Riviera nº 07 del 10/02/2019

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FOTO:NICOLA SANTUCCI


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vetrina

L’EDITORIALE

DEL DIRETTORE

Lezioni sbagliate MARIA GIOVANNA COGLIANDRO

Dicono che gli opposti si attraggano. Ma ci sono opposti che sottraggono, sottraggono moralità a questo Paese. In particolare, questa settimana, c'è stata una coppia di opposti che mi ha lasciata turbata: da un lato la senatrice Daniela Santanchè e dall'altro Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo. Daniela Santanchè è stata ospite di "Alla lavagna", trasmissione di Rai 3 nella quale 18 studenti dai 9 ai 12 anni rivolgono quesiti a personaggi della politica, della cultura e dello spettacolo. "Cosa vuol dire per lei il denaro?" - le ha chiesto una bambina. Al che la senatrice risponde senza esitare: “È l’unico vero strumento di libertà. I soldi servono per essere liberi. E poi mio papà ha insegnato a me e ai miei fratelli che chi paga comanda. E lo dico a te che sei una donna. Pagare i propri conti significa anche comandare. È un grande strumento di libertà il denaro”. Essere economicamente autonomo ti darebbe la libertà di comandare. Puoi dare ordini in base a quanti soldi hai sul conto. La Santaché con spietata franchezza ha illustrato come - purtroppo - gira il mondo. Il problema, però, è che ha ridotto la libertà al comando. Potente uguale libero. E quel che è più drammatico è aver spiattellato quest'equazione pericolosa in faccia a dei ragazzini: che libertà triste e senza speranza si prospetta ai loro occhi. Il denaro considerato "unico" e "vero" strumento di libertà. Con "unico" la Santanchè ha spazzato via ogni altra possibilità - che sia la cultura, l'integrità morale, la sete di conoscenza, l'immaginazione, il coraggio - con "vero" ha espresso un giudizio di merito che conferisce alla sua opinione una validità inconfutabile. La lezione della Santanché è di quelle che ai bambini fanno solo del male. Chi tra loro non riuscirà a diventare ricco, non si sentirà libero. E non è un'esagerazione: a quell'età ciò che ti viene trasmesso dai grandi te lo porti dietro tutta la vita. Ascoltandola ho ripensato e ringraziato la mia professoressa d'italiano delle medie, una santa donna che mi ha insegnato tanto. Parlandoci della libertà ci aveva fatto leggere una poesia di Paul Éluard. Riporto solo l'ultima strofa che rimbomba nella mia testa ogni qualvolta l'aria inizi a farsi asfissiante: "E in virtù d’una parola, ricomincio la mia vita. Sono nato per conoscerti, per chiamarti Libertà". Giuro, mi ha aiutato tantissime volte. Molte più di quante lo abbia fatto il denaro. Alla Santanché, come dicevo, sento di contrapporre questa settimana Fiammetta Borsellino, ospite di Fabio Fazio a "Che tempo che fa". Per lei libertà significa arrivare a una verità che faccia luce sull'uccisione del padre. Non si è lasciata mettere in catene dai depistaggi, iniziati sin da subito, orditi dai vertici investigativi e accettati da schiere di giudici. Non si è sentita meno libera solo perché ha avuto contro i potenti, quelli che comandano perché hanno i soldi. Per lei libertà è poter dire in prima serata davanti a tutta Italia: "Non mi fido di chi si espone alla liturgia che offre la religione dell'antimafia per ricevere devozione". Una presa di distanza forte dai falsari dell'antimafia che speculano sulla vita di chi soffre promettendo verità manipolate e libertà bugiarde. Per Fiammetta Borsellino libertà è recarsi nelle carceri a incontrare i figli dei boss per aprire loro un'altra strada: "Mio padre ci ha insegnato che si può morire con dignità quando si vive con dignità. E si può morire con dignità anche quando, dopo aver fatto cose gravissime, si arriva a riconoscere i propri sbagli, a prendere le distanze e a cercare di riparare". Libertà è un altro finale possibile. Ed ecco risbucare Paul Éluard: "E in virtù d’una parola, ricomincio la mia vita. Sono nato per conoscerti, per chiamarti Libertà". Per fortuna anche Fiammetta Borsellino incontra spesso i ragazzi delle scuole. Spero riesca a passare da quegli studenti che hanno dovuto assistere, sottostando loro malgrado alla dura legge dell'audience, a una lezione sbagliata. Chissà che un giorno, rincontrando la senatrice Santanchè, riescano a dare atto alla raccomandazione di Gianni Rodari: "Bambini, imparate a fare cose difficili: liberare gli schiavi che si credono liberi".

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L’affannosa corsa alle elezioni regionali del prossimo autunno sta producendo, come di consueto, diverse tipologie di candidato. Nonostante le motivazioni, le necessità e le giustificazioni che muovono questi aspiranti leader della Regione siano differenti, tali personaggi restano accomunati da una cosa: la mancanza di preparazione nell’affrontare la politica vera, che li fa correre con determinazione verso il baratro esattamente come lo sfortunato Wile E. Coyote dei cartoni animati…

Wile il candidato “

Non si possono che guardare con la stessa simpatia con cui da piccoli guardavamo lo sfortunato Wile E. Coyote i tanti personaggi che ti chiamano o ti fermano per strada con una importante comunicazione: “Il presidente (o il coordinatore, o il deputato, o il senatore, quasi sempre ignaro) mi vuole candidare alla Regione. Ci sto pensando”. In realtà si sono fatti la domanda da soli, accettando con un ingenuo entusiasmo da bimbo dell'asilo.

Chiunque sia cresciuto in una casa con un televisore o abbia avuto dei figli affezionati ai cartoni animati vintage non può che ricordare con simpatia la figura di Wile E. Coyote, al perenne inseguimento della sua preda, il pennuto non volatile Beep Beep, sorretto da una tenacia indifferente a qualunque frustrazione: un atteggiamento rappresentato con efficacia impareggiabile dalla ricorrente scena dell'inseguimento che continua nel vuoto, quando la pista finisce al margine di un baratro, finché il coyote si rende conto che le sue zampe si aggrappano al nulla e, infine, comincia a cadere. Non si possono che guardare con la stessa simpatia i tanti che ti chiamano o ti fermano per strada con una importante comunicazione: “Il presidente (o il coordinatore, o il deputato, o il senatore, quasi sempre ignaro) mi vuole candidare alla Regione. Ci sto pensando”. In realtà si sono fatti la domanda da soli, accettando con un ingenuo entusiasmo da bimbo dell'asilo. Molti tra costoro si ripropongono a ogni occasione utile; altri si sentono chiamati per la prima volta, ma in cuor loro non agognano ad altro dai tempi del liceo. Si convocano riunioni riservate, si spacciano tessere di partito, ci si vanta del proprio pedigree politico, si pubblicano foto sui social media (a volte francamente imbarazzanti): si corre insomma… Verso cosa? Facile: verso lo schianto. Quasi tutti si autoriconducono a Forza Italia, un partito che dopo le elezioni europee rischia di smobilitare. Inutile dire che secondo costoro Forza Italia, che in Calabria ha “perso meglio” alle ultime politiche, esprimerà il candidato presidente del centrodestra, tre liste, l'80% degli eletti e quindi comincerà da qui la propria irresistibile riscossa nazionale. Ci sono poi gli autocandidati della Lega: in media gente che farebbe prima a girare direttamente armata di panarello con gli spicci dentro. Se si continua così, quella dell'attuale trasformazione del quadro politico nazionale sarà l'ennesima occasione persa per la Calabria per dare una svolta secca nella selezione della propria classe politica. Idem per i sedicenti candidati 5Stelle. I candidati in pectore di Fratelli d'Italia, sono una minoranza agguerrita. Sperano che in Calabria si farà un risultato diverso da quello nazionale (4 o 5%), grazie a uno schema degno degli alchimisti della Prima Repubblica: la convergenza tramite il movimento di Fitto con alcuni consiglieri uscenti del centro-sinistra. Ma a comportarsi come Forza Italia si fa la fine di Forza Italia: non sarebbe meglio ricordarsi di essere di destra? Poi c'è la specie protetta degli investiti direttamente dal presidente per fare parte del listino (che in Calabria non esiste): sono amici d'infanzia di Occhiuto (che ritengono già eletto), non ci pensavano proprio alla politica, ma Mario è andato a trovarli fino a casa per chiedergli di aderire al suo progetto… Infine i candidati totalmente autoprodotti: non hanno partito, non vantano amicizie, ma si sentono all'altezza. L'autostima è tutto. Purtroppo, l'ala sinistra in questo momento non ci fornisce altrettanti spunti umoristici: anche i pochi che probabilmente si candideranno sono sovrastati da affanni e paure. E, benché il devastante “effetto Oliverio” prodotto dal paradossale sovrapporsi di un profondo immobilismo con poche discutibilissime scelte ancora non si è dispiegato del tutto, si rimane al coperto. Per ora tutta questa gente sta correndo nel vuoto con la stessa determinazione di Wile E.. Quando le liste saranno depositate e molti di loro non compariranno o quando ci saranno le elezioni e saranno votati da pochi amici del bar, capiranno e inizierà la caduta: per fortuna da queste cadute ci si rialza, ammaccati come il coyote dei cartoni, ma ci si rialza cercando di capire, si spera, con quanta serietà meriterebbe di essere fatta la politica. Gog&Magog


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attualità www.larivieraonline.com

REGGIO CALABRIA

Fulvia Caligiuri vince il ricorso: Matteo Salvini perde il seggio calabrese La Calabria non ha eletto come senatore Matteo Salvini ma Fulvia Caligiuri. La giunta delle elezioni di palazzo Madama ha accolto il ricorso della candidata azzurra, presentato nell’aprile scorso dopo aver scoperto che c’erano stati madornali errori di trascrizione di dati: i voti di Forza Italia erano stati incolonnati su altri partiti; attribuendo nel modo corretto quei circa 3000 voti a chi spettavano, Forza Italia ha guadagnato un seggio e la Lega l’ha perso. Matteo Salvini rimarrà comunque senatore ma del Lazio: qui, infatti, ha ottenuto la percentuale di voti più bassa rispetto agli altri seggi scelti ovvero, oltre la Calabria, Lombardia, Liguria e Sicilia (la nuova legge elettorale consente a un pluricandidato nel proporzionale di scegliere un massimo di 5 collegi: viene eletto nel collegio in cui la sua lista ha preso meno voti). Nel frattempo, però, nelle liste della Lega nel Lazio è stata eletta Cinzia Bonfrisco che, qualora il Senato votasse a favore di Fulvia Caligiuri, dovrà lasciare lo scranno.

Drago e il sidernese Galluzzo scelti per far risorgere la Reggina Massimo Drago è il nuovo allenatore della Reggina. Nella serata di lunedì, infatti, l’ex allenatore del Crotone, ha siglato un accordo valido fino al giugno del 2020 e avrà adesso il non facile compito di riportare in alto gli amaranto. Fortunatamente, iper portare a termine questa impresa sarà affiancato dal preparatore atletico Andrea Nocera e dal talento del sidernese Giuseppe Galluzzo, vecchia conoscenza del CT scelto come allenatore in seconda e non nuovo alla panchina reggina: vi torna, infatti, dopo aver allenato le giovanili nel 1998. Massimo Drago e Peppe Galluzzo si sono conosciuti negli anni in cui il primo allenava il Crotone e scelse proprio il tecnico sidernese come allenatore in seconda; insieme hanno poi operato a Cesena, in serie B.

REGGIO CALABRIA

Il figlio di Boris Giuliano assumerà il ruolo di questore Alessandro Giuliano, figlio del noto Boris Giuliano, il capo della mobile palermitana ucciso nel 1979 dalla mafia, assumerà il ruolo di questore di Reggio Calabria. Alessandro Giuliano prenderà il posto di Raffaele Grassi che, al termine del proprio mandato, dovrebbe essere invece destinato a ruolo di Direttore delle Specialità.

ARDORE

Jerry Calà e il suo inaspettato legame con la Locride Durante un’ospitata a “Che Tempo che fa” il comico avrebbe dichiarato di aver recuperato gli anni scolastici a Locri.

Jerry Calà, ospite a “Che fuori tempo che fa” assieme a Umberto Smaila, guida il ritorno del gruppo cabarettistico e musicale italiano “I Gatti di Vicolo Miracoli” e rivela il suo legame con la Locride. Eh già, durante l’ospitata alla celebre trasmissione di Rai 1 condotta da Fabio Fazio, l’attore comico originario di Catania avrebbe infatti rivelato di aver recuperato gli anni scolastici a Locri, dove lo avrebbero aiutato a superare le difficoltà incontrate nel conseguire il diploma che avrebbe poi ottenuto presso l’Istituto superiore Aleardo Aleardi di Verona.

Prende forma il palazzetto dello sport di via Sasso Marconi Eugenio Minniti riconfermato alla guida del “Osservatorio doppio binario” Eugenio Minniti è stato confermato responsabile dell’ “Osservatorio doppio binario e giusto processo”, incarico che l’avvocato del foro di Locri aveva ottenuto nel luglio del 2017 su determinazione della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Risale a qualche giorno fa, infatti, il comunicato con il quale il presidente Gian Domenico Caiazza ha rinnovato il mandato del penalista ardorese, che sarà affiancato nel proprio compito di supervisore del buon andamento dei processi afferenti la criminalità organizzata su tutto il territorio nazionale dalla collega Maria Teresa Zampogna.

Stanno procedendo a ritmo serrato i lavori di realizzazione del Palazzetto dello Sport di via Sasso Marconi, a Siderno. La travagliata storia dell’opera pubblica è stata purtroppo caratterizzata, come spesso accade alle nostre latitudini, da corsi e ricorsi che hanno permesso la consegna dell’appalto alla SUAP solo in tempi relativamente recenti e grazie all’impegno adottato dall’Amministrazione Fuda, a cui lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dello scorso agosto non permetterà purtroppo di seguire da vicino la realizzazione dell’opera


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politica

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Il risveglio (tardivo) della politica regionale sul tema del federalismo delle regioni del nord fa risuonare anche nei palazzi del potere l’allarme relativo alla possibilità che questo provvedimento privi di molti diritti fondamentali i meridionali. A cercare di fermare un disegno frutto del più inquietante incubo bossiano il Presidente del Consiglio Regionale Nicola Irto, paladino dei diritti del sud che scaglia una diffida contro il Governo.

Nicola Irto

Il sognatore che affrontò l’ultimo incubo di Umberto Bossi

I rappresentanti della nostra regione sono stati i primi a portare all’interno delle mura istituzionali la discussione sulle potenzialità eversive della legge sul federalismo e delle prospettive di sviluppo del meridione. Un confronto rilanciato dall’Osservatorio del Sud e dal Consiglio Regionale della Campania.

Il rigurgito indipendentista delle regioni del nord Italia comincia a fare paura anche alla sonnecchiante politica meridionale. Il rischio sempre più concreto che il governo gialloverde dia finalmente il via libera al federalismo di Lombardia, Veneto ed EmiliaRomagna, costringendo le altre regioni del Paese a dover rincorrere, è stato infatti all’ordine del giorno del Consiglio Regionale della Calabria tenutosi mercoledì 30 gennaio. Passato agli onori della cronaca più per la presenza del presidente Mario Oliverio al netto dell’obbligo di dimora a San Giovanni in Fiore ancora in vigore in seguito all’inchiesta “Lande Desolate”, l’assise regionale si è riunito al solo scopo di discutere le contromisure da adottare per cercare di non farsi trovare impreparati o, meglio ancora, provare a fermare un provvedimento legislativo che cambierebbe radicalmente gli assetti socioeconomici nazionali. Una volontà che consegna ai rappresentanti della nostra regione il primato di aver portato per primi l’argomento all’interno delle mura istituzionali e che ha permesso all’Osservatorio del Sud, un associazione di cittadini, insegnanti, intellettuali e sindacalisti, di stimolare la riflessione, accolta giovedì anche dal consiglio regionale della Campania, sulle potenzialità eversive della legge e sulle prospettive di sviluppo del meridione. Nonostante l’esecutivo scelto dagli italiani con le Elezioni Politiche dello scorso 4 marzo continui a enunciare proclami relativi al recupero e alla crescita, infatti, non ci stancheremo mai di affermare, sulla scia di quan-

to è stato dichiarato a più riprese negli scorsi mesi dal presidente dell’Associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno Adriano Giannola, che l’approvazione del provvedimento made in Lega Nord scaverebbe un solco profondissimo tra l’Italia settentrionale e quella meridionale, realizzando di fatto il sogno secessionista sempre accarezzato da Umberto Bossi e Gianfranco Miglio. Nell’Italia in cui la disparità dei servizi tra nord e sud è da sempre uno dei fattori più discriminanti nella misurazione della qualità della vita, l’affidamento della gestione degli stessi alle claudicanti economie regionali comporterebbe una battuta d’arresto gravissima per quelle regioni che oggi hanno ancora molto da fare per garantire i servizi essenziali, decretando una volta per tutte una vera e propria separazione sociale tra i cittadini di una stessa Nazione. Con l’intento di far evaporare questo scenario apocalittico, il Consiglio Regionale Calabrese ha relazionato a lungo sulle difficoltà che la nostra regione sarebbe costretta ad affrontare e, attraverso il ponderato intervento del Presidente del Consiglio Regionale Nicola Irto, ha (ri)lanciato l’idea di un regionalismo solidale. Questa struttura federale dello Stato, basata sull’autonomia regionale e su una ripartizione delle risorse ispirata alla solidarietà reciproca sognata da Nicola Irto, venne infatti per la prima volta formulata dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi proprio in risposta al leader del Carroccio nel remoto 2002. «Ovunque io vada trovo una forte coscienza

dell’unità della nazione, fondata su una comunione di valori, principi e ambizioni» disse in quell’occasione Ciampi. Parole che oggi, soprattutto effettuando un rapido “scroll” delle nostre bacheche Facebook, sembrano più che mai distanti non solo dal sentimento della politica nazionale ma anche, com’è giusto che sia, essendone questa sua diretta emanazione, da quello di un popolo accecato dall’odio e della frustrazione, seriamente convinto che, per cambiare il volto di questo Paese basti lasciar annegare i migranti e fottersi 780 € al mese. «L’Italia è una e indivisibile» - ha invece affermato quel sognatore di Nicola Irto, quel “buonista” candidamente indignato dinanzi alla possibilità che l’autonomia regionale possa ledere i diritti di cittadini che probabilmente diritti non ne meritano più. La convinzione della giustezza della propria causa, anzi lo ha convinto a spronare il resto del consiglio regionale a diffidare il governo dal procedere oltre in questo progetto della cui gravità, ancora una volta, ci renderemo conto solo quando non sapremo più come spostarci, curarci, istruirci e reclamare un qualunque nostro diritto. Per ora, ci limitiamo ad accettare supinamente la superbia settentrionale che ci indica come palla al piede del Paese e a postare compulsivamente faccine che vomitano sotto la cronaca del pomeriggio di Palazzo Campanella. Ma che altro avremmo dovuto aspettarci da un gruppo di urlanti analfabeti funzionali? Jacopo Giuca


Questa settimana ci siamo permessi di contestare la classifica stilata da “Italia Oggi 7” perché dal nostro punto di vista non tiene in debita considerazione degli elementi che per i meridionali, ma non solo, sono più importanti di altri.

Qualità della vita: non so voi ma io in Calabria mi scialo

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ROSARIO VLADIMIR CONDARCURI

Quando ad agosto rientro a casa dal mare e mi faccio la doccia in giardino, ad aspettarmi c’è la pianta di fico da cui prendo un frutto, lo sbuccio e per me quel momento non ha eguali. Del mio fico sotto la doccia a Milano non c’è nemmeno la cartolina.

ntendo chiarire da subito che questo articolo è un mio contributo alla lotta per una vera questione meridionale, che ha come primo obiettivo quello di recuperare quella reputazione che la nostra popolazione perde giorno dopo giorno, senza poter fare niente, perché come diceva Nicola Zitara la storia la scrivono i vincitori, è non siamo noi. Dedico a Nicola Zitara questa mia riflessione perché, come mi ha insegnato, ho letto con spirito critico una notizia che è girata, come ogni anno, nel periodo di dicembre. Mi riferisco alla classifica sulla qualità della vita redatta dal giornale “Italia Oggi 7”; sono 40 pagine, per lo più fatte di schemi e numeri che cercano di convincerci che la qualità migliore della vita è al nord mentre le città del sud vengono posizionate in fondo alla classifica. Ebbene io voglio contestare questa classifica perché dal mio punto di vista non tiene in debita considerazione degli elementi che per i meridionali, ma non solo, sono più importanti di altri. Prima di procedere con l’esame dei dati, che non mi convincono, invito da subito gli amici del sud a girare a tutti i professori che possono dare un contributo perché oltre le mie opinioni, si possa contestare questa classifica anche con dati scientifici, che io non ho le competenze per proporre. Io vivo al sud, vivo in Calabria, vivo a Siderno, ho fatto questa scelta dopo l’università perché ho preferito la qualità della vita a possibilità di carriera e di successo economico. Ho fatto questa scelta per alcuni elementi che fuori di qui è difficile trovare. A chi ha stilato la classifica vorrei dire che per misurare la qualità della vita bisogna tenere in conto diverse variabili, alcune affatto trascurabili. Per esempio, quando ad agosto rientro a casa dal mare e mi faccio la doccia in giardino, ad aspettarmi c’è la pianta di fico da cui prendo un frutto, lo sbuccio e per me quel momento non ha eguali. Del mio fico sotto la doccia a Milano non c’è nemmeno la cartolina. La mia vita è stata condizionata da una strada, la mia passione è il lungomare. Tornato per le vacanze, quando ero all’università nella piatta Bologna, una mattina al posto del corso decisi di percorrere il lungomare. Era una mattina di sole, di quel sole che non sono riuscito a vedere e sentire in nessun posto del mondo. Per chi non è locrideo forse non è facile da capire, ma uscire la mattina e vedere il mare e il meraviglioso paesaggio equivale a una cura medica. E, come dice mio

cugino Cosimo, a Torino di tutto questo non sentunu mancu aduri. Adesso passiamo allo studio dell’architettura utilizzata dal settimanale che è caratterizzata da nove dimensioni d’analisi (affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita). Questo il titolo del giornale: “La provincia autonoma in testa alla classifica di ItaliaOggi. Tonfo di Roma, all’85° posto. Bolzano reginetta d’Italia”, naturalmente ultima in classifica la provincia di Vibo Valentia e poco prima le altre calabresi, con Napoli terzultima. Ma come si permettono, ma come sono fatte queste classifiche? Sono convinto che questa deve diventare una delle battaglie più importanti che dobbiamo portare avanti, perché è su queste grandi bugie che si costruisce il declino e il depauperamento del sud Italia rispetto al Nord. Non condivido i criteri utilizzati, ci penalizzano perché elevano i dati di luoghi senza anima e cuore, per questo voglio proporre e analizzare criteri che secondo me hanno senso. Il primo elemento può e deve essere il clima, su questo non esiste partita anche a livello europeo. Il clima nella Locride è tra i migliori nel mondo, basta solo ricordare lo studio che fu fatto alcuni anni fa dall’università di Vienna (Mario Diano conserva tutte le carte) che indicava come la Locride è uno dei quattro posti al mondo dove chi era affetto da malattie legate ai reumatismi riduceva del 60% l’uso di medicinali. Non bastasse portiamo come prova inconfutabile il bergamotto, che cresce solo in questo territorio per le particolari condizioni climatiche che ci sono. Uno a zero e palla al centro. Secondo elemento da considerare non può non essere l’alimentazione. E qui siamo già sul due a zero. Lavoro da un po’ nel settore dell’agroalimentare e posso affermare senza timore di smentita che nella nostra zona esistono tra i più buoni prodotti alimentari del mondo che per crescere necessitano, ancora una volta, di particolari condizioni climatiche. Parlo degli agrumi che hanno ancora un sapore, cosa che gli italiani hanno dimenticato da tempo, come il biondo di Caulonia, ma anche di frutti unici, come tutti i frutti da albero che ogni settimana Orlando Sculli ci descrive con tanto amore. Ma potrei continuare con le specialità come gli “zinurri” (i nostri carciofini selvatici), i funghi porcini, gli ovuli d’Aspromonte, i pomodorini, i lamponi e i piccoli frutti. Continuando si raggiunge l’eccellenza con le nostre varietà di olive e di oli, i più saporiti del sud, per poi passare

all’uva che vanta due DOC come la Bivongi e il greco di Bianco. Per non parlare degli allevamenti di capre e pecore – con il loro latte si ricavano dei formaggi sapientemente lavorati – e della bontà della nostra carne che raggiunge il massimo con il culto del maiale. Che meraviglia! Ma la lista continua con il caciocavallo di Ciminà, la ricotta di Mammola, il caprino d’Aspromonte, il prosciutto crudo di Canolo, le salsicce di maiale nero di San Luca, le lumache ad Africo, il pane di Platì. Anche l’acqua qui ha un sapore! Dunque, il gol è certo: due a zero. Poi il tempo, questo bene impalpabile: qui si vive tranquilli, qui si campa d’aria, cantava Otello Profazio. Sicuramente quando si parla di vita a misura d’uomo si parla del nostro modo di vivere, che forse noi non capiamo ma che per me è sicuramente un elemento imprescindibile. Calma e Candalia, Iamu cianu. In questa bella canzone del bravo Fabio Macagnino c’è l’essenza della bellezza del tempo che si vive nei nostri territori. Prima di concludere vorrei ricordare che il dibattito sulla qualità della vita è antico. Già Aristotele, per esempio, lo ha trattato nell'Etica Nicomachea usando il concetto di eudaimonia, che in greco significa "buon spirito" o felicità. Prima di lui, Platone aveva dedicato vari anni della sua vita a organizzare praticamente il governo e la città perfetta. Quindi come possono vedere i nostri cari amici di Italia Oggi 7, qui è nata anche la qualità della vita. Non si dispiacciano, ma la partita è persa. Adesso sì che mi sento meglio, ogni anno ci riempiono di insulti con questa classifica e nessuno dei grandi giornali meridionali che abbia mai pensato di entrare nel merito. Ma come si nota da una semplice lettura, gli elementi per noi importanti sono assenti, forse perché non li vedono, non li conoscono, non sanno che ci sono posti come il nostro in cui il sole ti bacia la mattina e il mare ti accarezza la sera, e non d’estate ma tutto l’anno. Partita vinta, quindi, ma non riesco a non ricordare a tutti che nei nostri paesini anche la longevità è di casa; a questo proposito mi viene in mente il mio amico Franco Carnovale che pubblicizza i centenari di Bivongi. No, non rinuncerei mai alla mia terra per una città triste e nebbiosa. Ieri è tornata mia nipote Cecilia che studia a Milano e quando torna ci vogliono due giorni per riprendere colore. Ma come si fa a pensare che si viva meglio con i soldi e senza sole?


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attualità

Domenica scorsa a Marina di Gioiosa, due comuni cittadini, Natale Bianchi e Giuseppe Belcastro, riproponendo in salsa nostrana uno di quegli happening ai quali assistono affascinati e straniti i turisti agli speakers'corners nei pressi di Hyde Park, hanno provato a sensibilizzare la cittadinanza sul problema dei cumuli di rifiuti che, copiosi, hanno fatto la loro comparsa su tutto il territorio comunale all'indomani dell'avvio del servizio di raccolta differenziata.

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Spettatori circa tre, molto severi

Nessuno si è fermato ad ascoltare quello che avevano da dire quei due illusi. Piuttosto che dire: questi hanno a cuore anche la mia condizione, la manifestazione più alta di interesse è stato il sorriso distratto, magari canzonatorio, di quelli che frettolosamente passavano ai margini della piazza per andare a comprare i dolci per il pranzo della domenica.

Chiunque come me (ma io mi sono portato avanti con il lavoro) abbia scollinato i sessanta e non abbia vissuto la sua giovinezza in un educandato, leggendo il titolo, non potrà non andare col pensiero alla canzone “Ti ho conosciuta in un Clubs” dei mitici Squallor e domandarsi subito dopo cosa c'entrino. C'entrano perchè mattina di domenica scorsa 3 febbraio a Marina di Gioiosa, due comuni cittadini, Natale Bianchi e Giuseppe Belcastro (pensionato il primo, docente universitario il secondo) poco prima della fine della Messa che viene officiata per i bambini, hanno messo sul sagrato, una sull'altra, due pedane di legno, hanno issato un drappo con il simbolo del Movimento 5 Stelle e si sono messi in paziente attesa che la funzione terminasse. Era loro intenzione, riproponendo in salsa nostrana uno di quegli happening ai quali assistono affascinati e straniti i turisti agli speakers'corners nei pressi di Hyde Park, di sensibilizzare la cittadinanza sul problema dei cumuli di rifiuti che, copiosi, hanno fatto la loro comparsa su tutto il territorio comunale all'indomani dell'avvio del servizio di raccolta differenziata. In proposito e voglio che si sappia, degli effluvi e del panorama di uno di questi beneficio in prima persona, avendolo giusto davanti al portone di casa, e senza che per questo privilegio mi venga aumentata la tassa relativa. Speravano in cuor loro, i due, trattandosi di un problema che riguarda tutti in generale, di catturare l'attenzione delle madri che avevano accompagnato i figli in Chiesa, dei bambini stessi e, hai visto mai!, di qualcuno che si trovasse a passare per quel posto nevralgico. Risultato? Spettatori circa tre molto severi. Appunto! Sgombro il campo da qualsiasi retropensiero e dico subito che non ce l'ho con i Commissari prefettizi. Nonostante l'approssimazione e la fretta con le quali hanno varato il servizio della differenziata che, a mio modestissimo parere, sono i motivi principali di questa emergenza, non ce l'ho con loro. Non ce l'ho con loro nemmeno per il fatto che gran parte degli abitanti di Marina di Gioiosa abbiamo appreso del provvedimento per puro caso, che abbiamo scoperto solo notando la confusione davanti alla Biblioteca Comunale che lì venivano consegnati i mastelli e che abbiamo saputo che l'ora X era

scoccata solo nel momento in cui siamo rimasti come cretini, con le buste della monnezza in mano, davanti ai luoghi dove i cassonetti che la sera prima c'erano alla mattina non c'erano più. Roba da fare arrossire di vergogna Giucas Casella e David Copperfield in un colpo solo. Per una volta, dunque, non mi iscrivo alla gara di tiro sulla Croce Rossa. Ce l'ho, invece, con l'accidia, l'ignavia, la negligenza, l'indolenza, il disinteresse, la refrattarietà, la chiusura, l'insensibilità, il menefreghismo, la dura cervice - e giuro che saprei riempire l'intera pagina con sinonimi che indichino questa manifestazione di assenza civile - di un paese che, ancora una volta, ha dimostrato di non sapere fare causa comune, di non sapere e/o di non volere stringersi a coorte ma che, soprattutto, è cieco, sordo e muto. Al punto da non comprendere che solo dalla partecipazione, dalla condivisione e dall'impegno solidale deriva la forza di ogni consesso organizzato e ci si può attendere la soluzione dei problemi comuni. Tutti e ciascuno sembriamo avere un solo imperativo categorico, quello compreso nell'acronimo N.I.M.B.Y.! (not in my back yard, non nel mio giardino), e nessuno sembriamo serbare memoria del passo contenuto nel discorso di insediamento alla Casa Bianca di Kennedy nel gennaio del 1961: "Miei concittadini Americani, non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese... e chiedete che cosa insieme possiamo fare per la libertà". Il periodo che precedette e accompagnò la campagna elettorale del manipolo di visionari che fu poi l'Amministrazione Vestito, segnò, invece, il momento in cui sembrò che le cose stessero prendendo una piega diversa. La gente - dico “gente” e non “persone”, perché quella volta davvero demmo l'impressione di essere un corpo unito, una gens, di avere un comune sentire, un afflato condiviso - sembrò accorgersi, grazie a quell'esperimento di democrazia dal basso, divenuto oggetto di studio, di discussione e di imitazione nei paesi viciniori, che si poteva essere protagonisti del proprio futuro. Che se uno vale pur sempre uno, quell'uno è, tuttavia, molto più di nessuno e che, come recita il proverbio africano, tanti uno assieme rallentano, è vero!, la corsa ma garantiscono il

raggiungimento di obbiettivi più grandi. E quella “gente” affollò, più di quanto non si fosse mai visto nei cinque lustri precedenti, i luoghi e le occasioni nei quali ci si riuniva per discutere e decidere, dando vita a veri e propri brainstorming dei quali nella vita politica del paese non v'era traccia Malauguratamente, quel momento, come le rose della lirica di Francois de Malherbe, “ ...était du monde où les plus belles choses ont le pire destin et... vivent l'espace d'un matin”. Il paese oggi sembra vivere in un limbo in cui tutto è attutito e schermato, in cui tutti camminiamo piano per non fare rumore. Non proiettiamo ombra, non lasciamo impronta. Nonostante tutti sapessimo che niente è più lontano dalla verità dell'asserito e non dimostrato condizionamento mafioso dell'Amministrazione Vestito, per il nome immacolato di ogni singolo componente e per le storie personali di ognuno di essi, il giorno successivo allo scioglimento, nessuno ne parlava più e nessuno, né dopo né mai, ha pensato di esprimere pubblicamente a quelle donne e a quegli uomini solidarietà e vicinanza. Alcuni, al contrario, che sperarono, invano!, in incarichi e favori, non mancarono di uccidere il vitello grasso per festeggiare l'evento. Se questo è il brodo nel quale il paese si crogiola, nessuna sorpresa, dunque, che domenica nessuno si sia fermato ad ascoltare quello che avevano da dire quei due illusi; che tutto sia iniziato e finito in un baleno; che, piuttosto che dire: questi hanno a cuore anche la mia condizione, la manifestazione più alta di interesse sia stato il sorriso distratto, magari canzonatorio, di quelli che frettolosamente passavano ai margini della piazza per andare a comprare i dolci per il pranzo della domenica. Su un fatto, perciò, mi sento di azzardare una previsione e di giocarmi i cosiddetti: a Marina di Gioiosa Jonica di gilet jaunes che non siano quelli dei tecnici dei telefoni, della luce, dei portalettere, non ne vedremo mai. Infine, ho esordito con i versi di una canzone e voglio concludere indirizzando al mio paese l'avvertimento con il quale Celentano in “Tre passi avanti” si rivolge alla generazione dei giovani beat degli ultimi anni '60: o cambi testa o presto finirai. Pensaci, Giacomino, pensaci! Sergio M. Salomone

Da anni Marina di Gioiosa subisce solo abusi Cara direttrice, sono Giuseppe Romeo, sono un vostro lettore. Vivo a Marina di Gioiosa Ionica. Gestisco da anni un ristorante con la mia famiglia. Negli anni mi sono sempre prestato nel sociale e nella politica locale. Faccio parte del partito di Forza Italia, insieme a un ampio gruppo di ragazzi. A prescindere però dall'ideologia politica, oggi dopo aver letto un articolo sulla rivista "Il Dubbio" che riguarda lo scioglimento su Marina di Gioiosa, mi sento in dovere di mandare un mio pensiero, anzi direi sfogo. Non c’è mafia... ma mi viene da pensare che ci sia una specie di dittatura. Credo che chiunque avesse vinto le elezioni fosse destinato a essere sciolto. Perché da anni questo comune subisce solo abusi? Chi vuole male a questo paese? Dov’è la democrazia? Perché il consenso del libero cittadino onesto dev’essere interrotto? In questo comune vivono persone oneste, che lavorano e che contribuiscono per

la crescita di questo paese. Ognuno è libero di fare ciò che gli pare, nella massima legalità, senza pressioni da nessuno, senza minacce. Qui non esistono tangenti, intimidazioni o altro. Vedo, invece, famiglie in difficoltà, attività in affanno, strutture inadeguate, strade disastrate, emergenza rifiuti, tasse alle stelle, quando invece lo stato dovrebbe darci una mano. Non capisco perché dobbiamo essere taggati come mafiosi. La mafia esiste dappertutto, non solo a Marina di Gioiosa. Tutti insieme dobbiamo combatterla, ma non si sconfigge distruggendo un’intera comunità. Abbiamo visto dopo anni di detenzione, di sofferenza e di umiliazione, ex amministratori assolti. Chi gli restituirà gli anni persi e la loro dignità? Chi pagherà tutto quello che gli è accaduto? Non mettiamo tutta l’erba in un fascio. Prima di giudicare, di attaccare e di valutare, cerchiamo di essere sicuri al 100%. Viva Marina di Gioiosa! #unitipercambiare

Matera 2019: Crotone realizza un gemellaggio con la città lucana La scorsa settimana, con l’articolo “La logica del ‘futti futti’ ci lascia di nuovo nel medioevo”, sottolineavamo che l’indifferenza della classe politica regionale nei confronti di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 rischia di rivelarsi l’ennesima occasione di sviluppo mancata dalla nostra regione. Per completezza di informazione, riportavamo anche le riflessioni in merito di Antonio Crinò, che riteneva invece più corretto intraprendere una strada di sviluppo totalmente identitaria considerate le caratteristiche uniche della città lucana. Ebbene questa settimana ha

rivelato di pensarla come la nostra redazione la classe politica alla guida della città di Crotone, che ha siglato le carte utili a effettuare un gemellaggio con Matera in occasione dell’evento internazionale di quest’anno. I sindaci delle due città hanno sottolineato che questo gemellaggio si rivelerà un’opportunità di sviluppo per i giovani di entrambi i territori, accomunati dall’appartenenza alla Magna Grecia e dalla vicinanza culturale che li caratterizza. Non ci resta che attendere per scoprire se questa scommessa sarà vincente o meno.


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A titolo di semplice conversazione fra amici

Carissimi Ilario e Rosario, ho letto sull’ultima Riviera la replica del Sig. Sergi sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”. Premesso che anche io mi arruolo fra i consapevoli che “qualcosa si doveva pur fare”, egli illustra - con una “leggera” dose di propaganda - gli straordinari principi, effetti e benefici del cd. RdC. Inanellando però un discreto numero d’imprecisioni e/o presunzioni di fede. La versione italiana del cd. “reddito di cittadinanza” (che ha una sua specifica definizione e delimitazione disciplinare condivisa ovunque) è ormai evidente ed accertato sia in realtà una misura di “sostegno sociale ai meno abbienti” (ovviamente, non meno importante). In sostanza, è un “reddito d’inclusione”, più elaborato (e molto più complicato) ed esteso ad una platea più ampia di soggetti potenzialmente beneficiari. Il ciclo del vertiginoso aumento della “povertà”, è in corso da diversi decenni. E dipende anche da fattori molto diversi, complicati e, ahinoi, strutturali. Semplificando, taluni fanno riferimento alla globalizzazione ed alla circostanza che sono venute meno le “possibilità” di una parte del mondo – quello occidentale e dell’emisfero nord del pianeta – di continuare a sostenere il proprio benessere (ed anche il welfare sociale), drenando risorse (naturali, energetiche, ecc.) all’emisfero sud del mondo, continuando a depredarlo biecamente. Il quale, peraltro, prima si accontentava di un pugno di riso ed una baracca e ora vuole auto, tv e telefonino (altrimenti si riversa da questa parte….). Talaltri, fanno riferimento alla straordinaria evoluzione ed influenza della “tecnologia”. Cha ha caratteristiche mai viste prima: l’accessibilità diffusa, il costo ridotto e l’ipervelocità di avanzamento e innovazione rispetto ai tempi di evoluzione della società, di elaborazione della politica, di adattamento delle persone. Uno squilibrio non indolore e che produce effetti molto seri e preoccupanti. Che richiederebbe “coscienza” e “capacità” ed invece si sparge solo “paura” e ostracismo inconcludente. La retorica sui “preparati e capaci”, “l’elite”, o peggio, i “radical chic” (come con disprezzo vengono tacciati quelli che hanno studiato, lavorato o combinato qualcosa nella vita, facendo anche errori sì, essendo umani…) sta diventando il paravento per far credere al “popolo” che “chiunque” può fare la “qualunque”. Purchè abbia alle spalle il consenso del “popolo” (da qui l’accusa di “populismo”) ed un’infarinatura degli argomenti (magari appresi da una superficiale smanettata su internet!). E’ un clamoroso inganno, ovviamente. A danno proprio di quegli ultimi che la pletora di ripetitori di slogans a pappagallo dice di avere a cuore. La differenza fra l’errore del “competente” (fattore normalmente connesso al produrre teorie e soluzioni, assumendo il rischio “ponderato” del fallimento….) serve sempre. Perché consente ad altri “competenti” di leggere i dati, capire dove si è commesso l’errore, modificare la teoria, portare avanti la ricerca, sperimentare le modifiche e produrre soluzioni, innovazione ed avanzamento. Accettando anche l’estremo che il problema non trovi immediata soluzione e/o efficace ed appropriata risposta. L’errore dell’”incompetente”, invece, è frutto di un terno al lotto: può andar bene o male, senza capire perché e come mai e, quindi, condannandosi alla buona sorte. Albert Einstein mi pare sostenesse di essere uno degli scienziati più falliti, perché tantissime sue teorie si erano dimostrate assolutamente sbagliate. Da qui la sua nota espressione: il successo è solo l’esito di una lunga sequenza di errori! Ora, noi tutti speriamo che il governo abbia una gran “botta di culo” ma, se ha sbagliato i calcoli (e fin’ora non ne ha preso uno, vista la retromarcia sul deficit dal 2,4 al 2%, sull’abolizione della povertà, sul boom economico alle porte, ecc.), checchè ne pensi Travaglio sull’aleatorietà delle previsioni, saranno caxxi amari. Sorvolo sul tema furbi meridionali geneticamente predisposti. Come anche sulla

effettiva capacità del Governo di incidere su sprechi e risparmi: questione mi pare scomparsa dai radar (a parte la solita solfa riduzione stipendi parlamentari…. e dei soldi della TAV che sono però da restituire alla UE). Ma, sarà forse per il limite di “competenza” che il RdC ricorra allo spauracchio della “pena” contro i temuti furbi? E la prospettiva del carcere sarà un vero deterrente? E tutto ciò che precede e consegue (qualcuno dovrà accertare, altri pronunciarsi con un giudizio, fino alla Cassazione….), sarà un costo maggiore o minore della somma indebitamente percepita? Tornando ai “poveri”, condizionare la con-

cessione del beneficio del RdC alla dimostrazione, da parte dei medesimi, di voler accettare di “entrare in un percorso di formazione e indirizzo verso l’occupazione, oltre a e iniziare a prestare opera nel proprio Comune” è abbastanza razzista: infatti, che ne facciamo di quelli che (per vari motivi, perfino esistenziali…..) non ci riescono? Li emarginiamo? Li esponiamo al pubblico disprezzo? Abbandonati al loro destino e niente RdC. Per prestare attività lavorativa a servizio della P.A., si richiede il rispetto di una serie di regole prima ancora che di norma, di pura civiltà (es. la sicurezza sui luoghi di lavoro, ecc.). Chi fornirà ai nostri disastrati

Comuni le risorse economiche per le obbligatorie e necessarie dotazioni di sicurezza per gli operatori? E le assicurazioni contro infortuni, ecc.? Dovranno pagarsele i beneficiari del RdC o saranno a carico della comunità? E i Comuni potranno mettere tasse per coprire queste spese a carico del bilancio? E i cittadini ne saranno contenti e confermeranno il voto? Surreale è poi il riferimento agli incentivi ed al contributo del RdC per attenuare il “disagio dei territori comunali più poveri, degradati e condannati alla desertificazione ambientale e demografica”. Che esiste proprio in quanto nei nostri territori non c’è una diffusione di aziende di dimensioni

Reddito di vicinanza

Pensavamo di non rivedere scene già viste. Ricordate la legge 285? Ci era stata presentata come la panacea di tutti i mali della disoccupazione giovanile e recitava 1) incentivare l’impiego straordinario di giovani in attività agricole, artigiane, commerciali, industriali e di servizio, svolte da imprese individuali o associate, cooperative e loro consorzi ed enti pubblici economici; 2) finanziare programmi regionali di lavoro produttivo per opere e servizi socialmente utili con particolare riferimento al settore agricolo e programmi di servizi e opere predisposti dalle amministrazioni centrali; 3) incoraggiare l’accesso dei giovani alla coltivazione della terra; 4) realizzare piani di formazione professionale finalizzati alle prospettive generali di sviluppo, per il 1977 e per i successivi tre anni è stanziata la complessiva somma di lire 1.060 miliardi. Forse qualcuno non ricorderà ma questa legge ha permesso di infornare migliaia di giovani nella pubblica amministrazione creando enormi problemi dal punto di vista gestionale ma anche per i diritti di chi non era riuscito a infilarsi. Per anni la pubblica amministrazione è rimasta ingabbiata a smaltire personale che spesso non aveva le competenze e qualche volta neanche la voglia per svolgere determinati compiti. Molti sono quelli che hanno raggiunto livelli dirigenziali surclassando chi aveva fatto gavetta e concorsi. Trovateci un solo lavoratore che è diventato agricoltore, artigiano, commerciante per via della citata legge 285. Non vogliamo riaprire piaghe ormai quasi rimarginate. Ma non è inutile ricordare che proprio in quegli anni abbiamo l’assunzione di circa 750 lavoratori presso la Liquichimica di Saline che ebbero la sfortuna di stare circa 30 anni in cassa integrazione. Altro che reddito di cittadinanza, piuttosto di periferia! Ma ecco arrivare un altro provvedimento: secondo il

decreto legislativo 468/1997 i progetti di lavori di pubblica utilità debbono rientrare nei settori della cura della persona, dell'ambiente, del territorio e della natura, dello sviluppo rurale, montano e dell'acquacoltura; nei settori del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali. Fin qui l’enunciato; poi sappiamo in cosa si è trasformato: un calvario per gli addetti e per gli enti che ancora non si è concluso. Nessuno li vorrebbe stabilizzare perché non in grado di farsene carico ma tutti li vogliono perché sono rimasti solo loro a offrire servizi alla cittadinanza. Cittadinanza: la magica parola per connotare un aiutino ai consumi nella speranza che quello affermato da alcuni economisti funzioni, cioè aiuti la ripresa. Sicuramente aiuterà a innestare la prima marcia ma se non si passa a quelle successive il motore rischia di fondere. Vediamo cosa vuol dire cittadinanza. Condizione di appartenenza di un individuo a uno Stato, con i diritti e i doveri che tale relazione comporta (enciclopedia Treccani). Il concetto non è assolutamente legato ad altro se non alla nascita, condizione istituita dal diritto romano. Oggi facciamo un passo indietro di diversi secoli e leghiamo il concetto al reddito come nella polis greca, dove si era cittadini in quanto nati da genitori entrambi liberi e cittadini, e si esercitavano i diritti civili, di norma, appena raggiunti i 20 anni, ma a determinate condizioni (proprietà fondiaria, raggiungimento di un determinato censo minimo). Ecco che siamo cittadini solo se abbiamo i mezzi per consumare e si raccomanda di spendere tutto altrimenti si perde il reddito e di conseguenza la cittadinanza. Meditate gente, meditate! Ricordatevi di stare accanto a chi vi ha dato la cittadinanza, pardon il reddito… di vicinanza. Arturo Rocca

capaci di dare lavoro, senza uscire dal mercato. Quindi, chi dovrebbe accedere agli incentivi assumendo la marea di potenziali beneficiari del RdC? Nel merito, eviterei davvero di offendere la verità, esaltando il Decreto Dignità: un disastro annunciato che sta producendo disoccupati a migliaia, perchè le aziende non rinnovano più i contratti scaduti o in scadenza. Fantastico è poi sostenere che il RdC influisca sul ripopolamento dei nostri piccoli paesi. Con i suoi obblighi di accettare le offerte di qualsiasi posto di lavoro e facendo aumentare i km di distanza della provenienza dell’offerta medesima ad ogni rifiuto. Cosa si crede avverrà in un territorio in cui manca totalmente l’offerta? Se non si potrà rifiutare l’offerta proveniente da altre zone se si vuole avere il RdC si creerà un cortocircuito? E in quali zone sono le offerte di lavoro? Ovviamente al nord. Quindi armi e bagagli e partire. Se la remunerazione offerta è insufficiente per sostenere la propria famiglia (affitto, trasporti, servizi, ecc. più costosi), il nostro “povero” sceglierà stretto fra due opzioni (accettare o rifiutare) stritolanti. Ci sono esempi di “investimento sulla condizione di povertà”: il più noto è forse quello inventato dal premio Nobel per la pace 2006 , il bengalese Muhammad Yunus (per inciso, un professore universitario di economia). Ideatore e realizzatore del microcredito moderno, ovvero di un sistema di piccoli prestiti per avviare piccole attività imprenditoriali destinati alle donne delle famiglie ma, troppo povere per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Nulla a che vedere con l’impostazione del RdC grillino! La “povertà” è uno stato drammatico ed insopportabile della condizione dell’essere umano, è indubitabile che la collettività debba farsene carico. Ma, il contributo richiesto deve essere proporzionato al reddito dei singoli: chi ha di più deve dare di più. E la misura deve essere sostenibile per il bilancio dello Stato: se fallisce i primi a rimanere schiacciati saranno proprio i deboli e poveri. Se lo Stato sta in piedi, qualcuno potrà farsi carico in tutto o in parte di loro. Se lo Stato implode, quella platea potrà solo aumentare trascinando nella povertà anche le fasce immediatamente sopra la soglia. Il RdC dei Cinquestelle (in origine 30 mld poi ridotti a 7 di cui 2 già nel Reddito d’inclusione) è una misura totalmente a debito. Tant’è che il Governo ha dovuto ridurre notevolmente la fascia dei possibili beneficiari e l’entità del sostegno. Accettando per i prossimi tre anni clausole di copertura automatiche di RdC e quota 100 pensioni. Ovvero, aumento IVA per ben 56 mld€. Che è il prelievo più iniquo che esiste, perché agisce sul costo dei beni (anche quelli di prima necessità) e pesa molto differentemente sulle fasce sociali: l’IVA sborsata per acquistare un pacco di pasta è uguale per il povero come per il ricco ma, quest’ultimo ha molte più risorse per sopportare l’obolo! Concludo evidenziando che il principio devastante del RdC, nella versione divenuta legge, lo ha ben individuato Carlo Calenda. Per la prima volta nella nostra storia è passato il principio che la fascia di chi lavora con stipendio mensile di 1.200€ (un infermiere di corsia, un operaio, un giovane appena assunto, ecc.) dovrà pagare parte dello stipendio di chi con il RdC ne prenderà 1.300€. Il messaggio incontestabile di fondo è il seguente: chi ha già un lavoro, giammai se a tempo indeterminato ed indipendentemente se sia scarsamente remunerato, (di fatto) è un “PRIVILEGIATO” rispetto a chi non ha un reddito. Quindi, può essere colpito. E’ questo che è oggettivamente non condivisibile e perfino insopportabile. E i ricchi? Beh, loro sono stati totalmente dimenticati dal Governo del cambiamento! Ciao. Maurizio Diano


Il ricordo

NON SOLO NEGOZIANTE … Ciccio Diano trasformò un banale commercio di scarpe in un'arte di relazione

Una combinazione di tradizione e di modernità, una mescolanza di industriosità e di prudenza, una fusione di abilità e di scaltrezza, avverate in un uomo che rappresentava il paradigma del negoziante di successo. L'evoluzione calabrese in genere si misura sulla intraprendenza di caratteri all'apparenza semplici, come quello del commerciante Ciccio Diano, congedatosi per sempre dal suo esercizio un mese fa, sulla soglia dei novant'anni, in una naturale uscita di scena. Ne scriviamo non soltanto per vecchia amicizia, poiché la sua figura rappresentava un modello esemplare di self-made man che ha lasciato una impronta nella nostra città. Era nato a Siderno il 18 settembre del 1929, giorno antecedente la luna piena. La sua famiglia numerosa era originaria di contrada Arona. Un giorno ci raccontò alcuni episodi gustosi dei suoi anni adolescenziali, trascorsi aiutando il padre nella bottega di vino e girandolando con i suoi compagni di birichinate alla scoperta del paese e sulla spiaggia fra i pescatori. Si era divertito a far arrabbiare il possidente Giovanni Albanese appoggiandosi con le scarpe agli sbalzi del lindo muro di cinta della sua villa tardoliberty: il proprietario, geloso della sua magione, agitava il bastone da passeggio per scacciare il piccolo profanatore in "sosta abusiva". Nel 1951, quando aveva superato da poco i vent'anni, Ciccio Diano prese in fitto un magazzino del Palazzo Caridi sul Corso Vittorio Emanuele II, poi Corso della Repubblica, per commerciare in calzature, cogliendo al volo il suggerimento di uno zio paterno. Diano ricordava sorridendo l'anziana proprietaria dell'immobile che ogni mese batteva tre colpi sul pavimento dell'appartamento sovrastante, per rammentargli il giorno di scadenza del pagamento della locazione. Non si era più mosso da quel posto, lasciando intatta l'antica porta di legno dell'ingresso e tenendo pressoché modesti gli arredi: un locale senza sfarzo per non mettere in soggezione i clienti. In un angolo un angusto tavolino, per scrittoio e per cassa. (Per la quan-

tità di merce trattata, molti anni più tardi il negozio si è dotato nelle vicinanze di due depositi accessori.) Era molto oculato nei suoi affari, sicché non temette gli assalti della concorrenza né le fasi di recessione. Patì una grande afflizione per la morte del figlio Filippo, al quale aveva trasmesso la sapienza del mestiere e alla cui memoria dedicò una manifestazione podistica molto partecipata dai ragazzini.

Benché avesse passato ormai le consegne alla estrosa e dinamica figlia Teresa, continuava a recarsi ogni giorno in negozio, spesso con l'adorata moglie Raffaella Staibano, per accogliere acquirenti e visitatori. Aveva un modo sublime di trasformare una banale vendita di un paio di scarpe in un'arte di relazione. Possedeva altresì una inclinazione naturale ad interessarsi delle situazioni di amici e conoscenti, addirittura fino a commuoversi

per le loro sfortune o a gioire per i loro successi. Quanta formalità e quanta sincerità ci fosse nel suo porgere, non si sa: in entrambi i casi era molto apprezzato il suo interessamento. Autodidatta, si esprimeva con giudizi equilibrati e con ironia (la stessa attitudine ha il figlio Antonio, apprezzato veterinario), alternando serie riflessioni a canzonature, sicché parlare con lui di personaggi, situazioni, usi e costumi locali, era uno spasso. Una volta, conversando, cedette alla debolezza di vantarsi per la sua carta di credito con plafond illimitato. Un altro raro esempio della sua vanità di longevo: il numero 1 inglobato nella D della rinnovata insegna del negozio, per rivendicare la primazia rispetto ai concorrenti. Era diventato ricco con il suo tocco geniale di proposta che fidelizzava la clientela media, anche forestiera. Viveva agiato ma senza eccessi. Forte della sua solida reputazione, trattò senza intermediari con alcuni rinomati calzaturifici che lo annoveravano appunto tra i migliori venditori. Utilizzò il suo nome e cognome in ogni forma di pubblicità, nella promozione dei marchi, nella sponsorizzazione di eventi sportivi e sociali, diffondendo fuori del paese la sua straordinaria réclame. Memorabile la sua presentazione in uno spazio pubblicitario televisivo di una calzatura per i "piedi a pagnottella". La sua tecnica di offerta non aveva avuto bisogno di studi per risultare efficace, perché le sue intuizioni avevano precorso le strategie della moderna marchetistica e della comunicazione d'impresa. Per il resto, rimangono proverbiali le sue passioni per la barca da pesca e per il calcio (nelle stagioni gloriose dell'Inter finanziò e diresse uno dei più dinamici club di tifosi), e l'impegno generoso verso le iniziative solidali. Fino a pochi anni fa Ciccio Diano coltivava ancora l'abitudine salutista per le svelte passeggiate all'alba sul lungomare, rimirando il pèlago. Adesso anche il suono della risacca spande mestizia per la sua assenza. F.D.C.


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rubriche

Come siamo caduti in… alto! Ripensando a certe vicende della odierna politica mi viene in mente un poemetto di Eduardo De Filippo dal titolo “De Pretore Vincenzo” da cui è stato tratto un film diretto da Domenico Paolella del 1952, “Un ladro in paradiso”. Ma anche un esilarante pezzo da teatro scritto e interpretato da Dario Fo dal titolo “Non tutti i ladri vengono per nuocere”. Però in nessuno dei due casi riesco a trovare l’ingranaggio giusto per adattarlo alla bisogna, a parte i titoli. Veniamo a noi. Per la prima volta nella storia della repubblica un ladro, con sentenza di condanna alla restituzione rateale, molto dilazionata e senza interessi, di 48,9 milioni di euro, viene elevato al 50% di vice Palazzo Chigi ad al 100% del Viminale. O tempora, o mores! per dirla con Cicerone. Fra 81 anni la Lega postSalvini avrà estinto il suo debito ma questo non la esimerà da essere definita con l’appellativo di ladro. Certo dal punto di vista giudiziario la questione risulta definita, i rimborsi elettorali percepiti illecitamente sono finiti nel cilindro da prestigiatore che li ha collocati in posizione protetta. Il prestigiatore adesso è anche vicepresidente del consiglio e ministro dell’Interno. Ma questo nulla toglie ai fatti anche se la gente nell’acclamare il potente sottace i gesti dell’impotente. Il colpo di mastro è stato anche il ritiro della costituzione di parte civile per i Bossi tanto da farci rivedere il Trota sorridente da deficit alle telecamere dopo la sentenza di assoluzione, seppur condannato a due anni e sei mesi per la rimborsopoli lombarda. Anche in questo caso i fatti restano: traffici di denari, gioielli, e finte lauree. Ma Matteo è un furbacchione, come tutti i bulli di periferia, ha imparato a vivere on the road. Governa il consenso e gioca al gatto e al topo col suo sprovveduto alleato, che poi tanto sprovveduto non è se ha già messo da parte il vitalizio di cittadinanza. Sapete noi meridionali siamo un popolo curioso, ci agitavamo quando i leghisti ci insultavano con volantini del tenore: Oh Gesù dagli occhi buoni/ fa morire tutti i terroni,/oh Gesù dagli occhi belli/ fa morire solo quelli./ Oh mio caro e buon Gesù,/ fa che non ne nascan più,/ fa sparire questa razza/ che quassù da noi si piazza,/ poni fine per favore/ a quel tuo unico errore./ Dillo pure a Giove Pluvio/ di far venire un altro diluvio/ che sommerga con ragione/ tutto quanto il Meridione. (Diffuso nel 1989 in varie località del nord Italia e pubblicato su Venerdì di Repubblica del 20 ottobre 1989, inviato da Torino da tale Anna Mauto che alla fine ha aggiunto: “Ripristinare la pena di morte per i terroni, questo ci vuole”). Oggi, invece, a chi ha lucrato su questi nobili sentimenti lo sommergiamo di voti e lo scortiamo nelle sue deliranti dichiarazioni. Gli facciamo aprire la prima accademia di formazione politica in Calabria prestando la faccia di Furgiuele che lascia le pavimentazioni stradali per assumere il motto “Penso, conosco, creo”. Ma, come direbbe un mio amico, per diventare leghisti non bisogna andare a scuola ma si nasce “imparati”. Qui Eduardo, il grande Eduardo, avrebbe trovato materia per una nuova piece da teatro: Matt_o da Lega_re! Arturo Rocca

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CALABRESE PER CASO

Ambiente. Non solo trekking

Erano anni nei quali non ci sentiva connessi nel mondo. Non cercavamo scorciatoie per comunicare sentimenti o emozioni che nascevano da un profumo, da un’idea, dal condividere quel poco che ogni giorno ci veniva offerto. Erano anni, non molto distanti ma resi lontani dalla rapidità del mutamento tecnologico, nei quali avevi il tempo di riflettere e osservare, soffermarti su un particolare, un dettaglio che sembrava grande. Uno scorcio di un paese arroccato sulle colline quanto un’onda che si infrange su uno scoglio, o una spiaggia che tocca il cielo, laddove il mare che la lambisce si tingeva dello stesso azzurro che sovrastava le nostre teste. Non vi era fretta, non si viveva di gesti rapidi, ma di lenti movimenti dei sensi. Una lentezza che ti permetteva di comprendere la dignità di una persona anziana adagiata sull’uscio di casa nelle rughe della sua storia o di sentire quei profumi dei boschi e delle campagne che abbiamo poi abbandonato, sporcato, rese terre di nessuno se non vilmente oltraggiato. Ebbene, le iniziative di volontariato che avvicinano ad una sensibilità naturalistica i nostri giovani sono non solo preziose nello spirito etico che le muove. Sono la giusta e dovuta sensibilità verso una terra che chiede di essere capita e protetta. Vissuta e non vietata, ma rispettata. Pulire i boschi, come le spiagge significa restituire prima a se stessi quella dignità di persone e quell’attenzione di coloro che vivono il territorio per quello che esso è. Ovvero, non solo uno spazio umanizzato, ma un insieme entropico di biodiversità che coesistono da secoli e sopravvivono nonostante i rifiuti della presunta modernità. Dotarsi di una coscienza ambientalista e naturalista significa guardare con orrore allo scempio di una scogliera o all’abbandono di boschi e sentieri nei quali l’anima del calabrese, prim’ancora che del turista, dovrebbe perdersi. Pulire i boschi non è solo un’occasione di trekking. E’ coscienza di un patrimonio che non si misura necessariamente con il

metro della politica pubblica, ma con la maturità di chi sa che ciò che lo circonda rappresenta il proprio respiro, la propria storia, l’essere parte di quella natura che in fondo non può essere abbandonata al burocratese di istituzioni che di Verde hanno solo il nome. Pulire i boschi significa, parafrasando Antonio Delfino che descriveva i sentieri dell’Aspromonte, pulire i percorsi dell’anima. In questo credo che il senso civico sia oggi forse più forte; reso tale da una volontà di sostituirsi a coloro che istituzionalmente avrebbero dovuto tutelare e proteggere i boschi come le spiagge. E, questo, dal momento che la natura non comprende nessun linguaggio vincolato ad un politichese sterile e improduttivo nel quale ci si trincera comodamente, non avendo risposte o volontà di prendere un attrezzo e cominciare a pulire o riordinare. Una domenica di trekking per pulire i boschi non è un giorno qualsiasi. Essa può rappresentare l’inizio di una rivoluzione delle coscienze verso ciò che ci appartiene ma di cui ce ne siamo dimenticati, e per troppo tempo, credendo che la difesa della natura fosse delegabile. Jack Kerouac, immortale autore di On the Road, vangelo letterario della beat generation, scriveva nella sua visione globalizzata della gioventù […] Pensa che grande rivoluzione planetaria ci sarebbe se milioni di ragazzi di tutte le parti del mondo con i loro zaini sulle spalle cominciassero ad andare in giro per la natura…[…]. Ebbene in questa domenica rivoluzionaria, ciò che ci si auspica è che il percorso intrapreso trovi degli emuli man mano facendo si che questa si trasformi in un’iniziativa capofila per altre simili. Iniziative nelle quali ognuno, da domani, comprenderà che dalla aiuola vicino casa al bosco, alla spiaggia, alla scogliera l’ordine e il bello di ciò che ci circonda non sarà altro che lo specchio dell’ordine e del bello che dovrebbe essere in ognuno di noi. Giuseppe Romeo

40 anni di veleni chimici a Siderno bastano? Il prossimo anno saranno 40 anni di presenza di fabbriche chimiche a Siderno, a partire dalla ex-BP, chiusa da molti anni, per finire alla SIKA ancora attiva. La BP ha lasciato un ricordo indelebile nella storia, “la fabbrica della puzza” e, ancor peggio, dei rifiuti abbandonati, pericolosi, in bidoni aperti e con materiali cancerogeni o teratogeni, ecotossici, se non esplosivi. Si è in attesa di comprendere l’origine delle sostanze pericolose, anche queste cancerogene trovate sia nei piezometri della SIKA, come risultato dei controlli obbligatori effettuati dalla stessa azienda e confermati dall’Arpacal, sia in pozzi privati, costretti alla chiusura, causa gravi rischi per la salute dei proprietari. Aspettiamo tutti, da più di due anni, dal novembre 2016, che si arrivi a una conclusione e si intervenga in mondo approfondito per disinquinare le acque ed eliminare la sorgente inquinante. Sul problema SIKA ne parleremo appena avremo i risultati del campionamento effettuato in questi mesi, da agosto a novembre 2018, con i lavori di caratterizzazione della zona inquinata nell’area di Pantanizzi, vinti da una ditta di Lecce a febbraio, ma iniziati ad aprile, sospesi per non ottemperanza alle prescrizioni tecniche e poi ripresi ad agosto 2018. Non mi soffermo più di tanto, ma i dati delle analisi, arrivati in Comune il 24 gennaio, ancora non sono stati portati a nostra conoscenza, siamo in attesa che in Comune vengano analizzati dall’Ufficio Tecnico, e poi ci vengano consegnati, come ci ha riferito, in questi giorni, la Commissaria Governativa, dottoressa Matilde Mulè, sempre disponibile a incontrarsi con noi. Mi accorgo che i tempi in Calabria sono sempre infiniti, sono un elastico che non si rompe mai, si allunga lentissimamente, non si spezza e passano gli anni e ti trovi sempre in attesa che le situazioni si risolvano da sole. Abbiamo case sempre in costruzione, per figli che non le abiteranno mai, autostrade e strade da completare, ospedali costruiti e mai utilizzati (Gerace), ascensori per anni in attesa di essere riparati (Locri), ferrovie appena da terzo mondo, e io mi preoccupo per 10 -15 giorni di ritardo nella consegna di analisi di un campionamento di pozzi e terreni inquinati da sostanze cancerogene? Ma che fretta c’è? Sono 16 anni che si è in attesa di completare lo smaltimento dei bidoni e cisterne che emettono vapori maleodoranti, se non tossici, della BP. Ho fretta, ho maledettamente fretta perché sono passati 3 anni da quando con Pino Ieraci e Celestino Napoli siamo andati in Comune a parlare della SIKA con Anna Romeo, allora Assessore all’Ambiente del Comune, e poi con Piero Fuda, il Sindaco, e mi si sono spalancati davanti anni di abbandono, incuria, per non dire menefreghismo degli enti, dal Comune alla Regione, di fronte a un incubo incombente e documenti che parlavano chiaro: la BP è da bonificare dal 2003, primo e parziale smaltimento dei rifiuti e bidoni aperti o corrosi, ivi rimasti dopo la chiusura nel 1994. A settembre 2016, appena acquisita la documentazione della Regione del 2003, noi del Comitato, abbiamo consegnato al Sindaco una relazione, con tutte le sostanze chimiche presenti nella BP, con i rischi che si correvano a lasciare quel luogo incustodito, alle intemperie del tempo

e agli svolazzi di puzze e veleni, alla mercé del vento e del caldo. Il Sindaco Fuda, subito si è attivato, inoltrando la documentaziome a Catanzaro. La popolazione è subito informata ed è preoccupata. Incontri in Regione, visite alla BP, altre indagini di Vigili, Arpacal, ASP e altri: sembra che il tempo debba aspettare i comodi nostri, lasciando che la “brezza” che fuoriesce dai fusti rotti e corrosi incida sulla vita e sulla salute dei residenti. Ecco perché ho fretta, il tempo delle nostre vite non è infinito e non lo fermiamo noi con i nostri dibattiti, le nostre chiacchiere sul più e sul meno, il nostro tranquillo trantran, la nostra nonchalance, la nostra pigrizia e il nostro prendere la vita con indolenza, trascurando i problemi urgenti e indifferibili, tanto ci pensa il Dio onnipotente. Siamo o non siamo i filosofi della Magna Grecia? La Regione chiede di preparare la documentazione per la bonifica; a inizio 2018 si invia una prima richiesta di circa 1 milione e 500 mila €. Troppo per la Regione. Viene chiesto di ridurlo drasticamente, si porta a 500 mila €, eliminando la risistemazione dell’area. Ma il dipartimento Ambiente della Regione dopo un tira e molla durato mesi, concede solo 300 mila €, in quanto aveva a disposizione 600 mila € per tutte le situazioni a rischio che potevano crearsi. Potrebbe essere un primo passo, poi prospettano a voce che con il prossimo anno, 2019, potrebbero arrivare gli altri 200 mila € mancanti. Bisogna tenere conto che al Governo precedente era stata inviata tutta la documentazione perché si attivasse, nemmeno all’interrogazione del 2016 dell’on. Nicola Fratoianni, ex SEL, hanno risposto. Alla grande manifestazione cittadina dell’8 luglio 2017, proposta dal Sindaco Fuda, e organizzata da 70 gruppi e associazioni, erano presenti due parlamentari del M5S, gli onorevoli Federica Dieni e Paolo Parentela, intervenuti con un breve saluto. Mai più saputo niente. In questi giorni, sotto la spinta dei Commissari Governativi, dovrebbe essere inviato dall’Ufficio Tecnico alla SUA il bando, ma tarato sui soldi attualmente disponibili, 300 mila. Basteranno? Non si sa, perché se non si inizia a lavorare, non si ha la certezza di quanti bidoni

siano pieni, quanti a metà e quanti svuotati dallo “spirito” che li pervade, contento di svolazzare tra le case di Pantanizzi e Siderno; non si sa neppure se nel terreno ci siano perdite o altro. Un primo passo aspettando che la Regione invii, prima possibile, quanto promesso, per avere la certezza che si possa chiudere questo problema e poi riprendere, con la stessa Regione, il capitolo SIKA, che attualmente è nella fase di indagine conoscitiva. Sono convinto che anche i Commissari Governativi non staranno a guardare e faranno i passi necessari presso gli organi competenti. Tre anni fa, come Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini Sidernesi, avevamo lanciato uno slogan “SidernoFreeChimica”, forse dopo tante assemblee e vittorie importanti, come l’inserimento di un Comma nello Statuto del Comune che vieta di aprire fabbriche altamente tossiche o pericolose per la vita e l’ambiente, un piccolo risultato l’abbiamo raggiunto. Una lunga lotta, iniziata nel 1979, anno di insediamento della BP, contrastata dai coraggiosi e indomiti cittadini del Comitato ecologico di Pantanizzi e zone limitrofe, con manifestazioni, occupazioni del Comune, di cui si è scritto sui giornali locali e nazionali, una lotta approdata in Parlamento con interrogazioni di onorevoli, sembrava dovesse finire nel dimenticatoio. Come allora e con gli stessi strumenti e iniziative, a piccoli passi, coinvolgendo i cittadini di tutto il paese e tutte le associazioni, anche questa volta stiamo liberando Siderno di una bomba ecologica. Sembrava quasi impossibile, eppure si sta concludendo questa storia, chissà se tra qualche mese si potrà scendere di nuovo in piazza per una festa liberatoria... Il lascito più importante è di non scoraggiarsi mai, di superare stanchezze e difficoltà, anche a Siderno è possibile lottare e vincere. Un ambiente sano significa salute, benessere e lavoro per tutti. Sì, 40 ANNI BASTANO! Francesco Martino Comitato a Difesa della Salute dei Cittadini Sidernesi


GIUDIZIARIA

L’ermeneutica delle conversazioni

FRUTTI DIMENTICATI

Malvasia nera di Brancaleone Esiste un progetto che prevede il salvataggio definitivo di almeno quaranta delle più interessanti tipologie di vite, in tre campi diversi, che dopo l’iter previsto di sei anni potrebbero essere inserite nel novero delle viti consentite d’Italia.

VITIS VINIFERA L. FAMIGLIA VITACEE La storia delle viti di Brancaleone, come del resto di tutte le altre enclaves viticole della provincia di Reggio e di quelle della Calabria intera, si sta esaurendo per inerzia, per il fatto che le vigne marginali, che erano state impiantate nel prima dopoguerra, per rinnovare quelle in via di esaurimento, nate a cavallo delle due guerre, hanno di fatto terminato la loro funzione importantissima di aree di conservazione del germoplasma viticolo, che affondava le radici nell’antichità ellenica, romana e bizantina, che avevano valorizzato le viti di tutta l’antichità in genere o utilizzate quelle del territorio, frutto della domesticazione delle viti silvestri, di cui tutta la Calabria era molto ricca. Ciò è dimostrato abbondantemente dall’analisi del DNA di circa duecento viti, su trecento venti della mia raccolta, portato avanti dal Centro Sperimentale di Turi in provincia di Bari, che indica senza ombra di dubbio, che da essa sono emerse circa settanta viti dal profilo molecolare unico al mondo, provenienti da un misterioso passato. Personalmente non so o non voglio per il momento sapere, quali siano le settanta uniche in quanto non vorrei essere tentato dalla voglia di rivelarlo, contro le indicazioni del dott. Angelo Caputo del CREA di Turi, che ha speso, solo per reagenti, trenta mila euro al servizio di una Calabria, che nemmeno l’aveva richiesto per ignavia. Esiste, infatti, un progetto che prevede il salvataggio definitivo, di almeno quaranta delle più interessanti, in tre campi diversi, che dopo l’iter previsto di sei anni, che prevede dopo tre anni dall’impianto, microvinificazioni di prova, potrebbero essere inserite nel novero delle viti consentite d’Italia, che in tutto possiede circa duecentottanta vitigni consentiti, iscritti all’OIV (Organizzazione Mondiale della Vite). La prova è ardua e molto impegnativa da parte del Centro di Turi e da parte anche delle imprese agricole calabresi, che si sono assunto l’onore di portare avanti il progetto. Di conseguenza non possiamo sapere se la vite oggi presentata, sia nel novero o meno delle viti uniche, ma di essa possiamo sapere che nel passato essa era sporadicamente diffusa in un’areale che andava dal territorio di Motta San Giovanni e precisamente nella contrada storica di Egua, dove in epoca romana esisteva qualche Villa specializzata nella produzione di vino fino nell’entroterra di Bianco, dove venti anni addietro era stata da me individuata nelle Badie di Caraffa del Bianco.

I BRIGANTI

Finìu Sanremu?

Essa era esistita nelle vigne di Ferruzzano dove assolveva la doppia funzione di vite da vino e da tavola, mentre non mancava nelle vigne che andavano da Brancaleone fino a Melito. Nelle varie località sopramenzionate della provincia aveva connotazioni diverse dal punto di vista della denominazione. Infatti nell’area di Egua e specificamente nella vigna dei fratelli Salvatore e Santo Calabrò di Fossato di Montebello Jonico, che fino agli inizi degli anni 2000 conducevano una vigna fiorente, dove prevalevano le viti del territorio, tale vitigno veniva chiamato Mennella nera che era contrapposto ad una varietà bianca dello stesso tipo denominata Mennella Bianca. Secondo Salvatore, che rappresentava l’anima della vigna, conoscitore dei segreti del territorio, che aveva la funzione d’incarnare la conoscenza assoluta del sapere vitivinicolo di tuta l’area, le Mennelle avevano la funzione, specie quella bianca, di amalgamare le uve diverse che venivano premute. Più a nord, nell’area di Bova le Mennelle cambiavano nome e venivano definite Varvasie, che dovrebbero significare Malvasie, anche se generalmente le Malvasie sia bianche che nere hanno gli acini a forma rotondeggiante; anche qui la funzione delle Varvasie, diverse da quelle classiche, avevano la funzione di amalgamare le uve diverse che venivano vinificate. Superato Brancaleone le Mennelle o Varvasie venivano indicate come Pizzute Bianche o Nere semplicemente e avevano anch’esse la funzione di “aggiustare” ossia di amalgamare le uve diverse che di solito venivano vinificate assieme. A Brancaleone ritornava ancora il concetto di Malvasia per le Mennelle, Pizzute o Pizzutelle. come venivano denominate altrove. Erano rappresentate le vere malvasie ed esisteva addirittura la presenza di una affine a quella di Candia , denominata semplicemente Tundulilla bianca, dagli acini fitti e perfettamente sferici. Probabilmente la Tundulilla nera di Brancaleone corrispondeva ad una Malvasia nera, mentre quella indicata come Malvasia non lo era. Comunque era apprezzata dai contadini più vecchi, che la collocavano con il dovuto rispetto nelle loro vigne, decantandone le funzioni. La forma dei grappoli era diversa da quelli di Egua, Bova, Caraffa e Ferruzzano, in quanto gli acini erano leggermente più spargoli, con una forma un po' sbilenca del graspo, mentre gli acini erano identici: allungati e che terminavano con una forma acuta, da cui derivava il termine Pizzuta. La polpa era soda e leggermente croccante, il colore di un bleu intenso.

È finito Sanremo? Quella cosa lì che non si mangia ma si canta. Quella cosa lì dove hanno avvistato Predator (solo per intenditori). Grazie a Sanremo ho scoperto un programma che si chiama “Take me out”, che fortunatamente davano in quelle sere: si tratta di un programma trash sul canale 31, in cui ci sono 30 maschietti che sbavano aspettando una fanciulla che fa la sua entrata in scena zompettando un po’ allegramente ma anche e spesso senza ritmo, tenendosi in piedi su tacchi vertiginosi, sfilando davanti a codesti esemplari di genere maschile con la lingua a penzoloni. Lei alla fine, ovviamente, dovrà scegliere qualcuno, non si è capito per cosa. Immaginiamo. Viene fuori la semplicità vera dell’essere maschile: quella in cui lui dice NO perché lei balla male, oppure perché è troppo alta, oppure semplicemente perché si chiama come la ex. E

In riferimento a quella che viene definita l’ermeneutica delle conversazioni, occorre osservare che le particolari precauzioni adoperate dai conversanti intercettati nel corso di alcune investigazioni antidroga che nei dialoghi telefonici hanno determinato l’uso di locuzioni verbali che possono apparire avulse dal contesto reale cui si riferisce il dialogo: in questi casi, l’utilizzo di perifrasi va ricondotto, in base al principio della comune esperienza e secondo criteri di stretta coerenza logica e cronologica, all’uso convenzionale di un linguaggio allusivo, il cui senso, nel contesto delle indagini, non appare altrimenti giustificabile se non in relazione alle illecite attività in atto. Infatti, secondo l’ipotesi investigativa, gli interlocutori hanno utilizzato un linguaggio volutamente criptico e cifrato (ciò nelle conversazioni in cui si aveva il contatto con i fornitori sudamericani e in quelle tra i sodali operanti in Italia), com’è agevole comprendere dall’assoluta illogicità del contenuto del dialogo, letta in una con l’utilizzo di termini estranei alle attività lecite svolte dagli interlocutori e/o all’oggetto del discorso. A ulteriore conferma della corretta interpretazione delle conversazioni intercettate dagli operanti, elemento di riscontro oggettivo esterno all’interpretazione del reale contenuto delle telefonate intercettate nel senso prospettato dagli inquirenti è costituito dai copiosi sequestri di sostanza stupefacente avvenuti proprio sulla base delle indicazioni captate (e, in taluni casi, dal conseguente arresto di alcuni dei protagonisti dell’attività contestata). Gli arresti e, soprattutto, i controlli e sequestri in questione venivano effettuati, infatti, sulla base di quanto ascoltato 'in diretta' con l'attività tecnica in atto, così fornendo un’ulteriore conferma del contenuto delle conversazioni intercettate. Tra i riscontri una serie di sequestri di carichi di droga come nella circostanza del sequestro di 44 kg di cocai-

na, occultati in un container – trasporto bagagli proveniente, via Antille olandesi, da Porlamar (Venezuela); al sequestro di circa 70 kg di cocaina, ripartita in 69 pani rinvenuti all’interno di tre valigie di grandi dimensioni, trasportate in un container, presso il porto di Valencia; di 183 Kg di cocaina alla dogana di Rotterdam che esaminava il tragitto di quattro containers che risultavano provenienti da Paramaribo (Suriname). Lo stupefacente veniva, pertanto, sequestrato e il Procuratore della Regina disponeva la consegna controllata dei containers al cui interno venivano posizionate delle campionature. Dalle attività investigative svolte in questa fase temporale sono emersi elementi che, letti alla luce di quanto oggettivamente documentato nei mesi a seguire, hanno reso possibile ricostruire l’importazione di un ingente quantitativo di cocaina, quantificato dagli stessi indagati in 100 kg., giunto al porto di Gioia Tauro, dalla Colombia, via Ecuador e Spagna, occultato all’interno di alcuni containers viaggianti a bordo di una partita dal porto di Guayaquil (Ecuador), aventi un carico di copertura di banane, destinato ad una società di Acireale (CT), che ha operato, per la transazione commerciale in questione, avvalendosi di una società di spedizioni. Quindi, proprio attraverso lo sviluppo di questi elementi, nonché dalla prosecuzione delle attività tecniche, si riusciva a documentare l’importazione in Italia, dalla Colombia, via Ecuador, di 23 kg di cocaina, giunti al porto di Gioia Tauro in due borse contenute all’interno del container (trasportante banane). Parte dello stupefacente (6,8 Kg) che era destinato a un gruppo acquirente sequestrato da personale dell’Arma Territoriale, dopo una prolungata attività di sorveglianza svolta dal II Reparto del R.O.S. centrale, presso un autosalone sito a Gioiosa Jonica.

lei incassa, ma alla fine decide. Quante risate mi faccio vedendo “Take me out”, altro che Sanremo! La cosa più divertente è la conduttrice, bravissima, che prende in giro i 30 pretendenti calcando sui punti deboli di ognuno. Diciamo che la cosa bella è che si vede quanto tutto sia spudoratamente preparato, eppure fa ridere lo stesso. Sempre meglio che stare a guardare pagliacciate già pronte ma riscaldate più volte. Ah, vabbè, un’altra cosa che mi ha tenuto impegnata in queste freddissime serate è stata la diatriba su cosa sia più buona, se la nutella o la nuovissima crema pan di stelle... ma tu sei calabrese e sai che sceglieresti nu bellu boccacciu i mulangiani sutt’ogghiu! Attu ca nutella! Brigantessa Serena Iannopollo


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Respi Lele, sog

Siderno si trasforma in un grande set cinematografico Il set erano le strade, il mercato, la biblioteca, la sbarra e il lungomare, luoghi che possono raccontare la storia di molti. Lì abbiamo vissuto il primo bacio, la prima salatina, i primi dispiaceri e le grandi delusioni Il cinema sta entrando nelle abitudini della Locride e, se siamo fortunati e ci crediamo, questo territorio può diventare una piccola Puglia, aumentando il prodotto interno lordo con le telecamere.

ROSARIO VLADIMIR CONDARCURI n questi giorni Siderno si è trasformata in un set cinematografico: si sono effettuate le riprese del film “Respira”, scritto e diretto da Lele Nucera. "Trasformata" non è un'esagerazione ma è la realtà. Tutti, infatti, si sono sentiti attori per qualche giorno; si vedevano in giro facce allegre, attrezzature varie, gente travestita da sindaci, da carabinieri, un pò tutti sono stati contagiati da questa atmosfera bohémienne. Il set erano le strade, il mercato, la biblioteca, la sbarra e il lungomare, luoghi che possono raccontare la storia di molti. Lì abbiamo vissuto il primo bacio, la prima salatina, i primi dispiaceri e le grandi delusioni. Questo film, che è stato realizzato a costo zero, chiude un cerchio di arte e cinematografia per la Locride; infatti, gli attori e le comparse che vi hanno lavorato venivano da film gestiti da produzioni internazionali girati negli ultimi due anni, nel nostro territorio: da "Anime Nere" con la regia di Roberto Munzi, a "Zero, zero zero" di Stefano Sollima, Pablo Trapero e Janus Metz, fino all'ultimo film di Calopresti "Via dall’aspromonte". Attori e comparse hanno voluto pre-

I

insieme a Hollyw

stare la loro professionalità in quello che possiamo definire un esperimento. Il cinema sta entrando nelle abitudini della Locride e, se siamo fortunati e ci crediamo, questo territorio può diventare una piccola Puglia, aumentando il prodotto interno lordo con le telecamere. Inoltre, tantissime aziende della Locride hanno voluto contribuire offrendo i loro servizi per la realizzazione del film. Quindi la direzione e le maestranze in questa operazione cinematografica erano tutte locali, ma con la partecipazione anche di professionalità del resto d’Italia. Riportiamo un saluto di uno di loro: “Questo è il lavoro più bello del mondo, ed è brutto solo quando finisce. Questa non è stata la solita bella avventura, perché voi siete speciali! Parlate due lingue che ho sempre voluto sentire insieme! Parlate il linguaggio del cinema ma con l’accento calabrese! Spero di essere stato utile o quantomeno di avervi strappato un sorriso! Un grazie anche ai fratelli romani, sempre speciali e fondamentali! Vi voglio bene e spero di rivedervi presto”. Parole che aiutano a comprendere la portata di ciò che si è vissuto in questi pochi giorni a Siderno. Infine, vorrei spendere due parole per questo strano uomo di cinema che è Lele Nucera. Pensando a lui mi rendo conto

di quanto sia bello vedere una pianta crescere e diventare un grande albero: allo stesso modo io ho visto crescere questo giovane regista, che ricordo ragazzino per le strade di Siderno fino a diventare l’uomo che è oggi. È cresciuto cercando la sua strada e la sua strada era il cinema; la sua strada si è presto trasformata in realtà, ma poi ha dovuto subire tutto quello che ti fa diventare uomo e che forse, se fosse nato ad altre latitudini, non avrebbe dovuto subire. È caduto e si è rialzato, si è arrabbiato, ha cercato di intuire quella passione che gli scorreva nelle vene. Non so perché ho avuto sempre una simpatia particolare per lui, motivo per cui è stato coinvolto in prima persona in molti nostri progetti, dalla Festa della Musica allo spettacolo di Nino Frassica, non senza il solito stupido che si chiedeva il perché. Ma gli stupidi servono anche per darti modo di spiegare che le persone senza raccomandazioni alle volte valgono molto più di altre, perché vengono scelta dal cuore, dall’intuizione (che nel caso di Lele è stata di Paola). Ringrazio comunque quello stupido perché forse senza le sue insinuazioni non avrei compreso il talento di Lele. Forza ragazzo, continua a sognare.


Siderno si è trasformata in questi giorni in un set cinematografico: sono state effettuate, infatti, le riprese del film “Respira”, scritto e diretto da Lele Nucera. Tutti si sono sentiti attori per qualche giorno; si vedevano in giro facce allegre, attrezzature varie, gente travestita da sindaci, da carabinieri, un pò tutti sono stati contagiati da questa atmosfera bohémienne.

ira gniamo

e di essere wood


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L’INTERVISTA

Vincenzo Lizzi: “Ecco perché guardo con ottimismo al futuro della YMCA” Esattamente un anno fa Vincenzo Lizzi ha preso le redini della YMCA di Siderno. Nella speranza di dare nuova linfa vitale all’associazione, ha avviato fin da subito un programma di rilancio delle sue attività. Ecco quale bilancio traccia del suo anno di presidenza…

Nata nel lontano 1948, la Young Men’s Christian Association di Siderno è divenuta, nel corso degli anni, una delle più importanti realtà dell’aggregazione e dell’associazionismo giovanile a livello locale e territoriale. Eletto presidente esattamente un anno fa, Vincenzo Lizzi ha voluto ideare fin da subito un percorso di ricostruzione e di crescita dell’associazione al fine di renderla nuovamente punto di riferimento della società locridea. Questa settimana lo abbiamo intervistato per scoprire a che punto è il suo lavoro. Com’è cambiata l’associazione in questo tuo anno di presidenza? Diciamo che un anno è un lasso di tempo troppo breve per poter tirare le somme, ma credo che qualche piccolo segnale di cambiamento si cominci a vedere. Mi riferisco alla promozione delle attività estive in occasione del 70º anniversario dell’associazione, ai lavori di abbattimento delle barriere architettoniche e all’ammodernamento delle strutture ricettive. Accanto a questi progetti, finanziati in parte dalla Fondazione Vodafone e da noi promossi assieme al Tennis Club di Siderno, non posso poi dimenticare l’avvio del servizio civile, che porterà all’interno dell’associazione nuove figure in grado di supportarci. Penso siano tutte attività degne di nota e condivise con l’intera comunità. In quali condizioni versa l’YMCA di Siderno e quali obiettivi vi siete prefissati per il 2019? L’associazione sta portando avanti un percorso di rinascita che, avviato dal precedente Consiglio Direttivo, mira alla rivalutazione e alla promozione di attività con lo scopo di attirare nuove risorse umane. L’ammodernamento delle strutture ricettive di cui parlavo sopra, inoltre, punta a rendere i nostri locali più facilmente accessibili e accoglienti. Quanto fatto

finora non può che renderci ottimisti riguardo al futuro, tanto più che proprio l’ottimismo, si sa, è lo spirito YMCA. Se quest’anno riusciremo a procedere con il nostro programma sulla base di quanto fatto nel 2018, credo che le prospettive resteranno rosee. La scorsa estate ci hai raccontato che l’Amministrazione di Siderno vi stava aiutando nei limiti delle proprie possibilità a realizzare i vostri progetti. Oggi, in che rapporti è l’associazione con i Commissari Prefettizi? Sinceramente questa associazione non ha mai avuto la necessità di relazionarsi in modo continuativo con il Comune al fine di promuovere le proprie attività; pertanto, il nostro rapporto rimane invariato nei confronti di tutti gli Enti Locali comprensoriali. Certo è che il commissariamento di una comunità come Siderno deve essere oggetto di riflessione per tutti i cittadini. L’YMCA è diventata un’istituzione non soltanto per Siderno ma per tutto il territorio. Quali elementi possono costituire ulteriori fattori di crescita e di affermazione? L’affermazione di un’associazione come la nostra è figlia del rispetto di principi come fratellanza, condivisione, spirito di sacrificio, solidarietà… L’osservazione di questi principi è già di per sé un fattore di crescita ma, nonostante ciò, il Consiglio Direttivo, in collaborazione con la segreteria, ha avviato una serie di processi programmatici volti al miglioramento delle nostre attività e a idearne di nuove. Siamo certi che questa sia la migliore strada da percorrere per restituire più rapidamente all’Associazione il suo ruolo centrale all’interno del comunità comprensoriale. Gaetano Marando

GAL “Terre Locridee”: Presentazione dei bandi per le aziende agricole del territorio È finalmente arrivato il momento della presentazione al territorio di un avviso per l’assegnazione delle risorse previste nel Piano di Azione Locale (PAL) “Gelsomini”: il GAL Terre Locridee manda in pubblicazione il bando a valere sulla misura 4.1 del PSR Calabria 2014-2020; le aziende agricole della Locride potranno presentare i propri progetti entro la data del 12 aprile 2019, seguendo le necessarie procedure. Per questa ragione, il Presidente del GAL Terre Locridee, Francesco Macrì ha convocato una conferenza stampa fissata, per lunedì 11 febbraio, alle ore 11:30, presso il Palazzo della Cultura di Locri. Il GAL raggiunge questo traguardo dopo mesi di lavoro e confronto con i tecnici della Regione Calabria, e sarà il primo GAL calabrese a vedere pubblicato formalmente un proprio bando. L’entusiasmo del Consiglio di Amministrazione è dovuto proprio al raggiungimento di questo importante risultato, considerando anche che il GAL Terre Locridee è anche fra i più giovani gruppi di azione locale della Calabria. L’incontro prosegue la serie di momenti di partecipazione e animazione che il Gal ha realizzato nel corso del precedente anno e inaugura una fase più operativa che prevede numerose iniziative per coinvolge-

re le aziende agricole del territorio e i tecnici nella presentazione dei progetti. Nell’occasione, il GAL Terre Locridee presenterà anche gli altri bandi, già in visione sul proprio sito web, che saranno pubblicati formalmente al più presto: misura 6.4.1, dedicato alle fattorie sociali e al tema della diversificazione; misura 4.2.1, relativo a investimenti nella trasformazione, commercializzazione e sviluppo dei prodotti agricoli dell’area; misura 16.2.1, che prevede il sostegno a progetti pilota per l’introduzione di sistemi innovativi nel settore. Il GAL Terre Locridee punta con forza al recupero delle produzioni locali di tradizione attraverso la riscoperta e la valorizzazione della qualità e della varietà dei prodotti agroalimentari, stimolando le aziende ad un approccio sociale e di filiera, che consenta di dare impulso ed efficacia a processi di trasformazione, commercializzazione e promozione integrata. Presenterà l’incontro il Presidente del GAL, Francesco Macrì e relazionerà il Responsabile del PAL Gelsomini, Guido Mignolli. Un passo ulteriore verso la realizzazione del piano di azione locale per la Locride.

Il mancato vescovo di Locri nominato arcivescovo di Manfredonia Sono terminate in Puglia le cerimonie che hanno consacrato la nomina del nuovo arcivescovo. È stata una lunga avventura quella che ha portato a governare la diocesi di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo il padre Franco Moscone, oggi generale dei padri Somaschi, che gestiscono a Genova Nervi il collegio Emiliani sul rettilineo dell’Aurelia che immette nella cittadina fiore delle bellezze rivierasche. I Padri somaschi hanno case in tutto il mondo tra cui una a Martina Franca, ridente cittadina nella quale ogni anno si svolge un famoso festival teatrale. E un con-

vento altrettanto noto a Roma sul colle dell’Aventino, dove si celebrano fastosi matrimoni nella basilica di Sant’Alessio. Nato ad Alba, conterraneo di Beppe Fenoglio, il padre Moscone ha trascorso molti anni nel convento di Nervi, come docente di filosofia e preside di questa benemerita istituzione che da sempre coniuga impegno educativo e saggezza culturale. Attivissimo nella vocazione missionaria della congregazione fondata dal santo Gerolamo Miani, cittadino veneziano nel 1600, salito agli onori dell’altare per avere sempre tutelato la gioventù abbandonata, il padre

Moscone ha sempre sfidato con buon senso e intelligente impegno i labirinti della pratica religiosa con determinazione e rigore esemplare. In Calabria vescovi delle diocesi locali e i fedeli dovrebbero interrogarsi su un fatto abbastanza clamoroso. Sulla stessa nostra rivista “Riviera” era comparsa la notizia circostanziata della sua avvenuta nomina a vescovo di Locri. Questo tre anni fa, quando dopo la normale istruttoria segreta, che compiva sondaggi tra i confratelli e le persone che con Moscone avevano avuto rapporti, era trapelata la notizia da fonti vaticane che Locri

sarebbe stata la sede di destinazione. Il gradimento dei consultati era stato alto e nei giornali della Calabria era apparsa la notizia certa della nomina. Nomina che non andò mai in porto. Da quel che si seppe, (i “flatus vocis” non disdegnano neanche la curia romana), pare che ci fosse stata una sollevazione contraria alla investitura da parte di molti vescovi locali, intimoriti dalla fama di mite ma determinato organizzatore senza orpelli e cerimoniosità esteriori, di questo piemontese gioviale e severo. Improvvisamente, il 17 ottobre scorso, il padre Moscone fu


L’INTERVISTA

Renato Pancallo torna nelle librerie con il romanzo “Il testamento di Palazzo Fragalà”, edito da Pellegrini, che racconta in maniera lucida quel sud di provincia affamato di lavoro e sviluppo. Abbiamo intervistato in anteprima Pancallo nell’attesa che sul libro venga presentato, venerdì 15 febbraio, alle ore 17:30, presso l’Hotel President di Siderno.

Renato Pancallo: “Scrivere mi aiuta a conoscermi meglio” La storia è di pura fantasia, ma si concentra comunque su aspetti socioeconomici di un paese meridionale che ha diversi punti di contatto con quelli di tante cittadine della Locride, in cui la vita scorre in una sorta di rassegnata quotidianità.

entista di professione, scrittore per passione, Renato Pancallo torna nelle librerie con “Il testamento di Palazzo Fragalà”, un romanzo edito da Pellegrini ambientato in un paesino siciliano alla fine degli anni ’60, la cui routine sarà sconvolta dal ritrovamento di un testamento olografo. Il barone Fragalà, infatti, donerà una cifra ingente a colui che sarà in grado di fondare una banca popolare, favorendo lo sviluppo economico e sociale del paese. Una promessa attorno alla quale si intrecceranno diverse storie di cui abbiamo voluto parlare con lo scrittore. Come nasce l’idea di ambientare il suo romanzo in Sicilia? Dal fatto che ritengo il sud “un blocco unico”, un’area d’Italia che, indipendentemente dalla sua distinzione regionale, ha una storia molto simile e dei dialetti che hanno diversi punti di contatto tra loro. Fatta questa premessa, l’idea di ambientare la mia storia nella Sicilia degli anni ’60 nasce dall’amore che provo nei confronti di questa regione e dalla sua capacità di mostrare, nel corso della sua storia, una vitalità decisamente maggiore rispetto a quella della nostra Calabria. La nostra, purtroppo, rispetto alla Sicilia, è storicamente stata una regione maggiormente sonnolenta, che si sarebbe prestata meno a una storia come quella che ho voluto rac-

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contare e che ha espresso personaggi illustri solo al di fuori del proprio contesto territoriale. In questo senso, la mia decisione di ambientare il mio romanzo in Sicilia vuole essere una sorta di pungolo per la Calabria, un territorio che amo e che proprio per questo non posso fare a meno di criticare, che deve risvegliarsi per riscoprire finalmente di avere già tutte le carte in regola per poter dare di più ai propri figli. La vicenda narrata è molto singolare. Ci sono elementi storici che l’hanno ispirata o è del tutto frutto di fantasia? Si tratta di pura fantasia, ma ciò non toglie che ho voluto comunque concentrare l’attenzione sugli aspetti socio-economici di un paese meridionale che ha diversi punti di contatto con quelli di tante cittadine della Locride, in cui la vita scorre sempre allo stesso modo in una sorta di rassegnata quotidianità. A scuotere questa monotona routine e le coscienze degli abitanti ci penserà un personaggio illuminato, che cerca di lasciare in eredità al proprio paese un’opportunità di sviluppo dalla quale si dipaneranno diverse storie che, in alcune occasioni, traggono in effetti ispirazione da fatti realmente accaduti. Questi elementi denotano che la sua narrazione cerca di stimolare una riflessione sulla nostra società. Ha cominciato a scrivere il romanzo con questa idea o la morale è emer-

sa con il tempo? Non direi di essere partito già con l’idea di lanciare questo tipo di messaggio, ma sono reduce dal buon successo di altri miei libri e, in ognuno di essi, ho sempre cercato di narrare la storia di un paese meridionale in modo da far riflettere il lettore su un tema attuale per le nostre terre. È una metodologia che ho sfruttato spesso per cercare di mettere in evidenza quale sia la vita che si vive davvero nei nostri centri. Ho letto che alla presentazione della prossima settimana saranno letti dei brani del suo romanzo dall’attore Vincenzo Muià. Considerato come la tematica del suo romanzo si presti a una trasposizione teatrale, possiamo sperare di vederne una in futuro? Muià è fortemente convinto che il mio sia un romanzo che si sposi con la trasposizione teatrale e afferma anzi di aver già pensato a quali attori potrebbero interpretare i diversi personaggi. Che un interprete del suo calibro creda molto in questo progetto non può naturalmente che riempirmi di orgoglio, così come la scelta del mio editore, che ringrazio, di aver deciso di scommettere fin da subito nella pubblicazione di questo romanzo, pianificando una prima tiratura davvero importante. Sta già pensando al suo prossimo libro o, per ora, si dedicherà solo alla promozione di questo? Pur essendo la scrittura una passione equivalente a quella per la medicina, che è diventata la mia professione, posso dedicargli solo dei ritagli di tempo. Ho sempre scritto e certamente continuerò a farlo, considerato che ritengo la narrativa qualcosa che mi appartiene. Ma per le ragioni di cui sopra non pianifico mai la prossima opera con grande anticipo. Scrivere deve restare per me un modo di rilassarmi, vivere meglio, e permettermi di approfondire la conoscenza di me stesso. Jacopo Giuca

Al via il Kaulonia Music Festival 2019

Inaugurato a Samo un laboratorio di trasformazione alimentare Sabato 19 gennaio l'Associazione "Aspromonte Società Cooperativa Agricola" ha inaugurato a Samo un laboratorio di trasformazione di prodotti agroalimentari, alla presenza della cittadinanza e dell’Amministrazione Comunale di Samo. "Nel laboratorio - scrivono in una nota i ragazzi dell'associazione - lavoreremo gli ortaggi che coltiviamo a km zero e selezioniamo a mano uno per uno, per produrre sottoli e sottaceti. Le nostre specialità sono: peperoncini ripieni sottolio, zucche bianche “Chayote” in agrodolce, zucchine sottolio e cipolle rosse in agrodolce. La lavorazione avverrà artigianalmente e seguiremo, rigorosamente, le ricette tipiche tradizionali che ci hanno tramandato le nostre Madri.

Dopo il successo dello scorso anno torna il Kaulonia Music Festival, la seconda stagione musicale realizzata dall'Amministrazione Comunale all’Auditorium “Angelo Frammartino” di Caulonia Marina, con la preziosa collaborazione di A.M.A. Calabria, associazione che da circa 40 anni opera nel campo della promozione e della ricerca musicale con competenza e professionalità. Saranno in totale 9 gli spettacoli in programma dal 12 febbraio al 27 dicembre, tra teatro e musica dal vivo. Da Finazzer Flory, regista e interprete di una pièce su Verdi, al Direttore di coro di fama mondiale Marco Berrini con l'ensamble EquiVoci passando per le espressioni musicali calabresi più fervide (Scordamaglia, Nigun Quartet, Filagramma jazz 6tet, Maurizio Managò con la sua concert band).

A tenere a battesimo l’edizione 2019 il collettivo Generazione Disagio (12 febbraio, ore 21), in un cinico e spassoso gioco dell’oca sul disagio generazionale. Varie prove e imprevisti faranno avanzare o indietreggiare i personaggi su un tabellone, anche grazie all’aiuto del pubblico dal vivo. Lo spettacolo è record d’incassi al Torino Fringe Festival, nonchè premiato in varie rassegne (Roma Playfestival, bando Teatro Off Artificio e Giovani realtà del teatro). L’obiettivo è quello di spalancare le porte alla cultura, con una significativa azione di promozione musicale ospitando e mettendo in risalto le eccellenti espressioni musicali del comprensorio e regionali, accanto a nomi noti del teatro e della musica italiana.

Questo laboratorio è un sogno che si avvera. All’inizio è stata dura: l’inesperienza, le porte chiuse in faccia, un contributo non concesso. Ma noi non abbiamo mollato: abbiamo lavorato sodo e non abbiamo smesso di crederci. Pian piano sono arrivati i primi piccoli successi ed oggi, dopo quasi tre anni dalla costituzione della Cooperativa, siamo fieri e pieni di orgoglio mentre vi diciamo che abbiamo realizzato tutto questo soltanto col nostro lavoro, senza aver avuto nessun contributo. Noi vogliamo raccontare la Nostra Terra con le nostre vite, con la nostra passione, e vogliamo far conoscere al mondo quanto è splendido l’Aspromonte e quanto è generosa la sua gente".

convocato in Vaticano dal nunzio apostolico per l’Italia, lo svizzero Emil Paul Tscherrig che, imponendogli riservatezza, gli comunicò che il 3 novembre sarebbe stato dato l’annuncio dell’avvenuto incarico. E così è stato. Non c’era stato bisogno di ulteriore istruttoria. In curia, a Roma, sostengono ridendo che la candidatura era “dormiente”. Preso di sorpresa padre Moscone ammette: “Ho continuato il mio impegno senza guardarmi indietro. Mi aspetta molto lavoro: San Giovanni Rotondo è sede importante per la santa immagine di Padre Pio e le molte attività caritative che ruotano intorno al santuario, soprattutto l’ospedale. Come genovese di adozione sono molto contento di potere essere ospite delle strutture architettoniche create da Renzo Piano”. È stato il vescovo di Alba a comunicare alla madre Maria Giovanna del neo vescovo la nomina e a promettere che la prima investitura sarebbe avvenuta proprio nella cittadina piemontese. E così è stato. A Nervi, colleghi ed ex alunni ricordano il professore Moscone con emozionato affetto. In questi giorni purtroppo la mareggiata ha distrutto la facciata del collegio, che ora vede allagati il refettorio e molte aule del cortile. Il professor Moscone,

in une lettera semplice e austera chiede che gli vengano evitati titoli roboanti: “Preferisco continuare a essere chiamato padre Franco”. Nel mentre chiede anche che eventuali doni siano devoluti in opere di carità. Ad Alba, attorniato da centinaia di compaesani, il vescovo Moscone ha citato dapprima Madre Teresa di Calcutta: “Seguiamo il suo esempio e facciamoci guidare dal Signore”. Poi, tra l’emozione dei presenti, ha ricordato il giovane eroico giudice siciliano Rosario Livatino, coraggioso testimone e difensore senza paura della giustizia tra gli uomini. Il vescovo Moscone ha citato questa suggestiva riflessione di Livatino: “Vorrei essere ricordato non come credente, ma soprattutto come persona credibile”. Nella terra della organizzazione criminale Sacra Corona Unita, monsignor Moscone inizia un viaggio con la benedizione del suo conterraneo Francesco con il quale, quando si incontrano, parlano sempre in dialetto piemontese con reciproca soddisfazione. Nell’ultima settimana di gennaio, dopo Manfredonia città, nella quale il vescovo Moscone ha riflettuto sulla bellezza delle distese marine strumenti di fratellanza tra gli uomini e l’incontro con la popolazione di Vieste, il giorno 2 febbraio l’ingres-

so nella cattedrale di San Giovanni Rotondo, invocando un itinerario di consapevolezza solidale attraverso l’impegno cristiano, attenti alla testimonianza concreta di valori che hanno solo nella carità il frutto prezioso del donarsi agli altri. E ha detto: “Siamo profeti se apriamo strade, se costruiamo ponti, se edifichiamo case: allora saremo profeti”. E la sua attenzione ancora verso il dolore umano e alla “casa sollievo della sofferenza” per meditare: “Saliamo su questo monte pregando. Signore, il tuo volto io cerco”. Un’omelia senza retorica, attenta alle ricchezze dei comportamenti solidali e alla ricerca della fraternità, sotto gli stimoli della più alta delle virtù teologali: la carità. Non a caso il motto scelto dal vescovo Moscone recita “Servire ecclesiae et pauperibus”. La sua esperienza nel mondo dei poveri dalla Nigeria, alle Filippine, all’Albania (il vescovo di Tirana ha concelebrato con lui) a Santo Domingo renderanno proficua e autentica la comunità ecclesiale così come impostata dal papa Francesco: una chiesa orizzontale nella quale il pastore cammina fianco a fianco con i fratelli. Matteo Lo Presti


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Sabato 2 febbraio, presso la Libreria Mondadori Bookstore di Siderno è stato presentato il nuovo libro di Domenico Nunnari “Destino Mediterraneo. Solo il mare nostro ci salverà”. L'autore riflette a lungo sull’Italia, che nel Mediterraneo è completamente immersa, col suo Sud che fa da ponte con l’Europa.

Mediterraneo e Calabria due destini intrecciati Il Mediterraneo è un patrimonio culturale che, in un futuro che si presenta pieno d’incognite, in un mondo smarrito privo di veri punti di riferimento, rappresenta l’eredità che ci può salvare.

Nel 2019 la trappola politica e mediatica fa apparire il Mediterraneo come una frontiera per sbarrare il passo ai migranti e la Calabria, che è al centro di questo mare, si è ridotta a Terra rassegnata al proprio destino: non esiste infatti una Regione così sottosviluppata, così esclusa e così emarginata sotto il tetto di una stessa Costituzione, tanto da rappresentare un’anomalia nell’Occidente. Tutto questo e molto altro si trova nel libro “Destino Mediterraneo. Solo il mare nostro ci salverà”, scritto da Domenico Nunnari, docente universitario e giornalista. Il volume presentato, sabato 2 febbraio, presso la Libreria Mondadori Bookstore a Siderno dalla giornalista Maria Teresa D’Agostino, con la collaborazione di Domenico Calabria, presidente del Caffè letterario “Mario La Cava”, edito da Rubbettino, racconta tutto quello che è accaduto e tutto quello che sta accadendo nel nostro mare, da dove ha inizio la storia. Una storia che non è fatta solo di cultura, arte e bellezza, ma anche di guerre, conflitti e contraddizioni. Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina “Mediterraneus”, che significa in mezzo alle terre. Di Mediterraneo si cominciò a parlare soltanto nel III secolo, con un semisconosciuto autore di un’opera descrittiva di meraviglie, tale Gaio Giulio Solino. È stato un mare conosciuto, attraverso la storia dell’umanità, con diversi nomi: “Mare interno” lo chiamavano i Greci; “Nostrum” i Romani, denominazione data da Giulio Cesare in persona che lo descrive nel “De Bello Gallico” e in effetti fu, per secoli, il mare controllato dalla potenza romana. Eppure se i romani ne ebbero il dominio, l’egemonia rimase greca. È un pezzo di mondo che ha visto l’arrivo di numerosi personaggi della storia: il cartaginese Annibale ha scatenato la seconda guerra punica per conquistarlo; Cleopatra ha posto il suo dominio nella parte orientale; scrittori come Omero e Virgilio ne hanno ambientato le imprese dei loro eroi: Ulisse ha girovagato dentro questo mare, prima di raggiungere Itaca;

Enea ha attuato l’itinerario del suo viaggio lungo le sue coste. E gli arabi? Per gli arabi quel mare era spazio sociale comune per pescatori, commercianti, viaggiatori e nomadi. Fino all’emergere dell’Islam e della sua prodigiosa espansione, prevalse il mare greco, latino, bizantino, cristiano. Un’espansione quella arabo-islamica che tra conflitti e incontri, sia con la cristianità, sia con altre religioni diede un impulso straordinario alla creazione di una Koinè mediterranea: euromediterranea, afromediterranea, asiomediterranea. Tre continenti uniti da un solo mare, che poteva dunque continuare a essere chiamato “nostro” da ciascuna delle sue componenti, sia geografiche che culturali. Da secoli il Mediterraneo ha perso la sua centralità geopolitica ed economica, ma non ha perso il suo fascino, essendo il mare più ricco di storia. Nunnari racconta di questo straordinario mare, delle tre religioni monoteiste, degli scambi, dei commerci, dei misteri, delle leggende, delle scorrerie piratesche e delle migrazioni bibliche. Quante vite, quanti traffici, quanta cultura, quanto dolore si sono imbevuti nelle sue acque. Acque dalle quali sono sgorgate civiltà e sono affondati imperi. Riflette a lungo sull’Italia, che nel Mediterraneo è completamente immersa, col suo Sud ponte di collegamento con l’Europa. “Destino Mediterraneo”, scritto prima che scoppiasse il caso Riace e Mimmo Lucano, fa riferimento al modello di accoglienza del borgo ionico e lo scrittore lo spiega col fatto che al Sud le popolazioni comprendono meglio il dramma dei migranti afromediterranei. Nel destino dell’Occidente, impegnato nella difesa della sua sopravvivenza e a sanare le sue numerose fragilità, c’è l’urgenza di ricomporre le fratture con un mondo del quale intere popolazioni si muovono con la forza e la velocità di un fiume in piena, ponendo con lungimiranza il problema dell’integrazione. In base alle sue considerazioni sulle risorse di questo mare e osservando la Calabria come centro di questa immensa risorsa, il giornalista grida

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all’indignazione, perché se la situazione non cambierà, la nostra Terra è destinata ad andare persa. La causa principale? La politica attuale, che manca di una vera visione, presenta carenze culturali e contiene volgarità del linguaggio. È il momento in cui la politica si trova soprattutto nei social; oggi mancano i valori sia nei partiti che nei sindacati; oggi prevale una corruzione volta ad arricchire il singolo, una corruzione che non fa altro che alimentare il fenomeno mafioso. Al contrario, in passato, c’è stata una classe politica che, potendo contare su una maggiore cultura, voleva riportare, per lo sviluppo del Sud e di tutta la Nazione, il mercato mondiale nel Mediterraneo. Nell’attuale presente, invece, questo mare è messo da parte perché non c’è lungimiranza, i politici neanche sono sfiorati dal pensiero che il suo sviluppo possa convenire anche a loro. La Calabria, insieme al Mediterraneo, si trova in una situazione di totale emarginazione,; anche se molti puntano il dito contro l’Unità d’Italia, in realtà la nostra Regione non era ricca neanche prima, la presenza del feudalesimo ha sempre impoverito il Sud; ma dopo il 1861 la situazione si è aggravata, perché il Meridione è diventato zona da sacrificare per consentire lo sviluppo del Nord. Il Mediterraneo non è solo una nozione geografica ma è un patrimonio culturale che, in un futuro che si presenta pieno d’incognite, in un mondo smarrito privo di veri punti di riferimento, rappresenta l’eredità che ci può salvare. La Calabria, quindi, è ricca di risorse naturali e di gente che lotta per il suo sviluppo. La soluzione? Aggregare tutte queste risorse e fare rete. E probabilmente la salvezza della Calabria è immersa nelle acque di questo glorioso mare, perché come scriveva Corrado Alvaro: “Il Mediterraneo sarà il cuore del mondo”. Rosalba Topini

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Ariete Questa settimana sarai pieno di energia e pronto a dare tutto per realizzare i tuoi obiettivi. Marte in congiunzione e Mercurio favorevole regaleranno occasioni importanti da non lasciarti scappare. In particolare, saranno fortunati mercoledì e giovedì.

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Al cospetto del priore Domenico Lizzi, sfoggiando uno dei suoi più bei sorrisi abbraccia il più pittoresco personaggio della Locride: “u priuri”, titolare dell’omonimo ristorante di Antonomina.

Processo alle intenzioni Il più grande collezionista di vinili d’Italia, Giuseppe, posa con Gigi Sarroino nei pressi del Teatro Ariston e, complice la latitudine, pur volendo posare con una copia del nostro settimanale, si confonde le “Riviera”! Complotto regionale Simone Veronesi abbraccia il compagno Ercole Nucera, col quale torna a parlare di politica socialista in vista delle prossime Regionali.

Amici d’istituzione Il sindaco di Portigliala, Rocco Luglio, posa in compagnia del collega di Antonimina, Luciano Pelle, a margine di un incontro istituzionale tenutosi negli scorsi giorni.

Sorrisi mediterranei Mimmo Nunnari sorride felice accanto a Federica Roccisano al termine della presentazione dell’ultimo libro del giornalista, presentato la scorsa settimana a Siderno.

Toro A partire dalla giornata di giovedì Marte ti regalerà tutta la forza e la grinta che ti servono per raggiungere quello che desideri. E se sul lavoro ci sarà da superare qualche ostacolo, in ambito sentimentale avrai grandi soddisfazioni grazie a Venere! Gemelli Questa sarà una settimana fortunata! Potrai contare infatti sul favore di Marte e Mercurio, che ti daranno una marcia in più: se devi avanzare qualche richiesta o lanciarti in un nuovo progetto, è il momento giusto! Punta tutto su mercoledì e giovedì. Cancro Anche questa settimana Venere in opposizione rischia di farti perdere le staffe: col partner sarà difficile andare d’accordo. Cerca di capire se si tratta di un problema interno alla coppia o se sono le circostanze esterne ad accentuare le tensioni! Leone Con Mercurio in opposizione in questo periodo non trovi gli alleati adatti: non ami demandare agli altri, ma fidati del tuo istinto e non sbaglierai! Lunedì e martedì saranno due giornate piuttosto nervose. Per fortuna potrai contare sulla luna domenica! Vergine Questa settimana comincia con un lunedì e martedì di luna favorevole, in cui arriveranno novità. Venere è dalla tua parte e regala serenità alla vita sentimentale. A partire da giovedì, poi, potrai contare anche sul favore di Marte, pronto a darti forza. Bilancia Questa settimana potrai dire addio all’opposizione di Marte! Giovedì, infatti, questo pianeta smetterà di darti del filo da torcere e ti sentirai più rilassata e serena. Tra mercoledì e giovedì, inoltre, potresti ricevere qualche bella notizia sul lavoro. Scorpione Questa settimana Marte entrerà in opposizione al tuo segno: nel prossimo periodo potrai sentirti più stanco del solito, senza energie e con poca voglia di fare. Non mancheranno gli ostacoli, specie in ambito lavorativo, dovuti allo sfavore di Mercurio.

Tifosi e tifati Cosimo Sgambelluri, tifoso della Reggina dal 1965, quando i protagonisti erano Cataldo e Granillo, e Franco Martino, che nello stesso anno veniva acquistato proprio dalla squadra di Reggio Calabria.

Manifesto di pace Questa foto ritrae il momento in cui la manifestazione per la pace organizzata dai giovani della diocesi di Locri-Gerace domenica mattina a Siderno passa dinanzi alla vasca dei Leoni.

Eravamo quattro parenti al minibar Tutta la famiglia Guttà si riunisce in via del tutto eccezionale per festeggiare il mitico Mimì del minibar di Siderno. Pubblichiamo questa foto per salutarlo anche noi.

Sagittario Questa settimana dovrai fare attenzione alle giornate di mercoledì e giovedì, quando la luna sarà in opposizione al tuo segno e le cose potrebbero non andare come preventivato… Avrai però Mercurio dalla tua parte, pronto a regalarti una via d’uscita. Capricorno L’amore va a gonfie vele e tu riesci finalmente a sentirti più sereno. A partire dalla giornata di giovedì, non avrai più il Marte sfavorevole e potrai contare su di un grande recupero di energie. Ma Attenzione alla luna opposta di venerdì e sabato.

Acquario I cambiamenti sono dietro l’angolo e non ti spaventano, anzi! Un avventuriero come te saprà prendere al volo ogni opportunità. Anche in amore non mancano gli incontri interessanti, forse non destinati a durare, ma in grado di regalare forti emozioni!

Riconoscimento pecuniario Girando per le strade di Palizzi abbiamo scoperto che nel paese è stata coniata una nuova moneta tutta dedicata al sindaco Walter Scerbo. È evidente che la società stia molto apprezzando l’operato del primo cittadino.

Pesci Continua un periodo sereno dal punto di vista dei sentimenti. A partire dalla giornata di giovedì, inoltre, Marte agirà in tuo favore con Venere, regalandoti tanta positività. Nelle giornate di lunedì e martedì potrai contare sul favore della luna.


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