Mag 58 Marzo 2014

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N. 58 MARZO 2014

M AGA Z I N E

D E

Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,30 + Mag € 0,20)

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Il patrimonio immobiliare a Como

IL VUOTO IN UNA STANZA di Gisella Roncoroni

L’intervista / Antonio Spallino

LA MIA CITTÀ E L’ALTRA POLITICA di Francesco Angelini







di Diego Minonzio

COMO, PARADOSSI E DECLINI Tu i cercano una casa. Nessuno la trova. Le case vuote in ci à sono centinaia. Provate a leggere bene queste tre frase e: vi siete mai imba uti in un sillogismo così sgangherato? Bene, il paradosso immobiliare è uno dei segni più eclatanti e più demenziali della follia in cui si diba e la società senza senso degli anni Duemila. È evidente che c’è qualcosa che non funziona e che la bolla dell’edilizia, scoppiata in modo così rovinoso negli ultimi tempi, ha costruito un labirinto di sprechi e di insensatezze dal quale sarà ben difficile riuscire ad evadere. Per cercare di capirci qualcosa di più e per conoscere i numeri, i dati e le cifre di questo fenomeno nella nostra ci à, ecco l’inchiesta di apertura del numero di marzo del Mag, un’a enta analisi del patrimonio immobiliare a Como firmata dalla nostra Gisella Roncoroni. Il risultato, come si poteva prevedere, è deprimente: millecinquecento appartamenti vuoti, qua romila vani abbandonati a se stessi mentre nello stesso istante il fabbisogno di appartamenti di edilizia sociale o convenzionata arriva a cinquemila unità. Una situazione che non ha senso. E alla quale bisogna trovare una soluzione al più presto, considerando la fame di abitazioni e il grado di stress sociale che si sta accumulando so o i colpi della crisi. Ora, una delle rice e per cambiare passo la fornisce l’assessore comunale all’Urbanistica Lorenzo Spallino, che vede nell’housing sociale la filosofia più ada a a gestire questa emergenza come naturale evoluzione delle politiche per la casa del do-

poguerra. Senza dimenticare che Expo 2015 può rivelarsi una risorsa strategica anche da questo punto di vista: nulla ci vieta, infa i, di ipotizzare delle ospitalità temporanee negli edifici liberi oggi sul mercato. Anche questo, secondo l’assessore, è un modo per cavalcare al meglio per il bene della ci à un evento magnifico e irripetibile. Da uno Spallino a un altro. Da un pignolo e competente assessore comunale a uno dei più grandi e amati sindaci della ci à. Intervistato da Francesco Angelini, Antonio Spallino, per ben quindici anni consecutivi - dal 1970 al 1985 - primo ci adino di Como, confida ai le ori del Mag una serie di riflessioni sulla sua esperienza amministrativa e di idee sui temi portanti della ci à del futuro. Da una parte, una grande lucidità nel selezionare le priorità da affrontare - la condivisione del proge o delle paratie, i giusti motivi per l’acquisto della Ticosa, la necessità di una ci à murata finalmente libera dalle auto - dall’altra una nostalgia inconsolabile per quella politica vera e basata su principi inscalfibili che lui ha potuto praticare e, quindi, una grande sofferenza nel vederla rido a oggi in questo stato. Ai suoi tempi c’erano i corsi di formazione politica e Dosse i e Ardigò come maestri, oggi invece si passa da una pagliacciata a un’altra in televisione. Certo, c’è anche un po’ di retorica dei bei tempi andati. Ma pensateci un a imo, pensate bene alla Como di quegli anni d’oro e osservate la Como di questi ultimi anni di melma. Chi è che ha sbagliato, secondo voi?

Editoriale| Mag Marzo 2014 | 7



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N. 58 MARZO 2014

M AGA Z I N E

MAG MARZO

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Supplemento al numero odierno de La Provincia - Non acquistabile separatamente - € 1,50 (La Provincia € 1,30 + Mag € 0,20)

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2014

Il patrimonio immobiliare a Como

IL VUOTO IN UNA STANZA di Gisella Roncoroni

Copertina: Foto Andrea Bu i / Pozzoni

L’intervista / Antonio Spallino

LA MIA CITTÀ E L’ALTRA POLITICA di Francesco Angelini

7 L’EDITORIALE di Diego Minonzio 13 DIECI BELLE NOTIZIE di Maria Castelli LE OPINIONI 19 «Pubbliche virtù» di Angelo Monti

34 QUANTO È VERDE LA MIA AZIENDA Eccellenza ambientale Tre storie comasche di Simone Casiraghi 42 CENT’ANNI DI RISCATTO La storia e i successi del Gruppo Gandini di Amalia Di Bortolo

20 «Occhi sul mondo» di Umberto Montin

48 LA MIA CITTÀ, L’ALTRA POLITICA di Francesco Angelini

22 «La borsa & la vita» di Stefano Fage i 23 «Donna di picche» di Eleonora Gilardoni

56 LA NOTTE DEGLI INVISIBILI A cena con i disperati della mensa dei poveri di Arianna Augustoni

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24 IL VUOTO IN UNA STANZA di Gisella Roncoroni

Inchiesta sulla crisi immobiliare. A Como ci sono 1500 appartamenti vuoti, oltre 4.000 vani ma nello stesso tempo servirebbero circa 5.000 appartamenti di edilizia convenzionata o sociale. In provincia situazione analoga con un fabbisogno di edilizia libera stimato praticamente zero. Spallino: «Sarebbe facile sostenere che l’a uale offerta di edilizia privata può essere convertita in housing sociale consentendo, ad esempio, ospitalità temporanee all’interno degli edifici liberi oggi sul mercato». Titolo articolo | Mag Marzo 2014 | 9



62 VEDIAMO L’IMPOSSIBILE La sfida sugli sci dei non vedenti di Elisabe a Broli 68 ECCO LA MIA SECONDA VITA La giovane archite o con la telecamera di Bernardino Marinoni 74 LA VOGLIA D’ARTE CAMBIA LA VITA La strana scelta di Mr. Savethewall di Sara Della Torre 89 LA MUSICA CHE GUARISCE Esperienza e benefici della musicoterapia di Alberto Cima 96 UNA VITA DA COPILOTA La carriera e i successi di Max Chiapponi di Ricky Monti

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DIRETTORE RESPONSABILE

Diego Minonzio

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g.guin@laprovincia.it redmag@laprovincia.it

OPINIONI Eleonora Gilardoni, Umberto Montin, Angelo Monti, Stefano Fagetti

74 SERVIZI Gisella Roncoroni, Simone Casiraghi Amalia Di Bortolo, Sara Della Torre, Arianna Augustoni, Elisabetta Broli Stefania Briccola, Ricky Monti, RUBRICHE

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I consigli dello chef

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Il bello della Salute

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di Eugenio Gandolfi di Franco Brenna di Tiziano Testori di Pietro Cantone

di Serena Brivio 114

Navigazioni Lariane di Luca Meneghel 115

Scaffale di Carla Colmegna 116

Grande schermo di Bernardino Marinoni 117

Animali di Marinella Meroni 10 | Mag Marzo 2014 | Sommario

Maria Castelli,Carla Colmegna, Marinella Meroni, Eugenio Gandolfi, Emilio Magni, Bernardino Marinoni. Franco Brenna, Pietro Cantone Francesco Angelini, Tiziano Testori, Luca Meneghel, Alessandra Uboldi Federico Roncoroni

di Inarca

Eventi Idee (S)fashion

Giuseppe Guin tel. 031.582342 - 335.7550315 fax 031.582421

Le parole che non tornano di Emilio Magni

RESPONSABILE di REDAZIONE

TENDENZE E MODA Serena Brivio FOTOSERVIZI Carlo Pozzoni, Andrea Butti, Ricky Monti REALIZZAZIONE GRAFICA

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L’Oroscopo di Alessandra Uboldi 129

L’aforisma del mese di Federico Roncoroni 130

Last minute di Francesco Angelini

DIREZIONE CREATIVA Monica Seminati IMPAGINAZIONE Barbara Grena PUBBLICITÀ Sesaab servizi - Divisione Spm Tel. 031.582211 STAMPA Litostampa - Bergamo Numero chiuso in tipografia il 3 marzo



di Maria Castelli

Belle notizie

I passanti che non passano oltre

Donne belle sempre

Un passante ha notato cinque ragazzi intenti ad imbrattare con uno spray nero le colonne del Broletto. Non ha indugiato un istante: ha telefonato al Comando della polizia locale, una pattuglia è sopraggiunta al volo ed ha colto gli imbrattatori pressoché sul fatto, li ha identificati e denunciati. E non è escluso che siano chiamati al risarcimento dei danni. L’intervento si innesta sull’indagine che gli agenti stanno conducendo contro la nuova offensiva dei writers in città, mentre l’associazione “Como pulita” si adopera con passione, costanza e fatica per cancellare scritte e scarabocchi dai manufatti pubblici e privati. Se il passante fosse passato oltre, nella “globalizzazione dell’indifferenza” anche sulle piccole cose, probabilmente sarebbe aumentato il numero degli sfrontati e degli impuniti.

Donne in cura oncologica, colpite dal male, ma bellissime. Sono “Donne allo specchio”: è il titolo dell’iniziativa che prevede sedute di trucco e di trattamenti di bellezza per la pelle, proposta da oncologi, radioterapisti, dermatologi, psicologi dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna in collaborazione con i volontari della Onlus “Tullio Cairoli” e di “Noisempredonne”. Partner, Avon Cosmetics, Biogena e La Roche Posay. La proposta si inserisce in una serie d’iniziative per incoraggiare le donne e i loro familiari in un momento di fragilità: volontari sempre presenti con discrezione, tengono per mano e tengono compagnia, ascoltano, si offrono per piccole incombenze all’interno dell’ospedale, organizzano progetti per far sentire meno solo chi soffre.

Bambole per bene «Ognuno di noi sa fare qualcosa. Se credi in quello che fai e lo fai bene, ci crederanno anche gli altri. Se ci metti l’anima, vengono anche i risultati»: è il pensiero, è lo stile di vita di Antonia Scalise che realizza bambole di pezza utilizzando gli scarti e le mette a disposizione per l’Unicef, a favore dei bambini poveri. Un gruppo di anziani del quartiere di Tavernola le dà una mano e le bambole sono sempre più apprezzate, pezzi unici e personalizzati, realizzati con creatività, professionalità e passione. Sono espressione della «voglia di far qualcosa per il prossimo», come dice Antonia Scalise che realizza bambole anche su ordinazione: una madre gliene ha chieste due che assomigliassero alla maestra del figlio; una nonna ha voluto un esemplare come regalo di nascita del nipotino e c’è chi ha ordinato una bambola ispirata a Del Piero. Dieci belle notizie | Mag Marzo 2014 | 13



Belle notizie

La terra è giovane

Una storia normale

Un giovane di età inferiore ai 35 anni è a capo del 12% delle aziende agricole della provincia di Como. La riscoperta della terra, dell’agricoltura, dell’allevamento, segna un primato per il territorio comasco che ha visto nascere in cinque anni 88 aziende agricole nell’ambito del piano di sviluppo rurale europeo gestito e finanziato dalla Regione. Tra i nuovi imprenditori agricoli, spicca Roberto Masperi, residente ad Albavilla: ragioniere e sulla soglia della laurea in economia, ha cambiato strada e si dedica a tutto quello che è montagna, bosco e natura, sintetizza. È consapevole delle difficoltà, ma rivela il segreto per vedere risultati: la pazienza e l’applicazione.

Non è consueto che un datore di lavoro scriva un articolo sul giornale in occasione della scomparsa di un proprio dipendente. Invece, l’imprenditore Moritz Mantero l’ha fatto su “La Provincia” in occasione della scomparsa di Felice Tettamanti, per 41 anni dipendente dell’azienda nata come Fabbrica Seterie Riccardo Mantero ed ha scritto di una vita normale. «La vita di Felice è stata impostata su valori di fedeltà alla famiglia e al lavoro, rappresentando, senza volerlo, un caso normale e allo stesso tempo anomalo», sono le parole di Moritz Mantero che rievoca episodi per tratteggiare la figura incancellabile di un uomo, un lavoratore, una persona tutta d’un pezzo. «Una storia normale - conclude Mantero - La società in cui viviamo ha bisogno di questo conforto, per sopportare le frequenti anomalie del mondo che ci circonda».

Il papà idraulico superstar La generosità e la sensibilità non escludono niente. La generosità, la sensibilità e il saper fare di Maurizio Iasiello, papà di un alunno dell’istituto primario Kolbe di Muggiò, sono state applicate ai sanitari dei bagni della scuola. Imprenditore termoidraulico, Iasiello s’é reso conto che erano troppo piccoli e scomodi per gli scolari i water risalenti ai tempi in cui lo stabile era adibito ad asilo: ne ha cambiati sette, gratuitamente. Da tempo, la scuola chiedeva di sostituirli, ma inutilmente. Ci ha pensato il papà, che ha rifiutato il compenso offerto dal preside e ha fatto risparmiare 1.700 euro al Comune, cioè alla collettività.

Piccolo costo, grande servizio Ripetizioni agli studenti delle scuole medie: le propongono i Comuni di Solbiate e di Binago, per aiutare i ragazzi in difficoltà con le materie più importanti a mettersi alla pari, senza troppi sacrifici per le famiglie. Un’ora di lezione costa tre euro ai residenti e quattro euro a chi proviene da fuori paese; il pacchetto minimo è di dieci lezioni, impartite da studenti universitari che mettono a disposizione il proprio sapere per i fratelli minori. Saranno ricompensati dai Comuni e gratificati dai progressi degli alunni.

Dieci belle notizie | Mag Marzo 2014 | 15



Belle notizie

Sogna con i piedi per terra

La barista e l’angelo

Simone Nespoli, 19 anni, residente ad Arosio, ciclista appena passato al mondo dei professionisti, ha rinunciato alla settimana di preparazione a Portopalo di Capo Passero con la sua squadra, Team Idea. «Non volevo perdere la scuola - ha detto - La bicicletta è la mia grande passione, ma voglio diplomarmi. Così ho preferito restare a casa». Segue il quarto anno del corso per elettricisti all’Enfapi di Erba e, d’accordo con i dirigenti, rispetta «con costanza ed intensità», una tabella di lavoro creata su misura per lui, compatibile con gli studi. «Per questo, devo ringraziare il Team Idea, perché mi sta dando la possibilità di continuare a studiare e di portare a termine il mio impegno scolastico»: sono le esemplari parole della giovane promessa delle Due ruote.

Davanti alla vetrina del proprio bar di Cantù, Katia Cimetti ha esposto un angelo di ferro battuto, alto tre metri e pesante più di due quintali e mezzo. «Non si buttano gli angeli nella spazzatura - ha detto - L’ho recuperato e me lo sono preso in carico». Un amico rottamatore l’aveva chiamata per mostrarle l’opera finita tra gli scarti. «Sono andata a vedere l’angelo - racconta - era in pessime condizioni, le ali tagliate perché non entrava nel cassone: ci sono rimasta male, più per il gesto che per il valore del monumento ed ho sentito montarmi dentro una grande rabbia». La barista ha provveduto al restauro e ha deciso di mostrare a tutti l’angelo salvato. Riscuote grandi apprezzamenti per la “cosa bella e significativa”. Anzi due, l’oggetto e il gesto.

L’esempio del sindaco Beccato da un autovelox, il sindaco di Limido Comasco, Luigi Saibene, ha preso una multa in Spagna per eccesso di velocità e l’ha pagata. Non ha recriminato, non ha polemizzato, non ha scaricato responsabilità, ma ha dato una lezione di vita: «Non c’è molto da aggiungere - ha detto - Quando si infrange un limite di velocità, è giusto essere sanzionati». È contrario agli autovelox «quando servono a far cassa. Ma credo nel loro carattere educativo», ha aggiunto, introducendo elementi di riflessione sul rispetto delle buone regole.

Dieci belle notizie | Mag Marzo 2014 | 17



di Angelo Monti

Presidente della Consulta lombarda degli Architetti PPC

RIGENERARE LA CITTÀ NON È UNO SLOGAN All’inizio del ‘900 solo il 10% della popolazione del mondo viveva in agglomerati urbani. Oggi questo valore ha superato il 50% . Nel 1950 le metropoli con più di 10 milioni di abitanti erano due, oggi sono più di 25 e sono destinate a crescere esponenzialmente. Non possiamo non chiederci se queste “galassie” di urbanizzazioni siano ancora ci à o altro. Le nostre medie e piccole realtà ne sono parte, coinvolte anch’esse in questa mutazione della ci à contemporanea che ha capovolto lo storico rapporto ci à-natura, travolgendo lo spazio naturale, diventato, per molti territori come il nostro, uno spazio recintato nel mondo costruito.Oggi, tu i affermano l’urgenza di porre un freno a questa dispersione, regimentando un uso razionale del suolo, il cui consumo, dagli anni Novanta ad oggi, ha so ra o al territorio agricolo italiano qualcosa come la superficie di una Lombardia e mezza. Forse, però, dovremmo cercare di me ere a punto, al di là degli slogans, vere strategie di sostenibilità. La rigenerazione sostenibile della ci à significa proprio questo: rioccupazione degli spazi abbandonati, ma anche ristru urazione o sostituzione progressiva dello stock immobiliare compromesso negli standards qualitativi e nei consumi energetici. Significa un impegno culturale colle ivo a ridurre gli sprechi, non solo di materiali, ma di paesaggi e luoghi. Presuppone la volontà di riaffermare - nei proge i e di rispe are - nell’uso - il valore della dimensione pubblica della ci à che è di tu i, perché mescolanza di funzioni, ma anche di identità e di memorie e che ci fa “stare bene” nei luoghi della nostra quotidianità. Su questi temi, Como, al pari di quanto avvenne negli anni Se anta per la questione dei centri storici, potrebbe riprendersi il ruolo di laboratorio sperimentale di un modello innovativo nel proge o e nel disegno delle sue trasformazioni urbane. Sono tanti i possibili programmi. Ne accenno due. Il primo è un proge o già scri o.

Quella rete di luoghi della cultura, del paesaggio, del loisir che idealmente collega la ci à storica a Villa Olmo e ai parchi del Chilometro della Conoscenza. È un sistema di connessione in grado di dare risposte concrete a quell’apparato museale, ricreativo, conoscitivo indispensabile per una ci à che cerchi un ruolo nella competizione globale. La seconda proposta è quella di saper individuare luoghi destinati alla promozione e alla incentivazione del lavoro, della professionalità e dell’abitare per le giovani generazioni, messi in sinergia con la realizzazione - vogliamo ancora crederci - di quella ci à della formazione incentrata sul campus. Luoghi di lavoro che potrebbero condividere servizi colle ivi, spazi per laboratori e per la ricerca, housing economicamente accessibile, finalizzati all’inserimento e alla promozione dei giovani lavoratori e professionisti. Per queste destinazioni mi piace pensare al grande contenitore della Caserma che, prima o poi, saremo chiamati a riconsiderare. Un grande spazio di mixitè di persone e funzioni. Sono tante le aree di riqualificazione (Ticosa, Sant’Anna, S. Martino ecc.). Non tu o si potrà fare subito. Anzi, magari dovremmo iniziare a concepire usi temporanei colle ivi di giardini, orti, spazi ricreativi come avviene in metropoli come New York. E le risorse? Il fatidico, angoscioso, realistico tema delle risorse? Siamo tu i consapevoli delle difficoltà. Ma non posso né acce o di pensare che questa ci à, che ha saputo costruire con determinazione la propria ricchezza non solo economica, non abbia energie per misurarsi ancora con l’ambizione delle idee e risca are un declino, sia pure privilegiato. Il presupposto è crederci e non solo individualmente, costruendo a orno a programmi ed economie, una “governance” condivisa e generosa delle forze culturali, amministrative ed economiche. È una condizione indispensabile che, però, temo non abbia più margini di a esa.

Pubbliche virtù | Mag Marzo 2014 | 19


di Umberto Montin

IL RICCO E I CANI Per Putin i Giochi sono stati il biglie o da visita della nuova Russia. Peccato che a rovinargli un po’ i piani e a deviare l’a enzione ci abbia pensato la crisi ucraina. In ogni caso le Olimpiadi della neve sono state un successo politico, i 1800 miliardi di rubli (circa 50 miliardi di dollari) spesi per gli impianti forse si riveleranno un o imo investimento e nulla - e sopra u o il terrorismo ceceno - è riuscito a turbare il clima delle competizioni. A Sochi, nei mesi e nelle se imane precedenti l’apertura dei Giochi, niente è stato trascurato per far sì che gli ospiti e l’immagine non fossero incrinati da qualsiasi problema. E fra questi, alla vigilia delle gare, ce n’era anche uno molto meno pericoloso dei ceceni, ma profondamente avvertito dalla popolazione: i cani randagi. Prima delle Olimpiadi erano migliaia le bestie abbandonate e spesso affamate che si aggiravano per la ci à. Sovente, radunate in branchi assalivano il ci adini. Per questo il Comune già negli ultimi mesi del 2013 aveva dato il via a una massiccia campagna di eliminazione dei cani: da o obre ne sono stati uccisi almeno 300 al mese e a poco sono servite le proteste degli ambientalisti locali e le pressioni di quelli occidentali. Finché sulla scena non ha fa o la sua comparsa Oleg Deripaska, uno dei 10 uomini più ricchi al mondo secondo la rivista Forbes. Di fronte all’azione della società privata incaricata dello sterminio e complice la mobilitazione mondiale a raverso i social network, il miliardario ha deciso di finanziare la costruzione di un canile sulle colline sopra Sochi. Solo 40 posti, ma Deripaska con l’aiuto di molti volontari è riuscito a strappare alla

20 | Mag Marzo 2014 | Occhi sul mondo

morte almeno 150 animali randagi, la maggioranza nella zona del villaggio olimpico: una parte è finita nel canile, gli altri dopo un adeguato addestramento sono stati reinseriti. “Il mio primo cane - ha raccontato il miliardario alla BBC per spiegare la sua decisione - l’ho trovato nella strada del mio piccolo paese di nascita. È stato un amico a me molto vicino per cinque anni”. Nonostante le sue disponibilità, l’azione di Deripaska è stata tu ’altro che semplice. E ad aggravare il tu o anche un incidente: un randagio è finito in mezzo alle prove generali dei Giochi. Tanto che il dire ore della società incaricata del recupero e dell’eliminazione dei cani, Alexei Sorokin, era arrivato a parlare del rischio di “una epidemia di rabbia” per aggiungere subito dopo: “Io sono per il diri o delle persone di camminare per le strade senza timore di essere a accate da branchi di cani”. Quello dei gruppi di cani abbandonati e affamati è un fenomeno abbastanza diffuso nelle ci à dell’ Est europeo. Nella sola ci à di Bucarest si è arrivati a calcolarne il numero in decine di migliaia, con quasi 10 mila persone assalite e azzannate dai branchi di bestie affamate e ormai dimentiche della convivenza con l’uomo. E anche lì si è giunti, dopo la morte di un bambino, al varo di una legge che consente l’eutanasia degli animali trovati per strada, legge poi confermata dalla corte costituzionale romena nonostante le proteste da mezzo mondo. A Sochi però si sono messi di mezzo Oleg Deripaska e i suoi soldi. E per una volta l’Occidente si è trovato ad applaudire uno straricco oligarca russo.



di Stefano Fagetti

Presidente Circolo culturale Einaudi

POLITICA ECONOMICA E IMPRESE La situazione di grave crisi economica che affligge il nostro Paese impone di svolgere delle brevi riflessioni su quale sia il contesto stru urale e di politica economica nell’ambito del quale le imprese del distre o si trovano oggi ad operare. In prima ba uta, vi è da chiedersi quale ruolo abbiano, o dovrebbero avere, le istituzioni locali. Sul fronte degli enti pubblici si deve purtroppo registrare una assenza e, quindi, un vuoto. Si potrebbe obie are che il Comune, la Provincia e la Regione hanno altro a cui pensare, essendo impegnati in una faticosa gestione della cosa pubblica e, quindi, per il soddisfacimento di un interesse generale che va oltre quello delle imprese. Non bisogna però tacere che questi enti, sopra u o la Regione, dispongono di risorse economiche che sono pubbliche e che dovrebbero essere impiegate anche per la politica economica. Basterebbe che gli enti pubblici pagassero i crediti delle imprese secondo tempi aderenti alla media europea. Basterebbe che investissero più risorse nelle infrastru ure e razionalizzassero il sistema degli appalti. Non tanto, solo questo. In questa realtà, nota positiva è la Camera di Commercio di Como che offre servizi prevalentemente amministrativi di sicura utilità per le imprese, ma che all’insaputa dei tanti lavora anche per il territorio, supplendo, per quanto possibile, alle inerzie della politica. Sul fronte degli enti privati, l’analisi è meno impietosa salve alcune criticità anche qui presenti. Il pensiero va subito ad Unindustria Como, nata dalla recente fusione tra Confindustria Como e Api, che è il punto di riferimento principale per le imprese locali, le quali confidano di ricevere un servizio di consulenza ed assistenza di altissima qualità. È all’altezza? La risposta è affermativa ma con una nota di monito. Tale ente è cresciuto molto ed è quindi sogge o al rischio di vedere le finalità istituzionali solo in parte perseguite. Spe a alle imprese associate vigilare

22 | Mag Marzo 2014 | La borsa o la vita

ed evitare che tale rischio si concretizzi. In disparte queste realtà, importantissime, a Como c’è anche chi ha saputo guardare al futuro con coraggio e determinazione, superando gli ostacoli burocratici e creando entità virtuose. Tra queste spicca Como Next che gestisce il polo tecnologico comasco di Lomazzo, il quale fornisce un servizio logistico alle imprese emergenti di una straordinaria efficienza che dà supporto alle a ività innovative (startup) e costituisce un incubatore di impresa come pochi altri ve ne sono in Italia. Speculari a queste realtà, anche nel distre o comasco vi sono i soliti noti problemi che si incontrano nel fare impresa in Italia. La burocrazia che asfissia; i rapporti coi sindacati talvolta altalenanti; la forte pressione fiscale appesantita spesso da vere e proprie aggressioni alle imprese più solide facendo leva su nebulosi - solo in Italia! - principi giuridici come quello dell’abuso del diri o; la crisi del credito bancario (che deriva in gran parte dalla crisi del debito sovrano degli anni scorsi: e ben venga l’Unione Bancaria Europea!); i problemi logistici (che fine ha fa o il proge o del polo di interscambio con la Svizzera?). Tu e criticità che hanno determinato in passato una certa fuga di imprese verso il territorio elvetico, ma che rischiamo di trovare solo accentuate una volta venuta meno (da qui a tre anni) la valvola di sfogo del frontalierato di massa. In questo contesto, il grande merito va a mio avviso agli imprenditori del distre o comasco che continuano, malgrado tu o, a fare impresa senza sedersi sugli allori di un passato glorioso, continuando ad investire contro tu o e tu i. Perché oggi gli esempi positivi da proporre sono loro e i loro dipendenti. E sarebbe bene che ciò venisse percepito come un invito a quell’o imismo, di cui c’è tanto bisogno, che sarebbe ancor più forte se il Governo, qualunque esso sarà, si decidesse finalmente ad intraprendere una riforma economica profonda nel più breve tempo possibile.


di Eleonora Gilardoni

LA CINA CHE MI HA CAMBIATA Non saprei come esprimere a parole il cambiamento che è avvenuto dentro di me, semplicemente mi sento mille volte più ricca, più grande, più sicura. Sono tornata dalla Cina con il cuore pieno e una mente nuova. In questo anno vissuto in Cina ho imparato che la vita, a volte, può rivelarsi davvero imprevedibile. Ho passato mesi, anni, a pianificare il mio futuro e fissare dei punti che ero convinta sarebbero rimasti fermi; poi, un qualsiasi giorno d’autunno, mi sono svegliata e ho realizzato che forse quello che avevo non mi bastava e che a ventiqua ro anni magari valeva ancora la pena di provare a realizzare almeno uno, uno dei miei sogni. Lasciare una vita tranquilla e sicura per iniziare una nuova parentesi che di tranquillo e sicuro non aveva nulla. Questa esperienza in Cina mi ha insegnato che se si vuole qualcosa bisogna darsi una scrollata e andarla a prendere, che bisogna provarci, rischiare. Vivendo la realtà di un campus universitario internazionale in una vibrante metropoli cinese, Hangzhou, ho conosciuto decine di persone provenienti da ogni parte del mondo. Non c’è niente di più gratificante dell’entrare in conta o con mentalità e culture diverse, confrontarsi e a volte anche scontrarsi. Mi accorgo di quante cose non sapevo e non avrei mai saputo se non avessi avuto il coraggio di andare controcorrente, quell’autunno di un anno fa. Ho imparato che lontano da casa non ci sono mamma e papà, o perlomeno non ci sono nell’immediato istante in cui avresti bisogno che ci fossero.Ho imparato che i problemi quotidiani vanno irrimediabilmente gestiti e risolti da sè. Essenzialmente si è soli. Bisogna diventare adulti, a ivarsi. A ivarsi non solo quando si incontrano difficoltà, ma quotidianamente. In una ci à con 6 milioni di abitanti, dove i ritmi sono frenetici e la vita scorre veloce come un film d’azione, non c’è nessuno che ti aspe a. Ti devi svegliare, farlo in fre a.

Devi essere pronta a masticare più lingue in base alle persone con cui entri in conta o, devi ada arti alle situazioni in cui ti trovi, al contesto. Devi avere pazienza, costanza, è bello lasciare andare le emozioni ma è necessario anche saperle controllare, specialmente quelle negative. Non puoi perme ere loro di prendere il sopravvento. Devi essere forte in ogni malede o momento. E puoi farlo solo tu. Arrivai in Cina il 23 febbraio 2013 e fu dapprima sconvolgente, una sorta di shock culturale. Tu i mi guardavano come fossi un’aliena. Arrivai al campus universitario e il personale mi accolse con una raffica meccanica di istruzioni, regole e moduli in cinese, di cui capii il 10% a dir tanto. La prima no e, in quella stanze a fredda che poi avrei imparato a sentire mia, mi sembrò di essere la protagonista di un bru o sogno. Pensavo di essermi calata in qualcosa più grande di me e mi sentivo come una bimba che ha paura del buio. Davvero mi chiedevo chi me l’avesse fa o fare di scegliere la strada più difficile, sopra u o per lo scoglio linguistico che in quel momento mi sembrava qualcosa di insormontabile. In particolare avevo pensato che in Italia, per quante situazioni difficili avrei potuto affrontare, almeno la gente parlava la mia lingua. La verità è che fu un momento transitorio di profondo sconforto, causato da troppi cambiamenti avvenuti tu i insieme e tu i troppo velocemente. Inutile dire che i giorni seguenti iniziai a uscire, prendere confidenza con la lingua, conoscere gente e familiarizzare ulteriormente con la ci à. Il resto venne da sé, in maniera naturalmente e piacevolmente graduale. Il viaggio perfe o non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. La persona che io ho riportato a casa ha un paio di occhi che ora sono in grado di vedere molto, molto di più. L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L’importante è quello che provi mentre corri.

Donna di Picche | Mag Marzo 2014 | 23


24 | Mag Marzo 2014 | Il vuoto in una stanza


L’inchiesta

Il patrimonio immobiliare a Como

IL VUOTO IN UNA STANZA di Gisella Roncoroni foto Andrea Bu i - Pozzoni

A Como ci sono 1500 appartamenti vuoti, oltre 4.000 vani ma nello stesso tempo servirebbero circa 5.000 appartamenti di edilizia convenzionata o sociale. In provincia situazione analoga con un fabbisogno di edilizia libera stimato praticamente zero. Spallino: «Sarebbe facile sostenere che l’attuale offerta di edilizia privata possa essere convertita in housing sociale consentendo, ad esempio, ospitalità temporanee all’interno degli edifici liberi oggi sul mercato»

Titolo articolo | Mag Marzo 2014 | 25


Q

uasi 1500 appartamenti vuoti (4.394 vani) fino al 2018. Il quadruplo dei dati per il periodo compreso tra il 2002 e il 2008. E, al contrario, un fabbisogno di circa 5.000 appartamenti per la cosidde a edilizia convenzionata o sociale. Quella a prezzi calmierati. La fotografi a uffi ciale è stata sca ata e pubblicata nella variante al piano di governo del territorio, da poco pubblicata dal Comune di Como. E anche a livello provinciale, secondo una ricerca del dipartimento di archite ura e pianificazione del professor Antonello Boa i per la Cisl Lombardia, le cose non vanno meglio. Nel 2018 come fabbisogno di edilizia libera è

26 | Mag Marzo 2014 | Il vuoto in una stanza

L’eccesso di offerta, che si traduce in appartamenti vuoti, è stimato fra 4 anni in oltre 66 mila vani, 22 mila appartamenti


E VA N N O A L L ’A S TA G L I I M M O B I L I N U O V I Daniela Corengia: «Gli effetti della crisi economica e dell’edilizia si vedono anche in tribunale, con la messa all’asta di immobili nuovi o di costruzioni molto recenti, poiché, nel frattempo, le aziende sono fallite». Gli effetti della crisi economica e dell’edilizia si vedono anche in tribunale. A dirlo è l’avvocato Daniela Corengia, presidente della Camera Civile. «La crisi economica - spiega - ha inciso in modo molto pesante sul settore delle vendite immobiliari, sull’edilizia, da anni bloccata anche per l’inaridirsi delle linee credito. Tante aziende hanno fatto ricorso a procedure di ristrutturazione del debito». E la conseguenza del fallimento delle imprese è «la messa all’asta di immobili nuovi o di costruzioni molto recenti. In alcuni casi vengono messi all’asta edifici ultimati, in altri cantieri ancora in corso e che le aziende non sono riuscite a terminare poiché, nel frattempo, sono fallite». Con la legge del 2005 chi ha stipulato il contratto preliminare d’acquisto e non è arrivato al rogito a causa del fallimento dell’impresa, non rischia più di perdere sia i soldi sia la casa. La normativa prevede infatti che l’azien-

da sia tenuta a rilasciare una fidjussione a garanzia proprio degli acquirenti che, pur insinuandosi nel fallimento, senza quel documento avrebbero avuto possibilità praticamente nulla di ottenere un risarcimento. «Grazie alla legge del 2005 - precisa l’avvocato - il promissario acquirente può escutere la fidejussione e recuperare gli acconti versati». Per chi ha intenzione di acquistare un immobile in costruzione, il consiglio dell’esperto è uno soltanto: «Accertarsi

stimato zero, visto che l’offerta continuerà a superare le domande, mentre il fabbisogno di edilizia sociale sarà di 45mila vani (quasi 10mila solo nel capoluogo) e quello di edilizia sociale di 27mila vani (5mila in ci à). Il cosidde o eccesso di offerta, che si traduce in appartamenti vuoti, è stimato, tra qua ro anni, in 66.240 vani. In pratica qualcosa come 22mila appartamenti. In alcune zone del capoluogo è chiarissimo lo stacco tra il cosidde o “periodo d’oro” dell’edilizia, con cantieri che sorgevano ovunque e, nel caso di via Pasquale Paoli, a poche decine di metri uno dall’altro, e la crisi che ha portato ad avere costruzioni fantasma. In altri casi, quelli con

che venga rispettato l’obbligo di legge e avendo una fidejussione da un primario istituto bancario o assicurazione, si può essere certi di avere una buona garanzia. Un’ulteriore tutela è quella di trascrivere il contratto preliminare, che consente l’iscrizione in posizione privilegiata nel fallimento». All’asta, come ammette l’avvocato Corengia, «acquistano sia immobiliari, sia privati, ma è evidente che le agenzie immobiliari sono le più presenti».

previsioni di cantiere post 2008-2009, i lavori non sono neanche partiti benché i costru ori e i proprietari abbiano tu e le autorizzazioni. Hanno lasciato scadere i permessi di costruire. Il motivo? Carenza di capitali iniziali da investire, ma, sopra u o il rischio di ritrovarsi poi con tassi elevati di invenduto. Chi può cerca di modificare i proge i, altri restano immobili. In a esa dei segnali dal mercato. Il capitolo Ticosa, al di là del groviglio di guai provocato dall’amianto dimenticato prima e da una bonifica del so osuolo che si sta rivelando disastrosa, dimostra chiaramente gli effe i della crisi, addiri ura di quella

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UNA CRISI SENZA PRECEDENTI Luca Guffanti: «I cantieri invenduti ci sono e sono parecchi: o è fallita la società immobiliare o si trovano in zone con offerta in eccesso. In quelle zone è un bene che i cantieri siano fermi per evitare altre costruzioni vuote. Il nostro settore, è inutile dirlo, si è fortemente ridimensionato» «Chi è sopravvissuto fino ad oggi ha sviluppato adeguati anticorpi». A dirlo è Luca Guffanti, presidente dei costruttori di Ance Como. L’edilizia ha vissuto e sta vivendo a partire dal 2008 una crisi senza precedenti con chiusure, fallimenti, cantieri fermi e molti mai partiti per evitare di ritrovarsi (già con pochi capitali iniziali) ad investire su palazzoni vuoti o in zone dove l’offerta è già satura. È evidente poi che la situazione non è identica sull’intera provincia. Accanto ad aree in fortissima crisi, ci sono zone (tra cui il Marianese e l’Olgiatese) in espansione e che danno, quindi, prospettive agli imprenditori edili. «Sull’invenduto - dice Guffanti - l’eccesso di offerta non è così ampio come si possa pensare perché la nostra provincia

è interessata da una continua crescita demografica, sia da parte di extracomunitari sia di persone di altre regioni italiane. Diversi fattori portano a questo: siamo a nord di Milano, grande polo attrattore, e a sud della Svizzera. Le previsioni parlano di un aumento del 10%». Non in modo uniforme, però. Lo stesso Guffanti chiarisce che «la zona del lago si sta spopolando, la città è stazionaria, mentre zone come Olgiatese, Uggiatese e Mariano sono ancora in crescita». Gli effetti della crisi sono innegabili e, per alcuni, sono drammatici. «Il numero di abitazioni compravendute - aggiunge - è calato e, per chi non ha capacità di acquisto, una parte degli invenduti viene assorbita con la locazione». Ammette che «i cantieri invenduti ci sono e

sono parecchi: o è fallita la società immobiliare o si trovano in zone con offerta in eccesso (ad esempio la via Paoli a Como, con centinaia di appartamenti realizzati negli anni del boom e ora vuoti, ndr) oppure in zone dove il costruttore e l’immobiliarista non sono in grado di procedere con i lavori. Dal 2008 si è iniziata a dimensionare l’offerta rispetto agli anni d’oro e, per questo, oggi non c’è tutto questo iperinvenduto». Anche nel capoluogo ci sono molti cantieri neanche partiti (dall’albergo all’ex Danzas ai condomini di via Cumano e persino la Ticosa è ferma proprio dopo il flop del residenziale). «Oggi - spiega ancora Guffanti - un operatore immobiliare sta molto attento ed inizia solo dove il mercato è in grado di recepire e, nelle zone dove c’è of-

Ci sono aree in forte crisi ma ci sono zone in espansione, ad esempio il marianese e l’olgiatese, che danno prospettive alle imprese 28 | Mag Marzo 2014 | Il vuoto in una stanza


ferta in eccesso, è un bene che i cantieri siano fermi per evitare altre costruzioni vuote. Il nostro settore, è inutile dirlo, si è fortemente ridimensionato. I prezzi, però, che oggi sono al minimo, non possono scendere oltre e non scenderanno. Il motivo? Dal 2008 la nuova normativa energetica prevede continui incrementi di prestazioni e questo genera altrettanti costi di adeguamento». I problemi stanno anche tra i clienti: licenziamenti, perdita di lavoro, banche che chiedono sempre più garanzie per concedere un mutuo, portano a una sempre maggior richiesta di abitazioni in housing sociale e minore in regime di edilizia libera. «Housing sociale - dice Guffanti - è un termine vago, dove si può mettere tutto. Si tratta, in sintesi, di edilizia a valori e prezzi calmierati e canoni di locazione bassi. In massima parte sono le amministrazioni comunali a mettere a disposizione aree per questo tipo di interventi a valore

simbolico: a Milano, ad esempio, è stato fatto con un euro al metro quadro. Nel nostro territorio non ci sono grandi aree e la locazione ha sopperito per le classi economicamente più deboli». Il futuro e la ripresa passano, secondo il numero uno dell’Ance, «da uno snellimento burocratico» e dai pgt «che devono mantenere gli ambiti di trasformazione fermi in attesa del mercato, mantenendo i diritti e non rendendo improvvisamente le aree inedificabili perché parliamo di danno ulteriore a un settore già in difficoltà». Per la città di Como è sul tavolo un’idea lanciata dall’amministrazione di invogliare i privati che possiedono aree attualmente non a reddito o dove sono previsti interventi residenziali fermi, una riconversione ad uso pubblico, ad esempio creando parcheggi a raso o addirittura autosili. Le prime lettere destinate agli associati sono partite, ora bisognerà vedere la risposta.

dei fondi americani, che detenevano la maggioranza del capitale della società che si era aggiudicata la gara per l’acquisto dell’area, la Multi. Il proge o iniziale con torri destinate a residenze non interessa più nemmeno l’operatore, ben consapevole dell’eccesso di offerta già presente in ci à. E proprio da lì è sca ata la modifica al proge o, dagli esiti ancora incerti, che banalmente sostituisce alle case negozi. Resta il parcheggio e una parte è stata ripensata come housing sociale, a prezzi calmierati: tipologia per la quale, come de o, di richiesta ce n’è parecchia. «Che a Como ci sia un forte disallineamento tra offerta di edilizia libera e richiesta di edilizia a prezzi calmierati è un dato di fa o - commenta l’assessore all’Urbanistica del Comune di Como Lorenzo Spallino -. La domanda inevasa di housing sociale, espressione che ricomprende tu e le tipologie, è oggi stimata in progressione nei prossimi anni sino a circa 15mila vani, con una contestuale

offerta di edilizia libera di circa 4mila vani superiore alle richieste». «Preso atto che le forme di intervento pubblico degli anni sessanta non sono più percorribili per assenza di disponibilità fi nanziarie, - precisa - la variante al PGT che abbiamo avviato ha, tra gli obbie ivi, anche quello di effe uare una ricognizione puntuale della quantificazione e della localizzazione della domanda, per offrire corre ivi adeguati, sia a raverso diverse previsioni di insediamento sia a raverso una normativa più flessibile e premiale verso queste forme di edilizia, stimolandole». Questo negli obie ivi dell’amministrazione, non vuol dire azzerare l’offerta libera o esentare l’housing sociale dai criteri previsti per la conservazione del suolo libero. «Sarebbe facile sostenere che l’a uale offerta di edilizia privata può essere convertita in housing sociale. Per ragioni legate alle forme di finanziamento e

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CRISI IMMOBILIARE. La città e la provincia disseminate di cartelli che propongono affitti e acquisti di appartamenti.

Lorenzo Spallino: «In vista di Expo 2015 possiamo ipotizzare ospitalità temporanee negli edifici liberi oggi sul mercato»

di garanzia delle operazioni immobiliari, questo non è possibile, a meno che operatori privati e istituti bancari non acce ino di realizzare somme inferiori a quelle immaginate. Se così fosse, noi siamo ovviamente a disposizione per facilitare queste operazioni». Ma si tra a, come amme e lo stesso responsabile dell’Urbanistica, di uno scenario molto difficile da realizzare. Spallino, però, lancia un’idea per utilizzare gli appartamenti liberi. In modo provvisorio, certo, ma in grado di garantire un utile a chi ha interi palazzi congelati da tempo. «Nel fra empo - dice - possiamo cercare di capire

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come consentire, ad esempio, ospitalità temporanee all’interno degli edifici liberi oggi sul mercato. Le o in vista di Expo, questo consentirebbe di incrementare la rice ività della ci à in modo dinamico e perme erebbe agli operatori di o enere un parziale ritorno economico. Su questo aspe o stiamo lavorando per inserire previsio-

ni dedicate nel Piano delle Regole rispe ose dell’impianto legislativo nazionale e regionale». Il tema verrà proposto anche ai costru ori per capire reazioni e interesse, così come Palazzo Cernezzi sta spingendo molto per chiedere ai privati che hanno aree non a reddito in zone centrali (proge i fermi o semplicemente

aree libere) di realizzare parcheggi a raso o autosili: in questo modo il privato si garantisce un utile non previsto o rientra dalle perdite del cantiere bloccato e il Comune potrà garantire un più alto numero di posti in convalle, vista la decisione - non senza polemiche - di estendere la zona a traffico limitato a piazza Roma e piazza Volta con i primi lavori di sistemazione delle piazze solo tra un anno. Spallino guarda avanti dicendo che proprio l’housing sociale sarà l’evoluzione dell’edilizia. «Oggi conclude - il tessuto sociale ha necessità di maggiore coesione, sotto molti punti di vista. Per questo, le azioni che stiamo immaginando puntano ad una diffusione e non ad una concentrazione delle forme di housing sociale. Come ogni comunità, anche Como vincerà la sfida con il proprio futuro solo se si aprirà all’esterno. L’housing sociale, naturale evoluzione delle politiche per la casa del dopoguerra, può essere una buona cartina di tornasole so o questo profilo».

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di Simone Casiraghi foto Carlo Pozzoni

Tre storie dell’eccellenza made in Como, indicate come modelli e driver della crescita nel terzo Rapporto Green Italy. Casi concreti, ma ancora isole in un distretto di 1.800 aziende tessili e oltre 20mila addetti

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uanto è verde la mia azienda. Quanto sono green la mia crava a, il mio foulard. E perfino la mia crema di bellezza. Tre imprese di fronte a una scommessa, l’ambiente, la sostenibilità, il segreto dell’eterna giovinezza come filo condu ore. Le redini stre e nelle mani delle terze generazioni. Casi concreti, ma ancora isole in un distre o di 1.800 aziende tessili e oltre 20mila adde i. Tre imprese che hanno raccolto la sfi da, hanno saputo trasformarla in un fa ore di competitività. Hanno avvolto l’ambiente con tessuti e seta. Alla fine hanno stabilito tre primati mondiali, nel mondo sempre più globale anche della green economy made in Como. Poi, il gran balzo a varcare una nuova frontiera: dalla moda e dal fashion fino al beauty, alla cosmesi, alla cura. Tre storie dell’eccellenza comasca, indicati come modelli e driver della crescita nel terzo Rapporto Green Italy. È così che non ha esitato, anche sull’onda della decisione della griffe Valentino, unica nel mondo della passerella a sme ere simbolicamente il suo eccellente rosso, per indossare un più ambientalista color verde, ad aderire alla

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QUANTO È VERDE LA MIA AZIENDA

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L’utilizzo di una sostanza biodegradabile ha permesso una riduzione del consumo d’acqua fino al 60% e un -90% di energia campagna Detox Commitment lanciata da Greenpeace. Il gruppo Canepa, guidata dalla titolare Elisabe a Canepa e assistita in questo proge o dai figli Carlo a e Alfonso Saibene - 100 milioni di fa urato, 800 dipendenti, il 25% tecnici creativi, una produzione annua di 5 milioni di metri lineari su 150 telai a ivi - è stata la prima tessitura al mondo a so oscrivere gli impegni verso regole per una moda e un lusso sostenibili, per avere capi prodo i nel rispe o dell’ambiente e dei diri i umani. Senza rinunciare al fashion. Il gruppo Canepa lo ha fa o, con questo suo primato: con tecnologie in grado di ridurre l’uso dell’acqua e delle sostanze chimiche nella nobilitazione del tessuto. Immediati i risultati del proge o “SavetheWater”: l’utilizzo di una sostanza atossica e biodegradabile, o enuta dalla chitina, ha consentito un taglio fino al 60% di acqua, dodici volte in meno rispe o alle vecchie produzioni. Ma soprattu o metodi di lavoro che garantiscono un risparmio del 90% di energia termica. Un’azienda pioniere, in un se ore che da 200 anni si alimenta di ingenti quantitativi d’acqua. Dalle porte della ci à al centro ci adino, quartier generale in via Clemente XIII. Nasce qui il secondo record made in Como e in doppia chiave green. L’ha segnato un’altra tintoria storica del distre o tessile comasco, la “Pecco e Malinverno”. Questa volta il primato dell’azienda di Como, la sola in tu o il distre o comasco e unica in tu a Italia, ad aver messo a punto tecnologia e disciplinare per il riciclo e il riutilizzo delle fibre tessili post produzione e post consumo. Alla guida le due sorelle Cristina e Giada Mieli, rappresentano la terza generazione di un’azienda fondata dal nonno Walter nel 1935. Ma il loro sguardo green è andato oltre, con la inedita sinergia con altre filiere di produzione. Prima in Italia anche in questo, la Pecco e Malinverno ha infa i introdo o una produzione altamente innovativa di lavorazione che prevede il recupero della sericina dal bagno di purga della seta. Ogni 10-12mila litri di questo bagno (l’acqua

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di scarto dopo il lavaggio della seta) - spiegano - dopo essere stata filtrato e liofilizzato, vengono recuperati 100 chili di sericina in polvere. Componente naturale della seta (insieme alla fibroina) e per la sua stru ura di proteina prote iva, la sericina contiene 22 aminoacidi e per questo ha importanti proprietà e funzioni idratanti e lubrificanti, decisamente preziose per il mondo della bellezza e della cura del corpo. La proteina è diventata così - quasi per caso, confessano oggi - pilastro portante di una nuova impresa, costola del gruppo di famiglia: il business finisce nelle mani della sorella Giada, che fonda la J.And.C. azienda di


cosmesi. La sericina liofilizzata è alla base della sua linea di dodici prodo i per viso, corpo e detergenti. Immediato il confronto di qualità con il mercato: contro un contenuto medio dello 0,05%, i prodo i della J.And.C arrivano al 3% di sericina contenuta. E a quel livello la molecola intera, de a anche “sericina M” dimostra proprietà curative: è in grado di ca urare le molecole d’acqua e di fissarle alla pelle idratandola in profondità riuscendo a ridurre le piccole rugosità cutanee, a migliorare i sintomi di irritazione cutanea, di eczemi, eritemi ed aumenta la ricrescita delle cellule epiteliali del 250% nell’arco di 72 ore. Viene così commercializzata dire amente. E funziona. Presto della qualità del prodo o si accorgono anche farmacie, che la vogliono sui loro scaffali come prodo o di qualità. E l’industria della cosmesi, che la compera dalle due sorelle come materia prima. La domanda cresce. «Il nostro claim però resta rigidissimo e sempre lo stesso: poco, ma di qualità. Dove il poco - spiega Giada - è riferito alla quantità prodo a che non vogliamo per forza aumentare rischiando di pregiudicare la qualità. Così come siamo fermissimi nel restare in Italia, a Como, con la nostra produzione». Un’esperienza fortemente innovativa, oltre che all’avanguardia. Dimostra come la propensione alla ricerca applicata consenta con molto realismo di individuare politiche concrete di sostenibilità. Senza sacrificare i risultati d’impresa, anzi creando un nuovo business. «Il nostro è un impianto che ha segnato una svolta,

PRODUZIONE. Immagini all’interno della tintoria serica Pecco & Malinverno. Nella pagina accanto: Carlotta e Alfonso Saibene, guidano insieme alla madre Elisabetta, il gruppo Canepa.

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IN AZIENDA. Giada e Cristina Mieli della Tintoria Pecco & Malinverno.

vuole essere un modello per un nuovo comportamento spiega Cristina Mieli -. Gran parte delle acque del processo di produzione tessile viene infa i destinata alle cisterne di questo impianto anziché essere smaltita, cioè bu ata via nel depuratore ci adino. È stato e continua ad essere un impianto pilota. Ancora unico per Como». Due esempi reali, insomma, di un modo nuovo di declinare l’impresa della moda. Testimonianze di un tessile che a

Gran parte delle acque del processo di lavorazione viene destinata alle cisterne dell’impianto dell’azienda, non buttata nel depuratore Como forse fa ancora fatica a spostarsi verso modelli di produzione efficienti sia sul fronte energetico sia per impa o ambientale. Ma è su queste linee che arrivano segnali di un secondo grande asse del tessile ecologico: l’innovazione di processo. Sensibilità ecologica dei clienti, da una parte. Ma l’esigenza di dare una stre a ai costi di produzione, dall’altra, cominciando dall’energia, la principale voce di costo industriale, ha dato una forte spinta a investimenti nell’energia alternativa, come impianti fotovoltaici. A Como spicca la Tessitura Taborelli che ha avviato una vera e propria reingegnerizzazione dei processi produttivi in una logica di risparmio energetico, di efficienza e sostenibilità delle proprie macchine. Strada seguita anche da Canepa con un investimento nell’energia solare per i propri stabilimenti e la creazione di un impianto

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LA BELLEZZA. Le sorelle Giada e Cristina Mieli con i prodotti green dedicati alla salute e derivati dalla seta.

fotovoltaico da 10mila metri quadrati. L’ottica per tutti è la stessa: risparmio e meno spreco energetico. Ma oggi è anche il mercato a chiedere prodo i che siano intrisi di verde: filati e tessuto second life, fibre uscite da filiere biologiche ed equosolidali. Il gruppo Canepa non se l’è fa o ripetere due volte. E oltre al proge o Efficienza energetica fissato in una vera carta dei valori, al centro l’uomo e l’ambiente, ha so oscri o volontariamente il documento Detox Solution Commit-

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ment. Non solo: da gennaio “Canepa” chiede ai propri fornitori di rivelare i quantitativi delle sostanza chimiche pericolose emesse. «Con orgoglio possiamo dire che con il nostro impegno stabiliamo un nuovo primato per l’industria made in Italy, siamo la prima impresa tessile al mondo a so oscrivere il Detox Commitment - afferma la presidente Elisabe a Canepa -. Per noi essere leader oggi significa aggiungere un elemento di qualità in più nei nostri tessuti, quello della sostenibilità». Canepa sta sviluppando anche un processo industriale per so oporre la seta a tra amenti ecologici riducendo alla fonte l’impiego di risorse. «Nel mondo - spiega Carlo a - va crescendo la consapevolezza che il benessere individuale è sempre più condizionato dalla qualità dell’ambiente in cui si vive e da quello che si indossa. Funzionalità e confort elevati diventano, così, anche il risultato di processi produ ivi e di prodo i innovativamente sostenibili. Tu i i nostri proge i sono coerenti per una moda sostenibile, per una supply chain della moda trasparente e libera da sostanze tossiche».

Oggi c’e la consapevolezza che il benessere individuale è sempre più condizionato dalla qualità dell’ambiente nel quale ci si trova a vivere



CENT’ANNI DI RISCATTO di Amalia Barbara Di Bartolo

Storia di un’azienda che ha segnato la vita di un territorio. «Le fonderie di Valbrona, offrendo possibilità di lavoro, assunsero anche un significato sociale e quel significato è continuato nel tempo. Nei nostri stabilimenti la storia parla di generazioni di operai che si sono succeduti di padre in figlio nelle fonderie e oggi tra i nostri 150 dipendenti abbiamo anche ingegneri, figli dei semplici operai di allora» 42 | Mag Marzo 2014 | Cent’anni di riscatto


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ento anni di storia, all’insegna dell’amore e del riconoscimento per la terra di Valbrona. È la storia del Gruppo Gandini, specializzato nella produzione di pistoni e distribuzione di minuteria metallica, oggi leader in Europa, che quest’anno festeggia il centenario dalla propria fondazione. Una storia che parte da lontano, a raversa non solo qua ro generazioni della famiglia Gandini alla guida dell’azienda, ma narra anche di generazioni di operai che si sono succeduti in fabbrica, di padre in figlio. «La storia della nostra azienda può essere riassunta in tre parole: nascita, crollo e ripartenza - spiega Piergianni Gandini, 68 anni, Amministratore delegato e nipote del fondatore - ma è anche la

storia del risca o di un territorio che io oggi definisco la parte migliore della Brianza. La popolazione del luogo ha avuto la grande capacità di trasformarsi da società agricola ad industriale, di adattarsi al mondo che cambiava». La ricorrenza è stata festeggiata con la pubblicazione «Gandini, un secolo di storia», fru o di un’accurata ricerca storica. Il gruppo - che oggi comprende Gandini Industria, Gandini Spa e Andit Automazione, dislocati nei tre stabilimenti di Canzo e nella sede di Sesto San Giovanni - affonda le proprie radici nel 1914, anno in cui Pietro Gandini, nonno di Piergianni, dà vita a Milano alla Fabbrica Nazionale Pistoni, inizialmente specializzata nella costruzione di pistoni e canne cilindro

in ghisa. Con l’arrivo della Prima Guerra Mondiale la Fabbrica diviene uno dei maggiori fornitori di ricambi destinati all’Esercito e alla Marina. Il fondatore, originario di Milano, amava però trascorrere le proprie vacanze a Valbrona, e proprio qui scelse i suoi primi operai, che tu i i giorni si recavano a Milano in bicicle a, impiegando più di due ore a tratta. «Operai che durante il secondo confli o mondiale dimostreranno grande dedizione e coraggio nel contribuire alla rinascita dell’azienda», sottolinea Piergianni Gandini. Nel 1945 lo stabilimento meneghino viene completamente distrutto ma Pietro Gandini non si rassegna e decide di ricostruire la sua azienda ripartendo proprio dagli operai di Valbrona,

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LE ORIGINI. Immagini tratte dagli album di famiglia della storica azienda fondata nel 1914 da Piero Gandini.

coadiuvato dal figlio Ernesto, pronto a prenderne le redini: «Si tentò di salvare il salvabile - spiega il nipote - gli operai trasportarono da Milano a Valbrona i macchinari recuperabili che furono posti all’interno delle stesse case degli operai. Così il lavoro ripartì grazie a loro, ai lavoratori venivano commissionati i singoli pezzi e contemporaneamente si ricostruì la sede di Milano, dove al tempo lavoravano un

centinaio di operai». Successivamente il figlio Ernesto decise di impiantare definitivamente a Valbrona l’azienda, dapprima allocando i macchinari in una fa oria del ‘900 e successivamente costruendo il primo capannone sopra questa stru ura. Fin dagli albori l’azienda annovera tra i propri clienti nomi come Alfa Romeo e Ferrari e in generale il mondo delle corse. Tappa fondamentale fu l’incontro con

Wili Seeger, con cui Pietro Gandini inventò nel 1947 quelli che oggi sono chiamati anelli di Seeger (tuttora commercializzati), la Gandini fu tra le prime ad ottenere la licenza per distribuirli in Italia e all’estero. Nel 1950, con la morte di Pietro, la guida passò definitivamente a Ernesto Ugo Gandini, sebbene la Seconda Guerra Mondiale avesse rido o notevolmente la produzione. Dagli anni ’50 in poi la

U NA STOR I A N E I N U M E R I Gruppo Gandini: Gandini Industria, Gandini Spa e Andit Automazione Fatturato 2013 Gruppo Gandini: 25 milioni di euro Fatturato 2013 Gandini Industria: 10 milioni di euro Stabilimenti Canzo: 3 per 100 lavoratori dipendenti Sede di Sesto San Giovanni: 50 dipendenti 1914: inizio attività a Milano in Via Pisacane 1945: l’attività si trasferisce a Valbrona con il nome di Fabbrica Nazionale Pistoni Gandini & Figlio. 1966: la sede commerciale di Milano si trasferisce in Via Borsieri 1979: la Gandini diventa Spa

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1987: Piergianni Gandini acquista il terreno di Canzo per il primo stabilimento, investendo oltre 3 milioni di euro 1993: acquisizione di Anderton Italia e Uba 1995: acquisto terreno per il secondo stabilimento a Canzo, 4 milioni investiti 1997: nasce Andit Automazione 2000: acquisto ex deposito Ikea a Sesto San Giovanni, dove si trasferiscono nel 2001 gli uffici commerciali- 4 milioni di euro il costo dell’operazione 2006: acquisto del terreno per il terzo stabilimento di Canzo, completato nel 2010 con la nuova fonderia.


Gandini conquistò e consolidò clienti d’eccezione: Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Fiat Tra ori, Fincantieri, Ferrari ampliando la propria gamma di prodo i e «cruciali furono i rapporti con la Germania». «Le fonderie di Valbrona, offrendo possibilità di lavoro, assunsero

anche un significato sociale - so olinea Gandini - e quel significato è continuato nel tempo. Nei nostri stabilimenti la storia parla di generazioni di operai, che si sono succeduti di padre in figlio nelle fonderie e oggi tra i nostri 150 dipendenti abbiamo anche ingegneri, figli dei semplici operai di allora». Negli anni ’60 l’azienda arrivò a produrre 100.00 pezzi l’anno. Nel mentre la sede commerciale di Milano fu trasferita in via Borsieri, continuando a mantenere il cuore della produzione a Valbrona. L’impresa partecipa alle principali fiere di settore nazionali e internazionali, incontrando anche esponenti politici di rilievo: «A quel tempo la politica era molto più vicina alle aziende - racconta Gandini -. Mio padre Ernesto Ugo e mia sorella Marida incontrarono nel 1968 il Ministro Valsecchi e successivamente alla fiera internazionale del motociclo l’allora

Ministro dei trasporti Martinelli. Le autorità politiche usavano incontrare gli imprenditori, visitare le fiere e conferire riconoscimenti. Ma erano tempi diversi da quelli odierni». Nel 1967 l’azienda è partecipe del successo del campione di motociclismo Rex Butcher, che sulla pista di Monza con la propria Dunstall in un solo giorno stabilisce tre record mondiali. Qua ro anni dopo i figli Piergianni e Marida fanno il loro ingresso nella gestione dell’impresa, che dopo pochi anni divenne una società per azioni (1979). Con l’arrivo degli anni ’80 la storia dell’impresa segna una nuova svolta. Nel 1986 muore Ernesto Ugo Gandini e il figlio Piergianni prende le redini dell’azienda, decidendo di spostare a Canzo lo stabilimento di Valbrona per poter ampliare la stru ura, che oggi copre 20 mila mq di superficie. «Il passaggio generazionale è stato

IL PRESENTE. L’interno attuale dell’azienda nella sede produttiva di Canzo che oggi copre 20 mila metri quadrati.

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molto difficile - racconta a cuore aperto l’imprenditore - sono stati anni duri a causa del mio desiderio di essere migliore di mio padre e credo onestamente di esserci riuscito». Prende il via uno sviluppo che porterà l’impresa nel 1993 ad acquisire l’azienda competitor Anderton Italia di Buccinasco e la Uba di Monza, azienda che darà il via al se ore delle lavorazioni meccaniche. Qua ro anni più tardi nasce a Buccinasco, l’Andit Automazione (ossitaglio, saldatura e robotica) e il 27 luglio dello stesso anno sorge il secondo stabilimento a Canzo. Con gli anni ’90 prende il via anche l’operazione di internazionalizzazione dei prodo i, conquistando nuovi mercati come Cina, India, Turchia, Brasile e America: «Fondamentali sono state le relazioni interpersonali, sia all’interno dell’impresa che fuori. Io ho apprezzato molto le conoscenze tramandate da mio padre. La parte più difficile è trovare le risorse umane adeguate. Se oggi l’azienda ha successo, se è un’eccellenza riconosciuta a livello europeo,

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è grazie alle cento persone che lavorano

ostaggio dei clienti: «Siamo ancora

a Canzo con costanza e passione». Di

vivi perché non abbiamo acconsentito

pari importanza sono stati i rapporti

a produrre per lo stesso cliente più del

stre i con le case automobilistiche ma

10% del fa urato».

anche la filosofia di Piergianni volta

Altro nodo cruciale è stata l’informa-

a impedire che l’azienda diventasse

tizzazione delle procedure di condivi-


L’azienda firma i tre record mondiali del campione di motociclismo Rex Butcher

sione e comunicazione, necessaria in quanto ogni anno vengono prodo i 2 milioni di pezzi. Nel 2000 viene acquistato l’ex deposito Ikea a Sesto San Giovanni, dove oggi hanno sede gli uffici commerciali e i magazzini e dove viene trasferita la Andit Automazione, successivamente fusa nella Gandini Spa. È invece nel 2006 che

verrà creato il terzo stabilimento di Canzo, completato nel 2010 con la nuova fonderia. In questi ultimi anni entra in campo la quarta generazione della famiglia Gandini: Stefano e Alessandro, 37 e 35 anni, che andranno ad occuparsi della parte commerciale e finanziaria e che ad oggi costituiscono il futuro.

LA SEDE. A sinistra e nella pagina accanto gli stabilimenti di Canzo. TITOLARI. Sotto, a sinistra Piergianni Gandini A destra, Stefano e Alessandro.

Cent’anni di riscatto | Mag Marzo 2014 | 47


di Francesco Angelini

Antonio Spallino si racconta: «Riacquisterei la Ticosa. La Città murata senz’auto è stata una scelta seria e condivido il progetto delle paratie». «È un peccato che la politica si sia ridotta com’è oggi, perché la politica può anche essere molto bella»

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er i comaschi che hanno più di trent’anni è naturale abbinare alla parola sindaco il nome di Antonio “Nino” Spallino. Classe 1925, figlio di Lorenzo, ministro e padre tra l’altro di Lorenzo, attuale assessore comunale all’urbanistica, è stato campione olimpico di scherma, specialità fiore o a squadre alle olimpiadi di Melbourne del 1956. Prima assessore, poi sindaco dal 1970 al 1985. Nessuno prima e dopo di lui è stato primo ci adino per 15 anni (Lino Gelpi, il suo predecessore si fermò a 14). Nessuno lo sarà, anche perché l’a uale legge lo impedisce. Ma non solo. Con le sue amministrazioni Como è cambiata in maniera profonda, arrivando più o meno ad assumere l’a uale fisionomia. Sono nati fra l’altro l’acquedo o industriale, la ComoDepur, la nuova biblioteca di via Raimondi, il Centro Volta, Como ci à messaggera di pace, il Monumento alla Resistenza europea, la pedonalizzazione del centro storico, la tutela urbanistica della Ci à murata. Si sa che una medaglia d’oro olimpica non diventa mai un’ex medaglia d’oro olimpica. Lei lo è e ci sono almeno un paio di generazioni comasche per cui Antonio Spallino è “il sindaco”. Perché? La risposta andrebbe chiesta ai comaschi che, avendomi conosciuto durante quei periodi, si formarono l’opinione da lei riferita. Forse avevano concorso più circostanze. Anzitu o l’ascendenza culturale a Francesco Casnati,

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LA MIA CITTÀ E L’ALTRA POLITICA La mia città e l’altra politica | Mag Marzo 2014 | 49


«C’erano scuole di formazione politica e i miei maestri sono stati soprattutto Ardigò e Dossetti» il critico le erario vissuto a Como. Era impiegato presso la di a Bordogna, ma possedeva tali qualità che, pur non essendo laureato venne chiamato alla ca edra di le eratura francese presso l’università Ca olica di Milano. Fu, e rimase, il più grande amico di mio padre ed io, ragazzo, “pendevo dalle sue labbra” fino al giorno in cui ci separarono due valutazioni contrastanti del fenomeno le erario dell’ermetismo. Ma il nostro reciproco affe o rimase inta o, così come la stima assoluta. In secondo luogo il rigore della preparazione amministrativa. Io l’ho sempre percepita, e tu ora la ritengo essenziale per un’autentica gestione democratica dei compiti che ti vengono affidati. E la gente normalmente te lo riconosce.

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La vocazione per la politica: solo per tradizione famigliare o c’è stato dell’altro? Certo ha pesato la tradizione famigliare. Con il modello del papà è stato abbastanza naturale. Esiste ancora lo spirito di servizio in politica? Secondo me dipende dalle persone più che dalla situazioni. Forse anche dipende dai partiti che una volta offrivano una formazione anche in questa direzione. Questa è un’osservazione giustissima. Una volta c’erano scuole di formazione politica. Nel partito comunista ma anche nella Democrazia Cristiana da cui una persona usciva con una preparazione adeguata per bu arsi in politica. È un peccato che la politica si sia rido a com’è oggi, perché la politica può anche essere molto bella. Ci sono stati grandi personaggi nella politica. A proposito di spirito di servizio mi viene in mente Giuseppe Dosse i che però finisce poi in convento. Secondo me questa la dice lunga sulla politica. La fine dell’unità politica dei ca olici è stata un bene o un male? Secondo me è stato un bene. Perché ha consentito di



PROTAGONISTA. A sinistra: Spallino al Monumento per la Resistenza. Sotto: con Vincenzo Guarracino e Federico Roncoroni.

liberare una serie di scelte, riflessioni, connotazioni prima bloccate dalla gerarchia ecclesiastica. Che ora secondo lei interviene meno? Sì. Certo ha meno spazi. La società è cambiata. E il cambiamento si paga, magari anche in meglio. Cos’è stata la Dc per lei? Io non ho mai avuto rapporti organici con la Democrazia Cristiana locale. Avevo altri riferimenti: Ardigò, Dosse i di cui parlavo prima. Ero un outsider che correva per conto proprio. Un outisder che però ha fa o tre mandati come sindaco pur senza essere organico al partito, come dice lei. Questo è merito dei comaschi che mi hanno sempre votato. In quanto alla Dc comasca, io evitavo di aver a che fare con una certa specie di untorelli. È vero che la Dc era sorrisi e stre e di mano in pubblico e coltelli so o il tavolo? Un partito vero ha tante anime. Anche la Dc comasca aveva tante anime. Lei ha fa o il sindaco e l’assessore ed è figlio di un ministro, però non ha mai tentato il salto nella politica romana. Perché? Volevo stare a Como. Quando si parla di spirito di servizio, credo che si debba interpretare così. Uno nato a Como, che ha le qualità per fare il sindaco di Como, non va a Roma. Deve poi essere un tale tormento andare a Roma… Sarà ambito, per me non lo è mai stato.

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Le cose migliori che ha fa o come sindaco. Tante cose, credo serie. La Ci à murata senz’auto, la Comodepur, l’acquedo o industriale, il Centro Volta. Anche se io, devo confessare, non penso mai alle cose fa e ma a quelle da fare. Mi sento sempre in debito. Qual è il disegno di ci à ideale per Como? Como deve mantenere la misura che ha. Se mi guardo intorno, vedo che c’è stato qualche tentativo di aggressione delle colline con il cemento ma credo circoscri a. La più vistosa è quella dei dipendenti del Genio Civile. Questo dà il segno della cultura del Paese. Purtroppo quando è andato via Antonio Tagliaferri (storico capo di gabine o di Spallino, ndr) è crollato il Comune. Non lo mostrava mai ma lui era l’anima di palazzo Cernezzi. Questo era un grande vantaggio. Lei, tra l’altro, è celebre per due scelte - la Ci à Murata senz’auto e i rigidi vincoli urbanistici per il centro storico che certo non le hanno portato consensi. Ma si sono rivelati lungimiranti. Ci si può ancora perme ere, in politica, di fare scelte impopolari nell’immediato ma valide in prospe iva? Non mi interessa e non mi interessava la popolarità. Se non l’avessi fa o cosa avrei dovuto fare? Come sarebbe rido a oggi la ci à? Quando abbiamo tolto le auto dal centro, io ho visto le mamme con le carrozzine. Quando mai le avevamo viste prima? Oggi ci sono anche i turisti. E questi commercianti che anche oggi protestano perché Lucini vuole estendere la pedonalizzazione, tacciano. E’ una noia. Tra i compiti di un amministratore c’è anche quello di fare scelte impopolari se è convinto che sono


scelte di lungo respiro come furono quelle di cui stiamo parlando. E non è stata una cosa sempresemplice. Ricordate che qualcuno voleva riempire il lago? Per fortuna io avevo accanto i collaboratori giusti per le scelte urbanistiche: l’arch Martinelli e il rag. Tagliaferri sopra u o. Tagliaferri è stato con me a Seveso per gestire l’emergenza Icmesa (l’azienda da cui si era sprigionata una nube tossica provocando un disastro ambientale Ndr). Ed è stato così bravo che quando io consideravo chiusa la partita di Seveso anche perché a Como c’erano le elezioni, il senatore Noè che mi è succeduto come commissario straordinario ha chiesto di tra enere Tagliaferri per un paio d’anni. Però di Tagliaferri ce n’è uno. Oggi questa qualità non c’è più. L’acquisto dell’area Ticosa: una scelta sbagliata o un’opportunità mancata per Como? Dico una cosa: io lo rifarei se avessi un assessore diverso da quello di allora. La mia idea era quella di realizzare lì un presidio culturale. Pensavo a una ci adella della cultura. Ma la cultura è quella che è, non cresce mica come l’erba. Per questo anche chi è venuto dopo non ha combinato nulla. C’è una bellissima frase: è cresciuta come l’erba la figlia che non piange. Di fronte alla disponibilità di risorse della legge Valtellina, lei avrebbe fa o la scelta delle paratie? Sì. Perché siamo ancora alle prese con il Consorzio dell’Adda che per favorire i contadini taglia risorse a Como.

Secondo lei perciò il proge o delle paratie è corre o? Per quello che io vedo sì. Il problema è della mano che guida il proge o. Se è una mano raffinata riesce a occultare le difficoltà e le bru ure. La mano è stata quella dell’ing. Viola. Mi taccio. D’altra parte non si può pensare che il personale di un Comune sia tu o di eccellenza. Un obie ivo che lei non ha centrato è la sistemazione di piazza Cavour (magari ci riuscirà suo figlio Lorenzo, a uale assessore all’urbanistica). Lei che soluzioni proporrebbe oggi? Noi avevamo avuto il contributo del grande archite o prof. Porcinai. E poi naturalmente i comaschi hanno affossato tu o. Perché disturbava. In che senso? Porcinai vedeva piazza Cavour come un orizzonte totalmente aperto sul lungolago con grande sgomento dei commercianti che, poverini, tiravano fuori il casse o e guardavano quanti soldi avevano dentro. Un altro tema che ha a raversato più generazioni è quello della tangenziale di Como. Si dice che all’epoca lei abbia scelto di spostare le risorse sull’edilizia scolastica. E’ vero? Certamente. Prima bisogna pensare a formare le generazioni futuri. Poi ci si preoccupa delle automobili.

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L’INCOMPIUTA. La riqualificazione di piazza Cavour uno dei progetti irrealizzati della Giunta Spallino.

Si dice anche che lei si sia adoperato, anche se non era più sindaco, per far sì che la Sovrintendenza vincolasse lo stadio Sinigaglia che rischiava di essere abba uto per favorire una speculazione edilizia? Ma non c’è dubbio. Abbiamo uno stadio splendido. Basta andare ad assistere a una partita. Si vede il lago, si notano le colline: è un altro respiro. E’ una vergogna pensare di imbastirci una speculazione edilizia. Lei come sindaco ha sempre avuto un rapporto istituzionale di dialogo con l’opposizione di sinistra. Una prassi che sembra essere andata perduta. Sopra u o, ma non solo, con Renzo Pigni, un galantuomo assoluto. Era ed è un persona molto avveduta e sensibile al primato del pubblico. Elezioni 1985 succede qualcosa di strano: Antonio Spallino, sindaco uscente, è di gran lunga il candidato più votato. Ma primo ci adino diventa il socialista Sergio Simone, con buona pace della volontà dei ci adini. Ci ha ripensato quando è stata introdo a l’elezione dire a del sindaco? Era un bara o della Democrazia Cristiana, mi pare per la Regione, se ricordo bene. Del resto questi erano e sono i partiti. Il guaio di questo Paese è una certa gestione dei partiti. Prima non era così. Un Gelpi non lo toccava nessuno. Lui a proposito di certi personaggi del suo partito usava un’espressione che ora non ricordo con esa ezza, ma il senso era quello dei banditi in guanti bianchi. Comunque una volta preso a o della situazione, non ci ho più pensato. Per me la partita era chiusa e ho potuto tornare ai miei libri. Le cose che non rifarebbe? Nessuna.

Quale tra i suoi successori le somiglia di più? Secondo me Mario Lucini è una persona molto seria. Senza guardare al fatto che è anche un geologo. Como ha bisogno di persone di questa qualità. Poi Pigni che, ripeto, era ed è galantuomo. Quando era il mio vice sindaco, qualcuno me l’ha detto, dopo che era accaduto, nel periodo d’agosto in cui io vado a trascorrere le vacanze a Solda in Alto Adige, lui non ha mai fatto una scelta che io non avrei mai fatto. Questa è una garanzia enorme. Quella era una vecchia generazione politica che aveva rispetto per la continuità. Lei si augura che suo figlio Lorenzo possa diventare sindaco? È un problema suo. Io credo che lo farebbe bene ma non ne abbiamo mai parlato. Como sta assecondando in maniera efficace la sua vocazione turistica? Io ho la sensazione che non si dedichi molto tempo e molto spazio al turismo. Se guardo Lugano e faccio un paragone, Como ne esce perdente. Io vado raramente in Svizzera ma quando vado lì trovo una ci à curata al millimetro. Io mi ricordo che quando ero sindaco camminavo quasi sempre con la testa verso il pavimento perché volevo capire se le piastrelle erano a posto. Palazzo Terragni deve restare alla Guardia di Finanza? Io l’ho affermato più volte: la Guardia di Finanza sta tenendo molto bene l’ex Casa del Fascio. L’ideale sarebbe che un Comune colto ne facesse un presidio della cultura. Allora non ci sarebbe più bisogno della Finanza. Se deve tornare al Comune questa deve essere la condizione. Piu osto che averlo per averlo, tanto vale lasciarlo all’attuale gestione.

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a no e è degli invisibili. Sembrava andare tu o bene: un lavoro, una famiglia, una bella macchina, il denaro necessario per potersi perme ere qualsiasi cosa e, invece, un inghippo, uno scivolone inaspe ato, un mal di pancia di troppo e la vita li ha cambiati e li ha bu ati in mezzo ad una strada. Sono gli invisibili, persone che vivono agli angoli delle vie, sui treni in sosta alla stazione, nei so opassi della ci à, sulle panchine dei parchi pubblici; ovunque vi sia un ricovero per la no e. Poi, durante il giorno, arrivano gli angeli, i volontari, quelli che, a rotazione, si prendono cura di loro: un pasto, un sostegno per la ma ina e per il pomeriggio, i buoni per l’igiene personale. Il mondo è cambiato e, quelli più in difficoltà, non sono completamente tagliati fuori perché la società li assiste a raverso il volontariato individuale e quello associativo. Le storie dei senza te o sono tu e molto personali, ma diventano un’unica cosa quando in fila, ogni giorno, si danno appuntamento in Via Tommaso Grossi, alla mensa ospitata nei locali dell’Opera Pia Don Guanella. Ad a enderli Suor Maria e decine di volontari che fanno capo all’Associazione Incroci. A turno servono un pia o caldo e accolgono gli ospiti con un sorriso. Qui non c’è differenza, sono tu e persone con difficoltà a cui viene tesa una mano; in fila, ordinatamente, ad a endere il turno per un posto in mensa. Giovanni, 50 anni, è nato nei dintorni di Firenze e ora è arrivato a Como. Con i suoi jeans e il sacco pieno di ricordi è uno dei tanti che troviamo in ci à. In mensa ci va ogni giorno, arriva infago ato e aspe a il suo turno. Parla poco, è schivo, dice solo che dorme, dove trova posto, quando va bene al dormitorio, ma non riesce sempre. Giornate interminabili in giro per la ci à, alla sera, dopo la mensa, a le o, meglio, alla ricerca di un posto per strada o nella sala d’aspe o della stazione, con i suoi cartoni. La vestizione è alle sei della ma ina, prima sistema le sue cose, poi arrotola i cartoni, sono merce rara, quindi avvolge la coperta. Poi tu o dentro nello zaino. «Verso le 6 arriva padre Roberto - continua Giovanni - ci porta la colazione, è un santo, un uomo che non teme nulla. Ci ascolta, gli possiamo parlare, lui ha sempre una soluzione a tu o» Poi c’è Giampaolo, una laurea in le ere moderne,

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LA NOTTE DEGLI INVISIBILI di Arianna Augustoni

Persone che vivono per strada, sui treni in sosta nelle stazioni, nei sottopassi della cittĂ , sulle panchine dei parchi pubblici e alla sera arrivano a cercare qualcosa da mangiare alla mensa di via Tommaso Grossi

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classe ’51, qualche anno di insegnamento in Sardegna e poi la grande avventura in Francia. Lì ha messo nel casse o la sua cultura da professore e si è dedicato alla passione: la cucina. Non parlava francese, ora fatica a districarsi tra l’italiano e la lingua della Ville Lumière. Lassù si è fa o strada ai fornelli più di 30 anni in cucina e poi un dopo lavoro come insegnante di lingua italiana ad una delegazione del Quebec. A lui non pesa girare in città durante la se imana, ha tanto da fare: biblioteca, giro ai giardini e poi le chiacchiere con un vecchio compagno di scuola. «L’ho incontrato per sbaglio quando sono tornato a Como. Ero in vacanza qui - racconta Giampaolo - mi hanno rubato tutto e quindi non potevo più fare rientro a casa, in Francia, vivevo a Le Touquet. Ho iniziato a girare per la ci à e, un giorno, ho incontrato un vecchio compagno di scuola, che mi ha riconosciuto. Dopo 52 anni mi sono sentito chiamare, è rinata un’amicizia. Sono rinato, questo vecchio amico mi ha persino proposto di insegnare ai bambini il francese, in questo modo potrei racimolare qualcosa. Poi mi sono messo anche a disposizione dell’Associazione “Porte Aperte” per

tenere lezioni di francese, non voglio denaro, intendo solo organizzare in modo fa ivo la mia giornata». E non è una vita facile. «A volte - racconta - ci sono giorni in cui è complicato, altri invece scorrono piacevolmente. Sono lunghi i fine se imana, la domenica poi non passa mai». È una vita, così, senza nulla in tasca. «Però me la cavo - aggiunge - ci si ada a e ce la si può fare, comunque». In fila per un pasto caldo c’è anche lei, Pace, arriva dal Salvador, ha 51 anni e un figlio a casa, nel suo paese. Laggiù si occupava di compravendita di case, in Italia, alcuni amici migrati anni prima, le avevano proposto di seguire degli anziani. Purtroppo però una volta atterrata a Milano il triste epilogo: non avevano più bisogno della badante. Che fare, i soldi per rientrare non ci sono. «La mia salvezza sono stati e lo sono anche ora i lavori saltuari, a breve dovrei iniziare a Lissone come badante - spiega Pace -, mi ha aiutata la fede perché la gente che tanto mi sollecitava per arrivare in Italia mi ha voltato le spalle. Devo ringraziare la Caritas, la mensa, gli italiani, lori sì che mi hanno dato una mano.

«Mi ha aiutata la fede, perchè la gente mi ha voltato le spalle. Ogni mattina spero che la mia vita migliori»

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UN LIBRO PER I SENZA TETTO

(GLWRULDOH &RPR 6 U O

E intanto c’è chi scrive per beneficenza. Un libro, “Storia della mia medicina”, scritto da Giordano Molteni, medico, sindaco e ora anche scrittore, il cui ricavato dalla vendita (in libreria Ubik a Como) sarà devoluto all’Opera Pia Don Guanella di Como a sostegno della mensa dei senza tetto. «Quando senti la necessità di scrivere, significa dare corpo ai propri pensieri, alle proprie emozioni, alla propria esperienza. - spiega Giordano Molteni - È un momento in cui si vuole mettere ordine alla moltitudine di informazioni e di storie vissute nella trentennale vita da medico. Il libro “Storia della mia medicina” è la storia dell’umanità, la storia di un medico, è la storia di tante persone con le quali si sono condivise emozioni, paure, gioie e, qualche volta, dolori. Un libro all’interno del quale spiegare le ragioni che hanno spinto l’autore a intraprendere questa lunga strada, ad abbracciare l’arte medica, fino ad appropriarsene con onestà e dedizione».

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Per sfuggire a situazioni critiche ho passato anche la no e al pronto soccorso. Poi fortunatamente al dormitorio riesco a trovare un le o. Al ma ino vado e spero che la giornata mi porti buone notizie e, sopra u o, un lavoro». Le storie dei senza te o potrebbero essere interminabili, lo sono più ancora le persone che giorno dopo giorno si vedono costre i a cambiare vita. Molti però compiono questo passo come scelta. A governare e a coordinare molte delle a ività dei senza te o l’associazione Incroci presieduta da Andrea Taborelli, loro operano proprio per la mensa di Via Tommaso Grossi. Presidente, quali sono le difficoltà che incontrate ogni giorno con gli ospiti? I problemi psicologici. Gli ospiti sono degli emarginati, sono gli ultimi, nemmeno inseriti in un circuito. Non sono quelli che chiedono l’elemosina in centro, non appartengono alle bande, da noi si rivolgono color che non hanno una rete di protezione, sono senza parenti e amici, per cui hanno la necessità di essere sostenuti. Ci sono delle regole per accedere alla mensa? No, sono tutti uguali, noi non chiediamo nulla. L’unico vincolo quello di non creare situazioni di a rito, niente provocazioni, chi è alterato non può entrare in mensa. Anche a loro però assicuriamo un pasto, un sacche o che dovranno consumare fuori. Siamo intransigenti.

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C’è qualche difficoltà relazionale tra gli ospiti? A livello culturale qualche diverbio tra italiani e stranieri o stranieri con stranieri, sono però rare situazioni. Il problema più forte è quando arrivano persone ubriache. Oltre ai pasti, offrite un altro tipo di assistenza? Il dormitorio, ma non dipende da noi, fa parte del proge o Emergenza freddo, compito del Coordinamento territoriale per la grave emarginazione (a cui partecipano numerose Associazioni, ndr) e per le persone senza dimora della ci à di Como.



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VEDIAMO L’IMPOSSIBILE di Elisabe a Broli

La sfida dei non vedenti sulle piste da sci. Tecniche ed esperienza del gruppo comasco sulle montagne innevate. Stefano Casartelli: lo sport dà le maggiori emozioni ad un non vedente perché è libero, totalmente slegato da qualsiasi legame fisico

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rendete un foulard, fasciatevi gli occhi – in modo da non poter vedere - e quindi lanciatevi giù da una pista da sci. O guidate un’automobile, giocate a pallone, correte, fate parapendio. Assolutamente impossibile? Assolutamente no. Come ha scri o Oscar Wilde “tu o è possibile per l’uomo che vuole con tu o se stesso”; e Paulo Coelho: «Quando desideri qualcosa, l’universo intero co-

spira affinché tu possa realizzare il tuo desiderio». Stancare di desiderare è come stancarsi della vita stessa, è un po’ morire. Ma sciare se non ci vedi… Una pazzia! La pratica dello sci alpino per persone cieche - lo so che il termine politically correct è non vedente, ma cieco rende meglio l’idea - è nata in Svizzera alla fine degli anni ‘70, a Cardada, sopra Locarno. Nel 1995 è stato creato

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il gruppo di Como. Le prime esperienze a San Primo, quando c’era ancora la neve, con una decina di non vedenti dai vent’anni in su: ma in questi giorni una bambina di o o anni insiste per imparare, si comincerà dallo spazzaneve, e poi partenza-e-via. Parli con una delle loro guide e sembra sia naturale. «Nessuno si accorge che uno di noi due è un ipovedente - spiega Stefano Casartelli, appunto una delle guide, geologo di professione - : anche perché sciano benissimo». La preferenza va alle piste lombarde, Medesimo, Chiesa Valmalenco, Monte Pora della Presolana, se non bisogna andare-e-tornare in giornata anche le Dolomiti, a Sestriere. Ma cosa serve oltre una buona dose di coraggio e aggiungerei, dal mio punto di vista, di incoscienza per sciare come ad occhi chiusi?

Il trucco è nel collegamento: grazie ad un interfono la guida può di indirizzare, a due metri di distanza, chi non vede. Tre i comandi - destra, sinistra e alt; più un quarto che non è proprio un comando: libero. La giornata comincia con qualche ragguaglio tecnico, la descrizione della pista e il grado di pendenza, se è affollata, il tipo di neve, la presenza di ghiaccio. E anche una descrizione del paesaggio, la bellezza delle montagne. Poi si parte. Il cieco davanti, come dicevo, e la guida alle sue spalle. Essenziali i comandi, ma “si danno indicazioni anche con la modulazione della voce - spiega Casartelli -: un destra secco vuol dire che la curva è stre a, un d.e.s.t.r.o lento che la curva è ampia”: Per l’alt non servono spiegazioni. Ma libero? “Indica che sulla pista non ci sono altri sciatori né pericoli, l’ipovedente può sciare dove e come vuole: libero, appunto”. Al più, poiché

«Nessuno si accorge che chi sta sciando è un ipovedente perchè sciano sicuri e con naturalezza»

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chi non vede in genere segue la massima pendenza, si segnala se la pista tende a destra o a sinistra e la lunghezza delle diagonali. Per la guida lo stress è talmente alto che le prime volte a fine discesa scoppia a piangere. Poi subentra l’abitudine, anche se un’abitudine vera e propria non è mai: «Chi guida non può pensare a se stesso, deve sciare in automatico, perché l’a enzione è tu a per chi non vede. È fondamentale stare concentrati per evitare cune e e dossi, che possono essere pericolosi». È una questione di rapporto umano, non soltanto di tecnica, è importante il feeling che si crea, il rapporto d’amicizia anche sui campi da sci. Resto dell’ idea che ci vuole una enorme dose di coraggio. «Sembra assurdo ma sono le guide, sopra u o quelle nuove che possono essere prese dal panico, ad aver paura, non noi», giura Mario Mazzoleni, maestro di musica diplomato al Conservatorio di Milano, cieco da quando aveva una decina d’anni, adesso ne ha sessantanove. È un veterano, uno dei primissimi a bu arsi, spesso LE GUIDE. La presenza delle guide accanto agli ipovedenti rende naturale e sicura la discesa sulle piste.

Titolo articolo | Mag Marzo 2014 | 65


cavia delle neo-guide. Non ci vuole coraggio, spiega, e francamente pare impossibile, «basta avere una fiducia totale nella guida. Se ti dice destra devi andare a destra anche se pensi che stia sbagliando». Ha sciato in Canada, in Giappone. In giro per l’Italia. Negli Stati Uniti ha anche guidato un’automobile per una sessantina di chilometri «era una di quelle strade dri e ed enormi, coast to coast, dove non passa nessuno». Giura di essere riuscito a posteggiare tra due macchine. “Se ci avessero fermato mi avrebbero arrestato”. Sicuramente, lui e chi stava al suo fianco. Guida a parte, fa nuoto, va in bicicle a e corre, affiancato ad una guida, alla quale è legato con un cordino al polso. Lo sci «è lo sport che ad un non vedente dà le maggiori emozioni, perché sei libero, totalmente slegato da qualsiasi legame fisico, a differenza della corsa o del nuoto. Scii con il vento in faccia, senti il rumore della neve, il caldo del sole. Vuoi andare dove c’è la massima pendenza della pista, non hai paura, gliel’ho de o, sono le guide ad averla». E quindi comincia a spiegarmi che i non vedenti praticano tu i gli sport, calcio compreso. Amme e che “un po’ di confusione in campo in effe i si crea”: Ma anche chi non vede può tirare in porta e fare gol.

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on si può dire che tu o sia cominciato con Pupi Avati. Un certo piccolo cabotaggio dei set risale agli anni del liceo: Donatella Cervi ricorda emi enti locali, apparizioni in pubblicità e altre comparsate cinetelevisive: «Anche controfigura di Anna Valle, per esempio, in una fiction girata sul lago di Como». Il fisico del ruolo c’è, di una campagna Total è stata testimonial. Chi scrive, del resto, ha visto Donatella Cervi la prima volta ad un festival di cinema, eccentrico e coraggioso, in terra ticinese: smagliante, sicura, se fosse stata un’a rice non avrebbe potuto che essere protagonista. Invece fu presentata come la regista - di “Il sogno di un bambino. La sfida di crescere”, ambientato in luoghi emblematici di Como - che ha scelto di essere con la determinazione cui, ecco, non è estraneo Pupi Avati. «Un incontro a cena, ospite di amici. Mi trovai seduta al suo fianco: autorevole, cordiale, istrionico; mi raccontò l’inizio di una carriera che tu i conosciamo, l’avventuroso trasferimento a Roma per fare cinema, il set sul quale si era trovato senza sapere bene che cosa fare». Folgorata: la strada di Damasco per Donatella Cervi è quella di un ristorante milanese: «Quella sera, mentre mi identificavo in Pupi Avati giovane, un sogno uscì dal casse o nel quale l’avevo riposto». Nel tempo avrebbe assunto una consistenza anche formale - so o la denominazione Mediacreative, associazione di videoproduzione con sede operativa a Como - ma intanto per l’archite o Donatella Cervi significava me ersi alla prova, cominciando da capo. «Perché non ci provi?»: all’espresso invito di Pupi Avati la risposta è giunta con l’iscrizione alla scuola di regia: «A Milano ho avuto come tutor Miguel Lombardi, aiuto di Paolo Virzì nel recente ‘Il capitale umano’» di cui si è tanto parlato anche in ci à per l’utilizzazione del Politeama. E poiché tout se tient, nella sua altra vita, quella della laurea al Politecnico, eccola impegnata nello studio di fa ibilità di quello storico teatro;

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ma forse il canale di comunicazione dell’archite o con l’immagine risale alla tesi: un lavoro sperimentale di archeologia subacquea, fulcro l’Isola comacina (“Testimonianze ignorate dalla storia”) rivelatore di profonde relazioni lacustri. «Ero adolescente

quando ci siamo trasferiti a Moltrasio, in una casa, l’avrei appreso dal passaparola dei coetanei, sulla quale non ha mai smesso di aleggiare un deli o perpetrato nel 1910, un uxoricidio clamoroso tanto da essere subito illustrato in un documentario».


LA MIA SECONDA VITA di Bernardino Marinoni

Donatelli Cervi, l’architetto con la telecamera in mano. Dall’incontro con Pupi Avati alla casa del delitto di Moltrasio. Dalle 50 ore in acqua a Faggeto a “La mia seconda vita da record”. Dal comballo al relitto all’oceano: «Ma è il lago di Como che abbiamo in cuore» La mia seconda vita | Mag Marzo 2014 | 69


IL SUCCESSO. Danilo Bernasconi durante le fasi conclusive del record delle 50 ore di immersione effettuato nelle acque antistanti il lido di Faggeto Lario. A destra: L’immagine simbolo di “La mia seconda vitadarecord”.

Centosessantadue metri di pellicola, registrano i repertori, andati perduti; ma perché non computarli in una vocazione alimentata dalle mezze leggende di cui i coetanei me ono a parte la nuova venuta a Moltrasio - la sua casa oggi è quella che un archite o può realizzare sul lago: merita una visita - se a tempo debito la tesi di regia di Donatella Cervi riguarda i «famosi deli i del lago di Como e le sue ville», in seguito elaborato come format televisivo, con tanto di diri i depositati. Abitare nella “casa del deli o”, spiega, esalta l’immaginazione, mentre sopra e so o l’acqua - lei è una sub, disciplina che le sembra di praticare da sempre - il lago è una palestra naturale. Ne farà un’assidua ricognizione dopo l’incontro con Lorenzo Venturini, imprenditore immobiliare che ha professionalizzato la passione per fotografia dinamica e sport acquatici. Insieme decidono di costituire l’associazione Mediacreative dove, sdoppiata la vita di lavoro, Donatella Cervi è regista, Lorenzo Venturini video-operatore specializzato in riprese sub: «Conosco l’acqua e non sempre so spiegarne il mistero di fronte a certe rifrazioni», dice, ma s’incanta, intanto, riprendendo il reli o di un comballo affondato dalle parti di Tramezzo. Sul fondale, la tipica imbarcazione lariana appare come se

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fosse inta a: «Sono i veri misteri del lago» si limita a commentare, ma la ricognizione documentaria è più che un intento di Mediacreative. Per intanto, all’insegna di sport e immersione, ecco il documentario sul primato mondiale di permanenza in acqua - 50 ore - di Danilo Bernasconi: «Il se embre scorso, a Faggeto Lario, l’atmosfera era di vera empatia tra la nostra troupe e il protagonista dell’impresa» spiegano Cervi & Venturini evocando l’impegnativo - per tu i - set precedente, quello di “La mia seconda vita da record”, il docufilm dedicato a Paolo De Vizzi, disabile, ma prove o subacqueo, titolare del primato di categoria. «Non meno del

record, per noi resta indimenticabile la no e che lo ha preceduto, proprio per l’intesa tra tu i coloro che a diverso titolo vi collaboravano». «Io con le videocamere sempre accese, Venturini senza spogliarsi di muta e a rezzatura video-sub, abbiamo fa o l’alba sulle rive dello Jonio ascoltando i racconti dell’ufficiale della Folgore (l’Esercito ha dato un supporto logistico alla prova, ndr) e dello specialista di medicina iperbarica, memori di essersi già incontrati, in Iraq, in missione a Nassyria». “La mia seconda vita da record”, poi, sarebbe stato premiato nell’ambito della maggiore rassegna cinetelevisiva dedicata allo sport: «Un

riconoscimento che ci ha emozionato - amme e Donatella Cervi - e che ha aperto al documentario un percorso planetario nelle rassegne specializzate, risarcendo anche sul piano dell’immagine la Film commission pugliese per il contributo accordato». E in Lombardia? «Con l’olimpionico lecchese Antonio Rossi allo Sport abbiamo avvertito una certa sensibilità: sarà l’acqua dello stesso lago, sarà la fiducia nella promozione dell’a ività agonistica». Che è la finalità, del resto, di “Il sogno di un bambino. La sfida di crescere” in cui, a ingendo al bacino della Comense, Donatella Cervi traccia il viaggio immaginario

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RECORD. Paolo De Vizzi e Michele Geraci alla presentazione del loro record.

di un bambino nel mondo dello sport: «Immaginario, ma non troppo se, come succede, a fare da mentore al piccolo protagonista è Alberto Cova - per me un altro modello, pochi gli davano credito quando si alzava all’alba per me ersi a correre, poi ha vinto le Olimpiadi - e compaiono figure dell’autorevolezza di Dino Meneghin, per fare un nome, e Arianna Errigo». Sport a tu o campo, insomma (Donatella Cervi: “Anche

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in pubblicità, a ben vedere: ho girato 3 minuti della campagna web e tv Tissot con la schermitrice Margherita Grambassi - davvero molto carina sul set; e un paio di spot per Rai Sport relativi alle Olimpiadi di Pechino”). Mediacreative però nasce da un’altra opportunità: «Siamo in grado di supportare e realizzare proge i di film e documentari, dalla pia aforma web alla tv al grande schermo, forti degli

E in programma un filmato, il più esaustivo possibile, su tutti i misteri del lago di Como


SFIDE. Lorenzo Venturini e Donatella Cervi accanto a Paolo De Vizzi durante la premiazione Ficts - Gentleman Award Fair play.

episodi di due serie, ‘Missione reli i’ e ‘Blu’, la prima dedicata a quanto giace in fondo al mare, l’altra ai resort più esclusivi e alle acque più cristalline del globo terracqueo: format tv che ci hanno prospe ato un’a ività professionale, combinando regia e riprese: ci stiamo appunto provando». Dal comballo reli o all’oceano: «Ma è il lago di Como che abbiamo in cuore, oltre che so ’occhio; e sono i suoi segreti,

insistiamo, sia in superficie sia so o, e in riva e nelle ville, ad affascinarci, anche da lontano». Donatella Cervi è reduce da sopralluoghi in Sudamerica, il proge o è quello di una serie di documentari relativi anche alla sostenibilità ambientale, magari in vista di Expo 2015. Ma i misteri del Lario urgono e Mediacreative ne ha in gestazione il catalogo filmato più esaustivo possibile: un

lavoro della cui composizione sono stati preparatori tanto la passione per la pratica subacquea quanto la dimestichezza per motivi professionali con dimore a vario titolo storiche, l’Isola Comacina sondata come nessuno prima, o il restauro del piroscafo Bisbino: da archite o Donatella Cervi firmò il primo caso di cambio d’uso di un natante, da regista firma la sua seconda vita.

SUL SET. Donatella Cervi e Lorenzo Venturini sul set di Missione relitti.

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LA VOGLIA D’ARTE CHE CAMBIA LA VITA di Sara Della Torre, foto Ricky Monti

La storia di Pierpaolo Perretta, chiamato Mr. Savethewall, il manager che ha lasciato un lavoro sicuro per inseguire il sogno della “street art” La voglia d’arte cheTitolo cambia articolo la vita| | Mag Marzo 2014 | 75



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a smesso i panni del manager per indossare il look di un writer. Riposta la giacca e la crava a, oggi indossa felpa, jeans e snackers. Pierpaolo Perre a ha fa o anche di più: ha lasciato un lavoro sicuro e qualificato per inseguire un sogno, la “street art”. Così al posto dei gemelli ai polsi e della montblanc in tasca, indossa una mascherina e impugna una bombole a spray. Nessun rimpianto, solo una lucida analisi di sé: se si nasce ba itore libero, difficile stare in squadra. «Sono una persona impulsiva, determinata, con una grande empatia verso gli altri. Gli imprenditori mi hanno sempre affascinato - amme e Pierpaolo Perre a -. E forse questa idea di fare da solo è sempre stata dentro di me». Quello che in partenza è solo un pensiero diventa un obiettivo. Dalla vita trascorsa per più di dieci ore dietro ad una scrivania, con il telefono in mano, è passato ad un laboratorio, fa o di colori, tele e cornici, dove il tempo

«Questa idea di fare da solo mi ha sempre affascinato e ho sempre pensato che volere è potere e il motore è la passione» La voglia d’arte che cambia la vita| Mag Marzo 2014 | 77


è scandito da un proge o personale e diventa un prodo o unico e irripetibile. «Ho grande rispe o e riconoscenza per tu e le persone e i luoghi per cui ho lavorato - racconta Pierpaolo Perre a, 41 anni, nipote di Pietro Amato Perre a, magistrato partigiano, morto per la libertà, a cui è intitolata una piazza di Como -. Ma il desiderio di esprimere le mie idee, di mandare messaggi, di sfogare la mia passione, era troppo forte e ho deciso di assecondarlo». Cambiare vita a quarant’anni non è una decisione che si prende a cuor leggero. Sopra u o se il proge o comporta una completa trasformazione di sé. Le no i insonni non si contano, i dubbi soffocano i proge i. Ma a qualcuno capita che prevalga il desiderio di far uscire la propria personalità e di provarci. Il passaggio di Pierpaolo assomiglia ad un volo pindarico. Un cambio inaspe ato e travolgente. Un taglio ne o con la vita precedente de ato

da due grandi passioni: la famiglia e la “street art”. «Ho sempre pensato che volere è potere. E con questo mo o in testa, mi sono mosso nelle a ività che mi sono trovato a gestire. Non ho mai avuto come obie ivo il guadagno e sono convinto che sia la passione a portarti anche il successo economico. Infa i ogni a ività intrapresa, si è sempre rivelata per me un’impresa fortunata. Decidere di cambiare a ività e di intraprendere un nuovo corso della mia vita non è stato facile e dietro c’è un percorso». Sarà stata la passione per il fume o, quella innata capacità di esprimere i propri sentimenti a raverso il disegno e poche parole dentro ad una nuvola, che hanno spinto Pierpaolo a compiere il salto, senza averlo prima verificato con se stesso e con il pubblico. «Ho cominciato dipingendo su cartone e a accando le mie opere sui muri di no e, nei luoghi meno fruibili come i

«Credo che molti ragazzi abbiano dentro una vena artistica, ma non condivido chi imbratta i muri»

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ARTISTA. Pierpaolo Perretta, 41 anni, in arte Mr. Savethewall, nel suo laboratorio in centro città.

so opassaggi della ci à. Lo facevo per sperimentare le mie capacità e mi è servito. Ho scoperto che qualcuno staccava i cartoni e se li portava via. Quindi piacevano…». Nell’oscurità della notte, Perretta non solo cercava anonimato con il cappuccio di una felpa, ma utilizzava anche piccoli travestimenti per non essere riconosciuto. È qui, tra le vie del centro, che si scontra con il mondo incappucciato dei writers e prende il nome d’arte “Mr. Savethewall”. «Non c’è polemica con loro. Non sono d’accordo con chi imbra a i muri solo per un a o vandalico. Credo che molti ragazzi abbiamo una vera vena artistica, che dovrebbe essere valorizzata a raverso luoghi ada i per esprimere la propria creatività. Sono anche convinto

che, come tu e le mode, anche questa abbia avuto una evoluzione e cambierà. Perché un buon lavoro artistico non può essere trasportato? Meglio esprimerlo su un cartone o in un quadro così che possa essere esposto e salvato». Mr. Savethewall utilizza la tecnica stencil, tipica di certi “street artist” e i suoi lavori sono per lo più cara erizzati dall’accostamento di un registro verbale e un registro figurale, pur non mancando esempi in cui quest’ultimo predomina in modo esclusivo sull’altro. La tecnica dei graffiti potrebbe essere il punto di incontro tra il creativo lariano con un negozio in via Giovio e il gruppo dei writers. «Mi è stato chiesto da un condominio di valorizzare

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ARTE. Alcuni dei quadri realizzati in questi mesi da Pierpaolo Perretta.

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un muro e ed già a iva una collaborazione con un giovane writer». Quando è la creatività a muovere il proprio lavoro, non conta qual’ è il mestiere che si svolge. Le idee si muovono sull’onda delle proprie capacità, scavalcando i confini di una sola a ività. È così che nel futuro di Perre a, oltre ai quadri, si sta facendo strada il proge o di bu arsi anche nel complemento d’arredo, seguendo quella passione artigiana che per tanti anni ha potuto apprezzare nella nostra provincia. «Ho ideato una seduta a forma di bombole a che verrà prodo a e presentata al prossimo Salone del Mobile dall’azienda Riva 1920 - annuncia Perre a -. È solo un prototipo, ma potrebbe essere l’inizio di una collaborazione. E non è l’unica perché ho messo in cantiere anche una pipa innovativa». Il desiderio della sfida, unita alla capacità di creare, è alla base del successo di Mr. Savethewall, che svela il suo segreto. «Seguo il mo o di Gandhi: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti comba ono, poi vinci».



UNA CHIESA PER TRE

di Stefania Briccola

Un architetto, un prete e un artista dietro il progetto a firma comasca

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iù che un progetto vorremmo raccontare un dialogo, a volte difficile, una collaborazione e un’affinità elettiva che ha origine su quell’altro ramo del lago di Como. I protagonisti sono un giovane archite o, cresciuto a Faggeto Lario, un artista di Pognana, che rende la pietra lieve come solo i figli dei cavatori sanno fare, e un sacerdote che tra le pieghe dell’arte scorge il segno del divino. Si tra a di Stefano Ceresa, fresco di diploma all’Accademia di archite ura di Mendrisio e per l’occasione affiancato dai colleghi Ma eo Pietrantonio e Veronica Gorla, dello scultore Bruno Luzzani e di don Andrea Straffi, direttore dell’Ufficio diocesano per l’arte sacra che in veste di esperto ha collaborato al proge o del complesso parrocchiale Santa Maria del Carmine a Santa Maria La Carità( Napoli). Il concorso di idee ha visto la partecipazione di circa duecentocinquanta professionisti da tutta Italia, tra cui se e già selezionati nella prima tranche, e ha ripristinato il dialogo tra arte e archite ura nello spazio del sacro. «Dopo il diploma con un maestro come Mario Botta - dice Stefano Ceresa -, che ha segnato la mia formazione, ho iniziato a fare i primi concorsi. Mi sono reso conto che solo partendo da un’ampia documentazione sull’argomento da approcciare si possono raggiungere gli obie ivi del proge o che qui nasce da una collaborazione stre a con il sacerdote e l’artista. Ho pensato subito a Bruno Luzzani che ha ispirato l’ideazione della chiesa con le sue opere e gli arredi, e a don Andrea Straffi, studioso d’arte sacra che è stato per anni il nostro parroco. Il tema dell’albero è stato determinante per la chiesa di Santa Maria del Carmine e per l’oratorio che trae spunto dall’episodio di Zaccheo, richiamato nel Vangelo e ambientato intorno al sicomoro che dà la possibilità di un incontro con Gesù». Il complesso parrocchiale rappresenta un punto di riferimento per la ci à e un simbolo per l’intera comunità di Santa Maria la Carità (Napoli) nel segno di un’archite ura che è monumentalità. I tre elementi che lo cara erizzano

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sono la chiesa, un monolite che sve a nel contesto urbano con una chiara geometria, l’oratorio, con un volume esteso orizzontalmente e una forma che si apre verso la ci à, e il campanile staccato dal corpo principale che si sviluppa in verticale, delimita l’intera area ed è anche una meridiana. La scelta dell’artista è caduta su Bruno Luzzani per una serie di motivi. «Lo scultore è particolarmente ada o - spiega don Andrea Straffi - nell’affrontare i temi del sacro per la profondità di sguardo sul divino che non è così scontato nei contemporanei. Negli ultimi anni da una parte la Chiesa è andata avanti per la sua strada e dall’altra gli artisti hanno seguito le loro finalità autoreferenziali che cozzavano con il valore intrinseco delle opere sacre che è quello di comunicare a tu i la presenza del divino. Bruno Luzzani nasce come scalpellino e ha grande abilità tecnica nel tra are la materia. Ha lo stupore di fronte alla perfezione e alla bellezza della realtà che è tipico dei grandi artisti. Lo si vede anche nelle sue opere che non tra ano temi religiosi, come quelle dedicate

«Tre comaschi per progettare una chiesa: l’architetto Stefano Ceresa lo scultore Bruno Luzzani e un prete Andrea Straffi alla cosmologia, esposte in passato nella mostra antologica al Brole o». La chiesa dedicata alla Madonna del Carmine ha una stru ura triangolare e richiama la Trinità così come la mensa di Bruno Luzzani sull’altare maggiore che è costruita con materiale povero, da riciclo, ma ricco di significati. Le briccole di Venezia, pali di rovere che segnano

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PROTAGONISTI. Lo scultore Bruno Luzzani, con il giovane architetto Stefano Ceresa.

le vie delle gondole nella Laguna, sono state impiegate utilizzando la cosidde a parte viva che si mantiene nell’acqua e simboleggia la fede. La mensa dell’altare è formata da un piano in pietra sorre o da tre pali che si abbracciano e ricordano anche i chiodi della crocefissione. L’ostensorio di Bruno Luzzani (vincitore del primo premio nella categoria over

26 al Terzo Concorso “Tra le briccole di Venezia” inde o da Riva1920 per “un ogge o di culto tra le religioni del mondo”) è costituito da un piedistallo che culmina con la teca per l’esposizione dell’Eucarestia circondata da una raggera. L’ostia consacrata, simbolo del nuovo “albero della vita” che è il Corpo di Cristo, è contenuta nel cuore


del tronco ed è racchiusa da una sorta di croce con tre chiodi di ferro che si intersecano. Il Crocefisso sopra l’altare è una scultura con la figura di Gesù che emerge dal foglio di marmo fluttuante e appare come un velo sopra la sagoma del corpo per rappresentare la Resurrezione. Una figura maestosa con le braccia allargate

rivolte all’intera umanità. Il gioco so ile di luce proveniente dal taglio della muratura fa risaltare la scultura come fosse un faro per i fedeli nel loro cammino. «Insieme all’artista - ricorda Stefano Ceresa - si è deciso il percorso iconografico e di realizzare un impianto della chiesa ad unica navata, rivolta verso l’altare ad est, una cappella laterale

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PROGETTO. Il rendering dell’esterno della chiesa di Santa Maria del Carmine.

dedicata alla Madonna del Carmelo, che prevede una scultura di un volto velato della Vergine, e la fonte ba esimale vicino alla zona del confessionale poichè il sacramento della riconciliazione è un ritorno alla purezza». Il dialogo tra il sacerdote e l’archite o a volte è giunto a scombussolare i piani e a me ere in discussione il tu o, ma alla fine si è risolto in uno scambio proficuo. «Talora - racconta don Andrea Straffi - c’è stato un confronto serrato per evidenziare la polarità degli elementi essenziali dell’aspe o liturgico. La chiesa non è una casa e dal punto di vista religioso l’aspe o assembleare e della visione di ciò che accade nella messa è fondamentale. I punti polari di questo spazio sacro sono l’altare, orientato ad est come nella tradizione che vede in Cristo il nuovo sole nascente, con la mensa, la sedia e l’ambone. Nel corso del proge o ho solo cercato di tirare le fila del discorso dando indicazioni pratiche». La pianta della chiesa che può sorprendere per il rigore geometrico della forma è stata ammorbidita per dare il

senso dell’assemblea riunita e dell’accoglienza. Alcuni elementi sono stati messi in dialogo tra loro, come il ba istero e il confessionale, per so olineare l’importanza dei sacramenti. È stato inoltre necessario ideare uno spazio per la devozione in una chiesa dedicata a Maria. La piazza è l’elemento di connessione tra i diversi spazi esterni ed interni e si sviluppa su due livelli. Uno sopraelevato più intimo e raccolto,

Gesù e dà la possibilità di un incontro con Dio. Quando lo sguardo dell’artista guida la mano dell’archite o e il sacerdote racconta il senso del messaggio cristiano nascono chiese ancora capaci di suscitare stupore.

Don Andrea Straffi: «Abbiamo collaborato perchè costruire una chiesa non è come realizzare una casa» che volge lo sguardo al paesaggio, l’altro rivolto ad ovest, verso il vulcano e aperto sulla ci à che è delimitato dallo spigolo della chiesa e dal campanile simile ad una lama chiusa che sve a verso il cielo. Quest’ultimo spazio ha cara erizzato il proge o riprendendo il conce o del Sicomoro, la pianta che nel Vangelo perme e a Zaccheo di vedere

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LA MUSICA CHE GUARISCE di Alberto Cima

A colloquio con due specialisti di musicoterapia. L’esperienza e i successi ottenuti nelle corsie di ospedale, in carcere e con i bambini. Lucio Gallo: «È importante anche l’ascolto del silenzio». Isabella Tosca: «Evocare emozioni, immagini e vissuti stimola l’individuo verso nuove conquiste»

ISABELLA T

LUCIO GALLO

OSCA

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L

a “musicoterapia” è una branca specialistica paramedica, della quale si parla sempre più spesso, le cui basi scientifiche, sul piano clinico-terapeutico, sono sufficienti per perme ere di stabilire una chiara metodologia di lavoro e un insieme di tecniche susce ibili di sviluppo. La “musicoterapia”, nella sua applicazione clinica, deve essere esclusivamente praticata da un “musicoterapeuta”. Questa disciplina infa i non si può improvvisare poiché ha tali possibilità di incidenza in profondità che, se praticata da un profano, potrebbe dare facilmente adito a effe i contrapposti agli obie ivi desiderati. Nel contesto della “musicoterapia” propriamente de a si trovano il suono, il rumore, il movimento e tu o ciò che si confà alle terapie non verbali per antonomasia. Questa disciplina può essere vista secondo un duplice aspe o: scientifico o terapeutico. Nel primo caso si occupa dello studio e della ricerca del complesso suono-essere umano (suono musicale o non) con l’obie ivo di ricercare elementi di diagnosi e metodi

terapeutici; nel secondo, invece, utilizza il suono, la musica e il movimento per provocare effe i regressivi e aprire canali di comunicazione con l’obie ivo di a ivare, per loro tramite, il processo di socializzazione e di inserimento sociale. La musica è un’arte completa ed esercita un ruolo importante nella nostra vita quotidiana, facendo appello a tu e le nostre facoltà: “motricità” è sensorialità” per quanto concerne il ritmo e il suono; “affe ività” per ciò che riguarda la melodia

«Credo che la musica riesca ad avere un grande importanza in ambito educativo, formativo e sanitario» e “intelligenza” per quello che si riferisce alla sincronia, all’armonia e alla presa di coscienza del linguaggio musicale. Il “musicoterapeuta” è una figura del nostro tempo e si occupa dei problemi della malattia e degli effetti della musica sull’uomo. Due sono le persone accreditate che occupano questo ruolo a Como e dintorni: Lucio Gallo e Isabella Tosca.

COMPOSITORE. Lucio Gallo opera come musicoterapeuta in numerose realtà ospedaliere. 90 | Mag Marzo 2014 | La musica che guarisce

L U C I O G A L L O , musicoterapista e compositore, è nato a Milano il 22 maggio 1973. Dopo il diploma superiore, o enuto con la massima votazione, ha frequentato corsi di specializzazione approfondendo il rapporto fra musicoterapia, psicoterapia e psicologia. Varie sono le sue ricerche nell’ambito delle medicine e filosofie orientali. Opera in stru ure ospedaliere con realtà differenti: morbo di Alzheimer, realtà psichiatrica, coma, trauma cranico e preparazioni al parto. Lavora in Comunità di recupero per tossicodipendenti e presso la Comunità Carcere di Como. È inoltre docente di musicoterapia nella Scuola di Naturopatia a Bissone (Svizzera). Collabora con varie riviste farmaceutiche. Ha pubblicato il libro “Curarsi con la Musica come e perché”, edito da “Il Caduceo”. Prossimamente (in formato digitale) uscirà il suo nuovo libro dove racconterà come, nonostante e malgrado la mala ia e la perdita della moglie, si possa ancora continuare a vivere in maniera “armonica”. Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il suo sito: www.luciogallo.com. Abbiamo incontrato Lucio Gallo nei giorni scorsi, una persona semplice, umile ed estremamente sensibile. Come è nata in te l’idea di dedicarti anima e corpo alla musicoterapia? Direi sopra u o dalla passione. Amo la musica e a raverso questi studi ho fa o importanti scoperte. La musica, oltre naturalmente a quello artistico, può essere assai utile e importante in vari ambiti: sanitario, educativo e formativo.



In quale ambito preferisci operare? In tu i quelli da me citati. È fondamentale avere a che fare con le persone, gli esseri umani. Quale rapporto esiste fra musicoterapia, psicoterapia e psicologia? Un rapporto molto stre o. Tu e queste discipline vanno a operare a livello psicologico, perciò neurologico. La musica viene considerata l’unica arte che offre la possibilità a entrambe le nostre parti del cervello, quella destra e quella sinistra, di essere stimolate a lavorare di più e meglio. È per quello che opero in stru ure sanitarie dove esistono problemi patologici a livello neurologico; penso al morbo di Alzheimer, alla psichiatria in genere o allo stato vegetativo. La parte destra del cervello è dedicata all’emotività, quella sinistra invece alla razionalità. La musica è l’unica arte che utilizza entrambi gli emisferi. C’è un evento legato alla tua professionalità che ricordi in modo particolare? Ce ne sono tanti. Mi reputo una persona umanamente ricca

e piena di esperienze positive. La musica mi ha dato l’opportunità di conoscere una verità umana, esperienze, sogni e prospe ive talvolta inimmaginabili, pertanto descriverne una in particolare su altre mi sembrerebbe limitativo ed estremamente ridu ivo. Si sente spesso parlare di “crescendo in musica”. Cosa intendi con questo termine? Lo intendo proprio come un accompagnare, prendere per mano l’individuo, indipendentemente dall’età. Questo solitamente è un tema che offro alle scuole e agli asili, ovviamente nel rispe o dell’età in cui vado a operare. È importante prendere per mano i bambini attraverso la musica e far fare a loro un percorso di ascolto e di cultura perché, non dimentichiamolo, la musica è anche e soprattu o cultura. È fondamentale farli vivere in maniera ludica e divertente toccando tu i gli ambiti: musica classica, jazz, rock. A ualmente, negli asili, sto affrontando la lingua inglese a raverso la musica. Faccio questo anche in funzione di crescere a raverso la musica.

«Solitamente il silenzio non viene considerato ma nella realtà il silenzio è importante come un suono» Musicoterapia significa anche curarsi con la musica. Come e perché? Domanda affascinante. Il come, prima di tu o, credo sia nella sogge ività. Se devo dare una chiave un po’ assolutista a questa domanda, utilizzerei il termine “consapevolezza”. Il mio compito di professionista è quello di offrire la consapevolezza dell’ascolto non limitandosi al mondo delle se e note, ma anche all’ascolto del silenzio, della propria voce, ponendo a enzione al tipo di suono che si sta eme endo. Solitamente il silenzio non viene considerato come un suono, ma nel mio modo di proporre anche questo lo è. Il perché è legato al cara ere preventivo e terapeutico-riabilitativo che possiede la musicoterapia. Da un punto di vista umano e professionale, cosa è per te la musica? Magia. Non ho una cultura musicale molto approfondita a livello accademico, ma la mia scelta oggi, a quarant’anni, verte al fa o che mi piace essere stupito. Sono rimasto dentro una sorta di bimbo, al quale piace essere stupito da tu o ciò che c’è in magia. La musica per me, lo so olineo, è magia e il non sapere, sino in fondo, come questa cosa accade mi lascia piacevolmente emozionato. È questo tipo di emozione che desidero portare a raverso la musica.

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I S A B E L L A T O S C A comasca, nasce come danzatrice. Approfondisce studiando con diversi insegnanti europei e americani per poi divenire insegnante e coreografa presentando produzioni proprie in qualità di autrice e danzatrice. Come cantante si appassiona presto alla bossanova, nella quale riconosce da sempre la propria identità sonora. Ha realizzato due cd con il gruppo “O’Pato” e alcune registrazioni come corista; ha partecipato a numerose rassegne Jazz in territorio nazionale. All’a ività concertistica affianca, da diversi anni, quella dida ica sia nel campo musicale sia nella danza ponendo molta a enzione alla complementarietà di queste due discipline, realizza infa i laboratori sull’espressività corporea e vocale in diverse scuole della provincia di Como e in Ticino. Diplomata musicoterapista (ha discusso la tesi “La Musicoterapia in Pediatria”, relatore do . Claudio Bonanomi), lavora presso il reparto di Pediatria dell’Ospedale Sant’Anna di Como (San Fermo). Abbiamo conversato amabilmente con Isabella. È emersa, con semplicità, la sua natura, la sua sensibilità, l’amore per la musica e l’approccio alla socialità. Come è nato in te l’amore per la musicoterapia? Sicuramente è il seguito di un percorso che già avevo iniziato da bambina, forse allora inconsapevolmente. Da piccola volevo fare la ballerina, la cantante e l’infermiera, ma perdevo i sensi alla vista del sangue. La musicoterapia, tu o sommato, è un buon compromesso. L’essere terapista si contrappone e si integra con l’essere animatore, dove terapia e gioco si fondono, sono in stre a connessione con le mie cara eristiche individuali e l’identità musicale acquisita a raverso il mio percorso personale. Sin da piccola giravo sempre per casa saltellando al tempo di una mia musica interiore e, con i primi passi, sperimentavo corse, cadute, movimenti liberi delle braccia, ballavo ovunque

e sempre. Le bambole erano sia il mio pubblico sia il mio corpo di ballo, le costringevo a improbabili coreografie. Da ragazzina cantavo a squarciagola. La tua a ività di musicoterapeuta è rivolta prevalentemente ai fanciulli o agli adulti? La musicoterapia, in generale, può essere indirizzata a diversi ambiti, dalla disabilità negli adulti, nei bambini, ma anche in un discorso preventivo, per esempio nelle scuole. Nel mio caso specifico sto lavorando, da qualche anno, nella Scuola Ospedaliera all’Ospedale Sant’Anna con bambini e ragazzi dai tre ai dicio o anni (praticamente gli utenti della Pediatria, ndr). Durante la se imana ci sono varie a ività, come la pet therapy, la clown terapia e la musica. Su iniziativa sostenuta anche dal primario, do . Longhi, ho fa o per la tesi una ricerca in cui è emerso che ovviamente la paura è il sentimento che prevale quando il bambino è ricoverato. Uno degli obie ivi che mi pongo è quello di fare a ribuire, nonostante tu o, un ricordo positivo a questo tipo di esperienza vissuto dai bambini.

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MUSICOTERAPEUTA Isabella Tosca, inizia l’attività come danzatrice, ora opera anche in strutture sanitarie.

In questi momenti mi è anche capitato di scoprire alcuni piccoli con un talento ritmico e musicale non indifferente in rapporto all’età. Questi potrebbero appunto portare a casa con loro un’opportunità positiva. È ampiamente dimostrato l’effe o terapeutico della musica in ambito fisiologico e psichico. Tale canale viene impiegato in molteplici problematiche come prevenzione, riabilitazione e sostegno. Nei casi di disabilità fisica o psichica favorisce il processo di integrazione spaziale, temporale e sociale dell’individuo a raverso strategie di “armonizzazione dell’handicap”. La musica nel suo duplice cara ere regressivo e progressivo è in grado di evocare emozioni, immagini e vissuti e stimolare l’individuo verso nuove conquiste. Oltre a questa a ività, continui a svolgere quella concertistica. Hai da poco realizzato un nuovo proge o dedicato a Jannacci. Vorresti parlarcene? Il proge o è nato qualche anno fa per mia iniziativa. Con me collaborano Claudio Tuma (chitarra) e Mirco Reggiani (basso). Da sempre nutro una forte passione nei confronti di Jannacci. Il repertorio si adegua alla natura jazzistica e di bossanova e si manifesta con le sonorità proprie di un trio acustico. Nei brani, riarrangiati con il dovuto rispe o, ci sono storie di uomini e donne che cara erizzano un’epoca, storie antiche e a uali che commuovono e che talvolta fanno sorridere. La performance si snoda a raverso un fil rouge (testi di Diego e Isabella Tosca, che si integrano con quelli del grande Enzo Jannacci, ndr) che accompagna gli ascoltatori nel contesto in cui i brani sono stati composti. Cosa è per te la musica? Tecnicamente potrei dire che considero la musica una suc-

cessione di eventi acustici, messi in ordine nel tempo, il cui risultato estetico è un equilibrio dinamico, ma perfe o fra i suoi parametri. Essa ha però un potere evocativo ed è in grado di suscitare dei cambiamenti emotivi. Nei sogge i particolarmente sensibili la percezione del suono, prodo o o ascoltato che sia, a iva abilità sinestesiche legate a immagini e al ta o. Ad esempio io amo allenarmi ad ascoltare la musica con tu o il corpo, sentendo le onde che vanno a sba ere sulla mia pelle o a risuonare nelle cavità ossee dalla testa ai piedi. Personalmente sento la musica come un ambiente in cui immergermi in bagni sonori, ciò ovviamente mi impedisce di rimanere ferma, se sento musica io ballo. La danza d’altronde è Isabella stessa. Cosa ti aspetti, nel futuro, nell’ambito culturale? Difficile dirlo. Personalmente non mi aspe o niente. Preferisco lavorare su me stessa tu i i giorni. Lavoro sulla mia voce, sul mio corpo, ogni giorno senza obie ivi lontani. Si spera che in futuro ci possa essere una maggiore a enzione per la cultura, da parte di tu i. Fra le tue forme espressive, anche se pochi lo sanno, c’è anche la pi ura… Sì. Si può parlare di espressività pura poiché non ho niente alle spalle, non ho tecnica, non ho una scuola. Però ho sempre disegnato abbastanza bene sin da bambina. Dipingendo mi sono resa conto che era un modo come gli altri - come la danza e la musica - per esprimere me stessa e scaricare energia. Fra i miei sogge i preferiti vi sono i corpi e il faro. Quest’ultimo mi dà una sensazione di nido, di calore, di luce. È come essere, alla sera, con la tua famiglia, i bambini e gli amici più cari.

«Io amo allenarmi ad ascoltare la musica con tutto il corpo e se c’è musica danzo»

94 | Mag Marzo 2014 | La musica che guarisce



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ax Chiapponi, come ti sei avvicinato al mondo delle qua ro ruote? In quinta elementare già compravo i giornali sui motori e auto, e a 17 anni facevo già il conto alla rovescia per poter prendere la patente e poi la licenza di pilota rally. A quei tempi abitavo a Livorno e seguivo la Coppa Liburna, che partiva proprio dalla mia ci à fino al Rally dell’Elba facendo parte del Campionato Italiano Rally. Passavo i pomeriggi nelle officine, sicuramente più che sui libri, perché mi piaceva l’aspe o meccanico delle auto, conoscendo e passando del tempo con qualche pilota di rally più grande di me. Con i miei amici si cercava di stare più tempo possibile in macchina, si facevano anche delle gare clandestine dalle nostre parti, le strade di campagna erano deserte di no e.

Quale è stato il tuo primo rally? Ho iniziato a livello dile antistico con amici che condividevano la mia stessa passione, e la macchina era una Fiat 127. Avevamo pa uito di fare una speciale a testa come pilota e copilota, ma dopo qualche speciale capimmo che ero più bravo come copilota che pilota. Non era ancora un lavoro perchè potevo andare solo nel week-end, e salivo a bordo con più piloti possibile per farmi un’esperienza. Quando è diventato per te un lavoro? Probabilmente nel 1978 ho preso maggior convinzione di quello che poteva essere il mio futuro da copilota rally, partecipando già ai campionati di zona, così si chiamavano una volta, dividendo l’Italia in nord, centro e sud, concludendo con una finale. Le auto con le quali correvo in quel periodo erano le Fiat 131 Abarth e Porsche. Mio padre faceva l’informatore farmaceutico, e dopo il liceo non avendo io molta voglia di studiare, mi ha introdo o nel mondo farmaceutico ma non era la mia vera passione, lo facevo solo per mia esigenza perchè come copilota mi pagavano a ge one. Nel 1983 abbandonai la professione e mi dedicai completamente al mondo del rally e il primo vero pilota è stato

96 | Mag Marzo 2014 | Una vita da copilota

Franco Corradin, insieme abbiamo vinto il Campionato Marlboro con la Toyota Celica. Nel 1986 ho firmato il mio primo contra o con la Opel, con la quale avevo collaborato l’anno precedente. Per me fu un vero successo personale. Ho lavorato con loro per due anni e poi sono passato con Ford Italia con il pilota Alessandro Fassina a bordo della Sierra Cosworth gruppo N, vincendo il Campionato Italiano 1990. Erano anni duri perchè si combatteva contro le Lancia Delta, ma eravamo abbastanza competitivi, finivamo sempre al terzo o quarto posto in classifica assoluta. Vincemmo anche il Rally di Sanremo. La partecipazione nel Campionato del Mondo? Fu nel 1991, sempre al fianco di Alessandro Fassina, a bordo di una Toyota Celica GT-Four. Facevamo parte dello sviluppo di Toyota Europe ci spostavamo per i test anche con Carlos Sainz, dovevamo sviluppare la Gruppo A, sia su asfalto che su terra. Avremmo dovuto correre a Sanremo, ma dopo un grave incidente a Carlos, il proge o di sviluppo si fermò e non facemmo più la gara. Nel 1992 abbiamo fa o parte del progetto Mazda Giappone, che comprendeva lo sviluppo dell’auto e la partecipazione al Campionato del Mondo. Correvamo con la 323 Gtx, ma sviluppando la qua ro ruote motrici Gtr per l’anno successivo. Nelle tappe di Acropoli, Portogallo, provavamo la Gtr, con tutti gli ingegneri pronti ad ascoltarci, ma a fine della stagione per alcune incomprensioni con il team lasciai la squadra pur essendo cosciente che sarebbe potuta essere quella vincente. L’anno successivo Fassina vinse il Campionato del mondo proprio con quella macchina. Nel 1993 abbandoni il Campionato del Mondo e ti concentri nell’Europeo. Si, dal 1993 al 1999 ho abbandonato il mondiale e mi sono dedicato all’europeo. Nel 1995 ho vinto il campionato con Enrico Bertone a bordo di una Toyota Grifone e nel 1999 con una Renault Megane.

Hai corso anche con Gigi Galli? Ho corso con Galli nel 1997. Gigi arrivava vi orioso dal Campionato Italiano con Fiat 500, e ha portato la dote Abarth al Jolly Club, io avevo fa o delle gare già con loro e ci hanno voluto insieme per correre. Nel campionato europe non abbiamo o enuto dei grandi risultati. In Belgio ci siamo dovuti accontentare


di Ricky Monti

Max Chiapponi, una carriera sulle macchine da rally. ÂŤHo iniziato a livello dilettantistico e la macchina era una Fiat 127. Al Rally di Monza con Giudici, mi sono trovato il guardrail in macchina, dieci centimetri e non avrei avuto piĂš le gambeÂť Una vita da copilota | Mag Marzo 2014 | 97



di un nono posto, ma fu colpa del fa o che non era ancora abituato a guidare una macchina di Gruppo A, Ford Escort Corsworth. C’era tanta pressione su di lui, perchè si aspe avano grandi prestazioni e in più Galli voleva bruciare le tappe. Ha forzato spesso sull’acceleratore.di conseguenza qualche incidente in più c’è stato. Ricordo la Spagna. Avevamo un vantaggio anche di 3-4 minuti ma si è ro o il motore o in Croazia,proprio mentre eravamo in testa siamo andati a sba ere proprio sull’ultimo tra o di gara. Galli aveva dalla sua sicuramente la capacità di andare veloce, ma a fine stagione, a causa degli incidenti, per colpa anche del suo cara ere un po’ particolare e anche per gli screzi col team, è finita l’avventura. Un altro pilota noto ai comaschi con cui hai corso è Maurizio Verini. Quando andavo da ragazzo a vedere i rally, Verini era tra i miei preferiti, come Munari, Fassina ( il padre di Alessandro), quindi per me è sempre stato un riferimento. Ci siamo incontrati

«Si saliva in macchina alle 6 di mattina e tutto il giorno si rimaneva immersi nel fango e nella nebbia» negli anni del mio inizio carriera e la sua fine carriera. Maurizio era dire ore sportivo quando io correvo nel Campionato Italiano. Quando mi ha chiesto se potevo fare il suo copilota per il Rally di Monte Carlo nel 2011 a bordo di una Lancer Evo X non ho potuto dire di no. Da ragazzo ho sempre sognato di stare sulla sua auto e ricordo anche che di no e lo aspe avo per vedere i suoi fari passare. La cosa più bella, oltre alla gara ovviamente, è stato provare le speciali dove lui correva con la Fiat 131

Abarth e mi raccontava aneddoti unici che io avevo vissuto come spe atore. Nei bar c’erano appese ancora le foto dell’epoca firmate. Per i monegaschi il Rally di Monte Carlo significa poco, ma per gli spe atori dalla prima montagna fino alle Ardeche è una festa continua su ogni tornante e bar. Mi è piaciuto rivivere il fascino del MonteCarlo degli anni in cui correva Verini, più che la prestazione sportiva. Cosa è cambiato in questi anni per il copilota? Non vorrei assolutamente sminuire la figura del copilota dei giorni d’oggi rispe o agli anni se anta e o anta, ma allora il navigatore non doveva solo “accompagnare” il pilota. Doveva anche e sopratu o pianificare la gara e lungo il percorso le assistenze erano libere. Ad esempio, quando ho corso il Campionato del mondo il mio team aveva a disposizione sei furgoni di assistenza, la Lancia ne aveva dicio o, quindi dovevo o imizzare i miei furgoni come se fossero i dicio o di Lancia. Voleva dire

Una vita da copilota | Mag Marzo 2014 | 99


Quali devono essere i punti di forza per un copilota di rally? Prima di tutto devi avere un ottimo feeling con il pilota, ci vuole diplomazia e psicologia. Nei miei anni durante il Campionato del mondo si lavorava fianco a fianco almeno quindici giorni a tappa, dal ma ino presto fino a no e tarda. Su 24 ore passavo 18 ore con lui. Nella mia carriera ho avuto tre piloti con cui ho lavorato tanto, viaggiando in tu o il mondo, e quel feeling che avevo anni fa esiste ancora oggi. Mi sento con loro ancora una volta alla se imana. Per esempio Fassina è stato mio testimone di nozze. Alla fine quando sei dentro l’abitacolo il copilota ha delle responsabilità nei confronti del pilota e viceversa, perchè entrambi possono sbagliare.

E invece i rally rispe o gli ultimi anni? Per esempio nel Campionato del mondo erano solo qua ro tappe, però ogni gara era molto più lunga, dovevi stare in macchina molto tempo, era stancante e dovevi essere preparato fisicamente. Ora le prove speciali possono essere tre, dove però il punto di partenza e di arrivo è più o meno lo stesso; allora si disputavano anche dodici speciali in un giorno e per almeno quattro giorni. Ricordo l’Inghilterra dove si saliva in macchina alle sei del ma ino e per qua ro giorni eravamo immersi nel fango e nebbia, e fidati che dopo qua ro giorni così non vedi l’ora che finisca. Prima magari potevi avere dei vantaggi di minuti, ora puoi giocarti le gare di tre giorni sui decimi, ora le prove speciali sono molto più brevi, questione di decimi.

TROFEI La casa di Max Chiapponi, una collezione di coppe e medaglie accumulate in anni di gloriosa carriera.

che durante le ricognizioni dovevo pensare allo spostamento dei furgoni in base al tracciato. Gli spostamenti potevano sembrare semplici, ma le difficoltà che spesso si creavano potevano farci anche rischiare di non avere l’assistenza. Avere una buona capacità di logistica dunque faceva la differenza tra un bravo e un mediocre copilota. Negli ultimi anni, sembrerà strano, ma è diventato anche molto importante, Il peso fisico del copilota. Ricordo il 2001, quando correvo con Dalla Villa su una Fiat Super1600 col quale ho disputato l’Acropoli, ricordo il Finlandia e l’Inghilterra che erano tu i rally di terra. Per le gare di asfalto, però, il team ha optato per il cambiato di copilota e il motivo stava nel fa o che io pesavo 75 kg e l’altro 55 kg. E il peso faceva la differenza.

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IN GARA. Immagini dall’album dei ricordi del campione Max Chiapponi.

livello gli incidenti sono rari, ma spesso si andava a sba ere durante le prove.

Segui il rally a uale? Molto poco. La macchine più emozionanti? Quella che ricordo con più soddisfazione è La Toyota Celica 185 con la quale ho vinto Catalunya, Campionato Europeo e Campionato Repubblica Ceca. Quella con più affe o, al di là delle performance, è la prima macchina, Fiat 127. Mentre il pilota guidava dovevo tenergli il cambio con la mano sinistra, perchè uscivano le marce. Poi tu e le WRC e in particolare la Subaru. E la Lancia 037? Ho corso con Busseni ed Ercolani, era una gran macchina, un prototipo tubolare leggerissima, una classe B molto potente ma dopo la morte di Henri Toivonen cancellarono la categoria. Erano macchine troppo potenti e nello stesso tempo molto leggere. Le top erano le Delta S4, le Audi 4 ruote motrici. Auto di grande potenza.

Un aneddoto divertente della tua carriera? Scaldando le gomme con Nicola Caldani ricordo che per la velocità mi scivolò la tabella e si infilò nel buco delle cinture so o il sedile. Non c’era lo spazio sufficiente per infilare la mano, e dove i usare l’antenna della radio. Per una stupidata del genere perdemmo qualcosa come 2-3 minuti e arrivammo secondi. La vi oria più bella? Catalunya 1994 con Enrico Bertone. Incidenti? Ne ricordo tre. Il più bru o al Rally di Monza con Giudici. Eravamo in piena velocità e mi sono trovato il guardrail infilato in macchina, dieci centimetri e non avrei avuto più le gambe. In Polonia, Rally Polsky, con Enrico Bertone con una Renault Megane Maxi. Un incidente e mi sono ro o il coccige. Con piloti di alto

Che tipo di copilota sei stato? Ho cercato sempre di essere meno teatrale possibile nella le ura, ma per ogni situazione in pista, per agevolare il pilota occorre cambiare il tono di voce. Non sono mai stato aggressivo e, avendo a che fare con professionisti non è necessario incitare il pilota. Nel 2002 hai lasciato il rally. Sono stato assunto come dire ore sportivo nel Mondiale Prototipi, anche se a fine anno ho fa o ancora una tappa in Nuova Zelanda. Ricordo che ero in Sicilia per partecipare alla Targa Florio e mi ha conta ato un team di Bergamo che voleva prendere parte al Mondiale Endurance, RM, con piloti del calibro di Mauro Baldi, che aveva già vinto due volte la Le Mans, Vincenzo Sospiri e Alex Caffi. Per i due anni seguenti poi ho seguito la parte finanziaria del team. Successivamente ho avuto una squadra in società con Sospriri di Formula 3000. Altro grande impegno è stato quello di seguire Jerome D’Ambrosio fino alla Formula1.

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di Emilio Magni Maggni

“LA RECLÀM DE LA MORT IMPRUVISA” Le ultime giornate erano state così belle e luminose da sembrare quasi un prolungamento dell’estate, tanto che noi del bar della piazza avevamo goduto l’atmosfera vacanziera di quei fortunati giorni seduti ai tavolini all’aperto chiacchierando come al solito di amene cose: quasi come se fosse stato agosto. Improvvisamente però il tempo era cambiato e di colpo si era fa o quasi inverno, con giornate fredde, piene di uggia e pure di quella pioggerellina lenta e persistente che è tipica dei giorni che precedono “i mort”, come si dice tra il popolo la ricorrenza dei defunti e dei santi. Il proprietario del bar dalla piazza ha tolto i tavolini che evidentemente non servivano più e così è passata all’interno del “solito locale” la congrega degli amici che ancora posseggono, nonostante l’età ormai avanzata, la bella tradizione di ritrovarsi, il pomeriggio verso sera al bar. Ma all’interno l’atmosfera non è certamente così gaia, vacanziera, piena di lazzi scherzosi, come quella che avvolgeva, nelle belle giornate, la schiera dei tavolini disposti sulla piazza. Sarà per l’oscurità che cala in fre a e la pioggia ba ente che si vede dai vetri, sarà perché ormai questo “tempo delle castagne” porta sempre un po’ di malinconia sopra u o nelle persone anziane perché in esso vi intravedono i segni della caducità della vita, le discussioni tra gli amici sono sempre un po’ mosce, prive di quegli slanci oratori che erano frequenti nei pomeriggi estivi. Sul teleschermo appeso al muro stava andando in onda la replica di uno di quei tanti programmi in cui sono accanitamente diba uti i grandi temi politici del momento, quando abbiamo assistito alla ina esa e sarcastica performance di uno del gruppo che ha lanciato contro un commentatore forse la più spietata e ca iva delle offese di cui sono a rezzate l’eloquenza e la tradizione del nostro bel diale o

lombardo. Davanti a quella faccia, per la verità un po’ allucinata, pallida e sudata, come se questo commentatore fosse avvolto da troppe angosce, l’amico seduto al bar gli ha gridato questa terribile frase vernacola: «Ma in dué voret andà che te me paret la reclam de la mort impruvisa». La ba uta ha avuto un effe o dirompente anche perché eravamo proprio alla fine di o obre e nell’imminenza della ricorrenza dei santi e dei morti. Evidentemente di parere contrario a quanto quello là, con volto smorto sul teleschermo, stava dicendo e probabilmente non in grado di riba ere a quella profonda e circostanziata diale ica, l’amico è ricorso al più feroce (anche se forse ironico e spiritoso) degli insulti: quello che poggia sui dife i di una persona. Nel mondo contadino e popolare, ma anche tra i ceti alti, la morte improvvisa era uno degli eventi tragici più temuti: una condanna senza a enuanti. Dire poi a uno che addiri ura le fa la pubblicità è il massimo della perversione. Per fortuna che l’altra sera al bar la cosa è stata messa sul ridere. Ma alla fine della fiera, è proprio vero che la televisione è praticamente un ele rodomestico, come il frigorifero, o la lavatrice? Anni fa (parecchi) nel mondo del cinema e del teatro girava un aneddoto che aveva per protagonista nientemeno che il grande Eduardo De Filippo. Sicché, si raccontava, che Eduardo era in casa con alcuni amici, chiacchierando amabilmente del più e del meno. Il grande a ore aveva tu a l’aria di non voler essere disturbato ma improvvisamente ha aperto la porta la collaboratrice domestica la quale rivolgendosi ad Eduardo gli ha annunciato: «Maestro ci sta la televisione al telefono». Allora Eduardo con l’aria seccata ha risposto: «La televisione? Allora passale la lavatrice».

Le parole che non tornano | Mag Marzo 2014 | 105


a cura di Rocco Lettieri

Il festival della “cazoeula”

La seconda edizione organizzata dal Comune di Cantù quest’anno è stata vinta dal ristorante Il Garibaldi

Secondo festival de “La cazoeula” organizato dal Comune di cantù , trofeo che lo scorso anno fu vinto dal ristorante canturino Le Querce. A trionfare in questa seconda edizione della kermesse brianzola, sono stati Alda Zambernardi e Marco Negri del ristorante “Il Garibaldi”. A loro è andato il Trofeo “Cazoeula d’Ora”, consegnato dal sindaco Claudio Bizzozero, che rimarrà esposto nel locale della piazza centrale della ci à per un anno intero, fino alla prossima edizione del fe106 | Mag Marzo 2014 | Eventi

stival. In giuria, tra gli altri, il cantautore laghèe Davide Van De Sfroos, gli chef Maurizio Rosazza Prin e Andrea Marcone i (secondo e terzo classificati a “MasterChef” dello scorso anno), il fotografo de “La Provincia di Como” Carlo Pozzoni, i giornalisti Rocco Lettieri, Alberto Schieppati, Nicola Gini e dal Ticino Giacomo Newlin della TSI. La cazoeula “alla parmigiana” del Garibaldi ha ne amente staccato quelle degli altri ristoranti, salendo sul podio grazie ai 422 punti assegnati


Foto Carlo Pozzoni

Una vita a tutto campo Un libro ricorda Gigi Meroni

dalla giuria. Al secondo posto il Ristorante Le Querce (364 punti), al terzo l’agriturismo L’Urtlan (350). In gara c’erano altri cinque ristoranti di Cantù. «Quando mi hanno telefonato per comunicarmi che avevo vinto – afferma con stupore e orgoglio Alda Zambernardi - non ci credevo: pensavo fosse uno scherzo. Ho appreso la rice a da una donna canturina ultrao antenne: a lei devo i segreti della magica combinazione che mi ha fa o vincere. Ho ascoltato con grande a enzione i suoi consigli, poi naturalmente, con mio marito Marco,

abbiamo rispe osamente e a entamente ‘personalizzato’ la rice a. È un pia o apparentemente semplice da preparare, e invece richiede moltissima dedizione e passione, anche perché ci vogliono qua ro ore per cucinarlo. Il segreto sta, poi, nel far rosolare le costine di maiale separatamente. Ci vuole la massima a enzione per non sbagliare la co ura. Poi tu i gli altri ingredienti vanno cucinati insieme e aggiunti alle costine». Insieme agli chef Alda Zambernardi e Marco Negri lavora a Cantù, il sous-chef di Monticelli Terme (Parma) Alex Agostinelli. Eventi | Mag Marzo 2014 | 107


TUTTI IN FESTA PER IL CARNEVALE DA BREGNANO

DA CANTÙ

108 ||Mag MagMarzo Marzo2014 2014 | Eventi | Titolo articolo


DA VILLA GUARDIA

DA OLGIATE

Titolo articolo Eventi||Mag MagMarzo Marzo2014 2014 | 109


DA FINO MORNASCO

IL CARNEVALE DI SCHIGNANO IN UN LIBRO A Winter’s Tale”, il proge o fotografico di Ma ia Vacca sul Carnevale di Schignano cerca fondi per diventare un libro. «Ho lavorato più di due anni e mi è stato concesso uno straordinario accesso all’intimità di una comunità notoriamente chiusa. Vorrei che il mio lavoro diventasse un libro», racconta il giovane fotografo comasco che ha alle spalle decine di riconoscimenti, anche a livello internazionale. Il libro, per essere pubblicato, utilizza il sistema del crowdfunding, cioè farlo finanziare a chiunque voglia crederci. Tramite il sito, di residenza francese, kisskissbankbank.com è possibile offrire un contribuito al proge o: da 5 a 4.000 euro, dipende da quanto ci si sente coinvolti. E, ovviamente, in cambio si va dalla menzione sul libro a copie su carta speciale in edizione limitata con tanto di maschere delle tradizionali figure del Carnevale più cara eristico del Lario.

110 ||Mag MagMarzo Marzo2014 2014 | Eventi | Titolo articolo


Foto Andrea Butti - Pozzoni

Vestiamo vintage Successo solidale “Vestiamo vintage” e, nel segno della solidarietà, la ci à si è mobilitata. L’iniziativa, ideata e portata al successo da Stefania Bini, porta la firma della classe 1962 de La Stecca che, in collaborazione con le classi 1959, 1961, 1963, ha organizzato nell’ex convento di via Rezzonico una vendita di ogge i, abiti e accessori usati e nuovi completamente donati da privati e da alcuni negozi. “Vestiamo Vintage”, cosi è stato chiamato l’evento, riprende solo uno dei molteplici significati che Vintage racchiude (ogge o o abito che abbia almeno 20 anni,fuori produzione,di manifa ura pregiata,difficile da reperire) cioè la manifa ura pregiata. Due week end di acquisti che hanno permesso di raccogliere circa 4.500 euro che gli organizzatori hanno interamente devoluto per l’acquisto di defibrillatori da donare alle società sportive della provincia. Constatato il successo dell’iniziativa la classe 1962 ha deciso di renderle l’iniziativa un appuntamento annuale e si impegnerà ad arricchirlo sempre più, sopra u o dando uno spazio maggiore all’ogge istica che è stata molto richiesta.

Eventi | Mag Marzo 2014 | 111



di Serena Brivio

Il nuovo Over Coat Illumina la primavera

Trench, giacche da aviatore e mise da lupo di mare trasformano i modelli della tradizione in varianti active la tradizione in varianti active, aderenti alle esigenze dell’uomo d’oggi» spiega Marco Cassina della boutique Peter Ci, nella veste di fashion consultant.

Leggero, corto o lungo, il nuovo over coat illumina la primavera. Grazie a colori dall’eco mari ima. «Trench, giacche da aviatore e mise da lupo di mare trasformano i modelli del-

Il capo antipioggia associa alla sua originale funzione altre possibilità diventando un passepartout valido per ogni look, dal casual al formale. «Il taglio sartoriale predilige il comfort - continua Cassina - fibre e materiali di ultima generazione consentono di chiudere le versioni più techno in piccoli packaging da me ere in valigia e nella borsa da ufficio». Questo grazie ai tagli al laser che riducono gli spessori, ai nylon syperlight come i canvas, i poliesteri waterproof e antivento. «Altro vantaggio offerto dai migliori marchi - evidenzia Cassina - è la reversibilità. Così si duplicano le occasioni d’uso». Cambiano anche i colori: bianco e nero lasciano spazio a blue navy, ardesia, lavagna, khaki, azzurro polvere, grigio, giallo, corallo. I vezzi di stagione? «I profili a contrasto di moda negli anni ’40 - conclude l’esperto- Un de aglio molto ricercato come la cintura in coccodrillo».

Idee (s) fashion| Mag Marzo 2014 | 113


di Carla Colmegna - c.colmegna@laprovincia.it

Dalle farfalle a Cuba I due romanzi di Franco Molteni “Le antenne della farfalla” sono quelle che captano ogni vibrazione, anche la più lieve, come ogni vibrazione emotiva la capta il protagonista del libro che ha scri o l’imprenditore comasco Franco Molteni. Molteni ha voluto me ere tante diverse parti del mondo nel suo romanzo descrivendo le avventure di un bambino che, ad un certo punto della sua vita, si trova a dover fare i conti con una rivelazione straordinaria. Per il piccolo Bruno Jr, per tu i Bri, la vita non sarà più quella di prima,

il sapere ciò che fino a quel momento ignorava gli stravolgerà ogni istante e ogni singola percezione di ciò che gli sta a orno. La vicenda è narrata come fosse un viaggio, che tocca diverse tappe geografiche ed emotive. Non sarà facile scoprire la verità e non solo per le difficoltà ogge ive che questo comporterà, ma anche perché costringerà il protagonista a fare i conti con quello che lo ha sempre reso inquieto, ma al quale non ha saputo mai dare un nome. Ma è sempre Bruno, ma con ben di-

versa personalità e ruolo, ad essere protagonista di un altro romanzo dello stesso autore, stesso anche l’editore, nel quale l’amore, il viaggio, gli affari e la suspance si mischiano in un racconto che sembra non avere fine, tanti gli avvenimenti che vi si affastellano. In “L’uomo che doveva comperare Cuba” l’autore pesca nel mondo, ancora una volta, ma anche in quello dell’economia e della politica e della storia. Un intrigo già arrivato alla seconda edizione.

“Le antenne della farfalla” Franco Molteni Enzo Pifferi Editore, 192 pag. 20 euro

GLI ODESCALCHI A COMO Storia e arte che vale la pena di conoscere per apprezzare ancora di più la propria città. E’ quello che si propone di regalare al lettore il libro promosso dalla Diocesi di Como sulla famiglia Odescalchi, una genia che ebbe tanta parte in città e che promosse il suo sviluppo artistico e sociale. Nel libro vengono indagati i diversi rami della famiglia e le relazioni che vennero strette con il mondo dell’arte. Nel volume prezioso ci sono i contributi di: Saverio Xeres, Paolo Vanoli, Eugenia Bianchi, Martina Dell’Omo, Andrea Bonavita, Marco Leoni, Andrea Straffi, Fabio Bustaffa e Francesco Bustaffa. Gli Odescalchi lasciarono a Como segni tangibili fatti di case, chiese, cappelle e residenze anche fuori dalle mura, ma furono noti anche perché diedero al Vaticano il Papa Innocenzo XI, pontefice dal 1676 al 1689. “Gli Odescalchi a Como e Innocenzo XI” Nodo Libri, 184 pag., 131 illustrazioni, 30 euro

114 | Mag Marzo 2014 | Scaffale

“L’uomo che doveva comperare Cuba” Franco Molteni Enzo Pifferi Editore, 282 pag., 25 euro


di Luca Meneghel

Cammina città Il portale dell’associazione Jubilantes per scoprire angoli nascosti «Se sei un uomo libero, allora sei pronto a me erti in cammino». È una massima del filosofo americano Henry David Thoreau ad aprire il sito CamminaCi à (http://www.camminacitta.it/), realizzato dall’associazione di volontariato culturale Iubilantes. Un portale perfetto per la primavera alle porte, quando torna la voglia di uscire di casa per fare qua ro passi all’aria aperta. L’idea alla base del proge o è semplice: offrire agli utenti - con pagine accessibili anche da smartphone - una serie di itinerari guidati, per scoprire angoli nascosti di Como, Cernobbio, Argegno e Menaggio. Cuore del sito è la sezione Percorsi, da cui si accede alle pagine dedicate alle qua ro ci à. Prendiamo il capoluogo. I percorsi segnalati sono qua ro: dalla Convalle al Monte di Brunate, il Cammino della Se imana Santa, il Cammino di Sant’Eutichio e il Cammino delle Lavandaie. Per ogni itinerario, il sito offre una guida molto de agliata: tempi di percorrenza, lunghezza, difficoltà e ovviamen-

te tu e le nozioni storico-culturali. Non mancano fotografie e approfondimenti specifici sui personaggi che hanno reso grande la ci à e che in qualche modo sono collegati ai punti di interesse del percorso. Molto curioso, tra gli itinerari, è il Cammino di Sant’Eutichio che porta alla scoperta delle colline dove il santo anacoreta - o avo vescovo di Como - amava ritirarsi in preghiera: «La tradizione - si

legge - vuole che egli sia morto proprio in questo luogo, che ben presto divenne meta di pellegrinaggi». Se questa gita prevede sentieri di un certa pendenza, più tranquillo è il Cammino delle Lavandaie che dalla chiesa di San Giuliano conduce alla cappella della Nose a per rievocare «l’antico percorso seguito dai borghigiani di San Giuliano e della Coloniola in segno penitenziale in occasione dei Giubilei e ogni anno in prossimità della festa primaverile di San Marco». Suggestivi sono anche i percorsi pensati da CamminaCi à per i paesi del lago. Ad Argegno è possibile riscoprire l’antica via per Sant’Anna, chiesa seicentesca lungo l’attuale strada per Schignano, mentre a Cernobbio un itinerario ci porta alla scoperta di contadini, artisti e notai nella frazione di Rovenna. A Menaggio, infine, partendo dall’imbarcadero si a raversa il borgo storico per salire nella parte più alta del paese, «compiendo un affascinante giro a orno a quella che doveva essere la gloriosa fortezza distru a nel 1523 dai Grigioni». Se CamminaCi à è una miniera di informazioni pratiche e culturali, la vera sorpresa arriva nell’Area Download. Qui basta un clic per scaricare un’audioguida per ogni percorso in formato mp3: bastano poi due auricolari per girare la ci à e i paesi di lago come se fossimo a una mostra, con una guida personale che ci conduce passo dopo passo alla scoperta di angoli nascosti. Il sito - patrocinato da Regione Lombardia e Provincia di Como, sostenuto dalla Fondazione Provinciale della Comunità Comasca e dal Centro servizi per il volontariato - vede la stre a collaborazione dell’Unione italiana ciechi e ipoveden-

tenti. Non a caso, per ogni percorso, vengono fornite informazioni de agliate sull’accessibilità dell’itinerario per persone con disabilità fisiche. “Grazie a questo portale - osserva Daniele Rigoldi, presidente provinciale dell’Unione ciechi - le due C di Cammino e Cultura accompagnano anche i disabili alla scoperta del nostro patrimonio artistico e naturale”. La sfida, insomma, non è solo promuovere la riscoperta del nostro territorio, ma anche favorire un turismo sostenibile e accessibile a tu i.

SEGNALAZIONI CLUB AMICI DEL BARADELLO www.amicidelbaradello.it L’associazione che cura la conservazione del castello comasco LAGO DI COMO E LUGANO www.lagodicomoelugano.com/it Il sito turistico ufficiale delle valli del Lario e del Ceresio MONTEPIATTO www.montepiatto.it/index.htm Alla scoperta delle località montane sopra Torno Hai un sito dedicato a Como, al Lario e al territorio circostante? Vuoi segnalare un blog ai lettori del MAG? Scrivi una mail all’indirizzo navigazionilariane@yahoo.it.

Navigazioni lariane | Mag Marzo 2014 | 115


di Bernardino Marinoni

Anatomia di un’emergenza C’è un dichiarato riferimento nella realizzazione di “118-Anatomia di un’emergenza”, il documentario dedicato al sistema di soccorso sanitario comasco, ed è “Hospital” (1970) che Frederick Wiseman ha girato nel New York Metropolitan Hospital: cinema verità per rappresentare semplicemente una realtà invece complessa e delicata. Come è quella del 118: la troupe di studenti - dodici - della Scuola di cinema di Milano ha trascorso se imane condividendo la quotidianità degli adde i - medici e personale infermieristico, autisti e volontari - per registrarne l’opera senza la minima messinscena. Ore e ore di una cronaca le cui procedure sono codificate, ma all’interno di un rapporto quanto mai umano, corporale, trasferito e filtrato, secondo la lezione di Wiseman, in sala di montaggio. Dalla gestazione alla moviola emerge la verità dinamica del pronto soccorso: non un’inquadratura che suoni falsa, non un primo piano interpretato. La vivisezione del 118 comasco ha un polo naturale nella base dell’eliambulanza, a Villaguardia, in relazione dire a con l’ospedale Sant’Anna: l’orologio che talvolta viene inquadrato appare senza tempo nell’incessante operosità affrancata però dalla

frenesia delle serie televisive ospedaliere, spe acolare e irrealistica. “118-Anatomia di un’emergenza” non occulta la propria funzione pedagogica, ma è proprio in forza del realismo - 40 minuti di proiezione lungo i quali passano no i e giorni - esprime la vitalità del pronto soccorso. L’impressione che il documentario trasme e - che i soccorritori parteggino proprio, diciamo, per infortunati e ammalati - appare in tu a la sua autenticità nelle riprese effe uate dentro

le sale del pronto soccorso: il montaggio ne esprime tecnica e umanità, nervi saldi e competenza. Cinema verità, si è de o. Perciò non un commento, non una didascalia, nessuna so olineatura musicale. Voci e rumori sono esclusivamente quelli che risuonano dalla centrale operativa che raccoglie gli appelli di pronto intervento all’auto medica: comunicazio-

LA GENTE CHE STA BENE Il Casinò Campione d’Italia firma i titoli di testa di “La gente che sta bene”, il film di Francesco Patierno con Claudio Bisio e Margherita Buy tra gli interpreti, confermando la fruttuosa attenzione che la casa da gioco dedica alle operazioni di tax credit esterno, forma di finanziamento sempre più strategica per il cinema italiano, che ne stanno facendo una presenza consolidata nelle produzioni cinematografiche. E’ infatti realizzato in associazione con il Casinò campionese “La sedia della felicità” dello scomparso Carlo Mazzacurati, che l’aveva presentato in anteprima al passato Festival di Torino, e che si aggiunge ad una varietà di titoli, dal “Principe abusivo” di Alessandro Siani a “Romanzo di una strage” (2011) di Marco Tullio Giordana, nonché alla commedia “Buongiorno papà” di Edoardo Leo, dove il Casinò è addirittura un’azienda “placed” nel film: vi compare in fotografia.

116 | Mag Marzo 2014 | Grande schermo

ni via radio, sirena spiegata, ma senza enfasi e invece con il pragmatismo di chi corre contro il tempo, in presa diretta, seguendo il percorso di più chiamate e di differenti equipaggi. Le riprese sono tu e sulla prima linea del pronto soccorso, ma ogni sensazionalismo è bandito dal documentario che dagli operatori sanitari mutua una pressione sempre controllata proprio perché la situazione d’emergenza è perenne. Il lavoro di regia - firmata da Leonardo Fallucca - è asciu o, il montaggio – di Giulia Peruzzo i e Riccardo Ramazzo i – lo distilla fino all’essenziale: non potrebbe essere meglio rappresentata una realtà che con la fiction ospedaliera ha poco o punto da spartire. E’ colta infa i dal suo interno, massimamente rispettosa dei pazienti, ma presente di là del verosimile a orno a loro. Insomma, tutto quello che si vede in “118-Anatomia di un’emergenza” è vero e non solo perché si riconosce qualche ambiente di ripresa esterno, si accede alla base di Villaguardia, si oltrepassano altre soglie nosocomiali. Del resto alla squadra della Scuola di cinema è stato consentito di salire sull’ambulanza, di seguire un trasbordo via aerea; e a merito dei giovani cineoperatori va ascri a una sorta di mimetismo in virtù del quale nelle astanterie del pronto soccorso ospedaliero il loro sguardo si fonde con quello dei sanitari. Anche per questo è assolutamente naturale il succedersi delle azioni che compiono: come se ciascuno di loro fosse gratificato di un fisico del ruolo che si spiega solo con la vocazione, indispensabile per lavorare dalle parti del 118. Allora si concede volentieri al documentario quel titolo - “Anatomia di un’emergenza” - che trasme e le immagini di un modello di esemplare efficienza quando la salute è in imminente pericolo.


di Marinella Meroni

I super poteri del gatto Un cervello più evoluto È ancora credenza comune che i ga i siano opportunisti, solitari e poco dotati, in realtà sono animali sensibili, che mostrano affe o profondo per le persone che amano e sono molto intelligenti. Addiri ura una nuova ricerca, pubblicata sul New Scientist, dimostra che il loro cervello sarebbe più evoluto di quello dei cani in quanto, sebbene sia più piccolo, possiede il doppio dei neuroni rispe o a Fido. I neuroni sono le cellule che costituiscono la base del sistema nervoso in grado di ricevere, integrare e trasme ere impulsi nervosi, di conseguenza aumentano le capacità di elaborare informazioni. Ma non è finita qui, la ricerca ha scoperto che la mente del ga o è molto simile a quella umana sia per stru ura e funzione, e per certi aspe i compete con la nostra e a volte la supera. Benché il nostro cervello sia più grande (1.400 grammi) rispe o a quello di un micio (30 grammi), gran parte dei processi cognitivi sono comuni, come il sistema limbico che è formato da stru ure cerebrali che svolgono varie funzioni tra cui quelle dell’ emotività, del comportamento e della memoria a breve termine. Molte persone pensano che i mici siano imperturbabili e poco emotivi, invece, proprio grazie al sistema limbico, hanno le stesse emozioni di rabbia, simpatia, antipatia o tenerezza che hanno gli uomini. Non solo, i “tigro i ci adini” sono dotati di o ima memoria grazie ai due ippocampi posti su entrambi i lati del cervello, proprio come l’uomo (e altri mammiferi). Il loro ippocampo è più piccolo rispe o al nostro, ma un ga o è comunque in grado di ricordare bene e associare persone, luoghi e cose, proprio come facciamo noi. La loro capacità di riconoscere un viso, di recuperarlo nella memoria selezionando tu i volti delle persone conosciute nel tempo, è risultata 83 volte più veloce di quella di un computer, tanto che gli scienziati dell’università del Michigan hanno cominciato a studiare il cervello felino per realizzare un programma per computer in grado di riconoscere i volti umani ad una velocità superiore. Tra i ricercatori dell’università americana il professore Wei Lu, ha già iniziato a proge are un computer improntato sullo schema del cervello dei ga i, dichiarando : «Stiamo costruendo un computer nello stesso modo in cui la natura crea un cervello, ma utilizzando un paradigma completamente diverso da quelli usati finora nei computer tradizionali. Il cervello del ga o è un obie ivo realistico, perché stru urato in modo molto più semplice rispe o a quello umano e al tempo stesso dotato di capacità eccezionali, come quella di comunicare». Dagli studi è infa i emerso che sarebbe più facile comunicare con un micio anziché con il cane poiché pare che il proprietario comprenda prima il suo linguaggio, fa o da suoni differenti, più o meno lunghi a seconda della situazione, e dalle movenze del corpo, riuscendo addiri ura ad intavolare una vera e propria conversazione. A loro volta, i felini manifestano di avere elevate doti di apprendimento verso l’uomo. E per finire si potrebbe dire che i ga i sono più “ambientalisti” dei cani, in quanto la porzione di terra necessaria per nutrire un cane di taglia media è 0,84 e ari, per un cagnolino è 0,28 e ari, mentre quella per Felix è di solo 0,15 e ari. E poi avere un ga o in casa è un valido rimedio contro stress, ansia, depressione e in casi d’insonnia la sua vicinanza è uno dei più potenti sonniferi naturali, ma come ogni creatura possiede un cara ere che va compreso e rispe ato.



di Rocco Lettieri

La nuova sfida di Inarca Da trattoria a cucina moderna che interpreta la tradizione Da tra oria, piccolo rifugio sulle alture sopra il lago di Pusiano, a locale di livello. É una piacevole metamorfosi quella che ha vissuto in un paio d’anni questo posto, condo o con ammirevole dedizione dalla famiglia Colombo. Accanto all’edificio che accoglieva la vecchia sede sono stati creati ambienti disparati, dalla sala da pranzo concepita secondo i canoni della bioedilizia, ad ambienti ricavati dalla stru ura di origine medioevale, senza dimenticare la pregevole terrazza estiva capace di far spaziare lo sguardo dalla Brianza a Milano. La cucina reinterpreta la tradizione (del territorio e del lago) in chiave moderna e arricchita da un’ampia selezione di vini. Pani, focacce e grissini, tu i fa i in casa come anche la pasta e dolci. Due validi menu degustazione da 35 euro e 25 euro, dove il cliente può costruirsi il suo menu scegliendo dai pia i elencati alla carta, pietanze vegetariane, pizze a lievitazione naturale e diversi assaggi in stile tapas per gli amanti dell’aperitivo. Un locale polivalente in grado di fornire spazi ritagliati su misura per le necessità di ogni clientela: gustare i menu nel rispe o della privacy, festeggiare matrimoni, ospitare eventi privati, aziendali e meeeting. Dal 1989 è presente nella guida Osterie d’Italia edita da Slow Food e nel 2014 o iene 77 punti sulla guida Ristoranti del Gambero Rosso. Il Ristorante Inarca è situato sopra un colle in località Proserpio, a pochi passi del Parco Naturale del Lago del Segrino, a 10 min. da Erba. RISTORANTE INARCA Via Inarca, 16 22030 Proserpio (CO) Tel. 031 620424 info@ristoranteinarca.it www.ristoranteinarca.it

TAGLIOLINI FRESCHI FATTI IN CASA, MISSOLTINO, ZUCCHINE E LIMONE Ricetta per 4 persone Ingredienti per la pasta fresca 240 grammi di farina 00 160 grammi di farina di semola 160 grammi di tuorlo d’uovo 1 uovo intero

Ingredienti per il condimento 2 zucchine (meglio se piccole) 2 missoltini 1 cucchiaio di aceto di vino rosso q.b. olio q.b. sale scorza di limone bio non trattato

Procedimento: Stendere la farina a fontana, mettere le uova all’interno, impastare fino a che non risulti un impasto liscio ed omogeneo. Riposare per 2 ore circa. Tirare l’impasto con la macchina per la pasta e tagliarlo a classica forma dei tagliolini. Lasciare asciugare per qualche minuto. Mettere una padella sul fuoco con un filo di Olio Extra Vergine del Lago di Como, adagiare i missoltini e farli colorare, sfumare con l’aceto di vino, togliere i missoltini e deliscarli. Frullare i filetti di un missoltino con l’olio formando una crema. Lavare e tagliare le zucchine e rondelle, farle rosolare nella padella di cottura dei missoltini, aggiungere la pasta precedentemente cotta in acqua bollente, aggiungere la crema di missoltino, i filetti di missoltino puliti, un poco d’ acqua di cottura ed amalgamare il tutto, ultimare con una grattata di scorza di limone. Impiattare e mangiare. Abbinamento vino consigliato: Terre Lariane IGT Solesta 2011 Az. Agr. La Costa (100% Riesling).

I consigli dello chef| Mag Marzo 2014 | 119


di Pietro Cantone

«Dottore... il mio bambino fischia!» Come affrontare e risolvere il problema del respiro sibilante in età prescolare È frequente che in età prescolare si presenti respiro sibilante, sopra u o in corso di forme da “raffreddamento”. Tale condizione, definita anche “bronchite asmatiforme”, “broncospasmo” o “asma”, rappresenta una preoccupazione per i genitori che, spaventati dal timore che questa “asma” possa essere persistente per tu a la vita, ricorrono al pediatra allergologo. Per fortuna i 2/3 dei bambini hanno wheezing (respiro sibilante) ricorrente ma transitorio e che scompare prima dell’età scolare. Sono bambini con rido e dimensioni delle vie respiratorie che presentano il respiro sibilante solo nel corso d’infezioni virali quando l’infezione stessa restringe ulteriormente i bronchi. Questi bambini presentano wheezing precocemente ma, dopo i 3-4 anni, non hanno più asma. Col tempo, in pratica, il calibro bronchiale aumenta e l’asma scompare. Purtroppo 1/3 dei bambini che ha wheezing nei primi anni di vita continua a presentarlo anche dopi i sei anni. I fa ori di rischio in questo caso sono: avere la madre asmatica; essere atopici; presentare test allergici positivi; avere la dermatite atopica o una rinite allergica o essere esposti al fumo passivo. L’allergia all’uovo per esempio è un importante fa ore predi ivo di persistenza dell’asma; viceversa la sensibilizzazione all’acaro della polvere domestica non è frequente nel primo anno di vita: solo l’1 % dei bambini con wheezing nel primo anno di vita è sensibilizzato all’acaro mentre la sensibilizzazione avviene general-

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mente all’età di 3 anni. Cosa fare? La decisione di iniziare una profilassi farmacologica per questi piccoli pazienti con wheezing ricorrente deve basarsi sulla frequenza e la gravità degli episodi. Se le ricadute sono più frequenti di ogni 4-6 se imane o se hanno condo o a un accesso al Pronto Soccorso o al ricovero, si deve prendere in considerazione la profilassi farmacologica. I bambini già allergici o ad alto rischio di sviluppare allergia e/o con dermatite atopica e/o madre allergica vanno dunque considerati asmatici e tra ati con cicli di antinfiammatori. Il trattamento deve essere precoce per evitare che si verifichino nei bronchi quelle alterazioni anatomiche persistenti che possono comprome ere, anche nel futuro, la funzione respiratoria; si possono utilizzare cortisonici per via inalatoria a basso dosaggio con i “distanziatori” anche nei più piccoli o farmaci antinfiammatori, come gli antileucotrieni, per via orale. I bambini con bronchite asmatiforme in corso di virosi che non sono veri asmatici rispondono meno al tra amento di fondo. In questi bambini il tra amento di fondo previene meno le riacutizzazioni. In essi può essere più utile usare i cortisonici inalatori con il distanziatore ad alti dosaggi al momento dell’inizio dell’infezione

Dott. Pietro Cantone

virale per 10 giorni e eventualmente associare un’antileucotrienico (Montelukast) in caso di ricadute frequenti o particolarmente impegnative. In ogni caso si deve proibire il fumo di sigare e in casa e ridurre la frequenza dell’asilo nido per il ruolo delle infezioni virali nello scatenamento del wheezing. Consigliata la profilassi antiacaro: nel bambino atopico per il fa o stesso di essere tale e talora sensibilizzato agli acari, per il non atopico perché il conta o con esso, anche al di fuori di uno stato di allergia, aumenta la frequenza e la intensità dei sintomi.

dottorpcantone@gmail.com

Medico Chirurgo, Specializzato in Pediatria e Puericoltura ed in Immuno-Allergologia Responsabile dell’Ambulatorio di Allergo-Immuno-Pneumologia Pediatrica Azienda Ospedaliera S.Anna-Como



di Tiziano Testori

«Ma un impianto può durare tutta la vita?» La prevenzione e il corretto trattamento delle patologie sono strumenti fondamentali per garantire la salute orale La mission di un Odontoiatra è il mantenimento o il ripristino delle condizioni di salute del cavo orale e della dentizione. Ne consegue che la prevenzione e il corre o tra amento delle patologie che affliggono i denti (carie), le gengive e l’osso di supporto del dente (mala ia parodontale) rappresentano ancora due strumenti fondamentali per garantire la salute orale dei nostri pazienti. Gli impianti sono una fantastica soluzione terapeutica sopra u o per i pazienti che hanno perso tu i i denti; per i pazienti che ancora hanno i denti rappresentano una soluzione terapeutica quando i denti non sono più recuperabili o non hanno una prognosi fausta (che in medicina significa: non dureranno a lungo!). Ricordo che le protesi fisse, i ponti per intenderci, dovrebbero durare intorno ai 10/12 anni, è infa i questa la durata considerata normale dai medici legali in corso di cause medico-legali. Per cui se ne deduce che quando si proge a un ponte fisso su denti naturali bisognerebbe fare una previsione della durata (superiore a 10 anni) dei pilastri protesici su cui si cementerà la futura protesi fissa. Questo percorso si chiama valutazione dei fa ori di rischio e dovrebbe far parte integrante della diagnosi e del piano di tra amento. Non è più acce abile dire ad un pazien-

Prof. Tiziano Testori www.tizianotestori.eu Professore a contratto Università degli Studi di Milano

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te: proviamo e vediamo cosa succede; questo a eggiamento ha portato all’aumento del contenzioso che già in tempi di crisi aumenta fisiologicamente. Per cui alla domanda «Quanto durerà un impianto?» la risposta è: dipende dalla valutazione dei fa ori di rischio di ogni singolo paziente. Per fornire degli esempi concreti: se un paziente è affe o da mala ia parodontale (piorrea) è assolutamente necessario curare la mala ia parodontale prima, per due ordini di motivi, la susce ibilità e i fa ori di rischio della mala ia parodontale che sono gli stessi della perimplantite (la piorrea degli impianti). Per cui se il paziente non è curato prima come si sono ammalati i denti di piorrea così si ammaleranno gli impianti di perimplantite. Il mantenimento professionale a raverso sedute di igiene, visite e controlli radiografici periodici è un fa ore fondamentale per il successo degli impianti a lungo termine e quindi della protesi fissa cementata sugli impianti. Alcune patologie sistemiche (mala ie come il diabete ed altre) sono fa ori di rischio e si devono considerare prima

di proporre ai pazienti un tra amento implantare. Con il mio gruppo universitario abbiamo sviluppato un algoritmo decisionale che perme e di individualizzare i fa ori di rischio del tra amento implantare che insieme ad uno scrupoloso mantenimento igienico-professionale dopo l’implantologia sono la chiave del successo a lungo termine.


di Franco Brenna

I tumori del cavo orale, un’insidia da non sottovalutare Tutti i consigli per prevenire ed evitare l’insorgere di malattie La delagazione comasca della Fondazione Umberto Veronesi « Mi faccia vedere la lingua!». Insieme al classicissimo «Dica 33!» sono stati per anni gli ordini perentori di tu i i Do ori di famiglia all’a o della visita medica. E’ vero, la storia è cambiata, si osservava la lingua per vedere come funzionava l’apparato digerente o addiri ura il fegato…cose del passato ma, come in tu e le “vecchie cose”, il sale della saggezza era sovente a portata di mano. La lingua, ad esempio, proprio perché coinvolta in tu e le nostre manovre di osservazione, è un organo assolutamente da non so ovalutare e da rispe are: sia da parte dei Dentisti che dei Pazienti. Guardatevi la lingua dunque, guardiamo la lingua di chi stiamo curando, e non solo quella. Tu a la cavità orale, antro che ospita le “sacre zanne”, può nascondere insidie e, da parte del Dentista, deve essere svolta quell’importantissima azione della Prevenzione Precoce dei Tumori della Cavità Orale che, a raverso anche queste poche e scarne note, potrete fare anche voi, da casa, osservandovi meglio e seguendo le classiche e ormai note regole degli Stili di Vita Corre i.

1- Osserviamo dunque la lingua nella sua superficie più visibile e sopra u o nelle porzioni laterali aiutandoci con una fazzole o o una garza puliti per estrofle ere la stessa ed o enere una visione più accurata. Macchie bianche e persistenti sulle parti laterali sono indici sospe i, ulcere rosse e dolenti pure. Sopra u o se siete fumatori! 2- Guardiamoci attentamente le guance nella loro parte interna: anche qui, se notiamo macchie bianche persistenti (di solito non sono fastidiose) chiediamo un parere allo Specialista (Dentista e/o Chirurgo Maxillo Facciale). Anche le ulcere o le afte (molto dolorose ma “transitano” in 7-9 giorni) meritano un controllo. In entrambe le situazioni…il controllo diventa obbligatorio se siete fumatori! 3- Facciamoci guardare il palato per osservare se compaiono piccoli punti che si ingrossano: potrebbero essere le ghiandole salivari minori che aumentano di volume per diventare come capocchie di spillo, bianche. Sono piccoli campanelli d’allarme. Sopra u o se siete fumatori! 4- Osserviamo eventuali tumefazioni e o sanguinamenti – persistenti- intorno a denti e gengive. Potrebbero destare sospe i e richiedere maggiori approfondimenti. Sopra u o se siete fumatori! 5- Controllate, se siete portatori di protesi rimovibili, che queste ultime siano sempre precise e che non creiDOTT. FRANCO BRENNA

no a rito o abrasioni sulle mucose. Lo sfregamento prolungato potrebbe dare lo stimolo alle cellule traumatizzate per virare in senso neoplastico (tumorale). Sopra u o se siete fumatori! 6- Nel dubbio, ricorrete sempre allo Specialista. Pochi giorni or sono, a Como, è stata presentata la nuova Delegazione comasca della Fondazione U.Veronesi (www.fondazioneveronesi.it ). Responsabile locale è stata nominata Francesca Ruffini, donna impegnata su più versanti per il sociale e il bene degli altri. Per il nostro territorio sarà sicuramente un’opportunità in più dove poter essere maggiormente coinvolti in percorsi dedicati alla Prevenzione, al Benessere, e al miglioramento della Qualità della Vita a raverso una più a enta informazione nella quale l’obie ivo centrale è il ci adino – non ancora il paziente – di qualsiasi età e sesso esso sia. Un’iniziativa di grande bellezza. Impariamo a sentirci, viviamo con regole e stili semplici, più consoni alla salute del nostro corpo. Dedichiamo miglior tempo a noi stessi nel rispe o dei nostri organi e della nostra mente.

francobrenna@frabre.it

Medico Chirurgo, Specialista in Odontostomatologia. Professore a Contratto presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Libero Professionista in Como

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di Eugenio Gandolfi

Il nuovo sito della scienza che crea la bellezza

Chi mi segue da tempo anche su Internet, saprà quanta importanza io a ribuisca a questo mezzo di comunicazione, ideale per un primo approccio rapido ed efficace con un pubblico – come quello interessato alla medicina della bellezza – che aspira a un’informazione sempre aggiornata ma, al tempo stesso, seria e autorevole. A conferma di questa mia convinzione, vorrei presentarvi www.academiadayclinic.ch, il nuovo sito di Academia Day Clinic, la stru ura di Chiasso in cui opero insieme al do or Forte e a un’équipe di specialisti che è ormai una realtà consolidata. Con il nuovo sito, Academia Day Clinic, oltre che essere a pochi metri dal confine italiano, è da oggi anche sui tablet, sugli smartphone e sui computer a portata di “click” da parte di una clientela internazionale molto attratta dalla qualità, dal servizio, dall’innovazione, dalla competenza e dall’ascolto. Insisto sull’ascolto, perché credo che sia un elemento molto importante nel mio personale stile di approccio e

nella filosofia di Academia Day Clinic. Noi ascoltiamo le nostre pazienti. Vogliamo capire veramente quali sono i loro desideri e le loro aspe ative. Perché siamo convinti che sia l’unica strada per offrire le soluzioni di bellezza migliori sia dal punto di vista medico, sia da quello estetico. E, proprio in quest’o ica di ascolto e di disponibilità, abbiamo creato un sito facilmente navigabile, in grado di dare immediatamente risposte alle domande delle persone che sentono un’esigenza estetica e di benessere. Navigando, troverete in primo piano i nostri qua ro reparti: chirurgia estetica, medicina estetica, medicina antiaging, cosmetologia. Al loro interno, abbiamo indicato le metodiche e i tra amenti, partendo dalle aree del corpo e dai problemi che ognuno percepisce su di sé. È il modo migliore per orientarsi. Per esempio se una paziente ci consulta perché vuole intervenire sui glutei, con due “click”, è già sulla pagina in cui le spieghiamo le varie metodiche,

i risultati o enibili e anche, orientativamente, il prezzo dell’intervento. Ma non basta. Sempre per offrire l’informazione più completa possibile c’è una sezione video che abbiamo chiamato “Le nostre video-risposte alle vostre domande” in cui, con qualcosa come un centinaio di video, cerchiamo di rispondere a gran parte delle domande più frequenti - ma anche più importanti - che una paziente può farci. Anche questo è un patrimonio di informazioni che continueremo ad accrescere, con nuovi video che riguarderanno tutti gli aspetti delle nostre a ività e con altri dati. Ci sarebbero molte altre cose da dire, non ultima che si tra a di un sito che abbiamo curato anche dal punto di vista estetico, bello da vedere (non perdetevi, per esempio, le panoramiche a 360° dei vari ambienti) oltre che facile da consultare, ma non voglio togliere a chi vorrà visitare il sito il piacere di scoprirlo a mano a mano. Concludo ricordando che, con il lancio del sito, abbiamo anche a ivato un centralino a vostra disposizione 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Potete chiamarci sempre, e in ogni momento troverete una persona affabile e cortese a ricevere la vostra chiamata. Un ulteriore segno di disponibilità e di rispe o nei confronti di tu i coloro che chiedono la nostra consulenza. A presto!

ACADEMIA DAY CLINIC, IL LUOGO IN CUI LA SCIENZA PROTEGGE Cura e ricrea la vostra bellezza, con e senza bisturi e con risultati sempre naturali è a Chiasso, nel Quartiere Arcadia, in via Livio 20, tel: +41(0)91 682 62 62. Tel. dall’Italia (+39) 031 5476856. E da oggi, con il nuovo sito, anche su Internet, all’indirizzo www.academiadayclinic.ch

Il bello della salute| Mag Marzo 2014 | 125


di Alessandra Uboldi ARIETE 21 MARZO - 20 APRILE Ciò che rimarrà ancora insoddisfacente sarà il lavoro dove vi sentirete bersagliati e sprovveduti con un Giove dissonante che deprimerà ancora di più. Cercate appoggi con Toro e Sagittario mentre l’intesa con Cancro e Bilancia sarà un po’ difficile. Fisicamente vi sentite meno vigorosi ed energici, meno briosi e entusiasti con poca voglia di applicarvi anche nello sport. Evitate troppa pigrizia che vi appesantirebbe fisicamente e attendete pianeti più amici. TORO 21 APRILE - 20 MAGGIO Gli incagli sul lavoro, soliti e ripetitivi, vi sembreranno ostacoli insuperabili ma dovrete armarvi di resistenza e pazienza e sbaragliare nemici e impedimenti. Con i colleghi vi sarà una buona intesa soprattutto con Scorpione e Sagittario e meno con Leone e Acquario e state attenti ai superiori di questi segni. La quadratura di Venere con l’opposizione di Saturno, porterà un riacutizzarsi di disturbi cronici per cui non sarete al top fisico ma pieni di grinta psicologicamente. Preparatevi a un ritorno di energie con camminate quiete poco impegnative magari in città. GEMELLI 21 MAGGIO - 21 GIUGNO Avrete sintonia col partner, desideri nuovi e impensati prima. Vi sembrerà di non aver mai vissuto così intensamente con idee fresche che vi renderanno persona gradita ovunque. Pronti a nuove avventure professionali non vi farete spaventare né dai tempi né dagli obbiettivi impedimenti andando dritti allo scopo ed ottenendo i risultati che si concedono agli audaci. Dopo la metà del mese, il passaggio di Mercurio in quadratura consiglia più prudenza. Naturalmente anche la salute avrà una sferzata di energia, di verve, spirito di iniziativa. Sarete solari e meno nervosi, più disponibili. Concedetevi un po’ di relax con buone letture o una passeggiata sui nostri monti (pioggia permettendo). CANCRO 22 GIUGNO - 22 LUGLIO Con Marte in quadratura è difficile pensare a cambiamenti di rilievo e i vostri buoni propositi di miglioramenti dovranno attendere dopo il 18/3 quando Mercurio sarà in trigono portando tempismo e sagacia. Chiedete aiuto ai colleghi di Vergine e Acquario che vi consiglieranno al meglio ed evitate Ariete e Pesci ma non evitate di parlare con loro. La vitalità non è al massimo come da un po’ di tempo per la dissonanza di Marte. Comunque dal 6/3 Venere smetterà di bersagliarvi con miglioramento dello stato fisico favorito anche da Giove in congiunzione e poi, da metà mese anche Mercurio vi indicherà le frequentazioni,gli amici, o brevi viaggi che anticipano la primavera. LEONE 23 LUGLIO - 23 AGOSTO Avere Marte nel segno del Leone significa scateLa routine di coppia non è comunque una vostra priorità e questo è proprio un periodo in cui i rapporti stantii sono in pericolo. Chi cerca il pericolo lo trova e così è anche per

126 | Mag Marzo 2014 | Oroscopo

voi in questo mese pure nel campo lavorativo perché impulsività, imprudenza, intransigenza non sono buoni consiglieri danneggiano la razionalità e il buon risultato delle iniziative. Chi vi sa calmare e dare relax sono Gemelli e Bilancia con cui precedentemente avete avuto scontri ma evitate Toro e Capricorno che temono i vostri atteggiamenti decisi e intransigenti. Energia e desiderio di rinnovamento con l’arrivo della primavera con fitness, sport soprattutto all’aperto con sovraccarico di energie spese che andrebbero reintegrate con un po’ di relax e di buone letture. VERGINE 24 AGOSTO - 22 SETTEMBRE Anche per voi un mese spezzato in due: fino alla prima metà Mercurio vi garantisce aiuto e poi vi lascia per andare all’opposizione favorendo incertezza, passi falsi e facendovi rifugiare nella tranquillità affettiva come antidoto a vari inciampi. La vita sentimentale è ricca di spunti solo se evitate di cadere nella routine poiché avete una buona disposizione anche alla passione per il vostro partner. Sul lavoro dovete tener conto delle opportunità dell’inizio mese perché poi le capacità di comunicazione e i rapporti col mondo del lavoro saranno offuscati dall’opposizione di Mercurio che renderà lo svolgimento delle vostre mansioni faticoso e il rapporto col mondo delle finanze arduo e pieno di insidie. BILANCIA 23 SETTEMBRE - 22 OTTOBRE L’amore la fa da padrone sia con legami già consolidati ma pure con nuovi rapporti. Anche sul lavoro avrete energie in eccesso tanto da farvi consigliare la calma dai vostri colleghi ma né le difficoltà, né i rischi vi spaventeranno sostenuti come siete dal pianeta rosso. Questo fino al 18: poi l’attenzione dovrà essere più vigile. I vostri collaboratori dei Pesci e del Leone saranno ammirati e vi doneranno consigli mentre più contrastati saranno i rapporti con Ariete e Scorpione. Col buonumore anche il fisico naviga a gonfie vele ma un po’ di riposo sarebbe utile per cui il consiglio è un week-end di relax alle terme. Curate molto il cibo ed evitate infiammazioni alla gola. SCORPIONE 23 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE Certamente se il partner si lamenta della vostra rigidità, di essere troppo precisi e lamentosi in questo periodo, non sbaglia ma fate bene ad attendere tempi più propizi per parlare e chiarirvi. Sul lavoro avete aspettative nuove e ambizioni notevoli ma voi state cercando il successo, il salto di carriera, grandi traguardi e con l’aiuto di Giove, la vostra meticolosità, il vostro pragmatismo e con un po’ di fortuna potrete ottenere ciò che desiderate. Per evitare malumori e scatti , non ascoltare Venere e Mercurio che vi suggerirebbero discussioni e chiarimenti familiari ma ascoltate il saggio Giove che vi consiglia belle compagnie, svaghi interessanti,intercalati da passeggiate in bicicletta in pieno relax. SAGITTARIO 23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE L’intesa mentale con il partner è perfetta fino al 18 poi vi sarà qualche incrinatura che permet-

terà di cambiare qualcosa che non vi piaceva completamente. Ci potrebbe anche essere uno spostamento di sede con benefici risultati. Stimolanti i rapporti con Ariete e Acquario mentre c’è pericolo di conflittualità con Capricorno e Gemelli. Molta carica sia fisica sia psicologica vi danno uno sprint invidiabile sia nei momenti di relax, sia nel lavoro finché avrete l’appoggio di Mercurio: poi sarete un po’ più appannati anche per la quadratura di Nettuno. Riposatevi di più. CAPRICORNO 22 DICEMBRE - 20 GENNAIO Gli ultimi periodi avete vissuto tra due guanciali C’è una quadratura di Marte e di Urano con opposizione di Giove che impedisce a Mercurio, Saturno e Sole di garantirvi tranquillità e buone prospettive. Ce la farete comunque anche se con molta più fatica:accessi di gelosia e rapporti tesi vi renderanno cupi e pesanti fino al 26/3 con il cambiamento di Mercurio che vi renderà lucidi e più obbiettivi. Alti e bassi sul lavoro con ritardi, imprevisti fastidiosi dovuti all’influenza di Saturno e Nettuno che ti permetteranno comunque di essere tenaci e farcela. I risultati saranno una conquista sofferta. Fidatevi di colleghi e consiglieri del segno dei Gemelli e dei Pesci ma guardatevi da Leone e Sagittario. ACQUARIO 21 GENNAIO - 19 FEBBRAIO I lati romantici sono esaltati,l’affettuosità è calorosa, molta generosità nei rapporti,disponibili a concessioni e perdoni. Una splendida primavera che continuerà anche ad Aprile (complice Venere). Con tali premesse sarebbe stupefacente che gli affari avessero uno stallo: tutto a gonfie vele con un vostro simile entusiasmo travolgente e Mercurio nella posizione astrale di garantire quattrini e conti perfetti. Ogni sfida è a portata di mano e voi dovete saperne approfittare. Cancro e Sagittario saranno ottimi consiglieri mentre con Toro e Vergine l’intesa è molto difficile. Sentirete il desiderio di stare nel verde dopo i mesi invernali e non preoccupatevi se lo sport verrà un po’ accantonato: una bella camminata sui nostri monti, un giro in bicicletta lungo il lago vi ossigeneranno e rinvigoriranno. PESCI 20 FEBBRAIO - 20 MARZO Per fortuna la solidità di Saturno vi tiene coi piedi per terra evitandovi cadute catastrofiche. Contrariamente le energie spese sul lavoro danno buoni risultati perché sarete più realistici e pratici mentre Nettuno e Mercurio vi rendono intuitivi e perspicaci e i progetti più diversi avranno attuazione positiva. Fatevi aiutare da un Capricorno o da una Bilancia ma divergenze con Cancro e Scorpione. Soprattutto da metà mese l’apice della vitalità vi renderà quasi irriconoscibili per attivismo, nuove cose mai fatte, ripresa di un’attività sportiva mai esercitata con costanza, desiderio di compagnia. Avrete qualche calo di tono e fate attenzione all’alimentazione per il rischio di intolleranze alimentari.




di Federico Roncoroni

I sette peccati capitali (Invidia)

La parola “invidia” deriva, a raverso l’agge ivo invidus, dal verbo latino invidēre, che propriamente significa ‘guardare contro’, quindi ‘guardare storto, guardare in malo modo’. L’invidioso dunque è colui che guarda qualcuno con odio, con astio e rancore, un sentimento che nasce dal vedere la felicità e il successo altrui e che per lo più si accompagna al desiderio che la persona invidiata perda ciò che ha. La migliore rappresentazione della figura dell’invidioso in azione è quella che lo raffigura come un uomo che, a tavola, diventa strabico a furia di guardare di nascosto il pia o del suo vicino perché teme sia più ricco del suo. Non a caso, nel purgatorio di Dante gli invidiosi hanno le palpebre cucite: come in vita hanno giudicato con occhio malevolo i beni altrui, così ora non possono vedere.

L’invidia è una confessione d’inferiorità. Honoré de Balzac L’invidia del cretino per l’uomo brillante trova sempre qualche consolazione nell’idea che l’uomo brillante farà una bru a fine. Max Beerbohm Non è felice l’uomo che nessuno invidia. Eschilo Spesso ci si vanta delle passioni più peccaminose, ma l’invidia è una passione timida e vergognosa che nessuno osa confessare. François de La Rochefoucauld È meglio essere invidiati che compatiti. Massimo Tagliaferri Quanto più sali in alto, tanto più piccolo ti vede l’occhio dell’invidioso. Friedrich Nie sche

La nostra invidia dura sempre più a lungo della felicità di coloro che invidiamo. François de La Rochefoucauld Provare invidia è umano, assaporare la gioia per il danno altrui è diabolico. Arthur Schopenhauer Come la ruggine consuma il ferro, così la invidia consuma gli invidiosi. Piovano Arlo o L’invidia è come una palla di gomma che più la spingi so o e più ti torna a galla. Alberto Moravia Invidia e vanità sono le radici del benessere sociale. Italo Tavolato

Non c’è nessun peccato, tranne la stupidità. Oscar Wilde

Titolo articolo | Mag Marzo 2014 | 129


di Francesco Angelini

LUCINI, SPALLINO E LA POLITICA DELLE PICCOLE COSE L’ex sindaco promuove il successore ma evidenzia una certa trascuratezza nella gestione cittadina in chiave turistica e non solo. Eppure basterebbe poco per rimediare Se siete arrivati fino a qui, cari le ori, forse vi sarà capitato di dare una scorsa all’intervista ad Antonio Spallino contenuta in questo numero di Mag. Vale la pena di segnalarla non perché l’intervistatore è il medesimo estensore di questa rubrica, bensì per l’ampio respiro di cultura amministrativa che emerge con evidenza dalle risposte. Ma è su una di queste che vale la pena di soffermarsi: quella in cui l’ex sindaco ricorda che gli fecero notare la curiosa abitudine di camminare con lo sguardo rivolto al suolo. Non era un vezzo o una stranezza, puntualizza nell’intervista Spallino, ma la deliberata volontà di controllare le condizioni delle ma onelle. Il campione olimpico di scherma diventato poi amministratore e per 15 anni alla guida della ci à, è ricordato per alcune importanti realizzazioni, per aver di fa o disegnato l’a uale profilo della ci à, ma forse non per essere stato anche il sindaco delle piccole cose, di una Como decorosa e ben tenuta. A memoria, in effe i, non si ricordano all’epoca in cui l’avvocato padre dell’a uale assessore all’Urbanistica, Lorenzo, particolari polemiche per una ci à sporca, maltenuta e degradata. Certo, gli imbra atori che hanno preso di mira negli ultimi anni il centro storico non erano ancora un fenomeno di moda. Ma non basta a giustificare la differenza, in termini di decoro urbano, tra quella Como e l’a uale. Qui, ovviamente, entra in ballo l’a uale amministrazione guidata da Mario Lucini. Nino Spallino lo individua come potenziale erede ma rileva anche come la condizione di Como, in termini di pulizia e tenuta del patrimonio pubblico, non sia paragonabile a quella di Lugano. L’opinione dell’ex sindaco mai diventato ex nell’opinione diffusa di gran parte dei comaschi con le tempie grigie, reitera un’impressione diffusa sull’attuale guida della ci à. C’è sicuramente un respiro ampio sulle grandi scelte (l’ampliamento della zona pedonale in centro, proprio sulle orme di Antonio Spallino, rientra tra queste) ma un’a enzione non sufficiente su quella che una volta si chiamava la politica delle piccole cose, ancora più fondamentale se si ha la pretesa di fare del turismo un pilastro per il Pil locale. Le buche diffuse sulle strade, lo stato del verde, una certa sporcizia, l’illuminazione pubblica in molte zone carente, sono le spie. Non è poi un’impresa così titanica intervenire. Farebbe comodo alla ci à e magari anche al consenso.

130 | Mag Marzo 2014 | Last minute


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