MANIFESTAZIONE D’INTERESSE
Cercasi ortaggi LA SAOR ITALIA SRL, INDUSTRIA DI GIOIOSA IONICA, PROTAGONISTA DELL'EXPORT AGROALIMENTARE CALABRESE CERCA AZIENDE AGRICOLE CHE FORNISCANO FRUTTA E ORTAGGI, INGREDIENTI UTILIZZATI NELLE PROPRIE RICETTE. Il nostro territorio può contare su un parterre importante di piccole aziende agricole che purtroppo devono fare i conti con politiche sbagliate e con la scarsa attenzione che si riserva al territorio, vivendo grosse difficoltà a operare per via dei disagi legati allo stato della viabilità interna e per le peggiorate condizioni finanziarie che hanno isolato ancora di più le micro imprese. La SAOR ITALIA srl, industria agroalimentare di Gioiosa Ionica che commercializza unicamente all'estero antipasti, marmellate, sughi fatti con prodotti calabresi freschi e biologici, lancia un'importante iniziativa a sostegno delle piccole aziende: per far fronte a una domanda in inarrestabile crescita dei propri prodotti, invita tutte le aziende agricole del territorio a fornire le materie prime utilizzate nelle proprie ricette. Frutta e ortaggi prodotti secondo le prescrizioni di legge saranno i benvenuti ed entreranno a far parte di una convivenza costruttiva che creerà crescita economica, occupazione stabile e duratura e che, non da ultimo, avrà stima di sè. Per la creazione e la definizione delle proprie ricette, SAOR ITALIA si avvale della preziosa collaborazione di Chef di lunga esperienza; un pool di esperti collaboratori affianca queste figure professionali al fine di garantire l’ottimizzazione dei processi industriali. Il tutto condito da una costante ricerca verso il miglioramento e l’innovazione. Le aziende che risponderanno all'appello potranno, quindi, avere l'opportunità di lavorare con una squadra dinamica e affia-
tata, condividendo energie e professionalità, che avranno ricadute in tempi strettissimi. L'agricoltura è stato il settore che, in questi anni tremendi di crisi, ha retto, e questo soprattutto grazie all'export, di cui la SAOR ITALIA srl è stata un'importante protagonista. Negli anni i suoi prodotti hanno fatto ingresso nel mercato oltre che europeo, anche australiano, americano, asiatico e sud africano, riuscendo insieme ad altre bellissime realtà calabresi non solo a segnare il passo, ma a rappresentare il cuore, il settore portante della nostra economia. Ecco perché lo sviluppo a cui dobbiamo pensare deve partire da questo patrimonio straordinario che consentirà di proporre ai mercati esteri ricette di primissimo valore enogastronomico, confermando la tradizione mediterranea come un valore indiscusso in tutto il mondo. Il presente invito a manifestare interesse ha valore meramente ricognitivo e non genera, allo stato, diritti soggettivi per le aziende agricole che vi parteciperanno né obblighi negoziali per la SAOR ITALIA srl. All’esito della ricognizione, SAOR ITALIA si riserva di individuare le aziende con cui intenderà avviare un percorso comune. Per info: saor@saorsrl.com
CONTROCOPERTINA
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Russiagate:
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l’FBI controTrump Il Presidente degli Stati Uniti d’America ha contro di sé due tra le forze investigative più potenti della sua nazione.
ndipendentemente o no che i fatti sotto indagine da parte dell’FBI e dell’NSA siano veri o falsi, cioè se Trump abbia vinto le elezioni grazie al supporto della Grande Madre Russia, c’è un fatto che chi sta fuori può vedere forse meglio di chi sta dentro: il Presidente degli Stati Uniti d’America ha contro di sé due tra le forze investigative più potenti della sua nazione. Quanto confermato il 21 marzo alla Camera dal presidente FBI, James Comey, un bell’uomo che guarda dritto il Commissario per l’indagine, David Nunes, senza incepparsi su una sola parola, sono solo le indagini in corso. Perché farlo? L’FBI non lo fa mai, se non per casi particolari, come questo. “Come questo” dovrebbe includere a nostro avviso anche la vittoria di George W. Bush (il Bush piccolo, un Buscetta, insomma) e come spin off il mondo intero avrebbe gradito una motivazione vera per il Nobel alla pace a Barack Adolf Obama, che ha seminato la guerra in Medioriente. Certo, ci sarebbe piaciuto che accadesse come alla notte degli Oscar, che glielo prendessero dalle mani e lo dessero a qualche eremita bantu. Il palesamento delle indagini è quanto mai insolito, poiché nessuno dei due rappresentanti interrogati, né Comey dell’FBI, né l’ammiraglio Michael Rogers dell’NSA, a domanda diretta “avete le prove?”, ha potuto rispondere con un no pensoso. Ma Comey, che - giova ricordare - aveva scagionato totalmente H. Clinton dallo scandalo sulle mail, affer-
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mando che non c’erano alcuni contenuti riservati nella posta da lei inviata, ha tenuto a precisare che: “Trump odiava la Segretaria di Stato Hillary Clinton così tanto che il rovescio della medaglia era avere una chiara preferenza per la persona che correva contro di lei. Inoltre, Putin preferisce avere a che fare con gli uomini d’affari perché è più facile trattare con loro e sono più aperti al negoziato”. Citati tra questi Gerhard Schroeder e Silvio Berlusconi. Alla domanda se per la Russia fosse così importante avere Trump al governo che H. Clinton dovesse essere necessariamente boicottata, Comey ha alzato la mano e ha ruotato due dita, dicendo: “La prima cosa coincide con la seconda”. La Russia non voleva Clinton, la guerrafondaia, voleva Trump, l’affarista. Ora FBI e NSA sono apertamente in guerra contro l’affarista, dopo aver difeso la guerrafondaia. A voler pensar male, si potrebbe dire che i servizi segreti hanno un disperato bisogno di guerra in Medioriente, di razzismo e islamofobia, che Clinton avrebbe comunque subdolamente garantito come ha fatto Adolf Obama. Ma Trump quanto a razzismo non è un pivello. La discriminante? La guerra in medioriente e le tensioni con la Russia con Trump vedrebbero vita più dura. E a noi questo fa indicibilmente comodo. Lidia Zitara
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ATTUALITÀ
L’INTERVISTA
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DOMENICA 26 MARZO
GIUDIZIARIA
L’uso delle informazioni “anonime”
Alla marcia per la XXII Giornata della Memoria, tenutasi a Locri il 21 marzo scorso, era presente anche il deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni al quale abbiamo chiesto novità in merito alla delicata situazione della ex Bp di Siderno.
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Il 24 novembre scorso, a margine del convegno sulle ragioni del NO al referendum Costituzionale tenutosi presso la Sala Consiliare del Comune di Siderno, il deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha rivelato di aver presentato un’interrogazione a risposta scritta al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Ambiente e al Ministro della Salute in merito alla delicata situazione della ex BP di Siderno. Lo abbiamo incontrato, martedì scorso a Locri, durante la marcia per la XXII Giornata della Memoria. Oggi, insieme ai familiari delle vittime della mafia, ci sono anche i cittadini di Siderno, vittime della cosiddetta ecomafia. Per la situazione di Pantanizzi ci sono state anche delle interrogazioni parlamentari. Cosa è stato deciso fino ad oggi? Abbiamo messo in campo gli strumenti parlamentari di cui disponiamo, ho inviato il materiale alla commissione d’inchiesta sui rifiuti perchè ci possa essere un’ulteriore elemento di intervento e di pressione. Continueremo a sollecitare l’attenzione su Pantanizzi fino a quando non ci daranno una risposta, e una risposta valida, perchè la situazione di Pantanizzi continua oggi a essere motivo di inquietudine e pericolo per i sidernesi. Com’è possibile, secondo lei, che per dodici anni tutto questo sia stato tenuto nascosto? È possibile in un paese come il nostro nel quale troppo spesso gli interessi economici arrivano molto prima alle orecchie delle istituzioni di quanto non arrivino gli interessi dei cittadini, interessi che hanno a che fare con la tutela dell’ambiente, della salute... Questo è il segnale di un paese malato, di un paese che andrebbe radicalmente cambiato. Quella di Pantanizzi è una storia che ha analogie con tante altre storie italiane, come spesso viene scoperto sull’onda di nuove inchieste e verifiche, da nord a sud, senza eccezioni. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma: intanto è necessario comprendere che la tutela della salute e del territorio sono condizioni fondamentali per garantire ai cittadini una vita degna e libera. Mettere al centro la tutela dell’ambiente, del territorio e della salute significa anche immaginare un altro modello di sviluppo. Per questo noi siamo quotidianamente pronti a sostenere le battaglie di comitati, associazioni, che per fortuna hanno sempre mantenuto vigile l’attenzione e anche forte l’iniziativa. Mgc
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Fratoianni: "Finchè non ci daranno delle risposte sul dramma di Pantanizzi, non ci fermeremo"
“I risultati delle intercettazioni disposte per la ricerca del latitante anche sulla base di informazioni anonime, possono essere utilizzati anche in procedimenti diversi ove risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”. È quanto ha stabilito una recente sentenza della Corte di Cassazione con riferimento agli esiti del ricorso promosso a seguito di una pronuncia che ha riguardato il caso di due imputati condannati dalla Corte di appello di Reggio Calabria entrambi a 3 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione e 12 mila euro di multa, per avere “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, illegalmente acquistato, detenuto, trasportato e ceduto gr. 150 circa di sostanza del tipo cocaina per un valore complessivo di 1.250,00 euro”. All’esito della sentenza di secondo grado la difesa di un imputato ha eccepito la violazione di legge e vizi motivazionali, deducendo la inutilizzabilità dei risultati delle operazioni di intercettazione delle comunicazioni eseguite sull’autoveicolo in uso al coimputato, poiché tali operazioni erano state disposte “in virtù di dichiarazioni confidenzialmente apprese da informatore rimasto ignoto per agevolare la ricerca di un latitante per cui i risultati delle operazioni di intercettazione delle comunicazioni (risultati, poi, impiegati per motivare i decreti di proroga delle operazioni medesime) dovevano ritenersi inutilizzabili”. Sul punto i giudici della Cassazione evidenziano “Tali intercettazioni non sono, a rigore, un mezzo di ricerca della prova in quanto vengono disposte al fine di agevolare le ricerche di chi volontariamente si sottragga ad una misura cautelare coercitiva o a un ordine di carcerazione”. Corretto è, secondo gli Ermellini, quanto ritenuto dalla Corte del merito laddove evidenzia che: “i presupposti per l’autorizzazione delle intercettazioni sono del tutto differenti a seconda che s’intenda cercare la prova della commissione di un reato, ovvero agevolare le ricerche del latitante. In questo ultimo caso, non è richiesta la sussistenza del presupposto dei gravi indizi di reato per la semplice ragione che lo stato di latitanza si fonda su una ordinanza cautelare o su un ordine di esecuzione conseguente ad una sentenza di condanna definitiva e, quindi, si è già in una fase in cui si è acclarato che a carico dell’indagato/condannato sussiste la gravità degli indizi (se indagato) o addirittura una sentenza di condanna (se condannato)”. Di conseguenza la Corte di Cassazione, rigettando i ricorsi, ha evidenziato: “La correttezza dei riferiti assunti si fonda anche sui principi secondo cui le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni disposte per la ricerca dei latitanti possono essere autorizzate anche sulla base di informazioni anonime, prescindendo dai presupposti per l’applicazione dell’art. 203 cpp, e possono essere utilizzate anche in procedimenti diversi, non operando in tal caso i divieti di utilizzazione posti dall’art. 271 cpp”.
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I dato rea e
di Franco Crinò
Nel suo "Abbiamo fatto molta strada-Sillabario laico" , per spiegare le parole, Umberto Veronesi usa dati reali. La COMUNICAZIONE ormai fa la differenza pressocchè in tutto. La politica si accolla le conseguenze di come la usa. Se infinocchia il cittadino deve ricevere una penalizzazione. In campo medico, al paziente devono essere dette con onestà le possibilità di successo e i rischi di una cura o di un intervento. Un esperimento condotto in Emilia in un centro per diabetici (Veronesi cita questo esempio) dimostrò che al di la' dei controlli e delle terapie, era proprio la buona comunicazione a dare ai pazienti gli effetti migliori. Stiamo attenti, e' proprio di questi giorni la cattiva comunicazione sulle vaccinazioni, che rimangono importantissime. Quanto ALL'ISTRUZIONE, si confermano ogni anno, anche nel nostro comprensorio, i dati negativi della dispersione scolastica. C'è chi vorrebbe andare a scuola e non può (specie nei paesi sottosviluppati) e chi invece ha l'opportunità di farlo e non lo fa. Tullio De Mauro ci ricordava che oggi soltanto il 20 per cento ha un’istruzione di base (lettura, scrittura,calcolo) sufficiente per potersela cavare nella società contemporanea. Lo centriamo bene il discorso sulla QUALITÀ DELLA VITA ? Oggi si vive piu' a lungo, ma come si vive te lo deve dire lo stato di salute. Se negli ultimi 15 o 20 anni di vita si è oppressi da disturbi gravi o limitativi, la media della qualità della vita si abbassa. Sull'eutanasia la discussione ha ripreso vigore. Veronesi deve essere annoverato tra i favorevoli, basta vedere come si è accostato alla morte. La canzone dice "Andiamo avanti nella vita, regalandoci altra vita". Ma se vivi veramente, se non sei distrutto dal dolore, se non ti trascini in una esistenza penosa! Veronesi diceva di non avere prove dell'esistenza di Dio , ma nemmeno del fatto che non esiste. E che comunque esiste una MORALE LAICA valida quanto la fede in Dio. Con la quale "pensare all'uomo".
Le parole di umberto veronesi (1)
LA MANIFESTAZIONE
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Il 21 marzo a Locri è stata mostrata, ancora una volta, l’antimafia in divisa, mettendo su un teatro all’aperto da cui un prete in odore di santità istituzionale ha preteso di consolare i familiari delle vittime della mafia propinando loro un debole copione.
Uno sbirro
non fa primavera
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO
“Siete meravigliosi” - ha detto ai ragazzi intervenuti. “Meravigliosi” - ha ripetuto, senza guardarli negli occhi ma continuando a fissare il testo del suo discorso. Ho ascoltato attentamente l’intervento di Don Ciotti, martedì scorso, perchè il suo tono da reclame in vinile era irresistibile. Un’accozzaglia di frasi fatte, di frasi pronunciate da altri (Don Italo, Corrado Alvaro). Tra le sue, quella che ho trovato più interessante è stata l’ultima: “La vera terra promessa è il coraggio dell’impegno di costruirla”. Poi, vengo a scoprire, però, che Don Ciotti non ci ha affatto riservato l’esclusiva. Si tratta, infatti, di una frase che aveva già pronunciato il 22 marzo 2014, in occasione della XIX Giornata della Memoria dal palco di Piazza del Popolo, a Latina. Così come fa parte di un copione già letto la frase che molti hanno ripreso sui propri profili facebook abbinandola al selfie della giornata: “E se incontrerete chi sa tutto, chi ha capito tutto, mi raccomando, salutatemelo. Poi, però, vi prego, cambiate strada”. Le stesse identiche parole sono state pronunciate il 25 gennaio 2013 presso il Teatro Alcione di Verona, in occasione del primo incontro del progetto “Educare alla Legalità”, organizzato dalla rete Prospettiva Famiglia e ribadite il 20 novembre 2016 durante l’incontro a Stefanaconi, nel vibonese, con gli allievi di una scuola incendiata da ignoti. In quest’ultimo caso, Don Ciotti aveva anche raccomandato, così come il 21 marzo scorso a Locri, di diffidare dei navigatori solitari. Non ho avuto il tempo, nè tanto meno la voglia, di verificare se altre frasi sono state estrapolate da suoi discorsi già pronunciati. Eppure è stato lo stesso Don Ciotti, il 29 gennaio 2012, a dichiarare al Museo Diocesano di Tropea: “Non
diventi una moda anche l’educare alla legalità”! Una variazione del copione, in verità, c’è stata “grazie” agli imbrattatori solitari della notte del 20 marzo scorso. Quale sarebbe stato lo slogan della Primavera di Locri se gli ‘ndranghetisti con lo spray in quella bellissima notte videosorvegliata non avessero imbrattato i muri? Cosa si sarebbero inventati? Cosa avrebbero indotto a urlare ai ragazzi intervenuti a migliaia da tutta Italia per una gita organizzata al fine di dare corpo a una sfilata che altrimenti sarebbe stata meno colorata e piena di frange? Mi chiedo, inoltre, perchè estrapolare lo slogan della Giornata della Memoria dalla prima parte della scritta, “meno sbirri”(nei confronti dei quali, si badi bene, non possiamo che nutrire il massi-
reso egemone il convincimento che l’unico contrasto al malaffare sia lo strumento repressivo militare”, ci ha ricordato in un’intervista della settimana scorsa Piero Schirripa, uno che insieme a Natale Bianchi, fece antimafia quando nessuno aveva il coraggio di farlo, creando cooperative che si occupavano dei veri poveri, cooperative che davano lavoro ai soggetti più svantaggiati, tra cui gli ex detenuti, e che per questo furono bollate dalle Procure come mafiose. Pensate un po’... Anche le scritte sui muri di Locri sono state bollate come mafiose. Alla ‘ndrangheta si è subito urlato chiamando a raccolta le telecamere affinchè quelle scritte facessero il giro d’Italia. Sono fiondati in un battibaleno, tanto da generare più clamore della stessa visita di Mattarella: lo si sa benissimo che le tv nazionali accorro-
tinuo passeggiare sul pianerottolo. Ma torniamo al discorso di Don Ciotti. “La legalità - ha affermato - non può essere un insieme di principi sacrosanti ma astratti. Deve essere un ponte tra la responsabilità della singola persona e il ruolo attivo e positivo che giochiamo nella nostra comunità”. Vorrei capire di attivo e concreto esattamente cosa è stato fatto o si ha in programma di fare per questa terra. Perchè, come ho già avuto modo di far notare, non viviamo più nelle campagne di Assisi dove c’è pronto un San Francesco a mediare con il lupo che terrorizza gli abitanti e non siamo più nelle condizioni di sperare di essere salvati da un prete in odore di santità istituzionale. Non si sconfiggerà la ‘ndrangheta mettendo su un teatro all’aperto, non si può pretendere di consolare i familiari delle vittime delle mafie propinando loro un copione. E l’antimafia dei tragediatori, come l’ha definita nel suo libro Francesco Forgione, lo sa benissimo. Altrimenti perchè si sente così insicura da richiedere un cecchino per ogni palazzo che vigili sulla sua sfilata e un elicottero che come una rondine vorrebbe ritagliare nuovi cieli? Nella Locride non basta un “non siamo tutti sbirri” per fare Primavera. Così come non basta ricordarsi di tanto in tanto delle pedine di riserva. Il 21 marzo la festa dell’antimafia è finita. Il giorno dopo viene catturato Santo Vottari. È tra i 30 latitanti più pericolosi secondo l’Europol ed è ricercato dal 2007. Santo Vottari viene ritrovato in un bunker a Benestare. L’ennesimo latitante in casa sua. L’ennesima succosa medaglia di cui naturalmente i teatranti della Primavera di Locri si fregeranno, dando una risposta altisonante a chi crede negli ‘ndranghetisti della bomboletta.
L’antimafia sa benissimo che la ‘ndrangheta non può essere sconfitta mettendo su un teatro all’aperto. Altrimenti perchè si sente così insicura da richiedere un cecchino per ogni palazzo che vigili sulla sua sfilata e un elicottero che come una rondine vorrebbe ritagliare nuovi cieli? mo rispetto), e non piuttosto da “più lavoro”? Oggi i giovani diventano autonomi a quasi 40 anni, quando non sono più giovani. E la situazione è destinata a peggiorare: secondo uno studio della Fondazione Visentini presentato alla Luiss, nel 2030 un ventenne impiegherà 28 anni per diventare grande. E il nostro slancio istintivo è stato quello di stare dalla parte degli sbirri che, in ogni caso, quelle scritte non intendevano attaccare... Si sarebbe potuto proporre qualcosa come “Vi aiuteremo a diventare grandi”, per esempio. Invece si è preferito mostrare, ancora una volta, l’antimafia in divisa. “C’è stato un forte indebolimento del fronte antimafia: questo perchè si è
no in Calabria solo quando sentono lo sfarfallio del fantasma della ‘ndrangheta. Sulle scritte di Locri si è steso di corsa il lenzuolo di quel fantasma, senza un briciolo di prove. A proposito di “chi sa tutto e ha capito tutto”, senza fermarsi a riflettere. Dopo aver riflettutto (sebbene non ci fosse da riflettere tanto) e prima che lo dichiarasse il procuratore Gratteri dando il via a tutti gli altri, noi lo abbiamo detto che quelle scritte non fossero farina del sacco della ‘ndrangheta, abituata a tutt’altra farina. Purtroppo, oggi, c’è chi dalla ‘ndrangheta cerca disperatamente una via d’uscita, per altri, invece, è una porta d’ingresso, per altri ancora un con-
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LA MANIFESTAZIONE
ILARIO AMMENDOLIA La ndrangheta è una tragedia per la nostra Terra e noi non ci scherzeremo sopra, non lo potremmo fare per il rispetto autentico che abbiamo per le vittime della stessa e verso i loro familiari. Non mi piace chi chiama sbirri i poliziotti anche se v’è una innegabile radice storica della parola e si trovano mille adagi popolari che confermano il diffuso uso di questo termine nel dialetto calabrese. Non mi piace chi offende e, nonostante l’età, partecipo e adoro i cortei dei giovani che manifestano per cambiare in meglio la società! Ciò detto, non considero lecito trasformare la tragedia in farsa trasformando una scritta sui muri in una guerra di mafia. Ho provato a immaginarmi il summit segreto delle cosche riunito in seduta straordinaria e urgente per dare una risposta alla manifestazione “antimafia” del 19 marzo. Presenti e al massimo livello tutte le “famiglie” di ndrangheta armate sino ai denti. Una discussione tesa, partecipata a volte nervosa. Relazione introduttiva svolta dal responsabile della “provincia” che si sofferma sulla necessità di una risposta adeguata a quanti erano stati allo stadio comunale il giorno prima. I “saggi compagni” hanno il compito di frenare i più focosi, alla fine però la decisione del summit è unanime, non si userà la classica lupara, né bombe, pistole o coltelli ma un arma micidiale: lo spray di color nero. La missione audace ai limiti dell’impossibile verrà affidata ai più promettenti picciotti di sgarro con la promessa che a termine del delicato incarico loro affidato saranno promossi sul campo di battaglia. Domenica notte, coperti dalle tenebre, partono i commandos! È una notte di luna calante e dinanzi alle pareti scrostate la luce è fioca... I giovinastri, pur abituati alle peggiori nefandezze, hanno qualche esitazione dinanzi all’arduo compito che li attende. Così dopo aver piazzato piantoni a ogni crocevia, tirano fuori le bombolette spray usandole come una mitraglia che spara a caratteri forti e chiari: “meno sbirri, più lavoro”, “Don Ciotti sbirro”. “Oltraggio” più grave non si poteva immaginare! Lo “Stato” è colpito al cuore! Mafiosi che chiedono “più lavoro” ancora non si erano mai visti. Gli esperti dicono che trattasi certamente di un’imprevedibile evoluzione della specie! Le “scritte criminali” vengono scoperte intorno alle otto del mattino e per non esporre l’informatore a possibile rappresaglie s’è deciso di secretare il nome. Allarme generale! Partono le indagini della polizia scientifica sulla vernice utilizzata e sull’incurvatura dei caratteri. Sequestrate tutte le pellicole delle telecamere di sorveglianza. Bisogna dimostrare il massimo di efficienza e di contrasto alla provocazione mafiosa e così squadre di operai altamente specializzate si incaricano di cancellare il corpo del reato perché hanno un contenuto fin troppo eversivo e si teme il contagio come per la Jiha islamica (I governi correrebbero un grave pericolo se si chiedesse lavoro come previsto dall’articolo 1 della Costituzione). Già alle nove tutti i principali quotidiani nazionali on line pubblicano a piena pagina le notizie sull’infame oltraggio di Locri rispetto al quale, quello di Anagni diventa una bazzecola. A mezzogiorno i telegiornali aprono con le “frasi locresi”. Queste passano da quotidiano a quotidiano, da telegiornale e telegiornale e a ogni passaggio si arricchiscono di un aggettivo: Inizialmente sono “offensive”, poco dopo diventano “intimidatorie”, quindi “minacciose” e infine “eversive”, “infami”, “pericolose” , “vigliacche”. La sera i “fatti della Locride” vanno in onda a reti unificate: una manipolazione dell’opinione pubblica da manuale! Qualcuno avrebbe parlato di una
Ho provato a immaginarmi il summit segreto delle cosche riunito in seduta straordinaria e urgente per dare una risposta alla manifestazione“antimafia”del 19 marzo; la relazione introduttiva del responsabile della“provincia”che si sofferna sulla necessità di dare una risposta adeguata a quanti erano stati allo stadio comunale.
Con la‘ndrangheta
non si scherza
Il delitto non c’è, i cadaveri mancano ma, grazie alle scritte (o meglio all’uso che si è fatto delle stesse) abbiamo stracciato, ancorauna voltaeinun soloattimo,la famadi Avetranaodi Cogne!
società di massa teleguidata dai detentori del potere della comunicazione. Ricordate le pagine di George Orwell in cui ognuno viene invitato a odiare il “perfido” Emmanuel Goldstein nemico dichiarato del “Grande Fratello”? L’isteria collettiva, i “due minuti di odio” diventavano il catalizzatore per trasformare il popolo in gregge. Più o meno si ripete la stessa scena verso gli autori del terribile misfatto di Locri! La risposta ai massimi livelli non s’è fatta attendere. A cadenza regolare tutte le “Autorità” hanno espresso la solidarietà alle vittime (di cosa?) e ai combattenti. Ognuno “dichiara” e poi “dichiara” ancora in un’orgia di parole senza fine. Era dalla drammatiche quanto eroiche giornate dello “Sporting club” che la Locride non conosceva una tale risonanza mediatica in campo nazionale. Il delitto non c’è, i cadaveri mancano ma, grazie alle scritte (o meglio all’uso che si è fatto delle stesse) abbiamo stracciato, ancora una volta e in un solo attimo, la fama di Avetrana o di Cogne! Mercoledì tutto è finito! In un angolo della piazza il solito gruppo di cittadini parla, come ogni giorno, dei problemi quotidiani. Non sono mafiosi, nè appartengono alla fantomatica “zona grigia”! Qualcuno commenta il fatto del giorno: dieci manager di Stato insieme si sono divisi circa 400 milioni di euro per la loro liquidazione! Confrontano la cifra con quella di un milione di famiglie, soprattutto meridionali, che non hanno alcun reddito. “Mafia non è” ma - secondo loro - la notizia meriterebbe più spazio, e una maggiore riflessione, rispetto alle scritte sui muri! Si fa sera e tutti i calabresi sanno che ai loro problemi, quelli veri, nessun quotidiano nazionale dedicherà mai un solo rigo, nessun telegiornale un solo attimo. Nessuna autorità darà una risposta. Concludo: io avrei lasciato quelle scritte sui muri per almeno un anno - e non per offendere don Ciotti o gli “sbirri” ma perché, al di là di chi le ha scritte, colgono molto più di mille discorsi ufficiali o delle dichiarazioni di cento “autorità”, lo stato di profondo disagio che vive il popolo calabrese. Fanno emergere quel grumo di rabbia e dolore che molti si portano in petto e che viene puntualmente oscurato da un’informazione di regime. La verità non si può oscurare!
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I MAFIA D E IM T IT V E L L E D IA R GIORNATA IN MEMO
La Calabria tra giorni di gloria e porte sul muso
A SINISTRA:Il muro del degrado locrese;A DESTRA:I ragazzi di Laureana incontrano il Papa in una foto autografata dal maestro Riccardo Muti
La grande manifestazione antimafia di martedì ha fatto balzare agli onori della cronaca nazionale la città di Locri e la grande voglia di riscatto, non solo nei confronti di quel cancro purulento che è la criminalità organizzata, dei residenti del nostro comprensorio. La grande festa, tuttavia, non dobbiamo dimenticarlo, è stata sporcata dalle famigerate scritte sul muro che hanno contribuito alla buona riuscita della manifestazione promossa da Libera, ma devono al contempo diventare un’occasione di riflettere su se e quanto lo Stato contribuisca a farci vivere in un perpetuo stato di coma.
JACOPO GIUCA La grande marcia antimafia di cui Locri è stata orgoglioso teatro martedì scorso è stata dipinta come la forma più virtuosa di riscatto che la Locride potesse mettere in scena dinanzi all’Italia. La città che aveva accolto festante il Presidente Mattarella appena due giorni prima e che si era sentita umiliata da quelle scritte sul muro che non rispecchiavano la virtuosità dei suoi cittadini onesti, ha trasformato in un’occasione di resilienza una manifestazione che in altre parti d’Italia sarebbe stata avvertita come un semplice evento di impegno sociale. Non possiamo negare che l’organizzazione di Libera e l’impegno sempre viscerale di Giovanni Calabrese non siano stati in grado di realizzare un evento meraviglioso, che ci ha fatto inorgoglire e illudere che la svolta per il nostro comprensorio sia dietro l’angolo. Tuttavia il ricordo di quelle scritte sul muro, checché ne dicano la politica e una grossa fetta dell’informazione nazionale, questi giorni di festa li hanno rovinati. La nota dolente di quella vernice sui muri sbrecciati di Locri, si badi bene, non è tanto negli insulti “morbidi” che sono stati rivolti a Don Ciotti e al primo cittadino, che hanno avuto il solo effetto di creare un perfetto slogan da urlare al cielo durante la soleggiata prima giornata di primavera, quanto nella strumentalizzazione che ne è stata fatta e nella semplicistica bollatura della loro matrice. “La ‘ndrangheta risponde a Mattarella” ha titolato il TG1 durante l’edizione pomeridiana di lunedì. Un titolo a effetto che affrontava con colpevole leggerezza il contenuto di un messaggio la cui drammaticità, come ha invece fatto notare Peppe Caridi sulle pagine del giornale online Strettoweb, risiedeva nel luogo in cui erano state tracciate. Quella richiesta di lavoro (sorvoliamo sulla preghiera di avere meno “sbirri” a pattugliare le strade), tracciata su quel muro mangiato dall’umidità, dinanzi a quel marciapiede rotto e pericoloso per i passanti, assumeva infatti l’immagine di un degrado del quale non possiamo credere che sia responsabile la ‘ndrangheta. Non solo, almeno. Lo ha capito Nicola Gratteri, magistrato che in questa terra ci è cresciuto e che ha deciso di rimanerci nella disperata convinzione che le cose possano cambiare, che ha provato (a nostro parere inutilmente) a lanciare un monito ripreso da pochi giornali, con il quale metteva in guardia dall’affermare che la ‘ndrangheta agisca armata di bombolette spray. «Gli ‘ndranghetisti non sono degli stolti - ha affermato il magistrato - non reagiscono mai quando ci sono i riflettori accesi, ma cercano di intrufolarsi nel sistema legale con i loro uomini, inserendoli nel circuito dell’antimafia, come Cosa Nostra fa da decenni». Come a mettere in guardia dalla possibilità che ci fossero più ‘ndranghetisti a Locri a urlare “Siamo tutti sbirri” martedì mattina di quanti non ne circolino abitualmente in paese. Se a queste affermazioni aggiungiamo l’altrettanto lucido commento di Vittorio Sgarbi in merito alla vicenda, poi, qualche dubbio in più sorge spontaneo. «Quelle scritte corrispondano a una verità profonda, completamente opposta alla lettura che tutti stanno dando - ha dichiarato l’opinionista a TG3 Linea Notte - Questa frase vuol dire: “perché ci mandate tanti carabinieri e uomini di polizia come se fossimo tutti delinquenti, e non ci date invece il lavoro?”» Secondo Sgarbi, addirittura, affermare frettolosamente che quella frase sia un
ANTONIO TALLURA Le piogge hanno sempre avuto effetti benefici sulla natura anche se a volte hanno distrutto territori e larghe zone della nostra terra. Nella Locride, recentemente, hanno distrutto quel poco tenuto su con filo di paglia, rabberciato alla meno peggio. Ne vediamo ancora i segni… così come il fragile territorio collinare assolato o spettinato da venti per la maggior parte del tempo… così come le poetiche Fiumare cantate da poeti contadini o da uomini e scrittori nati su questi greti ormai alla mercé… e del fato. Eu fu… O, osservare la lenta morte di Muri e pietre anch’esse da sempre sotto tempeste di piogge… lasciando tracce, impronte di un passato parlato, scritto e scolpito. Eu fu… Vento e pioggia da sempre hanno levigato, bagnato, smendicato queste Mura, a volte carezzate da brezze o dallo zaghalijiari… e rimandare quel profumo acre e forte di terra e tajio. E, spesso, la pioggia faceva cangiare colore alla sabbia mischiata a povera calce usata per intonaco… si aveva un uniforme colore giallastro o più rossiccio a seconda se esposti all’alba o al tramonto… il chiarore lasciava intravedere la semplice forza e la fatica di chi quei Muri aveva costruito con lavoro da soma. E sono ancora lì… Eu fu… Muri e pietre che mai hanno avuto ruolo di pergamena per essere usati da scribi ignoranti… simboli di “civiltà” morta… da una
parto della criminalità organizzata non fa che alimentare un sistema repressivo che lo Stato spalleggia da sempre: «Certo, bisogna combattere la mafia, ma dove c’è. Invece lì magistrati e prefetti fanno carriera combattendo una mafia che non c’è, soprattutto i secondi, che vanno a commissariare i comuni in triadi prendendo 10mila euro ciascuno per sostituire delle amministrazioni elette dalla gente. Un’azione di repressione che agisce contro le persone oneste e non contro i criminali è peggio della mafia. L’antimafia, in molte sue manifestazioni, è una cricca pericolosa di gente che si sostiene in nome di una battaglia che non fa più. Sciogliere i comuni per mafia non è coraggio, è viltà». E di viltà ci sarebbe da parlare quando si ripensa a quanti paesi della nostra Locride sia stata tolta la speranza di vedere l’alba di un nuovo giorno a causa di inchieste che hanno rastrellato indistintamente amministratori onesti e collusi, imprenditori in regola e affiliati, innocenti e colpevoli mentre l’ex Premier Matteo Renzi affermava a un gongolante Bruno Vespa che, a seguito dell’inchiesta “Mafia Capitale”, l’amministrazione Marino non sarebbe stata sciolta perché tale decisione avrebbe assunto i connotati di un atto politico. Di viltà ci sarebbe da parlare quando si ripensa al fatto che il primo Presidente della Repubblica a far visita alla Locride dopo Saragat sia stato blindato in un cerimoniale durante il quale non ha potuto dare nemmeno un accenno di risposta alle molteplici domande che il suo popolo gli poneva. Di viltà, infine, ci sarebbe da parlare quando si ripensa a quanto accaduto all’orchestra giovanile di Laureana di Borrello. Lo scorso 15 marzo i giovanissimi calabresi, di età compresa tra i sei e vent’anni, avrebbero dovuto infatti esibirsi presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati eppure, all’ultimo minuto, sarebbe scattata da parte delle forze dell’ordine una richiesta di avere i nominativi di tutti i musicisti. Di lì a poche ore, la notizia che il concerto sarebbe stato rinviato a una data al momento impossibile da stabilire. Secondo indiscrezioni, la richiesta sarebbe partita direttamente dalla Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e il rinvio a mai, figlio del riscontro che alcuni dei ragazzi avevano legami familiari con persone in odore di ‘ndrangheta. Parafrasando Vittorio Feltri, se ne vedano affanculo i Laureanesi che stanno cercando un riscatto attraverso l’arte, che non dovrebbero pagare le colpe dei padri e che cercano con le sole proprie forze di tirarsi fuori da un pantano di inciviltà che lo Stato, a braccetto con la ‘ndrangheta (quella vera, quella che siede accanto a esso nei palazzi di governo) si compiace di osservare ogni giorno. I percorsi di legalità da tracciare per i giovani lasciamoli alla retorica a una nullità come il maestro Riccardo Muti che, saputa la storia dei ragazzi di Laureana, si è invece fatto avanti per dirigere l’orchestra Calabrese dinanzi a un ben più compiacente (o forse temerario?) Papa Francesco. A noi, di questi giorni di gloria e del riscatto cui ha fatto riferimento Don Ciotti, non resta che quel già masticato senso di solitudine cui lo Stato ci ha sempre abituato, nell’attesa che il prossimo Presidente della Repubblica, tra altri trent’anni, faccia una capatina austera in questo comprensorio spingendoci a credere che il futuro sia radioso almeno fino a quando un altro grande artista dal cognome sbagliato, dopo essersi visto l’ennesima porta sbattuta in faccia, non si sentirà costretto a seguire le orme maledette del padre…
tribù che usa i simboli per prevaricare come la mal’erba che attecchisce ai bordi delle strade e sui muri… Eu fu… Vediamo solo quello che sul muro attecchisce e scarnifca, scortica e toglie dignità a chi quel Muro ha costruito… quel muro come tanti muri abbandonati all’incuria del tempo… Muri che gridano: Gurdatemi, leggete sotto un miscredente inchiostro… leggete il mio abbandono, la mia lenta morte… l’ inutile vivere, la mia solitudine, il mio Calvario… lo scrostamento lento e inesorabile dell’intonaco di sabbia e tajio, non respingo più piogge e venti che mi scivolavano addosso… rinfrescandomi forse sotto calure Marine. Pur’eu fu, che con la mia piccola diottria ho contribuito a togliere la Pelle a queste Mura, lasciando intravedere la carne e le ossa impoverite dal tempo e dagli uomini… Eu puru contribuia… a lasciar cadere gli i intonaci dai Muri dei miei Padri, dagli edifici costruiti per future mamme… Ho scritto Pur’Eu supa a ‘nu muro… ho toccato pure io quei muri fin dalla nascita come una Naca… li ho usati per scorticare i limoni rubati ‘nto Cavaleri, ho usato quei muri pa’ammucciatella-nascondino… Eu fu seduto, salito, appoggiato su quei muri, e il vivo povero intonaco mi dava conforto, coraggio, speranza, futuro di un mondo che doveva venire che sarebbe arrivato… anche mia Madre, affacciandosi alla finestra quando mi chiamava per rientrare dopo pomeriggi in strada… si rasserenava vedendomi appoggiato al Muro sutt’a casa.
“i mura i Locri”
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LA COPERTINA
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L’INTERVENTO
Riportiamo integralmente l'intervento del sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Gaetano Paci, tra i relatori del seminario "Gli enti locali contro le infiltrazioni mafiose tra appalti e protocolli di legalità", organizzato da Libera in occasione della XXII Giornata della Memoria, tenutasi a Locri il 21 marzo scorso.
Paci: "Le amministrazioni locali contrastino il potere criminale senza aspettare le inchieste giudiziarie" Spesso si ritiene che gli amministratori pubblici, eletti per mandato politico non si debbano preoccupare della gestione amministrativa del comune che, invece, competerebbe ai tecnici. Ma non è così. Ci sono vari livelli di responsabilità e di controllo.
"Le celebrazioni servono a dare forti segnali, a scuotere la società e, per avere senso, devono essere un’occasione per dire le cose come stanno. Nel contrasto ai poteri criminali dobbiamo considerare tutti i segmenti della vita pubblica che sono stati contaminati: non siamo in presenza di infiltrazioni, perché non si tratta di qualcosa di estraneo che si inserisce dentro un sistema politico; dobbiamo prendere atto che si tratta di un sistema in cui le forze criminali interagiscono a pieno titolo con quelle sane". "Per comprendere il fenomeno, si deve partire dal ruolo di contrasto ai poteri criminali che possono svolgere le amministrazioni pubbliche locali, le più esposte, perché ogni giorno devono far fronte a esigenze che riguardano la tutela dei diritti dei cittadini – pensiamo, ad esempio, ai servizi essenziali che devono garantire: trasporti, scuole, raccolta rifiuti, uno dei più grandi business della criminalità organizzata, da sud al nord e anche oltre i confini nazionali. Questi segmenti di un ente sono tutti potenzialmente di interesse della criminalità organizzata. Che non si presenta con la giacca di velluto, le scarpe sporche di creta e la lupara a tracolla. Si presenta con giacca e cravatta, il colletto inamidato e magari anche un master. L'amministratore pubblico coscienzioso, serio, passata la sbornia elettorale che lo ha visto vincente rispetto al proprio concorrente, deve porsi il problema di come fare funzionare i servizi essenziali a tutela dei diritti dei cittadini senza che questi divengano occasione di guadagno della criminalità organizzata. L’amministratore tipo che io immagino è quello che si sforza di far conoscere a tutto il paese che non subisce un condizionamento, in particolare di tipo culturale, da parte della criminalità, ma anche un condizionamento più forte che è quello di tipo elettorale o di tipo economico. Spesso si ritiene che gli amministratori pubblici, eletti per mandato politico non si debbano preoccupare della gestione amministrativa del comune che, invece, competerebbe ai tecnici. Ma non è così. Ci sono vari livelli di responsabilità e di controllo. Quando occorre firmare un atto, un con-
tratto, subentra la responsabilità dell’ufficio tecnico ma quando si tratta di verificare in concreto a chi e come un servizio viene reso, quali sono le modalità di esercizio, chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire, ha gli strumenti per capire se il servizio è reso a tutela della collettività e secondo i canoni di legge e non sia, invece, occasione di affermazione della criminalità organizzata". "C'è bisogno di arrivare all'inchiesta giudiziaria per capire che qualcosa dentro un ufficio si sta incancrenendo? C'è bisogno di un'inchiesta giudiziaria per capire, ad esempio, che nell'ufficio tecnico del Comune di Gioia Tauro, ci sono due ingegneri fratelli che stanno lì da anni e, a periodi alterni, stanno alle dipendenze di un'impresa che, guarda caso, partecipa a tutti gli appalti o subappalti e se li aggiudica? Succede sotto gli occhi di tutti e nessuno dice nulla. C'è qualcosa che non funziona e questo ha a che fare sicuramente con la pervasività, la forza e la potenza della criminalità organizzata ma riguarda anche il sistema di valori. Oggi sono saltate molte di quelle convinzioni a cui negli anni passati una classe politica molto più attenta alla gestione del bene pubblico aveva care. Oggi si pensa che basti stipulare un protocollo di legalità per avere sconfitto il male. Ma noto che questo strumento viene utilizzato come una sorta di
copertura formale che può servire a giustificare tutto. Attenzione a non lasciarsi illudere da situazioni che possono essere soltanto l'occasione per far sì che le cose non cambino". "L'amministrazione pubblica rappresenta il primo recettore di quanto accade nei territori, è un po' come la stanzioncina dei carabinieri del paesino più sperduto: non ha bisogno delle grandi indagini per capire se un dato imprenditore sia o meno mafioso. Non ci vuole un grandissimo investigatore per capire certi meccanismi. Questo non significa che il sindaco o gli amministratori debbano fare gli sbirri. Si tratta semplicemente di fare il proprio lavoro. È necessario segnalare sempre cosa si vede, cosa accade negli appalti e subappalti, nelle assunzioni di personale, senza dover aspettare le inchieste giudiziarie, che, in ogni caso, hanno funzione repressiva e non preventiva, perchè avvengono dopo anni. Un ruolo preventivo importante lo svolgono le amministrazioni comunali. Se non parlano, due sono le cose: o sono conniventi o hanno paura (non so quale sia la condizione migliore)". "Attenzione a mitizzare lo strumento giudiziario come unico strumento in grado di contrastare il sistema di potere criminale. Le inchieste giudiziarie non sono la panacea di tutti i mali, questo mito va sfatato.
Ribadisco, le amministrazioni comunali hanno un potere enorme. Facciamo l'esempio dell'abusivismo edilizio. Nei nostri territori del sud si registra un dilagante abusivismo. Abbiamo sentenze passate in giudicato ma a queste non ha quasi mai fatto seguito la demolizione dell'immobile abusivo". "Nel caso, poi, di subappalti che vedono come protagonisti sempre gli stessi gruppi di imprese, a un amministratore accorto quest’anomalia non sfuggirà. Anche se la procedura di assegnazione (che è solo la cornice) è corretta, bisognerà andare a vedere chi ha svolto cosa, si dovrà vedere dove è stato preso il calcestruzzo, le maestranze, le forniture. Spesso vengono presi uomini e mezzi da altra impresa perchè lo chiede il Don che non può partecipare all'appalto e, così, lo si tiene buono, mentre nel frattempo si elargiscono regali ai dirigenti dell'ufficio tecnico o all'assessore competente al ramo per comprarne il silenzio. Questo non accade solo in Calabria ma anche al nord. Se questi passaggi non si verificano in fase di controllo quotidiano, l'azione giudiziaria potrà fare ben poco perchè arriverà dopo molto tempo e alcune tracce non saranno più reperibili. Ognuno deve fare la sua parte nel momento in cui le cose accadono. Se c'è qualcosa che no va, va evidenziato, denunciato, segnalato, altrimenti ci ritroveremo a rincorrere chi ha già consolidato gli interessi criminali e ci vorrà molto per sconsolidarle (anche con l'attività giudiziaria)". "Credo che oggi più che mai le amministrazioni pubbliche debbano dare segnali forti, di rottura con certe logiche criminali. Perchè, ad esempio, la Regione Calabria non si è costituita parte civile in un processo che riguarda la distrazione di fondi del Consiglio Regionale che si è scoperto essere utilizzati per rimborsi spese assurdi (come il rimborso per una giornata alle terme con l'amante)? Certo, l'amministrazione non era obbligata a farlo ma sarebbe stato un segnale forte. Non riesco a capire perchè questo non sia stato fatto. Sarebbe stato un forte segnale di amore per la propria terra". Maria Giovanna Cogliandro
ERRATA CORRIGE
Nell’articolo “ATC: niente di nuovo sotto il sole” comparso la scorsa settimana a pagina 10 del nostro settimanale, abbiamo erroneamente indicato come ex presidente dell’ATC RC2 Diego Cara e come segretario Pietro Audino. È stato invece proprio quest’ultimo a ricoprire per un periodo il ruolo di presidente, mentre Diego Cara, nella vicenda narrataci dal professore Ferraro, ricopriva l’incarico di addetto esterno alla segreteria. Ovviamente, dunque, sarebbe stato Audino a lasciare successivamente il ruolo di presidente dell’Associazione a Giuseppe Musco.
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Il giudice sidernese Tommaso Marvasi aggredito con un coltello Brutto spavento per Tommaso Marvasi, presidente della IX sezione (Imprese) del Tribunale civile di Roma e originario di Siderno che, la scorsa settimana, è stato aggredito da una persona armata di coltello. Saputa la notizia, la nostra redazione ha contattato il giudice, più volte venutoci a trovare in redazione per questioni professionali e di amicizia, che ci ha raccontato di essere stato avvicinato da un conoscente con risaputi trascorsi psichiatrici che, diversi anni fa, aveva cercato di aiutare. Senza una ragione apparente, l’uomo si è avvicinato alla sua auto, che aveva un finestrino semiaperto e ha cercato di affermare il giudice che si trovava all’interno dell’abitacolo. Trovata la forza di reagire, Marvasi è riuscito a far partire l’auto e rifugiarsi nel vicino commissariato romano di Villa Glori. Immediatamente scattata la caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine, l’autore dell’aggressione è stato rintracciato pochi minuti dopo dalla polizia che, condotta una perquisizione dell’indiziato, ha scoperto che aveva con sé un affilato coltello da sub.
Siderno: Striscia la Notizia torna a parlare della Diga sul Lordo
Nuccio Azzarà nuovo segretario provinciale della UIL Nuccio Azzarà è il nuovo segretario della Uil di Reggio Calabria. Lo ha stabilito, all'unanimità, il consiglio territoriale della Camera sindacale reggina che si è riunita presso i locali de "La Lampara" di Pellaro. Nuccio Azzarà, già segretario della Uil Fpl, succede a Pino Zito che, durante i lavori del consiglio territoriale della Csp di Reggio Calabria, ha presentato le sue dimissioni dopo oltre quindici anni di guida della Uil provinciale.
A Siderno torna d’attualità la problematica della Diga sul torrente Lordo, oggetto di un focus, la scorsa settimana del telegiornale satirico di Mediaset Striscia la Notizia. La popolare trasmissione di Antonio Ricci ha mandato in onda un filmato nel quale veniva riassunta la delicata situazione che da ormai quattro anni condiziona l'invaso, oggetto anche di interrogazioni parlamentari. Tra gli intervistati, il presidente dell'Osservatorio Ambientale Diritto alla vita Arturo Rocca e il sindaco Pietro Fuda. La sintesi tracciata da Striscia è desolante: una struttura costata 75 milioni di euro sarebbe infatti inutilizzata per la mancata riparazione di un pozzo di svuotamento il cui costo ammonterebbe a circa 800mila euro.
CAMINI: ADRIAN PILEGGI LANCIA UN APPELLO A FALCOMATÀ PER SISTEMARE LE SP 127 E 96
In qualità di Capogruppo di opposizione al Consiglio Comunale, Adrian Pileggi ha lanciato in settimana un disperato appello al Sindaco della città Metropolitana Giuseppe Falcomatà per indirizzare l’attenzione alle tragiche condizioni in cui versano le strade di collegamento provinciali che conducono a Camini. Allegando in un corposo documento numerose foto che testimoniano il degrado e il pericolo costituito da queste vie di comunicazione, Pileggi ricorda l’importanza del sistema viario e, gridandosi stanco degli appelli inascoltati, chiede urgente risoluzione della situazione attuale.
MEMORIE CORTE
CALABRESE PER CASO * di Giuseppe Romeo
Credo che l’argomento più interessante della settimana sia quello che tutti quanti noi abbiamo osservato in questi giorni, qualunque fosse stata la nostra collocazione geografica. Anzi, potremmo dire che la nostra partecipazione alla manifestazione del 21 marzo a Locri sia stata un risultato della geocalizzazione non più solo fisica o mediatica, ma anche dell’animo. Ognuno di noi ha celebrato, a suo modo, personalmente o istituzionalmente, il giorno della memoria delle vittime innocenti di mafia. Ognuno di noi ha cercato di riflettere e collocare le proprie esperienze all’interno di un vissuto probabilmente, e onestamente, mettendo da parte qualunque pensiero di maniera per approdare a conclusioni chiare, prive di qualunque obbedienza ad un mainstream, cioè ad un pensiero dominante, per il quale sembra non esservi speranza o vie d’uscita da un tunnel che, nonostante quanto dichiarato o promesso, nel corso degli anni diventa sempre più lungo nel raggiungere la luce. E questo non perché non sia necessario ricordare la pervasività e persistenza di tale patologia. Bensì, perché non si affronta con decisione e consapevolezza, soprattutto, l’insuccesso delle cure sino ad oggi somministrate. Come qualunque patologia, le mafie sono una malattia sociale e, pertanto, hanno una loro eziologia che dovrebbe scaturire da un’anamnesi quanto mai seria del paziente, giungere ad una giusta diagnosi clinica a cui far seguire una prognosi adeguata. Un processo semplice a dirsi, ma non così facile da realizzare o porre in essere guardando i risultati nel corso di una storia senza epiloghi. Vediamo. Sono decenni che osserviamo manifestazioni, ascoltiamo discorsi, promesse, sostegni morali eppure non sembra cambiare granché nella vita quotidiana del Sud e, soprattutto dei giovani del Sud e dei nostri paesi. Non solo. Ogni discorso che ascoltiamo giustamente definisce il crimine mafioso, come qualunque crimine organizzato, un ostacolo alla crescita di una società civile. Ne illustra i metodi, ne sottolinea la violenza e i drammi che le scie di sangue che disegnano la storia della nostra regione e della locride lasciano nelle coscienze e nelle vite di molte persone oneste. Eppure nulla cambia. Perché? Perché nessuno, al di là della retorica celebrativa, ha il coraggio di affrontarne, pur conoscendole, le cause.
Capire di cosa si alimenti il fenomeno delle mafie andando oltre quanto risaputo. Capire come proprio in un clima di non sufficiente impegno nel risolvere le cause della mancata crescita, le mafie trovano terreno fertile per continuare ad alimentare la loro sete di denaro facile, di controllo degli spazi e delle vite altrui. Si può militarizzare una terra, aumentare un peso dello Stato che è già significativo - e che esprime un rapporto operatore di polizia/cittadino e operatore di giustizia/cittadino che non ha pari da nessun’altra parte d’Italia per una regione che non raggiunge i due milioni di residenti - e ritrovarsi, ancora una volta, in una posizione di stallo. E questo perché? Perché mancano le risposte e le azioni che ne evitino le cause. Nessuno stato di polizia è mai stata una cura efficace in territori critici. Basta leggere la storia di qualunque esperienza che ha ricercato nella maggiore pressione delle sole forze dell’ordine le garanzie di legalità e stabilità. Ciò che è efficace, al contrario, è offrire possibilità ai giovani di affrancarsi dalla noia del quotidiano, dalla frenesia dei consumi troppo facili e condurli verso opportunità di lavoro, di reale possibilità di costruirsi un futuro e di sentirsi parte di un comune sentimento di cittadinanza che non è monopolio solo di chi ha certezze consolidate o vive in condizioni di miglior agiatezza. Ciò che serve è comprendere l’isolamento culturale di chi vive in realtà rurali senza sostegno ai propri bisogni, alle proprie necessità in termini di sicurezza sociale e di servizi. Ciò che serve è il coraggio di superare il rischio che […] la memoria non (sia) è altro che assuefazione […] per dare ragione ad un Leopardi di questi giorni. E’ il coraggio di adottare la stessa lungimiranza dell’allora primo ministro israeliano Rabin facendo nostro il messaggio rivolto al terrorismo palestinese affinché, in questo sforzo di comprendere le cause per rimuoverle sul serio ognuno abbia il coraggio di vivere ogni giorno combattendo le mafie, e fare ciò che deve ogni giorno come se le mafie non esistessero. Solo così, costruendo opportunità di crescita, di lavoro, di inclusione attiva soprattutto dei giovani, andando oltre le frasi di circostanza con azioni concrete, si riuscirebbe a prosciugare quel brodo di coltura dell’esclusione, delle opportunità non offerte o delle aspettative disattese dal quale le mafie, ancora una volta, traggono linfa.
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DOMENICA 26 MARZO
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Accetto di pagare questo prezzo per averti avuto come padre Esiste un luogo in cui ti ritrovo, quando chiudo gli occhi e mi concentro sulla tua immagine, sorridente e scherzosa, serena e rasserenante, dolce e disponibile. Ti rivedo tra le strade di Siderno a dispensare saluti e consigli. Ti ritrovo a passeggiarmi accanto per le vie di Roma ai tempi dell’università. Sempre lì, orgoglioso dei miei piccoli traguardi, protettivo e rassicurante nelle mie paure, costantemente pronto ad ascoltarmi e sostenermi. E poi, eccoti seduto accanto al caminetto, ad incantare Arianna con le storie della tua giovinezza. Ti rivedo a tavola a deliziarci con i tuoi aneddoti. Ti ritrovo ottimista e combattente nella tua ultima battaglia. Tu, fino alla fine, esem-
pio di forza e dignità. Ma riapro gli occhi e, nonostante il caos, mi pervade la malinconia, incombe la realtá, quella in cui in ogni istante faccio i conti con la tua assenza, troppo grande per essere colmata. Qualcuno, tra i tanti che ti hanno conosciuto ed amato, mi ha fatto riflettere dicendomi “Forse, l’averlo perso così presto, ed in questo modo, è il pegno da pagare per averlo avuto come Padre...”. E allora concludo con me stessa che, nonostante la tristezza, il dolore, il vuoto, questo è un prezzo che sono disposta a pagare per averTi potuto godere. Francesca
...... e via discorrendo......
Sanità: Appartiene a tutti La tormentata vicenda legata all’Ospedale di Siderno si è intrecciata per alcuni decenni con la vita politica e sociale della cittadina. Il tormentone nasce con gli accordi delusi con la vicina Locri e con i tentativi non sempre velati di far fuori la realtà sidernese, che ha sempre trovato risposte adeguate da parte dei cittadini di Siderno. La vita dell’ospedale di Siderno è stata così sempre travagliata malgrado la buona medicina erogata e fiducia da parte degli utenti. Non valeva e non vale dare quindi ottime prestazioni, esserci lo spazio per l’esistenza di due ospedali congegnati in modo da completarsi a vicenda lasciando quello che meglio funziona dove meglio funziona, il pallino pare essere quello della chiusura. I sidernesi a questo non ci stanno e lo dimostrano soprattutto quando è più alta la tensione. È questo il momento in cui senza distinzione di fede politica, essi scendono in piazza. Ora, però, sembra tutto dormire o tutto essere governato da scelte operate dal manager e approvate, pare senza una sia pur superficiale lettura, da ampi settori del consiglio comunale, con il risultato che si riparla ancora di chiusura e di emarginazione dell’ospedale di Siderno, con l’esclusione dei protagonisti di sempre in difesa dell’ospedale che sono i cittadini lasciati all’oscuro delle manovre di palazzo. Eppure appena un anno fa il comitato cittadino per la difesa dell’ospedale era riuscito a raccogliere l’adesione di 6.000 cittadini che avevano posto la loro firma a difesa del presidio ospedaliero. Lo stesso comitato era riuscito ad essere interlocutore credibile e sentito dell’allora manager e aveva determinato assieme a medici e cittadini una ipotesi di soluzione del complesso problema della medicina sul territorio della Locride. Quella esperienza è riuscita a superare le divisioni anche aspre e ha dato il senso del sentire comune, dell’essere comunità, del senso civico che è forte nei cittadini sidernesi e che riesce a manifestarsi nelle occasioni che contano. Ora è di nuovo tutti in alto mare, aspettiamo che qualcuno ricominci ad occuparsene seriamente e che qualche altro la smetta di pensare che la Sanità è “cosa loro” e qualche altro riconsideri le cose per i servizi che danno e non per gli eterni equilibri dei potenti di turno che si trovano sempre fuori Siderno. Essere stato alla testa di quel movimento è stata un’esperienza indimenticabile. Certamente un’esperienza felice che potrebbe essere patrimonio di tutti da utilizzare per quelle battaglie di civiltà di cui tanto si parla a vuoto. Francesco Gentile
onobbi Francesco in età adolescenziale, quando, ancora imberbi giovincelli, frequentavamo assieme a tantissimi nostri coetanei, l’ymca. Essa era allora, il luogo ideale che accompagnava il processo di crescita delle nuove generazioni di Siderno, e non solo. Negli anni passati quasi mai ho posto la mia mente a ritroso, a quegli anni giovanili ammantati da una spensieratezza senza eguali, costellata da sfottò calcistici - memorabili quelli consumati durante gli incontri di calcio nella piccola saletta della televisione arredata con quelle sedie verdognole di metallo. Si, proprio in quella saletta, colma di essere umani quasi tutti privi nelle proprie case di un televisore, si articolava il nostro essere costellato da sfottò e ironie. Poi altre vicissitudini interruppero – si fa per dire – quei quotidiani rapporti amicali per molti figli di quella generazione, dovuti al lavoro per alcuni e per altri allo studio universitario. Francesco, diventammo adulti senza nemmeno accorgerci, con i nostri percorsi, le nostre inquietudini non più giovanili. Percorsi e inquietudini che sono stati sempre portati per mano dall’amore per la nostra terra e che basavano la loro vitale essenza nella profonda umiltà. Umiltà – non saprei dire diversamente – senza limiti. Con tutti. Con quelli che “potevano” e con quelli che “non potevano”. E …… poi la tua famiglia. Ed è in questo che sei stato tenace e talvolta anche cocciuto, nel percorrere questo sentiero, sapendo consapevolmente che le ripide salite borderline dai profondi dirupi avrebbero potuto compromettere le tue volontà. Ebbi la fortuna di annodare con maggiore intensità i miei rapporti amicali con te nella indimenticabile stagione del “Palo”. Sei stato uno dei più lucidi protagonisti di quella esperienza, che aveva fatto credere in molti
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l’arrivo di una “avanguardia rivoluzionaria” capace di sovvertire quell’ordine costituito rappresentato dai potentati di turno. Non era così e non voleva esserlo. Si trattava di una “semplice e allegra brigata” che trovava la sua ragion d’essere nella determinazione dello stare assieme e di vivere quei momenti di spensieratezza, di rispetto e di umanità attraverso un rapporto dialogico che non trovava mai fine. E via discorrendo….. Si! …. e via discorrendo ….. ! Perdonami Francesco, ma mi “rimbomba” nelle orecchie quel tuo intercalare ….. e via discorrendo ….. il quale trovava sempre la sua giusta collocazione in quei meandri della comunicazione verbale che tuttavia facevi, con grande fatica fisica, anche negli ultimi anni. Ho sempre pensato che quell’intercalare non esprimesse la volontà di qualcuno che desiderasse troncare un ragionamento, lasciarlo appeso nel “limbo”, e andare oltre. No. Quell’intercalare costituiva invece un “anello” di quella catena di ragionamenti tematici che si facevano e non solo, sotto la luce del “Palo” di piazza Municipio, affinchè si desse quel modesto contributo di riflessione e di analisi agli atavici problemi dei cittadini non esclusivamente di Siderno, ma di tutta la Locride. E tu, Francesco lo hai dimostrato (a fianco ne riportiamo il testo pubblicato a dicembre del 1995 su “il palo”) quando ti sei messo in prima fila, violentando la tua indole, in quella battaglia civile al fine di evitare la chiusura del presidio ospedaliero di Siderno. … e via discorrendo … Ora la tua assenza pesa a tutti e corre sul filo dei ricordi. Ricordi che in nessun modo il tempo potrà affievolire, anche se non “bisogna veramente che l’uomo muoia, perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore” (Vittorio Alfieri, Vita, Parte prima, Epoca Terza, cap. XIV). … e via discorrendo… Amedeo Macrì
Il letale e anacronistico ossimoro del Palazzo -7 Generalmente, ascoltando i discorsi dei politici e i resoconti di alcuni giornalisti, ci rendiamo conto che ci sono delle parole che, specialmente in quest'ultimo periodo, vengono spesso usate in modo molto improprio. Anzi, si arriva al paradosso che più determinate parole sono inflazionate, più, al tempo stesso, sono usate in modo scorretto (lo ricordate l'obbrobrio di “un attimino?”). In special modo la nostra classe politica, sicura e fedele interprete delle manipolazioni verbali, dimostra di essere doppiamente commiserevole. Se viene usata in buona fede, allora ci troviamo di fronte ad una macroscopica ignoranza culturale, se, invece, in malafede, ci troviamo di fronte ad un'abietta disonestà intellettuale. Un termine che va di moda, una delle parole maggiormente usate e che, quindi, rappresenta al meglio questa distorsione politico-mediatica è “Populismo”. La parola “populismo” è diventata una delle più distorte dai mezzi d'informazione e la troviamo spesso all'interno di qualsiasi discorso politico. Il dizionario Treccani afferma che per populismo si intende il “movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra il 19° e
20° secolo, che si proponeva di raggiungere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”. Attenendosi, dunque, al significato proprio e originario di questo termine, non vi troviamo assolutamente niente di negativo o di criticabile, mentre quando, specialmente i politici ed alcuni commentatori usano questa parola oggi, le conferiscono un significato dispregiativo, confondendola di fatto con un’altra parola, che in realtà è “demagogia”. Demagogia è un termine di origine greca (composto di demos, "popolo", e aghein, "trascinare") che indica un comportamento politico che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici, per il raggiungimento o per la conservazione del potere. Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura, l'odio o la rabbia ecc... nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come "capro espiatorio", e come "nemico pubblico", utile alla formazione di un fronte comune, uniformato temporaneamente dalla medesima lotta e
dunque scevro di dissenso interno. Noam Chomsky, filosofo di origine ebrea rifugiato negli Stati Uniti dalla Russia, ci dà un’ottima definizione: “Populismo significa appellarsi alla popolazione”. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga “tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici”. Chomsky ritiene, al contrario, che “la popolazione dovrebbe essere partecipe e non spettatrice”. L'errato utilizzo di questa parola (insieme a molte altre, purtroppo) denota quanto la politica e l’informazione, intrinsecamente e patologicamente collegate, seguano più una “moda” nel parlare e nell’usare certi termini, quando in realtà questa gente non sa neanche di che cosa stia parlando. Se per populismo dunque si intende una concezione della politica che riavvicini i cittadini alla cosa pubblica e dia la priorità agli interessi della popolazione anziché a quelli ristretti di una esigua élite di privilegiati, la cosa non è solo positiva, ma ha un nome preciso: “democrazia”. Continua Tonino Carneri
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Buon compleanno, professore Il 24 marzo il nostro direttore avrebbe compiuto 77 anni. Lo vogliamo ricordare con le prime righe della sua autobiografia Un gambero rossoeconilricordodell’amico Franco Blefari.
Un gambero rosso
Il 24 marzo, Pasquino Crupi, il più grande critico letterario calabrese dopo Antonio Piromalli, quale era ritenuto e quale sapeva di essere, l'uomo di tutte le manifestazioni civili di protesta a sostegno delle giuste cause calabresi e delle adunate rosse di partito, avrebbe festeggiato il suo 77° compleanno. Ma nell'immaginario collettivo la sua figura, con sciarpa rossa e sigaro tra le labbra, dominerà sempre le sfilate del Primo maggio, quando, con una bandiera in mano, sfilava per le strade dei nostri paesi in attesa di salire sul palco dove, ancora una volta, con le sue appassionate disquisizioni, avrebbe incendiato gli animi di tutti, senza distinzione di colore politico. E noi, suoi amici verseggiatori, che ci intrattenevamo spesso con lui intorno ad una bottiglia di vino, lo ricorderemo sempre nel giorno del suo ultimo compleanno, quando volle invitarci in un lido di Lazzaro di Reggio, insieme ai suoi parenti più stretti e il medico chirurgo Don Sarvaturi - come lo chiamava - che lo aveva da qualche mese operato di tumore, regalare a tutti noi l'unica poesia in dialetto che aveva composto nella sua vita, dove diceva che "la vera poesia è fare bene". Non dimenticheremo mai lo strazio di quegli attimi mentre, piangendo, cantavamo tutti intorno a lui che teneva in braccio il suo nipotino Pasquino che, da grande - come diceva con orgoglio e come lui voleva - avrebbe fumato il sigaro e bevuto vino. Franco Blefari
Ciao Pino... adorato fratello Ciao Pino, adorato fratello. È già trascorso un mese dalla tua improvvisa scomparsa che, come un fulmine a ciel sereno, ha colto tutti di sorpresa, famigliari, parenti, amici e quanti hanno avuto la fortuna di conoscerti. Siamo rimasti tutti sconvolti, increduli di averti perso quando ancora la vita ti sorrideva e avevi tanto amore da dare e ricevere. Sei stata una persona di carattere, di animo buono e socievole, sempre disponibile nelle tue possibilità. A chi ti chiedeva un favore non dicevi mai di no. Sempre col sorriso, con la tua allegria e simpatia contagiavi grandi e bambini, che ti adoravano indistintamente. Il tuo lavoro di cuoco ti ha fatto conoscere persone che ti hanno sempre accolto come uno di famiglia. Ti volevano tutti bene con stima e rispetto. Il tuo grande cuore, pieno di altruismo, ti ha tradito e non ti ha lasciato scampo. Hai lasciato un vuoto incolmabile nella nostra vita. Il triste pensiero di non vederti più e non sentire la tua voce nel quotidiano ci distrugge. Ci mancherai, fratello, ma ti ricorderemo sempre con infinito affetto e amore. Rimarrai per sempre nel nostro cuore. Le tue amate sorelle ringraziano tutti coloro che sono stati partecipi al nostro dolore.
La poesia di Roberto De Angelis
L'inquietudine e l'assordante silenzio come un'unica costante conficcata in un solo punto... 'a meduia'. La vedetta invisibile all'erta cerca di capire da quale pulpito provenga il palpito. La nevrosi arriva senza che il telefono squilli. Il Blasco, aveva capito tutto
Sesto io no, e nemmeno ottavo. Postremo, cioè nono, di un’affollata famiglia plebea che non sapeva mettere d’accordo il pranzo con la cena. Il mio arrivo, non contrastato, in quest’aiuola, che ci fa tanto feroci, non rappresentò un evento eccezionale. Erano Distratti. Non mia madre, ma per lei vale l’attenuante dell’invasione delle doglie del parto liberatore, non dei miei fratelli e le mie sorelle (mio padre è morto nel 1964) ricordano l’ora in cui nacqui. Ma, poiché a casa mia nell’albeggiante notte in cui venni al mondo mancava il petrolio, c’è da immaginare che era del tutto improbabile l’esistenza di una sveglia. Al municipio di Bova Marina la data della mia nascita è registrata al 24 marzo 1940. A casa mia non smisero di distrarsi, e mio padre mi registrò con il nome di Pasquino. Niente da spartire con l’umanista trecentesco Pasquino Cappelli, niente da spartire vieppiù, con il celebre compagno di Marforio. Fu una distrazione. Gli dovette inciampare la lingua, a mio padre, in quel marzo 1940, e invece di Pasquale, gli uscì l’inusitato diminutivo.
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ATTUALITÀ
“Calabria Fragile”
un workshop che indaga i problemi del territorio e crea nuove opportunità a riscosso un buon successo il workshop “Calabria Fragile”, organizzato nelle giornate del 17 e 18 marzo con una serie di incontri dedicati egualmente a un pubblico di esperti e non del settore per discutere delle problematiche del nostro territorio. Gli addetti della Regione Calabria hanno colto questa importante occasione per chiarire i vari aspetti del bando per l’adeguamento sismico rivolto ai privati, incoraggiando i proprietari degli edifici a effettuare gli interventi del caso. Una delle aziende presenti ha illustrato un sistema molto avanzato per il consolidamento delle murature attraverso l’impiego di cerchiature di acciaio, idea che ha destato grande interesse da parte dei tecnici. La seconda azienda, invece,
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specializzata nell’utilizzo del legno, ha illustrato le potenzialità delle costruzioni in questo materiale, che presenta straordinari vantaggi sul piano non solo della sicurezza sismica, ma anche su quello delle prestazioni energetiche. Grande interesse ha riscosso il workshop nella categoria dei geometri, che hanno dedicato grande attenzione ai temi trattati durante entrambe le giornate del convegno. Il più grande successo della due giorni, tuttavia, resta il perseguimento di due obiettivi: la costituzione del SismaLab e la presentazione di un accordo di rete tra gli Istituti scolastici superiori del territorio, avente come capofila L’IIS “Marconi-Pitagora”. Il primo sarà un organo che riunisce Università, ordini professionali, enti della protezione civile,
amministrazioni; l’accordo di rete, invece, coinvolgerà le scuole, coordinate in un programma comune di attività relative al progetto Locride Sicura, e che sta programmando l’attuazione di un progetto dal titolo “La scuola racconta… il terremoto”. Obiettivo sarà quello di creare una coscienza di protezione civile e attenzione verso il territorio e il paesaggio, ma anche quello di formare delle competenze professionali connesse al terremoto e non solo relative al rilevamento del danno sismico, ma anche alla gestione delle emergenze, alla loro comunicazione e in grado di donare ai ragazzi le competenze utili ad affrontarle socialmente e psicologicamente, perseguendo così il non secondario obiettivo di creare numerosi spunti lavorativi.
Dobbiamo far camminare sulle nostre gambe le idee delle vittime di mafia Reggio e Siderno avviano in sinergia la rete degli Urban Center metropolitani «In un immobile confiscato alla ‘Ndrangheta è nato un luogo di incontro tra l’Amministrazione e i cittadini, che potranno così elaborare ed avanzare proposte concernenti la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, accompagnando il processo decisionale sulle scelte in materia di progettazione, pianificazione urbanistica e trasformazione del territorio». È quanto dichiara l’assessore Irene Calabrò, che annovera tra le sue deleghe la cittadinanza attiva, a seguito della inaugurazione del nuovo Urban Center del Comune di Reggio Calabria all’interno di una struttura sottratta alla criminalità organizzata. «Si tratta di un ulteriore tassello del percorso di partecipazione e coinvolgimento dell’intera cittadinanza, un percorso già avviato con estrema convinzione da questa Amministrazione, sin dal suo insediamento». Continua l’Assessore Calabrò: «Il nuovo Urban Center sarà un vero e proprio punto di riferimento per l’intera comunità, per tutti coloro che vogliono recitare un ruolo di cittadinanza attiva nell’opera di ricostruzione fisica e morale della nostra città, per le realtà associative, per gli ordini professionali, per le associazioni di categoria, che da oggi avranno una nuova e funzionale porta di accesso diretto alla vita amministrativa dell’ente, una nuova agorà nella quale discutere, confrontarsi, proporre». Conclude l’assessore: «Non è un caso che per l’inaugu-
razione del nuovo Urban Center sia stata scelta la data simbolica del 21 marzo che corrisponde al primo giorno di primavera ed alla Prima Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno celebrata da Libera, Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie. Un segnale di risveglio civico che parte dal basso, di ribellione culturale e propositiva, semi di rinascita che ogni governante ha il dovere di coltivare, nella convinzione che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori». L’amministrazione Comunale di Siderno insieme all’Urban Center della Locride, invitati alla manifestazione, sono intervenuti raccontando delle esperienze dell’ascolto attivo, delle passeggiate di quartiere, degli Open Space Technology insieme Marianella Sclavi nota antropologa che si occupa da trenta anni di gestione creativa dei conflitti e la collaborazione con Avventure Urbane e delle varie iniziative di animazione utilizzate nel corso degli anni, applicate nei programmi di rigenerazione urbana e nell’ assistenza alle attività partecipative previste nei PSC. I due Urban Center hanno manifestato l’intenzione di attivare al più presto la rete degli Urban Center della città metropolitana, uno per ogni area omogenea, soprattutto in vista delle definizione del nuovo Piano Strategico della Città Metropolitana.
Il 7 Marzo gli alunni delle terze classi della scuola media “Domenico Cento” e gli alunni del Liceo Scientifico di Gioiosa Ionica si sono recati all’Auditorium della scuola per incontrare Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione “LIBERA”, che opera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia. L’incontro è cominciato ricordando un gioiosano vittima della mafia, Rocco Gatto, scomparso il 12 Marzo 1977, che ha perso la vita facendo il suo dovere di cittadino con coraggio e dignità. Prezioso è stato l’intervento di Debora Cartisano familiare di una vittima, coordinatrice dell’associazione Libera. Ma è stato il lungo intervento di Don Luigi Ciotti il fulcro dell’incontro; don Ciotti ha ricordato che dal 1996 il 21 Marzo si celebra la “Giornata della Memoria e dell’Impegno in
La Locride partecipa con le sue Camere Civili al consiglio nazionale forense
Si è tenuto a Roma venerdì 17 Marzo il convegno organizzato dall’Unione Nazionale Camere Civili sul tema “Il diritto a tutela dell’ambiente”. All’incontro hanno partecipato autorevoli Giuristi e studiosi della materia. Ai lavori hanno preso parte i componenti di numerose Camere Civili aderenti all’UNCC, ivi compresa la Camera Civile di Locri, rappresentata dal Presidente Pasquale Sansalone. Antonino Lacopo, componente della Giunta Nazionale e delegato, in particolare, alla formazione, ha espresso “soddisfazione per il successo dell’iniziativa, che ha premiato lo sforzo organizzativo posto in essere dall’Unione”. Al termine dei lavori si è prospettata la possibilità di replicare convegni su tale tema presso Camere Civili Territoriali, stante l’interesse che riveste la materia nell’intero territorio nazionale.
ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, ogni anno in città diverse; quest’anno il Parlamento italiano ha istituito il 21 Marzo come giornata nazionale e si terrà in una città calabra: Locri. Don Luigi Ciotti ha raccontato che questa giornata è nata da un’esigenza di dare pari dignità a tutte le vittime di mafia, di ricordarli tutti con la stessa forza e la stessa intensità. Si trovava a Palermo nel primo anniversario della morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e della scorta; vicino a lui era seduta una signora vestita di nero che piangeva ininterrottamente e ad un certo punto si è rivolta a lui chiedendogli perché nessuno facesse il nome di suo figlio; era la mamma di Antonio Montinaro capo scorta del giudice. Lui, gli altri uomini della scorta hanno perso la vita per la stessa ragione di Giovanni Falcone; le vittime innocenti della mafia sono morte tutte per la stessa ragione: per la nostra libertà e per la democrazia del nostro paese. Don Ciotti vuole che il 21 Marzo non sia una celebrazione della memoria, ma vuole che sia una memoria viva, noi abbiamo il dovere morale di ricordare le vittime di mafia e far camminare le loro idee sulle nostre gambe: non sono morti per avere un discorso di circostanza o una targa da qualche parte, sono morti per un sogno che dobbiamo fare anche nostro, di una democrazia che sta a noi tutti realizzare. Don Ciotti ha concluso esprimendo il desiderio di una società “ che si occupi dei giovani e che non si preoccupi di loro!” e augurando a tutti di “avere coraggio ad avere più coraggio “! Edoardo Argirò Scuola media “Domenico Cento”
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ATTUALITÀ
colonne della le to a p u cc o o n n a h e uti nella Locrid n e v v a li enico Stranieri a m ss o o D d i d ra e a d p n si e ic v lle a Due ca o m ana. Ci riferia im tt se a st e e hanno u ch q , to le ta ca S lo llo a ca d i” it d crona ra “t o qualche mod in ci a d n si perare?) che le (s e u re d e , n lio te g ri i Lu rc o fa a d o e Rocc rd u in modo così ass re ta n se ramente così… re ve p è p , e ra i rs d fo o , E ss . e e ri o st prom ta n ventiva di un ca n i ll’ e d o tt u fr il o n a si e ri o loro st
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n u i d i c a Sind o l e l l a r a p o s r e v i n u In un universo parallelo, nel cuore di una provincia dalla struggente bellezza, esiste un borgo di 650 anime il cui giovane sindaco si è scoperto indagato per non aver mai attivato un depuratore costruito quando lui aveva appena due anni.
In un universo parallelo esiste un’Italia in cui lo Stato preferisce indagare i sindaci incolpevoli piuttosto che riconoscere i propri errori e trattare come delinquente un primo cittadino che vorrebbe accogliere il proprio Presidente della Repubblica piuttosto che riconoscere di aver sbagliato a presupporre che il punto di atterraggio preventivato fosse in un paese diverso da quello in cui la più alta carica dello Stato si stava recando in visita. In questo universo parallelo, nel cuore di una provincia dalla struggente bellezza, immerso nel verde selvaggio di una montagna al centro di una storia spesso amara, troviamo un paesino di 650 anime, alla guida del quale venne posto, in seguito a elezioni democratiche, un giovane di belle speranze e dalle idee innovative, in grado di rilanciare, sul lungo termine, il suo borgo spesso dimenticato. Questo primo cittadino, appena 40enne, sapeva bene che, tra i mille problemi del proprio borgo, uno dei più pressanti era quello relativo alla depurazione, ma sapeva anche che le esigenze dei suoi cittadini lo avrebbero obbligato a rimandare per qualche tempo la questione. Di per sé, il borgo situato nel cuore di quella provincia dalla struggente bellezza, era dotato di un depuratore autonomo, tuttavia mai entrato in funzione dal giorno in cui erano stati ultimati i lavori di realizzazione della struttura, quando il sindaco aveva appena due anni.Nei 38 anni trascorsi dal termine dei lavori all’elezione del sindaco, il depuratore di quel borgo situato nel cuore di quella provincia dalla struggente bellezza sarebbe giaciuto dimenticato da tutto e tutti, lentamente sommerso dalla natura selvaggia e in attesa che qualcuno si ricordasse di esso. Un bel dì, effettivamente, lo Stato se ne ricordò e, avviate delle verifiche, incurante che in quei 38 anni altre 7 amministrazioni avevano gestito quel borgo, decise di indagare proprio quel primo cittadino giovane e di belle speranze colpevole, lui che quando il depuratore venne costruito, ricordiamo, aveva due anni, di non averlo mai messo in funzione. In questo universo parallelo, poi, a non molta distanza da quel borgo e sempre in quella stessa provincia dalla struggente bellezza, appena pochi giorni dopo che il primo cittadino giovane e di belle speranze aveva ricevuto la notifica dalla magistratura, un altro sindaco, un po’ meno giovane ma ugualmente sognatore, venne a sapere quasi per caso che il Presidente della Repubblica, per recarsi in visita in una vicina cittadina, sarebbe atterrato proprio sul suolo del suo piccolo comune di 1.200 abitanti. Grande gioia pervase il cuore di questo secondo sindaco che, tuttavia, si rese conto di non essere stato informato dalla Procura su come
avrebbe dovuto agire per portare il saluto della sua comunità al Presidente e dargli il benvenuto nella sua terra natia. Affrettatosi a chiamare chi di competenza, tuttavia, questo secondo sindaco si sentì dire che, per ragioni di sicurezza, non si sarebbe potuto avvicinare al Presidente della Repubblica e che gli organizzatori dell’evento consideravano il luogo dell’atterraggio di competenza della città presso la quale il Presidente si stava recando in visita. Grande sconforto e amarezza piombarono sul primo cittadino, sicuro ormai che un’occasione del genere non gli sarebbe più capitata e deluso dal modo in cui le Istituzioni stavano trattando lui, uomo di Stato al pari di esse. Entrambi questi sindaci, sconcertati e delusi da uno Stato che si erano ripromessi di servire fedelmente, si domandarono come fosse possibile, dopo eventi così gravi, continuare a credere nei principi e nei valori della Repubblica; come mai loro, amministratori di piccoli centri in una provincia dalla struggente bellezza, non potessero essere trattati come i colleghi delle grandi città industrializzate e perché i loro costanti tentativi di migliorare l’abitabilità dei propri borghi dovesse subire battute d’arresto da parte di quello Stato di cui si sentivano orgogliosamente parte. “Ma allora è più conveniente essere furbi che onesti” pensò il primo cittadino indagato per non aver attivato il depuratore. “Chiediamo ai nostri cittadini di rispettare le regole, ma è lo Stato il primo a non rispettare gli altri” si disse il sindaco a cui non era stato permesso di salutare il Presidente. Il grande sconforto di questi sindaci fece loro comprendere perché, in questo universo parallelo, la regione nella quale avevano scelto di restare non era mai riuscita a stare al passo con gli altri. Rese evidente perché molti, troppi sindaci, sceglievano la via dell’illegalità e dell’arricchimento personale piuttosto che sforzarsi per gli altri in nome di uno Stato che comunque li avrebbe ostacolati. I nostri sindaci continuarono a perseguire con uguale onestà e medesimo sforzo la strada del riscatto per i loro paesi, ma un po’ meno illusi che le istituzioni sarebbero sempre state al loro fianco. Per fortuna che questo universo parallelo, quella provincia dalla struggente bellezza che risponde al nome di Reggio Calabria, i borghi di Sant’Agata del Bianco e Portigliola, i loro sindaci, Domenico Stranieri e Rocco Luglio e quello Stato cieco e iniquo che risponde al nome di Italia, nel nostro universo, non esistono davvero. Jacopo Giuca
In quello stesso universo parallelo, a pochi chilometri di distanza, c’è un altro sindaco al quale è stato detto che non poteva avvicinarsi al Presidente della Repubblica per questioni di sicurezza quando ha cercato di porgergli il saluto istituzionale previsto dal cerimoniale.
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CULTURA
Un Eroe cauloniese con la divisa degli Stati Uniti
“Nick”Cavallaro cadde durante la battaglia delle Ardenne combattendo, coraggiosamente. Era nato il 28 ottobre del 1920 a Caulonia.
A Dusseldorf la Calabria protagonista della Deutschland Sommelier Association Si è svolto da domenica 19 a martedì 21 marzo la fiera tedesca del vino organizzata dalla Deutschland Sommelier Association. Nei 160 mq che hanno ospitato 65 cantine, 29 eventi tra i quali 8 verticali esclusive, grande spazio è stato dedicato al vino nostrano. “C’è una grande voglia di Made in Italy – racconta Sofia Biancolin, Presidente della DE.S.A. – e la nostra associazione ha
strutturato uno stand che potrà soddisfare appieno questo desiderio di approfondire la conoscenza del Vigneto Italia. Abbiamo raddoppiato gli spazi rispetto all’edizione precedente che ha fatto registrare, per noi della DE.S.A., un successo straordinario”. Fittissimo il programma che ha visto la partecipazione della Calabria in qualità di ospite d’onore di questa edizione 2017.
ick (Nicolangelo) Cavallaro nacque a Caulonia (RC), nella contrada Pezzolo, il 28 ottobre del 1920 da Vincenzo (n. 1891) e Maria Rosa Strangio (nata il 5 settembre del 1896). Nicolangelo arrivò ad “Ellis Island” nell’agosto del 1920, insieme alla madre e al fratello Celestino “Charlie”, dopo aver attraversato l’oceano sulla nave “Patria”. I tre raggiunsero il padre che lavorava nelle miniere del West Virginia. La famiglia Cavallaro si stabilì nella piccola cittadina di Grasselli (così chiamata per la presenza della “Grasselli Chemical Company”) oggi Anmoore, contea di Harrison County, West Virginia. Oltre a Nicolangelo e al già citato “Charlie” la famiglia si arricchì di altri cinque figli: Ernie, Angelina, Raymond, Viola, e Louise. Il padre Vincenzo lasciò la dura miniera e trovò lavoro presso la “Pittsburgh Plate Glass Company” della vicina Stonewood. Nella stessa fabbrica, terminate le scuole statali, andò a lavorare “Nick”. Quando i giapponesi attaccarono Pearl Harbor “Nick” si arruolò nell'esercito per combattere per il suo paese. Fu assegnato alla appena costituita “82nd Airborne Division, 505th Parachute Infantry Division” (Paracadutisti). Successivamente fu inviato in Tunisia. L’82nd, con lui “Nick”, fu poi impegnato nello sbarco di Sicilia e in seguito a Salerno. Furono i primi ad entrare a Napoli. Durante queste battaglia “Nick” si mostrò utilissimo, oltre che come soldato, come prezioso interprete per il suo Comando. Nel giugno del 1944, durante lo sbarco in Normandia (il D-Day) l’82nd con i suoi paracadutisti saltarono dietro le linee tedesche e furono determinanti per il successo della manovra. “Nick” era, come molti suoi amici, assai provato da un incredibile e durissimo periodo. Gli era stato concesso di poter tornare a casa in licenza anche se per un breve periodo. Ma proprio allora si scatenò una furibonda battaglia in Belgio. Quindi revoca di ogni permesso per andare a partecipare ad un’altra epica battaglia: quella delle “Ardenne”. Una battaglia dove persero la vita migliaia di soldati dell’una e dell’altra parte. Ed è proprio durante la battaglia delle Ardenne a Fosse, il Belgio, che “Nick” Cavallaro fu ucciso dal fuoco delle mitragliatrici tedesche. Era il 3 gennaio 1945. Va ricordato che, per il coraggio mostrato durante tutto questo periodo, a “Nick” Cavallaro andarono due “Purple Heart” (decorazione delle forze armate statunitensi assegnata in nome del Presidente a coloro che sono stati feriti o uccisi in servizio) una “Bronze Star Medal” (conferita per atti di eroismo) e la “Combat Infantryman Badge”. Altri riconoscimenti gli vennero assegnati anche dalla Francia e dal Belgio. “Nick” , il coraggioso ragazzo calabrese, fu per tutti un EROE. Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”
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CELLA C O -R IO G G E R O N E INCONTRI SUL TR
Sergio sa che, finito il turno di lavoro, c’è un pezzo di legno che l’aspetta per farsi sedurre dalla tensione delle sue mani poderose e sensibili, accettando di svelarsi e rivelarsi.
Il Mastro Geppetto di Roccella che di sera fa il capotreno I soggetti della sua arte sono in particolare mezzi di locomozione, in scala reale e ridotta: lambrette, vespe, biciclette, automobili, ruspe e barche, di ogni modello e grandezza.
Per lui l’oggetto che andrà a creare si trova già allo stato potenziale dentro il blocco di legno: serve solo liberarlo asportando la materia superflua. Un po’ come succedeva a Michelangelo quando si ritrovava davanti un blocco di marmo grezzo. Sergio, il capotreno di Roccella con gli occhi di ghiaccio, sa che, finito il turno di lavoro, c’è un pezzo di legno che l’aspetta per farsi sedurre dalla tensione delle sue mani poderose e sensibili, accettando di svelarsi e rivelarsi. La sua passione inizia per caso. “Da piccolo aiutavo mio padre marinaio. Un giorno, tornato a casa sfinito dopo aver venduto il pesce rimediato al mattino, mi sono abbandonato sul pianerottolo e un pezzo di legno mi ha come fatto l’occhiolino. Da lì è nata la mia prima creatura: un motocarro Lambro.” I soggetti della sua arte sono in particolare mezzi di locomozione: lambrette, vespe, biciclette, automobili, ruspe e naturalmente le barche, di ogni modello e grandezza. “Scolpire le barche per me è un gioco da ragazzi: non ho bisogno di guardarne una per riprodurla, ce l’ho già scolpita nella mente. Ne ho viste così tante lavorando con mio padre”. La collezione “marinara” di Sergio è un piccolo universo di miniature, realizzate in m o d o certosino, che sprigiona tutta la bellezza di un’arte lenta e paziente. “Posso lavorare fino a dieci ore consecutive senza accorgermi del tempo che scorre. Con le grandi passioni succede così!” E come spesso succede con le grandi passioni, qualche tempo fa Sergio ha dovuto mandar giù un boccone amaro. “Ho impiegato quattro anni per realizzarla, l’ho vista compiersi davanti ai miei occhi e sotto le mie mani... ne andavo fiero! Me l’hanno rubata di notte, dopo un’esposizione, e non sono mai riuscito a farla
tornare a casa”. Sergio si riferisce alla meravigliosa Ape realizzata in scala reale e curata in ogni minimo dettaglio. “Avevo riprodotto l’Ape a bordo della quale andavo a vendere il pesce con mio padre. È stato un colpo al cuore”. Un colpo basso che, però, non è bastato a distogliere Sergio dalla sua passione. Qualche tempo dopo nascerà un’altra sua splendida creatura: una Vespa perfettamente funzionante a batteria. Oltre ai mezzi di trasporto, in scala reale e ridotta, Sergio realizza anche graziosi salottin i , come quello di casa sua, scacchiere, specchiere e oggetti d’arte sacra, come il quadro “miracoloso” che tiene in bella mostra in cucina e legato a una storia bellissima di fede che il capotreno dagli occhi di ghiaccio preferisce tenere per sè. Presto, come ogni Mastro Geppetto che si rispetti, Sergio darà alla luce il suo Pinocchio. “Ho in mente da sempre di realizzarlo, è una soddisfazione che voglio togliermi”. Forgiato il suo burattino, lo metterà bello comodo sul suo banchetto di lavoro e gli scatterà una foto, che finirà insieme a quelle di tutte le sue creature in un particolare album di famiglia, rigorosamente in legno, con incisa la scritta “The best of Sergio”. Maria Giovanna Cogliandro
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CULTURA E SOCIETÀ
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I FRUTTI DIMENTICATI
A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI
Castiglione nero di Natile Vitis vinifera L.
Nell’estate di una decina di anni addietro lo scrivente ebbe l’incarico da parte della dottoressa Giuseppina Amodei, defunta da poco più di un anno, autrice di alcune raccolte di poesie e corresponsabile assieme al marito e al fratello dott. Francesco Amodei, della gestione dell’Istituto Internazionale di Restauro Palazzo Spinelli di Firenze, di guidare sul territorio l’amica sua, l’attrice Elisabetta Coraini alla ricerca di scorci paesaggistici particolari, caratterizzati da presenza di rocce, in quanto erano coinvolti assieme in un progetto editoriale, basato su fotografie in paesaggi selvaggi unite alle sue liriche. In tali scenari sarebbe stato ambientato il libro fotografico, Donna Fera, edito poi da Mondadori, dove ogni foto sarebbe stata preceduta da una poesia. Furono scelti scorci nel comune di Gerace, in contrada Cao, altri nel comune di San Giovanni di Gerace e altri ancora in quello di Careri, dove furono visitate le Rocce e le Grotte di San Pietro, non molto distanti da Pietra Cappa, che offrirono scenari affascinanti per i loro obiettivi. Qui, Elisabetta Coraini e suo marito per circa due ore scattarono foto e, dato che una leggera brezza rinfrescava la calura pomeridiana di metà agosto, stesero su un pianoro roccioso delle stuoie e si stesero sopra, mettendosi in costume da bagno . I raggi tiepidi del sole li colpiva piacevolmente, mentre ammiravano serenamente il panorama circostante. Lo scrivente gironzolava intorno alla grotta di S. Pietro, andando alla ricerca di esempi di ceramica datante, abbondante in quell’area, costituita da frammenti notevoli di embrici greci e forse di frammenti di ceramica protostorica, localizzati alla base di grotticelle. Prima di arrivare al sito, sulla stradina in forte pendenza, ripulita dal calpestio delle capre in transito, discendente dalla sterrata ampia che porta al santuario di Polsi o deviando, verso il casello forestale di pietra Cappa, notò sulla sinistra una vite solitaria inerpicata su un leccio dai bei grappoli ormai invaiati, a forma piramidale, dagli acini perfettamente sferici non radi; più distanziati apparivano
pochi ceppi di vite, retaggio di una vigna ormai scomparsa. Desiderava chiedere notizie a qualcuno, ma appariva in lontananza solo qualche capra inerpicata su dirupi impossibili, per cui si rassegnò all’idea d’indagare sulla vite. A un certo punto si sentì qualche scampanellio e poi successivamente altri, che col passare di pochi minuti si trasformarono in un fragore assordante di campanacci, che s’indirizzava decisamente verso l’area della Roccia di S.Pietro . Elisabetta e suo marito aspettavano felici e svestiti la man-
dria costituita unicamente da capre aspromontane dalle robuste corna, guidate da diabolici caproni dalle corna possenti. Ad un certo punto al frastuono dei campanacci si aggiunsero i richiami urlati con voce potente da un pastore sull’ottantina, robusto, abbastanza alto, con i capelli neri ancora, o leggermente brizzolati, che brandendo a destra e a manca una scure dal lungo manico, avanzava verso la Roccia di San Pietro. Lo spettacolo eccessivamente bucolico non piacque a Elisabetta e a suo marito che in un baleno si rivestirono e incrociando obbligatoriamente il pastore in un passo obbligato, lo salutarono fugacemente con un cenno della mano e poi risalirono velocemente la stradina verso la sterrata dove era parcheggiata l’auto che li avrebbe riportato verso la costa. Lo scrivente, invece, incrociando il pastore, doverosamente l’informò sul perché erano venuti a visitare la Rocca di S. Pietro e facendo le dovute presentazioni seppe che si chiamava Sebastiano Codispoti, pastore da sempre e conoscitore di ogni anfratto del suo territorio. Notò che in una tasca della sua giacca aveva un cucchiaio appena abbozzato in legno di erica e poi con una certa circospezione gli chiese notizie sulla vite inerpicata sul leccio e seppe che esso era denominato Castiglione e che proprio dove esso sopravviveva era stata impiantata una vigna poco dopo la seconda guerra mondiale, costituita oltre che dal Castiglione anche dalla malvasia bianca e nera, dalla guardavalle nera e bianca ecc. Ormai le antiche viti che costituivano le vigne nel comune di Careri, non esistono più e sopravvivono stentatamente in qualche sparuta vigna marginale. L’ultima vigna costituita da viti autoctone nel territorio di Natile, fu quella della famiglia Napoli impiantata nell’area gravitante verso Platì; era dotata prevalentemente di Castiglione Nero e, addirittura di quello bianco.
“Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppo pieni… Dei corsi d’acqua incanalati nelle tubature di Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è stato loro facile sgorgare da fonti moltiplicate… trovare nuovi modi di godere dell’acqua. Può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque”.
Architettura d’acqua PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO La città di Armilla inventa, scopre il fascino del tubo a vista. Calvino riscatta le acque, fa giustizia della sua invisibilità nella civiltà contemporanea. Nell’architettura incubata l’acqua scorre nei condotti in pressione nascosti negli spessori delle murature: la sua vista non è gradita, i suoi rumori detestati. Calvino libera i tubi nascosti nei pavimenti, celati nei tramezzi, e fa compiere alle ninfe la lunga strada che dalle sorgenti del mondo greco porta al contemporaneo. Il fascino delle acque nell’architettura antica è dovuto al fatto che l’acqua vi scorre per gravità, e in visibile continuità con il luogo naturale da cui proviene. Tutta l’architettura romana degli acquedotti delle aquae pensiles nasce dalla straordinaria idea per la quale l’acqua, catturata, convogliata, depositata, possa generare architetture meravigliose e che queste, componendo le proprie forme con quelle della natura, mutino il fondamentale valore simbolico dell’acqua in rappresentazione dello spazio voluto. Gli acquedotti sette-ottocenteschi muovono nella stessa direzione. Ora interrata nelle viscere delle montagne, ora estesa lungo vallate, l’acqua scende dalla sorgente, a mezzacosta lungo l’anfiteatro dei monti. Lungo il suo percorso, si incontrano grandiose “stazioni d’acqua”: le cascate, le arcate dei condotti, porte trionfali o trionfanti scavalcamenti; fino al termine della corsa, dove finalmente è l’accumulo e il riposo nelle piscine delle cisterne. Durante il viaggio il filo d’acqua si allarga, si stringe, indugia in momenti di passaggio, si apre in vasche rettangolari, definendo e disegnando il paesaggio circostante. Osa e si ritrae, parla o tace. I suoi suoni animano lo spazio connotandolo come maestoso, calmo, agitato, allegro, cupo, raccolto. Ha la capacità di riunire, saldare, riavvicinare, sospendere tenere insieme elementi diversi: attorno al filo della sua voce si organizzano i discorsi. L’acqua denuncia, nel suo perpetuo nascere, l’esistenza di cose che vivono nel tempo della memoria e dell’immaginario. Rappresenta il regno del non lineare, dell’autonomia del tempo; contiene livelli e modi di realtà altri da quelli iscritti nella temporalità piana. È una “rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli” (Borges). Transita, declina, discende dallo stesso allo stesso e
questo passaggio dissolve l’identità del tempo. Questa sottile astrazione trasparente racchiude nella sua unità indivisa la virtualità di tutte le forme, è inafferrabile nell’infinità delle sue determinazioni. Spezzare il legame tra uso e rito, è il peccato originale degli impianti idraulici odierni, insieme alla distanza che frappongono tra il corso naturale dell’acqua e la sua utilizzazione. Esiste un conflitto con chi vuole assegnarle un posto definito, attribuirle un’identità precisa, ridurla alla banalità di una funzione. Tuttavia l’acqua conserva molte valenze maturate nelle antiche culture, ed è
ranti per numero e forma sono le imagines rerum sensarum. “Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori di innumerevoli immagini di ogni sorta di cose” (Agostino di Tagate). L’acqua, con la sua mobilità, malleabilità, trasparenza, col suo sinuoso movimento che chiarifica l’origine, è il veicolo ideale di un viaggio senza fine nei vasti quartieri della memoria.
ancora oggi spesso usata nei suoi significati simbolici. Nel cimitero Bryon di Carlo Scarpa, fine architetto dei dettagli, è presente ovunque: il cancello di cristallo all’ingresso scende nell’acqua per lasciare libero il passaggio, l’arco tombale copre una vasca dove l’acqua accentua l’apparente dondolio delle tombe; il padiglione ne è circondato. Un filo d’acqua, infine, che ricorda le canalizzazioni geometriche arabe, collega i diversi frammenti. Il filo azzurro di Scarpa è il tracciato di chi non cerca una direzione, ma un movimento continuo, nel vasto campo della memoria ove esube-
stagna è fondamentale. In un recente piccolo intervento dalle parti della Calabria ho costruito una vasca rettangolare con il fondo nero con adagiate grandi pietre di marmo bianco e verde attraversato da passerelle che si intersecano, composte da tavoli di legno recuperati e capovolti. Quando si attraversano si sentono, a intervalli crescenti, tonfi di pietra che cadono. Il suono basso e cupo di acqua e di cadute di massi rimanda alla paura delle alluvioni storiche e personali che forse giace sepolto nel nostro collettivo inconscio.
Anch’io realizzo giardini dove l’acqua in movimento o
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RIVIERA
Organizzazione impeccabile Giovanni Calabrese, al termine della mattinata in compagnia di Sergio Mattarella, saluta la responsabile del Quirinale che ha gestito tutta l’organizzazione della visita del Presidente della Repubblica a Locri.
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Rubrica di enologia a cura di Sonia Cogliandro
Cirò DOC, il vino“olimpionico” “Venti mine di carne e altrettante di pane e tre cogni di vino al giorno”: questa era la dieta del leggendario pugile crotoniate Milone, imbattuto per oltre vent'anni. "Krimisa", l'antenato dell'attuale Cirò, era il vino rosso apprezzato e tracannato al limite del ridicolo e del riprorevole dall'atleta. Di notevole vigoria proprio come Milone, il “vino ufficiale” delle Olimpiadi (offerto agli atleti vittoriosi) esprime i suoi migliori risultati proprio nel centro est della Calabria, dove influiscono le correnti derivanti dal granitico Massiccio della Sila, da un lato, e il carattere mediterraneo proveniente dalla costa, comprendendo i territori dei comuni di Cirò e Cirò Marina (dove il disciplinare riserva la qualifica aggiuntiva di “Classico”) e in parte i territori dei comuni di Melissa e Crucoli. I vitigni idonei alla produzione sono quelli tradizionalmente coltivati in quest'area: il Gaglioppo, che cresce in modo disinvolto sull’aspra e siccitosa terra calabrese, e il Greco
bianco, elargitore di sentori fruttati. Prodotto in tre tipologie diverse, Rosso, Rosato e Bianco, il Cirò è capace di mettere d’accordo tutti, mostrando con semplicità mille diverse sfaccettature ma in uno stesso quadro. Il Cirò rosso è il vino più famoso di questa DOC, e riflette tutte le qualità del vitigno di origine, soprattutto nelle versioni a più lungo affinamento, per cui questi vini hanno una naturale predisposizione. Versato nel calice si presenta un liquido indiviso, multiforme di un rosso rubino - con unghia scarica che sfuma sul granato - e di energica limpidezza. I profumi salgono precisi al naso esprimendo una ricca complessità degli aromi che spaziano dalla ciliegia matura alla marmellata di prugne, per poi passare a sentori speziati, profumi terrosi e una evidente mineralità, per terminare con un piacevole finale balsamico. Al palato tannini, compatti e non irruenti, e frutta a bacca rossa si giocano le parti in grassetto su uno spartito che non sfuma mai sull’amaro. Apprezzabile anche la morbida setosità che svela d’un colpo acidità diritta, perfettamente in grado di tenere la grande struttura di questo vino, e grande sapidità. Un equilibrio da balletto classico che termina con un inchino fruttato di lunga persistenza.
Un terroir grecanico: il“Palizzi Igt" Workshop granitico Durante il workshop “Calabria Fragile” abbiamo immortalato gli insegnanti Pino Diano e Giusy Calenda insieme ai bravissimi alunni che hanno attivamente collaborato alla realizzazione della due giorni. Trasferimenti Anche noi, come molti sidernesi clienti del Monte dei Paschi di Siena, ci siamo dovuti trasferire a Gioiosa Marina, in cui ci accolgono Ornella Malandrin, direttrice della filiale, e i funzionari Nicola Lo Muscio e Nino Iaria, precedentemente direttore proprio a Siderno.
Sta tornando per voi Alfredo DJ saluta tutti i suoi amici e vi raccomanda di seguire molto attentamente i social per scoprire le prossime date delle sue attesissime esibizioni!
Per farci conoscere meglio… Lo chef Cosimo Pasqualino, grande protagonista di queste giornate in cui i parlamentari come Rosy Bindi, presente in foto, hanno fatto visita al nostro comprensorio, dispensa assaggi delle magnifiche prelibatezze del nostro territorio.
SETTIMANALE
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Formazione a testuggine Per una volta siamo stati noi a fotografare i giornalisti (e fotografi) assembrati a fotografare Don Ciotti. In primo piano riconosciamo Adelina Scorda, Ilario Balì e Pino Lombardo. Accovacciati: Emanuela Alvaro e Francesca Cusumano.
Politici fuoripartito Mantegna, non pago della sua comparsa con la Presidente della Camera Laura Boldrini, ci invia questo scatto in compagnia di Roberto Speranza, anche lui appena fuoriuscito dal PD. Alto livello giornalistico Francesco Dinapoli, ufficio stampa della Regione Calabria, parla animatamente con un altro grosso calibro del giornalismo calabrese: Bruno Gemelli.
A tu per noi Un pensieroso Ilario Ammendolia si confronta con i sindaci di Camini, Pino Alfarano, e di Monasterace, Cesare De Leo, in seguito all’intervento del Presidente Mattarella.
Facce da Derby Davide Lurasco e Lele Nucera discutono con grande trasporto del derby Siderno-Locri durante un incontro al bar.
Stime reciproche Aurora ha realizzato il suo piccolo sogno di incontrare una persona che stima moltissimo: il grande Gigi D’Alessio!
Slogan artistici Tra i tanti striscioni osservati durante la manifestazione antimafia del 21 marzo scorso, abbiamo scelto di mostrarvi il prodotto coreografico dei ragazzi del liceo artistico, qui capeggiati dalla vicepreside Panetta.
Sempre all’erta I sempre disponibili, preziosi e pronti a intervenire durante le emergenze ragazzi della Protezione Civile di Siderno si contraddistinguono per la professionalità anche durante i momenti di pausa.
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