Riviera n° 08 del 19/02/2017

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CONTROCOPERTINA

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un linguaggio Comune che rafforzi cooperazione, condivisione dei servizi e fusioni territoriali

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Venerdì 21 gennaio, presso il Grand Hotel President si è svolto il convegno “La Città Metropolitana dei Cittadini"; l’iniziativa è stata organizzata dalle Associazioni e Club Service della Locride. Dopo i saluti istituzionali dei sindaci della città di Siderno e di Locri, Pietro Fuda e Giovanni Calabrese, e l'introduzione del Presidente dell'Istituto Europeo Superiore per il Turismo Guido Laganà, l’architetto Giuseppe Fera della Facoltà di architettura di Reggio Calabria, ha relazionato sulle forme della pianificazione partecipata e sulla sua evoluzione storica, dalle prime esperienze di P. Geddes, alle visioni alternative e conflittuali degli anni '60 e '70 (l’advocacy planning) fino ai giorni nostri, nei quali la partecipazione tende a diventare la maniera ordinaria e istituzionale di fare pianificazione. Ha illustrato il Contratto di quartiere di Siderno Superiore come esempio di pianificazione comunitaria. Ha sottolineato infine che l’ingente patrimonio della Locride, costituito dai beni culturali materiali, dai Paesaggi naturali, a quelli rurali, dai siti archeologici dalle architetture storiche, dei borghi storici, e dai beni immateriali delle tradizioni e delle lingua, può essere valorizzato attraverso la costituzione di un tavolo di governance permanente che sia in grado di strutturarsi secondo molteplici configurazioni, per potere affrontare le problematiche sempre più articolate dell’area omogenea della Locride che superato l’attuale condizione di disaggregazione e disorganizzazione trovi un linguaggio comune rafforzando prioritariamente tutte le forme della cooperazione, dalla condivisione dei pubblici servizi sino alle fusioni dei comuni a cominciare di Locri e Siderno. Sono intervenuti la dottoressa Rossella Agostino direttrice del Museo archeologico nazionale di Locri, Salvatore Fuda e Caterina Belcastro componenti del Consiglio della Città Metropolitana. Le conclusioni sono state affidate al Presidente del Consiglio Regionale della Calabria Nicola Irto.

à t t i La C litana

o p o r met na nuova u

a d i f s

Chelsea story Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia

Quando abbiamo saputo che si stava lavorando sullo statuto della città metropolitana di Reggio Calabria abbiamo sperato che venisse scritto da tutti e non ci venisse, come al solito, calato dall’alto. Pensavamo che sarebbe stato sorprendente se avessero deciso di seguire l’esempio di Chelsea, città del Massachusetts che all’inizio degli anni '90 era considerata una delle città più clientelari, corrotte e inefficienti d'America che, grazie alla volontà e all’impegno del commissario di governo e di un gruppo di attivisti e facilitatori riesce a rigenerarsi nella elaborazione di un nuovo Statuto comunale, avviando processi di democrazia dal basso che ne fanno oggi un «paradiso per chi ama la vita urbana». La proposta, nel clima plebiscitario e populista imperante che si traduce in sfiducia nella democrazia e che pervade, in maniera più o meno profonda, tutta la società e, purtroppo, anche tutte le forze politiche, sembra provocatoria, ma riteniamo al contrario sia molto realistica, opportuna e necessaria in un momento in cui si sperimenta una nuovo istituto amministrativo ed è sempre di più sul territorio che si devono ricercare le ragioni dell’agire politico. È opportuno ricordare che a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, sulla base dello spirito europeista e di esplicite direttive UE, nelle legislazioni dei paesi europei e man mano che procedeva il percorso di unificazione europea, sono stati introdotti elementi e istituti di democrazia partecipativa a integrazione dei principi di devoluzione e di sussidiarietà.

L’obiettivo di far crescere l’autonomia dal potere centrale e far aumentare il controllo dal basso, si realizza dando importanza al ruolo che le associazioni, sono chiamate a svolgere anche nella difesa del territorio e della qualità urbana. Cresce insomma la necessità di politica attiva e di cittadinanza se non si vuole precipitare irrimediabilmente in quella sorta di neo-feudalesimo fatto di egoismi feroci, caste, familismi, cosche e boiardi che già domina buona parte del paesaggio politico italiano. Ma quanto l’introduzione di quegli elementi di democrazia partecipativa sono oggi effettivamente capaci di garantire scelte condivise? O si tratta di istituti e forme restate solo sulla carta? È sotto gli occhi di tutti quanto sia troppo frequente la tendenza, soprattutto a livello locale, a rendere inefficace la trasparenza e il diritto all’accesso; quanto poco i cittadini possano incidere sulle scelte strategiche e quanto, invece, ancor maggiore libertà goda chi già decideva per tutti nel chiuso di studi professionali o nella cerchia ristretta di chi gode di ricchezza e prossimità al potere. Sarà possibile attuare concretamente l’articolo 9 dello Statuto della Città Metropolitana sulla Partecipazione popolare? Intanto l’amministrazione Comunale di Siderno con la collaborazione operativa dell’Urban Center Locride ha iniziato a lavorare alla proposta del Regolamento sulla Democrazia partecipata coinvolgendo la consulta delle associazioni e i comitati di quartiere.


ATTUALITÀ GIUDIZIARIA

’Ndrine all’estero Uno dei meriti, forse il maggiore, della più volte richiamata indagine "Il Crimine” è sicuramente il superamento della classica visione riduttiva e frammentaria della 'ndrangheta (“la criminalità organizzata di stampo mafioso sorta ab origine nei territori calabresi ed oggi attiva negli stessi come in altre aree geografiche nazionali ed estere ove si è identicamente riprodotta come per clonazione”) e l'acquisizione del dato rilevante secondo il quale ogni "locale" di 'ndrangheta è solo una fondamentale sottoarticolazione di una più ampia associazione mafiosa denominata appunto 'ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, su quello nazionale, nonché all'estero (per es. Svizzera, Germania) che, è costituita, infine, da molte decine di locali, articolati e coordinati in tre mandamenti Jonico, Tirrenico e Centro (quello riferibile alla città di Reggio Calabria) e con organo di vertice denominato "Provincia". Secondo la procura reggina la “cupola” : «E' la necessaria evoluzione degli affari e degli interessi che ha comportato il cambiamento delle strutture di 'ndrangheta, essendo questa oramai proiettata verso i mercati del centro e del nord Italia, verso l'Europa, il Nord America, il Canada, l'Australia. L'infiltrazione e la penetrazione di questi mercati ha comportato la stabilizzazione della presenza di strutture 'ndranghetiste in continuo contatto ed in rapporto di sostanziale e "necessaria" dipendenza con la casa madre reggina di cui sono consapevoli gli stessi associati». Il ruolo di vertice della “Provincia” è riconosciuto in Calabria e fuori dalla Calabria. Lo si desume da quanto afferma il “caposocietà” di Singen, in Germania, a proposito delle iniziative di un altro associato. «E' importante evidenziare – rileva la procura antimafia - che l'esistenza di siffatta struttura non incide sull'autonomia dei singoli locali, ognuno deputato a gestire in modo autonomo nel territorio di competenza gli interessi e gli affari illeciti, piuttosto si pone come un apparato con finalità di mantenimento degli equilibri, di controllo delle nomine dei capi-locali e delle aperture di altri locali, di risoluzione di eventuali controversie e di sottoposizione a giudizio di eventuali comportamenti scorretti posti in essere da soggetti intranei alla 'ndrangheta in Italia e all’estero». Quello che nel processo “Il Crimine” è stato accertato con particolare chiarezza è che «L’organizzazione criminale ha creato in altre nazioni, replicandola, una struttura analoga a quella tradizionalmente tipica del territorio calabrese, con evidenti stretti legami di dipendenza con l'organismo di vertice sopra delineato, pur conservando una certa autonomia, relativamente alle classiche forme di manifestazione mafiosa, al punto che una delle estrinsecazioni più tangibili dell'esistenza stessa di cellule associative, l'esistenza dei "locali" e delle "società" e il cursus honorum all'interno di queste, necessitano del riconoscimento e del beneplacito degli organi direttivi centrali». Le indagini effettuate nel procedimento cd. "indagine Patriarca” hanno consentito di ipotizzare che in Svizzera, segnatamente a Frauenfeld era attiva una struttura di 'ndrangheta in cui risultavano inseriti diversi personaggi di origine calabrese. Di conseguenza, al fine di monitorare l'evoluzione delle dinamiche criminali che si svolgevano tra la Germania e la Svizzera, veniva chiesto di procedere a rogatoria con le autorità tedesche; lo sviluppo di quelle indagini, condotte dal LandesKriminalamt (LKA) del Baden-Wurttemberg, sotto la direzione della Procura di Costanza (indagine "Santa"), consentivano di registrare una serie di conversazioni, naturale evoluzione delle acquisizioni già effettuate in Italia, che permettevano di ampliare le conoscenze investigative con riguardo ad alcuni personaggi, di origine calabrese dimoranti in Germania e di estendere le conoscenze verso la vicina Svizzera.

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Deliberato il censimento degli alberi monumentali di Siderno, parte il progetto“Un bambino e un albero per crescere insieme”

Siderno avvia due progetti per la salvaguardia degli alberi IL CENSIMENTO DEGLI

ALBERI MONUMENTALI PARTE DALL’ ASSESSORATO ALL’AMBIENTE, PRESIEDUTO DALLA VICESINDACA ANNA ROMEO

u promozione e indicazione dell’Assessorato all’Ambiente, Siderno in questi giorni sta finalmente mettendo mano a un annoso problema trascurato da sempre e su cui l’opinione pubblica ha recentemente aperto un dibattito: la manutenzione e la cura degli alberi. Anche se ancora non è stato approvato il Regolamento del Verde Pubblico e Privato, parte dalla vicesindaca Anna Romeo, con delega all’Ambiente, una forte iniziativa volta alla tutela e alla salvaguardia delle alberature pubbliche e private. È infatti già pronto il team per l’individuazione, all’interno del territorio comunale, degli alberi monumentali, secondo un Decreto Ministeriale del 2014, che ovviamente Siderno non ha potuto avviare essendo a quell’epoca stretta nella tenaglia del commissariamento a tappeto. L’individuazione degli alberi monumen-

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tali è un primo passo importante per la conservazione del patrimonio arboreo e faunistico, ed è uno strumento fondamentale per le attività che ne conseguono. Ciò che forse sconcerterà i cittadini è che gli alberi per essere dichiarati monumentali, devono avere delle specifiche e dei requisiti prescritti dal Corpo Forestale dello Stato e quindi moltissimi alberi, pur belli, non rientreranno nell’elenco. La speranza è che all’elenco ufficiale acquisito dal Corpo Forestale, sia possibile affiancare un elenco ufficioso di alberi segnalati come pregevoli anche se non monumentali, che dovrebbero essere tenuti in conto e su cui interventi di taglio o potatura dovrebbero essere indicati e concordati con gli specialisti assegnati dal Comune. Ciò che è certo è che l’iniziativa dell’Assessorato all’Ambiente sembra finalmente rompere quella cappa di

silenzio e inerzia che pesantemente gravava su Siderno, e che tutti abbiamo avverto in modo inequivocabile nel caso delle querce abbattute. Prosegue invece il progetto, temporaneamente sospeso per il commissariamento, che ormai da anni in Italia prevede la messa a dimora di un albero per ogni nuovo nato o minore adottato. Gli alberi di questo progetto, denominato “Un bambino e un albero per crescere insieme”, sono diffusi un po’ su tutto il territorio di Siderno, da Zammariti, fin sulla pista ciclabile a ridosso del Lungomare. L’intenzione è di dedicare gli alberi ai nati nei diversi anni, in modo che questo possa essere un modo per legare i bambini alla vita e all’evoluzione degli alberi e dunque alla Natura. Entrambi i progetti saranno spiegati all’interno delle istituzioni scolastiche e questo potrebbe essere l’avvio di una nuova Siderno verde!



L’intervista

Nicola

Irto “Sogno una Calabria per giovani” Nel 2015, ad appena trentatré anni, Nicola Irto è stato selezionato dal governatore Mario Oliverio in qualità di Presidente del Consiglio regionale della Calabria. Nel mondo politico fin dalla tenera età, in questi anni Irto ha dimostrato grande dimestichezza e puntualità nel portare a termini i compiti che gli competono e a contribuire nel realizzare il sogno di una Calabria innovativa.


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Dalla riduzione dei costi della politica regionale all’istituzione della Città Metropolitana, dalla polemica per la proposta sui vitalizi al sogno di una Regione in cui i giovani vogliano restare, Irto ci racconta la Calabria che è e quella che dovrebbe essere, descrivendola come un concentrato di bellezze che solo gli addetti ai lavori possono riuscire a scovare, valorizzare e mettere a disposizione del grande pubblico. rentacinque anni appena compiuti, avvicinatosi alla politica già ai tempi del Liceo, Nicola Irto, dal 28 luglio 2015, è il più giovane presidente del consiglio regionale d’Italia. Dedito per anni alla ricerca scientifica, dopo un periodo di militanza nel Partito Popolare Italiano, la svolta politica per lui arriva con l’iscrizione alle liste PD, sotto il vessillo del quale entra a fare parte della commissione nazionale di garanzia e viene eletto prima consigliere comunale a Reggio Calabria, dunque consigliere regionale con le elezioni del 2014. Spinto da un amore viscerale per la democrazia e dalla volontà di far riemergere la propria terra dal fango nella quale da troppo tempo annaspa, Irto si è fatto portavoce di diversi cambiamenti amministrativi e ha espresso idee innovative relativamente a come far cambiare rotta al nostro meridione. Lo abbiamo intervistato per voi e per approfondire quelli che ci sembrano i temi della politica calabrese più “caldi” del momento. La sua vita è stata scandita dalla politica. Quanto influenza il suo operato odierno un passato da rappresentante dei partiti universitari? L’università ha rappresentato un momento fondamentale della mia formazione professionale, umana e politica. Alcuni dei miei rapporti più forti di amicizia, non solo politica, si sono cementati negli anni dell’università che, è vero, hanno influito fortemente sul mio modo di essere. L’università è per definizione una realtà dinamica, che studia e ricerca; ha lo sguardo rivolto al futuro e si prefigge l’obiettivo di costruire un avvenire migliore, per creare una nuova classe dirigente, dare una speranza, una prospettiva e una direzione da percorrere al mondo. Nel 2011 ha conseguito il dottorato con una tesi sulla Governance degli enti locali. Di quali approfondimenti utili a scrivere sull’argomento ha fatto maggiormente tesoro nella sua carriera politica? La tesi ha messo a frutto un intenso lavoro di studio e ricerca. Ma tengo a sottolineare che, anche se l’università ha influito sulla mia formazione, la politica appartiene a tutti ed è giusto tutti siano rappresentati: questa è la bellezza della democrazia. La mia esperienza universitaria è stata importante per farmi guardare a un orizzonte più ampio e profondo, ma nella governance degli enti locali è importante soprattutto il comportamento del bonus pater familias che non spende più del giusto e risparmia per le future esigenze dei suoi cari. Magari accantonando le somme per far studiare i propri figli e assicurare loro un avvenire migliore. Il 24 novembre 2014, al suo primo giorno da consigliere regionale della Calabria, si aspettava di diventare Presidente del Consiglio regio-

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nale entro otto mesi? Quali sono state le qualità che, secondo lei, hanno influenzato la scelta del presidente Oliverio? Non lo immaginavo e stavo facendo un lavoro credo importante in commissione Ambiente. Questo non mi ha portato mai a immaginare che potessi assumere in breve tempo la responsabilità di guidare l’Assemblea. Sarei autoreferenziale se parlassi di me stesso, ma credo che un buon presidente del Consiglio regionale debba avere doti di equilibrio, per garantire il confronto democratico, e al tempo stesso la capacità di tutelare i diritti di tutti, a cominciare dalle prerogative delle minoranze. Come ha visto cambiare la Calabria in questo anno e mezzo da Presidente del Consiglio? È soddisfatto del suo lavoro o, potendo tornare indietro, adotterebbe scelte differenti? La Calabria sta cambiando. La strada è ancora molto lunga. Siamo partiti da un gap di competitività pesantissimo. Stiamo recuperando terreno ma non possiamo ritenerci soddisfatti. Occorre accelerare su tutti i versanti, nella consapevolezza che sono state compiute delle performance importanti e che la strada tracciata è quella giusta. Quanto al Consiglio regionale, sono orgoglioso del percorso di trasparenza e sobrietà che abbiamo intrapreso. Il bilancio è sceso di tantissimo, l’Astronave e i suoi “passeggeri” costano la metà di dieci anni fa, le sedute si svolgono in diretta streaming e abbiamo ridotto e riqualificato la spesa mettendo i soldi a disposizione di un progetto di valorizzazione del polo culturale “Mattia Preti”. Sotto la sua presidenza la nostra Regione ha subito diversi cambiamenti amministrativamente rilevanti, primo fra tutti, l’istituzione della Città Metropolitana di Reggio Calabria. Ha fiducia in questa nuova forma istituzionale e nel suo sindaco? È un percorso completamente nuovo, per cui dobbiamo mettere in conto che possa esserci qualche complessità, lo dico per allontanare possibili “avvoltoi” già pronti a volteggiare. Confido molto nelle capacità del sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà, cui mi legano rapporti di stima e amicizia, e della squadra che ha scelto. Ci ha molto colpito, durante il convegno sulla Città Metropolitana tenutosi a Siderno sabato scorso, la sua affermazione secondo la quale il nuovo ente dovrebbe essere trattato come una Società per Azioni. Può spiegarci nel dettaglio che cosa intendeva e che cosa implicherebbe una gestione di questo tipo? Il copyright non mi appartiene, è un’espressione che ho mutuato proprio dal mondo accademico cui facevamo riferimento prima. In buona sostanza, l’assemblea dei sindaci della Città metropolitana può essere paragonata all’assem-

blea dei soci di una Spa e il Consiglio metropolitano è una sorta di “consiglio di amministrazione”. Le attività amministrative competono a quest’ultimo organo, ma a detenere il patrimonio sono i primi cittadini, che dunque devono avere un ruolo da attivi protagonisti nel nuovo livello di governance. Che consiglio si sente di dare a Giuseppe Falcomatà, appena imbarcatosi in questa avventura amministrativa? Giuseppe Falcomatà non ha bisogno di consigli ma solo della possibilità di realizzare il suo progetto politico-amministrativo. Nel rispetto dei ruoli, penso che la condivisione delle scelte e delle responsabilità possa essere davvero l’arma in più, per consentire a Falcomatà di replicare su scala metropolitana il buon lavoro avviato nel comune capoluogo. Adesso i capoluoghi della città metropolitana devono diventare 97 e non ho dubbi che sarà così. In settimana ha tenuto banco la proposta del PDL relativa ai vitalizi per i consiglieri regionali, alla quale il presidente Oliverio, come lei, si è apertamente opposto, affermando che si tratta di una legge inutile. Cosa ha spinto, secondo lei, i promotori di questa legge ad avanzarla e come pensa che sarebbe meglio rispondere a chi ritiene che le priorità della politica siano queste? La proposta, sottoscritta da diversi colleghi, è stata ritirata. Non voglio entrare neppure nel merito della stessa ma tengo a rimarcare come sia difficile, soprattutto in un momento come questo, spiegare ai cittadini che con tutti i problemi che ci sono, i consiglieri regionali legiferano su una tale materia. Anche perché la Calabria, purtroppo, non è né il Veneto né la Lombardia. Nel banner del suo sito internet si può leggere l’hashtag #corriamo. Ritiene che la giunta Oliverio stia correndo nella giusta direzione e adeguatamente veloce? Vedete davanti a voi un percorso piano o a ostacoli? Gli ostacoli sono tanti ma ci sono per tutti. Governare la Calabria è difficilissimo. Credo che siano stati avviati a soluzione alcuni grandi problemi, altri saranno presto istradati verso la definizione, ma nessuno ha la bacchetta magica. È come nel calcio: all’inizio i carichi di lavoro ti rendono le gambe pesanti, poi entri in condizione e corri molto più velocemente. I fatti diranno se la “preparazione atletica” che abbiamo fatto è quella giusta. Io credo di sì. Che sogno ha per questa terra? Uno solo: che i giovani, i miei coetanei, abbiano lavoro e non siano più costretti a emigrare. Su questo, che considero un obiettivo e non solo un sogno, continuerò ogni giorno a mettere tutto il mio impegno. Jacopo Giuca


IN BREVE

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CALABRESE PER CASO * di Giuseppe Romeo

Legalità e giustizia. Ossimori o utopie? Recentemente ho letto su questo giornale un articolo interessante, scritto non solo con lo stile di chi dimostra di avere da sempre un pensiero convincente ma, soprattutto, chiaro prodotto di riflessioni di una persona che ha animo, amore, passione e sacrificio. Si, sacrificio intimo soprattutto nell’affrontare da sempre argomenti che nella loro triste drammaticità si svolgono come una matassa lasciata libera, senza mani regolatrici, di rotolare in una discesa senza fermate. Una discesa di cui nessuno sembra voglia rallentarne la corsa rappresentando tale matassa, nella sua immagine, una terra, la Calabria, e la stessa locride vittime di una deriva quasi ineluttabile. Potrei aggiungermi al commento puntuale di Ilario a proposito di legalità e giustizia pubblicato la settimana scorsa riproponendo argomenti e casi che potrebbero solo aggiungersi a quanto da lui descritto. Argomenti che ci riporterebbero, entrambi, sul terreno della rassegnazione e dell’abitudine a considerare ogni fatto come una sorta di epilogo di ciò che è questo gioco al rialzo tra legalità e giustizia, ritenendo che queste due parole siano complementari ma consapevoli che, spesso, non lo sono state e non lo sono per nulla. Ma preferisco affidare al pensiero del lettore una provocazione più ampia. Nelle vicende nella quali la presunzione di colpevolezza pretende di sostituirsi alla presunzione di innocenza il rapporto tra legalità e giustizia è già di per sé franato, crollato prediligendo una presunzione di colpevolezza che non trova posto nel nostro ordinamento, né tra le previsioni costituzionali di principio e meno che mai nella norme del codice di rito allorquando la colpevolezza è da dimostrare mentre l’innocenza è da presumere e da considerare come possibilità, sempre, sia nelle indagini preliminari che in attesa della sentenza. In questo gioco a trasformare i presunti innocenti in presunti colpevoli, per poi restituire l’innocenza senza scuse si perde ogni credibilità delle azioni condotte, siano esse dirette a definire il quadro di responsabilità all’interno di un’attività di indagine, siano esse il risultato di una mancata garanzia del diritto ad un proces-

so giusto e rapido soprattutto. Se legalità e giustizia non sono ossimori, perché dovrebbero proseguire su strade parallele ma non contrastanti, di fatto esse lo diventano avvicinandosi nella contraddittorietà che le affligge ad una condizione estrema dove non si percepisce più il limite del giustizialismo e lo spettro di rispetto dei diritti del garantismo. Non ci sono giustificazioni nella dilatazione dei termini di carcerazione preventiva, al di là delle possibili richieste, se ciò di fatto impedisce il diritto ad avere un giusto e veloce processo. Così come non ci sono giustificazioni che possono sostenere attività di indagine a volte troppo spesso velocemente concluse, credendo che la verità sia solo una e solo quella dell’unico punto di vista dell’investigatore. Ancora meno possono essere poste a cornice di una tesi investigativa aspetti di storie familiari che condannano per sola appartenenza parentale o per colpe altrui chi in fondo dovrebbe essere responsabile di se stesso. Negare la presunzione di innocenza e sostituirla con una presunzione di colpevolezza per uno stato di diritto non è una conferma della civiltà. E’ un arretramento delle conquiste civili a cui legalità e giustizia dovrebbero essere subordinate in quanto espressione di tali valori poiché è il cittadino che ad esse affida il suo destino e la sua sorte nel bene e nel male. Quel cittadino che chiede una legalità vera e rispettosa della dignità oltre che delle regole in difesa dal crimine, ma anche a garanzia di una giustizia regolatrice e non disarticolante. Che crede di aver diritto ad essere considerato presuntivamente innocente. Che vuole affidarsi, oltre che fidarsi, ad indagini meticolose, dirette a dimostrare anche la sua estraneità prim’ancora che la sua responsabilità. Non garantire questi passaggi porta alla negazione della legalità e rende la giustizia meno forte. Nell’assoluzione dopo mesi di carcerazione preventiva - la cui ragione può essere solo quella di completare un quadro investigativo che dovrebbe già essere ben fondato - non vi è solo un danneggiato, ma è la comunità che si interroga se legalità e giustizia abbiano un significato e un senso comune per tutti, o se siano lasciate all’interpretazione di pochi senza alcun dovere, poi, di rendere conto.

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POLITICA

Assemblea dei sindaci: Imperitura lascia, ma l’organo rimane senza guida Lunedì sera la sala consigliare del comune di Siderno è stata teatro di un nuovo episodio della telenovela “Assemblea dei sindaci della Locride”. Una partecipazione attiva da parte di ben 34 dei 42 sindaci del nostro comprensorio alla riunione reclamata da Giovanni Calabrese e indetta dal dimissionario presidente dell’organo Giorgio Imperitura ha permesso di svolgere i diversi punti all’ordine del giorno, ivi comprese le dimissioni dello stesso Imperitura, l’elezione dei componenti del nuovo comitato dell’Associazione e, soprattutto, quella del nuovo presidente dell’assise. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Niente affatto, perché il dilungarsi in questioni di statuto ha obbligato i nostri primi cittadini a rimandare alla prossima riunione l’elezione del presidente del comitato e quella del presidente della stessa Assemblea dei sindaci. Al sindaco di Roccella Giuseppe Certomà, delegato in qualità di sindaco anziano, spetta adesso l’onere di indire al più presto un nuovo incontro per non lasciare l’associazione priva di guida.

… Il tweet della settimana

Ponte sul fiume Allaro: epopea senza fine!

Un sit-in a difesa del reparto di Pediatria del nosocomio locrese

Martedì mattina un gruppo di genitori e cittadini che in questi giorni hanno dato vita ad un movimento spontaneo a difesa del reparto pediatrico dell’Ospedale di Locri hanno organizzato una piccola manifestazione pacifica dinanzi alla struttura ospedaliera del nosocomio locrese. È di questi giorni, infatti, la notizia che il reparto vive una situazione paradossale che, a causa di carenza di personale, rischia di non garantire assistenza e servizi ai piccoli ammalati. Con il sit in si è voluta ribadire non la volontà di innescare polemiche, ma di richiamare l’attenzione e ricevere risposte adeguate affinché chi di competenza faccia il proprio lavoro e si trovi una soluzione imminente e definitiva senza ritrovarsi sempre di fronte a “situazioni tampone” sull’organico ospedaliero. Il movimento ha dichiarato che seguiranno altre azioni sociali a difesa dei propri diritti, perché senza indignazione si rischia di perdere tutto ciò spetta di diritto ai cittadini.

Continua l’epopea del ponte sul fiume Allaro. Il transito a senso unico alternato su un unica corsia, in vigore dall’ormai preistorica alluvione del 2015 dopo il cedimento di una campata, è sempre stato tenuto in scarsa considerazione, nonostante i reclami di cittadini e associazioni, fino all’ulteriore cedimento avvenuto lo scorso 23 gennaio, che ha obbligato ANAS a infittire ulteriormente i divieti di transito lungo una strada che, pure, è ad alta percorrenza. Lunedì e mercoledì mattina, per permettere i lavori di manutenzione e riposizionamento delle barriere di protezione in cemento, i disagi sono aumentati con l’entrata in vigore di un senso unico alternato a intermittenza, che ingenerato non poche code e difficoltà per gli automobilisti. Ci domandiamo quando (e se) vedremo mai quel tratto di strada tornare pienamente alla normalità.



POLITICA

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ILARIO AMMENDOLIA Il 12 febbraio un decreto del governo ha dato nuovi poteri ai sindaci che potranno esercitare una specie di “daspo” contro i “pezzenti.” Non entro nel merito ma la cosa mi ricorda un episodio che ho vissuto tanti anni fa, quando nel mio Paese si sparse la notizia che un'autorevole delegazione guidata da un sottosegretario di Stato e dal vescovo avrebbe visitato le scuole. La mia classe era stata inclusa tra quelle in cui gli illustri ospiti si sarebbero intrattenuti. Bidelli e operai dei “cantieri scuola” lavorarono un’intera settimana nel tentativo di riparare i vecchi banchi, mettere i vetri alle finestre, ripulire le pareti scrostate da qualche decennio. Si lavorò anche nelle nostre famiglie a rammendare i vestiti, lavarci la testa, aggiustarci le vecchie scarpe. Arrivò la vigilia. Gli alunni provenienti dalle poche famiglie relativamente agiate erano già saldamente collocati ai primi posti con i loro colletti bianchi. Noi occupavamo le “retrovie”, ma sin da subito si pose un grave “problema”: che fare con quattro ragazzi, scalzi, afflitti dai geloni, con le gambe piagate, le unghie sporche, i capelli incolti, i vestiti laceri? Uno addirittura “storpio” ma solo perché nessuno aveva provveduto a far ingessare una gamba dopo una rottura avvenuta nella primissima infanzia! Sindaco, arciprete, maestri e direttore si riunirono in consulto e alla fine venne fuori il responso: i “colpevoli “ senza colpa sarebbero stati invitati a rimanere a casa: un giorno di vacanza e come premio di consolazione un panino imbottito da ritirare presso la “Pia Opera di Assistenza”. Il tutto perché si riteneva non fosse lecito turbare l’animo e gli occhi degli illustri ospiti facendo vedere loro lo spettacolo di cotanta miseria. Non era questione di cattiveria individuale ma di tempi difficili, crudeli e pieni di ingiustizia. Quando giovanissimo divenni “comunista” (si fa per dire) non avevo letto Marx nè Gramsci ma erano stati episodi come quello accaduto ai miei poveri compagni di scuola a spingermi a contestare le disuguaglianze sociali e l’emarginazione. Il tempo è passato, ma confesso di aver pensato a quei quattro ragazzi allontanati dalla scuola quando ho letto dei nuovi poteri attribuiti ai sindaci di allontanare gli “accattoni” dai centri storici, dai luoghi esclusivi ed eleganti, dalle zone turistiche. Neanche io vorrei vedere in giro elemosinanti, zingari intenti a vivere a scrocco, “vu cumprà”, drogati, prostitute e vandali. Con una differenza: io vorrei che non ci fossero proprio, perché, oggi come ieri, non basta nasconderli ma bisogna sconfiggere la miseria e il degrado. Se potessi, inviterei il governo (che ho votato) a varare un piano contro la povertà assoluta, per la bonifica delle aeree emarginate, per sconfiggere l’accattonaggio e il parassitismo zingaresco, per far apprezzare a tutti la bellezza dei luoghi storici e dei monumenti. Solo successivamente (al massimo contemporaneamente) si potrebbero dare i poteri di prendere provvedimenti contro gli “irriducibili” dell’accattonaggio non per necessità ma per scrocco. Aggiungo (premettendo con forza che io non mi sento moralmente nè umanamente migliore di alcuno), che forse per la gente comune è molto più fastidioso vedere in giro dei consiglieri regionali che in questo momento drammatico per la Calabria hanno firmato una proposta di legge tesa a reintrodurre i loro vitalizi facendoli pagare ai calabresi poveri. Sinceramente rispetto a costoro è molto meglio vedere una bella zingara che pretende di leggerti la mano. E aggiungo personalmente che mi danno molto più fastidio gli sfarzi e i privilegi delle caste che le mani tese degli accattoni o le insistenze di un venditore ambulante. Naturalmente è questione di punti di vista. E il mio, pur tra mille contraddizioni, continua a essere quello che mi fa ancora indignare pensando a quei ragazzi poveri colpiti da un “daspo” deciso dalle irreprensibili “autorità” ligie alla legge e all’ordine costituito.

Preferisco una zingara che mi legge il futuro a un politico che me lo ruba Mentre il governo dà potere ai sindaci di allontanare gli“accattoni” dai centri storici, dai luoghi esclusivi ed eleganti, in Calabria i consiglieri regionali firmano una proposta di legge tesa a reintrodurre i loro vitalizi facendoli pagare ai calabresi poveri.





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DOMENICA 19 FEBBRAIO 14

In questi giorni... I mass media non fanno altro che parlare dell’Euro. Economisti importanti affermano che non si può uscire dalla moneta unica, altri invece dicono il contrario. Certo è, però, che nessuno spiega in modo chiaro e comprensibile a tutti di cosa si tratta. Per capire è necessario partire dall’inizio, bisogna considerare il valore dato a questa moneta rispetto alle monete nazionali precedenti. In poche parole, il suo potere d’ acquisto. Prima di parlare di questo, si deve chiarire che unire le economie di diversi stati non è cosa semplice! In ogni stato, e anche nei vari momenti storici, la moneta ha avuto un posto importante per il benessere di ognuno. La moneta, al di là del valore intrinseco, cioè il metallo di cui è fatta, o il valore estrinseco, cioè il valore imposto dal potere, si misura principalmente con la capacità del POTERE D’ACQUISTO. Quanta merce si può comprare con un’unità della moneta corrente? Ora, quando i cervelloni decidono di fare l’unità economica di diversi stati, se tutti i decisionisti sono in buona fede, innanzitutto, e questo è elementare, è necessario controllare come funziona l’economia di ogni singolo Paese! È cosa molto importante il costo della vita, misurabile fondamentalmente con il costo del lavoro. Non è facile. Bisogna controllare diversi fattori (come l’orario di lavoro nelle varie categorie) senza scendere in particolari che richiederebbero molto tempo. Per far comprendere a tutti cosa stiamo cercando di dire, se l’operaio di un dato stato lavora otto ore, e viene remunerato con determinato stipendio (valutato in Lire, Marchi, Dracme, Pesetas, ecc.) tale remunerazione è paritetica in tutti gli Stati? E ciò vale per tutte le categorie di lavoratori. Ma andiamo avanti: il potere d’acquisto della nuova moneta degli stati dell’Europa unita, sarà uguale? Se, ad esempio, ci vogliono 1.936 Lire per comprare un Euro, con un Euro si compra quanto si comprava con il valore della moneta precedente? E tale discorso è valido per tutti gli stati che desiderano adottare tale moneta. Se l’economia italiana, con la propria Lira, aveva raggiunto un certo equilibrio tra compensi del lavoro, pensioni, e consumi, unendo questa economia a quella di altri stati che hanno raggiunto standard economici superiori, potrà reggere il confronto? Cioè le imprese potranno pagare il lavoro allo stesso costo della Germania? No! E allora ecco che tutti i costi per l’Italia saliranno, con un Euro non si potrà acquistare la quantità di merce che si comprava con le duemila Lire! Non si capisce dunque come i cervelloni che lavorano nel Ministero dell’Economia italiano, con stipendi favolosi, non abbiano previsto questa situazione (Forse la causa di questa mancata previsione è stata dettata dalla fretta di adottare misure contenitive a un speculazione contro la Lira di cui si parlava in quel periodo, che convinse Prodi ad accettare le condizioni capestro utili a entrare nell’UE, che garantiva una politica economica unitaria inattaccabile! Ma a quale prezzo stiamo pagando oggi quella scelta?)! Apportiamo un esempio elementare: senza prendere in considerazione decine di prodotti alimentari, anche di prima necessità, e senza considerare accordi e regolamenti che hanno rovinato le produzioni italiane (come quella del latte, degli agrumi, dell’olio di oliva…), avvantaggiando la Germania un prodotto farmaceutico come lo IODOSAN è passato dal prezzo di 540 Lire a quello di 6 Euro (ovvero 12.000 Lire)! Un altro esempio immediato: un giorno prima dell’entrata in vigore dell’Euro l’offerta utile a celebrare una messa in suffragio dei trapassati era di 10.000 Lire. Arriva l’Euro e subito la richiesta dell’offerta passa a 10 Euro! Anche i ragazzini delle elementari si rendono conto del valore della moneta unica! E così via per altri decine di prodotti. L’Euro è stata definita una moneta forte. Forte per chi, se il suo potere d’acquisto è circa la metà di quello della lira? Arriviamo al cambio: lo Stato giusto e onesto, al momento del cambio, si sarebbe dovuto preoccupare di fornire l’equivalenza in Euro necessaria a comprare ciò che si poteva comprare con la stessa somma in Lire. Ma non è stato così. Il valore delle pensioni e degli stipendi è stato dimezzato! E ciò non è stato valido per tutti, ma solo per il ceto basso! Per gli stipendi da fame, si è fatta una semplice operazione di cambio, senza considerare il nuovo costo medio della vita! Per i dignitari statali o i politici, per i pensionati d’oro, invece… Si potrebbe proseguire e dimostrare gli errori madornali fatti dai nostri governanti al momento del cambio, ma allora bisognerebbe entrare in particolari di alta politica economica, che non è il caso di riportare in questo breve excursus. Prima di chiudere diamo uno sguardo agli altri, in particolare alla Grecia. La Grecia ha pagato un Euro 360 dracme. Con tale somma potevano pranzare benissimo tre persone in un buon ristorante. Oggi un Euro, nello stesso ristorante, non è sufficiente neanche come mancia! Nessuno vuole fare il maestro, ma si è voluto constatare e far notare alcune situazioni attuali. Ognuno potrà giudicare se l’entrata nell’Euro, a suo tempo, sia stata una scelta ponderata per il bene del popolo italiano, o si sono fatti errori di calcolo che purtroppo le categorie più deboli stanno pagando a caro prezzo. Brown Giò

Ma loro non lo sanno... C’è qualcosa nei miei ricordi che mi ha turbato tanto da farmi sprofondare ancora oggi nell’angoscia. Un grosso maiale, non ne avevo mai visti così grossi, la pelle chiara pelata, l’enorme bocca aperta e le zampe distese...

Il vecchio viottolo scavato sul terreno in lieve salita s’insinua dolcemente tra il verde dei prati. Qualche arbusto qua e là, più lontano gli alti faggi, qualche abete fanno da cornice tra la timida luce del mattino. Rallento l’andatura per consentire ai miei polmoni, arrugginiti dallo smog cittadino, d’inebriarsi e annegare nell’ossigeno. Poi la strada s’inoltra, come in un tunnel, tra un bosco di conifere: il chiaro sole del mattino riesce qua e là a vincere la fitta boscaglia, la leggerissima brezza montana mi porta un tenue odore di terra, di resina. Poi, quasi all’improvviso, l’orizzonte si apre e il viottolo scende bruscamente tra le rocce insinuandosi tra i lecci. Lo sguardo come sorpreso si tuffa nella valle sottostante. Sulla sinistra, aggrappato alla parete scoscesa della montagna un borgo, quattro case e un campanile che supera appena i bassi tetti delle casupole montane; più giù un picco con rocce sporgenti; di fronte più a valle, dietro qualche colle più alto, l’orizzonte e dietro, lontano, il mare. Sulla destra due grossi costoni scendono a valle appaiati e sotto s’intravede un ruscello, quasi si sente il gorgheggiare dell’acqua che scende. Sì, perché il silenzio è assordante e un merlo che accenna uno zirlo non basta a rompere l’idillio incantato tra l’uomo e la natura. Qualcuno potrebbe pensare che questo altro non è che un sogno. E invece no, perché chi va in montagna dalle nostre parti, panorami di questo tipo, o altri più belli li ha visti certamente. Non mi riferisco ai vacanzieri della domenica o di ferragosto o del primo maggio che arrivano in montagna con l’auto traboccante di vettovaglie di ogni tipo, e vino ecc... E hanno sedie e tavoli per non sporcarsi con l’erba. No! Tra questi e la montagna non c’è nessun idillio. Parlo invece di quelli che armati solamente di un bastone, con il sole con la nebbia e a volte

anche con la pioggia vivono veramente la montagna. Bisogna notare purtroppo cha da qualche anno la montagna è il luogo preferito per sbarazzarsi di rifiuti. Nel mio lungo peregrinare tra i boschi ne ho viste di tutti i colori: motori di macchine agricole, serbatoi, batterie di auto, frigoriferi, copertoni di camion e di auto di ogni tipo. Fortunatamente non ho mai visto i terribili bidoni contenenti scorie radioattive o quant’altro. La gente che fa questo sporco lavoro forse li sotterra, non so. La visione di questi rifiuti, parlo di frigoriferi ecc, non lascia indifferenti, rimane come un timbro ben calcato nella mente, per cui quando penso di recarmi in un luogo con gli amici, dico: andiamo un po’ sotto di dove c’è quella ruspa abbandonata o dove ci sono quei copertoni, o dove c’è quel motore arrugginito. Molti bellissimi luoghi hanno come un’ombra che sminuisce la loro bellezza. E queste ombre hanno un posto preciso nella mia memoria. Non vanno via. Ma c’è qualcosa nei miei ricordi che mi ha turbato tanto da farmi sprofondare ancora oggi nell’angoscia, sì nella tristezza. Un mattino dell’autunno di dieci o quindici anni fa mi arrampicavo su un costone tra gli alti faggi alla ricerca di funghi, c’era la cornice che prima ho descritto di luce sole aria ed ero di buon umore anche perché avevo trovato i miei funghi preferiti. Camminavo di buona lena, lo sguardo era sempre proiettato in avanti quando, superato uno dei tanti costoni che si innalzavano dal ruscello sottostante, vidi poco lontano una strana macchia chiara che strideva notevolmente con il colore delle foglie morte del sottobosco autunnale, mi avvicino con circospezione, curioso ma anche intimorito, perché l’imprevisto, Dante docet, tiene sempre in allarme. Un grosso maiale, non ne avevo mai visti così grossi, la pelle chiara

pelata, l’enorme bocca aperta e le zampe distese. Due metri, forse più, so solo che allora mi parve enorme. Mi fermai, feci due passi indietro, poi guardai di nuovo. La pelle era pulita, non c’era traccia di sangue. Diedi uno sguardo in alto dove, a trenta-cinquanta metri correva la strada statale e compresi la gravità. Il proprietario uccide il maiale, scopre chissà quale pericolosa infezione, non lo può vendere, non solo ma si deve liberare subito della carne e allora via dove nessuno può vedere. Ma io ho visto. Ho buttato i funghi che avevo raccolto e, girando molto al largo sono tornato mestamente alla macchina. Dieci metri circa sotto dell’orrenda bestia c’era l’acqua chiarissima di un ruscello che era appena sgorgata dalla sorgente e poi? No! Non è vero che tutte le acque finiscono al mare, da noi la gran parte delle acque finisce nell’acquedotto. Ma il proprietario del maiale non lo sa, l’autista del camion non lo sa e forse nemmeno quei due incolpevoli operai che lo hanno sollevato e buttato nella scarpata. Da quel posto non ci son più passato, a volte mi capita di fare quella strada e quando arrivo nel luogo del misfatto sento un profondo vuoto nello stomaco come se avessi qualcosa da mandare giù e non ci riesco, sento il sangue salirmi alla testa, la voglia di gridare ma la mia voce non arriva lontano. Né mi sentirà quell’assessore all’ambiente, è successo molto tempo fa, non ricordo il nome (chissà poi perché ha accettato o scelto questo incarico) che, per qualche soldo in più, si è prodigato a far sparire i rifiuti inquinanti di qualche ditta del nord Italia. Ho un amico che per risparmiare qualche albero non ha mai usato fazzoletti o tovaglioli di carta. La natura non si ama a parole ma con i fatti. Luciano Siciliano

Non sembra ancora vero Cara nonna, è già passato un anno dalla tua morte. Non sembra ancora vero. Dicono che con il tempo non si soffre più e si dimentica. Ma non è affatto così, le persone non si dimenticano, e noi non possiamo assolutamente dimenticarci di te che eri speciale, che ci hai fatto da mamma, nonna e amica. Sei stata tenuta cara dai tuoi figli e nipoti. Ti ricorderemo per sempre con il tuo splendido sorriso. Resterai per sempre nei nostri cuori. Ti vogliamo bene. Ciao ciao nonna. Dai tuoi figli e nipoti tutti



ATTUALITÀ

COMMISSIONE D’ACCESSO A MARINA DI GIOIOSA

Nonsaràlarepressione asconfiggerelamafia A Marina di Gioiosa c’è la mafia, ma sono gli amministratori e tante persone perbene a non trovar pace. A esser braccati dalla “Legge” e messi sotto torchio come delinquenti. Dopo l’uragano che nel recente passato ha sconvolto la vita di tante persone del luogo, la bufera della commissione di accesso si abbatte sull’amministrazione in carica ferendo gli amministratori, la cittadinanza, la democrazia. Nessuno conosce le accuse che vengono mosse agli amministratori di Marina. Regna un sostanziale silenzio che viene indicato dalle “autorità” competenti come “necessario”, esigenza di mantenere il “segreto”. Su questo terreno la Calabria costituisce un caso unico in tutto l’Occidente. Ovunque gli “indiziati” hanno il diritto di vedersi contestare eventuali reati o comportamenti illeciti in modo da potersi difendere possibilmente da uomini liberi. Non nella Locride, dove la maggioranza dei Comuni ha conosciuto l’onta dello scioglimento per infiltrazione mafiosa e molte persone oneste sono state trascinati in carcere come i peggiori criminali e poi regolarmente assolti! Alcuni sono morti, altri si portano addosso un’angoscia senza fine. Violare la sovranità democratica di un Municipio è come non rispettare la sacralità di una Chiesa! Qualcuno dirà: “è la lotta alla mafia”. A me sembra piuttosto una guerra contro la libertà, per l’umiliazione del Sud, una cavalcata che mette sotto zoccoli di ferro la dignità della Calabria. Ribadisco, a futura memoria, che non sarà mai la mera repressione a sconfiggere la mafia. Senza la risoluzione di quella che i grandi meridionalisti indicavano come la “questione meridionale”, la cultura antagonista allo Stato in Calabria sarà come un fiume carsico destinata a registrare momentanee sconfitte per poi risbucare più forte di prima. Sicuramente non sarà più forte il fronte della legalità dopo la nomina della commissione di accesso a Marina di Gioiosa e mi indigna la mancata reazione democratica. Non si illuda, l’avvocato Vestito! Probabilmente in privato avrà qualche solidarietà ma in pubblico i più fuggiranno come pecorelle smarrite e a scappare saranno soprattutto coloro che hanno responsabilità pubbliche e i rappresentanti delle Istituzioni democratiche. Lei è uomo di legge, dottor Vestito, ed è in grado di leggere chiaramente quanto avviene intorno a noi. Sa bene che non avrebbe alcun senso una mera difesa della Sua amministrazione che non sappia arrivare a delle conclusioni politiche su quanto sta avvenendo al di là del Comune di Gioiosa e della stessa Locride. Rifletta! Con Lei ho avuto il piacere di discutere e, qualche volta, anche in dissenso. Ho sempre pensato che un sindaco non possa reggere il proprio Paese come fosse un brigadiere dei carabinieri o un agente di polizia. Preciso: il brigadiere, il poliziotto o il magistrato sono figure degne del massimo rispetto ma, in democrazia, hanno funzioni diverse rispetto a chi deve rappresentare la propria comunità. Loro sono vincitori di concorso, il sindaco è ELETTO del popolo. E in quanto tale non è l’ultimo gradino di una gerarchia ma la prima istanza democratica della propria comunità. Quando lo “Stato” diventa oppressivo e tirannico, il sindaco ha il diritto e soprattutto il dovere di mettersi alla testa del proprio popolo nel tentativo di cambiare gli equilibri all’interno di Esso (la lettera maiuscola non è mai a caso). In questo momento, al di là dei governi che si sono succeduti, la Calabria è colonia e gran parte della classe dirigente è composta da ascari che fuggono dinanzi alle truppe coloniali. V’è il tentativo, finora pienamente riuscito, di rispondere al disagio del Sud con una calcolata repressione. Lo scioglimento dei Comuni, le retate, la diffamazione del Sud e della stessa democrazia rappresentativa rispondono a una precisa strategia antimeridionale. La posta in gioco non è qualche carriera individuale né l’avvenire, per quanto importante, di una singola amministrazione comunale, bensì i destini della nostra gente, la libertà della nostra Terra, il rispetto dello Stato di diritto. Il nostro comune riscatto! Dinanzi a un poderoso attacco non si può restare in silenzio. Non si deve piegare la testa! Certamente noi non saremo mai con la ‘ndrangheta ma neanche ascari di un potere “esterno” e men che mai complici dei responsabili del disastro che ha sconvolto la Locride e la Calabria intera. Ilario Ammendolia

La bufera della commissione d’accesso si abbatte ancora una volta su Marina di Gioiosa. Nell’unicità costituita dal caso Calabria, nessuno conosce le accuse che vengono mosse agli amministratori, obbligati a lasciare per tre mesi le proprie sedie con vergogna e disagio. La legge mette ancora una volta sotto torchio come delinquenti le persone oneste e viola la sovranità democratica di un Municipio con la stessa blasfemia con cui si violerebbe la sacralità di una Chiesa. Il risultato è un’umiliazione che mette sotto zoccoli di ferro la dignità della Calabria e alimenta la cultura antagonista allo Stato.

Catalano distrutta MARIA GIOVANNA COGLIANDRO È stato visto in compagnia di quattro soggetti “controindicati” e per questo nel giugno del 2015 la Prefettura di Reggio Calabria ha attestato, con effetto interdittivo, l’esistenza di rischi di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’azienda di Luigi Catalano, imprenditore reggino. Per il sospetto del cosiddetto “contaggio” da parte dei quattro soggetti, gli è stata azzerata l’azienda, 45 dipendenti sono stati licenziati, una struttura alberghiera a quattro stelle con sessanta camere e ristorante ha chiuso battenti, tre contratti di servizi sono stati disdetti e a Luigi è stata preclusa la possibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. “Chi viene colpito da una misura drastica come l’informativa antimafia si vede distrutta l’attività lavorativa senza mezzi termini - dichiara furioso Luigi. - E il tutto succede per mere ipotesi, vaghi sospetti, non dati di fatto”. L’interdittiva antimafia, infatti, permette all’amministrazione pubblica di interrompere qualsiasi rapporto contrattuale con imprese che presentano un pericolo di infiltrazione mafiosa, a prescindere dalla commissione di un illecito e la conseguente condanna di titolari o dirigenti. Per dichiarare l’inaffidabilità di un’impresa è sufficiente un’inchiesta in corso, una frequentazione sospetta, un socio “opaco”, una parentela pericolosa che potrebbe condizionarne le scelte, o anche solo la mera eventualità che l’impresa possa, per via indiretta, favorire la criminalità. Sebbene il pericolo dell’infiltrazione mafiosa non possa essere frutto dell’immaginazione, ma fondato su elementi “sintomatici e indiziari”, la relativa valutazione è riposta nell’ampia discrezionalità del Prefetto, sindacabile solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità. “Ci tengo a precisare - continua Luigi - che nessun dei soggetti indicati nell’informativa è stato condannato per mafia. Mi domando, quindi, quanto ampia sia la discrezionalità del Prefetto!”. E aggiunge: “Sono stato visto in compagnia di un sindaco e di un vicesindaco attualmente in carica: se la Prefettura li ritiene controindicati, perchè non ha nominato una commissione d’accesso per valutare se stanno svolgendo correttamente il loro ruolo?”. Oltre che da un sindaco e da un vicesindaco, gli altri due soggetti da cui Luigi sarebbe stato “contaggiato” sono due suoi (ex) collaboratori: il primo è stato assunto nell’ambito di un progetto di reinserimento sociale in quanto ex detenuto; il secondo, invece, ha subito una condanna dalla quale è stato riabilitato. “Perchè - si domanda Luigi - lo Stato da un lato prevede la finalità rieducativa della pena e dell’altra punisce l’impresa che assume un ex detenuto? Come si potrebbe riabilitare un


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DOMENICA 19 FEBBRAIO 17

Sospettati Speciali MARIA GIOVANNA COGLIANDRO

o:Lamiaimpresa dalsospetto Nel giugno del 2015 l’imprenditore reggino Luigi Catalano è stato colpito da un’interdittiva antimafia perchè visto in compagnia di soggetti “controindicati”. Per il sospetto del cosiddetto “contaggio”, gli è stata azzerata l’azienda, 45 dipendenti sono stati licenziati, una struttura alberghiera ha chiuso battenti e a Luigi è stata preclusa la possibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. soggetto se nessuno è disposto a offrirgli un lavoro per non incorrere nell’interdittiva antimafia? Quanto a chi, poi, è stato riabilitato, è un paradosso che la Prefettura lo ritenga ancora controindicato: la procedura postula la dimostrazione di buona condotta. Il collaboratore, pur avendo potuto dimostrare la buona condotta grazie all’opportunità di lavoro offerta dalla mia azienda, pregiudica il rilascio della certificazione antimafia”. Emerge, dunque, una realtà paradossale: da un lato, la necessità sacrosanta di impedire le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico, dall’altro, il rischio di danni collaterali al mondo dell’impresa e del lavoro, oltre che al campo dei diritti. Non dimentichiamo che oltre a colpire l’azienda di Luigi Catalano, l’interdittiva ha comportato il licenziamento, senza preavviso, di 45 dipendenti. “Se si paventa la chiusura di un’azienda con 1000 dipendenti - saetta Luigi, - lo Stato si mobilita impegnando a volte anche risorse pubbliche per salvare i posti di lavoro, invece, quando chiudono 1000 aziende per interdittiva antimafia, magari con 40 dipendenti ciascuna, che creano, quindi, 40.000 posti di lavoro, il tutto sembra normale e ossequioso ai principi di legalità. Nessun politico ha il coraggio di muovere un dito a difesa di queste aziende per timore di essere ritenuto a favore delle mafie”. Per scongiurare il pericolo di desertificazione del tessuto produttivo del territorio, lo Stato anzichè pensare di eliminare il rischio di infiltrazioni mafiose alla fonte chiudendo le aziende, potrebbe introdurre elementi di sal-

vaguardia ed eliminazione del rischio. Luigi propone, ad esempio, l’istituzione di una black list: le aziende verrebbero monitorate imponendo dei rigidissimi controlli (tracciatura del denaro per importi più bassi, sanzioni più rigide nel caso di infrazioni...). “Tale strumento - ritiene Luigi - sarebbe meno lesivo per la società, per i lavoratori, per l’economia e permetterebbe un controllo più accurato della presunta mala gestione”. Suggerimenti che più volte Luigi ha provato ad avanzare. Dopo essere stato raggiunto dall’informativa, ha chiesto di incontrare il Prefetto di allora e ha riprovato a farlo con il Prefetto attuale. “Mi hanno permesso di parlare solo con i funzionari - tuona Luigi. Come il giudice prima di emettere una sentenza ha la possibilità di guardare in faccia l’imputato e lo ascolta in contraddittorio, così dovrebbe essere nel caso di un’interdittiva”. E poi l’affondo finale: “Se le modalità di applicazione dell’interdittiva antimafia sono ritenute conformi alla Costituzione e il principio per contaggio è valido e utile, dovrebbe poter colpire anche deputati, senatori, funzionari pubblici... Quando un senatore viene indagato per mafia, dovrebbe essere azzerato tutto il partito “per contaggio”. Persino lo stesso Prefetto dovrebbe poter essere raggiunto da interdittiva: perchè dovrei essere interdetto da chi come me è stato contaggiato?”. Solo così, secondo Luigi, ci si renderebbe conto del vuoto della normativa che necessita di interventi tempestivi ed efficaci.

"L'inconsapevolezza per essere innocente deve essere dimostrata". La rileggo. Di nuovo. La Bindi è la promotrice di una nuova filosofia che punta sull'antitautologia. Dimostrare l'inconsapevolezza. Ci sarà un manuale da qualche parte. Luigi Marzullo ci avrà pensato a scriverlo, sottovoce, dopo aver dato la buonanotte ai suoi cari amici della notte. L'onorevole ha esternato questo suo aforisma, che io farei entrare a pieno titolo tra quelli dei baci Perugina, a proposito della querelle che ha visto protagonista il Festival dello stocco di Mammola e il comune milanese di Corsico. Un Festival che lo scorso ottobre fu sospeso per paura della 'ndrangheta. Oggi l’assessore alle politiche giovanili Maurizio Mannino, che aveva dato il patrocinio alla Festa dello stocco nel comune milanese senza rendersi conto del fatto che il promotore dell’evento fosse il genero di Giuseppe, detto "U Maistru", membro del clan dei Barbaro, rischia di essere mandato a casa. Il genero di un tizio che hai contattato per una festa paesana è indagato per mafia e tu devi smontare baracca se non dimostri di essere stato davvero inconsapevole. E se non fai in fretta a levarti dalle scatole, la Commissione Antimafia avvierà le procedure che porteranno al commissariamento del Comune di Corsico. Glielo chiedo come avrebbe fatto Marzullo: "Onorevole Bindi, Lei crede in quello che fa o fa in quello in cui crede?" Siamo arrivati al punto - e il caso del comune di Corsico, così come la commissione d'accesso a Marina di Gioiosa e l'impresa distrutta di Luigi Catalano sono esemplificativi di vivere una vita da sospettati speciali. Non iniziano a sorvegliarci dopo che il reato è stato commesso, ci sospettano

e inchiodano per ipotesi. A monte, perchè la prudenza non è mai abbastanza. Galleggiamo a fior di sospetto. Ne siamo coscienti ma cerchiamo di rimanere in superficie consegnando i nostri timori ai sospiri. E così il sospetto ha vittoria facile, ci invade senza trovare resistenza, e via via ci espelle da ciò che non sarà più nostro. Fredda incombente ombra ostile. Il sospetto ti aspetta all'angolo, sa che prima o poi farai una mossa falsa e, a quel punto, i soliti sceriffi tireranno fuori la loro stella a punte evasive. La fanno passare per sicurezza ma è destino intollerabile. Benevola minaccia. Nessuno pare più riuscire a sfuggire a questo abominevole appuntamento. Le giornate trascorrono in questa attesa acquattata in cui c'è chi sembra augurarsi che la trappola prima o poi scatti. Non so se la mia sia paura ma ne ha la forma. E il peggio sarà quando un giorno dovremo raccontarlo a chi viene dopo, perchè arriva sempre quel momento. E chi verrà dopo vorrà sapere, se ne starà seduto lì, ci incalzerà con le sue domande, vorrà aiutarci a ricordare convinto che i nostri tentennamenti siano sintomo di una memoria sfuggita al capestro del tempo. Ma non sarà dimenticanza: vorremo tanto rinsaldare i pezzi per dar loro finalmente un significato, ma il passato si disintegrerà nell'atto stesso in cui si mostrerà, i nostri gomiti scivoleranno nell'appoggiarsi al vuoto centrale che un tempo ci avevano spacciato come sicurezza indiscussa. Lo scoprire le contraddizioni ci darà in pasto alla vertigine a cui ci offriremo e negheremo contemporaneamente. Nuove palate di ombra saranno gettate nell'oscurità, mentre il sospetto si spoglierà di ogni validità dopo aver finito a morte, dopo aver insinuato guidato dal lusso del mero gioco associativo, e si lascerà vibrare nell'eco della propria dissoluzione.


CULTURA

L’intervista

Dal 23 al 26 febbraiol’opera“Creativity” di Mariella Costa sarà esposta al Pink art Fair di Seul, a cui parteciperanno i più grandi artisti internazionali

Da Roccella a Seul: l’arte di Mariella Costacontinua a stregare il mondo

“Nella lavorazione della pietra, soprattutto quella locale, sento quasi di entrare in contatto con le origini della terra e dell’uomo stesso”

MARIA GIOVANNA COGLIANDRO Le sue opere hanno oltrepassato i confini nazionali: dopo aver risalito lo stivale, sono state esposte a Montecarlo, Bruges, Bruxelles, Utrecht, Londra, New York. Dal 23 al 26 febbraio l’arte di Mariella Costa, pittrice e scultrice cauloniese, residente a Roccella Jonica, farà tappa al Pink art Fair di Seul, a cui parteciperanno artisti provenienti da tutto il mondo. Ospiti d’onore della rassegna, saranno il Principe Lorenzo de Medici e la consorte, la principessa coreana Ya Chang MiRosemary Johnson. Quando ha sentito per la prima volta l’argilla vibrare sotto le sue dita? Sono nata con l’arte nel sangue e praticamente da sempre ho sentito l’esigenza intima di esprimermi con il disegno, la pittura e la creatività in generale. All’argilla ho approcciato attraverso un corso di ceramica, manipolandola percepivo delle vibrazioni particolari, sentivo che in qualche modo pulsava di vita. Sono così nate le mie prime forme scultoree. Tuttavia non mi sono fermata alla modellazione, in seguito, spronata dal maestro Saverio Coluccio, ho cominciato a lavorare la pietra locale, il marmo e il durissimo granito e ho cominciato a esporre le mie opere in giro per il mondo. Cosa le dà più soddisfazione la scultura o la pittura? Dipingo da sempre, la scultura però ha un qualcosa di viscerale. Nella lavorazione dell’argilla si mette in atto uno strano processo, quasi di fusione tra le cellule umane e gli atomi della materia. Nella lavorazione della pietra, soprattutto quella locale, sento quasi di entrare in contatto con le origini della terra e dell’uomo stesso. Due diversi amori, sebbene io mi senta molto presa dall’atto scultoreo, non posso fare a meno di dipingere. È così che è nata una mia personale forma espressiva: il “Biridimensionalismo”, sintesi tra pittura e scultura nella stessa opera. A quali maestri dell’arte si ispira? Cerco di esprimermi nel modo più personale possibile, anche se qualche volta sono stata accostata a Picasso e a

Siderno, I Mad Vintage presentano l’album “All’origine” Oggi, domenica 19 febbraio, ore 18.30, alla libreria Calliope Mondadori (centro commerciale La Gru) di Siderno i Mad Vintage presentano “All’Origine”, il loro primo album. La band nasce a Bovalino nel 2009, quando il chitarrista Stefano Locri e il bassista Vincenzo Middonti danno vita al loro progetto musicale dall’impronta fortemente rock. A loro si uniscono, nella formazione definitiva, Ilario Ierace alla batteria, Michele Ventrice alle tastiere e Gianluca De Lorenzo, voce. “All’Origine”, crogiuolo di contaminazioni musicali arricchite dalle diverse esperienze dei componenti della band, è una riuscita alchimia di rock italiano con venature pop, in cui si avvertono le influenze di importanti realtà straniere oltre quelle di casa nostra. Il video del singolo “Luna II”, il 7 dicembre 2016, ha anticipato l’uscita del disco. Direttore artistico è il maestro Peppe Platani, special guest della serata in libreria. I Mad Vintage sono in gara al contest online Classic Rock Italia e in semifinale a Sanremo Rock, passaporto per Sanremo 2018. L’evento è organizzato dalla libreria in collaborazione con il Caffè Letterario “Mario La Cava”.

Modigliani per le mie forme primitiviste. Io comunque amo tantissimo il compianto Igor Mitoraj. Quale opera esporrà al Pink art Fair di Seul? Cosa rappresenta? Al Pink Art Fair di Seoul – Corea del Sud, esporrò un’opera scelta dall’organizzazione stessa, dal titolo “Creativity”. Una forma stilizzata di donna, cosparsa di gocce di vetro fuso. È la rappresentazione della creatività ciò che la mente umana è capace di creare, che non esisterebbe se non attraverso la creatività dell’artista. Cosa ha diritto di entrare nella sua arte? Nella mia arte ha diritto di entrare tutto ciò che è creatività e i temi sociali. L’arte è quello strumento meraviglioso con il quale si possono urlare degli argomenti anche scottanti senza aprire bocca. A tal proposito ci tengo a comunicare che a breve sarà inaugurata un’opera monumentale a Roccella Jonica dedicata alla violenza sulle donne. Un modo per sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto verso la figura femminile. Cosa non deve mai essere l’arte?

L’arte per me non deve mai essere volgarità, ma armonia e bellezza. Nell’arte le capita più spesso di ritrovarsi o di perdersi? Nell’arte mi ritrovo, è il mio rifugio, la mia salvezza. Hitchcock sosteneva che l’arte, intesa in tutte le sue forme, viene prima della democrazia. Che ruolo riveste l’arte nella sua vita e che ruolo secondo lei dovrebbe avere nella società? Ha avuto senz’altro ragione Hitchcock nell’aver sostenuto che l’arte viene prima della democrazia. L’arte è libertà assoluta non solo per l’artista, ma anche per qualsiasi fruitore che attraverso l’arte ha modo di acculturarsi e di crescere socialmente. L’arte ha un ruolo fondamentale nella mia vita e penso anche nella società in generale. Non oso neanche immaginare cosa sarebbero le nostre città senza arte. Per arte non intendo solo i Musei e le Galleria d’arte, ma anche l’architettura stessa dei Palazzi, delle Piazze e degli spazi in generale. È per questo che soffro terribilmente nel vedere le immagini di distruzione che ci giungono da siti artistici, quali quello di Palmira. Qual è il più grande ostacolo per un artista? Il più grande ostacolo per un artista è spesso quello di non poter vivere della propria arte. In Norvegia gli artisti sono altamente presi in considerazione, al punto da essere stipendiati dallo Stato. Secondo lei, oggi, l’arte è più difficile che trovi un pubblico che acquista o un pubblico che sappia riconoscerla? Entrambe le cose: stiamo vivendo un momento di crisi economica e il ceto medio è costretto a spendere per i beni di prima necessità. La vera arte sono in grado di riconoscerla i cultori dell’arte, il resto spesso si sente attratto da un tipo di arte ottocentesca. Un po’ come se continuassimo a vestirci con abiti del diciannovesimo secolo. In un’epoca in cui tutto scade il giorno dopo, c’è ancora spazio per il Capolavoro? Io credo di sì, in mezzo a tanta spazzatura artistica, le opere d’arte di qualità si distinguono e secondo me sono destinate a passare nella storia.

AlTeatro Cilea“La Lupa”con Lina Sastri Il pubblico che, lo scorso 2 febbraio, ha gremito il teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria, ha gratificato con applausi scroscianti Lina Sastri e gli altri attori, nel corso della rappresentazione de La Lupa, con musiche di Massimiliano Pace arrangiate da Franco Battiato e la regia di Guglielmo Ferro, nell’attuazione della programmazione teatrale 2016-2017 “Le maschere e i volti”, organizzata dalla Polis Cultura. Nell’opera di Giovanni Verga, che era stata già presentata a Torino nel 1896 e nello stesso anno pubblicata a Milano, il personaggio femminile principale “ Gnà” Pina - la Lupa (così chiamata), magistralmente interpretato dalla bravissima Lina Sastri (cantante napoletana e interprete di film), si discosta dalle atmosfere della novellistica verghiana, ovvero dai personaggi del ciclo cosiddetto dei “ vinti”. Nella novella dalla quale Verga trasse materia di dramma e anche un libretto d’opera, con la collaborazione dell’amico e scrittore F. De Roberto, con l’intento di farlo musicare da G. Puccini ma, poi non se ne fece nulla, oltre alla Lupa, donna dal corpo felino, provocante, bella,

tormentata, “cotta” di Nanni Lasca, un bel giovanottone desideroso di sposare una ragazza con un po’ di dote, ossia Mara (la figlia della Lupa), che respinge la proposta di Nanni. La Lupa, però, determinata e spregiudicatamente, combina il matrimonio tra i due giovani, ma continua a “covare” la voglia di avere per sé Nanni che, pur di liberarsi dalla forza ammaliatrice della Lupa, dopo aver fatto di tutto per non essere psicologicamente e fisicamente prigioniero della diabolica donna, esasperato la uccide con la scure. Nei due atti e nelle scene si dipana la trama in un intreccio di parole allusive, tra i sollazzi e la spensieratezza di personaggi secondari, i dialoghi tra la Lupa e Nanni accompagnati dal sottofondo musicale, allorquando la voce penetrante e commovente di Lina Sastri si leva e s’intona nella palese manifestazione dei sentimenti, coinvolgendo la platea nell’ottocentesco ambiente siciliano, dove sognano e sperano creature, in una comunità ancorata ai pregiudizi e ai pettegolezzi, nel sanguigno vivere di ataviche convenzioni. Francesco Errigo


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DOMENICA 19 FEBBRAIO 19

L’artista roccellese Francesco Misuraca alla Biennale Internazionale d’Arte del Mediterraneo

Si svolgerà a Palermo, dal 9 al 12 marzo 2017, la prima Biennale Internazionale d’Arte del Mediterraneo “meArt”. Francesco Misuraca, artista roccellese, parteciperà all’evento con l’opera “Viaggio verso il diverso”, un cammino introspettivo nei meandri più sconosciuti dell’Io umano. Verrà inoltre allestito un padiglione fuori dal contesto della Biennale, il Museo Paolo Levi, un’esposizione virtuale di cinquanta capolavori del Novecento europeo e statunitense, nella quale verranno inseriti anche gli artisti, specificamente indicati da Levi, ritenuti continuatori, in modo esplicito o anche solo inconsciamente, della lezione estetica e contenutistica del Novecento Storico. L’artista calabrese rientra tra quelli fortemente voluti dal critico d’arte. Una grande occasione questa, che permetterà al giovane calabrese di farsi conoscere dalla critica e dal mondo dell’arte. Francesco Misuraca è un artista di Roccella Jonica (RC) nato come orafo. Frequenta la scuola di formazione a Napoli dove ha avuto modo di appassionarsi all’arte e di scoprire il suo talento per la produzione scultorea. Sperimenta diversi materiali quali: gesso, legno , vetroresina, ferro e naturalmente oro e argento. Non è un artista che vive in un mondo parallelo, ci vive dentro, cercando di lasciare il proprio messaggio su tematiche forti e radicate come la mafia. Realizza l’opera “Pilastro contro la mafia”: un uomo parzialmente visibile all’interno di un pilastro di cemento, rievocazione delle modalità di lupara bianca praticate dalla mafia. Nella sua ultima Personale, “I colori dell’anima” , la vetroresina si tramuta in qualcosa di liquido e riesce a condurre l’osservatore al cuore delle pulsioni umane. Nel 2015 realizza il progetto “Hearsharing”, un orecchio, il suo, in gesso, riprodotto in grandi quantità e lasciato in giro per il mondo per sentire sensazioni, emozioni. Essere parte del mondo oltrepassando i limiti che la fisicità impone. Nel 2016 è il ferro ad essere protagonista delle sue opere. L’artista trasmette attraverso l’utilizzo di un materiale freddo e duro, le emozioni che hanno caratterizzato momenti intensi della sua vita. Il ferro si trasforma in una donna (la filosofia) in dolce attesa (la parola) “Scholè e la nascita della parola”, “Viaggio verso il diverso” un cammino interiore fatto di scale che esplorano l’Io più nascosto; “Martinika”, scarti di ferro rinati a dar forma ad un veliero.

“L’Aratro”colpisceancora! Domenica 5 febbraio si è tenuta a Siderno la quinta edizione della mostra “Scambio di trattori e attrezzature agricole“

Un gruppo di amici e una forte passione comune sono i presupposti vincenti dell’Associazione “L’Aratro”. Fondata sei anni fa, ha sede principale a Gerace e opera sull’intero territorio calabrese con particolare attenzione al comprensorio della Locride con il fine unico di valorizzare l’agricoltura, l’ambiente e le tradizioni rurali. L’Associazione, senza fini di lucro, ha scelto di appellarsi “L’Aratro” facendo quindi riferimento a quello strumento così antico, poi innovato, che sin dai tempi remoti è stato un valido aiuto ai contadini per preparare il terreno alle varie lavorazioni e alla semina. L’aratro, quindi, come simbolo di robustezza e forza che simboleggia il temperamento dei soci fondatori nel portare avanti le tradizioni legate alla cultura della terra. L’operato dell’Associazione è attivo su più fronti: dalla riscoperta delle antiche tradizioni contadine alla divulgazione di tecniche agronomiche basate sul concetto di eco sostenibilità, all’organizzazione di corsi professionali. Domenica 5 febbraio ha avuto luogo una delle ultime iniziative. Si è tenuta, a Siderno, la quinta edizione della mostra “Scambio di trattori e attrezzature agricole” proposta dal socio Pino Spadaro e approvata dagli altri membri. Oltre all’esposizione di strumenti di lavorazione agricola moderna, gli organizzatori hanno allestito, per l’evento, un museo contadino in cui erano presenti aratri in legno, erano esposti quadri storici degli anni ‘30 raffiguranti il mondo contadino e, ad accompagnare la visita dei partecipanti c’erano i racconti degli organizzatori che illustravano, tra l’altro, anche le antiche unità di misura dell’olio.

Ripercorrendo la storia dell’agricoltura attraverso gli attrezzi antichi, i visitatori hanno avuto modo di poter constatare la profonda innovazione dell’aratro moderno, per esempio, e dei vantaggi nella tempistica della lavorazione della terra rispetto a quello antico, in legno. “Vi era anche la presenza di uno stand gastronomico per la consumazione, e anche la prova dimostrativa degli strumenti agricoli moderni. Per non trascurare proprio nessuno e per incuriosire e iniziare anche i più piccoli al mondo rurale, erano presenti mezzi agricoli in miniatura” - ha precisato Pino Spadaro. “All’iniziativa si è contata la presenza dei più giovani o i partecipanti sono stati essenzialmente uomini che hanno maturato questo interesse negli anni?” - chiedo.

“No. C’erano anche molti ragazzi che frequentano l’Istituto Agrario. C’erano anche dei bambini! Sembravano interessati all’iniziativa. Ultimamente c’è un crescente impegno alla coltivazione della terra e a tutte le attività agricole e di allevamento. Ci sono vari finanziamenti che incentivano, per esempio, l’allevamento dei maiali neri.” - ha detto. Noi di questo abbiamo conferma. Antonio abita a Siderno e ha dodici anni. A differenza dei suoi coetanei sul suo cellulare ha immagini di trattori e attrezzi agricoli. Subisce il fascino di questo mondo. Va a scuola, fa i compiti e quando è possibile va ad ammirare quegli strumenti che gli piacciono tanto. Da quando Pino Spadaro ha organizzato queste manifestazioni insieme agli altri soci, Antonio si è premurato di lasciargli il suo numero di cellulare con la promessa che, per ogni iniziativa, lo avrebbe avvisato: ci teneva ad essere presente. Domenica 5 Febbraio c’era anche lui. “Antonio, è stata una bella giornata?”- chiedo. “Sì, ci siamo divertiti - afferma con un insolito luccichìo negli occhi - ho provato l’escavatore piccolino. Bello!” “Continuerai ad andare alle manifestazioni dell’Associazione?” - domando. “Certo. Ho detto a Pino di chiamarmi sempre. Mi piace andare. È interessante” - ha risposto. Pino Spadaro (e con lui l’intera Associazione) sarà sicuramente orgoglioso di questo piccolo futuro trattorista. Conclude, infatti, la chiacchierata affermando: “Noi dell’Associazione L’Aratro siamo soddisfatti e continueremo a impegnarci in questo settore e a organizzare piccoli eventi con la speranza di un consenso sempre crescente”. Sara Leone


CULTURA E SOCIETÀ

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I FRUTTI DIMENTICATI

A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI

DOMENICA 19 FEBBRAIO 20

ALLA FAMIGLIA PEDULLÀ, DOPO IL TERREMOTO CHE COLPÌ FERRUZZANO IL 23 OTTOBRE 1907, RESTÒ IN EREDITÀ SOLO LA SPLENDIDA VITE DA TAVOLA, CHIAMATA “CERASOLA” PERCHÉ GLI ACINI DEL SUO SPLENDIDO GRAPPOLO ERANO ROSSI E ROTONDI COME LE CILIEGIE.

Vitis Vinifera / Fam. Vitacee

Cerasola di Ferruzzano La vite è stata tramandata da un passato remoto proficuo, laborioso e perso per sempre a un presente privo di aspettative, specie per il territorio.

In un passato ormai lontano, tale vite possedeva la peculiarità di essere il frutto totemico di una famiglia di Ferruzzano, quando essa era influente come quel territorio ormai decaduto e degradato a cui il frutto appartiene. La famiglia in questione si chiamava Pedullà e si tramandava di padre in figlio un braccio d’oro da utilizzare in caso di bisogno, seppellito sotto una parte precisa di una delle sue tante case di Ferruzzano Superiore. Il 23 ottobre del 1907, tuttavia, ci fu un sisma con epicentro nel paese, la cui parte più importante fu rasa al suolo provocando circa duecento morti e un’emigrazione di massa verso gli Stati Uniti d’America. A partire da quel momento, il paese cominciò a morire come era morto il depositario del segreto che riguardava il braccio d’oro. Alla famiglia Pedullà restò in eredità la splendida vite da tavola, chiamata Cerasola perché gli acini del suo splendido grappolo erano rossi e rotondi come le ciliegie. Specie se piantata in terreni sciolti, essa dava regalava grappoli stupendi. Nel 2002, proseguendo un percorso intrapreso nel 1978 tendente alla salvezza delle tante preziose viti della provincia di Reggio, visitai la vigna della famiglia Romeo-Pedullà in contrada San Pietro, costituita solo da viti del territorio restando incan-

tato di fronte ai grappoli di una vite: la Cerasola. La signora Santa, moglie di Antonino Romeo, mi raccontò che tale vite l’aveva trasferita dalla vigna della sua famiglia ubicata in contrada Judario (il villaggio degli ebrei) quando si era sposata, e che ormai esisteva solo in quel posto, per giunta in due soli esemplari allevati a pergola, potati “a spalla” perché potessero fruttificare. Mi raccontò che la sua famiglia aveva sempre utilizzato l’uva di quella vite solo per fare dei doni durante il periodo estivo a persone di riguardo, che restavano stupefatte nell’osservare i grappoli, belli da vedere, e si provava quasi un disagio a rovinarli, mangiandone gli acini. Si ricordava quando, già matura, ai primi di settembre, in occasione della festa della Madonna della Catena, dentro un paniere confezionato apposta, di canna e verga, i suoi grappoli venivano portati in dono a un cugino professionista di Bruzzano, mentre un altro paniere, sempre nuovo, veniva riempito in occasione della Madonna dell’Addolorata, verso la metà di settembre, e regalato a un’altra famiglia distinta del paese. Accanto c’era un’altra vite particolare, la Petrisa Janca, con cui si confezionava l’uva sotto spirito perché dura, dolce e croccante ed era la sua

degna compagna di viaggio, verso le mense di riguardo. Certamente non mancavano nella vigna di Judario lo zibibbo e lo zibibbo moscato, che con il loro aroma insidiavano la supremazia della Cerasola. La vite era stata tramandata da un passato remoto proficuo, laborioso e perso per sempre a un presente privo di aspettative, specie per il territorio. Certamente era stata la regina delle vigne già nel “villaggio degli ebrei”, dove forse la comunità ebraica produceva vino Kosher, contenuto in urne destinate ad altre comunità ebraiche lontane, sulle cui anse era impressa la Menorah, e vicino al putridario, dove si era disfatto il cadavere di qualche monaca in odore di santità appartenuta al monastero di San Clemente, secondo le ricerche dell’archeologo onorario Sebastiano Stranges di San Luca. Da quel posto prestigioso era stata trasferita in un altro non di meno, in quanto piantumata vicino ai ruderi della chiesetta bizantina di San Pietro e non lontano dalla sorgente dedicata allo stesso santo, ma in un periodo di decadenza. La vigna, ormai, è arrivata al capolinea e sta per essere estirpata. Forse la Cerasola, degna della mensa di un re, sarà risparmiata, ma non è detto che non sarà cancellata per sempre. Chi la salverà?

La felicità del vivere in piccolo Il libro della scrittrice Dominique Loreau sostiene che in pochi metri quadrati si vive meglio e la Keret House ci convince che le dimensioni non contino, e che soltanto restando piccoli si riuscirà a diventare felici. PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO La classe media scompare anche nell’abitare: per ogni fantastiliardario che si costruisce una casa da megalomane, milioni di case minuscole spuntano in ogni città del mondo. Le ragioni sono ovvie: crisi economica, mancanza di spazio, sovrabbondanza demografica. Ma il genio del mercato è anche saper ribaltare la sfortuna in moda e la necessità in virtù. Così ci si convince che le dimensioni non contino, e che soltanto restando piccoli si riuscirà a diventare felici. È la tesi di un libro: Vivere in piccolo della scrittrice francese Dominique Loreau. Nel libretto fioccano citazioni di Henry David Thoreau e Richard Bach, insieme a proverbi cinesi e massime di oscuri maestri taoisti. E si leggono frasi di sconcertante banalità: «Gli appartamenti piccoli attirano meno i ladri», «più lo spazio è limitato e più la mente è illimitata» o, ancora, «è più facile mettere in disordine un grande appartamento che uno piccolo». Tuttavia se l’entusiasmo di Loreau lascia il tempo che trova, è anche vero che alcune delle cose interessanti che accadono in architettura sono minuscole. Il successo dei minicottage inglesi, delle tiny houses americane e delle case prefabbricate, smontabili e trasportabili, sono segnali che la casa è sempre meno concepita in funzione dell’eternità, e sempre più come qualcosa da usare. Il celebre Cabanon di Le Corbusier, la cabina 3,6 x 3,6 metri a Cap Saint Martin in Costa Azzurra dove il grande architetto passava le estati, da bizzarria architettonica diventa un modello. Il mito della casa di proprietà che nel secolo scorso costituiva insieme alla famiglia la base

della nostra organizzazione societaria sta tramontando. La casa è concepita come servizio . È lo stesso principio di Uber, di BlaBlaCar e di Airbnb. A Hong Kong, è possibile visitare la casa di Gary Chang, un architetto celebre per l’ossessività con cui ha riprogettato i 32 metri quadri della stanza in cui abita in modo da utilizzare ogni centimetro grazie a pannelli di metallo, mobili a scomparsa, tende che si trasformano in schermi. Certo Hong Kong è un’isola strappata al mare dove ogni centimetro è impor-

tante e l’ossessione di Chang non è un fatto privato. Nella maggior parte degli appartamenti di Hong Kong ormai ci sono solo il letto, la lavatrice e il bagno. Lo stesso avviene a Pechino, San Francisco, New York a Tokio . La cucina, per esempio, tende a scomparire perché si mangia sempre fuori. L’erosione dello spazio privato determina una parallela trasformazione dello spazio pubblico. La città diventa un enorme pianoterra diffuso; infatti, sempre più spesso, bar e ristoranti sono arredati come

case, con divani, camini, tappeti. Il ridursi dello spazio abitativo spinge a rafforzare quello pubblico, a mettere in comune servizi; così spunta la biblioteca comune ricavata dalla portineria di un condominio al numero 12 di via Rembrandt, nel quartiere Lorenteggio, a Milano. Sfumando i confini tra interno ed esterno, la soglia arretra e al contempo scompare. È il tema del co-working, dei ristoranti in casa, degli asili o degli orti di condominio, tutti sintomi, magari momentanei, di un ritorno a modi di abitare più simili alla cascina e alla casa di ringhiera che alla chiusura a tenuta stagna della casa borghese. È anche un effetto delle tecnologie. Se le reti entrano in casa e la collegano al mondo, la pervasività della sfera pubblica virtuale induce anche a reagire, a uscire davvero per verificare la permanenza del mondo reale. Dentro la casa non abita più soltanto chi c’è: in ogni istante si convive con i gruppi WhatsApp delle classi dei figli o del lavoro, e l’identità si libera dall’ancoraggio a un unico luogo, che però diventa ancora più forte, perché più intimo. Ma nessuna casa svela i propri segreti e angoli bui. Il piccolo è misterioso almeno quanto il grande. La casa-guscio, estensione del corpo, avvolge ma può fare paura. Fa paura perché “il piccolo” apre la strada all’esplorazione di un mondo sconosciuto, di una nuova frontiera; ed è per questo che c’è molto da imparare dalla casa più stretta del mondo (dai 72 ai 122 centimetri) di 14 metri quadri costruita dallo scrittore israeliano Etgar Keret in memoria dei propri antenati deportati a Varsavia. Si tratta di un alloggio che si estende verticalmente dove c’è tutto: cucina, bagno, camera da letto. Non manca nulla. Nonostante questo, per la legge, casa Keret non può essere classificata come un vero e proprio spazio abitativo, ma è considerata un’installazione artistica. Chi l’ha visitata ha detto che la felicità non si misura per metro quadro.



RIVIERA

L’homo ridens Il nostro inviato speciale, Gigi Sarroino, dopo la kermesse sanremese trova ancora tempo di posare con personalità illustri. In questo scatto con il comico siciliano Sasà Selvaggio.

Rappresentanti dello Stilaro Nicola Gara, assessore di Monasterace, Enzo Minervino a rappresentanza di Stilo, Felice Valenti, sindaco di Bivongi e Sandro Taverniti, primo cittadino di Pazzano, posano a simbolica rappresentanza della vallata comprensoriale.

Locri nazionale Martina Cacciola, Federica Marino e Antonella Sabatino sono le tre esponenti dello Sporting Locri selezionale per la Nazionale di Futsal Femminile! È proprio vero che non c’è niente di più bello che far avverare i sogni dei bambini!

Rimpatriata L’architetto Pasquale Giurleo e il professore Giuseppe Fera si incontrano dopo tanti anni all’Hotel President di Siderno in occasione del convegno su Città Metropolitana e cittadinanza attiva.

Rotariani DOC Il dottore Giovanni Condemi e Gigi Brugnano, compagni di Rotary Club, attendono con ansia l’inizio del convegno su Città Metropolitana e cittadinanza attiva tenendosi reciproca compagnia.

La grande alleanza Daniele Albanese e Maria Teresa Badolisano, rappresentanti rispettivamente di maggioranza e minoranza al Comune di Marina di Gioiosa Jonica, fanno fronte comune per affrontare col sorriso le difficoltà che attanagliano la giunta comunale.

Onorevoli ricorrenze Il presidente del Comitato Pro Piazza Cavone nonché sindaco onorario di Siderno Superiore Aldo Caccamo festeggia il proprio compleanno rallegrato da una vasta scelta di dolci.

Compagni di vecchia data Stefano Catalano, in ottima compagnia di Giovanni Calabrese, ricorda il periodo in cui collaborava con il primo cittadino di Locri nell’amministrazione della Provincia di Reggio Calabria.

Sidernesi’s Karma Anche noi abbiamo il nostro Francesco Gabbani: trattasi di Anthony Voice, intrattenitore locale separato alla nascita dal cantautore che ha vinto il Festival di Sanremo! Prove di fusione L’assessore del comune di Locri Anna Sofia e la rappresentante dell’ordine dei ragionieri di Siderno Teresa Macrì anticipano la fusione tra i due comuni del comprensorio rivelandoci un insospettabile legame familiare. Grandezza Interiore Appena saputo della sua vittoria, Francesco Gabbani si è inchinato rispettosamente dinanzi alla grandezza di Fiorella Mannoia, chiedendole persino scusa per averla privata di una prima posizione che avrebbe ampiamente meritato. Eppure, così facendo, il giovane cantautore ha dimostrato di meritare il premio non solo per l’originalità della sua canzone. Applausi!


SETTIMANALE

Il letale e anacronistico ossimoro del Palazzo - 2

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DOMENICA 19 FEBBRAIO

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A integrazione di “tutti cantano Sanremo” vi faccio presente che sono riuscito a conoscere i compensi di alcune “STAR” di MAMMA RAI. Antonella Clerici – Per due anni costa 3 milioni tra Prova del cuoco e Ti lascio una canzone (vitto compreso, però quanto mangia!). Bruno Vespa Aveva un minimo garantito da 1,8 milioni, ma ne ha incassato uno di più (per questo si strofina continuamente le mani). Lucia Annunziata - Prende 460mila euro a stagione, in forza di un contratto triennale da 1,3 milioni (molto comodo essere contro) Flavio Insinna per Affari tuoi, su Rai1, incassa 1,2 milioni a stagione (come sai giocare con i pacchi, core de mamma). Fabrizio Frizzi ha guadagnato 181mila euro più del previsto. Massimo Giletti, l'irreprensibile fustigatore, specialmente di noi calabresi, per L’Arena ha un minimo garantito di 500mila euro l’anno, nel 2016 però ne ha incassati 313mila di più per extra. Non conosco il compenso di Pippo Baudo e di Milly Carlucci, però, se consideriamo che nel 1986 per averli alla Fininvest, quindi in uscita, Berlusconi ha pagato 20 miliardi di lire per 5 anni a Baudo e 5 miliardi per tre anni alla Carlucci, con molta probabilità i contratti di ritorno in Rai saranno milionari, non di certo bruscolini. Ma torniamo all'ossimoro del Palazzo. Anzitutto, doverosamente e sinceramente chiedo scusa perché non ho scritto che il libro di Irene Testa è edito da Rubettino, la prestigiosa casa editrice vanto della calabresità. L'altra notte mi è apparso in sonno il Sommo Poeta che, con l'espressione mista fra il corrucciato e il perplesso, mi ha ripetuto i versi del canto V dell’Inferno: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (già nel 1300 c'era la CASTA e non in senso vergineo!). Non ho assolutamente la presunzione di essere un novello Tommaso Campanella, il nostro (calabrese) filosofo: “io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia”. La notte successiva, Dante era accompagnato da Hans Christian Andersen. Mi raccontò la fiaba che parla di un imperatore vanitoso, completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore e in particolare del suo abbigliamento. Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani, invitati dal re non riescono a vederlo; ma per non essere giudicati male, riferiscono all'imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L'imperatore, convinto, si fa preparare dagli imbroglioni un abito. Quando questo gli viene consegnato, però, l'imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché; attribuendo la non visione del tessuto a una sua indegnità che egli certo conosce, come i suoi cortigiani prima di lui, anch'egli decide di fingere e di mostrarsi estasiato per il lavoro dei tessitori. Col nuovo vestito sfila per le vie della città di fronte a una folla di cittadini i quali applaudono e lodano a gran voce l'eleganza del sovrano, pur non vedendo alcunché nemmeno essi e sentendosi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. L'incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida con innocenza "Ma il re non ha niente addosso!" (o, secondo una

variante, "Il re è nudo!”). Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo! Con una telecamera nascosta, una giornalista scopre, nei meandri del Palazzo di Montecitorio, una realtà sin ora ignota. Il filmato svela, ad esempio, l’esistenza di un’agenzia viaggi dedicata alle trasferte dei deputati e ricorda che i costi per i soggiorni dei parlamentari nella legislatura ammontano a 26milioni di euro, dei quali 8,5 milioni per i rimborsi viaggio. I lussuosi bagni, invece, sono presidiati dai commessi 24 ore su 24. Quelli per le donne, in particolare, sono dotati di dispenser caricati di profumo Chanel. È proprio vero che il parlamentare si vede nel bisogno! L’esplorazione della giornalista prosegue fino alla grande sala del “barbiere della Camera”, dotata di marmi e poltrone in pelle: qui anche le donne possono usufruire del servizio con appositi bonus. La scoperta più incredibile riguarda il sistema sanitario (ne riparleremo): non solo esistono un numero verde di consulenza e un’assistenza domiciliare gratuite, anche per i familiari, ma le cure mediche per i parlamentari sono completamente rimborsate da una cassa speciale, il Fondo di solidarietà, che, contrariamente a quanto dicono, paghiamo in sostanza noi (I nostri consiglieri regionali vorrebbero che anche la Calabria si adeguasse per la loro pensione, interpreti come sono delle vere esigenze dei cittadini!). È stata presentata una singola richiesta di € 40.000 per cure odontoiatriche! I rimborsi includono voci come la fangoterapia, le grotte termali, la bagnoterapia, l'elioterapia, servizi a cui i deputati possono accedere persino con la propria famiglia o col proprio convivente “more-uxorio” (More uxorio, come sapete, è un'espressione latina che significa “Come marito e moglie”. Questa frase viene utilizzata quando vengono estese a delle coppie di fatto dei diritti, degli oneri, dei privilegi o degli obblighi tipici delle coppie unite in matrimonio. Ma, sbaglio, o ancora in Italia non è previsto? Al Parlamento SÌ). E, infatti, la giornalista scopre un super-presidio sanitario, che conta un’infermeria, una sala per fisioterapia e cinque studi medici. A questo si aggiunge un’area relax dotata di attrezzi ginnici e sauna, presidiata da due commessi. Ma i Parlamentari non “stanno seriamente lavorando, come cantava Edoardo Bennato? A riguardo sono stati chiesti lumi sotto quale presidenza sia stata installata. Tutti, però, hanno risposto di non saperne nulla. Si paventa che ci saranno elezioni anticipate. Alcuni le vogliono subito. Dicono che non ci pensano e giurano che le preoccupazioni sono altre, ma il pensiero in testa ce l’hanno tutti o quasi: se si va al voto anticipato prima del 15 settembre 2017, ben 608 parlamentari perdono la pensione. Pensate che in nome della coerenza politica la gran parte di questi signori rinunci così facilmente alla pensione? Tutto possiamo imputare ai nostri politici, non a tutti per fortuna, ma, di certo, non sono masochisti, molti sono abili e artisti. L'abilità sta nel saper sviare le domande e l'arte sta nel non farsele porre. Continua… Tonino Carneri

Pro Piazza Cavone rinnova il direttivo e vi dà appuntamento al 26 febbraio

In questi giorni è stato rinnovato il direttivo del Comitato “Pro Piazza Cavone”, a Siderno Superiore. Sono stati eletti Presidente Aldo Caccamo, vice presidente Vittoria Luciano, segretario Vincenzo Schirripa, Tesoriere Giuseppe Longo. I componenti sono: Gianluca Barbaro, Domenico Bolognino, Giovanna Bolognino, Giuseppe Calautti, Francesco Ferraro, Francesco Figliomeni, Pasquale Luciano, Daniela Marzano, Antonio Scanella, Carmine Scanella e Giuseppe Trichilo. Per il Consiglio Sindacale sono stati

eletti Presidente Simona Scanella, i Componenti Rosamaria Bolognino e Antonio Gardino. Il Comitato “Pro Piazza Cavone” è un’associazione socio-culturale, senza fini di lucro, che ha lo scopo di accrescere la coscienza civile e l’interesse dei cittadini al fine di favorire la crescita culturale e sociale del centro storico. Il Comitato informa i cittadini che domenica 26 febbraio 2017, alle ore 10:30, a Siderno Superiore, in Piazza Cavone, si terrà “ La farsa d Carnevale: Casa Micciula”, scritta e diretta da Salvatore Mazzitelli.



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