Riviera nº 11 del 10/03/2019

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vetrina

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È doloroso dirlo ma il PD calabrese in questi anni è stato un partito semiclandestino incapace di collegarsi a qualsiasi movimento e messo in crisi da una rappresentanza istituzionale che salvo qualche eccezione - appare francamente imbarazzante.

Il PD assente mentre la Calabria va a rotoli Anche sul tema della sanità, i rappresentanti del Pd non sono stati in grado di creare un movimento di opinione capace di incalzare i responsabili e non sono capaci di svolgere il ruolo di rappresentanza

politica. Non interviene né dall’alto né dal basso!

ILARIO AMMENDOLIA All’armi! All’armi/la campana sona/ Li turchi su sbarcati alla Marina… Il pericolo dei turco-leghisti ha spinto anche in Calabria, una piccola parte di quello che fu il grande popolo della Sinistra ad andare a votare alle primarie. Premetto che considero tutti i cittadini che, disinteressatamente, si sono recati ai seggi del Pd come persone animate da un forte senso civico e da una grande voglia di partecipazione. Una risorsa per la democrazia. Zingaretti ha vinto ovunque anche in Calabria e nella Locride. Fin qui tutto bene ma a questo punto una domanda è d’obbligo: dopo le primarie conterà di più il popolo calabrese che si riconosce nella Sinistra e nel PD? Avrà maggiore forza la gente della Locride? Saranno aperti i circoli chiusi del Partito democratico? Lo spero ma non lo credo! Non lo credo perché il PD in Calabria di fatto non c’è se non come mero cartello elettorale! Probabilmente “passata la festa e gabbato lo santo”, tutto ritornerà nelle mani di gruppi dirigenti che hanno l’abilità di volteggiare nell’aria leggeri e “mobili qual piuma al vento”: bersaniani di ferro, cuperliani di bronzo, renziani di acciaio e oggi zingarettiani a 24 carati! Sarebbe anche legittimo cambiare leader (anche se questi lo fanno con la stessa naturalezza con cui cambiano i calzini) ma, buon Dio, senza mai una riflessione, senza mai un’autocritica, senza mai uno straccio di dibattito capace di coinvolgere la gente che in maniera composta e gratuita s’è recata ai seggi o coloro che hanno votato il simbolo del PD. È doloroso dirlo ma il PD calabrese in questi anni è stato un partito semiclandestino incapace di collegarsi a qualsiasi movimento e messo in crisi da una rappresentanza istituzionale che - salvo qualche eccezione appare francamente imbarazzante. Facciamo qualche esempio? S’è fatto un gran parlare della estrema sofferenza della sanità in provincia di Reggio e soprattutto a Locri. Ribadisco sono contro ogni scandalismo ma… sapete quanto paga di soli interessi l’ASP di Reggio? 70 milioni ogni anno! Una cifra imponente di soli interessi che se ben spesa avrebbe trasformato il sofferente ospedale di Locri in una clinica svizzera. E in cassa l’Asp ha, da circa sei anni, 200 milioni destinati al ripianamento debiti che però non spende! Non c’è qualcosa di torbido, di oscuro e di preoccupante in tutto questo? La vecchia classe dirigente ne è responsabile ma cosa hanno fatto i rappresentanti del PD che la gente ha

votato ai vari livelli? Non sono stati in grado di creare un movimento di opinione capace di incalzare i responsabili e non sono capaci di svolgere il ruolo di rappresentanza politica. Non interviene né dall’alto né dal basso! Molti esponenti neanche lo sanno, altri si spolverano il problema di dosso e si girano dall’altra parte. E così la giobba continua mentre consolidati gruppi di potere maturano interessi con un tasso del 12% annui a danno degli ammalati.Nulla è cambiato e in casi come questo destra, sinistra e cinque stelle “per me pari son”! E poi la pacchia la farebbero gli internati di San Ferdinando affidati al braccio secolare che si dimostra ancora una volta di ferro con i deboli e di ricotta con i forti! Se oggi la gente sceglie la “politica” disumana, truce, ferocemente antimeridionale e razzista di Salvini - (e sbaglia)! - lo fa perché delusa, mortificata e amareggiata da coloro che c’erano prima e perché molti di coloro che rappresentano il PD non sanno andare oltre la protervia e l’arroganza del potere. Nel 2013 la maggioranza relativa degli elettori hanno votato PD e non chiedevano la luna, ma solo una società più democratica, più giusta, più efficiente. Una maggiore partecipazione e un vero piano di Rinascita del Sud.

Cosa hanno avuto? Nulla o quasi. E il “quasi” è veramente poco! Le disuguaglianze sono aumentate ovunque. In Calabria più che altrove. I privilegi non sono stati scalfiti, i servizi non sono migliorati. E nel momento in cui contro il Sud e la Calabria è spuntata minacciosa l’ombra della secessione delle Regioni ricche e la fine dell’Unità nazionale, il PD (e non solo) ha disertato il campo. Molto più facile creare divisioni fittizie nascondendosi dietro i nomi di Zingaretti, Martina, Giachetti, piuttosto che affrontare i problemi reali della Calabria. Ci può essere una svolta? Certamente! Sono contro la rottamazione e quindi me lo auguro a meno che i “capi” non decidano di mantenersi a galla pur restando immobili obbligando i gregari ad adeguarsi. In questo caso affonderanno tutti! Anzi affonderemo tutti, facendo sprofondare negli abissi un “popolo” di “Sinistra” che ha avuto un’anima, una storia e una passione che non meriterebbero di fare questa fine. A meno che non si rinsavisca ma siamo già oltre il tempo massimo. In Calabria la campana suona ma per il pericolo non è costituito dal pericolo che i turchi sbarchino alla Marina ma della possibilità concreta che i “cristiani” son diventati peggiori dei “turchi”!


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attualità www.larivieraonline.com

SAN LUCA

A rischio la candidatura di Klaus Davi a sindaco

Candidatura a sindaco di San Luca a rischio per Klaus Davi. Il massmediologo starebbe infatti riscontrando delle difficoltà nel reperire le 30 firme necessarie a comporre una lista elettorale e, secondo qualcuno, la causa di questa difficoltà sarebbe da ricercarsi nel niet pronunciato in merito da alcune figure di “peso” a San Luca. Come spesso accade quando si tratta del paese di Corrado Alvaro, purtroppo, c’è infatti chi vede l’ombra della criminalità organizzata, legata a doppio filo a certe famiglie reggine alle quali Davi avrebbe procurato più di un fastidio nel recente passato, la volontà di impedire al personaggio pubblico di raggiungere la poltrona di sindaco del centro della Locride. A questo sospetto serpeggiante tra i sostenitori del massmediologo pare invece non credere l’altro aspirante sindaco di San Luca, Francesco Anoldo, che con una breve considerazione lanciata sui social ha etichettato questo rincorrersi di notizie come una semplice scusa con la quale Davi starebbe progressivamente cercando di defilarsi da una sfida che si sarebbe reso conto essere più grande di lui.

CROTONE

Volantino shock della Lega per la festa della donna In occasione della Festa della donna la Lega di Crotone ha diffuso un volantino di dubbio gusto in cui è riuscita a tirare in ballo migranti e omosessuali anche nel parlare di una questione di parità di genere. Non solo: nell’elenco di persone e realtà che offendono la donna, seconda i leghisti calabresi, sarebbero da annoverare anche tutti coloro che lottano per l’introduzione delle quote rosa (che sarebbero inutili per dimostrare il vero valore delle donne) e che pretendono che la donna abbia un ruolo differente da quello naturale di promotrice e sostenitrice della vita e della famiglia tradizionale. Pesante l’attacco dei ministri Elisabetta Trenta, Giulia Grillo e Barbara Lezzi del Movimento 5 Stelle, che hanno parlato di volantino scioccante e in grado di riportare la società indietro di decenni. “Ci auguriamo - hanno concluso le rappresentanti pentastellate - che i vertici della Lega prendano quanto prima le distanze”. Un desiderio che, stando alle notizie in nostro possesso, non sarebbe tuttavia stato esaudito…

UNA STORIA NELLA STORIA

La croce di San Ferdinando Giovedì a S. Ferdinando si è dato il via allo sgombero della Baraccopoli. Nulla diremo sul fatto, tanto di tutto e di più si è detto. Ma c’è una storia che merita di essere raccontata, la storia della Croce della chiesa-baracca del campo, forse l’unica Croce ma non l’unico simbolo religioso presente nelle chiese-baracche di S. Ferdinando. Come ci sia arrivata lì è un’altra storia, vi racconteremo invece di come da lì è uscita. Per chi nella baraccopoli non ci è mai stato forse è opportuno avere in mente la mappa delle chiesebaracche. Entrando, sulla sinistra c’era la Chiesa dell’Unione Africana. Da lì, proseguendo sulla via principale, a sinistra, al secondo vicolo, si trovava la Moschea Sufi, tornando indietro e percorrendo la strada centrale fino al supermercato senegalese, sulla destra, dopo il “centro riparazioni Velò”, naturalmente rivolta verso La Mecca, vi ritrovavate la Moschea, frequentatissima nell’ora della preghiera. Da qui a destra, in fondo, trovavate uno svinco-

lo che a sinistra portava verso la comunità Maliana e a destra vi riportava all’uscita. Ecco, prima di arrivare in fondo alla strada sulla sinistra, dopo il negozio di Kalil, facilmente individuabile per la presenza dei due cani, “bianco” e “nero”, chiamati banalmente così per il colore del loro manto, sulla sinistra, dopo poco più di 20 metri, ci trovavate la Chiesa Nigeriana. Se siete riusciti a costruirvi questa mappa mentale, tra la Chiesa Nigeriana e il negozio di Kalil ci stava la Chiesa del culto Cattolico, poi divenuta la casa di Mary e successivamente la casa di alcuni musulmani di origini diverse, che non solo avevano avuto la casa-baracca in comodato d’uso ma si erano fatti custodi anche della Croce, che lì è rimasta e lì è stata prelevata prima della demolizione. Coincidenza vuole che lo sgombero e la demolizione siano iniziati proprio dalla via principale e mentre la prima escavatrice demoliva il negozio di Kalil, è arrivata la telefonata di Don Roberto che chiedeva di salvare la Croce se fosse stato possibi-

MARINA DI GIOIOSA IONICA

Il Movimento 5 Stelle organizza un convegno sullo scioglimento dei Comuni

Sabato 16 marzo, alle ore 16:30, presso la Sala Consiliare di Marina di Gioiosa Ionica sita in via Fratelli Rosselli, si terrà un convegno-dibattito organizzato dal Movimento 5 Stelle sulla tematica dello Scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazione mafiosa e interdittive antimafia. Ne parlerà Gelsomina Silvia Vono, portavoce del Movimento 5 Stelle al Senato della Repubblica 1ª Commissione Affari Costituzionali e Comitato Permanente per i Pareri e la giornalista Caterina Provenzano, autrice del libro “Scioglimento dei comuni per mafia - Quando lo Stato sequestra democrazia e libertà”. Modera Arrigo Lagazzo. La cittadinanza tutta è invitata a partecipare.

le, e così ,in accordo e con la disponibilità e l’intervento degli ispettori di Polizia, Mary e Fafà (Falajè) sono riusciti a rientrare nel campo e recuperare la Croce. Potreste pensare che il finale non sia così tanto “emozionante”, che le coincidenze siano poche e l’intervento Divino manchi. E forse è così, però ci ha emozionato vedere che, mentre ognuno raccoglieva le proprie poche cose per lasciare il campo, mentre la macchina della “giustizia sociale” compiva il proprio dovere, una telefonata e un mucchio di resti ferrosi saldati insieme per formare una Croce che per molto tempo ha tenuto vive speranze e unito uomini, riuscisse a fermare tutto e ancora una volta a unire. P.S. Dimenticavo di dirvi che Fafà è musulmano e che la Croce è nella Chiesa di S. Antonio da Padova in c/da Bosco a Rosarno, insieme alle Ceneri purificate del Campo. Luca Daniele

PILLOLE scelte da effemme

DISATTENZIONE

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Ieri mi sono comportata male nel cosmo ho passato tutto il giorno senza fare domande, senza stupirmi di niente Wislawa Szymborska uando ripenso alla mia giovinezza non posso fare a meno di ringraziare gli dei del dono che mi fecero mettendomi al mondo. Tutti i giorni avevano il loro pregio e ogni giorno era migliore del precedente. C’erano gli alti e i bassi, c’erano i rischi e gli sbaragli, ma sempre accompagnati dal senso dell’azione e dalla speranza. Ai giovani di oggi mi viene voglia di dire: su, svelti, il mondo ha più bisogno di voi che non ne avesse di noi. Non avete un’ora da perdere. Sceglietevi il vostro posto di combattimento. Tra i venti e i trentacinque anni: questa è l’età in cui la vita è vita. Non accontentatevi delle cose come sono. Prendete possesso della vostra eredità, prendetevi le vostre responsabilità. Non prendete mai un <<no>> per una risposta. Non accettate mai un insuccesso. Non lasciatevi sviare dal successo. Commetterete degli sbagli; ma fin che un uomo resta sincero, generoso e combattivo, i suoi sbagli non saranno di quelli che ledono il suo prossimo. Il mondo è fatto per essere corteggiato e conquistato dai giovani. Solo cedendo alla loro forza il mondo è sopravvissuto e ha progredito. Winston S. Churchill


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ato a Reggio Calabria, il neurochirurgo Marco Mannino è oggi il responsabile dell’Unità Operativa di Neurochirurgia e Chirurgia Vertebro-Midollare della Clinica Humanitas Cellini di Torino. La sua specializzazione in un campo della medicina in continua e rapida evoluzione gli permette di mettere a disposizione dei pazienti affetti da patologie neurologiche o vertebrali gli ultimi ritrovati della scienza medica e i trattamenti più innovativi. Il dottor Mannino è particolarmente esperto nel trattamento di lombalgie e cervicalgie, ernie discali e stenosi del canale lombare, fratture vertebrali osteoporotiche e tumorali, tumori celebrali e midollari e nevralgie del trigemino, oltre che di scoliosi, instabilità vertebrali e di molte altre patologie che affliggono la colonna vertebrale, di malformazioni vascolari, idrocefali e altre patologie encefaliche. Oggi, grazie a una collaborazione con Studio Medico Polispecialistico Raymat di Marina di Gioiosa Jonica, il dottor Mannino può finalmente mettere la sua professionalità a disposizione dei pazienti della Locride. Una volta al mese, infatti, riceverà su appuntamento i pazienti affetti dalle patologie di cui è esperto per effettuare visite e iniziare un percorso di cura specifico. Ogni paziente sarà seguito con costanza e professionalità avviando, ove richiesto, la terapia del dolore con infiltrazioni peridurali. Questa tecnica, una delle più moderne nel trattamento delle lombalgie e delle lombosciatalgie, permette di trattare ambulatorialmente e in anestesia locale ernie discali e stenosi lombari, risultando totalmente indolore e garantendo al paziente di rientrare a casa in piena autonomia appena pochi minuti dopo la fine del trattamento. I casi che necessiteranno di intervento chirurgico, invece, saranno trattati presso la Clinica Humanitas Cellini di Torino o le strutture in convenzione Villa Salus di Siracusa o Casa di Cura Carmona di Messina. Presso queste sedi, infatti, il dottor Mannino potrà eseguire gli interventi neurochirurgici e di chirurgia vertebrale con tecnica microchirurgica e mini-invasiva, due pratiche rese possibili dall’utilizzo del microscopio operatorio e dalle più recenti tecnologie laser e aventi la finalità di accorciare i tempi di intervento e degenza garantendo un più rapido recupero delle attività quotidiane dei pazienti. Per info e prenotazioni potete visitare il sito www.studiomannino.com o chiamare lo Studio Medico Polispecialistico Raymat allo 0964 416856.

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Il de... cretino C’erano una siciliana, un pugliese, un campano e un trentino a decidere il futuro della sanità calabrese. Il trentino dice che bisogna lavorare sul privato; il campano chiede più risorse per il pubblico e soprattutto una buona fornitura di legalità, altrimenti non si possono curare i calabresi; il pugliese allora rilancia chiedendo il commissariamento dei commissari, e la siciliana che vuole spararla più grossa degli altri dice: "farò un editto imperiale!". Potrebbe sembrare una barzelletta ma, invece, è la sintesi della visita della ministra Grillo in Calabria.

Gli stranieri decidono di prendere ancora in giro la Locride e la Calabria, e i calabresi sono contenti CONDARCURI ROSARIO VLADIMIR iornata storica quella di mercoledì 6 marzo, per la Calabria e per la Locride, un ministro finalmente varca la soglia dell’ospedale di Locri. Sembra l’inizio di un miracolo, sembra che tutte le manifestazioni, i sit-in, i documenti, le proteste dei cittadini verranno ascoltati. Una nuova vita ci aspetta, come scriveva settimana scorsa Giovanni Calabrese, il sogno sembra avverarsi, avremo un ospedale che funziona, un pronto soccorso con medici e macchinari di ultima generazione, addio alle file interminabili anche in codice rosso. Un nuovo giorno è arrivato, da oggi i cittadini della Locride avranno gli stessi diritti degli altri italiani, anche qui è arrivata la costituzione italiana, dopo più di 50 anni, ma è arrivata. Ma il sogno dura poco, troppo poco, perché le parole del ministro in conferenza stampa, quattro ore dopo, ci fanno tornare nel peggiore degli incubi. Infatti, il ministro Giulia Grillo annuncia subito in conferenza stampa che anche lei si sente calabrese, che la sanità in Calabria è ai confini della realtà, che lei deve risolvere il problema che altri (chi?) non hanno voluto risolvere. Quindi comunica che per intervenire in modo incisivo bisogna emanare una legge speciale, un decreto eccezionale per la sanità calabrese, ne ha già parlato con Salvini, Conte e Di Maio, sono tutti d’accordo.

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Ora il ministro mi consentirà di rilevare che lei è ministro già da 10 mesi e ci ha messo 7 per sostituire il commissario Massimo Scura, nominato dal precedente governo Renzi, con il generale Saverio Cotticelli che è stato nominato il 7 dicembre del 2018, cioè da 3 mesi e qualche giorno. In questo periodo non è successo niente. Mi dispiace che i giornalisti presenti non abbiano fatto notare al ministro i tempi del suo operato e i tempi che servono per fare un decreto, trovare i fondi, inserirli in un bilancio, e iniziare a intervenire. Per fare tutti questi passaggi serve tempo, molto tempo. Alla luce soprattutto dei suoi ritmi, visto che ci ha messo quasi un anno per capire cosa serve, ci vorranno almeno tre anni per fare questo decreto. Dopo questa piccola analisi, si può immaginare il nostro sconforto. Speravamo che questo super ministro che parla sempre ai cittadini in diretta facebook, risolvesse il problema, invece, per l’ennesima volta, ci vengono propinate le vacche di Fanfani. Che delusione Marchesa Grillo, del resto noi avevamo annunciato che era tutto programmato, dal servizio delle Iene alla sua discesa in Calabria, ma speravamo almeno in una soluzione ragionevole, parlare di un decreto equivale a non parlare di niente. La cosa mi fa arrabbiare, mi fa molto arrabbiare, non mi piace essere preso in giro, soprattutto se già sapevo che sarebbe successo. Ancora peggio si sono, poi, comportati i Calabresi che l'hanno salutata come salvatrice della patria senza rendersi conto che non possiamo vivere sempre di annunci e di promesse non mantenute. Prima di chiudere mi vorrei focalizzare sul

tavolo e sui partecipanti alla conferenza stampa. Il primo da sinistra è Thomas Schael, trentino di nascita che ha già lavorato in Calabria con il governatore Agazio Loiero come commissario all’ASP di Crotone. Il secondo è il generale Saverio Cotticelli di Castellamare di Stabia (NA), che il giorno dell’insediamento ha avuto l’ardire di fare i complimenti al commissario Scura per il lavoro svolto, mentre in altre sedi dice che la gestione commissariale è stato un fallimento. Non ci volevo credere, ma c’è il video in rete che conferma. Poi c’è il ministro Giulia Grillo, catanese, e il prefetto Michele Di Bari che è nato a Mattinata in provincia di Foggia. Potrebbe sembrare una barzelletta: c’erano una siciliana, un pugliese, un campano e un trentino a decidere il futuro della sanità calabrese. Il trentino dice che bisogna lavorare sul privato; il campano chiede più risorse per il pubblico e soprattutto una buona fornitura di legalità, altrimenti non si possono curare i calabresi; il pugliese allora rilancia chiedendo il commissariamento dei commissari, e la siciliana che vuole spararla più grossa degli altri dice: "farò un editto imperiale!". Purtroppo sembra una barzelletta, ma non lo è. La situazione è drammatica, la Calabria che ha fornito al paese il nome e le migliori menti nei secoli, ora si trova a essere umiliata in questo modo, non c’è nessun calabrese degno di partecipare alle riunioni dove viene deciso il nostro destino. Perché comunque anche se sono meridionali, sono sempre stranieri in questa terra, non la conoscono. Destino cinico.

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Sanità (o)Scura

MARIA GIOVANNA COGLIANDRO iamo il territorio delle emergenze da affrontare con misure straordinarie. Questo in sintesi quanto ci ha ricordato la visita della ministra Giulia Grillo scesa in Calabria per verificare di persona lo stato in cui versa la nostra sanità. Dopo aver delineato un quadro desolante, "ai confini della realtà", ha informato la stampa della sua intenzione di presentare al Consiglio dei ministri un decreto straordinario per la Calabria che preveda, laddove fosse necessario, la sostituzione dei direttori generali delle Aziende sanitarie e ospedaliere e dei direttori sanitari e amministrativi. Inoltre, in linea con la normativa antimafia, sarà previsto un ampliamento delle facoltà commissariali in caso di sciogli-

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La proposta ai confini della realtà della ministro Grillo La progressiva erosione del ruolo dello Stato in materia di sanità, la nostalgia del potere perduto, non possono essere recuperate a spese della Calabria e dei calabresi.

mento dell'ente per infiltrazioni mafiose. Alla struttura commissariale sarà assicurato un supporto tecnico e logistico. Per quanto riguarda l'edilizia sanitaria si avrà l'obbligo di avvalersi delle centrali di committenza nazionali, come ad esempio Consip (nota per la sua cristallinità ed estraneità agli scandali!). "Si tratterà ovviamente di misure eccezionali e temporanee - ha aggiunto la ministra. - Siamo il governo del cambiamento e il cambiamento si fa con una sinergia, una sinergia che viene da tutte le realtà - ed elenca in ordine: - commissari, prefetto, forze dell'ordine, procuratori - e infine si ricorda: - cittadini e personale sanitario". Un decreto straordinario da realizzare, ancora una volta, di concerto con l' "esercito", in linea con quel convincimento egemone dalle nostre parti che l’unico contrasto al malaffare sia lo strumento repressivo militare. Questo decreto con-

fezionato su misura (complimenti per il lavoro di alta sartoria!) per la Calabria mi ricorda tanto un'altra legge, quella sugli scioglimenti dei comuni. L’art. 143 è, infatti, il restyling della legge 221, nata nel 1991 da una situazione di emergenza, come risposta a un omicidio avvenuto nel corso di una sanguinosa faida tra cosche rivali. La norma, come sappiamo, non fu "temporanea" ma tutt'oggi giustifica l’esistenza di un potere che è parte di una legislazione che ha portato a livello ordinario, non più straordinario, il contrasto alle mafie. Una norma che abbiamo avuto, purtroppo, l'occasione di criticare più volte. Il decreto annunciato dalla Grillo avrà lo stesso destino? Diventerà ordinario in Calabria risolvere i problemi della sanità con militari e gendarmi? Possibile che lo "straordinario" sia in Calabria la solita scusa per invadere il campo dell'ordinario? A questi interrogativi si aggiungono altre perplessità: la ministra Grillo nel suo decreto propone la sostituzione dei direttori generali delle Aziende sanitarie e ospedaliere che, però - vorremmo ricordarle - con la riforma del titolo V, approvato nel 2001, e con la riscrittura dell’articolo 117, fortemente voluta dalla Lega con cui - vorremmo ricordarle anche questo - adesso è al governo, è stata affidata alle Regioni la potestà legislativa esclusiva su assistenza e organizzazione sanitaria, comprese le sperimentazioni gestionali e la costituzione delle aziende ospedaliere. Come se ciò non bastasse, negli ultimi tempi, sempre su spinta dei suoi alleati di governo, alcune delle più importanti regioni, come il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia, richiedono una totale autonomia dal governo centrale, autonomia che andrà a investire anche il settore della sanità. Quindi cosa vogliamo fare, regionalizziamo o statalizziamo? O, peggio, rendiamo autonomo il nord e teniamo sotto scacco il sud? La progressiva erosione del ruolo dello Stato in materia di sanità, la nostalgia del potere perduto, non possono essere recuperate a spese della Calabria e dei calabresi. Per anni si è invocata trasparenza e meritocrazia per una sanità che non fosse indegna. Ma in Italia è stato deciso che le nomine dei vertici delle aziende sanitarie spettino alla politica: un assessore si ritiene libero di individuare i professionisti che considera più adatti per raggiungere i risultati fissati. Il problema è che poi la politica spesso non sceglie i migliori e non raggiunge i risultati, e alla fine nessuno paga le conseguenze dei fallimenti, soprattutto quando si ha pronto da sfoggiare il solito alibi della 'ndrangheta. Ci dimentichiamo troppo facilmente che i direttori generali delle Aziende sanitarie e degli ospedali rappresentano il braccio operativo degli assessori regionali alla Sanità con cui hanno un rapporto fiduciario; inoltre, i manager della Sanità pubblica sono dei plenipotenziari, ovvero devono rispondere del loro operato solo a chi li ha nominati. E purtroppo sappiamo come succede in questi casi: la valutazione dei risultati viene fattta sulla fedeltà, sui favori accolti, sulle persone che sono state assunte dietro segnalazione, su un certo occhio di riguardo riservato all'imprenditore amico. Cattive abitudini che non è facile estirpare. Cattive abitudini che non riguardano solo la Calabria. E non sarà certo l' "esercito" a debellarle, soprattutto se l'esercito deve rispondere alla politica.

Il dibattito degli ultimi giorni sulla sanità della Locride e dell'intera città metropolitana ha assunto contorni francamente surreali: i servizi televisivi delle Iene, certamente imprecisi e sommari, hanno scatenato tutti gli argomentatori capziosi e i catastrofisti depressi. Quello che sfugge un po' a tutti è che tra professione medica e organizzazione sanitaria c'è una grande differenza: si può essere ottimi medici lavorando in condizioni veramente disagevoli, come facevano i professionisti che curavano i nostri bisnonni, quando ancora l'ospedale di Locri era di là da venire, o come i volontari delle tante ONG operanti oggigiorno nei teatri di guerra; come, naturalmente, si può essere grandi ciarlatani nelle realtà più organizzate e fornite di strumenti. Gli ottimi medici tendenzialmente qualche risultato riescono ad ottenerlo anche con pochi mezzi, quindi non meraviglia che a Locri molte persone abbiano trovato aiuto. Ma l'organizzazione è un'altra cosa. Dato che in Calabria pare che non siamo in grado di organizzarci da noi, anziché punire i responsabili di eventuali sprechi in sanità, ci hanno commissariato, prima in maniera puramente simbolica affidando al presidente della regione l'incarico e poi realmente, infliggendoci Massimo Scura: quello che meraviglia veramente è che il nome di questo boiardo della pubblica amministrazione non sia comparso neanche una volta nei servizi delle Iene. Di Cotticelli, da qualche mese suo successore, si parla, di lui no: curioso… Notoriamente commissariamento fa rima con fallimento e questo caso non ha fatto eccezione: dal 2015, anno di insediamento di Scura, praticamente tutti gli indicatori della qualità dei servizi sanitari sono peggiorati e i Calabresi sempre più massicciamente emigrano o rinunciano a curarsi. Se i medici che lavorano nel pubblico hanno delle responsabilità, consistono soprattutto nell'aver troppo a lungo taciuto; ma bisogna dire che parlare con il commissario era pressoché impossibile: vittima di sindrome dell'assedio, alimentata anche dallo scontro con Oliverio, amava trincerarsi dietro modi bruschi e risposte piccate. Intanto però i bilanci non venivano presentati, i concorsi non venivano banditi e le gare d'appalto non venivano espletate; come anche non si provvedeva a siglare i contratti con le strutture private convenzionate e si disattendevano bellamente le sentenze del TAR, adottando decreti fotocopia di precedenti provvedimenti annullati. Perché Scura anziché risolvere i problemi contribuiva a complicarli? Cui proderat? Perché invece tanto clamore oggi su emittenti nazionali intorno a alti dirigenti incaricati da pochi mesi, a un presidente di regione ormai messo in condizione di non nuocere e al nuovo commissario alla sanità calabrese? Cui prodest? Gog&Magog

Un decreto straordinario per la Calabria: questa l'idea geniale di Giulia Grillo. Un decreto di emergenza da realizzare, ancora una volta, di concerto con l' "esercito", in linea con quel convincimento egemone dalle nostre parti che l’unico contrasto al malaffare sia lo strumento repressivo militare.


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politica

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Secondo Antonino Castorina è ora di chiudere un capitolo buio per il Partito Democratico, fatto di lotte intestine, guerre fratricide, di sabotaggi dall’interno e di reciproca diffidenza. Una strategia finalizzata a distruggere il partito che, però, nonostante tutto l’impegno profuso in tal senso, non ha funzionato.

INTERVISTA AL CONSIGLIERE METROPOLITANO ANTONINO CASTORINA

"Per anni eminenze grigie hanno tramato all'interno del PD"

MARIA GIOVANNA COGLIANDRO e primarie del PD di domenica scorsa hanno incoronato anche a Reggio Calabria Nicola Zingaretti, che ha trionfato con un distacco netto rispetto agli altri due candidati. Nel reggino, però, si è registrato il risultato più lusinghiero per Giachetti in Calabria. A sceglierlo è stato il 12,8% degli elettori, una percentuale che supera la media nazionale. Abbiamo intervistato il consigliere metropolitano Antonino Castorina, responsabile regionale della mozione Giachetti-Ascani e capogruppo del PD a Palazzo San Giorgio. Il risultato ottenuto dalla mozione Giachetti a Reggio Calabria coincide con le sue aspettative? Domenica 3 marzo si è celebrata una vera festa della democrazia, con 70 mila calabresi che hanno deciso di scendere in strada, documenti alla mano, e spendere due euro per dire la propria, per scegliere il nuovo segretario, per riprendersi lo spazio che i nostri militanti e simpatizzanti rivendicano a gran voce. Ciò detto il risultato ottenuto dalla mozione Giachetti-Ascani è un dato importante che rimarca ulteriormente la presenza di una base che si identifica con i valori democratici, moderati e riformisti del centro sinistra. Alla vigilia delle primarie ha dichiarato: “Abbiamo coinvolto le migliori energie del nostro territorio nella precisa volontà di creare uno spazio politico riformista e moderato che non avrà la sua conclusione con le primarie ma il suo inizio”. A che inizio faceva riferimento? L’inizio di una nuova vita per il Partito Democratico, l’inizio di un nuovo percorso che deve necessariamente vedere il PD artefice del proprio destino, in linea con la volontà del popolo del centro sinistra. Un inizio che chiuda un capitolo buio, fatto di lotte intestine, guerre fratricide, di sabotaggi dall’interno e di reciproca diffidenza. Il nostro elettorato si è espresso, abbiamo un segretario al quale toccherà il difficile compito di riconciliare tutte le anime del partito e guidarlo fuori da quelle dinamiche che fino a qui hanno logorato il PD consegnando il paese a forze populiste, xenofobe, illiberali e incompetenti. Il progetto politico lanciato da Roberto Giachetti e Anna Ascani non si conclude certamente con le primarie, da oggi esiste e sarà formalizzato in Calabria come nel resto del Paese uno spazio politico che porterà avanti le sue idee in tutti gli appuntamenti che ci vedranno coinvolti. Tra i quartieri in cui avete stravinto, c’è Archi. Qui Giacchetti ha conquistato 291 voti, contro i 135 di Zingaretti e i 109 di Martina. Come spiegare ai malpensanti una vittoria così schiacciante in quello che è considerato il quartiere roccaforte dei clan? Archi è un quartiere di Reggio dove sono nato e cresciuto, è più popolato di alcuni comuni della città metropolitana ma resta un quartiere. Detto questo l’assonanza di Archi sempre e solo ai clan e alla ndrangheta è riduttivo oltre che irrispettoso della stragrande maggioranza della popolazione del quartiere, fatta di persone per bene che subiscono non solo l’evidente presenza della malavita ma anche il pregiudizio di chi vuole continuare a ghettizzare Archi solo e soltanto come roccaforte dei clan. Detto questo, noi come Amministrazione Comunale e Metropolitana abbiamo sempre creduto nella rinascita di questa zona abbandonata per anni e sulla quale abbiamo intrapreso un radicale percorso di cambiamento. Penso all’apertura dell’asilo, a quella del centro civico, al rifacimento del campo di calcio. O ancora ai lavori per la palestra polifunzionale già iniziati e che a breve consegneremo, alla riapertura del Palapentimele chiuso per anni. Penso al rifacimento del manto stradale che ha interessato l’intero quartiere, agli interventi fatti sull’arredo urbano e alla raccolta differenziata partita in modo sperimentale proprio nel quartiere e che ha prodotto risul-

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tati positivi passando dal 7% a oltre il 45%, la bonifica e messa in sicurezza del torrente Condorato, l’installazione delle telecamere di sicurezza e il potenziamento dell’illuminazione, la realizzazione delle nuove aule all’interno della scuola primaria. Per non parlare poi di quanto ancora non realizzato ma progettato come l’avvio dei lavori dell’ex Fiera con un finanziamento di circa sei milioni di euro previsti con i Patti per il Sud, voluti e seguiti personalmente dal sottoscritto e dal Sindaco Falcomatà insieme a Matteo Renzi. I cittadini hanno capito il nostro impegno, hanno apprezzato la nostra coerenza e hanno premiato l’azione amministrativa. Ad Archi, come secondo quartiere della città, sarebbe stato anomalo non ottenere un risultato importante come quello che abbiamo raggiunto, atteso che siamo stati primi anche a Gallina, a San Ferdinando, a Giffone, a Saline e in tanti altri centri della Calabria. Tra i candidati alle primarie, Giachetti è stato l’unico ad assumere una posizione di rivendicazione limpida del lavoro svolto da Renzi e Gentiloni. La sua mancata vittoria è colpa delle esperienze pregresse oppure non è stato un candidato all’altezza delle esperienze pregresse? Credo si sia creata una visione distorta dei cinque anni di governo a guida PD. Soltanto il tempo darà il giusto peso e un giudizio sereno e scevro da preconcetti che hanno certamente pesato nello spiegare al nostro elettorato la bontà della nostra proposta, che per noi resta un punto fermo dal quale ripartire. I danni che il governo giallo-verde a trazione salviniana sta creando rischiano di gravare sul paese, sulla popolazione, sulla nostra economia. L’incompetenza che il governo dimostra quotidianamente su questioni dirimenti come l’economia, le tasse, il lavoro, la scuola o i trasporti, così come in materia di sicurezza stanno relegando il nostro paese ai margini dello scenario europeo e globale. Il governo precedente aveva faticosamente riportato l’Italia al centro dei tavoli internazionali e comunitari, ripristinando il giusto ordine delle cose, aveva provato a risollevare i consumi attraverso politiche premiali in busta paga, aveva creato l’opportunità di avere agevolazioni e sgravi per i privati che assumevano, ha ridato speranza a migliaia di insegnanti che dopo anni avevano finalmente trovato una collocazione definitiva all’interno del sistema scolastico. Il governo a guida Lega-Cinquestelle invece segue Orban e Bannon, segue Trump e Putin, sta incanalando il paese su un percorso di imbarbarimento. Zingaretti è il nuovo che avanza o finirà con l’accogliere tra le sue fila quelli che Giachetti chiama “gli scappati di casa”, primo tra tutti D’Alema? Dopo anni in cui i principali problema del PD erano interni al PD stesso, credo che si debba chiudere un capitolo fatto di antichi dissapori, di eminenze grigie che tramano da un lato dispensando coerenza e lealtà dall’altro. Sono proprio questi i motivi che hanno smembrato il partito, creando fazioni interne, divisioni, creando danni spropositati al PD, al centrosinistra, che hanno rischiato quasi di distruggere il partito. Forse era questo l’obiettivo che certi personaggi si erano prefissati, ma nonostante tutto l’impegno profuso in tal senso non ci sono riusciti. “Spero che l’epoca della guerriglia a chi vince le primarie sia definitivamente alle spalle altrimenti chiudiamo il Pd” - ha dichiarato Giachetti. Andrà così, si chiuderà con la stagione delle guerre intestine? Lo spero con tutto il cuore. È giunto il momento di guardare Avanti, di rimettere le basi per un percorso fatto di democrazia, di condivisione e di unità. È ciò che in questo momento serve al paese per poter contare su un Partito Democratico forte, coeso, libero, unito. Ora in Calabria serve un congresso vero e un gruppo dirigente all’altezza, serve salvaguardare le nostre esperienze di governo e rilanciare l’idea della vocazione maggioritaria del Partito Democratico.


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Meglio la Tav che il reddito di cittadinanza! In ogni ambiente a chiedere qualcosa dovrebbe essere chi ne potrebbe trarre giovamento. In Italia sembra che funzioni al contrario viste le tante opere inutili realizzate negli anni. Oggi è il momento della Tav. Anziché essere richiesta da chi dovrebbe servirsene per viaggiare, è richiesta dalle imprese e anche da qualche corrente politica. Io sono sempre stato contrario alle spese inutili, sia personali che di comunità, ma in questo caso visto che si tratta di favorire gli imprenditori, sempre gli stessi, facciamola questa Tav! Regaliamo pure

questi miliardi ai soliti noti, che nel frattempo gli ultimi milioni guadagnati li avranno già spesi o parcheggiati nelle banche estere. Adesso aspettano la nuova tranche di milioni che non ci si decide a sganciare. E il reddito di cittadinanza? Quello può aspettare tempi migliori, in fondo si tratta di sperperare pochi milioni per dare poi pochi spiccioli a ognuno. L’importante in Italia è fare guadagnare denaro a chi da circa un trentennio è stato abituato così. Antonio Barbatano

IN RICORDO DI TECLA CANZONIERI “Ringrazio e abbraccio tutti per la vicinanza dimostrata… da oggi anch’io conosco il vuoto che lascia un genitore… “è il ciclo della vita”, ma non si è mai pronti! “Il tuo sorriso e il tuo affetto lasceranno segni indelebili nei nostri cuori… Ciao Tecla” Il figlio Pino” La redazione si stringe attorno all’amico Pino e alla sorella Gilda per la perdita della cara mamma.

ORA HO PAURA Rocco Greco, imprenditore 57enne di Gela, martedì scorso si è suicidato perché pur avendo denunciato e fatto condannare 11 esponenti del racket che per anni lo avevano taglieggiato, si è visto cancellare dalla white-list delle prefetture con la conseguente esclusione da ogni gara d’appalto.

La settimana scorsa Rocco Greco, cinquasettenne imprenditore di Gela si è suicidato sparandosi un colpo di pistola alla testa all'interno del suo ufficio. Prima di compiere il gesto estremo e durante la cena in famiglia, riporta il figlio, andava ripetendo ai familiari che non capivano la sua euforia: - Che bella serata stiamo trascorrendo. L'antefatto della vicenda di Greco è presto detto: egli era uno dei pochi imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare in un recente passato i boss del racket siciliani. Costoro, però, ricorrendo al solito rituale del “mascariamento”, a loro volta lo avevano infamato di essere organico alla consorteria piuttosto che una vittima e per questo era stato sottoposto a tutti e tre i gradi di giudizio uscendone immacolato. Normalmente una sentenza definitiva dovrebbe cristallizzare, definitivamente appunto, la condizione del giudicato. Così, però, non è stato per Rocco Greco il quale, in barba a quelle sentenze, ha ricevuto nell'ottobre scorso un’interdittiva da parte del prefetto di Caltanissetta confermata dal TAR di Palermo e ha poi visto cancellare dal ministro dell'Interno la sua azienda dalla white list delle imprese abilitate a partecipare alle gare per l'assegnazione degli appalti pubblici. In conseguenza di tutto questo, 25, dicasi venticinque, contratti in essere, uno dei quali con ENI, sono diventati, ex abrupto, carta straccia, l'impresa è fallita e 50, dicasi cinquanta, impiegati licenziati. Sfido chiunque che malauguratamente dovesse affrontare una situazione del genere,

Parole

Non words, né lexia o mots altisonanti possono condurre al tuo cuore la commozione di un ricordo felice. Qualsiasi lingua parli è solo la tua memoria che attraversa le distanze, ti fa rivedere i luoghi e le persone care! Or è giunto il momento di ripartire, dirti addio è troppo, in fondo dentro resta sempre la speranza, sì, un filo, per osare dire in italiano la parola "ti rivedrò"! L'albatros

A MELO SPEZIALE Trent’anni senza la nobiltà e la purezza del tuo animo… Trent’anni senza di te, papà. Le tue figlie

a rialzarsi e, nel caso ci riuscisse, a trovare stimoli e volontà per sopravvivere. Quello che a uno come me, digiuno di commi e codicilli (il buon Renzo Tramaglino direbbe “Voi e il vostro latinorum”), non è chiaro è come un prefetto possa non tenere in alcuna considerazione una sentenza passata in giudicato, un TAR rigettare tutti i ricorsi a quella sentenza presentati da un cittadino assolto con formula piena al termine dell'intero iter giudiziario e un ministro dello Stato metterci il carico da undici. Quale assurdo ingranaggio si è messo in moto per determinare che tutto questo accadesse? È tutto codificato e, dunque, previsto dalle norme vigenti o qualcuno dovrebbe essere chiamato a rispondere di un abuso impossibile da giustificare? Commetteremmo noi un abuso se sospettassimo che chi avrebbe dovuto sovrintendere alla garanzia dei diritti di un cittadino era, invece, affaccendato nelle piccole, miserabili beghe dei palazzi del potere e ha così lasciato campo libero a una mano morta che si è abbattuta sconsideratamente, incancrenendola, sulla carne viva di un innocente rimasto impigliato nelle maglie della rete a strascico di novelli crociati che gridano oggi come ieri “Dio lo vuole”? Abbiamo tutti o quasi letto il Processo di Kafka e abbiamo appreso la teoria del pittore Titorelli secondo cui l'assoluzione completa non esiste e, analogamente, i più avanti negli anni abbiamo visto il film diretto da Nanni Loy e interpretato da Alberto Sordi “Detenuto in Attesa di Giudizio”. Ebbene, non credo di sbagliarmi nell'accostare la vicenda di Rocco Greco a quelle dei personaggi di libro e film. So perfettamente che, al cospetto di quanto accaduto a Rocco Greco, lo scioglimento dell'Amministrazione comunale di Marina di Gioiosa Jonica per infiltrazioni mafiose e la successiva riabilitazione ad opera di una sentenza del TAR del Lazio è piccolissima cosa ma io che di quella amministrazione faccio parte provo le medesime sensazioni del sommo Vate Dante: vedo la bestia per cu'io mi volsi… e che mi fa tremar le vene e i polsi. Con la differenza non di poco conto che i miei colleghi e io non potremmo contare sull'aiuto prezioso di un Virgilio a fronte di un’eventuale aggressione del mostro. C'è, poi, ad agitare i miei sonni un famosissimo dipinto di Magritte, La Clairvoyance (la chiaroveggenza), un autoritratto nel quale egli si raffigura mentre guarda un uovo e dipinge un uccello con l'intento di invitare a guardare oltre ciò che si vede e immaginare il futuro. Sergio M. Salomone

Modifica della legge Merlin: andremo tutti a… puttane? Il 12 febbraio al Senato a firma di Gianfranco Rufa, da Veroli senatore eletto a Frosinone, è stata presentata la proposta di legge n. 1047 per la modifica della legge Merlin per la riapertura delle case chiuse. Che bell’atto di ossequiosa amicizia e devozione politica nei confronti del nuovo padrone della lega don Matteo. Il senatore Rufa risulta, nella scheda di attività del Senato, essere Commerciante, Farmacista e Imprenditore. Tre in uno e sembra giusto che sia Membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, Beni culturali) in sostituzione del Sottosegretario di Stato Lucia Borgonzoni, Membro della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità), Segretario della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Anche qui tre in uno. Risulta anche essere intestatario di ben 62 proprietà, tra terreni e fabbricati, in comunione con altri ma possiede una sola auto del 2007. Possiede, inoltre 65.058 azioni in ben 7 società di cui 2 in liquidazione. Ha presentato altri 2 ddl come primo firmatario e ben 83 ddl come cofirmatario. Un essere con poteri soprannaturali, non è che da farmacista abbia scoperto qualche sostanza che moltiplichi le capacità? Certo il pensiero di un ritorno al passato sulla prostituzione gli è sembrata una priorità molto cara al comandante ed egli subito ha brandito la fiaccola e si è messo in marcia. Sicuramente è riuscito a illuminare anche il consigliere della Regione Veneto Antonio Guadagnini che è riuscito a far approvare dalla quinta commissione la sua proposta di legge regionale che disciplina l’esercizio della prostituzione. Prevede l’istituzione di un albo delle prostitute che apriran-

no la partita IVA e potranno quindi rilasciare fattura, non sappiamo ancora se saranno spese detraibili nella dichiarazione dei redditi. Certo si studierà un meccanismo per cui anche tra le prostitute vengano prima le italiane! Sicuramente Guadagnini qualcosa sta maturando perché si lamenta dello stallo in cui versa l’autonomia affermando: “La mia sensazione è che a Roma ci stiano prendendo in giro, un’altra volta, che per quanto mi riguarda, è l’ultima. Abbiamo in mano uno strumento (il referendum per l’indipendenza) – a mio avviso – efficacissimo, per persuadere i ‘palazzi romani’ che non stiamo scherzando e che siamo disposti a usare qualsiasi mezzo, in nostro possesso, per tutelare volontà e interessi dei nostri concittadini veneti. Per questi motivi abbiamo anche intenzione di lanciare una raccolta firme in tutto il Veneto a sostegno di questa proposta. Il Veneto ha in mano il proprio destino. Se saprà giocare bene le sue carte, otterrà quello che gli spetta”. Eppure avevamo la sensazione che i “palazzi romani” avessero cambiato inquilini. Ma ecco che Salvini dalle gote gonfie e rubiconde si schernisce dicendo che non essendo la riapertura delle case chiuse nel contratto di governo probabilmente non se ne farà niente ma l’autonomia del Veneto è in agenda e che è stata trovata la sintesi facendosi ritrarre sorridente, in maniche di camicia, assieme ai governatori della Lombardia e del Veneto, in giacca e cravatta. Intanto si fa largo un nuovo vocabolo, al vaglio della Crusca, Salvinizzare: andare tutti a puttane, paese compreso. Arturo Rocca


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Teste Felici è il 1º Centro in Italia che risolve definitivamente il problema della pediculosi Nato da un’idea di Patrizia Solemetite, è la prima in Italia a utilizzare il sistema unico e innovativo che, senza l’ausilio di prodotti chimici e pesticidi, e con un solo trattamento, riesce a eliminare le uova ed i parassiti. Questo trattamento, chiamato Air-Hair, con tecnica certificata Air Allée, viene condotto attraverso l’uso di un macchinario, consigliato dai 4 anni in poi, che soffia aria calda stabilizzata sulla cute del paziente, disidratando così le lendini dei pidocchi. Con il solo utilizzo di questo innovativo macchinario si avrà la certezza che il 98,5% delle uova siano state debellate, una percentuale che arriva al 100% con la successiva ed immediata applicazione di un unguento che eliminerà per sempre il problema di questi esseri fastidiosi. Grazie a questa speciale procedura, Teste Felici garantisce a tutte le persone che il problema dei pidocchi possa essere debellato con una sola seduta. Il successo di Teste Felici, che ha già trattato e soddisfatto migliaia di casi, sta rendendo la concorrenza sempre più serrata.

La pubblicazione di nuovi studi, infatti, sta finalmente facendo tramontare l’idea che il problema della pediiculosi sia legato alla scarsa igiene personale, ma cancellare una volta per tutte questo luogo comune richiede duro lavoro e una corretta informazione. Proprio per questa ragione, mai come oggi, Teste Felici sta intensificando la propria attività con l’apertura di nuovi centri, ma anche pensando alla protezione, prevenzione e la cura della cute. È così che nasce l’idea di aprire una sede a Locri che, dopo le due di Roma e quella di Caserta aspira a diventare polo di riferimento per l’intera penisola, portando anche al meridione un trattamento che risolve un problema che, fino ad oggi, ha procurato solo grattacapi. I nostri studi sulla cute si ampliano anche aiutando a risolvere problematiche quali: Forfora - Psoriasi - Dermatiti - Cute secca - Arrossamenti - Follicoliti - Cute grassa - PediculosiDetossificazioni, attraverso massaggi, olii, erbe medicali e tecniche all'avanguardia Via Giacomo Matteotti 398, Locri


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CALABRESE PRE CASO

Matrix all’italiana. Due è meglio di uno? C’è una nota pubblicità che ha attirato la nostra attenzione per mesi. Carina, se non divertente nel suo presentarsi anche senza essere pretenziosa nei contenuti. A volte, siamo quasi sicuri che essere in due sia meglio di essere soli, come siamo convinti che disporre o soddisfare al plurale i nostri bisogni o piaceri possa dare gratifiche di un certo valore. Tuttavia, non credo che questo sia sempre valido. Se dovessimo trasferire una tale osservazione al mondo della politica e del nostro quotidiano dovremmo osservare che esistono sicuramente due Italie come, altrettanto, vi sono due Calabrie. Due realtà non sempre coincidenti, ma sempre più spesso distanti. Due realtà che suggellano una sorta di matrix senza numeri, dove i campi presentano due esperienze politico-amministrative non più coincidenti, ma che si sovrappongono nel tentativo di dimostrarsi sintesi dell’una o dell’altra. Se guardiamo all’Italia di certo non sarà sfuggito quanto e in che misura il disincanto verso la politica e verso ciò che ad essa si può ricondurre, sia un fatto. Come è un fatto, viceversa, il completo sganciamento dal quotidiano di chi pretende di gestirlo. Non vi è un interesse che non vada oltre il gossip o le false promesse di chi ritiene di poter decidere senza sentirsi partecipe. Le stesse recite sui palcoscenici parlamentari, consiliari o nelle diverse aule televisive approntate per l’occasione, sono la rappresentazione di una virtualità senza anima a cui si aggiunge un’u-

manità digitalizzata. Una realtà virtuale nella quale non vi è possibilità per i cittadini di toccare con mano nulla, il cui risultato è quello di tenerli occupati ad ascoltare happening o le solite promesse che non andranno mai oltre la curiosità del nulla. Una curiosità, che ci fa approdare alla conclusione che vi sia una realtà virtuale nella quale ogni comparsa diventa ologramma di se stessa, se non di un gruppo elettorale le cui percentuali evaporano subito dopo aver ricevuto un consenso di circostanza, se non di pancia. Esiste, per farla breve, un’Italia reale e un’Italia poco reale. Un’Italia del quotidiano fatto di conti e di inefficienze con servizi che languono, e un’Italia politica, che guarda a se stessa e che fa dell’autoreferenzialità,

magari urlata negli slogan pseudopopulisti, una strategia da consenso che si disperde, poi, nel vuoto quasi pneumatico delle menti. Un’Italia dove anche i numeri, nella loro tragicità a volte, perdono quel valore obiettivo perché piegati a interpretazioni diverse, funzionali a dettare o giustificare una linea politica piuttosto che dipingere una realtà di fatto sulla quale intervenire solo per buon senso. Esiste, così, una regione che non è diversa dal Paese. Ne è solo, è vero, una periferia. Essa dimostra, a suo modo però, quanto e come ha ereditato pienamente stili di governance che si sono affermati nella costruzione di una classe politica sempre meno legata alle esigenze del cittadino, molto neobaronale nel suo schema. E, come il

Paese, esiste quindi una Calabria politica ed una Calabria reale. Quella politica è la regione della straordinarietà, dell’emergenzialità sempre e comunque legata al mantra del mancato sviluppo o delle inefficienze per colpa altrui. Una regione virtuale, dove il quotidiano non trova spazio se non laddove deve dimostrare, nel suo essere e vivere marginalmente, le tesi di sempre mentre l’ordinarietà della vita politica con i suoi riti e le sue controfigure recitano in un teatro collaudato. Esiste poi la regione del giorno per giorno. Quella del confronto con il diritto alla salute, alle cure, alla dignità del malato. Quella dei servizi e del sostegno, della mobilità e del lavoro, del rispetto dell’ambiente e della tutela delle proprie tradizioni. Quella delle aspettative disattese, che si affidano alla nuova panacea di un reddito assistito, tratto di congiunzione tra due matrici che dialogano solo nella funzionalità dell’opportunismo. Di certo non prodotto dell’identificazione di un vissuto, cioè di un vivere inteso come manifestazione dell’essere per il cittadino e rappresentazione e tutela per il politico. In questa duplice virtualità di mondi che non rispondono alla teoria dei vasi comunicanti, ognuno di questi galleggia come può ma alla fine, nella realtà del quotidiano misurabile, entrambi affondano lentamente ogni giorno che passa. Giuseppe Romeo

Il razzismo non esiste? Ipse dixit!

Il cofondatore e garante del M5s, Beppe Grillo, nel suo blog, ha contestato la manifestazione di sabato 2 marzo a Milano, sostenendo che 250.000 persone abbiano manifestato contro il razzismo, un razzismo esclusivamente mediatico.

Non pensavo di dover partire da un’affermazione di Beppe Grillo, che con le sue invettive ha dato un colpo alla sclerosi politica che bloccava il paese da anni, tra due schieramenti politici che si dicevano uno di centrodestra e uno di centrosinistra. Ha trasformato il mugugno, partendo da un Vaffa, e unificando un “popolo” di delusi da tutti i settori politici, un popolo disgustato da una classe politica impresentabile. Politici che, tra scandali, ruberie e soggezione alle sacre leggi neoliberiste, supini agli ordini degli organi internazionali - FMI, Commissione Europea - hanno impoverito anche quei settori, che del miracolo italiano, avevano goduto in gran quantità, pensando solo a sistemarsi. Il cofondatore e garante del M5S, nel suo blog, ha contestato la manifestazione di sabato 2 marzo a Milano, “People - prima le persone”, scrivendo: “250.000 persone hanno manifestato contro il razzismo, un razzismo esclusivamente mediatico... Ma Sala (sindaco di Milano) - riprende - lo definisce momento spartiacque... e ha ragione. Chiunque abbia un minimo di buon senso non vede alcun razzismo, ma soltanto un crescente egoismo sociale". Continua affermando che i problemi reali sono altri (e qui potrei essere d’accordo): povertà, egoismo, TAV, “mafiosità” di alcuni politici, che vogliono rifarsi la verginità e continuare a dirigere. Normalmente quando non si vuole affrontare un argomento, si svicola, si parla d’altro, ma se questo lo fa colui che ha sempre parlato di partecipazione e democrazia della rete, tale affermazione lascia perplessi e fa sorridere. Malgrado le cifre degli arrivi dei migranti contraddicano quella narrazione, i media e i social eterodiretti tendono a presentarli come invasori – e così facendo distruggono la cultura e la storia religiosa dell’Italia, pronta a cadere nelle grinfie di un altro dio – e tutti delinquenti. Sì, ha ragione Grillo, è proprio un’invasione mediatica, come lo è la percezione di aumento di delitti, sparati sui giornali e sulla rete, cavallo di battaglia del partito di governo alleato. Cade in basso Grillo quando accetta che più di 50 mila iscritti del M5S possano decidere se un politico è colpevole o meno, schiacciando un tasto, standosene tranquilli a casa, come rap-

presentassero la maggioranza degli elettori del paese. Se, invece, un numero di “cittadini”, almeno cinque volte maggiore, decide di dire la sua scendendo in piazza, convocato da centinaia di associazioni, per protestare contro l’imbarbarimento e l’odio che trasuda nei comportamenti quotidiani del “popolo”, eletto a giustiziere, e contro leggi a rischio di incostituzionalità, allora i manifestanti sono “pecore” in pasto a politicanti di mestiere.

Il valore si misura in base all’acquiescenza a norme stabilite da poche persone, un cerchio magico con a capo il figlio del fondatore del M5s, Davide Casaleggio, che ha preso il posto del padre morto e assunto il controllo della piattaforma Rousseau, di cui ha il controllo assoluto. Si chiamava nepotismo una volta: come nelle grandi famiglie si tramettono aziende e ricchezze, di padre in figlio. Se questa è la rete che apre a tutti la libertà di

esprimersi, non riesco a essere d’accordo, penso che sia una truffa “mediatica”, si scambiano lucciole per lanterne e poveretti quelli che ci credono. Quelli che erano presenti a Milano erano un insieme di forze: 1.200 fra enti e associazioni, 700 Comuni, 40 mila adesioni solo su Facebook. Costoro rappresentano l’altro specchio della società italiana, quella solidale, che non sempre è unita, ma che è più rappresentativa dei 50 mila che hanno discolpato, a ragione o a torto, un ministro che, come tutti i cittadini, deve essere giudicato. I tribunali popolari debbono essere una cosa seria, non convocati solo quando i capi non possono sputtanarsi. Quanto assomigliano queste convocazioni, sulla piattaforma Rousseau, a quelle dei tanto odiati parlamentari, presenti durante le votazioni delle leggi in discussione ma solo per premere un bottone, in base a quanto decide il presidente del gruppo dell’aula della Camera o del Senato. Democrazia sì, ma a comando! È vero non esiste né destra, né sinistra, vecchi arnesi di un secolo passato, non esistono ricchi e poveri, né padroni e lavoratori. Siamo tutti allo stesso tavolo, un unico organismo, il “popolo” mediaticamente unificato contro la casta e i poteri forti, l’invasione di uomini e donne che fuggono dalla miseria. Ha ragione Grillo, non esiste la razza, come dimostrano le ricerche dei genetisti, esiste la xenofobia, la paura del diverso, dell’altro che non sia il tuo vicino, del migrante povero che cerca di sfuggire alla morte e alle guerre, eredità del colonialismo europeo e della dominazione dei paesi occidentali. Invece di allearsi con coloro che hanno i suoi stessi interessi e problemi, “il popolo” preferisce farsi guidare da politici furfanti, che promettono prima delle elezioni, ma che lasciano irrisolti i problemi reali, mancanza di lavoro, disoccupazione, povertà in aumento. Basta un click sulla tastiera e la democrazia è salva! Quelli presenti a Milano hanno detto che il mondo è bello, perché il colore arcobaleno è quello che fa sorgere il sorriso e la voglia di stare insieme, essere protagonisti e metterci la faccia. Francesco Martino


CONVERSANDO

GIUDIZIARIA

Il vino si tinge di rosa

L’immagine del vino del terzo millennio appare decisamente in rosa grazie al nuovo ruolo delle donne nella produzione, nel commercio e soprattutto nei consumi. Per 8.000 anni il vino è stato un ambito quasi solo maschile, ma ormai non è più così. Oggi le donne guidano un terzo delle cantine italiane e il 24% delle imprese commerciali al dettaglio del vino (dati Cribis- Crif). In occasione della Festa della donna si sono svolti, dal 2 al 9 marzo, in tutta Italia eventi dedicati al tema «Donne, vino e design»: visite in cantina, performance, conferenze, piccole mostre, spettacoli organizzati dall’Associazione Nazionale Le Donne del Vino. Un modo per celebrare la Festa delle donne che diventa Festa delle Donne del Vino e mette sotto i riflettori l’apporto di creatività, rinnovamento e qualificazione fornito del “gentil sesso” al proprio comparto produttivo. Un modo orgoglioso ma anche costruttivo per dire che il vino sta cambiando look e questa rivoluzione è rosa. Con l'apporto delle donne, il mondo del vino diventa fashion, si lega alle scelte culturali delle persone che lo producono e lo consumano. La bottiglia e gli accessori da vino si trasformano in arredi civettuoli della casa e della tavola e non sono più solo strumenti di un servizio ben fatto. Persino il colore di etichette, packaging, luoghi e accessori del vino viene influenzato dalla femminilizzazione: meno blu, nero e grigio, più rosso e pastelli. Anche il linguaggio che viene utilizzato è spesso fuori dagli schemi, quando non di rottura rispetto alla tradizione, portando ad accendere la discussione sulle nuove forme di comunicazione. La manifestazione «Donne, vino e design» è stata ideata e organizzata da "Le Donne del vino", un’associazione, presente in tutte le regioni italiane, senza scopi di lucro che promuove la cultura del vino e il ruolo delle donne nella sua filiera produttiva. Nata nel 1988, conta oggi oltre 800 associate tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste. Sonia Cogliandro

L’aggravante sul “dolo specifico dell’agente”

FRUTTI DIMENTICATI

Ovale calabrese

Citrus Sinensis (L.) Osbeck Famiglia rutacee Ancora una volta ci ritrovammo nel podere di Benedetto Tuscano in contrada Stabile nel comune di Staiti che con la sua consueta gentilezza ci mostrò quello che ha conservato o prodotto con le sue stesse mani.Ci fece vedere le coperte di lana o di ginestra tessute dalla sua defunta madre, la “máiura” ossia uno strumento di legno di frassino, duro e leggero, con un’arcuazione accennata al centro, in corrispondenza della spalla e poi due piccoli incavi alle due estremità, dove venivano appesi dei pesanti secchi contenenti acqua o latte e trasportati a spalla da posti lontani dalla casa. Evidenziò l’uso della piccola madia di 120 anni, atta a lavorare la cagliata nelle forme apposite, mentre a un certo punto ci mostrò un lungo (circa 130 cm) e spesso (circa 1,5 cm) spiedo biforcuto, che somigliava ad un tridente del diavolo con cui venivano arrostiti sulle braci, ghiri, “póndachi” (quercini) e “súrici” (topi). Era presente all’illustrazione degli attrezzi una signora di città, che sentendo nominare i topi in funzione alimentare fece una smorfia di riprovazione e saltò su come un mortaretto dalla pietra su cui sedeva guardando con sospetto Benedetto che con benevolenza e gentilezza spiegò che essi aiutarono la povera gente a sopravvivere in un passato non così lontanissimo, caratterizzato dalla fame più nera. Le mamme, inoltre, quando i bambini facevano la pipì a letto, li sottoponevano ad una cura settimanale di carne di topo, per guarire l’incontinenza urinaria dando da mangiare un topo al giorno arrostito al salmoriglio; tale pratica era considerata efficacissima. Di conseguenza, ogni bambino delle famiglie contadine era sottoposto alla cura, talvolta attuata in modo preventivo. C’era tanto materiale da far vedere e Benedetto lo illustrò recitando il suo ruolo di pastore indossando fra l’altro il costume tipico dell’Aspromonte occidentale dei pastori appunto che si è fatto confezionare circa 15

anni addietro, compresi i “calandrelli” (calzari) e la beretta lunga alla greca. Scendemmo poi nel “giardino” mediterraneo ossia nel piccolo agrumeto costituito da agrumi e da piante da frutto. A questo punto Benedetto ci mostrò i resti di una “saitta” ossia di una torre di un antico mulino ad acqua e su una roccia ci fece vedere una croce “cornúta” ossia dotata alla fine dei tre bracci, di due linee divergenti verso l’esterno a forma di corna. Accanto alla croce c’è una data non antica: 1730. Essa ci induce però a pensare che colui che la incise era in possesso dell’influsso della cultura armena in zona in quanto la croce cornuta, bilobata o trilobata, era tipica del popolo caucasico i cui rappresentanti giunsero come coloni nella vallata di Bruzzano nel IX secolo d.C., al tempo della spedizione di Niceforo Foca, quando popolarono la Rocca che da essi prese il nome: Rocca degli Armeni o Armenia. Di fronte al piccolo “giardino”, mostrando le piante di arancio prive di frutti, eravamo alla fine di giugno, ci parlò delle arance di Spina, grosse come la testa di un neonato, che non esistono più nemmeno nel suo campo, dei limoni con gli spicchi alternativamente dolci o aspri ed infine ci condusse ad una pianta ricca di frutti, preziosa secondo il suo punto di vista: la pianta che produce “portugalli longuti” ossia arance ovali. Gli dissi allora che si trattava dell’ovale calabrese ed egli mi rimproverò affermando che la buccia che contiene gli spicchi dell’ovale calabrese è spessa come la pelle di una scarpa. Mi fece assaggiare un frutto ed in effetti mi sembrò straordinario e delicato nello stesso tempo. Gli spiegai che questo dipende dal terreno e dalla quantità d’acqua che le piante ricevano d’estate. Gli riferii che in Calabria tale varietà di arancio è trascurato, mentre in Sicilia di recente sono stati impiantati trecento ettari di ovale calabrese. Alla fine di giugno le arance erano mature al punto giusto, succose e adeguatamente dolci, dalla pellicina finissima e delicata e dalla buccia esterna sottile; insuperabili nel loro genere. orlando Sculli

Nel profilo che riguarda i delitti commessi "al fine di agevolare l'attività delle associazioni' previste dall'art. 416-bis cod. peli. (l'attività dell'associazione in sé ma non necessariamente anche gli scopi elencati nell'art. 416-bis , comma 3, cod. pen.), la configurazione dell'aggravante è incentrata sul dolo specifico dell'agente. La natura soggettiva di questa versione dell'aggravante è stata affermata nella giurisprudenza di questa Sezione (n. 31874 del 09/05/2017, Rv. 270590; n. 25510 del 19/04/2017, Rv. 270158 e n. 29816 del 29/03/2017, Rv. 270602) perché concernerebbe i motivi a delinquere e, dunque, sarebbe incomunicabile ex art. 118 cod. pen, agli altri concorrenti che non condividano la medesima finalità (il dolo specifico). La posizione contraria sostiene che la circostanza aggravante avrebbe natura oggettiva, consistendo in una modalità dell'azione (art. 70 n.1 cod. pen.), e si trasmetterebbe, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato, purché da essi conoscibile (Sez. 2, n. 24046 del 17/01/2017, Rv. 270300; Sez. 5, n. 10966 del 08/11/2012, dep. 2013, Rv. 255206; Sez. 6, n. 19802 del 22/01/2009, Rv. 244261). Questo secondo orientamento risulta accolto anche in un cautelare relativo ai fatti oggetto del presente giudizio in cui questa Corte (Sez. 3 n.17400 del 9/04/2015) ha dichiarato inammissibile il ricorso di ... contro il provvedimento del Tribunale del riesame, valutando corretto attribuire natura oggettiva all'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso con la conseguenza che il singolo associato ne risponde per il solo fatto della sua partecipazione alla associazione. In realtà, al contrasto fra le due interpretazioni non può darsi una soluzione univoca, perché l'estensibilità dell'aggravante agli altri concorrenti dipende da come essa si atteggia in concreto e dal reato in relazione al quale viene contestata. In ogni caso, per la sua impronta soggettivistica, essa va interpretata in termini che, non confinandosi entro il tenore letterale della disposizione, si conformino alla struttura di un diritto penale (quale è quello del vigente sistema italiano) del comportamento che, mentre prevede espressamente che le aggravanti concernano i "motivi a delinquere" (art. 118 cod. pen.), non dovrebbe giungere a un aggravamento della pena per un mero movente: la circostanza aggravante non comporta che l'obiettivo dell'agevolazione sia raggiunto, tuttavia deve richiedersi che l'attività dell'agente esprima comunque una oggettiva capacità di agevolare, almeno potenzialmente, l'associazione criminale. Per quanto specificamente concerne il reato associativo, in particolare, la finalità di agevolare un'associazione mafiosa, più che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente, è direttamente connessa alla concreta struttura organizzativa dell'associazione. Se tale struttura si pone in una situazione di prossimità alla associazione mafiosa, che le garantisce, come nelle fattispecie, avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, allora il collegamento della associazione per la vendita degli stupefacenti con la associazione mafiosa, si traduce anche in finalità agevolativa e rappresenta un dato oggettivo che travalica la condotta del singolo associato, perché riguarda il modo di essere della associazione e dunque le modalità di commissione del fatto di reato. In questa prospettiva, risulta corretto attribuire – nella specifico caso in esame - natura oggettiva alla aggravante in questione. Nella formulazione previgente, l'art. 118 cod. pen. prevedeva la comunicabilità ai concorrenti anche delle circostanze aggravanti (normalmente soggettive), che avessero facilitato la commissione del reato, secondo il principio "ubi connoda, ibi inconnuoda" e risulta congruo utilizzare questo principio come guida ermeneutica per la soluzione dei casi dubbi, attribuendo natura oggettiva alle circostanze aggravanti utili per la realizzazione del reato da parte dei concorrenti e che, quindi, ex art. 59, comma 2, cod. peri. non possono che essere attribuite - se (come nel caso in esame) conoscibili - a tutti.

I BRIGANTI

Se la massa è massa, che siano uomini o capre

Ultimamente ci si offende un po’ troppo spesso, specie se ci si confronta sui social, poiché ormai una vita sociale normale è qualcosa di veramente raro. Mi è capitato di leggere un post di un irriducibile comunista che insultava chi dava della “capra” al popolo che ha votato Salvini, e affermava: “il comunismo vuole tutelare le masse, e rispetta ciò che votano”. La massa, dal web: “nel 1800, la filosofia di Marx la identificava con la classe proletaria ancora inconsapevole della sua identità e non ancora organizzata. Il pensiero di Friedrich Nietzsche considera la massa come trionfo della quantità sulla qualità e insieme di individui mediocri. Per la moderna psicologia la massa è un insieme di persone senza un ruolo nella società, incapaci di agire autonomamente.” In generale, quindi, questo termine ha un’accezione piuttosto negativa. Ma è assolutamente normale visto che siamo così tanti che non potremmo mai e poi mai pensare a cosa sia giusto per noi stessi: c’è bisogno di un leader. Avete presente il pastore che guida le capre, perché altrimenti due scappano a destra, due a sinistra, due si buttano allegramente dal burrone, e così via. Il pastore le redarguisce al suono di “Rrrrà! Rrrrà!Pristiglià!”. E la capra si volta e segue il suono, evitando il peggio. E così un ministro, al suono di

“rrrà rrrà prima il nord, anzi no, rrrà rrrà prima gli italiani, rrrà rrrà abbasso i terroni, anzi no, rrrà rrrà abbasso i negher (perché ora i terroni mi votano)... il leader imbona le masse. E le masse vanno tutte in quella direzione ideale – a lui. Se il comunismo volesse davvero tutelare le masse, io immagino che come minimo... lo farebbe! E invece non lo fa. Così come non lo fa la destra, il centro, il dietro, il sopra. Non esiste niente che tuteli nessuno. Il soldo canta. C’hai i ssordi? Allora parli. Sennò taci. Ma alle masse sta bene così, perché quelle sono create apposta per stare buone buone e non fiatare. Pensa un po’ se ognuno si mettesse a dare un’opinione sensata su un argomento di interesse economico, per esempio che i soldi sono la cosa peggiore che l’uomo abbia inventato. Non è possibile! Pensa se si cominciasse a insegnare a scuola, dalle elementari, a stabilire da soli cosa sia giusto e cosa no, cosa ci fa stare bene e cosa no, cosa sia la pace e la meditazione, il valore dell’essere umano, l’amore e non le persecuzioni... Se si mettesse l’essere umano in grado di dare un giudizio, se si elogiassero le cose belle, il valore della vita, dell’altruismo, che porterebbe inevitabilmente a non dover più utilizzare la forza per essere ascoltati. Pensa un po’ che paradosso sarebbe la vita. E che caos il mondo! Molto più semplice rendere felici le masse con poco: un misurino di tv spazzatura dopo 12 ore di schiena spezzata a lavorare. Ed ecco creato il leader, che non conosce i fatti storici ed economici che hanno creato la situazione in cui viviamo, ma ha studiato “public speaking” e quindi sa come imbonire l’ascoltatore. Ed ecco creato il nemico, che guarda un po’... è sempre il più debole, che deve essere neutralizzato. Ed ecco spiegato quel suono che esce ogni giorno dalla tv, che fa rrrà rrrà! E a questo suono la massa sbava, ipnotizzata. E il ministro balla. Brigantessa Serena Iannopollo


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società

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Dopo il successo fatto registrare dalla farsa andata in scena a Gioiosa Ionica la scorsa domenica abbiamo voluto parlare con Tiziano Rossi, autore di commedie in vernacolo che ci ha raccontato la storia della rappresentazione tradizionale e ci ha spiegato quale sia il suo stato di salute attuale. Ne è venuta fuori una chiacchierata interessante e vivacissima, che ha ripreso e sviluppato temi che il signor Rossi tratta anche nel suo libro “Il Carnevale nelle tradizioni popolari”.

Tiziano Rossi: “La farsa ci aiuta a ricordare chi siamo”

“Recuperare la farsa significa anzitutto fare un lavoro capillare sul dialetto, perché anch’esso fa parte della nostra storia e per tale ragione non possiamo assolutamente abbandonarlo. Chi perde le proprie radici non può pretendere di avere voce in capitolo in società.”

Tiziano Rossi si interessa di tradizioni popolari ed è fermamente convinto che chi perde le proprie radici non può pretendere di avere voce in capitolo in società. Di Gioiosa Ionica, ha dedicato buona parte della propria vita a scrivere farse e, ancora oggi, cerca di recuperare e tutelare una tradizione che, pur contenendo le radici storico-culturali della nostra terra, sembra destinata a cadere nell’oblio. Perché ritiene che la sopravvivenza della farsa sia così importante per la nostra regione? Perché ci aiuta a ricordare ciò che una volta era la Calabria e a capire meglio quali fossero le dinamiche sociali che si vivevano nei nostri paesi. Il carnevale, infatti, era una festa molto attesa perché, per un giorno, permetteva al ceto povero di vivere un momento di rivalsa nei confronti dei potenti. Un sentimento molto ben incarnato dalla figura di “Carnalevari”, personaggio che, non a caso, incarnava l’ingordo. Quali sono le radici storiche del carnevale nella Locride? Il nostro carnevale ha punti di contatto con i saturnali, festività con cui gli antichi romani celebravano l’insediamento nel tempio del dio Saturno. Sicuramente, comunque, si tratta di un’evoluzione delle festività con cui, nei nostri paesi, si ricordavano i defunti. In questo periodo dell’anno, infatti, tutte le famiglie si recavano al cimitero per offrire cibo e vino a suffragio delle anime dei parenti scomparsi. Proprio a Gioiosa Ionica la settimana che prelude alla domenica di carnevale, quella in cui si porta in scena la farsa, viene chiamata ancora “simana muzza”, ovvero “settimana della baldoria”, espressione che prende a prestito una parola araba per indicare i giorni che conducono all’apice della festa. Anticamente, tuttavia, i pre-

parativi per il carnevale iniziavano ben tre settimane prima e, per la precisione, con la “domenica degli amici”, cui sarebbero seguite la “domenica delle comari” e la “domenica dei parenti”, prima di giungere alla “domenica di carnevale”. Queste tre domeniche erano occasione di visita presso parenti e amici, utili a scambiarsi il vino o la carne di maiale appena macellata. Un modo per rafforzare i legami di amicizia che dava al carnevale un significato assai diverso da quello che ha assunto oggi. Quindi la tradizione del carnevale era legata a doppio filo a quella “del maiale”… Possiamo affermare che senza la tradizione del maiale il carnevale calabrese non sarebbe mai esistito. Non è un caso se, a Gioiosa, il giovedì grasso viene chiamato anche oggi “‘u jovi ‘i lardaloru”, ovvero il giovedì in cui si mangia il lardo, e si dice che “‘u jovi ‘i lardaloru cu’ no’nd’havi carni si ‘mpigna ‘u figghi-

jolu”. Questo proverbio indica proprio quanto la carne fosse importante per la tradizione e perché il carnevale fosse una festa molto attesa da tutti. Molto attesa anche perché, come ci anticipava prima, ghiotta occasione di mettere alla berlina i potenti… Esatto. Gli attori che mettevano in scena la farsa della domenica davano voce al popolo ed erano in grado di dare risposte così pungenti sui temi cari alla società dell’epoca da scatenare un vero e proprio sentimento di rivalsa. Ciò non toglie che si mantenesse comunque una forma di rispetto nei confronti dei padroni dai quali si subivano angherie tutto l’anno. A questi signori, infatti, e solo a loro, ci si rivolgeva sempre in lingua italiana, una riverenza che dimostrava che l’ordine sociale si stava mettendo momentaneamente da parte, ma non era stato del tutto dimenticato. Si riesce dunque a delineare anche un quadro storico del comprensorio, da

questo genere di rappresentazioni? Direi proprio di sì. “‘A farza d’u porcaru”, ad esempio, racconta che il macellaio che dà il titolo alla rappresentazione veniva a piedi nientemeno che da Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) per vendere a Gioiosa Ionica i maiali in occasione dell’imminente carnevale. Sulla base dei discorsi fatti dal protagonista si comprende quale fosse l’importanza commerciale di Gioiosa e quanto qui da noi il carnevale fosse sentito. Quali erano le caratteristiche peculiari di questa farsa? Anzitutto il fatto che veniva aperta da un prologo recitato da un personaggio chiamato “Volanti”, perché aveva dei pennacchi sul copricapo che svolazzavano mentre, recitando, girava da una parte all’altra della ruota formata dal pubblico per assistere alla rappresentazione. Si trattava dello stesso personaggio che avrebbe chiuso la recita presentandosi questa volta come l’antiprologo, ovvero colui che spiegava le dinamiche che legavano i personaggi che erano stati visti sulla scena e che spesso, in un perfetto esempio di metateatro, riportavano anche i pettegolezzi di paese che coinvolgevano gli attori che li avevano interpretati. Questa pratica, adottata persino da Niccolò Machiavelli ne “La Mandragola” e spesso dalla farsa gioiosana, fece finire in tragedia una rappresentazione ideata da Clelia Pellicano, che aveva ideato nella sua opera una tresca amorosa che si sarebbe verificata veramente tra i suoi attori. Le risate del pubblico ancora prima che fossero recitate le scene sarebbero state insopportabili per le persone coinvolte, tanto che alla fine ci scappò persino il morto. Tornando a “‘A farza d’u porcaru”, comunque, è da ricordare anche per aver portato in scena il primo caso di corruzione dell’autorità. Per salvare dal


La copertina del libro “Il Carnevale nelle tradizioni popolari”, in cui l’artista Armocida ritrae i personaggi tipici della farsa Gioiosana. Sono riconoscibili “Volanti” con il berretto piumato tricolore e, in basso “Carnalevari” e, di spalle, la “‘zza vecchija”. carcere “Carnalevari” che ha rubato il maiale al macellaio di Monteleone, infatti, il personaggio della “‘zza vecchija” porta una “tiana”, ovvero una pentola di terracotta, piena di maccheroni e polpette al governatore, convincendolo così a prosciogliere il figlio entro sera. Visto il tipo di critica sociale messo in scena dalla farsa, non pensa che sia anche la difficoltà ad attualizzarla che la sta facendo scomparire? Ha proprio centrato il problema. Quella della farsa è una tradizione che non si riesce a mantenere viva perché l’evoluzione delle dinamiche sociali, soprattutto in una realtà complicata come quella calabrese, ci fa temere che scontrarci con la realtà attuale possa costarci molto. Dovremmo tuttavia avere il coraggio di mettere da parte questa paura, perché la farsa può dare ancora molto alla nostra società, anche se il ritorno alla normalità del lunedì potrebbe costare qualche sguardo bieco agli attori. Eppure, a giudicare dal successo di pubblico, come quello fatto registrare la scorsa settimana a Gioiosa, si direbbe che la farsa non conosca crisi. È vero, il pubblico partecipa sempre in modo numeroso, ma bisognerebbe

inventarsi qualcosa di nuovo per poter attrarre i bambini e, soprattutto, le donne. Come nell’antica Grecia il teatro era precluso al genere femminile, infatti, anche la farsa veniva considerata una cosa da uomini o, peggio ancora, da ubriachi. Innanzitutto perché, essendo fatta in maniera conviviale, in piazza, la calca che si formava attorno agli attori rendeva difficile alle donne potersi avvicinare, ragion per cui ho spesso avanzato l’idea che si facessero rappresentazioni anche al chiuso, in teatro; in secondo luogo perché gli attori erano esclusivamente di genere maschile. Lo stesso personaggio della “‘zza vecchija” che, a seconda delle rappresentazioni poteva essere la nonna, la madre o la sorella di “Carnalevari”, era interpretata da un uomo. Ha detto poco fa che la farsa veniva considerata “cosa da ubriachi”. Perché? Si diceva che fosse una “recita da ubriachi” perché veniva tramandata oralmente nelle bettole in cui si beveva vino e si giocava a carte. Chi rimaneva colpito dalla rappresentazione dopo averla vista, infatti, la imparava a memoria e, tornato in paese, dove erano quasi tutti analfabeti, la faceva imparare a un gruppo di amici per portarla in scena e

adattarla alle dinamiche della propria città di residenza. Per realizzare la rappresentazione, inoltre, servivano giovani ardimentosi: i Carabinieri di Gioiosa, infatti, ogni volta che si doveva portare in scena una farsa, pretendevano di leggere il copione e, in sua assenza, che la prima recita venisse fatta davanti alla caserma il giovedì sera, per assicurarsi che la rappresentazione non cozzasse con la pubblica morale. Solo le farse edulcorate potevano andare in scena la domenica e se non si stava attenti si rischiava la censura… o peggio. Questo avrebbe spinto un sacco di giovani “spacconi” a proporsi come attori per dare prova di coraggio al paese ma, con il passare del tempo, la paura ha preso il posto di quell’ardimento. La scuola o i corsi di recitazione non potrebbero rappresentare una speranza per il recupero di questa tradizione? Spero sempre che la scuola possa rendere i bambini sensibili a questo tipo di tradizioni, ma il lavoro da fare sarebbe molto più complesso e dovrebbe riguardare anche un recupero del dialetto, oggi visto come una lingua della quale vergognarsi, ma che dovrebbe invece essere studiata per non perdere la nostra identità. Senza dialetto, infatti, non può esserci farsa, oggi soppiantata

a scuola dalla messa in scena di recite che hanno per protagonisti altro tipo di personaggi. Le scuole di teatro potrebbero rappresentare la soluzione ma, in una società in profonda crisi come la nostra, i giovani sono giustamente alla ricerca di un lavoro che dia loro da mangiare prima di impiegare il proprio tempo con la recitazione di una commedia tradizionale che non uscirà mai dalle mura del proprio paese. Per questo ho spesso cercato di convincere l’Amministrazione Comunale a dare un compenso ai giovani che mantengono vive queste tradizioni. E la politica si è dimostrata sensibile all’argomento? Sì, molto. Ma le risposte non riescono ad essere adeguate per l’annoso problema dei fondi pubblici, ecco perché non si è mai potuto dare seguito alla mia idea. Un vero peccato, perché sono certo che una migliore pubblicizzazione di questa tradizione potrebbe creare anche un notevole indotto turistico, che oggi soffre tremendamente l’assenza di un’offerta adeguata. Oggi chi viene a Gioiosa si limita a fare la fotografia e ad andarsene, eppure avremmo così tanti tesori nascosti da mostrare a chi viene a trovarci… Jacopo Giuca


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cultura www.larivieraonline.com

Dal palazzo della Cultura di Locri è decollata la III edizione del "Premio eccellenze alla professionalità 2019" L'Accademia del Mediterraneo ATHENA NIKE, con sede a Bovalino, presieduta dalla professoressa Concetta Audino, ha esordito sabato 2/03/2019 con una serata dedicata ad alcuni figli di questa terra di Calabria, protagonisti meritevoli per quanto, ognuno nel proprio ruolo, sono riusciti a fare e fanno ancora con impegno, sacrificio e passione, restituendoci quei valori che spesso vengono rubati a questa terra "amara e bella", come la definì qualcuno. Ha introdotto l'evento la Preside Rosaria Pini e il maestro Nik Spatari, il giornalista Michele Cucuzza, il Prefetto Giuseppe Gualtieri, il sociologo Antonio Marziale, lo stilista Lino Valeri, la dottoressa Francesca Scopelliti sono stati tutti premiati. Le motivazioni specifiche sono state lette da alcuni membri dell'Associazione tra cui Marisa Romeo, Lilly Sabatini, Giuliano Zucco, Maria Rosaria Pini, Maria Macri, Antonio Trichilo. Un premio speciale è andato all'oculista Dott. Roberto Polito, per quanto da tempo sta facendo, curando i bambini africani, e un ringraziamento agli ospiti brianzoli Vincenzo Versace, Ettore

Pelucchi, Giancarlo Castagna e Alberto Bosis, personaggi importanti nel sociale e sempre vicini al nostro territorio. Le motivazioni dei premi hanno sottolineato la vita professionale delle nostre “eccellenze”, finalizzata alla ricerca continua di tutto ciò che può arricchire il vissuto di ognuno di noi con modelli virtuosi dove l'arte e la creatività, il talento e i valori possano convivere in un crescendo continuo, in cui l'amore, l'etica e

GIORGIO CASTELLA Alcuni amici, amanti della natura, mi avevano invitato a partecipare a un’escursione nella montagna di San Luca. Giunti in prossimità del raduno i partecipanti, provenienti da diverse località, ci scambiammo le presentazioni in un clima festoso. La guida responsabile dell’escursione con il fischietto radunò il gruppo, dicendo: «Mi chiamo Natale, oggi siamo un gruppo di escursionisti molto numeroso, dobbiamo stare uniti, dei miei collaboratori saranno vicini a voi per aiutare chi si troverà in difficoltà lungo il percorso, si chiamano: Elvi, Chiara e Antonio». Giovani e anziani percorrevamo il tracciato, fraternizzando fra noi e ammirando paesaggi di grande bellezza in questo territorio incontaminato e selvatico. Il percorso pur in salita diveniva eccitante, in modo particolare quando a distanza si avvistava una grande pietra. Eravamo giunti sull’altura, quando Natale con il fischietto radunò il gruppo esclamando: «Ogni qual volta raggiungo questa vetta, provo sensazioni nuove; per voi che per la prima volta vedete questo paesaggio dove il vento sembra accarezzarvi, avvertite tante emozioni di fronte al fascino della natura e alla bellezza del Creato». Questo imponente monolite circondato da una vegetazione di alberi di querce, lecci, corbezzoli ed eriche si chiama “Pietra Cappa“, gli antichi la chiamavano “Pietra Gauca“ che significa pietra vuota. È sita nel Comune di San Luca e viene considerata la “Regina dell’Aspromonte“. Essa si estende per circa quattro chilometri, con un’altezza di oltre centotrenta metri ed è uno dei più alti sassi d’Europa. Il nostro è un percorso ad anello: man mano ritorniamo verso valle, questa pietra è sempre visibile finché non raggiungeremo la baita dove faremo sosta per assaggiare i prodotti prelibati tipici del territorio, preparati dai giovani del rifugio di nome “Aspromonte”. Durante il percorso abbiamo incontrato dei gioiosi cacciatori che avevano fatto caccia grossa: erano impegnati a trovare un modo per trascinare verso i mezzi di trasporto un cinghiale e delle lepri. Ho notato che i cacciatori non avevano disperso le cartucce sul terreno, bensì le avevano raccolte in un sacchetto per tutelare l’ambiente e salvaguardare l’habitat del bosco. Giunti alla baita, ci dissetammo alla fontana con una bella bevuta di acqua fresca. Natale suonò il fischietto esclamando: «Prima di entrare all’interno del rifugio, possiamo visitare la fattoria degli animali; faranno da guida Lucilla e Cettina». Ci avviammo verso una recinzione in legno che limitava l’accesso degli animali; Lucilla invitò il gruppo ad avvicinarci iniziando a dire: «In questa area di terreno abbiamo dato vita a diversi allevamenti. Gli animali vivono allo stato brado, cioè in totale libertà: suini neri con incrocio di cinghiali, in questa area boschiva con una vegetazione di alberi di querce. Le ghiande sono l’alimentazione principale, nonostante ciò diamo da mangiare soia e crusca; tutto ciò, li fa crescere in piena salute e la sua carne è prelibata».

la moralità ci aiutano a capire meglio questo nostro tempo, ricalcando nella cultura della civiltà che stiamo vivendo, quelle tracce archetipe ereditate e su cui tanti prima di noi hanno camminato, alla ricerca continua di quella verità che spesso viene intuita e rare volte svelata. Conoscere la verità è importante, fa bene agli umani: è il vero ossigeno per il corpo e l'anima. Con la verità accanto ci si sente più sicuri, si ama di più la vita in

ambiti spesso tristi e bui dove c'è bisogno della sua luce, per conoscere e vedere quale strada percorrere. Il messaggio che la serata ha voluto dare è stato chiaro: riappropriarsi di tutto quanto può aiutare l'uomo a vivere meglio diventa un imperativo categorico. Niente è impossibile: l'impegno, il lavoro e il sacrifico, nella consapevolezza rigorosa e totale di noi stessi, ci potrà

A ricevere il premio Antonio Marziale, Francesca Scopelliti, Giuseppe Gualtieri, Lino Valeri, Michele Cucuzza, Nik Spatari.

venire in soccorso, tenendo sempre fermo il concetto, che le persone non si addestrano, ma si educano con esempi di vita condotta nel rispetto delle regole e della legalità. Il folto pubblico in sala, visibilmente felice e soddisfatto, ha dimostrato con calorosi applausi una sentita condivisione con quanto si è detto e fatto. Magnifica la conduzione dell'evento a cura di Bruno Panuzzo, che con i suoi interventi musicali e con la sua fascinosa voce ci ha fatto volare alto, così come un meritato "bravo" a Matteo Nesci per aver curato le danze e le coreografie. Cosa altro dire di questo eccezionale evento? Sì, c'è da dire che a un certo punto la sala della cultura di Locri si è trasformata in un grande "Pantheon", dove metaforicamente è comparso un arcobaleno... non si sa come e perché ! Ma possiamo immaginare il suo significato, intuirlo e sperare che tra i suoi colori, dopo la tempesta, la vita proseguirà, proseguirà se riusciremo a stare con i piedi per terra e gli occhi rivolti in alto... verso quell' "OLTRE" dove ogni futuro è possibile. Giuliano Zucco

SAN LUCA

SOGNO E REALTÀ

Nel proseguire ci soffermammo a osservare un allevamento di pecore e capre, Cettina spiegò: «Produco così il latte per formaggi e ricotte!». Lungo il percorso facemmo sosta per visitare l’allevamento di vitelli; essi vivono in mezzo ai pascoli, il loro peso viene controllato costantemente per avere una carne tenera e gustosa; Lucilla concluse la nostra passeggiata facendoci visitare il maneggio di cavalli e cavalline dove bambini e meno esperti vengono accompagnati per una bella cavalcata in mezzo alla natura. Ritornati alla baita, le guide ci fecero osservare alcuni aspetti della costruzione in legno, la forma rettangolare costituita da piano terra e primo piano, dove balconi e finestre sono ornati da fioriere in legno. Entrati all’interno del rifugio siamo rimasti incantati dalla tanta bellezza: un camino al centro del salone aperto da tutti i lati, il fuoco riscaldava i locali del ristorante tanto da sentire il bisogno di toglierci il maglione. Su una parete faceva bella vista il quadro dello scrittore Corrado Alvaro con delle sue citazioni: “Quando uno lascia un paese, tutte le cose acquistano prima della partenza un valore straordinario di ricordo, e ci fanno pregustare la lontananza e nostalgia“. “La disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile” “Non esiste difetto che, alla lunga, in una società corrotta, non diventi pregio, né vizio che la convenzione non riesca ad elevare la virtù”. “Abbiamo il diritto di sapere non solo ciò che i rappresentanti del popolo hanno in testa, ma anche quello che hanno in tasca”. Ragazze e ragazzi della baita, ci servirono del buon vino accompagnato da un antipasto di salsiccia, ricotta, formaggio pecorino e olive; per secondo un assaggio di pasta fatta in casa: “maccarruni” con sugo di capra e for-


Dalle terre perse della Calabria può nascere un tesoro MARIA GIOVANNA COGLIANDRO

Nel suo ultimo libro "Il seme delle terre perse" edito da Rubbettino, Giuseppe Italiano, giornalista, critico letterario e professore di Bovalino, da forma a un insolito mosaico di bozzetti storico-letterari che, sparsi come semi, con pazienza e fiducia, promettono di generare buoni frutti.

Con uno stile elegante che denota una preziosa ricerca della parola, ne “Il seme delle terre perse” edito da Rubbettino, Giuseppe Italiano, giornalista, critico letterario e professore di Bovalino, da forma a un insolito mosaico di bozzetti letterari in cui fa incontrare gli scrittori calabresi con i grandi della letteratura. Non solo, nel volume vengono ricordati magistrati (Nicola Gratteri e Francesco Cascini), uomini coraggiosi (Lollò Cartisano e Michele Virdò), luoghi di preghiera (la Certosa di Serra San Bruno e la comunità delle suore di Crochi), accadimenti (il terremoto del 1908 e la rivolta nel Distretto di Gerace del 1847). Piccoli scorci storico-letterrari sparsi come semi, con pazienza e fiducia, nella speranza che generino buoni frutti. Attraverso il suo libro ha voluto gettare tanti piccoli semi, solo pochi assaggi, della nostra Calabria. Questi semi possono ancora attecchire? La nostra terra, la Locride, la Calabria, ha, nonostante difficoltà storiche, un humus buono, che ha radici in quella che è stata la grande civiltà greca; una civiltà che ha improntato di sé tutta l’area del Mediterraneo; e noi siamo al centro del Mediterraneo. Farsi seme in questo humus significa dare frutti all’insegna di quei valori umanitari che costituiscono la base di ogni vivere civile. Le terre perse, anche se tali, sono pronte ad accogliere convenientemente colui che sappia far tesoro delle loro potenzialità. Perchè la scelta di inserire all’interno di questo mosaico letteraio anche magistrati, come Francesco Cascini, e uomini coraggiosi, come Lollo Cartisano? Francesco Cascini, «giudice ragazzino», è stato pubblico ministero presso il tribunale di Locri dal 1996 al 2001; e ha raccontato tale sua esperienza nel libro Storia di un giudice – Nel Far West della ’ndrangheta (Einaudi, Torino 2010). In quegli anni ha potuto constatare i due aspetti sociali antipodici della nostra terra. Così Cascini si esprime nella parte finale del suo libro, quando, dopo cinque anni di lavoro appassionato, lascia la Locride per altra sede: «Partivo […]. In macchina piangevo talmente forte che ci misi quasi tre ore a fare i primi cento chilometri […]. Lasciavo una terra meravigliosa e terribile, accogliente e violenta, senza speranza eppure così piena di vita. Lasciavo il mare. Le persone perbene che si fidavano di me, molte cose a metà. Lasciavo un pezzo della mia vita». Il caso di Lollò Cartisano riporta alla mente le parole dell’Evangelista Giovanni: «Se il chicco di grano, caduto in terra, […] muore, produce molto frutto». Il fotografo

maggio pecorino grattugiato, una tradizione antica per la gente di San Luca; successivamente hanno servito carne alle brace di vitello e suino nero. Eravamo tutti allegretti e soddisfatti. Natale, suonò il fischietto per riprendere la nostra escursione dicendo: «Ci saranno nuovi paesaggi da vedere come “la Valle delle grande pietre”,“Pietra Lunga” e “Pietra Castello” prima di raggiungere il paese di San Luca». Quella camminata è stata salutare per smaltire il buon cibo e vedere nuove bellezze dell’Aspromonte. Eravamo giunti al paese di San Luca, ci soffermammo a una fontana a tre canali zampillante di acqua fresca; io osservavo un grande cartello dove campeggiava la scritta: “Benvenuti a San Luca, paese della Letteratura”. Un signore si avvicinò entusiasta e sorridente, presentandosi disse: «Mi chiamo Ottavio, sono un attento lettore dello scrittore Corrado Alvaro, San Luca è realmente il paese della letteratura, ogni famiglia del paese possiede una piccola biblioteca delle opere di Corrado Alvaro. Noi tutti abbiamo grande ammirazione per il nostro Scrittore. Peccato per la sua morte prematura, poteva dare molto alla Letteratura. Anche da lontano ha sempre amato il suo paese, ha denunciato la durezza della vita dei pastori in Aspromonte e la lotta contro le angherie della borghesia che affamava la povera gente. Inoltre, con i suoi romanzi ha fatto conoscere a italiani e stranieri il nome “San Luca”, paese sperduto tra le montagne. Anche il padre di Corrado Alvaro esprimeva sensibilità: da maestro elementare non esitò a istituire nel suo paese una scuola serale per fronteggiare un analfabetismo dilagante che colpiva in modo particolare i ceti sociali più poveri, pastori e contadini, andando a trovarli anche sul posto di lavoro e portando loro libri e cultura. Natale suonò il fischietto per raggrupparci. Prima di avviarci verso il centro, zampogne e pifferi iniziarono a suonare; il suono era accompagnato dallo scoppio di fuochi di artificio. Eravamo disposti in fila indiana e al nostro passaggio la gente di San Luca applaudiva gridando: “Benvenuti a San Luca!” e noi rispondevamo: “W San Luca!”. Durante il percorso, notavo la bellezza del paese; le case tutte bianche con i balconi ornati di fiori, e una serie di attività commerciali, abbellite da insegne di legno con le lettere incavate. Lungo il corso, notavo l’agenzia turistica e un bar con specialità frullati di bosco. In una piccola villetta ci soffermammo ad ammirare la statua di Corrado Alvaro, adornata di tulipani di tanti colori; giunti davanti alla casa natale dello Scrittore ornata di una targa in marmo, prendemmo posto sui gradini dell’anfiteatro che sorgeva a ridosso della stessa. Mentre Natale, Lucilla, Elvi, Ilario, Chiara, Nando e Antonio si posizionarono al centro dell’anfiteatro, vedo arrivare un giovane brillante che prese il microfono e iniziò a parlare: «Sono il sindaco di San Luca, ringrazio voi escursionisti per esservi soffermati a visitare la bella cittadina. I giovani che mi sono accanto rappresentano la spina dorsale dello sviluppo di San Luca. Natale, che voi tutti avete avuto modo di conoscere, durante l’escursione, da ragazzo aveva la passione per la montagna e dedicava il tempo libero a fare delle passeg-

giate in compagnia del suo cane. Conosce la mappatura della montagna, il nome di ogni pianta, gli animali che la popolano e nel corso degli anni ha scoperto angoli della montagna a noi sconosciuti. Questa passione l’ha spinto a laurearsi in Scienze Forestali e Ambientali; ha lavorato sia in Valtellina che in Trentino affermandosi professionalmente; dopo molti anni, pur non avendo più i genitori, per riscoprire la sua infanzia tornò in vacanza a San Luca assieme alla sua compagna Lucilla, nativa del Trentino. Ha constatato, così, la decadenza del suo paese a causa dell’emigrazione e l’abitato quasi svuotato. Pensò di indire nella pubblica piazza un incontro con i giovani di San Luca ritornati per le vacanze. È stato un momento anche per riabbracciare tanti amici e scambiare esperienze lavorative con chi aveva lavorato in Italia e all’estero. In quella circostanza ha illustrato un progetto per rilanciare l’economia in modo da creare lavoro nel proprio paese, sfruttando le ricchezze naturali del territorio aspromontano, proponendo la costituzione di una cooperativa per coinvolgere giovani e anziani, fare impresa e creare un rapporto di fratellanza fra la comunità. Suggerì la realizzazione di un turismo di trekking per gli appassionati della montagna, valorizzando la Valle delle Grande Pietre e il Lago Costantino, luoghi pochi conosciuti al mondo degli escursionisti; l’istituzione di un’agenzia di viaggi con il compito di accompagnare i turisti attraverso un percorso a piedi per avere un contatto con la natura o una navetta per coloro che si recano al

di Bovalino è stato sequestrato nel 1993; i suoi resti mortali sono stati ritrovati dopo un decennio, ai piedi di Pietra Kappa. Lollò si è fatto seme sacrificale e ha pagato con la vita la sua ferma volontà di mantenersi uomo libero. Ci ha insegnato che, quando è necessario, bisogna fronteggiare il male, anche a costo delle più tristi conseguenze. Lei è un grande conoscitore ed estimatore di Mario La Cava, a cui dedica due capitoli di questo suo volume. Cosa ha da insegnarci oggi La Cava? La Cava ci ricorda, con la sua opera, che la cultura occidentale ha sempre avuto il suo nucleo ispiratore nella provincia. La Cava sapeva di poter parlare efficacemente al mondo raccontando le storie della sua periferia calabrese, con uno stile sobrio che si coniuga perfettamante con il realismo dei fatti narrati. Ci insegna che i sentimenti variegati dell’uomo non cambiano nel corso dei secoli: si manifestano nella Locride dei nostri tempi così come si manifestavano nella Grecia del V° secolo a.C.. È significativa di ciò la sua opera teatrale “Un giorno dell’anno”, che è la tragedia di un giovane intellettuale, Duccio Malintesta, che si sorprende, un giorno, a essere l’assassino della sorella Filomena. L’Autore, col sentimento classico di partecipazione al dolore degli uomini, ci presenta scene di autentica tragedia greca; come quella in cui la sorella di Duccio, poco prima di essere uccisa, si denuda il seno e giura sul latte che dava al suo bambino ch’ella non era colpevole; e che ricorda quella che ci dà Eschilo ne Le coefore, quando Clitennestra tenta invano di placare l’ira vendicativa del figlio Oreste e si denuda il seno, dicendo: «Fermati, figlio! Figlio mio, rispetta questo seno sul quale tante volte ti addormisti, succhiando latte e vita». Francesco Perri in “Emigranti” a proposito della Calabria si chiede: Che cosa aveva, dunque, in sè quella terra per conquistare il cuore, per essere ricordata e rimpianta in ogni angolo del mondo, dove si trovavano errabondi i suoi figli in cerca di lavoro e di pane? Lei cosa risponderebbe? Che la bellezza naturale di questa nostra terra e i valori affettivi che la pervadono, non possono essere dimenticati. Francesco Perri, però, accorto e concreto come un contadino, non si involveva nella nostalgia fine a sé stessa. Sapeva che i semi del romanticume inoperoso non potevano dare frutti. Non condivideva la diffusa tendenza del calabrese al piagnisteo. E così scriveva in un articolo, intitolato “Dalla Calabria”, del 2 marzo 1921, su «La Voce Repubblicana»: “Ma è inutile recriminare; agire bisogna perché si faccia noi quello che non sanno fare gli istituti politici. Le geremiadi intorno alla miseria del Mezzogiorno finiscono col somigliare alle proteste dei poltroni contro il destino”.

Santuario Mariano della Madonna dei Polsi; la costruzione di un rifugio montano in prossimità delle Grandi Pietre che potesse ospitare un ristorante con annesso un albergo per dare la possibilità di ascoltare il silenzio della notte e vivere con emozione il fascino della natura, svegliandosi col cinguettio degli uccelli e il belare delle pecore. Inoltre, suggerì la necessità di recintare i terreni boschivi in diversi aree, per allevare allo stato brado il suino nero, le pecore e le capre, i vitelli e persino i cinghiali; l’inserimento dell’allevamento delle api per la produzione del miele; la raccolta dei funghi con annessa una piccola fabbrica per la lavorazione perché la produzione va attivata con una rete per la commercializzazione dei prodotti. Assieme al Premio Nazionale Corrado Alvaro è necessario dare slancio alle opere letterarie dello Scrittore, istituendo la settimana della Letteratura, invitando i maggiori scrittori italiani e stranieri a San Luca». Il sindaco continuando a parlare aggiunse con orgoglio: «Tutto ciò è divenuto realtà grazie al progetto di Natale, che è stato capace di coinvolgere i cittadini di San Luca, rassegnati di fronte al declino costante del proprio paese. La costituzione della cooperativa ha permesso di creare fratellanza fra i cittadini e l’apertura di tante attività commerciali e artigianali la sconfitta della disoccupazione in modo particolare quella giovanile, creando una prospettiva di sviluppo per oggi e per il futuro. Carissimi escursionisti, portate dentro di voi la bellezza di San Luca; nuovi paesaggi vi attendono, qui è terra di accoglienza, una tradizione che gli antichi ci hanno trasmesso e che noi conserviamo con orgoglio! Venite… venite… come ospiti di questa generosa comunità!». Ho descritto l’escursione a Pietra Cappa sognando: “il cartello benvenuti a San Luca paese della letteratura”, la baita con le frasi celebri dello scrittore, la statua di Corrado Alvaro, la presenza della biblioteca delle opere dello Scrittore nelle famiglie, la settimana della letteratura, gli allevamenti di bestiame, la montagna pulita, le case bianche ornate di fiori, l’agenzia viaggi, l’anfiteatro. Da sognatore vorrei che questa mia fantasia si potesse realizzare, perché sono i sogni che tengono vive le nostre speranze, i nostri desideri, e che ci danno l’energia per costruire un percorso di vita, all’insegna della legalità che rappresenta la forza trainante per formare un società migliore con i valori della vita e della solidarietà. Vorrei vivere questo sogno… per continuare a godere la bellezza dell’umanità delle persone che ho incontrato camminando in mezzo alla natura e cancellare tutte le vicende tristi che hanno visto il paese natio di Corrado Alvaro al centro della cronaca giudiziaria. Il paese di San Luca non va lasciato solo: per farlo rinascere siamo chiamati tutti a dare il nostro contributo culturale! Le istituzioni devono essere in prima fila per dare un segnale di vicinanza alla popolazione, investendo le necessarie risorse finanziarie. San Luca non ha più bisogno di parole, il Governo nazionale se vuole rafforzare le istituzioni, ed essere credibile, deve investire con atti concreti su cultura e lavoro. Ho sognato un progetto per San Luca, ricordando un proverbio africano che dice: “Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme è realtà che comincia”.

Malincunia Caluri i focularu mo’ spandi supa i mia, a vampa i scuru e chjaru mi teni cumpagnia.

Non è nenti i speciali pa ognunu comu a mmia ma u luci è nu fanali chi mi riporta a ttia. E trasu nta’ stu mundu chjnu i particulari nu canaluni fundu randi comu nu mari.

Chjanu chjanu mi stupitisci ca pettini e m’allisci, mi torni giuvaneglju i corpu vecchjaregliu. … Cridi i futtiri a mmia non daj p’avundi u vaji ca si’ a malincunia, … si’ n’ura chi sa fuji.

Malinconia

Martin

Il calore del camino si spande su di me, la fiamma tremolante la mia compagna costante. Non è niente di speciale per quelli come me il fuoco come fanale mi fa ripensar a te.

Mi affaccio su un mondo pieno di particolari, un canalone fondo immenso come il mare.

Piano piano tu mi intorti con moine mi conforti, mi illudi di giovinezza poi di colpo son mondezza.

Credi di fregarmi, ma ho imparato a bastarmi: sei solo malinconia… un'ora sola e poi ti scaccio via.


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Nell’ottobre del ’44 il Ministro dell’Agricoltura, il comunista calabrese Fausto Gullo emana alcuni decreti che mirano a migliorare le condizioni di vita dei contadini. Dopo l’emanazione di queste leggi scoppiarono intense lotte per l’occupazione delle terre incolte e per ottenere quanto previsto dalla legge. Le battaglie, iniziate in quegli anni, sono state volute non soltanto dagli uomini, ma anche da molte donne tra cui Giuditta Levato.

Giuditta Levato, la contadina calabrese che morì per la sua terra Il 28 novembre 1948, nel corso di uno scontro per le rivendicazioni sulle terre, Giuditta Levato venne colpita all’addome. Aveva 31 anni e in grembo portava una creatura quasi pronta a nascere.

egli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, quando tutto il mondo tentava di ritrovare un po’ di pace, per la Calabria e tutto il Meridione si sono susseguiti anni di lotte e sconvolgimenti. Nell’ottobre del ’44 il Ministro dell’Agricoltura, il comunista calabrese Fausto Gullo (al governo nazionale era la coalizione antifascista formata da democristiani, socialisti e comunisti) emana alcuni decreti che mirano a migliorare le condizioni di vita dei contadini. I due decreti più importanti riguardano la ripartizione dei prodotti nei contratti di mezzadria e la concessione delle terre incolte e mal coltivate ai contadini associati in cooperativa. Dopo l’emanazione di queste leggi, tuttavia, scoppiarono intense lotte per l’occupazione delle terre incolte e per ottenere quanto previsto dalla legge. Le battaglie, iniziate in quegli anni, sono state volute non soltanto dagli uomini, ma anche da molte donne, la cui voce è stata ancora più forte considerando che essere donne contadine, nella prima metà del ‘900, significava vivere in una condizione di esclusione, di marginalità e di silenzio imposto. In questo clima di sottomissione e di miseria si inserisce la figura di Giuditta Levato. Nacque a Calabricata (all’epoca parte del comune di Albi, oggi di Sellia Marina) in provincia di Catanzaro, il 18 agosto 1915. I suoi genitori, Salvatore e Rosa, lavoravano entrambi la terra. Giuditta trascorreva le sue giornate dividendosi tra il lavoro nei campi e le faccende domestiche. A 21 anni sposa Pietro Scumaci, anche lui contadino e diventò madre di due figli, ma lo scoppio della guerra lo chiamò al fronte, mentre Giuditta assunse il ruolo del capofamiglia. Da quel momento in poi, viveva per i figli, per la sua terra e con la speranza di rivedere presto suo marito, sano e salvo. La guerra terminò, Pietro ritornò a casa, la famiglia si riunì e insieme desideravano ricominciare una vita tranquilla, lavorando e crescendo i loro figli, ma il momento idilliaco non durò a lungo. La serenità familiare venne presto sconvolta dalle lotte per le rivendicazioni sulle terre. I provvedimenti emanati dal ministro Gullo erano fortemente ostacolati dai latifondisti calabresi che vedevano nei nuovi proprietari contadini degli usurpatori. Questa situazione causò diversi scontri violenti in quasi tutto il Meridione e i primi conflitti calabresi scoppiarono proprio a Calabretta nel 1946. Nel frattempo, Giuditta si era iscritta al PCI dove, grazie al suo duro lavoro fece aprire nel suo paese la prima sezione del partito. Con estrema semplicità di linguaggio, riusciva a parlare ai braccianti del pensiero comunista come mezzo di liberazione degli uomini dal bisogno, dalle guerre e dallo sfruttamento dell’uomo. La mattina del 28 novembre, come ogni giorno, si recò nelle terre coltivate liberamente da lei e dai suoi compaesani. Gli agrari, però, continuavano a non accettare il decreto e uno di loro, Piero Mazza, arrivò per dare una lezione ai contadini. Gli animi si infuocarono rapidamente, la situazione precipitò quando alcune donne tentarono di scacciare, dai campi coltivati, una mandria di buoi di proprietà del latifondista Mazza, nel tentativo di salvare quanto seminato. All’improvviso partì una fucilata, del suo manovale, che colpì in pieno addome Giuditta, la quale in grembo aveva una creatura quasi pronta a nascere. La donna cadde a terra all’istante; sanguinante venne portata prima a casa e poi in ospedale. Al suo capezzale arrivò il Senatore Poerio al quale Giuditta affidò le sue ultime parole: “Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza, ho sacrificato la mia feli-

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cità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangono, voglio che combattono, combattono per me, più di me per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, muoio perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui ha tanto combattuto e sofferto. Ma tu, o compagno, vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata”. Dopo aver pronunciato queste parole morì a soli 31 anni, con lei perse la vita anche la creatura che portava in grembo. La Levato fu solo la prima vittima della lotta alla repressione agraria; poi la violenza dei padroni si estese nel ’47 a Petilia Policastro e nel ’49 a Melissa. Nel dicembre 2004 l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale intitolò l’ex sala consiliare dell’organo regionale a Giuditta Levato: “In omaggio ad una donna che è stata protagonista del suo tempo, ma soprattutto in omaggio a tutte le donne calabresi abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio”. A distanza di tanti anni, la sua memoria è ancora viva, la sua triste storia è un esempio per le nuove generazioni, così che la sua morte non è stata vana. Giuditta Levato è stata una donna coraggiosa, determinata, ma allo stesso tempo semplice e genuina. È morta per l’avidità e la prepotenza di uomini che, davanti a quei contadini e a quelle contadine, vedevano solo ostacoli da eliminare. È morta perché credeva nella possibilità di un mondo migliore e, forse, per regalare una coscienza a chi non ne ha mai avuta una. Rosalba Topini

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Ariete Questa settimana segna l’ingresso di Mercurio nel tuo segno! A partire dalla giornata di mercoledì comincerà un periodo di grande successo professionale, in cui non mancheranno le belle occasioni da prendere al volo. Anche Venere promette tanta fortuna.

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Amarcord Questa settimana è andata in onda una puntata di Rai Storia durante la quale abbiamo potuto ammirare un giovanissimo Ilario Ammendolia mentre parlava della Repubblica Rossa di Caulonia assieme a Ferdinando Fantò.

Invi(t)ati al ristorante Uno dei fratelli Simone, titolare del ristorante “La fontanella”, posa assieme a Michele Cucuzza, presente a Locri la scorsa settimana per ritirare un premio.

Briganti veneziani La nostra Serena “Brigantessa” Iannopollo posa assieme a una maschera della tradizione nell’evocativo carnevale di Venezia.

Toro Lunedì e martedì potrebbero arrivare delle belle notizie in ambito professionale. Meno fortunato, purtroppo, il campo dei sentimenti… Venere sfavorevole continua a provocare litigi e incomprensioni nella tua vita di coppia. Cerca il dialogo col partner. Gemelli Finalmente Mercurio smetterà di essere sfavorevole al tuo segno! A partire dalla giornata di mercoledì i blocchi e le opposizioni che hai dovuto sopportare in ambito lavorativo non saranno più un problema e potrai ottenere i riconoscimenti che meriti. Cancro Punta tutto su venerdì e sabato, quando la fortuna sarà dalla tua! Mercurio resterà favorevole al tuo segno fino a mercoledì: approfittane per sistemare le questioni rimaste in sospeso, soprattutto lavorative prima dell’arrivo di ostacoli imprevisti. Leone Da mercoledì potrai contare sul favore di Mercurio e arriveranno novità in ambito professionale. Venere continua a essere in opposizione. I problemi di cuore saranno all’ordine del giorno: punta tutto su domenica, quando la luna regalerà serenità.

L’insediamento di Vestito bis Questa settimana siamo voluti passare al Comune di Marina di Gioiosa Ionica solo per fare una foto che testimoniasse il nuovo insediamento di Domenico Vestito a sindaco dopo la sentenza del TAR che ha annullato lo scioglimento del comune.

Consultazioni caserecce Nino Sigilli e figlia, un produttore di formaggio locale, il sindaco di Mammola Stefano Raschellà e Pino Agostino posano per una foto di gruppo a margine di un incontro in cui hanno parlato di strategie di marketing relative ai prodotti tipici della nostra montagna.

Il cercatore di funghi e la spia Cosimo Romeo, presidente dell’associazione che ogni anno organizza la Festa del Fungo si fa uno spensierato giro sulla sua Vespetta Bordeax assieme a una persona dalle eccezionali capacità mimetiche.

Nuove leve dell’arbitraggio Si sono svolti a Locri gli esami del Corso Nazionale Arbitri. Sono stati ben 10 i partecipanti che hanno superato l’esame finale, e che saranno fin da subito impiegati nell’attività arbitrale sui campi provinciali.

Aspirazioni telefoniche Manlio Satriano e il figlio Antonio, giovane promessa della Roma Under 16, posano assieme al titolare della Vodafone Domenico Bumbaca.

Anni portati su spalle larghe I migliori auguri di buon compleanno al nostro Giuseppe Venuto, che questa settimana ha spento ben 45 candeline dimostrando una volta di più di non sentire il peso degli anni.

L’angolo di Bluette Accoppiate da showbiz La nostra Bluette Cattaneo durante uno spettacolo con Charlie Gnocchi, inviato di Striscia la Notizia di Canale 5 e fratello del famoso Gene.

Vergine Nelle ultime settimane hai dovuto sopportare l’opposizione di Mercurio, che ha creato più di un ostacolo sul tuo cammino rendendo ogni decisione complicata. Mercoledì tutto diventerà più semplice: Mercurio non più opposizione farà fioccare soluzioni. Bilancia Mercurio entrerà in opposizione al tuo segno. Nelle prossime settimane potrebbero verificarsi dei blocchi nell’ambito del lavoro o potresti incontrare delle difficoltà nella comunicazione con gli altri. Per fortuna ci penserà Venere a regalarti gioie. Scorpione La settimana si apre con due giornate pesanti. Meglio evitare di provocarti. Venere sfavorevole crea tensioni in ambito sentimentale e col partner potrebbero verificarsi discussioni. Per fortuna nelle giornate di venerdì e sabato ritroverai serenità. Sagittario Mercurio non sarà più sfavorevole al tuo segno e, da mercoledì, il successo sarà assicurato! Questo è un anno di vittorie per te, e adesso potrai già cominciare a raccogliere i primi frutti. Attenzione, tuttavia, a mercoledì e giovedì sarai negativo. Capricorno Mercurio ti volterà le spalle. Se nell’ultimo periodo sul lavoro eri riuscita a fare dei bei passi avanti potresti incontrare qualche ostacolo in più sul tuo cammino, possibile soprattutto venerdì e sabato. Niente paura, però: la vittoria sarà tua!

Acquario Venere continua a essere in congiunzione nel tuo segno e l’amore non potrebbe andare meglio di così! Sei ancora single? Guardati attorno: incontri favoriti nella seconda parte della settimana. Mercurio ti porterà buone notizie anche in ambito lavorativo. Pesci Ti conviene puntare sulle giornate fortunate di lunedì e martedì, quando avrai ancora Mercurio in congiunzione e una bella luna fortunata a sostenerti. Attenzione invece alle giornate nervose di mercoledì e giovedì, quando Mercurio si sposterà in Ariete.


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