ma, a differenza di Bari, a Como vigili urbani e polizia hanno intensificato i controlli nelle zone a rischio? Uno dei custodi del parcheggio mi ha spiegato di aver più volte segnalato il problema, ma senza successo. Ed ha concluso disgustato: «Se fosse solo per la pipì…». Urge un sorriso, e ce lo regala Karen Blixen, la scrittrice danese autrice de La mia Africa, da cui è stato tratto un film con un Robert Redford più affascinante che mai. In uno dei racconti di Sette storie gotiche si domanda: «Ma che cos’è l’uomo, quando ci rifletti veramente, se non una macchina complicata e ingegnosa per trasformare con sapienza infinita in urina il vino di Shiraz?». Che è come dire il nostro Sassicaia, senza fare torto agli altri rossi italiani d’eccellenza.


di EMILIO MAGNI

LE PAROLE CHE NON TORNANO

DAL GOSSIP AL TACCUIN VITA DEL PETTEGOLEZZO Da Tommaso Grossi a Carlo Porta la storia delle chiacchiere e delle maldicenze

Adesso diciamo “fare gossip” e ci si riempie la bocca. “Gossip” è uno di tanti neologismi stranieri che hanno fatto irruzione nella nostra lingua. Vuol dire semplicemente “fare pettegolezzo”.“Gossip” però dà più tono e colore al nostro parlare. Ci sembra di essere più importanti. Ma anche questo non è certo una novità. Per dire la stessa cosa e dare al parlare un qualche cosa di più colorato infatti già nell’Ottocento era arrivato il dialetto milanese con il semplice termine “taccuin”, una di quelle parole che non torneranno più, anche se per la verità mi capita ancora di ascoltare qualche anziano dirla. Invece di “fare pettegolezzo”, oppure “togliere i panni di dosso a qualcuno”, per farla corta si diceva solo “fa taccuin”. “El taccuin” era, come molti sanno, l’almanacco, o il calendario. Però significava anche altre cose. Come spiega Francesco Cherubini nel suo dizionario del dialetto milanese, “fa taccuin” voleva proprio dire “fare delle maldicenze su qualcuno”, Infilarsi nel pettegolezzo, “parlare male della gente”, o anche più semplicemente “stare lì a contarla su del più e del meno magari scoprendo gli altarini del prossimo”. Nella novella “I brag del cunfessur salven la mónega”, una delle più belle novelle di Tommaso Grossi, lo scrittore milanese dell’Ottocento che nei suoi scritti ha adoperato

molto il dialetto, racconta di una donna la quale confida a un’amica: “ Sem sta in giardin di ur senza acorges de fa taccuin”. Se invece di essere una donna dell’Ottocento a confidarsi con un’amica fosse stata una signora di questi nostri giorni il suo linguaggio sarebbe stato: “Siamo stati in giardino delle ore senza accorgerci di fare gossip”. E sarebbe stata la stessa cosa. Insomma in questo nostro moderno “gossip” non c’è nessuna novità sotto il sole. Questo “fa taccuin” era già molto in auge nella parlata meneghina del Settecento. Infatti usano questo modo in loro sonetti vernacoli anche i poeti Domenico Balestrieri e Carl’Antonio Tanzi. Ma da dove viene questo “taccuin”? Secondo alcuni esperti sarebbe un composizione ristretta de “taccà là la cua”, che si diceva quando parlando male di qualcuno si attaccavano là, ovvero si mettevano in coda, tutte le sue marachelle, i presenti peccati e le sue debolezze. Spesso nell’esercizio di “taccà la la cua” si andava molto il lecito e, aggiungi una “cua” oggi, attaccane un’altra domani, si arrivava in un battibaleno alla calunnia bella e buona e si giungeva in un battibaleno al reato e spesso anche alle conseguenze previste dalla legge. Non è però questo il caso del nostro attuale “gossip” e tanto meno del correlativo “fa taccuin” che mi pare restino sempre nei, pur ampi e spesso un po’ confusi confini del pettegolezzo. Anche Carlo Porta adopera “taccuin”, ma in questo caso per indicare il comune almanacco, o taccuino. Per questo “taccuin” l’origine è diversa. Viene probabilmente da tacca: il segno che si fa su un legno per indicare che è passato un giorno.

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EVENTI

«LA CITTÀ NUOVA» SI METTE IN MOSTRA A Villa Olmo va in scena il futuro partendo dal passato. Il progetto espositivo firmato dall’assessore Luigi Cavadini Sant’Elia, Wright, Le Corbusier. A Villa Olmo il filo conduttore della decima grande mostra, la prima firmata dal neoassessore alla Cultura Luigi Cavadini, è il tema della città. “La Città Nuova” è il titolo di un progetto espositivo triennale fino al 2015. La rassegna è aperta fino al 14 luglio da martedì a giovedì 9 - 20; da venerdì a domenica: 10 - 22 (la biglietteria chiude un’ora prima); lunedì chiuso. Pinacoteca civica: martedì, mercoledì, giovedì, sabato, domenica 10 - 20; venerdì 10 - 22; lunedì chiuso. Il costo del biglietto d’ingresso intero è di 10 euro, 8 euro invece è quello per i ridotti (tutte le informazioni su www.lacittànuova.it).

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EVENTI

COMOCREA IL BUON UMORE DEL TESSILE A Villa Erba visitatori da tutto il mondo Già tempo di affari per l’inverno 2014 I colori sul lago hanno riportato il buonumore nel tessile. Villa Erba a Cernobbio ha ospitato Comocrea, il textile design show lanciato dall’omonimo consorzio. Il 25 e il 26 marzo in un’area espositiva di mille metri quadrati sono arrivati gli espositori lariani, accanto a quelli inglesi e francesi, per la collezione invernale 2014. Disegni tessili per abbigliamento, foulard, cravatte, biancheria per la casa: tanti i prodotti che hanno attirato l’attenzione dei visitatori provenienti da tutto il mondo (si è superata quota 200) per confronti e affari. Il più lontano arrivava dal Perù. Presente anche il Setificio con i risultati del Laboratorio di creatività.

POLIS & POLIS La mostra fotografica di Francesco Corbetta

I colori sul lago hanno riportato il buonumore nel tessile. Villa Erba a Cernobbio ha ospitato Comocrea, il textile design show lanciato dall’omonimo consorzio. Il 25 e il 26 marzo in un’area espositiva di mille metri quadrati sono arrivati gli espositori lariani, accanto a quelli inglesi e francesi, per la collezione invernale 2014. Disegni tessili per abbigliamento, foulard, cravatte, biancheria per la casa: tanti i prodotti che hanno attirato l’attenzione dei

E la città in fotografia “Polis & Polis” del comasco Francesco Corbetta è andata in mostra a Milano alla Galeria Maria Cilena. «Le immagini di Francesco Corbetta - scrive Roberto Borghi - sono iper-luoghi, ambiti saturi di identità e percezioni che si mescolano. Luoghi colorati, briosi e spesso brulicanti, che talvolta sono appena sfiorati da un’elegante malinconia, ma che emanano pur sempre un senso di riservatezza e persino di felicità»

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LA PASQUA IN CITTÀ TRA SACRO E PROFANO Dai riti della settimana santa con il vescovo, alla processione del venerdì santo Di colori delle bancarelle alle novità della tradizionale fiera lungo le Mura

All’apertura della Fiera di Pasqua le signore comasche non sono volute mancare anche se pioveva e faceva più freddo che a Natale. Ammirate davanti alle dimostrazioni di pentole che non attaccano, pela ananas senza far fatica, panni di caucciù che puliscono senza detersivi, sono tornate a casa con le ultime novità. Prima di prepararsi per la processione del venerdì santo che ha fermato la città per seguire il Crocefisso. Una

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processione molto partecipata come ogni anno nel segno della tradizione. Molti i bambini, i ragazzi, le associazioni, le confraternite e i gruppi di volontariato provenienti datutta la provincia. Gli anziani e i malati si sono fatti accompagnare in carrozzina e c’è stato anche chi, lungo il percorso della processione, ha provveduto a sistemare la sedia fuori di casa per non perdersi le parole del vescovo Diego Coletti.

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di SERENA BRIVIO

IDEE (S) FASHION

LO SPOLVERINO URBAN CHIC Cassina: da soprabito a impermeabile, è un passepartout adatto ad ogni occasione anche per chi ha un’agenda fitta di impegni Probabile che monumenti come Clint Eastwood e John Wayne, tra gli attori che meglio hanno incarnato il mito dei cow boy, oggi resterebbero perplessi davanti alla versione urban chic dello spolverino. Dal selvaggio West è approdato nella vita metropolitana come caposaldo del nuovo guardaroba maschile. «Un passepartout adatto a un’agenda fitta di impegni», spiega Marco Cassina della boutique PeterCi. «Si tratta di un pezzo leggero che riassume in sé due funzioni: di soprabito e impermeabile, quindi antifreddo e antipioggia. Adatto a ogni occasione, lo si può buttare tranquillamente nella borsa da lavoro senza che si stropicci». Le più avanzata ricerca tessile ha reso i materiali di ultima generazione ultralight, ingualcibili, oltre che refrattari a improvvisi acquazzoni o colpi di vento. Partendo da questi presupposti, la funzionalità ha trovato un giusto equilibrio con le esigenze di una seducente, sofistica modernità. Il taglio si è asciugato, i volumi precisi come architetture, i dettagli di alta sartoria. Pur all’insegna di una certa mascolinità casual, questo over di primavera ha assunto connotati da vero perfezionista. A richiesta il cliente può scegliere tessuto, colore, tipo di fodera e altri particolari: dalla coulisse all’allacciatura, dai bottoni al cappuccio inserito nel colletto ed estraibile all’occorrenza. I modelli più trendy? Suggerisce Cassina: «Lo storico trench dei militari inglesi come il classico blu della City da indossare pure sul gessato, come i più disinvolti spolverini camouflage».

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NAVIGAZIONI LARIANE

di LUCA MENEGHEL

DUECENTO ANNI DI STORIA NAVIGANO SUL WEB Il Teatro Sociale di Como festeggia i due secoli di storia

Duecento anni di storia, due siti Internet. Per il bicentenario della nascita del Sociale, lo storico teatro di Como - che ha alzato il sipario nel 1813 raddoppia la propria presenza sul web. Al portale ufficiale, infatti, si è affiancato da qualche mese un sito realizzato appositamente per festeggiare la ricorrenza. Mai come in questi tempi, del resto, anche opera e concerti passano dal web con video di presentazione, schede dettagliate e possibilità di acquistare i biglietti on-line, evitando lunghe code al botteghino. Il sito dedicato al bicentenario (http://www.200tsc.com/) - che resterà attivo fino alla fine dell’anno in corso - è una vetrina delle iniziative adottate per celebrare il compleanno del teatro, dai concorsi riservati alle scuole all’attesissimo progetto “Carmina Burana” che andrà in scena a fine giugno all’Arena del Teatro Sociale (recuperata per l’occasione). Il sito comprende anche una rassegna stampa, una sezione con fotografie e video sul progetto “Carmina Burana” e uno spazio riservato alle curiosità: i lettori sono invitati a raccontare aneddoti sul teatro, che verranno poi pubblicati on-line. Essenziale ed elegante, il sito ufficiale (http://www.teatrosocialecomo.it/) resta invece la miglior guida per scoprire il teatro di via Bellini. La sezione “teatro” comprende la storia del Sociale - “nato nell’anno in cui sono nati Giuseppe Verdi e Richard Wagner (1813)” - e una scheda tecnica con tanto di planimetrie scaricabili sul proprio computer. Gli appuntamenti sono raccolti invece nell’area “Stagione”, da cui è possibile accedere alle schede di tutte le rappresentazioni in cartellone. La “biglietteria” consente poi di acquistare un biglietto senza spostarsi dalla propria scrivania. Una volta selezionato lo spettacolo che ci interessa, è sufficiente inserire i dati della propria carta di credito: i posti vengono assegnati automaticamente dal server basandosi sul principio del miglior posto disponibile al momento della prenotazione. Non manca una sezione dedicata alle scuole, che comprende diversi progetti per avvicinare i più giovani al mondo del teatro, e un pratico archivio storico che comprende informazioni e filmati dalle passate stagioni. Ma il Sociale è presente anche sui principali social network. Su Facebook vengono pubblicati ogni giorno aggiornamenti sugli spettacoli in programma, video e 112 mag

fotografie; la pagina (la trovate digitando “Teatro Sociale di Como” su facebook.com) consente agli utenti di avviare discussioni e condividere le proprie impressioni sugli spettacoli. Ancora più immediato - per restare sempre al passo con il cartellone - è l’account Twitter (@teatrosociale): ogni giorno, in 140 caratteri, il teatro comasco ci ricorda cosa c’è in programma per la sera stessa e per i giorni seguenti. Molto ricca è infine la pagina che il Teatro Sociale di Como ha aperto su YouTube (http://www.youtube.com/user/teatrosocialedicomo), il sito più importante per la condivisione di video sul web; fino ad ora sono stati caricati 115 video, visualizzati da più di 110mila persone. Il servizio è molto utile per avere un assaggio dello spettacolo che andremo a vedere, ma può essere utilizzato anche come una “macchina del tempo” per rivedere spezzoni delle serate passate. Da segnalare, in particolare, una serie di video intitolati “200 auguri da…”, in cui una serie di attori e musicisti salutano il Sociale in occasione del suo compleanno.

SEGNALAZIONI ORCHESTRA 1813 - www.orchestra1813.org Il sito dell’orchestra del Teatro Sociale di Como, contiene il calendario delle esibizioni in programma. ASLICO - www.aslico.org Il sito dell’Associazione Lirica e Concertistica Italiana, che si occupa di individuare e formare giovani cantanti emergenti. OPERA IT - www.operait.org Un progetto per avvicinare gli adolescenti all’ascolto dell’opera lirica. Hai un sito dedicato a Como, al Lario e al territorio circostante? Vuoi segnalare un blog ai lettori del MAG? Scrivi una mail all’indirizzo navigazionilariane@yahoo.it.


SCAFFALE

di CARLA COLMEGNA

BRIENNO, RACCONTO DI UNA FRANA Un libro di Andrea Butti racconta la tragedia e aiuta ala ricostruzione del paese dopo la frana “Racconto di una frana. Brienno, 7 luglio 2011”. Basta il titolo. Nel libro fotografico c’è il racconto del dolore, dello sconcerto, della paura, ma anche della voglia di ricominciare il più presto possibile a vivere come prima della frana. L’avvenimento è noto, ai comaschi soprattutto. Quel 7 luglio venne meno, come scrive il giornalista de “La Provincia” Stefano Ferrari, al quale è affidata l’introduzione, «l’umanissima illusione di avere il controllo di tutto (...) di poterv governare la natura e di poterne gestire la forza». La pioggia quell’estate ricordò che la realtà è un’altra. La natura vince e a volte è cattiva, semina distruzione, perfino morte. Le immagini, scattate dal fotografo comasco Andrea Butti riassumono tutto ciò che è impossibile descrivere a parole, compreso il senso di impotenza, ma anche la gioia davanti al moltiplicarsi di gesti di solidarietà, provato dal sindaco Patrizia Nava che firma la prima pagina del volume. L’idea dell’editore è una degli aspetti gratificanti che hanno seguito il dramma della frana. «C’è ancora bisogno dell’aiuto di tutti» è scritto nell’ultima pagina, e la frase è seguita da un “grazie” per un sostegno non ancora arrivato, ma sperato. I proventi della vendita del libro vengono infatti devoluti a Comitato per Brienno.

Racconto di una frana Brienno, 7 luglio 2011 Fotografie di Andrea Butti Carlo Pozzoni editore Como, 10 euro

IL MISSOLTINO DISPETTOSO

UN RESPIRO DIETRO L’ALTRO

Bibì è atterrata un giorno, con la sua astronave, su una spiaggetta a Ossuccio. Uno sbarco inatteso, soprendente quanto l’avvio che il suo arrivo dà alle storie raccontate nel libro scritto da Eloisa Guarracino. Un libro con testo a fronte in inglese, bilingue, che raccoglie nove storie, ognuna delle quali ha una specifica attineza con il Lario, con i suoi abitanti, umani o animali, le tradizioni, le leggende e la storia. Il percorso narrativo del libro della Guarracino non ha età, anche se per colori e disegni può essere avvicinando al mondo dei bambini. I racconti contano protagonisti diversi, da un missoltino, a un battello volante fino alle ricamatrici di Cantà e ai lumaghitt della notte di San Giovanni.

Una scrittura che ha qualcosa di metafisico. Valutazione di spessore e che inorgoglierebbe molti autori, soprattutto se a firmarla è Giampiero Neri che mette il suo nome in cima alla prefazione del libro di Veronica Fallini, poetessa e scrittrice erbese, collaboratrice del quotidiano “La Provincia”. Veronica Fallini stampa la sua ultima impresa letteraria, la terza dopo due raccolte di poesie (“Umane cose” e “Oroscopi” edite da Lietocolle). Questa volta, l’autrice ha voluto scrivere nove racconti, ognuno dei quali ha protagonisti diversi, ma accomunati dal desiderio di sentirsi amati o di evadere dalla quotidianità o ancora di resistere alle prove della vita che spesso sembrano insuperabili. Come il titolo “Un respiro dietro l’altro”, così la narrazione, una parola dietro l’altra racconta “semplicemente” l’impegnativa incombenza di vivere ogni giorno senza lasciare che i giorni scivolino via.

Eloisa Guarracino BabyFiabe “Il missoltino dispettoso e altre storie” illustrazioni di Francesca Sacconi 43 pag., 13 euro

Veronica Fallini “Un respiro dietro l’altro” Stampa Digital Team 170 pag., 16 euro 113 mag 113


GRANDE SCHERMO

di BERNARDINO MARINONI

BUONGIORNO PAPÀ La spiritosa commedia di Edoardo Leo interpretata da Raoul Bova, si incastona ad arte in una storia che riguarda la casa da gioco campionese Le vedute sono inequivocabilmente del Casinò di Campione d’Italia, una breve successione di smaglianti immagini notturne (gli scatti sono del comasco Carlo Pozzoni) del monumentale edificio di Mario Botta con tanto di scritta un po’ similcartolina. Appaiono in sequenza in una scena di “Buongiorno papà”, la spiritosa commedia di Edoardo Leo interpretata da Raoul Bova, incastonandosi ad arte in una storia che riguarda la casa da gioco campionese proprio per quello che essa si propone sul grande schermo: product placement, inserito in una precisa situazione.

SUL LAGO DI ALSERIO Come non rilevare con un briciolo almeno di soddisfazione che è “Allónsanfan” il film con il quale si è presentata App Cinecittà per iPad, l’applicazione finalizzata alla diffusione del grande cinema italiano. È una pellicola girata anche in Brianza quella che è stata individuata come prezioso omaggio alla nostra storia e battistrada di uno strumento tecnologicamente aggiornato con il quale è possibile scoprire i migliori contenuti di Istituto Luce Cinecittà. A suo modo una “prima”, dunque, a quasi quarant’anni di distanza dai set per i quali Vittorio e Paolo Taviani individuarono il lago di Alserio (una barca, la spingarda che si vede nel film, vi è tuttora ancorata) e il Campo Marzo di Merone in un’orbita con al centro, a Erba, Villa Amalia. Nel 1974 lo scenario era ancora appropriato per evocare il tempo della Restaurazione, dopo il Congresso di Vienna, e i soprassalti della lotta carbonara traditi dal personaggio di nobile lombardo, ex giacobino, interpretato da Marcello Mastroianni. Bisognerebbe dire di un reparto femminile - Laura Betti, Lea Massari, Mimsy Farmer - di riconosciuto pregio, ma è della presenza di Mastroianni che sul posto restano echi, più di tutto “gastronomici” e, appena sussurrati, di altri tavoli, quelli dove il piatto piange. Gossip a parte, “Allónsanfan” resta ormai il solo depositario di Villa Amalia com’era e il cinema funziona una volta di più come macchina del tempo. Con la App Cinecittà si offre una nuova possibilità di visione agli amanti del cinema, ma anche ad appassionati e collezionisti di immagini che, come quelle della Villa Amalia di una volta, non hanno altra riproduzione. E App Cinecittà, modo innovativo per la diffusione del cinema, alimenta anche la memoria locale.

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Il protagonista di “Buongiorno papà” infatti lavora in una società di product placement e il Casinò di Campione d’Italia vi compare esattamente da cliente. Di fatto considera il cinema italiano affidabile strumento di comunicazione. Nel soggetto di Massimiliano Bruno, sceneggiatore di meritato successo (basti citare “Notte prima degli esami”) della commedia italiana contemporanea, il meccanismo scatta e alle spalle di Raoul Bova le foto del Casinò posseggono una non ingiustificata evidenza, funzionale al racconto. A dimostrazione che oggi nel Comasco i soli rapporti davvero e concretamente produttivi con il cinema sono quelli intrattenuti da Campione d’Italia tramite il suo Casinò. Marchio della casa da gioco e film, nel caso di “Buongiorno papà”, sono presenti uno nell’altro, ma non è solamente questione di efficace product placement, perché la strategia del Casinò campionese aveva già puntato sul tax credit, cioè sulle misure di incentivazione fiscale a sostegno degli investimenti in opere cinematografiche italiane. Oltre a maturare il previsto credito d’imposta, in base all’entità dell’investimento gli spetta una quota dei proventi dei film in cui ha creduto o, se si preferisce, ha scommesso. E vinto: il marchio del Casinò compare dapprima nei titoli di coda e sui manifesti di “Romanzo di una strage” (2011) il film che Marco Tullio Giordana ha dedicato all’attentato di piazza Fontana, 12 dicembre 1969, a Milano. L’operazione è d’immagine, una forma di mecenatismo nei confronti del cinema italiano; remunerata però, alla resa dei conti, da una quota dei proventi di entità non simbolica. Non si sa se con più sagacia o fortuna Campione d’Italia non ha frapposto indugi è ha creduto in Alessandro Siani e il suo “Principe abusivo”. È mancato il ventilato product placement, ma il più che ragguardevole successo del film - campione d’incasso - oltre a distillare, proiezione dopo proiezione, il marchio del Casinò nei titoli di coda, è destinato a rendergli in rapporto a cospicui proventi. “Non olet”, come si sa e pazienza se il film è meno che modesto. Invece “Buongiorno papà” ha tutte le carte in regola: la commedia è finemente riuscita, Raoul Bova esercita il suo richiamo popolare (ma Marco Giallini non meno di Edoardo Leo, regista e attore parimenti intelligente, non sono accessorii) e il product placement integrato funziona a maggiore gloria del marketing del Casinò Campione d’Italia.


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di MARINELLA MERONI

ANIMALI

IL CANE CI CAPISCE NON SEMPRE LO CAPIAMO NOI Dimostrato scientificamente che sanno leggere negli occhi, ci riconoscono dal viso e intuiscono le nostre espressioni I cani ci riconoscono dal viso, lo ha scoperto il dottor Paolo Mongillo, veterinario, etologo e ricercatore dell’Università di Padova. Dopo aver condotto curiosi test sui cani e i relativi padroni, la ricerca ha dimostrato come sia difficile per un cane riconoscere il proprio “compagno umano” se questo ha il viso coperto. Inoltre è stato riscontrato che quelli che vedono bene il volto del loro proprietario seguono con più attenzione gli ordini impartiti, mentre reagiscono con meno interesse quando il viso del loro padrone è coperto o non perfettamente riconoscibile. Dichiara Mongillo: «Abbiamo messo un cane in una stanza vuota dove all’interno il suo padrone e una persona sconosciuta all’animale hanno contemporaneamente attraversato il locale, camminando in direzioni opposte e passando più volte di fronte al cane, e abbiamo misurato quanto tempo l’animale ha guardato le singole persone. Poi i due individui sono usciti da due porte diverse. Il risultato è stato che l’animale ha guardato più a lungo il proprietario rispetto all’altra persona e si è sempre avvicinato alla porta dalla quale è uscito il padrone». Nella seconda parte dell’esperimento si è coperto il viso delle due persone coinvolte presenti nella stanza, in questo caso il cane ha osservato molto meno il suo proprietario e lo ha seguito all’uscita con meno convinzione. Ciò vuol dire chiaramente che Fido riesce non solo a vedere, ma anche a riconoscere il suo “capobranco”. Un risultato abbastanza scontato che però non era mai stato provato scientificamente. Anche se, tuttavia, precedenti studi effettuati su branchi di lupi hanno dimostrato che si riconoscono proprio osservandosi reciprocamente il muso, in quanto si diversifica in ognuno di loro per la conformazione. Ma la vecchiaia, anche per i fido, si fa sentire. La ricerca ha inoltre dimostrato che i cani di oltre sette anni di età hanno mostrato «una certa difficoltà nell’individuare il volto del proprietario e la porta da cui questo usciva». Lo studio sottolinea anche «come gli effetti dell’invecchiamento siano simili a quelli dell’uomo in termini di danneggiamento della cognizione. E dunque ricerche di questo tipo possono avere ricadute importanti sulla comprensione di ciò che succede nell’uomo al suo invecchiarsi». Inoltre una ricerca diretta da Clive Wynne dell’università della Florida e pubblicata sulla rivista “Learning and Behaviour”, ha dimostrato come il miglior amico dell’uomo sia addirittura capace di interpretare le espressioni facciali del suo padrone. È molto probabile che questa abilità sia la conseguenza di migliaia di anni di addomesticamento, iniziato con la convivenza con l’essere umano, in un periodo compreso tra 15.000 e 40.000 anni fa. I cani sanno leggere negli occhi, riconoscono certe espressioni del viso e imparano giorno dopo giorno ad interpretare espressioni e gesti del proprietario, controlla e cerca di decifrare ogni movimento e posizione del nostro corpo perché lui stesso assume posture ben precise e trasmette chiari messaggi aiutandosi con occhi, bocca, fronte, naso, coda e tutto il corpo. È chiaramente una forma di comunicazione che se ben interpretata diventa molto per educare il nostro compagno a quattro zampe, evitando così comportamenti incoerenti che a volte confondono l’animale. I risultati confermano quello che moltissime persone che hanno un cane già sapevano: Fido ci capisce, e anche molto bene, noi sappiamo fare altrettanto?

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I CONSIGLI DELLO CHEF di SILVANA CORTI titolare Ristorante Sociale, Via Rodari 6 Como

RISTORANTE SOCIALE I SAPORI DI UNA VOLTA Da duecento anni nel solco della vera tradizione, proprio come Gianni ci ha insegnato Nell’ anno 1813 apriva il Ristorante Sociale che prendeva il nome dall’omonimo Teatro. In 200 anni tante gestioni si sono susseguite fi no a quella della nostra famiglia, che dal 1990 si adopera nel mantenere le tradizioni di cucina semplice, con sapori di una volta quasi dimenticati e di proporle ad un ampio pubblico. Il Ristorante Sociale dal 2008 si è trasferito dalla storica sede sotto ai portici di fi anco al Duomo in quella attuale di via Rodari 6, ristrutturando il palazzo del ‘500 appartenuto agli Odescalchi, nobile famiglia comasca che ha dato i natali a Papa Innocenzo XI. Le sale sono dislocate su due livelli con ambienti e atmosfere diverse: al piano terra si è accolti da un caratteristico soffitto a volte in mattoni e pareti in sasso, al primo piano si trova un ampio salone con aff reschi del ‘500, il soffitto a cassettoni e grande camino del ‘600 che glorificano la vita del Papa comasco, all’esterno nel periodo estivo si scopre un intimo cortile adiacente le mura e l’abside di San Giacomo. Si occupano della cucina lo chef Roberto coadiuvato da Bianca e Krisha, i quali con grande maestria portano avanti la tradizione di piatti classici, preparati con prodotti genuini e di prima qualità. L’ossobuco di vitello con il risotto allo zafferano, la

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cotoletta alla milanese, il brasato e la cazzuola con la polenta, la busecca, il coniglio e lo stinco… e tanti piatti ancora vengono apprezzati ogni giorno dalla nostra aff ezionata clientela e dai molti turisti stranieri e non, che grazie alle guide, al passaparola ed ai consigli di persone che ci conoscono, frequentano volentieri il nostro ristorante, sapendo che andranno incontro ad un pranzo o una cena in un ambiente accogliente facendo sentire l’ospite a casa propria. Le nostre proposte sono accompagnate da vini scelti fra le migliori produzioni nazionali, che vengono suggeriti dai Nostri collaboratori Marco e Andrea al fi ne di esaltare i sapori dei vari piatti. E per concludere in dolcezza, come non lasciarsi ingolosire dalla lunga lista dei dessert tradizionali, ogni giorno preparati con fantasia da Sabrina, Roberto e Bianca. Quest’anno il Ristorante Sociale spegne 200 candeline. Io Silvana Corti e Giordano, le mie fi glie Sabrina ed Elena, la nipote Alice, ormai da tre generazioni, ci prodighiamo con tutto lo staff, nel far si che il futuro della ristorazione comasca non diventi un passato, ma bensì attinga da questo per mantenere vive le tradizioni, proprio come Gianni ci ha insegnato… Questo e’ l’unico e vero Ristorante Sociale, non esistono fi liali.


LA VITA IN VERDE di FEDERICO RATTI E ERICA RATTI

SINFONIE DI COLORI, TRIPUDIO DI PROFUMI TENDENZE FLOREALI 2013 I colori della frutta che amiamo, del sole e della luminosità che trasmettono gioia, allegria, voglia di fare e di vivere Se devo pensare ad un allestimento o matrimonio di tendenza per il 2013 per me la parola d’ordine è una sola: diversità! Perché ogni coppia possa scegliere il mood che fa per lei. Senza imposizioni, con libertà. Ed è anche la moda che ci porta a pensarla in questa maniera e per un’annata così difficile ed intristita dal momento cupo che sta attraversando il paese, propongo di utilizzare colori vivi, solari, squillanti: il giallo, l’arancio, il verde acido e il fucsia. I colori della frutta che amiamo, del sole e della luminosità che trasmettono gioia, allegria e voglia di fare o di vivere. Se poi pensiamo alla primavera allora uniamo quest’ispirazione al romanticismo delle peonie con la loro capacità di avere colori squillanti e allo stesso tempo di essere fiori carnosi ed eleganti, molto sensuali. Avere la capacità di sapersi mettere in gioco dimenticando le proprie abitudini e cercando di far volare la fantasia facendola viaggiare in posti lontani e ricreando situazioni che possono richiamare all’esotico. Tutte sfaccettature di un modo di mettersi in gioco che porta alla libertà di esprimersi e alle caratteristiche che possono aiutare a far diventare un momento come quello del proprio matrimonio una cosa indimenticabile e tremendamente originale al cospetto degli invitati.

TENDENZE GIARDINO-TERRAZZO 2013 Fioriture dai toni accesi, gerani odorosi, aromatiche, ibridi e innesti, per un giardino-terrazzo di grandi soddisfazioni Per giardini e terrazzi la tendenza per la primavera-estate 2013 è varietà, colore e profumo. Fioriture dai toni accesi, gerani odorosi e aromatiche insolite, piante da orto da scegliere in un’ampia collezione di nuove varietà, ibridi e innesti, per un giardino-terrazzo di grandi soddisfazioni. I gerani odorosi sono ancora poco utilizzati. Diverse specie di Pelargonio hanno la caratteristica di avere le foglie che emanano profumi: di rosa, di mela, di limone, di menta e addirittura di coca-cola! Possiamo usarlo anche in cucina: per aromatizzare lo zucchero per esempio: in un barattolino foglie di geranio odoroso e zucchero a strati profumatissimo sui dolci o nelle macedonie. Per le fioriture un’essenza da privilegiare è il Nasturzio: di facile coltivazione e manutenzione, rampicante e ricadente. I suoi colori, dal giallo al rosso, sono capaci di produrre cascate di fioriture accompagnate da grafiche foglie. È commestibile! Quindi via ad insalate estive allietate da questo fiore. Per i contenitori ricicliamo cassette e vasi: opportunamente colorati diventano arredi cool. Per il nostro angolo verde ricordiamo sempre però: l’esposizione solare, il terreno e le dimensioni dei vasi. Un buon utilizzo di forme e colori può creare profondità e ampliare otticamente anche piccoli spazi.

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mag 119



VIVERE SICURI di DAVIDE MERONI Esperto in materia di sicurezza, risponderà ad ogni vostro quesito contattandolo all’indirizzo mail info@sicurezzacomo.it - www.sicurezzacomo.it

LA CRISI RAFFORZA LA PAURA E SCORAGGIA GLI INVESTITORI Rapine, taccheggio, usura, estorsione. Il rovescio della medaglia della parola “crisi” è peggiore. È questo il quadro che emerge dall’indagine che Censis e Confcommercio, hanno condotto analizzando lo stato d’animo di 400 imprese del settore del commercio. I dati sono stati presentati nei giorni scorsi a Cernobbio, in un apposito convegno. A preoccupare gli imprenditori sono soprattutto furti e taccheggi, in aumento dell’80% secondo gli imprenditori interpellati. Un gradino sotto, la percezione di truffe e raggiri (+64%), poi scippi (+45%) e rapine (+36%). Contrapponendo i dati con le statistiche raccolte dall’Istat sulla base delle denunce depositate, la situazione parrebbe meno preoccupante, facendo così emergere anche l’aspetto emozionale nelle considerazioni raccolte. Le difficoltà, la recessione, infatti, contribuirebbero ad acuire il senso di scarsa protezione da parte delle persone. Ma siamo certi che si tratti solo di effetto panico? Mentre la crisi continua a prolungarsi e, addirittura, ad inasprirsi, i dati Istat, infatti, sono rimasti fermi all’anno 2011. Ok il senso di diffusa paura, quindi, ma forse sarebbe opportuno prima di sbandierare tranquillità, aggiornare i dati statistici e concentrarsi nel dare risposte a quanti nel frattempo invocano una “maggior sicurezza”. Altrimenti chi mai potrà avere la serenità di tornare ad investire? Agli imprenditori suggerisco: portatevi avanti e affidatevi ad un buon tecnico professionista di allarmi. La sicurezza è sempre meglio affidarla a mani esperte.

Facciamo calare la nebbia sui furfanti Crederci sempre, arrendersi mai! Chi ama il proprio lavoro e crede in tutto quello che fa, è giusto che non lasci campo libero alla microcriminalità. Ma cosa possono fare quanti per motivi di spazio, tipologia dell’immobile o posizione, non potessero creare una gabbia, così come optato dai titolari dello store olgiatese? A tutte queste persone suggerisco il nebbiogeno: l’unico strumento di protezione attiva che oltre ad avvisare che il furto è in corso, fisicamente lo ostacola. Questa tecnologia, meglio ancora se abbinata ai tradizionali sistemi antifurto, rappresenta il futuro per tutte quelle attività commerciali che vogliono proteggere non solo il negozio/azienda, ma anche ciò che si trova all’interno. Questa fitta nebbia, che viene rilasciata quando il sistema di anti intrusione viene messo in moto, infatti, neutralizza ladri e aggressori, costringendoli alla fuga. Qualunque struttura può essere al sicuro, sia quelle piccole sia quelle grandi. Negozi ma anche magazzini, dunque. E sfatiamo il mito che la nebbia rilasciata sia dannosa per la merce o per le persone: è ecologica e atossica, non rilascia residui e viene persino utilizzata nei musei! Tutto questo fa sì che nei “famosi 8 minuti” che i ladri utilizzano di solito per colpire indisturbati prima dell’arrivo delle forze di sicurezza, ci sia per loro l’impossibilità di agire. La nebbia infatti impedisce di vedere e disorienta. Dopo il danno, dunque, almeno niente beffa!

Il caso del mese: inaugurano il nuovo Vodafone Store, ma i primi clienti sono i ladri “Mala tempora currant”, direbbero i latini. E come dar loro torto, visto che in tempo di recessione, chi sceglie di investire, viene immediatamente penalizzato invece di essere premiato? È il caso del Vodafone store di Olgiate Comasco, punto vendita della famiglia De Agostini che con coraggio ha scelto di rinnovare il proprio negozio dedicato a telefoni cellulari, smartphone, tablet, etc. Inaugurato a fine gennaio 2013, il nuovo store è stato preso di mira immediatamente dai soliti ignoti. Sradicato un antico cippo segnaletico stradale, per intenderci uno di quei paracarri in granito con indicate le distanze chilometriche, i ladri lo hanno utilizzato come ariete, cercando di infrangere le vetrine. Assalto vano: i vetri antisfondamento hanno resistito e il sistema di allarme ha subito allertato le forze dell’ordine e di vigilanza ad esso collegate. I danni però sono stati ingenti. Nei giorni scorsi il secondo assalto, con mazze ferrate, è andato a “buon fi ne” e i soliti ignoti sono riusciti a dileguarsi in pochi istanti con un bottino tecnologico importante. Sono stati anche immortalati dalle immagini della videocamera, mentre in grande fretta, con cappelli e volto semicoperto, facevano avanti e indietro riempiendo sacchi di refurtiva. Le immagini sono state consegnate agli inquirenti. La proprietà ha dichiarato di voler tener duro e procederà ora a costruire una sorta di gabbia esterna per mettere al sicuro il negozio. Noi tifiamo per loro.

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IL BELLO DELLA SALUTE di TIZIANO TESTORI Docente Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, Università degli Studi di Milano www.tizianotestori.eu

INVASIVE RICOSTRUZIONI OSSEE PER POTER METTERE I DENTI. SONO SEMPRE NECESSARIE? La vera mission dei dentisti è curare i denti, non estrarli per mettere degli impianti Molti pazienti chiedono un secondo parere quando vengono proposti interventi molto invasivi per riposizionare i denti persi. Bisogna subito specificare che non esistono cure magiche per far ricrescere l’osso, inoltre le nuove biotecnologie (proteine morfogenetiche che fanno ricrescere l’osso, fattori di crescita ricombinati) non sono ancora una realtà clinica consolidata, sono farmaci non registrati in Italia e neanche in Europa, alcuni sono registrati negli Stati Uniti solo per alcune indicazioni cliniche. Per cui i pazienti non devono credere a professionisti che hanno solo loro il prodotto magico che fa ricostruire l’osso. Se ci fosse il prodotto magico, i produttori (le case farmaceutiche) cercherebbero di venderlo a tutti, non investirebbero in costose ricerche per venderlo ad un solo professionista. Nel mondo reale le favole non esistono. Nuovi prodotti biotecnologici ci aiuteranno nelle ricostruzioni ossee perimplantari permettendoci di abbandonare in un prossimo futuro i prelievi ossei per ricostruire deficit dovuti a perdita di denti per parodontite, carie, traumi o processi neoplastici. I nuovi biomateriali diventeranno sempre più affidabili e le loro indicazioni sempre meglio definite. L’implantologia e la chirurgia in generale continueranno nei prossimi decenni a evolversi e a rinnovarsi. Tuttavia allo stato attuale delle conoscenze il clinico deve selezionare per la propria pratica professionale protocolli terapeutici supportati dalla ricerca scientifica con risultati favorevoli a lungo termine (oltre i 10 anni). Per quanto riguarda l’elevazione del seno mascellare che rappresenta una tecnica chirurgica ricostruttiva molto praticata in implantologia per ricostruire l’osso dell’arcata superiore a livello dei premolari e dei molari, la ricerca scientifica e la letteratura hanno evidenziato come i biomateriali rappresentano una valida alternativa ai prelievi ossei e sull’argomento abbiamo scritto un libro tradotto in tre lingue. Esiste poi un’altra filosofia di pensiero molto pericolosa, estrarre i denti per posizionare quattro impianti (evitando qualsiasi tipo di ricostruzione ossea) permettendo al paziente di avere una dentatura a carico immediato fissa sfruttando l’osso solo a livello degli incisivi e dei canini. Questa metodica è stata da noi applicata dal 1999, tuttavia trova le sue indicazioni, cioè quando è giusto farla, ben precise: il bravo medico personalizza il piano di cura al paziente riducendone l’invasività se possibile, non propone un piano di cura sempre uguale a tutti i pazienti. In medicina e in odontoiatria non si può curare tutti allo 122 mag

stesso modo. Tuttavia molti messaggi sono allettanti per i pazienti: entri con dei denti non salvabili (però è importante fare una diagnosi e motivare perché i denti non sono salvabili) ed esci dopo quattro ore con tutti i denti fissi e belli che dureranno tutta la vita. Gli implantologi seri sanno che questi sono messaggi di marketing, non messaggi etici e professionalmente corretti. La mission dei dentisti è curare i denti non estrarli per mettere impianti. Bisogna inoltre ricordare ai lettori che anche gli impianti si ammalano di piorrea che si chiama in termine scientifico sui denti parodontite e sugli impianti perimplantite. Le cause e i fattori di rischio sono sempre gli stessi per cui la vera arma per non dover andare dal dentista è seguire un rigoroso programma di prevenzione attraverso un’accurata igiene e regolari visite professionali riducendo i fattori di rischio quali il fumo. È molto semplice ma non tutti lo fanno.


IL BELLO DELLA SALUTE di FRANCO BRENNA Medico Chirurgo, Specialista in Odontostomatologia. Professore a Contratto presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Libero Professionista in Como, francobrenna@frabre.it

IL FESTIVAL DELLA LUCE E I DENTI SI ILLUMINANO Dalle moderne tecniche utilizzate nell’odontoiatria d’avanguardia a un futuro costruito sulla concretezza, piuttosto che sull’effimero L’odontoiatria, i denti, i dentisti e tutte le professioni ad essi correlati hanno sempre ricercato la luce. Non è necessario cavalcare a ritroso la macchina del tempo per ripercorrere la storia di una scienza medica di assoluta importanza per la salute dell’uomo per capire che l’odontoiatria moderna è forse iniziata davanti a una fi nestra. Da quella fi nestra poteva penetrare la luce ed illuminare, coadiuvata da una fioca e pericolante lampada, la bocca del paziente che con coraggio e paura si sottoponeva alle cure. Quindi, luce per vedere: non esisteva ambulatorio odontoiatrico, tra la fi ne del 1800 e i primi cinquant’anni del ‘900 che non avesse la poltrona rivolta ad una fi nestra. Per decretare la modernità della professione dei cavadenti si è dovuto tuttavia attendere l’arrivo degli antibiotici e degli anestetici locali: gli uni per prevenire e combattere difficili infezioni, gli altri per garantire tranquillità e controllo del dolore; ma se intervistate un odontoiatra che oggi ha ottant’anni o qualcosa di più, vi risponderà che la modernità della sua pratica professionale la ricorda legata all’avvento della Turbina con le fibre ottiche: per intenderci, il trapano veloce che fi schia e che dalla sua testina emette un fascio di luce atto ad illuminare il campo operatorio. Luce per vedere e per curare: ogni più recondito recesso della bocca poteva essere illuminato e trattato con maggiore qualità, in minor tempo e con minor fastidio per il paziente. Erano gli anni ‘60. Coloro che si sono avvicinati all’odontostomatologia in tempi più recenti, quelli della mia generazione per intenderci, i fi gli della bambagia, hanno avuto l’opportunità di vivere un’evoluzione tecnologico scientifica tra le più entusiasmanti di tutto il campo medico sanitario. Si è passati, nell’arco di pochi lustri, dal togliere denti al conservarli, dal sostituire quelli irrimediabilmente compromessi con impianti supportanti denti fi ssi, dalla approssimazione estetica ad una biomimetica il più vicino possibile alla naturalezza ricercata dal più sofi sticato dei pazienti. Tutto ciò grazie - anche - al supporto della luce. Attualmente, se ci fate caso, non vengono più utilizzati materiali da otturazione che non siano “bianchi”. I pazienti non li accetterebbero - anzi chiedono la sostituzione di quelli metallici ancora presenti - i dentisti non li propongono, anche se hanno impiegato oro e amalgama d’argento con grande soddisfazione per molti decenni, l’industria non li produce

quasi più. Oggi il restauro del dente, in ogni angolo della bocca, può e deve essere eseguito con materiali estetici il più possibile vicini alla naturalezza del dente: biomimetici, appunto. Questi materiali, queste tecniche, sia a livello biologico che meccanico vengono resi possibili e attivi tramite la luce. Luci di diverso genere: alogene, plasma, led, che permettono la così detta fotopolimerizzazione (la fi ssazione dei materiali estetici attraverso la luce n.d.r.) ottimizzando la protezione nei confronti dei tessuti più interni del dente, la loro stabilizzazione nella cavità da restaurare e il loro mantenimento estetico e funzionale . Luce per vedere, per curare, per garantire qualità e controllo nel tempo. E per coloro che si avvicineranno all’odontoiatria del domani - termine impiegato in senso lato - i fi gli che non conoscono la fame? Quale tipo di luce? A mio modesto avviso la luce dovranno crearsela. Sarà necessario che le loro idee, la loro forza di volontà, la fame con la quale dovranno confrontarsi, che potrà essere anche quella di popoli giovani che aspirano a condizioni di vita migliori e quindi più motivati all’inventiva, possano fi nemente stimolare quella liquidità mentale che purtroppo ha pervaso la vita e l’immaginazione di molti giovani, complicata da una scellerata visione dell’essere attraverso la cancellazione di intenti, stimoli e regole gravemente suff ragati da coloro che non hanno saputo programmare un futuro costruito sulla concretezza piuttosto che sull’effi mero. Luce per vedere, per curare, per accendere le idee.

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IL BELLO DELLA SALUTE di EUGENIO GANDOLFI specialista in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica a Como e Lugano - www. eugeniogandolfi.com

LE ORECCHIE A SVENTOLA SARANNO SIMPATICHE ...PERÒ Oggi l’otoplastica è semplice, rapida e si può praticare senza problemi anche sui bambini Forse non c’è tratto somatico più simpatico, in un bambino, di un bel paio di orecchie a sventola (bisognerebbe dire “a ventola”, ma sembrerebbe pretenzioso). Ognuno di noi avrà sicuramente nella memoria un irresistibile faccino sorridente incorniciato da un paio di ammiccanti “padelline”. Eppure, per quanto apprezzate nei bambini, ben presto le orecchie a sventola, specie se piuttosto pronunciate, diventano oggetto di scherno da parte dei coetanei e, con il tempo, possono provocare disagi, insicurezza e persino complessi. Un tempo, specialmente nell’adolescenza e complici zie o nonne preoccupate per la bellezza del nipotame, si escogitavano rimedi a volte fantasiosi (dormire sulle orecchie per tenerle schiacciate, oppure tenerle attaccare alla testa con dello scotch resistente), a volte crudeli quanto inutili (fasciature aderenti), anche se l’espediente più diffuso per nasconderle consisteva nel farsi crescere i capelli. Ed è anche per questo che, quando noi ragazzi partivamo militari, anche chi era riuscito a dissimulare il problema con una capigliatura a cespuglio, si trovava davanti (anzi, ai lati), il problema con tutta la sua “gravità”, in un momento, per di più, in cui lo sfottò cameratesco era particolarmente pungente. Oggi, per fortuna, il problema si può ben dire che non esiste più perché l’otoplastica, ossia l’intervento che riporta le orecchie ad aderire alla testa, è semplice, rapido e si può praticare anche sui bambini dai cinque-sei anni in poi. Il padiglione auricolare, infatti, è una delle parti che corpo che prima arriva a svilupparsi completamente,

permettendo di intervenire già in età infantile. Le tecniche maggiormente utilizzate per la correzione delle orecchie a ventola sono due, entrambe eseguibili in day-hospital e in anestesia locale. La prima, prevede un piccolo taglio nella parte posteriore del padiglione e il conseguente modellamento della cartilagine. La cicatrice è pressoché invisibile, dato che segue la piega dell’orecchio e la convalescenza, dopo che il paziente è tornato a casa subito dopo l’intervento, dura un paio di giorni al massimo. Oggi, però, è possibile anche l’otoplastica senza incisione che, nei casi indicati, ha la stessa efficacia e, in più, non prevede né fasciature né convalescenza. La tecnica consiste nell’entrare sotto la pelle con un ago che veicola uno speciale strumento chirurgico con si può rimodellare agevolmente la cartilagine facendole assumere la forma voluta; uno speciale punto sottocute stabilizzerà poi il risultato. (Una notazione per chi ha i capelli lunghi: per entrambi i tipi di intervento non è necessario tagliare i capelli!) L’otoplastica, oltre che sulle orecchie a sventola può intervenire con successo, e sempre in day-hospital, anche su altre patologie più gravi (tipo amputazioni parziali o totali), malformazioni, ma anche su problemi minori. Per esempio, se una signora ha amato portare orecchini di grandi dimensioni e un po’ pesanti, può darsi che, con l’età si ritrovi con il lobo un po’ rilassato o tagliato. È possibile ridurlo e ripararlo, lasciandovi il foro per gli orecchini. Come dire, se vi piacciono i begli orecchini, sfoggiateli su orecchie splendide.

Da oggi, a Chiasso, una nuova struttura vi offre il meglio anche nel campo della day-surgery: Academia Day Clinic. A pochi passi da Como, è nata una struttura di altissima qualità, con standard perfino superiori a quelli italiani che mette a disposizione della vostra bellezza 1.100 mq di tecnologia, benessere e arte medica. Sul sito www.academiadayclinic.ch troverete tutte le informazioni che vi servono, ma quel che dovete sapere sin d’ora è che: - In Academia Day Clinic potrete entrare la mattina e uscire la sera, avendo realizzato il vostro sogno di bellezza in modo armonico, sicuro e mini-invasivo. - La struttura dispone di un blocco operatorio modernissimo ed è autorizzata a compiere tutti gli interventi in day-surgery. - L’accoglienza è a livello di un hotel a cinque stelle. - Academia propone una gamma di servizi completa che vanno dalla chirurgia alla medicina estetica passando attraverso le tecnologie più sofisticate e innovative, come il laser, la radiofrequenza, la cavitazione e la criolipolisi. - Academia Medical spa è la zona esclusiva riservata all’estetica, ove estetiste esperte vi offriranno trattamenti estetici da integrare con le terapie mediche. - Presso Academia Day Clinic troverete specialisti con grande esperienza e potrete consultarvi con me e con il dottor Riccardo Forte, medico chirurgo anch’egli ben noto in Italia e all’estero, per decidere insieme la strategia migliore per rigenerare e recuperare la vostra bellezza con o senza bisturi, in modo dolce e con risultati naturali. Per ogni informazione, contattatemi su www.academiadayclinic.ch e sul mio blog: http://blog.eugeniogandolfi.com/dottorgandolfi/.

mag


LE STELLE DI COMO ARIETE 21 MARZO  20 APRILE

Anche se meteorologicamente siamo distanti dal tepore dell’equinozio, Giove, Mercurio, Venere, Sole, Marte per gran parte del mese scaldano la vostra giornata di calore, amore, successi, complicità costruttive. Venere vi elargisce un fascino personale a cui difficilmente si resiste, Giove suggerisce ciò che dovete conquistare e Mercurio vi rende perspicaci e veloci nelle decisioni. Tornate ad essere entusiasti di sport e fitness, soprattutto nella seconda metà del mese. Organizzerete serate divertenti con gli amici ed anche viaggi e vacanze.

TORO 21 APRILE - 20 MAGGIO

Venere nel segno con buone disposizioni di Mercurio e Nettuno, attendono Sole e Marte per fine mese. Molta dolcezza e sensualità (Venere). L’arrivo di Marte rischia di farvi apparire troppo aggressivi con parole aspre, decisioni avventate che potrebbero rovinare il clima col partner. Di solito parsimoniosi accentuerete queste caratteristiche perché Giove che sovrintende alla stabilità economica v suggerisce di evitare gli eccessi. Nell’ambiente lavorativo siete sotto pressione con la carica di Marte e la sua aggressività negativa. Per ora cercate solo il relax.

GEMELLI 21 MAGGIO - 21 GIUGNO

A inizio mese solo Giove è posizionato nel vostro cielo mentre avete un Mercurio in quadratura, poi giungeranno Venere, Sole, Marte che danno una sferzata di idee nuove, progetti audaci ed una persona amica che vi aiuterà in una questione lavorativa. Buono lo stato fisico con ripresa di attività sportive e con ottimi risultati. Dovrete stare attenti a non esagerare.

CANCRO 22 GIUGNO - 22 LUGLIO

La prima metà del mese è governata dalle quadrature (negative) di troppi pianeti che presiedono a carriera autonomia, rapporti umani. Vi potrete sentire accerchiati ed evitate scontri con capi e collaboratori. La tensione poi si allenterà e con alti e bassi continuerete senza gravi conseguenze. Tesi e nervosi fino al 20/4 potrete sentirvi anche malati con disturbi psicologici più che fisici e non pretendete di curarvi con medicine allopatiche: forse un cielo astrale che muta può servire meglio alla bisogna.

LEONE 23 LUGLIO - 23 AGOSTO

Per voi è l’inizio del mese che dà prospettive e possibilità con molti pianeti che vi rendono sicuri e intraprendenti. Ciononostante potrete poi approfittare di Sole Marte, Mercurio, Venere che si offriranno di risolvere i problemi anche burocratici che vi impediscono nella carriera. Non esagerate con le attività sportive perché potreste sentirvi senza resistenza con ossa e muscolatura malconce.

VERGINE 24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE

Dimenticando saggezza, razionalità, compostezza vi lasciate guidare da un insolita passione e da un’onda di romanticismo. Venere, Sole, Marte nella seconda quindicina vi suggeriscono fantasie ardite. Fate attenzione nella prima metà del mese per non rischiare errori di valutazione sul lavoro. Più tolleranti e comprensivi con chi lavora con voi potreste risolvere una controversia legale o amministrativa. Vitali e dinamici gli ultimi giorni del mese, particolarmente disponibili alla vita mondana. 126 mag

di SANDRA UBOLDI

BILANCIA 23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE

Mese poco quieto con il solo Giove in trigono e una salda opposizione di Mercurio, Venere, Marte ,Sole. Una corazzata invincibile e nemica che creerà tensione nella coppia, desiderio di evasione con persino il rischio di tradimenti. Intolleranti e criticoni verso colleghi e collaboratori rischiate litigi per eccessiva rigidità. Siate più tolleranti. Sforzatevi di migliorare il vostro stato fisico senza rischiare troppo e controllate lo stato generale di salute con analisi di routine.

SCORPIONE 23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE

Attenzione a come vi esprimete perché avete i nervi scoperti e potreste irritare chiunque ha a che fare con voi. Sarete tanto tesi anche sul lavoro da meditare un cambio di rotta ( Saturno docet) ma grazie a Dio, Mercurio vi farà ragionare e vedere le decisioni con più realismo. I primi 10 giorni vi daranno buona forma e vitalità con socievolezza, spirito e voglia di compagnia ma l’opposizione successiva acuirà piccoli disturbi di stagione fastidiosi anche se non gravi.

SAGITTARIO 23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE

In famiglia grazie a Venere Sole e Marte sarete attenti e premurosi con ottimi rapporti che renderanno l’affetto ancora più solido. Dovrete caricarvi di serenità perché sul lavoro vi aspettano giorni problematici mentre le vostre doti creative vi suggeriranno nuove alternative e sbocchi interessanti per rinvigorire il conto in banca parecchio assottigliato. Molti impegni giornate piene di lavoro e di sport forse troppo dispersive e col rischio di un calo energetico. Piccoli guai fisici per irritazioni ed eritemi.

CAPRICORNO 22 DICEMBRE - 20 GENNAIO

Dal 16/4 Venere e Marte saranno propizi ad Eros e alla voglia di vivere mentre nella prima decade dovrete approfittarvi di Mercurio e Saturno che vi suggeriranno riflessi pronti e trovate ingegnose per uscire da ogni impasse. Vi sentirete purtroppo spossati e stanchi fisicamente e dovrete rimandare all’arrivo di Marte e Venere le vostre attività sportive con la primavera che faciliterà la ripresa.

ACQUARIO 21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO

La prima metà di aprile avrete amore a volontà e la seconda metà servirà per riconfermare un rapporto né passeggero né improvvisato né mutevole. Mese propizio e costruttivo per il futuro. Voi siete molto disponibili ad attività atletiche veloci, meno a quelle di resistenza e vi sentite in ottima forma quando potete applicarvi nello sport. Meno vitalità gli ultimi giorni del mese ma non certo inattività assoluta.

PESCI 20 FEBBRAIO - 20 MARZO

C’è da contare prima su Mercurio che faciliterà rapporti e nuovi incontri fino a che lascerà il campo a Venere che vi renderà più comunicativi e affascinanti facilitando conoscenze e amori. La prima metà del mese vi renderà fantasiosi e creativi, apprezzati e considerati sul lavoro ma dovrete fare attenzione agli investimenti. Il passaggio astrale promette energia in abbondanza ma Saturno consiglia di non esagerare e di considerare la vostra effettiva forma atletica. Curate soprattutto l’alimentazione.




Gli aforismi del mese di Federico Roncoroni

Gli stupidi e gli sciocchi Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica. Leo Longanesi Nessuno, quanto gli sciocchi, si crede capace di ingannare le persone intelligenti. Luc de Clapiers de Vauvenargues Parla in modo sensato a uno stupido e questi ti chiamerà stupido. Euripide Se gli uomini non commettessero talvolta delle sciocchezze, non accadrebbe assolutamente nulla d’intelligente. Ludwig Wittgenstein Il dialogo di due deficienti è uguale al monologo di un semi deficiente. Stanislaw J. Lec Ci sono due specie di sciocchi: quelli che non dubitano di niente e quelli che dubitano di tutto. Charles-Joseph de Ligne

La stupidità è una madre feconda. Massima mediovale Pur essendo il mondo intero pieno di sciocchi, non c’è nessuno che si creda tale o appena abbia il sospetto di esserlo. Baltasar Graciàn Stolti sono coloro che non sanno che la metà spesso vale più del tutto. Esiodo Ci sono scemenze ben presentate come ci sono scemi ben vestiti. Nicolas de Chamfort Nessuno è così stupido da non far finta ogni tanto di esserlo. Stanislaw J. Lec Quando una cosa è ormai successa, anche lo stolto la capisce. Omero L’intelligente non sa ascoltare e lo sciocco non sa parlare. Oscar Wilde

Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. Karl Kraus

129 129 29 mag 12 mag


LAST MINUTE

di FRANCESCO ANGELINI

SE LA POPOLARITÀ DI LUCINI È MERITO DI BRUNI L’attuale sindaco continua ad avere un buon gradimento da parte dei cittadini. Forse, uno dei motivi, è il paragone con il passato

Il dubbio: è vera gloria? L’amministrazione comunale di Como, sindaco Mario Lucini in testa, continua a ricevere consensi. Lo hanno segnalato le elezioni di febbraio che, in un quadro regionale non certo roseo per il centrosinistra, hanno premiato il Pd in città e non certo per l’ectoplasmatica presenza del partito. Il risultato si deve a Lucini e alla sua amministrazione. Secondo il sondaggio dell’agenzia Datamonitor, il primo cittadino di Como è addirittura il secondo più amato d’Italia dietro a quello di Lecce e davanti a Vincenzo De Luca, strapopolare sindaco di Salerno. Va detto però che la rilevazione risale agli ultimi sei mesi dello scorso anno, a ridosso perciò della schiacciante vittoria di Lucini alle elezioni amministrative del maggio 2002. Il passaggio successivo è: cos’ha fatto il sindaco di Como per meritarsi questi consensi? In apparenza poco. O almeno poche cose di quelle veramente tangibili che lasciano i cittadini a bocca aperta per la meraviglia. Qualcosa per intenderci e finire sempre lì, come la riapertura della passeggiata al lago. Visto che il lungolago è sempre lo stesso, ancora con i grotteschi pannelli appesi alle palizzate del cantiere delle paratie che indicano ai cittadini come sarebbe dovuto diventare e in che tempi (ormai del tutto superati), allora bisogna scavare altrove per portare alla luce le ragioni della popolarità di Lucini. Una di queste, peraltro, è solare: il carattere del sindaco con la sua propensione al dialogo e all’ascolto. Cose che contano per i cittadini. Più in ombra si fa largo un dubbio. Non è che l’attuale sindaco è così amato grazie a chi l’ha preceduto? Cioè, i comaschi non hanno ancora scordato il disastroso secondo quinquennio dell’amministrazione Bruni, la responsabilità del disastroso cantiere delle paratie, le continue polemiche all’interno della giunta e della maggioranza che paralizzavano l’attività di palazzo Cernezzi. E poi, i dirigenti comunali artefici del muro premiati, il compenso stratosferico dell’ex segretario comunale “d’oro” di palazzo Cernezzi. Forse più di tutto, è difficile scacciare dalla mente l’assessore Fulvio Caradonna che, di fronte ai cittadini imbufaliti per i disservizi seguiti a una nevicata, oppone un “Vaffa” la cui eco di ode ancora. Sarà forse anche per il confronto che Lucini continua a piacere. Però anche l’attuale inquilino di palazzo Cernezzi deve fare attenzione. Perché la memoria non è infinita e prima poi i comaschi focalizzeranno le cose fatte o non fatte dall’attuale amministrazione di palazzo Cernezzi.

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130 mag




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