Grazie a lui i prodotti made in Calabria per tutta la settimana hanno impazzato a Casa Sanremo all'interno di una vetrina internazionale di eccellenze enogastronomiche, organizzata in quello che è il salotto ufficiale del Festival della Canzone Italiana. Anche quest'anno Gigi Sarroino ha risposto "presente" all'appello di Casa Sanremo, insieme alle associazioni "Il mondo di Ugo", la cui presidente è la figlia Marika, e "Gigi Management" da lui capitanata. All'interno di Casa Sanremo, presso il Palafiori di Corso Garibaldi, nel centro della cittadina, giornalisti, artisti, addetti ai lavori e migliaia di visitatori hanno potuto deliziare i loro palati lasciandosi travolgere dall'irresistibile Bermè, il succo nato dall'incontro tra il bergamotto della costa ionica di Reggio Calabria e le mele del Trentino; inoltre, grazie a Gigi Sarroino, a far cantare di vero piacere le papille gustative, i Salumi Calabresi da Collezione. Casa Sanremo, durante la settimana del Festival, svolge un ruolo centrale e strategico nell’offerta di intrattenimento di migliaia di visitatori che arrivano in città, organizzando numerosi eventi collaterali alla kermesse canora che vantano la presenza di personaggi illustri e conosciuti nel mondo della musica, dello spettacolo e della cultura. Ognuno di loro si è lasciato conquistare da alcune delle eccellenze che contraddistinguono la punta del nostro stivale e che, grazie a Gigi Sarroino, sono approdati in un parterre così vasto ed esigente che li ha promossi a pieni voti.
CONTROCOPERTINA
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DOMENICA 12 FEBBRAIO
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Ridateci i Lupercalia, vogliamo spendere solo i soldi dei profilattici!
San
Valentino
la festa più triste dell’anno LIDIA ZITARA
San Valentino non ha appeal, si confonde con San Martino e la storia del mantello, con frà Martino campanaro, finisce in un tourbillon di santi e cioccolatini, troppo a ridosso dei cenoni di Natale, con gli stessi colori e gli stessi dolci, panettone a parte. Troppo sul collo a Carnevale e Pasqua, alla fine le palle di Mozart ti vanno di traverso assieme alle frappe, i coriandoli, le nacatole e una fetta di colomba.
Per otto secoli giovani e giovanette avevano avuto licenza annuale di darsi carnalmente gli uni alle altre durante la festa dei Lupercalia, per celebrare il rinnovarsi ciclico della vita stagionale, quando a Papa Gelasio – ché già basta il nome a farti venire freddo – gli si schiodò il neurone e decise che stop, nix, nada: niente sesso a ruota libera per sospingere nella giusta direzione l’avanzamento della primavera. Tutta robaccia pagana da far sparire in forza del nuovissimo brand concept cattolico. Ed è quindi dal 496 dopo Cristo! che i Lupercalia sono stati abilmente sostituti da una festa romantic-sentimentale sì, ma senza scene di sesso. Praticamente un film con Drew Barrymore. Eh sì, san Valentino è una festa davvero pallosa, e non per i motivi che sappiamo: consumismo, ipocrisia, superficialità. Ma per una ragione più profonda: perché è triste. Tutti sappiamo che è una formalità, che è finta, e questo ci angoscia. Perché non c’è uomo o donna sulla terra che non voglia credere all’amore. Amore vero, come quello di Bottondoro e Wesley, di Paolo e Francesca, di Giulietta e Romeo, dei due amanti di Hayez che stanno pure sulle carte del Mercante in Fiera. O amore come sia, fatto di bollette e conti da pagare, come quello dato in sorte a tutti noi, se la sorte è buona. San Valentino non ha appeal, si confonde con San Martino e la storia del mantello, con frà Martino campanaro, finisce in un tourbillon di santi e cioccolatini, troppo a ridosso dei cenoni di Natale, con gli stessi colori e gli stessi dolci, panettone a parte. Troppo sul collo a Carnevale e Pasqua, alla fine le palle di Mozart ti vanno di traverso assieme alle frappe, i coriandoli, le nacatole e una fetta di colomba. Non sai se il vestito è così bello per andare a sfilare coi carri allegorici o per andare a cena, a mangiare rigorosamente la pizza, perché più della pizza non si può. Già la crisi ha messo a dura prova i portamonete dei baldi giovani italiani ma tutte le donne
sanno che anche un baldo giovane italiano ricco non va oltre la pizza (per la cronaca: nessun essere umano con cromosoma sessuale xy va oltre la pizza). La stanca prende già prima di uscire, nell’ansia del regalo. Chi lo dona cerca di fare bella figura risparmiando, ma chi lo riceve ha in memoria i prezzi aggiornati meglio di Amazon, e se il regalo è quello sbagliato, santa pace, la serata è rovinata in partenza! Chi è troppo giovane deve farsi accompagnare dai genitori, i quali imporranno severissime regole di coprifuoco, e chi ha un bell’appartamento da condividere, non trova compagnia. Che spreco! Se poi uno dei due non ha l’auto sono guai, perché potrebbe piovere e di certo farà freddo, e senza auto, senza appartamento, dove potrebbe consumarsi un decente dopocena? Chi può permettersi una camera d’albergo oltre un ristorante e un regalo? C’è anche chi “A San Valentino niente sesso perché è la festa dell’amore”. Ah, occhei, chiamate la neuro, non so se per me o per loro. Oh no no no! San Valentino va decisamente oltre le nostre possibilità, economiche e mentali! Per celebrarlo decentemente ci vogliono centinaia di euro, altrimenti – mettevi l’anima in pace – il regalo si compra al discount e la cena sarà un toast e una birra. Sorte peggiore agli “alternativi”, che fanno regali fai da te che si scassano dopo due minuti, con biglietti disegnati a mano con decoro tipo “mio nipote dell’asilo lo faceva più bello”, bacini e selfie, cenetta bruciata in casa, vinello da lattanti e filmetto sul divano, con il Riopan da un lato e il telecomando dall’altro. Mo’ dico, ma caro Papa Gelasio, non potevi farti i cavolacci tuoi quando hai tolto i Lupercalia, ché si stava tanto bene? Oggi i giovani si potrebbero scambiare coccole sudate al modesto prezzo di una confezione di anticoncezionali e di profilattici, da consumare sperabilmente tutti in una sera. Pensa al risparmio e all’autentico divertimento per intere generazioni di giovani che non sanno più fare sesso se non glielo spiega un tutorial di Facebook.
ATTUALITÀ GIUDIZIARIA
La convergenza del molteplice La “convergenza del molteplice” consiste nella confluenza di più dichiarazioni accusatorie, generalmente riferito a collaboratori o testimoni di giustizia, su uno stesso fatto o tema di prova, ove non risulti provato l’intento “calunniatorio”, è quindi in grado di attestare la “verità storica” degli stessi, non potendosi considerare indici rivelatori di inattendibilità le discordanze tra le dichiarazioni, fisiologicamente assorbibili in quel margine di autonomia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi, allorché e sempre che risulti dimostrata la sostanziale convergenza dei rispettivi nuclei fondamentali (cfr. Cass. pen., sez. I, 4 novembre 2004 n. 46954; sez. I, 20 ottobre 2006 n. 1263, Alabisio). A quest’ultimo proposito, per come riportato in recenti sviluppi investigativi, e con specifico riferimento alle dichiarazioni orali confermative di chiamate in correità “giova rimarcare che tali narrative avranno ovviamente maggiore pregnanza quanto più puntuale sia la descrizione dei fatti e disinteressato l’atteggiamento del testimone verso la concreta vicenda processuale in corso di svolgimento”. Certo, non bisogna estremizzare tale requisito, pretendendo l’estraneità del dichiarante rispetto alle vicende narrate, presupposto questo imprescindibile per la testimonianza, ma non già per le dichiarazioni dei soggetti indicati ex artt. 210 e 197 bis c.p.p., non dovendosi dimenticare che costoro, a cagione della loro provenienza da ambienti criminali, sono necessariamente coinvolti nei fatti oggetto delle loro conoscenze; anzi, proprio tale provenienza può attribuire maggiore credibilità al loro narrato. All’opposto, quando gli altri elementi di prova siano costituiti da altra o altre dichiarazioni di fonte analoga, occorre che il giudice proceda alla valutazione della loro credibilità intrinseca e controlli, eventualmente valorizzandola, la loro reciproca autonomia, sì da escludere il pericolo di una coincidenza soltanto fittizia, derivante da fattori accidentali, ovvero la possibilità di una concertazione tra i collaboranti sul contenuto delle rispettive narrative. Il tipo di prova in esame, come puntualmente rilevato in giurisprudenza, non deve essere assistita in ogni suo più minuto dettaglio da autonomi ed estrinseci riscontri, perché in tal caso ne verrebbe del tutto obliterato il valore probatorio; le verifiche, come si legge nella pronuncia della Corte d’Assise di Palermo del 16 dicembre 1987, Abbate ed altri, “devono piuttosto concernere taluni aspetti o singoli punti della propalazione che, per il loro numero, i particolari che riferiscono, l’estrema difficoltà di loro conoscenza da parte di soggetti estranei ai fatti, conferiscono seria ed oggettiva attendibilità alle dichiarazioni che nel loro complesso riscontrano”. Ha precisato il Supremo Collegio che l’esigenza che le plurime dichiarazioni accusatorie, per costituire riscontro l’una dell’altra, debbano essere convergenti, non può implicare la necessità di una loro totale e perfetta sovrapponibilità (la quale, anzi, a ben vedere, potrebbe essa stessa costituire motivo di sospetto), dovendosi al contrario richiedere solo la concordanza sugli elementi essenziali del thema probandum, fermo restando il potere-dovere del giudice di esaminare criticamente gli eventuali elementi di discrasia, onde verificare se gli stessi siano o meno da considerare rivelatori di intese fraudolente o, quantomeno, di suggestioni o condizionamenti di qualsivoglia natura, come tali suscettibili di inficiare il valore della suddetta concordanza. Non è necessario neppure che l’ulteriore chiamata in correità o dichiarazione accusatoria siano coeve, ben potendo verificarsi che il successivo elemento insorga a distanza di tempo dal primo, esigendosi esclusivamente che la credibilità del dichiarante sia rigorosamente controllata. La possibilità di valida corroborazione reciproca fra più chiamate in correità (c.d. mutual corroboration) provenienti da diversi soggetti, inoltre, opera anche nel caso in cui trattasi di chiamate fondate su conoscenza indiretta della condotta attribuita al chiamato, dandosi luogo, in tal caso, soltanto all’obbligo da parte del giudice di una verifica particolarmente accurata dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie, alla stregua del principio di ordine generale stabilito dal comma primo del medesimo art. 192 c.p.p. e nell’osservanza del disposto di cui all’art. 195 c.p.p., richiamato dall’art. 210, comma quinto, c.p.p., dovendosi previamente procedere ad individuare la fonte di provenienza della notizia e, quindi, a controllare ed apprezzare la sua affidabilità.
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DOMENICA 12 FEBBRAIO 4
e piogge che hanno flagellato la nostra terra in questo umidissimo inverno stanno portando con sé strascichi che potrebbero segnare in maniera irrimediabile il nostro comprensorio. Nell’ultima settimana, infatti, crolli, interruzioni di strade, smottamenti e danni di vario genere a strutture e arterie di comunicazione si sono susseguiti a un ritmo allarmante, a imperituro monito del dissesto idrogeologico dal quale è afflitta la nostra Calabria. I casi più eclatanti, nella Locride, sono certamente stati quelli che hanno colpito le comunità di Caulonia e Portigliola dove, rispettivamente, è stato denunciato dalla Federazione Architetti e Ingegneri lo sprofondamento dell’intero centro storico e si è verificato lo smottamento di una grossa sezione di terreno che ha cancellato alcuni ordini di palchi presso il teatro greco romano. Entrambi i siti, di grande valore storico-culturale, mai adeguatamente tutelati da un programma puntuale da
L
Le piogge mettono in pericolo
Caulonia e Portigliola
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parte del Ministero, rischiano ancora oggi di venire cancellati dalla forza degli elementi esattamente come da anni accade agli scavi dell’antica Kaulon, e questo in barba agli sforzi delle amministrazioni comunali e dei progetti di riqualificazione come quelli messi in atto con l’organizzazione delle stagioni teatrali estive dai Rocco Luglio di turno. Se a Caulonia, comunque, il F.AR.I. si dice preoccupato che la situazione possa peggiorare ben prima che vengano presi impegni concreti, con un comunicato stampa il primo cittadino di Portigliola ha invece fatto sapere di aver coinvolto gli organi territoriali di tutela dei beni archeologici ottenendo un ottimo riscontro in merito e che gli è stato assicurato che, quanto prima, la zona del teatro verrà messa in sicurezza con interventi utili a salvaguardarne l’integrità strutturale. Non possiamo che riporre fiducia negli esperti e unirci all’appello relativo alla salvaguardia dei nostri siti storici. La riqualificazione del territorio, non dimentichiamolo, passa innanzitutto dalla valorizzazione della sua storia. Jacopo Giuca
Fabbriche nocive avvelenano Siderno In questi giorni ARPACAL si attiverà per analizzare i pozzi di contrda Pantanizzi e valutare i rischi per terreno e popolazione. Non vorremmo scoprire che sotto i nostri piedi, distribuiti in vari posti, si trovano sostanze cancerogene!
Non passa giorno che non si scoprano altri pericoli nel comune di Siderno, ultima la scoperta di una sostanza cancerogena nel piazzale di una fabbrica chimica nella zona di Pantanizzi. La contrada ha avuto la sfortuna di trovarsi nell’area destinata ad artigianato e piccole industrie secondo il piano regolatore degli anni ’80. All’epoca una fabbrica di intermedi farmaceutici, BP, prima collocata a Treviglio, in provincia di Bergamo, viene spostata, per le continue proteste dei cittadini, in Calabria. Un regalo imposto, malgrado le proteste, grazie alla connivenza di chi controlla il territorio, intenzionato a svenderlo alle industrie del Nord. Non mi dilungo nella storia di questo impianto e del Comitato Ecologico di Pantanizzi, uno dei primi in Italia che negli anni ’80 ha fatto fuoco e fiamme per bloccare la cosiddetta "fabbrica della puzza”. Alla fine una sentenza dei giudici ha fatto riaprire il centro, che nel tempo è stato autorizzato dalla Giunta Regionale della Calabria a smaltire anche materiali di provenienza esterna. Una fabbrica collocata in una zona che, dall'inizio del 1900, aveva a pochi metri insediamenti di case e persone. Fortuna vuole che, dopo l'ultima esplosione, la fabbrica sia finita sotto sequestro, affidata un custode giudiziario e i cui titolari sono ancora oggi sotto processo. Nel 2003 una prima bonifica dell’area ha portato allo smaltimento di circa 500 tonnellate di materiale tossico, cancerogeno, teratogeno e nocivo per l'ambiente e la vita. Si trattava solo di
una parte delle 1400 tonnellate trovate e abbandonate all'interno della fabbrica o nei terreni circostanti e ben superiori alle 330 tonnellate che, per legge, potevano trovarsi in situ. Nel 2016, dopo 13 anni, grazie all'iniziativa del Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini Sidernesi, erede del Comitato Ecologico di Pantanizzi, sono usciti fuori i documenti "dimenticati" negli armadi della Regione, dai quali abbiamo scoperto che il previsto piano di smaltimento totale era stato abbandonato come sono rimasti abbandonati i fusti corrosi a rischio di inquinamento di tutta la zona circostante. In questi giorni, su iniziativa nostra e grazie a un'interpellanza al Ministero della Sanità chiesta dall'on. Fratoianni di SI, qualcosa si sta muovendo, e l'Azienda Sanitaria di Reggio Calabria (ASP 5) ha effettuato una visita nell'azienda per verificare lo stato della situazione, confermando i rischi di danni incalcolabili e parlando, come ha già scritto il sindaco di Siderno, di "bomba ecologica". Tra queste due date un'amministrazione di centro-destra ha permesso a un'altra azienda, prima AXIM, acquisita poi dalla SIKA, di insediarsi sempre nella stessa zona, sempre a ridosso delle abitazioni. L'iniziativa del Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini Sidernesi ha comportato che l’azienda, dopo anni di autorizzazioni provvisorie e parziali, in attesa di autorizzazione integrale ambientale (AIA) definitiva, dovesse sospendere la produzione di una produzione potenzialmente rischiosa.
Intenzionata a regolarizzare la propria posizione, la SIKA ha fatto fare carotaggi in seguito ai quali si è scoperto che, sotto il terreno del piazzale della sede, si trova una sostanza che gli addetti SIKA dichiarano non pertinente alla loro produzione. Si parla di sostanze per lavanderia, sempre cancerogene e in grado di portare a tre i rischi concentrati nella stessa area. In questi giorni ARPACAL si attiverà per analizzare i pozzi circostanti e valutare i rischi per terreno e popolazione. Le ipotesi sono tante: le infiltrazioni sono provocate da una vecchia azienda produttrice di detersivi chiusa qualche anno fa nella zona, da scarichi di piccole aziende meccaniche, da materiali abbandonati e sotterrati e mai scoperti? E, per finire, nella zona di Siderno si percepisce un aumento di morti per leucemia, quando ancora si è in attesa dei dati ufficiali del Registro dei Tumori della provincia. Non vorremmo scoprire che sotto i nostri piedi, distribuiti in vari posti, si trovano sostanze cancerogene! Il Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini Sidernesi, sempre in contatto con il Sindaco Fuda e l'Amministrazione Comunale, ha proseguito nella sua azione di denuncia e di mobilitazione ed è in attesa dei risultati delle analisi delle acque dei pozzi che effettuerà ARPACAL la prossima settimana, per valutare le iniziative adatte a sbloccare la situazione. Francesco Martino
Attialità
Si è deciso di tenerlo in carcere e, oggi, tutti noi pagheremo per la sua permanenza in cella (poco meno di duecento euro al giorno) e per l’ingiusta detenzione. Migliaia di euro che potevano essere spesi per il lavoro, per la sanità, per la scuola, per la giustizia sono stati sprecati per togliere legittimità e autorevolezza allo Stato.
Francesco Giorg Oggi la stampa sbatte il “mostro” in prima pagina, utilizzando le veline delle procure, e resta muta quando la vittima sacrificale dimostra la propria innocenza. Stampa di regime che tradisce la libertà! Non si difende così la “legalità”, né in tal modo si combatte la mafia anzi le si forniscono ragioni di legittimità e di difesa. E così si creano le condizioni ottimali per far dilagare il virus dell’omertà anticamera della ‘ndrangheta.
chi gli restituirà
Falcomatà crea una Città Metropolitana a immagine e somiglianza del PD I delegati sono tutti appartenenti alla grande famiglia PD. La nota positiva, per la Locride, è l’affidamento di ben sette deleghe a Katy Belcastro.
Mercoledì 9 febbraio sono state assegnate le deleghe ai Consiglieri Metropolitani, che vanno in questo modo a completare l’organigramma amministrativo del nuovo ente reggino. Come c’era da aspettarsi, il Sindaco Metropolitano Giuseppe Falcomatà non ha tradito il proprio reggiocentrismo, facendosi affiancare da un vicesindaco e da ben quattro assessori del proprio Comune. Al vicesindaco Mauro, infatti, sono state affidate le deleghe a Personale e organizzazione, Affari generali, Avvocatura, Società partecipate, Trasparenza amministrativa, Anticorruzione, Patti per il Sud e coordinamento dei consiglieri delegati, a Demetrio Marino quelle di Viabilità, Edilizia scolastica e programmazione della rete scolastica, Istruzione università e ricerca, Sport e impiantistica sportiva, Turismo spettacolo e marketing territoriale, a Tonino Nocera Ambiente ed energia, Ambiti naturali, Forestazione, Parchi e aree protette con i comuni montani,
Politiche di bacino, Servizi a rete, Ato idrico e Ato rifiuti, Demanio idrico e fluviale e a Nino Castorina Bilancio, Politiche internazionali e comunitarie, Politiche per l’immigrazione, Politiche giovanili, Rapporti con gli Enti locali e Rapporti con la Conferenza metropolitana e i territori. Positivo, per il nostro territorio, l’affidamento alla consigliera locridea Caterina Belcastro delle deleghe alle Politiche del lavoro, Politiche sociali, Politiche abitative, Attività produttive, Caccia e pesca, Pari opportunità e Rapporti con la Locride, mentre al sindaco di Taurianova Fabio Scionti sono state lasciate le deleghe relative a Trasporti e Urbanistica. Nonostante i tentativi di collaborazione attiva espressi da Pier Paolo Zavettieri e Peppe Zampogna, consiglieri di Area Socialista e Popolare, bottino magro per loro, con la sola delega alle minoranze linguistiche per Zavettieri, costretto a lasciare le impellenze importanti al solo PD.
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DOMENICA 12 FEBBRAIO 07
La libertà è preziosa ovunque e per chiunque. Lo è ancora di più a San Luca dove più delicata è la battaglia che dobbiamo condurre per dimostrare che le regole di sottomissione e di paura che la ‘ndrangheta impone ai suoi affiliati non valgono per noi che ci riteniamo uomini liberi e che sentiamo alle nostre spalle la forza immensa della Costituzione e dello Stato di diritto.
gi era innocente,
à la libertà sottratta? ILARIO AMMENDOLIA A volte avverto forte la tentazione di smetterla. Finirla con il mio “garantismo” e con il tentativo di dar voce al dolore di questa nostra Terra. Ho la sensazione che la battaglia garantista e meridionalista sia irrimediabilmente persa. Il “fronte” è sguarnito e non sarà la mia “voce” rauca, stanca e flebile a rallentare la disfatta. Ma nel momento in cui più forte è la voglia di rifugiarti nelle “piccole cose” della tua vita e del tuo mondo, avverti la sensazione che la diserzione è da vili. Allora raccogli le tue residue energie e combatti ancora con la forza della disperazione. Tuttavia, al di là delle motivazioni personali, i fatti sono lì a dimostrare le ragioni di un impegno. Quella che racconterò non è una vicenda che riguarda una singola persona ma la Calabria intera, una terra dove la democrazia è agonizzante, gran parte della stampa non è libera, la minaccia criminale altissima, le garanzie costituzionali seriamente compromesse. Una morsa che schiaccia il cittadino che si trova smarrito e senza difese. Durante la scorsa primavera abbiamo scritto di un giovane, Francesco Giorgi, 23 anni, di San Luca detenuto da mesi nelle carceri di Locri. Abbiamo ascoltato il grido disperato della madre, gli argomenti forti e composti dello zio, già sindaco comunista di San Luca, e autentico combattente - senza scorta - nella lotta contro la ‘ndrangheta.
Oggi abbiamo una certezza: i nostri dubbi erano più che fondati, Giorgi era innocente! Lo hanno stabilito, la settimana scorsa, i giudici di Locri. Noi non facciamo indagini e non emettiamo sentenze. Ci siamo limitati semplicemente ad evidenziare che, secondo due argomentate perizie tecniche, il giovane fotografato in una piantagione di canapa indiana che si coltivava in Aspromonte non era Francesco Giorgi. E infatti non era Lui! Fino al momento dell’arresto era un incensurato. Non aveva mai avuto nulla da fare con la “giustizia”, esattamente come suo padre, sua madre, i suoi nonni. È doloroso ma necessario in un clima di “giustizia sommaria”- fare questa specie di ricerca storica sul nucleo familiare anche se la responsabilità penale dovrebbe essere solo e soltanto personale. Giorgi non rappresentava una minaccia per la società. L’unico indizio nei suoi confronti consisteva in una foto che, come è stato stabilito, non era la sua. Si è deciso di tenerlo in carcere e, oggi, lo Stato - in questo caso tutti noi - pagherà per la sua permanenza in cella (poco meno di duecento euro al giorno) e per l’ingiusta detenzione. Migliaia di euro che potevano essere spesi per il lavoro, per la sanità, per la scuola, per la giustizia sono stati sprecati per togliere legittimità e autorevolezza allo Stato. Ma nessuno restituirà a Francesco Giorgi la libertà sottratta. Nessuno restituirà a quel ragazzo di San Luca le ore di amore e di spensieratezza che gli sono
La Roccisano presenta il Piano per il lavoro: La Calabria al passo con lo Stato Martedì mattina l’assessore Federica Roccisano ha presentato, in compagnia del presidente della giunta regionale Mario Oliverio, il Piano di azione per il lavoro e l’occupazione. Il suo discorso introduttivo dovrebbe permettere di avviare anche nella nostra regione il Reddito di inclusione attiva, una misura governativa di contrasto alla povertà che prevede l'erogazione di un beneficio economico alle famiglie in condizioni economiche disagiate nelle quali almeno un componente sia minorenne oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. Lo strumento, stando alle parole della Roccisano, dovrebbe garantire maggiore inclusione e rivolgersi in primo luogo a giovani, donne, disoccupati e precettori di ammortizzatori sociali attraverso lo strumento delle politiche attive, più che mai, è stato sottolineato, pianificate in maniera sinergica con tutti gli attori istituzionali.
stati tolti per rinchiuderlo tra le mura di una cella. Nessuno può garantire che la lunga detenzione non provochi effetti devastanti sulla sua personalità. Non voglio neanche pensare quella che sarebbe stata la reazione se al posto di Giorgi fosse stato uno dei tanti cittadini timorati di Dio e ossequiosi alla “legge” o, peggio ancora, un loro figlio. La libertà è preziosa ovunque e per chiunque. Lo è ancora di più a San Luca dove più delicata è la battaglia che dobbiamo condurre per dimostrare che le regole di sottomissione e di paura che la ‘ndrangheta impone ai suoi affiliati non valgono per noi che ci riteniamo uomini liberi e che sentiamo alle nostre spalle la forza immensa della Costituzione e dello Stato di diritto. Ribadiamo: sbaglia chi ritiene che il caso da noi sollevato riguardi solo uno dei tanti ragazzi che vivono nei nostri paesi. Pietro Valpreda, dopo la strage di Piazza Fontana, era rinchiuso in carcere schiacciato da accuse che avrebbero ucciso anche un toro. Eppure, in quegli anni difficili la stampa libera, l’opinione pubblica impegnata contestò le verità ufficiali e mille bocche e mille penne hanno “gridato” insieme la verità: “ Valpreda è innocente, la strage è di Stato”. La strage era a tutti gli effetti “di stato” e Pietro Valpreda da perfetto innocente, era la vittima designata dal golpismo che voleva stroncare la giovane democrazia italiana. Valpreda divenne simbolo della verità contro le bugie di Stato. I casi sono diversi e lontani.
Pino Varacalli, ex primo cittadino di Gerace, sconfitto alle ultime consultazioni del giugno 2016 ed ex presidente della Conferenza dei sindaci per la Sanità in provincia di Reggio Calabria è stato nominato giovedì dall'amministrazione Oliverio in qualità di componente della «struttura assimilata alla struttura ausiliaria Supporto alle funzioni amministrative in materia sanitaria». Un giro di parole burocratese per dire che è divenuto braccio destro del braccio destro del governatore Oliverio in materia sanitaria, Franco Pacenza. Due ruoli, quello di Pacenza e Varacalli, ideati da Oliverio forse nel tentativo di creare strutture parallele a quella dei commissari alla Sanità inviati dal governo, Massimo Scura e Andrea Urbani, fino a oggi inefficienti nella produzione di soluzioni utili a far emergere dalla crisi il sistema sanitario regionale.
Uguale dovrebbe essere il nostro impegno a difendere la libertà anche dell’ultimo cittadino di questa nostra terra. Nei confronti di chiunque. Oggi, invece, c’è in giro un conformismo spaventoso che si manifesta con la tendenza di molti giornali e giornalisti di sbattere il “mostro” in prima pagina, utilizzando le brutte foto fornite loro dai commissariati e le veline delle procure. Quella stessa stampa che resta muta e vigliaccamente silente quando la vittima sacrificale dimostra la propria innocenza. Stampa di regime che tradisce la libertà! Non si difende così la “legalità”, né in tal modo si combatte la mafia anzi si forniscono a essa ragioni di legittimità e di difesa. E così si creano le condizioni ottimali per far dilagare il virus dell’omertà anticamera della ‘ndrangheta. Si va diffondendo una voglia matta di forche e di galere. Senza tener conto che in Brasile, in Columbia o in Messico, le orrende prigioni sono piene di detenuti eppure si registra il numero di morti ammazzati più alto del mondo. In Norvegia le carceri sono quasi vuote e i delitti sono crollati. L’onta alla civiltà che il lager di “Guantanamo” rappresenta, ha legittimato il terrorismo senza sconfiggerlo. Non abbiamo dubbi: è il Diritto che sconfigge il delitto e non l’arbitrio. Violenza invoca violenza. Sangue invoca sangue. Non mi illudo, noi - per qual che vale - continuiamo una antica lotta, consapevoli che la nostra è solo una vecchia pagoda di spiriti liberi che coltiva la velleità di fronteggiare una supercorazzata armata di missili atomici. Il confronto non ha storia a meno che non scatti la scintilla luminosa della Libertà.
Sanità:Oliverio assegna un incarico regionale a Pino Varacalli
RIVIERA
IN BREVE
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CALABRESE PER CASO * di Giuseppe Romeo
Politica e politichese. I margini quotidiani per non cambiare Sarà che ho abbandonato da tempo la lettura di opere letterarie e di narrativa, e forse commettendo un errore dal momento che non si può solo pensare che politica ed economia siano i sali del quotidiano. Ma se le ragioni del cuore, letterario, cedono il passo alle intemperanze della politica e dell’economia diventa difficile potersi sottrare al loro dominio. Al loro voler essere motivo e argomento di discussione o di proposte che vorrebbero cambiare, in meglio, la vita di ognuno di noi e, magari, della stessa Calabria oltre che della nazione. Così come credere che - tra una crisi e un’altra, con una quasi rassegnata idea del tanto peggio tanto meglio che impera negli animi di ognuno di noi - si possa favorire il cambiamento riproponendo formule politiche che di nuovo hanno solo il nome mentre di antico riprendono passi e passaggi ha il sapore di un neovelleitarismo piuttosto che di una umile, consapevole, presa di coscienza della nostra debolezza. Un’affermazione di un’idea movimentista molto singolare che vorrebbe ricollocare ogni sforzo andando oltre una matrice populista, oltre una matrice proletaria…se esiste ancora, per una certa sinistra, un proletariato come riferimento. L’unica certezza è che sembra che tutti siano democratici, a destra, a sinistra e al centro soprattutto. Un’area, quest’ultima, sempre più popolata a tal punto da diventare un non luogo ideale o una sorta di spazio politico rivolto a ibridare quanto ancora possibile, visto che il trasformismo sembra ancora non essere arrivato al limite della sua percorrenza ideologica. Ebbene, a quanto pare anche la Calabria non è immune da questa riorganizzazione del pensiero considerata la vitalità che si diffonde sulle coste, tra partiti vecchi e nuovi. Pronta a contribuire a quello che sarà il sicuro cambiamento del domani. Un cambiamento ritenuto imminente. Quasi epilogo di una profezia costruita
come nemesi del renzismo, come se un sistema politico sopravvissuto per volontà anche da chi oggi lo condanna non sia più autoimmune dalle critiche e dagli insuccessi che giustamente gli vengono attribuiti. Insuccessi che non sono solo da ritrovare nelle scelte e nelle strategie di potere nazionale ma, e forse di più, nell’esatta speculare riproposizione delle dinamiche politiche centrali nelle realtà locali. Realtà orfane dei partiti di ieri che però, in toto o in parte con nuove sigle, si reinventano, tra scissioni e gruppi, andando alla ricerca del leader a cui fare riferimento, a cui ispirarsi, a cui affidare le sorti di una terra che nessuno leader di ieri, come di oggi, ha mai voluto veramente conoscere. Questa volontà di accreditarsi ai congressi nazionali - pensando che di quanto accade in Calabria possa interessare a qualcuno al punto da farne un disegno di priorità – provocherà i risultati di sempre e farà si che la Calabria sarà ciò che è stata in decenni di politica: un bacino elettorale e di voti per conto terzi. Nuovamente sacrificata nel nome di uno sviluppo di cui tutti ne parleranno, ma che in realtà nessuno avrà in mente di come e in che modo perseguirlo visti i successi a cui possiamo rivolgerci oggi. Perché, se così fosse, piuttosto che pensare ai massimi sistemi politici volteremmo l’angolo di casa e cercheremmo di guardare con occhi diversi al nostro cortile chiedendoci cosa abbiamo fatto sino ad ora per cambiare, per affermare un principio di democrazia che non ha colore politico e che non richiede sostegno di alcun leader: ovvero, quali iniziative civili sono state condotte per avere sanità, trasporti e servizi adeguati e quali i risultati ottenuti. Un atto dovuto alla propria terra, alla propria vita per una regione che di parole né è straricca. Una regione che non può muoversi nei tempi della velocità, che non si cura come dovrebbe, che non cresce e si anemizza ogni giorno, che vede un flusso migratorio dei propri giovani ancora una volta diretto verso quelle regioni che forse avrebbero molto da insegnarci iniziando proprio dal quotidiano.
DOMENICA 12 FEBBRAIO
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POLITICA
Calabrese chiama, Imperitura risponde In seguito alla polemica relativa al rinnovo cariche dell’Assemblea dei Sindaci della Locride, deflagrata sui giornali un paio di settimane fa, Giovanni Calabrese risponde alle accuse relative all’assenteismo che Giorgio Imperitura ha mosso ai colleghi sindaci per giustificare il suo mancato abbandono della presidenza dell’organo chiedendo al proprio presidente di convocare urgentemente un’Assemblea che permetta il confronto dei primi cittadini del nostro comprensorio sulle impellenze più urgenti della Locride. A stretto giro di posta, il primo cittadino di Martone ha risposto accogliendo l’invito del collega di Locri e convocando l’assemblea richiesta per domani, lunedì 13 febbraio, alle ore 17, presso la sala consigliare del Comune di Siderno. Le tanto discusse dimissioni del presidente dell’Assemblea sono state fissate come 6° punto all’ordine del giorno. Sta adesso ai sindaci del nostro comprensorio dimostrare l’effettiva volontà di rinnovare le cariche innanzitutto presentandosi in numero adeguato all’assise, quindi discutendo in maniera celere ed efficiente i vari punti necessari ad arrivare a questo snodo che segnerà indubbiamente il futuro dell’organo decisionale.
Sinistra Italiana è pronta a far svoltare il sud Sabato pomeriggio, al polifunzionale di Siderno, si è svolta l’assemblea congressuale provinciale di Sinistra Italiana, durante la quale Domenico Panetta e Elisabetta Piccolotti, membro del comitato promotore di Sinistra Italiana e consigliere comunale di Foligno, hanno fatto il punto della sinistra nazionale e aperto i lavori utili a eleggere i delegato provinciale per il congresso nazionale che si terrà a Rimini a metà del mese. «L’alternativa c’è - ha affermato nel suo discorso la Piccolotti - Attraverso Sinistra Italiana ho scoperto un sud meraviglioso, fatto di persone che sanno immaginare un futuro diverso. Dialogheremo per portare alle elezioni un progetto che possa raccogliere tutta la sinistra a sinistra del PD, che non si riconosce nel renzismo». Di opposizione al PD ha parlato anche Panetta: «Noi facciamo i congressi seriamente - ha affermato l’ex sindaco di Siderno - non come altri partiti che si definiscono di sinistra. Abbiamo un grande obiettivo, sappiamo cosa ha provocato il liberismo nel mondo. Non vogliamo essere chiusi, ma una forza che abbia i numeri per parlare al popolo. «È necessario ridare speranza al territorio partendo da noi stessi» ha continuato Panetta, parlando poi delle controverse scelte fatte da un PD che sembra “prigioniero inconsapevole o interprete consapevole di politiche liberiste, che stanno facendo diventare l’Italia il Paese delle cerchie di potenti con concentrazioni di potere nelle mani di pochi”. Al termine dei lavori, i delegati metropolitani eletti a rappresentanza del nostro territorio durante il il congresso costituente che si terrà al Palacongresso di Rimini dal 17 al 19 febbraio, sono risultati: Domenico Panetta, Rita Commisso, Giusy Trimboli, Teresa Macrì, Antonio Guerrieri, Pietro Sergi, Giada Porretta, Danilo Loria, Francesco Rao, Luciana Bova e Angelo Broccolo.
STORIE DI ORDINARIA (DIS)INTEGRAZIONE
e tensioni sociali che da troppi anni affliggono il medio oriente hanno generato una vera e propria marea di flussi migratori che, periodicamente, si abbatte senza soluzione di continuità sulle coste dell’intero sud Italia. Per far fronte all’emergenza ingenerata dall’arrivo di centinaia e centinaia di disperati che, affidandosi a criminali disorganizzati, approdano moribondi sulle nostre spiagge, lo Stato ha prodotto delle contromisure emergenziali tristemente note per i disordini e i disagi che creano soprattutto durante i mesi della bella stagione. Se è vero, tuttavia, che di necessità si può (anche) fare virtù, alle palestre, agli alberghi, agli ostelli e ai campi attrezzati in fretta e furia per ospitare (almeno sulla carta) temporaneamente i migranti e dare loro i mezzi per proseguire il loro viaggio verso il nord Europa, recentemente ha fatto da contraltare un progetto di inclusione sociale che fa di questi soggetti una risorsa per le comunità più periferiche del nostro Paese e che cerca di creare un modello di convivenza che garantisca crescita e multiculturalità per le periferie spesso in difficoltà dinanzi al fenomeno globalizzazione. Ci riferiamo al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), diffusosi a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale e in grado di ottenere ottimi risultati anche nel nostro comprensorio, da un decennio ispirato dal “modello Riace”. Presenti, oltre che nel paese amministrato da Mimmo Lucano, ad Africo, Ardore, Benestare, Bianco, Bivongi, Camini, Caulonia, Ferruzzano, Gioiosa, Monasterace, e Sant’Ilario, gli SPRAR, per tre anni, hanno garantito a centinaia di richiedenti asilo di trovare una comunità disposta ad accoglierli e integrarli a patto che essi contribuissero, a loro volta, a farla crescere economicamente e culturalmente. Questa splendida esperienza, che ha mostrato i suoi frutti più maturi con il già accennato “modello Riace”, tuttavia, potrebbe incontrare di qui a breve una brusca quanto terribile battuta d’arresto. A spiegarcene le motivazioni è Maria Paola Sorace, presidente di una della cooperativa che ha gestito il progetto a Caulonia e preoccupata dalle conseguenze che un abbandono del Sistema potrebbe avere sulla Locride. «Lo SPRAR è una modalità di operare e prestare servizi ormai consolidatasi sul territorio nazionale - ci spiega la dottoressa Sorace. «Nella Locride il primo progetto è stato quello al quale ha aderito Riace a seguito di un approccio all’immigrazione generato da un numero consistente di sbarchi sulle proprie spiagge. Cercando di trasformare l’emergenza in opportunità il comune partecipò a un bando di evidenza pubblica indetto dal Ministero nell’ottobre 2013, che ha fin da subito dato ottimi risultati. Osservandone l’approccio di successo, altre amministrazioni nei dintorni decisero di avviare questo tipo di sperimentazione, la cui validità sarebbe durata fino allo scorso 31 dicembre. «In questo lasso di tempo il Ministero ha previsto il trasferimento della titolarità del progetto ai comuni che vi avevano aderito, affidando così direttamente alle Amministrazioni l’impellenza di indire un bando utile a individuare un ente di terzo settore con specifiche competenze disponibile a gestirlo. La bontà del progetto ha fatto accettare di buon grado ai comuni questa clausola e convinto quasi tutti a decidere per tempo di prorogarlo anche nel triennio 2017-2019. Tuttavia, lo scorso 10 agosto, è stato pubblicato un decreto che, prevedendo il superamento del bando utile a rinnovare la gestione da parte di un ente di terzo settore, ha fatto emergere problemi inaspettati. «Non avendo più direttive in merito alla selezione degli enti, infatti, alcuni comuni, che hanno già pubblicato il bando in questione, si sono affidati alla Stazione Unica Appaltante Provinciale (SUAP) per rinnovare gli accordi, intraprendendo nuovamente la strada del
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L
BUOROCRAZIA KILLER
Seguendo l’esempio virtuoso di Riace, che tanto lustro ha portato al nostro comprensorio, sono diversi i comuni della Locrie che, nel 2013, hanno deciso di aderire allo SPRAR, che cerca di integrare i migranti nelle nostre comunità rendendoli strumento di crescita per i nostri borghi abbandonati. Tuttavia un cavillo burocratico, come spesso accade nel nostro Paese, sta mettendo in difficoltà i comuni che voglio proseguire il progetto.
Ecco come muoiono gli SPRAR CHI HA VISSUTO IN PRIMA PERSONA L’ESPERIENZA SPRAR CI SPIEGA NEL DETTAGLIO PERCHÉ IL SISTEMA È OGGI IN CRISI E CHE COSA COMPORTEREBBE LASCIARE QUESTO PROGETTO NELLE MANI DI HOLDING INTERESSATE SOLO AL PROFITTO.
bando a evidenza pubblica. Affidarsi alla SUAP, tuttavia, ha implicato una lievitazione inaspettata dei costi, considerato che la Stazione Appaltante ha trattato questo bando esattamente come sarebbe avvenuto nel caso della gara per la realizzazione di una strada. Richiedendo la propria percentuale e assoggettando i costi all’IVA imponibile al 22%, infatti, la SUAP ha reso irrisoria la cifra messa a disposizione dal Ministero per realizzare il pacchetto di servizi che lo SPRAR dovrebbe offrire a chi aderisce al programma e, come se non bastasse, ha previsto di includere delle spese alle quali non solo i comuni non possono fare fronte in attesa del rimborso derivato dalla rendicontazione finale, ma che vanno persino contro la filosofia originaria del progetto e quanto dettato dal Ministero. «Considerata, poi, che gli enti dedicati, spesso in grado di svolgere il proprio lavoro grazie alle donazioni e all’impegno dei volontari, sono a loro volta impossibilitati a soddisfare i parametri di una classica gara d’appalto, è naturale che i comuni stiano temporeggiando nel rinnovo sempre più convinti che il gioco non valga la candela. «Vista la pubblicazione recente del decreto e
il fatto che sia la prima volta che si è costretti a far fronte a tale problema, è ovvio che la questione non appaia di immediata (o quanto meno semplice) soluzione. Alcuni comuni hanno già sottoposto il problema direttamente al Ministero e stanno cercando di battere strade alternative, ma il rischio che il progetto SPRAR, nel nostro territorio, fallisca o, peggio, finisca nelle mani di grandi holding dell’accoglienza in grado di ragionare solo in termini di ricavi, è sempre più concreto. «Dando spazio al business dell’accoglienza, infatti, il progetto perderà completamente senso, smettendo di mirare all’inserimento di questi extracomunitari nel tessuto sociale cittadino attraverso un percorso che renda residenti di fatto coloro che scelgono di restare in loco e finendo invece per l’assomigliare ai centri di prima accoglienza, che sono invece gestiti dalle prefetture e delegati a far fronte esclusivamente alle emergenze. «Non è infatti un caso se ultimamente sono nate molte più strutture di prima accoglienza (come i Centri di Identificazione ed Espulsione - CIE - o i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo - CARA) che di seconda, e che si siano prodotte deroghe su molti
aspetti degli SPRAR, favorendo gli accordi con i privati e scavalcando le cooperative sociali. Continuando su questa strada, la cancellazione dello SPRAR metterà in discussione tutti i programmi di accoglienza non solo della Locride, ma dell’intera Calabria (che pure non sono moltissimi), vanificando la progettazione attorno all’individuo che si è cercato di costruire in questi anni e cancellando esperienze che consideravamo ormai pienamente consolidate. «Anche se gli enti che hanno già pubblicato il bando hanno le mani legate, la speranza è che altri comuni, che pare stiano intavolando in queste settimane un discorso con il Ministero e l’Agenzia delle Entrate, riescano a fare pressioni per la creazione di un bando maggiormente sostenibile. Non è da escludere, e anzi ce lo auguriamo nella speranza di vedere sopravvivere quanto meno i progetti più importanti, che proprio in queste settimane gli sforzi congiunti di questi enti facciano emergere condizioni differenti per i successivi bandi e che garantiscano, in definitiva, che questa esperienza non muoia». Jacopo Giuca
Un nuovo premio per Mimmo Lucano. Sarà anche l’ultimo? Negli ultimi mesi siamo stati tutti ben lieti di gongolare per i successi conseguiti da Mimmo Lucano, inserito tra i 50 politici più influenti dalla rivista Fortune e bravissimo a far parlare di Riace come paese d’avanguardia nell’ambito dell’accoglienza e dell’integrazione. Ormai assuefatti a sentire esprimere solo critiche positive all’indirizzo del primo cittadino non ci ha ci ha certo stupiti che, proprio nella giornata odierna, Lucano sia a Dresda, in Germania per ricevere il Premio internazionale della Pace Dresden-Pries. Il riconoscimento, ideato da Günter Blobel, che nel 1999 si aggiudicò il Nobel per Medicina, è stato motivato dalla capacità dimostrata da Lucano, sindaco di un piccolo paese, di mettere in imbarazzo, in quanto a politiche integrative, i primi cittadini delle grandi metropoli europee e dalla volontà di accogliere a braccia aperte i bisognosi senza stare a mercanteggiare sulle quote da destinare ai migranti. Il traguardo raggiunto oggi, certamente quello moralmente più prestigioso per il primo cittadino di Riace, rischia tuttavia di rivelarsi anche l’ultimo se i comuni che aderiscono allo SPRAR non riusciranno a trattare con il Ministero. Benché Mimmo ci abbia abituato a ragionamenti fuori dagli schemi, infatti, il ritiro delle cooperative paventato da Maria Paola Sorace potrebbe mettere fine anche a quel paradiso dell’integrazione che si vanta di essere diventata la città dei bronzi. JG
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Parlando ancora del 50° di sacerdozio di Don Cornelio Molti anni fa, fui nominato a svolgere il mio lavoro, per un anno scolastico, in un luogo vicino al mio paese, chiamato Grotteria. Tra tutte le cose buone che vi trovai, c'era qualcosa che, ricordandola dopo tanti anni, mi fa rimpiangere quel periodo molto bello della mia vita. Ricordo, tra l'altro, un prodotto che tutte le famiglie preparavano in modo egregio. Anche la soppressata, questo era il nome della specialità suina, può contribuire a rendere famosa una cittadina. Ma voglio ricordare altro. Un giorno mi trovavo al lavoro nell'aula dove svolgevo l'attività; c'era una finestra aperta, si era nel mese di maggio e, mentre i ragazzi erano intenti a svolgere un compito, di mattino, il sole splendeva e l'aria era calma e trasparente. Tutto profumava di primavera, guardai fuori il verde degli alberi - erano circa le undici, non c'era nessuno - e al di là della strada scorreva una fiumara. L'acqua faceva uno scroscio musicale, rimasi incantato, tutto preso dalla magia di Grotteria! Certo è che Grotteria, al di là della sua storia, è un posto pieno di magia, calma, proposta in abbondanza dal suo clima, dalle sue primavere incantevoli. Ecco il luogo dove il giovane studente Elio ebbe i primi pensieri della vocazione, che progredì nei suoi anni più belli. Non spetta all'uomo domandare il perchè delle scelte di nostro Signore. Certo è che anche questa volta, il ragazzo prima, e l'uomo poi, hanno dimostrato la giustezza della volontà del Padre. La magia del luogo ha contribuito, non poco, nella formazione del carattere dolce, da vero
Ospedale di Locri: la sanità d’eccellenza è lontana dai clamori Vogliamo ringraziare pubblicamente quanti operano nel reparto di Rianimazione dell'Ospedale di Locri. A medici e paramedici, e al primario Francesco Adamo va tutta la nostra gratitudine per la professionalità e umanità che ogni giorno profondono nel loro lavoro. Tra dicembre e gennaio, nostra madre, Maria Ferrò, è stata ricoverata nel suddetto reparto, in condizioni
purtroppo molto gravi, per cui poi non ce l'ha fatta. Ma non è certo mancata l'assistenza costante e la dedizione di tutti gli operatori del reparto, primario in testa, che non si sono risparmiati nel prestare cure e conforto a mia madre così come a tutti gli altri pazienti. Li abbiamo visti dedicarsi ogni attimo agli ammalati e ai familiari che soffrono con loro, con competenza,
pazienza e sensibilità. E sono tante le vite che grazie a tutti loro vengono salvate, senza clamori, nel silenzio di un lavoro instancabile. Questa per noi è la buona sanità, sanità d'eccellenza. A tutti loro il nostro più sincero grazie, Mimmo e Anna (i figli della signora Ferrò)
pastore, e soprattutto nel sorriso accattivante. Oggi, dopo tanti anni dalla sua consacrazione, l'aspetto non è più quello del ragazzo e del giovane, ma il sorriso che quasi sempre erra sulle sue labbra illuminando il suo volto bonario, un sorriso che invita il fedele ad avere un'immensa fiducia e lo avvicina di più al sacro. Solo i veri forti sanno essere umili. Vederlo quando da solo cammina per la strada, avendo un cenno e uno sguardo per tutti, e in modo particolare per i più umili. Oppure, mentre si reca a fare gli acquisti necessari. La voce calma e pacata, nelle omelie, travalica il significato delle parole e avvicina a Dio. Non solo è fiorito nella fede, ma l'aiuto del Supremo non gli è mai mancato. Il suo carattere serio e costante, gli ha fatto raggiungere traguardi importanti nel suo lavoro
ecclesiale. Ha avuto affidata l'importante parrocchia della Madonna di Portosalvo della città di Siderno (1996), incarichi d'insegnamento, fino ad arrivare alla nomina di Vicario della diocesi di Locri-Gerace. Ha avuto il titolo di Monsignore, è amministratore diocesano e tante nomine e incarichi ancora. Si prova grande soddisfazione, il lavoro importante, l'auto, la canonica ecc... Ma noi preferiamo vederlo quando, ancora in età giovanile, appena arrivato a Siderno, era tutto chiesa e preghiere, tutto genuino. Emanava dalla sua persona l'aria magica di Grotteria (anche se proveniva da Mammola)! Poche volte accade nella storia della chiesa d'incontrare sacerdoti di tale fede e cotanto ingegno. È sicuro che si manifesta in loro, chiaramente, la volontà del Signore! Brawn Giò
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ll letale ed anacronistico ossimoro del Palazzo TONINO CARNERI La politica difende il suo privilegio di continuare in futuro a gestire risorse senza la responsabilità che vincola una qualsiasi pubblica amministrazione. Dall’immunità di sede e dall’assenza del giudice esterno si è ricavata un’esenzione dallo Stato di diritto: solo spazzando sotto il tappeto avrà finalmente termine una storia che delegittima silenziosamente il Parlamento, esponendolo al risentimento popolare che alimenta la sempre più nutrita schiera dell’antipolitica. Ricordo che al ginnasio il compianto Professor ARENA, Docente di Filosofia, chiedendomi la definizione di “Enclave” e degli esempi a proposito, risposi in maniera baldanzosa e tronfia “ Territorio completamente chiuso entro i confini di uno stato diverso da quello cui appartiene” e, in riferimento agli esempi, in Italia, la repubblica di San Marino e lo stato Città del Vaticano. Accendendo l’ennesima sigaretta Nazionale, zigrinata, perché comprata nel Vaticano dagli affe-
zionati ex allievi universitari a Roma, rispose: io che cerco di sviluppare in voi la libertà di pensiero, non desidero coartare la vostra mente, ma in Italia esiste un altro stato enclave che scoprirete negli anni. A cosa si riferiva il Professore? L’ho capito leggendo il libro di Irene Testa “Parlamento zona franca. Le camere e lo scudo dell’autodichia”. Confesso di essere ignorante, d’altronde anche il grande Socrate ammetteva di sapere di non sapere (comodo ed opportunistico alibi da parte mia) e di non conoscere il significato di autodichia e di autocrinia. Autodichia, autodìche - «giustizia» domestica, fatta in casa. Autocrinia autokrìno «secernere» Produzione della norma giuridica da parte dello stesso soggetto che ne è il destinatario. Intendiamoci, quando i Padri costituenti scrissero la Costituzione, l’Italia era reduce dalla nefasta esperienza fascista e, quindi, giustamente dovevano tutelare il principio di autonomia ed indipendenza della rappresentanza politica dall’ingerenza di altri poteri. Oggi, in quasi tutto il mondo
è ormai abbandonata. L’art. 64 della Costituzione recita: Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento. Giusto, ovunque esiste un regolamento per ottimizzare la funzionalità dell’organo. Ma, come direbbe Di Pietro, questa interpretazione del regolamento che c’azzecca? Di fatto ci troviamo di fronte ad una zona franca dove non entrano la guardia di finanza, la magistratura ordinaria e contabile, e neppure il giudice del lavoro. Nel 2010 Emma Bonino guidò l’opposizione al rifiuto di accesso opposto dal Presidente Renato Schifani all’ispettore del lavoro che voleva entrare al Senato per vedere i contratti di lavoro. Di recente il vicepresidente Luigi di Maio ha tentato, senza successo, di introdurre un limite al mandato del superfunzionario della Camera Ugo Zampetti che dal 1999 ininterrottamente è il capo assoluto dell’amministrazione, con uno stipendio di € 600.000. E nessuno, al di fuori degli stessi parlamentari, può sindacare su come impiega quel miliardo di risorse messe come posta nel bilancio dello Stato per garantirne il funzionamento
senza dipendere da altri organi. Risultato; il segretario generale è una delle figure più potenti della burocrazia pubblica italiana. Quante volte si è parlato del barbiere della camera che guadagna più di un chirurgo? Ma chi lo decide? Ancora una volta l’Ufficio di Presidenza, applicando il proprio regolamento che, grazie all’autodichia, nell’enclave assume il valore assoluto di legge e si applica ad “insindacabile giudizio”. Ma non è un dipendente pubblico? Macché, è un dipendente della Camera, o del Senato o del Quirinale. E questo vuol dire che che le regole che valgono per tutti non valgono per lui, e per altre migliaia di dipendenti, nel bene e nel male. Nel bene, significa stipendi e rivalutazioni decisamente superiori a quelli, per omologhe funzioni, riscontrabili in altre amministrazioni dello stato. Esempio: un operatore tecnico (barbiere, centralinista, elettricista…) entra con uno stipendio intorno ai 30 mila euro, dopo 10 anni arriva a 50.000 ed a fine carriera a 136.000 euro. Le progressioni sono decise ad insindacabile giudizio di
una commissione interna. Assolutamente niente a che fare con i lavoratori del pubblico impiego, ma è pure giusto che le teste...dei parlamentari vengano tutelate.Però, nel male i dipendenti della città stato devono vedersela con l’altra faccia dell’autodichia, vale a dire l’impossibilità, in caso di controversia, di rivolgersi ad un giudice del lavoro, in quanto il loro “giudice naturale” non è quello ordinario (art. 25 Costituzione:Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge), ma una commissione contenziosi composta da parlamentari e dal Segretario generale. E’ triste ammetterlo ma laddove si legifera si infrangono le leggi! Antonio Ghislanzoni Libro proibito 1878 Fra noi dell’umil schiera, Per falso giuramento Si può andare in galera Al Senato, alla Camera Miglior sistema è invalso… vi per molti è titolo D’onor giurare il falso.
ATTUALITÀ
La copertina
PASQUALE GIURLEO C’è un nemico sotto i nostri piedi pronto a colpirci in qualunque m o m e n t o . Spendiamo decine di miliardi di euro per comprare aerei e missili da schierare contro eserciti fantasma. Ma dedichiamo pochi spiccioli per difenderci dall’unico attacco reale che in pochi secondi potrebbe uccidere decine di migliaia di italiani. Questi dati provengono dal dipartimento della Protezione civile con cui viene pianificata l’emergenza in caso di terremoto. Migliaia di schede, aggiornate periodicamente (raramente rese pubbliche). Una per ogni Comune con tutti i numeri necessari a valutare gli effetti di un sisma e predisporre così i soccorsi. La banca dati, è da anni sfruttata dalla Protezione civile. È stata realizzata da un gruppo di lavoro del Servizio sismico nazionale . L’intensità di un terremoto viene calata sul patrimonio edilizio attuale della città presa in considerazione. Il calcolo tiene conto di parametri locali come la densità degli abitanti, la vulnerabilità degli edifici in base all’anno e al materiale di costruzione, l’altezza dei palazzi e tutto quanto la Protezione civile aggiorna nel Sige, il sistema informatico di gestione delle emergenze. Ogni scheda offre tre scenari: terremoti di intensità più bassa (maggiore probabilità che si verifichino nell’arco di 50 anni), media e forte (corrispondenti alla massima intensità storica registrata in quel luogo). Gli “Scenari di danno comunali” così ottenuti sono comunque approssimati, basandosi su un calcolo statistico. La qualità delle costruzioni è un’altra variabile decisiva. Per la statistica, un condominio in cemento armato costruito nel 2010 dovrebbe avere una buona capacità antisismica. Nella pratica molto dipende dal tipo di suolo, dalla qualità del cemento usato, dall’eventuale sovrapposizione di più onde sismiche durante il terremoto. E soprattutto dalla professionalità di progettisti e costruttori. Per questo gli stessi scenari di danno, nel loro range di variabilità della stima, ipotizzano anche conseguenze più gravi, considerandole però meno probabili. Una rete di monitoraggio internazionale, alla quale partecipa il dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste, ha acceso un segnale d’allarme sull’Italia centrale e sul Meridione, in particolare sulla Calabria e la Sicilia orientale. Nel Centro, l’allerta è stata attivata dal novembre 2012. In Calabria e Sicilia dal gennaio 2012, dopo diciotto anni di silenzio del sottosuolo. La situazione viene valutata ogni due mesi in base all’attività sismica di fondo. Il gran numero di piccole scosse (7116 che dal 21 giugno del 2016 sino a gennaio 2017 si sono registrate in centro Italia ma anche in Calabria – l’8 gennaio scorso) dimostra che la nuova energia che da qualche tempo attraversa la crosta terrestre tra l’Africa e l’Europa non si è dissipata e l’allarme degli scienziati per un forte terremoto è ancora in corso. Le stime sulle persone che in futuro potrebbero essere coinvolte, cioè il totale di morti e feriti nel caso di un forte terremoto, sono agghiaccianti: 161.829 a Catania, 111.622 a Messina, 84.559 a Reggio Calabria, 45.991 a Catanzaro, 31.858 a Benevento, 19.053 a Potenza, 73.539 a Foggia, 24.016 a Campobasso, 20.683 a Rieti. Ipotizzando un sisma di magnitudo 7 nelle aree interne dell’Appennino meridionale, comprendente la Sila e l’Aspromonte, di intensità ritenuta possibile perché già registrata in passato, si prevedono fino a 11.000 morti e più di 15.000 feriti. La media mondiale per un sisma di quel livello si ferma a 6.500 morti e 20.500 feriti. In Giappone a 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri tra Italia e Giappone è chiaramente dovuta alle tecniche di costruzione
Ci ha terrorizzati la mucca pazza e da lì molti sono diventati vegetariani. Ci hanno terrorizzato i vaccini e abbiamo preferito i virus. Ci hanno terrorizzato i virus e ci siamo rimessi in fila perchè ci risomministrassero i vaccini. Poi ci dicono che potremmo scomparire, non tutti ma buona parte, da un momento all’altro e ce ne infischiamo baldanzosamente
impiegate e agli investimenti nella prevenzione. I terremoti non si possono prevedere con precisione. Una previsione, pur non essendo dettagliata nell’indicare il luogo o il giorno, non serve a evacuare milioni di abitanti. Basterebbe che le Regioni ne approfittassero per allertare le reti di soccorso. Un terzo dei sindaci in Calabria, che tra l’altro è una delle regioni del Sud dove la Protezione civile è più allenata, non ha un piano comunale. Significa che, in caso di emergenza, gli abitanti non saprebbero dove raccogliersi e i soccorritori dove portare i feriti. Luoghi dove ci si rassegna alla scaramanzia non essendoci obbligo di prevenzione. «Abbiamo popolazioni inconsapevoli del rischio e perciò esse stesse poco esigenti verso chi li amministra - dice il direttore della Protezione Civile, Carlo Tanzi. Girando per l’Italia, ho notato sempre grande sensibilità sulle risorse da destinare agli esiti di eventi calamitosi, essenzialmente risarcimento dei danni che negli ultimi anni hanno riguardato oltre l’80 per cento delle somme erogate. Mai per una seria politica di messa in sicurezza dei territori. Ancora troppi Comuni non hanno piani di protezione civile. E quelli che ce l’hanno sulla carta, in massima parte non sono conosciuti dai cittadini». Il dipartimento ha messo a disposizione uno staff tecnico per supportare gli uffici comunali nel predisporli. Non sembra avere avuto grande attenzione!
85.000 Secondo il dossier choc della Protezione Civile, a tanto ammonterebbero le vittime nella provincia di Reggio Calabria nel caso di un terremoto di magnitudo 7. In Giappone un sisma dello stesso livello provocherebbe 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri è chiaramente dovuta alle tecniche di costruzione impiegate e agli investimenti nella prevenzione.
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Quando l’asino non vuole bere è inutile che gli fischi
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO Ho notato che col passare del tempo si riesce a convivere meglio con le grandi paure, mentre quelle piccole si acuiscono. Ci ha terrorizzati la mucca pazza e da lì molti sono diventati vegetariani. Ci hanno terrorizzato i vaccini e abbiamo preferito i virus. Ci hanno terrorizzato i virus e ci siamo rimessi in fila perchè ci risomministrassero i vaccini. Ci terrorizzano i ladri e corriamo a installarci un solido portone blindato. Ci terrorizzano i germi sui mezzi pubblici e tiriamo fuori la nostra sprezzante amuchina, simbolo quotidiano di un fanatismo purificatore.
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Poi ci dicono che potremmo scomparire, non tutti ma buona parte, da un momento all’altro e ce ne infischiamo baldanzosamente. Continuiamo a sentirci protetti da una casa che, qualora venisse previsto, vanterebbe un certificato di classificazione sismica A, vale a dire il più basso, vale a dire “tengo con la sputazza”. Eppure abbiamo la possibilità di buttarla giù e ricostruirla. Sì, potremmo farlo, esiste anche una legge, la 77/2009. Ce l’ha ricordata un mese fa con un suo articolo su Riviera l’architetto Pasquale Giurleo. Con questa legge è stato istituito il Fondo Nazionale per la Prevenzione del Rischio Sismico. Dal 2009 al 2016 sono stati messi a disposizione 963 milioni di euro, da ripartire tra le regioni a maggiore sismicità. Sì, anche in questo caso “uno sputo” rispetto a quello che bisognerebbe (ri)fare ma pur sempre un inizio, un nuovo inizio. Grazie a questa legge tutti i comuni possono indire l’avviso pubblico “Interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico o, eventualmente, di demolizione e ricostruzione di edifici privati” e provare a contenere i danni delle scosse. Un avviso uguale per tutti a cui serve solo apporre un timbro e la firma del sindaco. Non bisogna scervellarsi a redigerne uno diverso per ogni comune. Nell’era del copia e incolla e del bradipismo acuto anche gli avvisi pubblici ci vengono incontro e si prestano ad essere validi per tutti. Ci siamo chiesti, pertanto, i comuni della Locride l’avranno indetto? Siamo andati a spulciare gli albi pretori dei 42 comuni e con sorpresa - sebbene ormai non ci si sorprenda più di niente solo sette comuni lo hanno pubblicato, due dopo l’uscita dell’articolo dell’architetto Giurleo. Gli altri, nel migliore dei casi, hanno pubblicato l’ultimo bando l’anno scorso - ma sono pochi anche questi ultimi, visto che c’è chi è fermo al 2012 e chi non ha mai pubblicato un bando (in quest’ultimo caso valutiamo l’ipotesi che, non essendo presente un archivio, potrebbe anche essere stato pubblicato negli anni scorsi ma non riusciamo a rintracciarlo). Ottantacinquemila nella sola Calabria tra morti e feriti. Scomparirebbe la nostra bellezza che brilla e la nostra ricchezza che scroscia. Eppure i nostri amministratori sono lì a presidiare in negletta solitudine il “bene comune”. Non so in cosa esattamente si condensi quel bene comune, dal momento che l’aver salva la vita ne resta fuori. C’era un tempo in cui la politica contava tanto quanto la vanagloria personale di chi si cimentava in questo campo. Tranne poche eccezioni le due semirette, perfettamente parallele, procedevano di pari passo. Poi qualcosa di imprecisato ha bloccato brutalmente la semiretta “politica” e così “vanagloria”, sgusciando come uno scoiattolo, ha potuto sorpassarla, sparandole una pernacchia. Anzi no, una puzzetta, come lo scoiattolo scorreggino della pubblicità della vigorsol che anni fa fu pure censurato. Una puzzetta e puf il gelo tutto intorno. Dovremmo smetterla di farci “cosificare” dai politici, lasciarci imbrigliare dalle loro individualità, uniche nel loro genere. C’è un momento in cui ti considerano, poi ti posano, ti riprendono per posarti di nuovo da qualche altra parte. Discorsi in stampi da budino con gli stessi sorrisi negli stessi angoli della conversazione. Ciarpame trionfalmente scialbo o scialbamente trionfale che serve solo a inspessire il nostro senso di abbandono. Oggi buona parte dei nostri amministratori crede di dover mostrare la propria ottundente passione politica attraverso una contundente violenza verbale. E più ottundono, più contundono. Noi da parte nostra continuiamo a considerarli un’entità superiore che non va disturbata, stimolata, ridestata e di cui non va sfilacciata l’imbottitura delle parole cuscinetto. Il prossimo 10 marzo scade la possibilità di aderire al bando: amministratori, sveglia! Siamo in 85 mila a rischiare la pelle. Non voglio pensare che un giorno ci dissolveremo sullo sfondo come quelle comparse dei film di guerra e non ci sarà nemmeno concesso di essere doppiati.
CULTURA
L’ntervista
Giovanni Battista Carafa “della Spina”, nato nel 1492, coniuge di Lucrezia Borgia dei principi di Squillace (nipote di papa Alessandro VI), fu un importante personaggio nel viceregno di Napoli della prima metà del XVI secolo, sul quale aleggia, da secoli, un dibattuto “chiaroscuro” storiografico.
I delitti del marchese Giovanni Battista Carafa Dalla confessione di G.B. Carafa durante il processo emerge il ritratto di un feudatario collerico, cinico, dispotico e violento (fu il mandante di cinque omicidi) ma anche, paradossalmente, quello di un impenitente tombeurdes femmes
La poesia
VOGGHJIU... Vogghjiu 'i rrestu ccà, tra chista genti, 'nta chista terra duci e maltrattata, aundi puru 'a persuna cchiù fetenti trova 'na casa pemm'esti ospitata. Vogghjiu 'i rrestu ccà, cu chistu mari, limpidu e chiaru comu 'nu velu, e du barcuni i mi pozzu ffacciari e 'i mi cumpundu l'acqua cu cielu. Vogghjiu i rrestu ccà, 'nta chista paci, 'i mangiu cannarozza e quattr'alici, i 'mbivu 'u vinu 'i casa chi mi piaci, a' facci 'i cu' non voli e d'i nemici! Vogghjiu 'i rrestu ccà, 'nta chistu regnu chi dintra o' cori meu dassau 'nu signu, e vogghjiu finu all'urtimu 'i mi 'mpegnu 'i cacciu 'a nominata ch'è malignu! Giovanni Ruffo
L’avv. Filippo Racco è membro della Deputazione di Storia patria per la Calabria, nonché socio di altri sodalizi storico-culturali calabresi. È autore di varie pubblicazioni per la storia dell’età moderna, tra le quali, riguardo alla famiglia Carafa, Una codificazione feudale del Seicento calabrese. Gli “Ordini, Pandette e costituzioni” del principe Carlo Maria Carafa e il buongoverno dello Stato della Roccella. Seconda edizione aggiornata e ampliata (2010, prima ed. 1996) e La Croce e la Mezzaluna. Il principe Fabrizio Carafa, Sinàn Bassà Cicala e l’assedio di Castelvetere. 9 settembre 1594 (2014). In occasione del convegno tenutosi, il 15 gennaio scorso, per il 485° anniversario dell’autonomia municipale del casale di Sideroni (odierno Comune di Siderno) per privilegio imperiale concesso all’allora feudatario Giovanni Battista Carafa, marchese di Castelvetere e conte della Grotteria, Filippo Racco ha trattato la figura di quel signore feudale, ancora controversa in sede storiografica, con una relazione che ha suscitato l’interesse dell’uditorio anche
per la peculiare biografia di quel personaggio, il quale morì in Napoli, giustiziato, dopo un lungo processo giudiziario. Avv. Racco, chi fu Giovanni Battista Carafa e quale fu la sua politica feudale? Giovanni Battista Carafa “della Spina”, nato nel 1492, coniuge di Lucrezia Borgia dei principi di Squillace (nipote di papa Alessandro VI), fu un importante personaggio nel viceregno di Napoli della prima metà del XVI secolo, sul quale aleggia, da secoli, un dibattuto “chiaroscuro” storiografico. Successo al padre negli estesi feudi di famiglia (Grotteria con i casali di Martone, San Giovanni, Agnana, Mammola e Sideroni; nonché Motta Gioiosa, La Roccella e Castelvetere), G.B. Carafa sostenne la politica imperialistica di Carlo V con l’iperbolica spesa di 59.100 ducati. Per i servigi così resi alla corona, l’imperatore, nel 1530, lo nominò marchese di Castelvetere (odierna Caulonia) e, in seguito, lo insignì dei prestigiosi titoli di cavaliere di S. Giacomo e di Grande di Spagna di prima classe. Nei feudi dominati, il marchese promosse l’istituzione di locali fiere e mercati ed istituì, nel 1529, l’annuale mercato, nel castello di Motta Gioiosa, della durata di otto giorni (1/8 agosto). Nel settore militare, G.B. Carafa curò inoltre l’apparato difensivo delle proprie terre feudali per fronteggiare le continue incursioni turchesche e, a tal fine, munì di mura urbiche (di cui oggi sono ancora visibili pochi resti) il casale di Sideroni, per il quale ottenne l’autonomia municipale con privilegio imperiale del 16 gennaio 1532. In riconoscenza di tutto ciò, in onore di quel feudatario, i sidernesi gli eressero una statua trionfale che lo raffigurava, purtroppo dispersa prima del 1674, come ciò discende da una coeva lapide, rinvenuta in Siderno superiore non molti anni or sono, nella quale risulta la memoria di quel monumento. Quale fu il rapporto tra G.B. Carafa e i vassalli feudali? Dal 1528 fino al 1534, il marchese avviò una decisa azione per la reintegrazione dei beni feudali un tempo concessi a molti vas-
salli dal padre, il conte Vincenzo Carafa. Tale operazione, promossa, anche e soprattutto, al fine di recuperare le ingentissime spese sostenute per l’imperatore, fu inoltre diretta a reprimere una sorta di anarchia fiscale perseguita da molti vassalli e ancor più aggravata, per le finanze carafiane, dall’usurpazione delle proprietà feudali. Sovente, autore di tali illeciti, spacciati per antiche concessioni del genitore del marchese, non fu soltanto il popolo, ma anche l’aristocrazia locale e la classe sociale dei cosiddetti “honorati” (proprietari terrieri ed esercenti professioni liberali), i quali li perpetrarono, in particolare, nel marchesato di Castelvetere, laddove i vassalli furono, da sempre, i più ostili al dominio della casa feudale carafiana. Dopo la reintegrazione di molti appezzamenti fondiari, la superficie di territorio feudale castelveterino aumentò nella misura del 4,4%, mentre quella della contea della Grotteria si attestò intorno all’8,5%. A seguito di quelle reintegrazioni, tuttavia, derivarono profonde incrinature nei rapporti tra il feudatario e molti suoi vassalli, specialmente castelveterini, alcuni dei quali, per una presumibile conflittuale
ritorsione per gli spossessamenti fondiari subiti, nel 1548 denunciarono il marchese, per presunti suoi gravissimi crimini, al vicerè del tempo Pedro de Toledo. A seguito di quella denuncia, G.B. Carafa fu processato? Dopo che il feudatario fu imprigionato nelle carceri di Castel Capuano in Napoli, sede del Tribunale della Vicaria, giunse in Castelvetere il commissario Rodorico Alferes, insieme a un cancelliere, per svolgere le opportune indagini investigative. Costoro però, come pure denunciato dai vassalli castelveterini, furono corrotti dalla marchesa Lucrezia Borgia, la quale, avendo spesi ben 30.000 ducati, riuscì anche ad intimidire e a subornare molti testimoni addotti a carico del marito, essendo stata coadiuvata, in tale sua illecita opera, da una violenta masnada di pregiudicati comandati da Pietro Carafa, figlio naturale del feudatario incriminato. Appreso ciò da una successiva denuncia, parimenti presentata da alcuni cittadini, il vicerè de Toledo revocò l’incarico ad Alferes e inviò quindi, in Castelvetere, altro commissario per svolgere ulteriori indagini, dopo le quali a G.B. Carafa furono contestati molti delitti nel processo “criminale” promosso a suo carico. Tali fatti, così come il seguente iter processuale, sono documentati in incartamenti conservati nell’Archivio di Stato di Napoli e, in Spagna, nell’Archivo General de Simancas. Il 26 febbraio 1552, nelle tetre prigioni napoletane, il marchese fu sottoposto a interrogatorio con la tortura della “corda”, vero e proprio strumento di sevizie fisiche e psicologiche, per effetto della quale, come è ben immaginabile, il torturato confessava anche reati che non aveva realmente commessi. E, di ciò, ne è riprova la dichiarazione difensiva resa da G.B. Carafa, testualmente verbalizzata all’inizio della sua tortura, “Io me protesto che se dico alcuna cosa lo dico per dolore de li tormenti”. Il marchese confessò i crimini per i quali fu denunciato dagli abitanti di Castelvetere? Durante l’interrogatorio, tra i dolorosi tor-
Mattarella all'Unical:occasione pe La cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'Università della Calabria ha visto la partecipazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nei giorni precedenti all'evento, l'ateneo di Arcavacata si è preparato all'arrivo del Capo dello Stato con numerose operazioni che hanno, sicuramente, "ritoccato" l'immagine dell'Università: strade appositamente asfaltate, segnaletica stradale rinnovata e così via. Operazioni che hanno destato il malcontento di quanti, giornalmente, sono costretti a subire le inefficienze del sistema e che pertanto non hanno sopportato questi interventi di facciata. Alla polemica si sono aggiunte le forti e aspre critiche al rettore da parte dei docenti e degli allievi che, da qualche tempo, animano la vita del Campus. Lo scontento ha animato naturalmente anche il giorno dell'inaugurazione, durante il quale le numerose autorità impiegate per la sicurezza hanno dovuto mantenere l'ordine e contenere quanti si erano organizzati per portare avanti una manifestazione di protesta contro la situazione politica italiana, e che non hanno risparmiato parole accusatorie contro la polizia e persino nei confronti degli studenti che si apprestavano a dirigersi nell'Aula Magna per assistere alla cerimonia. Al di là di questi prevedibili episodi, la cerimonia è stata seguita da molti studenti e si è contata la presenza di molti politici e personalità di spicco calabresi. Bisogna dire che quasi
l'intera Aula Magna dell'Università era occupata da professori, rettori, giornalisti e politici, pochissimo lo spazio riservato ai giovani e agli studenti. Si è, però, cercato di rimediare, proiettando la diretta della cerimonia in una delle aule universitarie. Mattarella ha fatto il suo ingresso salutando tutti i presenti in prima fila con una stretta di mano, dopodiché si è accomodato al suo posto. La telecamera fissa su di lui ha permesso di notare quanto rispetto abbia mostrato per i numerosi interventi che si sono susseguiti. E, mentre gli altri sono stati immortalati e ripresi più volte distratti dal cellulare, lui non ha mostrato il benché minimo segno di distrazione. Un coro ha intonato l'Inno di Mameli, un video ha presentato il Campus, un lungo intervento basato sull'efficienza dell'Unical ha
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La manifestazione ha avuto il momento clou con la consegna dei riconoscimenti ai Benemeriti della Scuola presidi, docenti e personale ATA - i quali si sono caratterizzati, durante la loro carriera, per gli alti meriti educativi e lavorativi al servizio delle giovani generazioni.
menti della “corda”, dei quarantuno delitti contestatigli il marchese confessò di essere stato mandante di cinque omicidi (avendone però negati altri due di cui era stato accusato) e, in relazione a sei casi di lesioni personali gravi, dichiarò esserne stato l’esecutore materiale per alcuni e per altri, invece, soltanto il mandante. Dalla confessione di G.B. Carafa (verbalizzata, si rammenti, sotto tortura) emerge il ritratto di un feudatario collerico, cinico, dispotico e violento: ma anche, paradossalmente, quello di un impenitente tombeur des femmes, come ciò, infatti, discende allorquando si protestò del tutto innocente per ventotto capi di accusa per violenza carnale, avendovi eccepito il consenso scriminante delle donne castelveterine, sue presunte vittime, da lui tutte amate in corrispondenza di amorosi sensi (tra cui, come in una novella boccaccesca, anche tale suor Giulia, monaca di clausura nel locale monastero di S. Maria di Valverde) e con due delle quali procreò pure due figli naturali, Pompeo e il già citato Pietro. Quale fu l’esito del processo “criminale” cui fu tratto il marchese? Quella causa penale durò quattro anni. A sfavore del marchese, oltre alle risultanze della sua deposizione confessoria, pesarono le conseguenze dei violenti tumulti popolari avvenuti in Napoli, un anno prima del suo arresto, contro l’introduzione del Tribunale della Santa Inquisizione. Quella rivolta, sostenuta (non già con finalità anti-imperiale ma, sottesamente, antivicereale) dalla nobiltà partenopea, che mal tollerava il “prorex” Pedro de Toledo e la sua politica, fu capeggiata da importanti nobili del tempo, tra i quali Cesare Carafa dei duchi di Maddaloni (cognato di G.B. Carafa per averne sposata la sorella Giulia), il quale, processato e torturato per quei moti, riferì il diretto coinvolgimento di Pietro Carafa, figlio naturale del feudatario di Castelvetere. Il vicerè de Toledo usò la dura repressione, che seguì ai quei tumulti, come severo monito alla inquieta aristocrazia del viceregno e il processo “criminale” contro
G.B. Carafa, uno dei più importanti feudatari del tempo, gli offrì anche tale opportunità. Tanto è che nessun esito sortì una supplica del 12 agosto 1552, per la concessione di grazia al marchese di Castelvetere, sottoscritta da potenti feudatari del tempo, parenti dell’imputato, quali Luigi Carafa, principe di Stigliano (che partecipò alla rivolta antitoledana), il di lui fratello Federico Carafa, marchese di San Lucido (sostenitore, invece, del vicerè), nonché Fabrizio Carafa, conte di Ruvo, Diomede Carafa, conte di Maddaloni, Giovanni Francesco Carafa, conte di Montecalvo e Giovanni Battista Carafa, conte di Policastro. La condanna alla pena capitale, a quel punto, apparve già segnata ed infatti pochi mesi dopo, il 17 dicembre 1552, G.B. Carafa fu giustiziato, in Napoli, mediante decapitazione. Si compì così, su quel patibolo, il fatale e tragico destino di uno dei più importanti e potenti feudatari del viceregno napoletano. Dopo l’esecuzione capitale, che ne è stato della memoria di G.B. Carafa? Nella seconda metà del Seicento, la “dannata” memoria del marchese di Castelvetere fu riabilitata grazie al patrocinio dell’Utriusque Juris Doctor Giovanni Francesco Pasqualino, noto avvocato e giurista di origine roccellese, all’uopo incaricato dal principe Carlo Maria Carafa, successore di quel feudatario. Ma l’oblio del tempo e degli uomini sembra ancora infierire sul ricordo (ancorché controverso) di Giovanni Battista Carafa, il cui nome, almeno nella locale toponomastica, Siderno potrebbe - e dovrebbe - oggi ricordare per una migliore conoscenza della propria identità storica e civica: essendo stato infatti quel feudatario, si rammenti, colui il quale, 485 anni or sono, ottenne l’autonomia municipale di Sideroni e il quale inoltre, con la da lui voluta costruzione delle mura urbiche difensive, provvide così a tutelare intere generazioni di sidernesi, da allora e per i secoli successivi, contro il pericolo delle incursioni turchesche. Vladimir
er fare polemica? visto protagonista il rettore, Gino Mirocle Crisci, una Lectio Magistralis sull'intelligenza artificiale è stata tenuta dal professor Nicola Leone, e poi tre interventi, hanno animato l'intera cerimonia. Gli interventi sono stati quello della Rappresentante del personale TecnicoAmministrativo che ha sottolineato più volte le difficoltà relative a contratti e pagamenti, quello del Presidente del consiglio degli studenti, Domenico Tulino, che in maniera semplice e brillante ha rivolto un appello al Capo dello Stato riguardante la questione della fuga dei cervelli e l'emigrazione dei giovani e, infine, quello del rappresentante della comunità degli studenti internazionali, Bashar Swaid, scappato da Aleppo, che con le sue parole non ha smesso di ringraziare chi lo ha accolto e gli ha dato una possibilità di studio e di vita all'Università della Calabria. L'intervento del Presidente della Repubblica è stato l'ultimo. Nessun monologo scritto, nessuna retorica, ma un discorso semplice e concreto; ha posto l'attenzione sulla crisi delle Università che ha attanagliato in particolare il Sud Italia, sull'importanza di risorse e catalizzatori, sebbene non tutto funzioni alla perfezione. Infine ha invitato a non dimenticare di mantenere viva l'attenzione sui grandi risultati ottenuti. L'aver accolto all'Unical Bashar Swaid è uno di questi. Sara Leone
A Roccella Ionica la festa della scuola 2017 In una straordinaria cornice di pubblico, alla presenza dell’Arcivescovo di Campobasso-Bojano Mons. Giancarlo Maria Bregantini e del Vescovo di LocriGerace Mons. Francesco Oliva, si è svolta a Roccella Jonica il 29 gennaio scorso la III^ Edizione della Festa della Scuola promossa dall’Associazione Museo della Scuola “I Care” di Siderno e dal Comune di Roccella Jonica. Tema della giornata è stato: “A scuola di inclusione a 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani e dalla pubblicazione di Lettera ad una professoressa ”. La Festa della Scuola 2017 ha incluso al suo interno la premiazione del concorso “Il bosco dei ricordi: l’altra Marcinelle” a seguito della Mostra di Max Pelagatti ed Enrica Buccione ospitata sempre nel complesso dei Minimi di Roccella Jonica dal 15 al 30 novembre 2016 per ricordare il 60° anniversario della strage di Marcinelle, in Belgio, dove morirono 262 emigranti di cui 136 italiani, 4 calabresi. Il lavoro premiato è stato realizzato dalla Scuola Primaria “San Giovanni Bosco” di Agnana Calabra coordinato dagli insegnanti Rita Piscioneri e Barbara Forestieri. Il programma della manifestazione ha avuto il momento clou con la consegna dei riconoscimenti ai Benemeriti della Scuola (presidi, docenti e personale ATA) i quali si sono caratterizzati, durante la loro carriera, per gli alti meriti educativi e lavorativi al servizio delle giovani generazioni. Quest’anno i riconoscimenti alla memoria sono andati ai familiari del preside Domenico Cappelleri e del preside Paolo Domenico Guarneri, figure eminenti di studiosi e di capi d’istituto che hanno segnato con la loro opera il cammino dei prestigiosi licei della Locride, e dell’insegnante sidernese Lucrezia Albanese Cento, figura insigne di docente ricordata affettuosamente dai suoi colleghi. Le altre benemerenze sono andate: al preside Giorgio Papaluca, storico dirigente scolastico dell’ITC “G. Marconi” di Siderno; all’ins. Giuseppe Ricupero, docente per tanti lustri nella scuola elementare di Siderno Superiore; all’ins. Elisabetta Dattilo, maestra di Gioiosa Jonica che ha strappato alla strada intere generazioni di ragazzi; al segretario rag. Giacomo Pagano, DSGA per tre decenni dell’ITT “Umberto Zanotti Bianco” di Marina di
Gioiosa Jonica, figura di riferimento per tanti amministrativi della Locride. L’Ufficio Scuola della Diocesi Locri-Gerace, diretto da Mons. Cornelio Femia, ha proposto la benemerenza a Mons. Giancarlo Maria Bregantini fatta propria dall’Associazione Museo della Scuola “I Care” con questa motivazione: “A Padre Giancarlo Maria Bregantini, Pastore dei piccoli gesti, per aver saputo, durante il suo apostolato in terra di Calabria, essere maestro di speranza e operatore di riscatto guardando principalmente alla scuola e camminandole a fianco; operando in mezzo alle criticità della Locride per «far strada ai poveri senza farsi strada» ”. Nel corso della cerimonia è stata consegnata una targa all’insegnante centenaria di Siderno Michelina
Speziale rappresentata dal figlio dott. Domenico Ammendolia attuale DSGA dell’ITC “G. Marconi”. Al dibattito, introdotto dal Presidente dell’Associazione Museo della Scuola “I Care!” prof. Vito Pirruccio, hanno partecipato: il sindaco di Roccella Jonica prof. Giuseppe Certomà, l’Assessore alla Pubblica Istruzione della Regione Calabria dott.ssa Federica Roccisano e i Vescovi Mons. Francesco Oliva e Mons. Giancarlo Maria Bregantini i quali hanno esaminato, alla luce del nuovo corso della Chiesa di Papa Francesco, il problema dell’inclusione nell’attuale contesto storico e con la lente indagatrice della pedagogia milaniana.
CULTURA E SOCIETÀ
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I FRUTTI DIMENTICATI
A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI
Triticum turgidum L. Fam. Poaceae
Triminì Nell’ottobre 1881, durante un corso da lui tenuto sul greco di Calabria a Bova Marina, il raffinatissimo ellenofono, Bruno Casile, defunto nel 1996, poetacontadino di Cavalli di Bova, rappresentante della minoranza linguistica grecanica in alcuni congressi internazionali, lanciò un appello disperato, oltre che per la salvezza della nobilissima lingua degli antenati, anche a favore del germoplasma calabrese. Relazionò in modo efficace sulle varietà dei grani perduti per colpa della politica dissennata della CEE che nello spazio di appena un decennio era stata capace di distruggere le varietà antiche di millenni che avevano superato centinaia tra guerre e invasioni, ma non avevano evitato le insidie dell’Europa comunitaria. Infatti bastò la decisione di pagare i premi di produzione solo per i coltivatori che avessero seminato la varietà Creso o Patrizio, che in pochissimi anni il prodotto di selezione varietale di millenni, fu vanificato. Scomparvero il Granoro, il Ciciaruni, lo Squadremo, la Maiorca Tignusa, la Maiorca Campanella ecc. e
tutto fu ridotto a quelle varietà imposte dalle regole comunitarie. Ricordò a questo punto il rischio che correva la Mavrafacì (lenticchia nera che in effetti è una veccia) ed il grano strategico delle annate piovose: Il Triminì che in greco di Calabria significava Tre Mesi. Infatti nelle annate quando pioveva per tutto l’autunno si ricorreva al Triminì, che a differenza delle altre varietà di grani che si seminavano ai primi di novembre, si seminava ai primi di marzo ed in tre mesi cresceva e arrivava a maturazione prima degli altri e veniva mietuto alle fine di maggio. Esso era un grano duro e con la sua farina si produceva il pane, ma anche i migliori maccheroni, perché “tenevano “ ossia non si spezzavano come avveniva con quelli confezionati con la farina di “Maiorca “ che era un grano tenero. Fu avviata un’indagine, ma fu tutto inutile perché il Triminì ormai era stato perso per sempre. Si ricorda che un grano analogo, se non identico è coltivato in Sicilia, il Tuminia, che possiede il signifi-
cato di mesi (minia) e quello di tre (tu), che con i suoi prodotti di pregio (pane, biscotti, dolci, ecc.) ha conquistato tutta l’Italia del centro-nord; esso è un grano primaverile che cresce e matura in tre mesi. Nell’autunno del 2014 il Movimento 5 Stelle organizzò a Cosenza un convegno sulla biodiversità a cui furono invitati fra l’altro Antonello Canonico di San Marco Argentano, la dott. essa Samanta Zelasco ricercatrice del Crea di Cosenza e lo scrivente che cominciò a relazionare sugli OGM (organismi geneticamente modificati) voluti dalle multinazionali dei semi, tra cui le americane Monsanto e Dupont e la svizzera Syngenta. Passò a parlare dei semi perduti per sempre in Calabria, poi della necessità di salvare le antiche cultivar di peri, meli, viti ecc. e a un certo punto si soffermò sul Triminì, il grano strategico delle annate piovose, perso per sempre. Gli replicò immediatamente Antonello, rincuorandolo e informandolo che esso era stato salvato nel suo paese, San Marco Argentano, dove viene chiamato Marzuolo, grazie al fatto che solo con la sua
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farina vengono preparati da sempre particolari ciambelle, pane biscottato, dolci particolari, pasta ecc.; nessuna altra varietà di grano può assolvere le stesse funzioni importantissime per le tradizioni di San Marco. Esso viene seminato ai primi di marzo e alla fine di maggio è pronto per essere mietuto, come avveniva per il Triminì, con cui s’identifica il Marzuolo. È scattata la solidarietà e immediatamente Antonello ha provveduto a portare in dono a Nino Sigilli e Dino Audino di Siderno, a Raffaele Scali d Gioiosa Marina e allo scrivente 50 chili di Marzuolo che ai primi di marzo sarà seminati a Siderno, assieme a circa trenta varietà di fagioli, due varietà di ceci, numerosi ortaggi, rigorosamente calabresi. Domenica prossima a Soverato Superiore, nell’agriturismo di Gianni Pittelli, la Valle dei Mandorli la ricercatrice del Crea di Cosenza, dottoressa Samanta Zelasco, metterà in relazione i suddetti con un imprenditore-ricercatore del Nord Italia che cercherà di valorizzare tutto quello che di biodiverso sarà prodotto in alcuni campi di Siderno, Gioiosa, Monasterace e Stilo dove saranno coltivati le varietà di ortaggi, legumi ecc. in estinzione. Solamente con gli scambi tra coloro che amano la propria terra, che rigorosamente devono fare rete, tra loro, sarà possibile scongiurare i progetti diabolici delle multinazionali dei semi che stanno diventando sempre più pericolosi con la loro strategia di federare le loro forze, vedi il caso della Bayer, leader a livello planetario nella produzione di pesticidi, diserbanti, anticrittogamici ecc. che di recente ha comprato la Monsanto, americana, a sua volta la più potente nel settore dei semi. L’esempio di scambiare i semi è divenuta una pratica ormai anche istituzionalizzata, tanto che in questi giorni a Torino si è tenuta una manifestazione apposita, dove gli utilizzatori dei semi antichi di tutt’Italia si sono incontrati e scambiati i semi. Queste pratiche semplicissime, attuate in modo ampio e generalizzato, sarebbero capaci di delimitare l’arroganza delle multinazionali dei semi, guidati dagli Stati Uniti, che hanno tentato di far approvare ai paesi dell’Europa comunitaria i TTIP, Transatlantic Trade And Investment Partnership, trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti secondo cui l’Europa avrebbe potuto mandare negli Stati Uniti una certa quantità di propri prodotti indifferenziati per qualità per cui non ci sarebbero stati più i marchi Dop, Doc ecc., mentre a loro volta gli americani avrebbero riversato in Europa il doppio (per contratto) delle loro merci, compresi gli OGM transgenici e di conseguenza una marea di cibo spazzatura avrebbe invaso le mense degli europei. Ci fu una forte resistenza specie da parte di stati detentori di marchi di qualità, italiani, francesi, tedeschi ecc (ad esempio il San Daniele, il Parmigiano reggiano, ecc.) e il trattato non fu ratificato, specie per la resistenza dei giovani. Di recente invece, un trattato analogo, il CETA è stato siglato tra la Comunità Economica Europea e i Canada, dove però, nelle grandi società produttrici di beni alimentari canadesi sono presenti gli investimenti americani e c’è il rischio che ciò che non è entrato dalla porta possa in prospettiva entrare attraverso la finestra.
Il giuramento diVitruvio per gli architetti, ingegneri e geometri della Locride «Gli errori dei medici finiscono sottoterra, gli errori degli architetti sono sotto gli occhi di tutti»: questo aforisma ha la versione più nota attribuita a Frank Lloyd Wright «i medici possono seppellire i loro errori, gli architetti possono solo coprirli con piante rampicanti» PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO Fra “gli errori dei medici”, che danneggiano e qualche volta uccidono i pazienti, e gli errori degli architetti, che devastano il corpo sociale riempiendo di orrori città e campagne, c’è davvero una forte analogia. Lo spazio in cui viviamo è un formidabile capitale cognitivo che costruisce l’identità collettiva delle comunità. La frammentazione prodotta dal vandalismo privato e di stato che semina di edifici abbandonati e incompiuti i nostri territori, la veloce modificazione dei paesaggi, il moltiplicarsi di rovine, discariche, non-luoghi residuali che crescono con una malata obesità che innesca patologie individuali e sociali, che sradica le identità acquisite e modifica i comportamenti, che segna di piaghe indelebili il corpo della società, non possono essere esclusivamente addebitate alla perversa
alleanza tra forze dell’imprenditoria, della finanza, della politica e delle mafie ma ne sono responsabili anche i nostri progettisti... L’Architetto non opera nei cieli empirei dominati dalla sola ragione della bellezza e delle forme, senza alcun rapporto con la società, la cittadinanza, la memoria culturale; al contrario il suo mestiere ha un forte e capillare impatto sulla vita di tutti attraverso le modificazioni dell’ambiente urbano e del paesaggio, cioè delle dinamiche della società civile. Ci chiediamo se l’architetto deve solo obbedire alle richieste del committente privato e pubblico (decisori) oppure, quando progetta e costruisce un edificio o trasforma un paesaggio o una città, deve avere tener conto del contesto storico, naturale, ambientale in cui opera? Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, in occasione della laurea honoris causa in architettura conferitagli a Reggio Calabria nel 2014 ha proposto di introdurre, per analogia al giuramento di Ippocrate, con cui il medico s’impegna a operare solo per il bene del paziente, un
“giuramento di Vitruvio”, secondo il quale gli architetti promettano di «legare etica e conoscenza impegnandosi a realizzare sempre edifici di qualità evitando scempi ambientali» Questa proposta modellata sul giuramento di Ippocrate (un testo, scritto intorno al 400 a.C., che viene dalla scuola ippocratica), richiamando la celebre pagina del De architectura di Vitruvio in cui l’architetto romano (tardo I secolo a.C.) delinea la figura dell’architetto ideale, elencando fra le sue virtù necessarie la cultura che noi chiameremmo umanistica, la conoscenza storica, il rispetto della salubrità dell’ambiente” Pertanto ci permettiamo di fare una modesta proposta fatta a viva voce che è la seguente: i progettisti della Locride, che siano architetti, ingegneri o geometri o agronomi, lancino una “obiezione civile collettiva” nei confronti del consumo di suolo e delle devastazioni ambientali e che sottoscrivano questo giuramento di Vitruvio in cui si impegnano solennemente a «operare con dignità senza soggiacere ad interessi, imposizioni e suggestioni di qualunque natura».
Storia incredibile In occasione del convegno sui 500 anni della riforma luterana, si è registrato un (inaspettato?) pienone di giovani e giovanissimi, nonostante l’incontro si svolgesse di domenica. Questo è vero amore per la cultura, alla faccia di chi dice che i nostri giovani non vogliono leggere e non sanno scrivere! Presenze importanti Un inedito scatto della giornalista Sky Diletta Leotta poco prima dell’ingresso sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, che tanta polemica ha generato sui social.
Celebrità e politici Il famoso “Vici du campu” posa in compagnia del consigliere comunale Gianluca Leonardi in quel del comune di Siderno.
Knock-out Il nostro amico Giuseppe Belligerante, accantonata (solo momentaneamente!) la passione per il pallone, si dedica a sport anticonvenzionali e si da al pugilato con ottimi risultati. In questa foto vi mostriamo come mette al tappeto Pasquale Spirlì.
Il ritorno del figliol prodigo Ernesto Riggio e Frank Passarelli guardano a Bivongi al Futuro!
Rappresentati giovanili Walter De Flores, il sindaco di Cinquefrondi Michele Conia e il vicesindaco di Benestare Domenico Mantegna si antepongono a Macrì e D’Agostino rappresentando il nuovo baluardo della sinistra locridea.
Un po’ più a sinistra… Amedeo Macrì e Cosimo D’agostino, compagni COMUNISTI (e non socialisti come avevamo erroneamente riportato l’ultima volta che erano comparsi sul nostro Blob)…
Per non dimenticare Il post che Repubblica ha pubblicato sul proprio profilo twitter in occasione del giorno della Memoria ci ricorQui ospedale a voi studio da, attraverso Primo Tutto esaurito per la partita Levi, l’importanza della Crotone-Juventus! E per chi non cultura storica. fosse rimasto abbasta impressionato dalla folla sugli spalti, il post twitter della pagina “Gli Autogol” dimostra che i tifosi, pur di guardare la partita, si sono asserragliati in ospedale. Scolarizzati La classe VªB del plesso Rodinò di Marina di Gioiosa ci ha fatto visita in redazione assieme alle professoresse Saraco, Agostino e Romeo
Numeri importanti Una vecchia scheda di Democrazia Cristiana. In vista della nuova legge elettorale ci piace ricordare ai nostri lettori come, una volta, si potevano esprimere le preferenze anche attraverso i numeri.
SETTIMANALE
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DOMENICA 12 FEBBRAIO
(Siderno, Teatro Nuovo, 19 marzo 1956)
"Bellavita" commedia in un atto unico di Luigi Pirandello Regia di Tonino Marando e Mico Cundari (Personaggi e intepreti) - Bellavita, dolciere : Mico Cundari
- il notajo Denora : Cosimo Racco - l'avv. Contento : Alfredo Serafino - la sig.ra Contento, sua moglie : Laura Giambanco - il sig. Giorgino, scrivano : Antonio Fazzolari
L’ANGOLO DI PARRELLO
I Bambini e la Neve " E così, caro professore, sono lontani i tempi in cui noi bambini amavamo la neve. Quanti bei viaggi abbiamo fatto assieme per andare a vederla. Ci piaceva costruire tanti Pupazzetti con lo sguardo rivolto al cielo e un sorriso luminoso. Adesso, invece, fatti troppo tristi accadono sulle montagne innevate : vedi la slavina di Rigopiano o l'elicottero caduto. Tutto questo fa quasi allontanare i giovani dalle bellezze della natura, neve compresa. Che pensi professore?"-" Personalmente mi dispiace molto ed è difficile accettare questa realtà. Ma occorre prima di tutto una riflessione non tanto sulla natura quanto sul rapporto che nel tempo abbiamo, o non abbiamo, costruito con essa....... Franco Parrello
Lincoln All’inizio del 2013 l’attenzione delle principali testate giornalistiche che si occupano di cinema fu attratta da un progetto che dava l’impressione di avere le carte in regola per essere ricordato per molti anni: un regista ormai divenuto una leggenda, un cast stellare, molti riconoscimenti ai principali festival di tutto il mondo, una produzione faraonica e un argomento caro agli americani e non solo. Il progetto in questione riguardava “Lincoln”, ed è stato il più grande fiasco del regista statunitense Steven Spielberg, probabilmente l’unica pecca di una carriera memorabile. Non è un caso se ho usato l’espressione “grande fiasco”, perché ciò che è successo a Spielberg girando Lincoln è stato fallire in grande stile. Probabilmente non è possibile criticare la produzione sotto nessun aspetto: i costumi sono meravigliosi, la colonna sonora è una vera e propria opera d’arte, l’oggetto e la sceneggiatura del film sono curati alla perfezione nei più piccoli dettagli, gli interpreti sono efficaci e a tratti virtuosi, il montaggio è preciso, la padronanza della storia e la cifra della regia è limpida, in poche parole sembra che la tavola sia imbandita per la cena più raffinata e deliziosa che si possa mai servire…senonché, quando tutti i convitati sono accomodati ai propri posti, tutti si rendono conto che il vino è annacquato, la pasta è scotta, la carne è insipida e via discorrendo. Lincoln racconta le vicende private e politiche del celebre presidente dalla sua rielezione fino al giorno del suo assassinio in un teatro di
Washington DC, riecheggiando la morte in guerra del suo primogenito, le tensioni col figlio di mezzo e con la moglie, ma soprattutto i giochi di potere che hanno portato al tredicesimo emendamento. Lincoln ha un solo grosso problema: annoia chi lo guarda. E la causa è molto semplice, all’impianto lento ed esplicativo di un documentario storico sono state applicate le pompose sovrastrutture di un film drammatico, prova ne sia che i pochi momenti che riescano ad emozionare lo spettare siano tutti caratterizzati da un regime di intimità, nel quale il contesto storico, la guerra e la schiavitù passano in secondo piano e vengono (per fortuna) quasi dimenticati. I tre o quattro momenti intensi della pellicola (che supera le due ore e mezzo) sono tutti incastonati nella vita privata dei protagonisti e riguardi istinti umani ed emozioni, non strategie politiche o dinamiche belliche. La sensazione che un occhio poco attento ha alla fine della pellicola è di aver aspettato quasi tre ore per vedere accadere qualcosa che già conosceva. Un valore aggiunto al film è la strepitosa performance di Daniel Day-Lewis (premiato proprio per Lincoln con il suo terzo oscar), che però alle orecchie di noi italiani è stata deturpata da un brutto doppiaggio di Pierfrancesco Favino, un vero peccato. Purtroppo Spielberg, con questo lavoro, è stato protagonista di un enorme spreco, un po’ come se un cecchino infallibile usasse un bazooka per uccidere un moscerino. Domenico Giorgi
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